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Autore: ireland3    23/07/2019    21 recensioni
Questo è il mio piccolo tributo ad una grande storia: pensieri sparsi ed emozioni, raccolti come fossero istantanee, qualche tempo prima del mitico 12 luglio ed in un luogo caro ai Nostri, la Normandia, il cui limite estremo (Mont Saint Michel) serba un'energia particolare. Perchè non è giusto vivere di rimpianti, e lo strazio di Oscar a poche ore dalla scomparsa del suo uomo, lacerata dal senso di colpa di aver sprecato il "loro" tempo, mi ha condotto fin qui, nel tentativo di regalare loro la possibilità di avere anche un presente.
Per chi vorrà, buona lettura...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Image and video hosting by TinyPic Il tempo e il mare si assomigliano. Non li puoi fermare, non riesci a contenerli nella tua scatola di oggetti preziosi da sottrarre alla polvere. Non hanno limite, non conoscono confini.
Io assomiglio al mare. Col mio carattere impetuoso, indomito, inafferrabile. Con la furia che si placa infrangendosi contro la Verità di uno scoglio, ma anche con l’ordinato andirivieni delle onde. Trasparenti di acqua limpida, bagnano a ritmo costante la sabbia, sono simili alle giornate tutte uguali che spesso si sono rincorse di pari passo con i doveri, con gli obblighi, con i disegni di una vita dedicata tutta a spegnere le bizzarre leggi del Caos.
Perciò, ogni volta che posso, arrivo qui. Dove ritrovo quella parte di me che costringo a rimanere celata. Qui trovo le risposte. Qui mi ritrovo. Vera e leggera, slegata dalle leggi degli Uomini. Padrona unicamente di comprendermi, padrona di ascoltarmi. E di ascoltare.
Mesi fa ho consegnato al vento le schegge di un cuore ferito, di una femminilità incrinata. Nel mio tacito grido ho pregato di tornare ragazza, pulita da ogni macchia che sporca il tuo cammino, dalle aspettative deluse, dai sentimenti infangati. Ironia della sorte, Destino beffardo! Volevo amare l’uomo che mi vedeva come amica, e volevo come fratello colui che, silenzioso, mi urlava il suo amore.
In realtà, ho avuto la presunzione di assomigliare anche al Tempo, e così non è. La fanciullezza regala l’inesperienza, ma soprattutto quella beata incoscienza che abbiamo l’ardire di confondere col coraggio. Ci crediamo invincibili, confondiamo le nostre piccole imprese alle gesta degli Eroi, che ammiccano, impavidi e fieri, dai poemi dei Grandi. Allora credevo di poter fermare tutto, anche tra di noi. Ho custodito per anni, attenta e premurosa, la nostra amicizia, alla stessa stregua di quel cofanetto sepolto sotto l’albero secolare di Palazzo.
Un coltellino ed una trottola. Un fratello e una sorella.
E’ cambiato il mio corpo. Sono cambiati gli anni e le prospettive. Ed ho creduto fosse bene sottrarre qualcosa allo scorrere del tempo: la nostra amicizia. La credevo sacra e inviolabile, al sicuro da tutto, dormiente nella teca preziosa della mia anima. Ed invece non mi sono resa conto di quanto a te pesasse non violarla. Non mi sono accorta di come tu non abbia potuto fermare nulla. Sei diventato uomo, e tutto quello che germinava nel tuo cuore è cresciuto a dismisura con te, come te.
Il mare non riesci a contenerlo. Non ha limiti, non conosce confini. Anche tu assomigli al mare.
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Allargo le braccia e apro le mani: il vento mi restituisce le risposte, mi ipnotizza sempre col suo richiamo.
E’ giusto così, Andrè, doveva andare così: siamo tornati. Non sarebbe stato lo stesso toglierti il gravame di quel cilicio che ti strazia le carni da una vita, nel buio dell’abitacolo di quella carrozza, com’era nelle mie intenzioni. Come una peccatrice che, a testa bassa e col capo ricoperto delle ceneri del pentimento, attende l’assoluzione del prete. Dietro una grata, la penombra a dissolvere i tratti, a rendere pesante la voce. No! La Verità ha trovato la via, nonostante le braci della ragazza che ero stentassero a spegnersi.
