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Autore: jay0704    22/07/2019    0 recensioni
Lei una ragazza che ha paura dell’amore.
Lui un ragazzo che non conosce l’amore.
Riusciranno i protagonisti ad apprezzare e conoscere l’amore.
Riuscirà Luce a riporre fiducia nella vita, ad innamorarsi senza la paura di soffrire?
Riuscirà a voltare pagina ed accettare la morte dei suoi genitori, e andare avanti?
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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Il silenzio 

Capitolo 1 

 

Il suono della sveglia, rimbomba in tutta la stanza, obbligandomi ad aprire gli occhi, osservo l’ambiente circostante, vuoto.

Non si sente nulla se non il rumore del mio respiro e della sveglia, che rifiuto di spegnere, il rumore mi illude che non sono sola in questa casa. Anche se la realtà è un altra è già trascorso un anno dalla morte dei miei genitori, di mio fratello Francesco, nonostante il tempo trascorso mi rifiuto di accettare la realtà. Il desiderio che tutto questo sia solo un incubo è sempre vivido nella mia mente, non riesco a vedere in faccia la realtà, tutte le volte che lo faccio cado in disperazione, passo ore a piangere a singhiozzare senza alcun freno, lo faccio ormai ogni giorno isolandomi dal resto del mondo.

Le mie amiche hanno tentato di aiutarmi, sostenermi ma senza alcun risultato, tant’è che hanno finito con l’abbandonarmi, ma non mi importa più di tanto, la mia vita ha smesso di aver colore dal giorno dell’incidente che mi ha strappato via le persone che amavo di più.

Mi alzo dal letto, consapevole che oggi è un altro giorno da affrontare, l’idea di mollare tutto e raggiungere la mia famiglia è forte, mi piacerebbe tanto raggiungerli, rivedere il mio fratellino aveva appena 6 anni quando quella dannata auto me l’ha portato via, i suoi occhietti azzurri illuminavano le mie giornate rendendole piacevoli.

Mi sembra persino di sentire la voce stridula di mia madre che mi dice di sbrigarmi perché altrimenti faccio tardi a scuola, io che corro in fretta e furia perché mi sono svegliata tardi, piombo in cucina come un uragano, l’espressione di mio padre che mi osserva con un cipiglio, mi fa uscire un sorriso del tutto spontaneo.

Come dimenticare i giorni ricchi di sorrisi e spensieratezza che vivevo con la mia famiglia, per me sono sempre stati fondamentali tuttora lo sono, non riesco a immaginare una vita senza di loro. 

Ogni giorno alle 9:00 del mattino mi reco davanti alle loro lapidi, sono tutti e tre insieme, mi siedo sull’erba, ed inizio a parlare con loro, osservare le loro foto, i loro visi sorridenti mi illudono ancora di più, facendomi credere che sono lì seduti accanto a me, che mi ascoltino attentamente. 

Trascorro intere giornate nel cimitero, non riesco ad allontanarmi da loro, rassegnarmi tutte le volte che ho tentato di farlo mi ritrovavo in un baratro buio, totalmente sola, la solitudine mi spaventa, la vita mi spaventa. Ricordo che prima non era così, un anno fa’ ero una ragazza felice, piena di vita, amavo ogni sfaccettatura della mia vita, ringraziavo Dio per il dono che mi aveva concesso. 

Mi vesto come al solito, il nero fascia il mio corpo divenuto fin troppo magro, non mangio spesso, non ricordo l’ultima volta che ho fatto un pasto decente, abbino delle sneakers del medesimo colore, raccolgo in una coda i miei capelli biondi ed esco. Nascondo i miei occhi spenti dietro un paio di occhiali da sole e mi appresto a raggiungere il cimitero per andare a trovare la mia famiglia, ho il bisogno di vederli, parlargli. 

Metto subito in moto l’auto, raggiungendo il cimitero, chiudo la portiera dell’auto noncurante del rumore brusco che ha fatto, non appena raggiungo i miei genitori mi siedo sull’erba bagnata dalla pioggia del giorno prima. 

 

  • Ciao mamma, ciao papà  e buongiorno a te piccolo Francesco.

 Li saluto rivolgendogli un lieve sorriso, illudendomi che possano contraccambiare anche loro, però ciò non accade dovrei ormai saperlo che è tutto frutto della mia testa, eppure continuò a farlo. 

  • Mi mancate tanto, ormai è trascorso un anno, da quel maledetto giorno. Non c’è un giorno in cui la mia mente proietta quella scena, odio l’uomo che ci ha fatto questo, odio la donna che sono diventata. 

 

Dico in preda al pianto disperato che mi travolge ogni giorno, maledico me stessa per essere così debole, sono certa che loro non volevano questo, ricordo ancora le parole di mia madre, voleva che diventassi un medico. Non sono riuscita a realizzare il suo sogno, odio i medici, più dell’uomo che mi ha rovinato la vita, non hanno fatto nulla per salvare la mia famiglia, si sono limitati ad aiutare solo me. 

La rabbia che scorre nelle mie vene è ancora forte, il dolore e la malinconia caratterizzano le mie giornate, solo quando prendo sonno trovo un po’ di pace, perché riesco a rivedere la mia amata famiglia, tutti e quattro insieme.