In quella notte, una notte diversa, ci siamo affacciati per la prima volta al confine dell’Inferno, ma siamo rinati. Il branco ha allungato le sue braccia, come i tentacoli del Kraken che emergono da flutti spaventosi, grondanti di acqua nera e puzzo di marcio e alito di morte. Ci hanno sferzato, diviso, quasi seviziato. E la morte non l’ho vista avvicinarsi con la falce che tutto miete e tutto chiede, ma con un pesante flagello, pronto ad abbattersi sul mio cuore, a ridurlo in brandelli. Ad ogni colpo di frusta, ti sentivo meno. Ogni volta che credevo fossi più vicino, ed invece ti portavano via, tra volgari imprecazioni e feroci condanne, sentivo la carne bruciare.
Ed è arrivato lui, inaspettato. Si è materializzato come uno spettro dalle nebbie dei roghi. Speravo fossi tu.
Un’altra dichiarazione strappata, con la violenza della paura,  con l’atroce consapevolezza che perderti equivalesse a morire. Un disperato appello “ Andrè è in pericolo!”, ma anche “mio”: evidente preludio di Amore e Possesso. E mi sono sentita finita e sfinita. Pesante e leggera al tempo stesso, nel timore di sapere quale verdetto ci fosse in serbo per me. Proprio allora che le farfalle che per anni svolazzavano impunemente nello stomaco per il Conte, avevano smesso di volare. Proprio allora che le sentivo allontanarsi da me, dai miei sogni di giovane dama ferita, nell’unica volta che mi presentavo al mondo frivolo e festante di Versailles, in cui mi palesavo a quel cavaliere errante, sfidandolo a guardarmi con occhi diversi, a cedere le sue armi, a riposare tra le braccia di un innamoramento facile.
Proprio allora, così, che ho deciso di amarti.
Le ho sentite trasformarsi in drago, per te, spiegare le ali con violenza dentro le mie viscere, dilaniando ogni mio movimento. Ho ringraziato e ringrazio Chiunque ci sia di là: è riuscito laddove il terrore cieco e divorante mi ha reso le gambe inutilmente molli. E’ riuscito a sfidare la realtà, l’atroce possibilità di trovarti senza vita.
E’ riuscito a riportarti da me, a darci un’occasione. Per questo siamo qui. Le onde del mio mare laveranno via ogni rivolo di sangue dal tuo volto.  Anche allora, nel fumo della città violata, ne sentivo il richiamo.
Siamo fatti di fiato: è qui che dobbiamo rinascere.
 
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La linea dell’orizzonte è solcata da un drappo di nuvole grigie, che si sfaldano ad ogni lato, pronte a cedere all’intensità del vento. Creano strani giochi di luci, a terra il loro riflesso gioca sulla sabbia, calda di oro dove il sole la bacia, fredda d’ombra dove il manto la copre. Una passeggiata a cavallo, come un tempo. Più di un tempo. Avevo bisogno di allontanarmi da tutto, come se il Palazzo avesse occhi, come se i luoghi che frequentiamo nella nostra quotidianità rischiassero di macchiare quella pergamena intonsa che sarà la nostra storia.
Io lo so che mi ami ancora. Non ho bisogno di prove. La tua anima canta, i tuoi occhi e i tuoi silenzi raccontano, e da qualche tempo ho imparato a leggerli nello stesso modo in cui avresti sempre voluto. Perciò ti ho chiesto di seguirmi, di passare qui qualche giorno di riposo per allontanare l’orrore che rischiava d’inghiottirci. In verità, per celebrare il presente, per fermare la sabbia della clessidra a ciò che siamo, per abbeverare le nostre anime nell’incanto di attimi che, sono certa, diventeranno un pezzo di noi.
Incito la mia cavalcatura a osare di più, a percorrere furiosa la battigia, a sfidare il vento, a farmi battere forte il cuore. Forte, di più, ancora! Mi sta già scoppiando dentro, voglio portarlo al suo limite e riversartelo, colmo d’amore trattenuto e a lungo ignorato. Farti colare addosso il miele dolcissimo di un sentimento unico e senza eguali, pari al tuo, in grado di nutrirti per ogni istante rubato, per ogni sogno spezzato, per ogni desiderio mutilato. E tu, dietro, che accetti la sfida, ti metti in pari: stiamo forse volando? Posso quasi credere di sfiorare le nubi che corrono sopra di noi, di entrare in esse, fendendole, come fossi in groppa a Pegaso…
Sono così coinvolta da non accorgermi subito della sagoma dell’Abbazia. Eccola: un massiccio imponente alla base, che riesce però ad elevarsi al cielo con svettanti geometrie turrite e verticali. E lassù, nel punto estremo dove s’innalza la guglia, l’Arcangelo guerriero brandisce la spada e buca ieratico le nubi.
Da qui la foschia che sale dalla palude la fa sembrare immota e lontana, quasi evanescente, a guisa di una Fata Morgana che inganna il viaggiatore stanco nel deserto. Non ci siamo mai spinti fin qui in tanti anni. E non lo dico solo per il luogo: tutto combacia con la meraviglia che ho dentro, con tutto ciò che sta per esondare da un attimo all’altro…. Non sono mai stata superstiziosa, ma ci sono segni cui dobbiamo portare rispetto. Adesso porterò rispetto a ciò che vedo. Ma soprattutto a ciò che sento.
 
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“Io ti amo, Andrè. Credo di averti sempre amato…”
Le mani piene di vento tremano dopo la corsa, il cuore è pronto a spiccare deciso il suo volo, gronda nel mio petto parole già udite, le tue. Quella sera anche la tua confessione, immensa e arrendevolmente disperata, l’ho custodita dentro. Ed ho pian piano compreso, ho imparato a cullarla sino a farla diventare anche la mia: verità pura e inarrestabile. Perché è così che ti amo. Probabilmente ti amavo anche quando fingevo di non saperlo, per il timore di oltraggiare quella parte fraterna che ci siamo raccontati, al solo fine di compiacere le regole degli altri.
Non credo ci sia più bisogno di altro, di nulla che non possa toccare. Anni di dialoghi, di confronti, anche silenziosi, sempre solo nostri, bastano. Non riesco e non posso aggiungere alcunchè: perché frantumare l’incanto di un attimo perfetto?
Nemmeno tu profferisci parola. Nessun cenno verbale, non più. Mi guardi colmo di gioia, dalle labbra dischiuse esce l’ansimo di felicità trattenuta che scuote selvaggia il cuore nel petto.
Nell’attimo in cui ci avviciniamo, come avessimo udito il medesimo richiamo, chiudiamo gli occhi assieme.
 La luce di questa terra mutevole, che ti annega di colori vividi con un’occhiata di sole, e ti riempie di malinconica dolcezza sotto nuvole tinte di grafite, non riesce a distrarci dalle nostre bocche. Vicini, come solo un’incomprensibile volta siamo stati.
“Non ho mai smesso di aspettarti. Non potrei amare nessun’altra. L’ho sempre saputo, Oscar..” Sussurri con dolce forza al mio orecchio, vesti di voce il silenzio di poc’anzi. Ed il calore di queste parole si espande salvifico in ogni mio dove. Sono salva: amo, e sono ancora amata.
Una carezza lieve di fiato ci incoraggia ad unirci, e mentre labbra toccano labbra, anche le mani trovano la via per un abbraccio potente, che arriva ovunque, che possiamo sentirci di più.
 Me lo ricordo, ricordo il tuo sapore. Quella sera era confuso dalla rabbia e da un cieco disperato dolore, che adesso lascia il passo all’incedere fiero di un amore denso e condiviso.
Eccolo, questo secondo primo bacio. Sfuma la furia della prima volta, quando fosti da solo a baciare un’utopia. Mi abbandono alla purezza dell’istinto, dapprima stupore e delizia nell’approdo delle nostre bocche, poi ferocia e bisogno, forte di sale e ricco di tutto il profumo che la pelle accaldata può regalare.