 

Decido di tornare  a casa solo quando il buio della notte oscura l’ambiente circostante, non ho idea di quanto tempo ho trascorso con la mia famiglia, o che ora sono, mi alzo, poso un piccolo bacio nelle foto che raffigurano le persone che amo di più al mondo.

Mi allontano lentamente, la pioggia bagna il mio corpo, ignoro i brividi di freddo che colpiscono il mio corpo, le lacrime iniziano a scendere come le gocce di pioggia che scendono velocemente dal cielo. 

Inizio a percorrere la piccola strada che mi porterà direttamente al parcheggio, è il rumore di una bottiglia che cade che mi distoglie per un attimo dai miei pensieri, alzo lo sguardo incontro subito delle iridi blu a fissarmi. Abbasso lo sguardo è ricomincio a camminare ignorando la presenza dell’uomo, è la voce roca di quest’ultimo che mi obbliga a fermarmi e voltarmi dalla sua direzione.

 

  • È pericoloso uscire a quest’ora dal cimitero. Dovresti stare attenta a chi potresti incontrare in giro per strada alle quattro del mattino, non è un luogo sicuro per una donna.
  • Grazie ma non ho bisogno dei tuoi consigli, so cavarmela da sola.

 

Gli dico puntando le mie iridi blu, l’uomo che mi ha rivolto la parola mi osserva con un intensità tale da obbligarmi ad abbassare lo sguardo. Non comprendo bene il motivo per cui mi comporto così, in fin dei conti non lo conosco, non dovrebbe avere questa influenza su di me.

 

  • Cosa ci fa’ una ragazza così giovane, in un cimitero a quest’ora di notte? 

 

La sua domanda, mi fa’ ripensare al motivo per cui mi trovo qui a quest’ora, le lacrime ricominciano a scendere, cerco di nasconderle ma il mio tentativo risulta vano, i singhiozzi iniziano a sovrastare il silenzio, inizio a piangere come una bambina, i miei lamenti rimbombano in tutto il cimitero. Piango con la speranza che i miei genitori vengono ad abbracciarmi e che mi rassicurano dicendomi che è solo un brutto sogno, piango con la speranza di vedere Francesco che corre per abbracciarmi. Piango consapevole che nulla di tutto ciò accada, ignoro la presenza dell’uomo, che sicuramente mi guarderà stranito. 

Nascondo i miei occhi con il palmo delle mani, percepisco i passi dell’uomo che si avvicina e che con le braccia mi avvolge in un caldo abbraccio, il suo caldo respiro, per qualche strano motivo mi tranquillizza.

Inizia ad accarezzarmi i capelli con fare delicato, non riesco a comprendere il motivo per cui lo stia facendo, in fin dei conti per lui non sono altro che un estranea, eppure mi sta aiutando, sta cercando di mettere a tacere il mio dolore.

Rimango abbracciata a lui fino a quando non mi tranquillizzo, mi separo da lui, ignorando il vuoto che mi ha causato il separarmi da lui, alzo lo sguardo un po’ timorosa, incontro subito le sue iridi blu come la notte a fissarmi, cerco di reggere il suo sguardo è con un tono di voce flebile gli dico:

 

  • Grazie. 
  • Non ringraziarmi non è necessario, l’avrebbe fatto chiunque al posto mio. Piuttosto cambiando argomento, come ti chiami.
  • Luce, il mio nome è Luce.

 

Esce come un sussurro il mio nome, osservo la sua espressione che non riesco a decifrare, i suoi occhi sembrano un muro difficile da abbattere, non riesco a decifrare le sue emozioni, nonostante l’abbraccio sembrava caldo e rassicurante, i suoi occhi sembrano essere freddi, distaccati.

 

  • Ti riaccompagno a casa. 

 

Mi dice per poi darmi le spalle, allontanandosi da me, osservo la sua figura allontanarsi lentamente dal mio campo visivo, decido di raggiungerlo e dirgli che non accetterò il suo passaggio, non lo conosco quindi non posso accettare, potrebbe essere un uomo pericoloso.

 

  • Ti ringrazio ma rifiuto l’offerta. Non ti conosco, non so chi sei, potresti essere anche un assassino.
  • Non ti preoccupare se volevo farti del male l’avrei già fatto. Ma non è mia intenzione puoi credermi, adesso seguimi prima che tu possa incontrare realmente un malintenzionato.

 

Mi dice voltandosi verso la mia direzione, rivolgendomi un lieve sorriso, le sue parole mi rassicurano, nonostante non lo conosco abbastanza, sento che di lui posso fidarmi. Lo raggiungo, posizionando accanto a lui, inizio a camminare cercando di mantenere il passo.

  • Come ti chiami?
  • Alex.

Rimaniamo a passeggiare in silenzio, che per la prima volta non mi scalfisce, anzi mi regala un senso di pace che fino ad ora non avevo mai sentito. La presenza di quest’uomo mi tranquillizza, mi regala un senso di pace, mettendo a tacere il dolore che lacera ogni giorno la mia anima.

 
   
 
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