“Oscar…Oscar…perdonami….dobbiamo andare via da qui. Prima possibile!” Ti stacchi con sofferente fastidio, come ridestato improvvisamente da un sogno, e mi lasci sospesa così, col cuore imbizzarrito e un tiepido gusto ferroso in punta di lingua: il minuscolo taglio che ti è rimasto sul labbro ha stillato qualche timida goccia nella mia bocca riarsa. Mi rendo conto solo adesso che la marea si è pericolosamente alzata, inarrestabile e rapida, arriva a lambire le mie caviglie e la sabbia sotto i piedi non la sento cedere solo per l’emozione di star raccolta tra le tue braccia, ma soprattutto perché si sta facendo trappola subdola e involontaria. I cavalli sono nervosi, ma, grazie al Cielo, il loro tramestio ha messo in allarme almeno te.
Troppo distanti per rientrare in villa. L’unica soluzione è percorrere la lingua di terra che si snoda sinuosa sino alla cinta muraria che racchiude l’Abbazia ed il villaggio che le fa da fondamenta. Sembra così maledettamente lontana, incorniciata ora da una bruma che ne rende fatui i contorni, sino a smarrirne la consistenza. Eppure è un rischio che dobbiamo tentare, la notte aspetterà fino a che non raggiungeremo quel portone. E poi diventeremo parte di essa.
                                                                               
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Camminando lentamente ci facciamo strada tra l’acciottolato dei vicoli angusti, lastricati della stessa pietra che colora questo posto incredibile, e da distante lo fa assomigliare ad un perfetto castello di sabbia. Mi tieni per mano, procedi armonioso dandomi la schiena. Non riusciamo a stare appaiati, con le nostre ingombranti e fedeli cavalcature dietro, ma non perdi un attimo il contatto. Le dita giocano, ora godono di tenere carezze, ora si stringono, fino ad affondare con le unghie nella reciproca carne. E’ il preludio di ciò che ci aspetta, di ciò che vogliamo.
Non riesco ad immaginare nemmeno quello che accadrà. In tutti gli anni passati da austero soldato non ho certo imposto il voto di castità ai miei pensieri, alla mia parte più intima ed inconfessabile, ma solo alla mia integrità morale. Ma come ogni donna, nonostante non mi sia mai confrontata con il frivolo cinguettare delle mie sorelle maggiori o di alcune svenevoli damine di corte, il volo pindarico su questo momento l’ho fatto anch’io. Solo non credevo che il desiderio per colui che amo, potesse arrivare a bruciarmi così, fin quasi a stordirmi, a dilatare la percezione di ogni cosa.
 
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Entro per prima nella piccola stanza, all’ultimo piano delle ultime abitazioni da dove poi si inerpica la ripida scalinata che conduce al monastero. Inaccessibile, come solo un nido può esserlo, nel vero senso della parola. In quest’ ambiente piccolo e raccolto spicca dinnanzi a me una finestra, sembra essere un occhio aperto sull’orizzonte sottostante: viuzze strette, casette affastellate, orti e minuscoli giardini. Ma è la maestà del mare a sorprendermi, ancora. La sua innegabile supremazia. La luna comanda le maree, siamo circondati dalla vastità delle acque, adesso. Intravvedo appena il filo sottile che lo separa dal cielo, ma il sole è calato e le stelle paiono pulsare sbiadite, se dovessi metterle a paragone del tumultuare impazzito del mio cuore.
Nella penombra, poche candele consumate attendono di fare ancora il loro dovere. Ma ciò che cattura la mia attenzione, è questo letto immacolato che troneggia invitante, che profuma di buono, di ricordi casalinghi, di ricamatrici solerti e giovani lavandaie che con la cenere e le nocche arrossate, l’hanno reso più accogliente dell’alcova reale.
Chiudi la porta, gli stivali inzaccherati poggiati mollemente di fuori, sembrano due sentinelle poste a guardia del nostro rifugio.
Continuo a fissare ad occhi chiusi il nulla. Respiro piano, mi arriva a tratti l’odore salmastro delle alghe alternato a refoli d’aria fresca.
“Spogliati Oscar.” Un comando che mi accarezza. Acconsento. Mentre abbasso piano il capo, accenno il mio muto sì. Spalanco le palpebre finora socchiuse e ti vedo. Ci vedo. Riflessi nell’opaco del vetro di questa finestrella, specchio dei nostri desideri e delle nostre brame. Completamente nudo, un palmo appena dietro di me, mi sovrasti con la tua figura. Ti sei già offerto, così, come sei, spogliato non solo delle vesti, ma anche delle sofferenze e delle regole, catene opprimenti che non permettono di far volare l’anima.
Tolgo piano la camicia, il candido tessuto scivola dalle spalle. E ripenso a quante stelle brillanti d’amaro vidi nel tuo sguardo quella sera, mentre stavo in cima alla scalinata, bella più della mia Regina, fasciata di sete e crinoline, vestita per un altro.
Per te, e per te solo, invece, mi spoglio. Fino a spegnere quelle stelle dal tuo volto, perché l’amore più puro sconfina nel desiderio assoluto, quello che solo nei tuoi occhi divenuti brace posso leggere.
Ora sono come te. Nuda. Anche i miei occhi non hanno colore.
Per un attimo infinito ci guardiamo in quel vetro. E oltre.
Una scia decisa, ma vellutata, come un petalo cascante, mi percorre dalla nuca fino in fondo. Due dita compiono questo tragitto, una scarica febbricitante che alterna brivido e calore, sino a che le tue mani si aprono come farfalle notturne che dispiegano le loro ali, coprendo il mio ventre. Mi abbracci così, tenero e ferino al medesimo istante.
“Posso portarti dentro ai miei sogni?” Me lo chiedi cullandomi adagio, la voce sporcata di voglia.
“Anche di più.”
 
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Il bordo chiaro, appena accennato, attorno alla cornice della minuscola finestra, mi avvisa che sta albeggiando.
E’ tutto fermo, qui dentro. Tranne noi, i nostri respiri assopiti, le anime deliziosamente intrecciate nello stesso sogno.
Mi volto appena, non voglio rovinare questo momento. Intuisco ogni singolo tratto del tuo volto: l’oscurità sta barattando il tuo disegno con la lattiginosa luce normanna che sparge delicata le sue prime lacrime d’oro. Non cambierei nulla di tutto ciò. Non cambierei nemmeno postura, se solo la necessità di dar forma alla mia immaginazione, non solleticasse la mia curiosità. Sto davvero bene, la schiena addossata contro il tuo petto. Nel centro delle scapole odo l’eco vibrante di ogni singolo battito di cuore. Il tuo. Muto. Dialoga a ritmo col mio.
E quel braccio, rilassato nell’incoscienza del sonno, pesa di un peso lieve su di me. Mi tiene stretta, mi tiene al caldo, al riparo da demoni e incubi. La tua mano, dita forti e generose sul mio seno. Possesso e premura. Fierezza e amore.
Ancora caldo, un soffio leggero e denso sul mio collo, i capelli appena discosti lo permettono.
Ma non resisto alla tentazione di osservarti. Ho raccolto ogni frammento di questa notte: il sonno ci ha vinti, ma di contro ci ha permesso di tessere una ragnatela di sensazioni, da decantare, e racchiudere come tesori preziosi nello scrigno di quelli che diventeranno ricordi.
Un mugolio pigro fa da prologo al tuo risveglio. Chiudo di scatto le palpebre, fingo l’innocenza del sonno, aspetto la tua prossima mossa. Un bacio delicato tra i capelli e ti alzi piano. Passi dietro al paravento consunto, a pochi passi dal letto, e poi ti riavvicini, ti versi dell’acqua, la bevi avido. Alcune gocce ricadono vivaci sul tuo petto, mentre guardi assorto un orizzonte che ancora non c’è. Ne approfitto per girarmi di lato, indolente, e osservo. Mentre metti a fuoco il paesaggio, oppure il Destino, che ci aspetta fuori da questa tana. Ogni tuo singolo particolare mi attrae, ogni rilievo della tua figura mi parla, narra di un aneddoto che ci riguarda, racconta di pericoli, sacrifici e dolori che abbiamo sopportato per salvarci a vicenda.
Dio, se ti amo!
E mentre il tuo profilo lentamente si compone nel chiarore del mattino, avverto una strana amarezza , un acido bolo di malinconia mi sale in gola, contamina questo momento….ho capito che prima di essere noi, qualche femmina deve aver raccolto il tuo piacere frustrato in tutti questi anni di straziante attesa.
“Oscar, cosa c’è?”
Ricaccio indietro una lacrima inutile: sono io che ho ignorato le tue frasi a metà, i silenzi oltraggiosi, quelle mani forti e bellissime che parlano. Sono io che ti ho messo in mano questo secchio col quale hai tentato per anni di svuotare il mare!  Il passato non torna, è una zavorra che disturba ciò che abbiamo adesso. Non ha senso soffrire per dei fantasmi, che non hanno mai avuto un volto…
Per amore ogni uomo nasce dal grembo di una donna. E con altrettanto amore in un altro grembo ritorna. Tu hai sempre voluto me. Sono io la tua donna.
Ti sono accanto, repentina, scendo dal letto come se fosse fatto di chiodi e strattono quel groviglio di lenzuola accartocciate che si sono mischiate a noi.  Ti stringo forte le braccia, le mie dita ora nascondono i graffi di Parigi e benedicono quelli di stanotte.
“Nulla….solo….come faccio a descriverti quanto ti amo?”
Un soffio deciso sul mio capo. “L’amore non si spiega, Oscar. Si fa.”
 
                                                             …………………………………
 
Accovacciati sulle reciproche carni, poggio i palmi sulla ruvida calce. Sento le tue mani ovunque, le voglio sulla pelle, si alternano alla voracità dei tuoi baci. Il virgineo candore delle lenzuola è sconsacrato ormai da una notte sublime, che si ancòra al nuovo giorno, che ne chiama altre. Ne vuole di più.
Riguardo quel labbro spaccato e gonfio, ci appoggio lieve le dita. “Non fa male, baciami più forte.”
Aumenta l’intensità dei battiti, i gemiti si accordano nello stesso sinfonico crescendo. E la tua voce si fa nera, mentre scivola nello spasmo dell’oblio….
 
Odo ancora l’eco dei nostri sussurri peccaminosi, delle parole d’amore scritte con le labbra, le bocche che dialogano mute, fino ad osare l’estremo, sul corpo dell’altro. Sono vinta e vittoriosa.
Come faremo ora?
“Vuoi rientrare Oscar?”
“No” Ancora un po’, ancora qui. Alla villa sono abituati alle nostre assenze, è accaduto ancora. Si fidano. Non ci cercheranno.
Ci stringiamo più forte, per sapere che esistiamo. Ho voluto dirtelo qui, che ti amo, che lotterò per te, perché c’è il confine tra la Terra ed il Cielo, proprio laggiù. Ti ho sposato col più pagano dei riti, perché non m’importa se  appena una scalinata più su ci sono dei monaci che pregano ogni giorno in una piccola chiesa. Avrei potuto farlo ovunque, in questo luogo selvaggio e puro, che ci somiglia e ci accoglie.
Ma è accaduto qui, sotto l’egida di un Angelo combattente, in un’isola che a volte non c’è.
Ciò che conta sei tu, e sapere cosa siamo. Pazzi, incoscienti….e disperatamente innamorati. Ci siamo riconosciuti: due anime di cristallo che si leggono attraverso.
Siamo fatti di fiato, prima di volare via ho voluto comprare il nostro segmento di vita.
Perché non è il tempo a passare. Siamo noi.
 
 
 
 
Mi fermo per due righe doverose e molto, molto, sentite. Questa os è una scommessa e una promessa.
Ho promesso a me stessa che un giorno avrei messo nero su bianco qualcosa di piccolino. Ma soprattutto l’ho promesso a Madame Grandier, che da un bel po’ mi spingeva in questo senso. La ringrazio per aver seguito la difficoltosa gestazione di questo racconto, per aver spronato e pazientato quando il travaglio era periglioso, per esserci semplicemente stata. Sempre. Se vi ho conciliato un buon sonno, sappiate che il “merito” è anche suo….
Arrivederci.
Tamara Alessandra.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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