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Autore: Flos Ignis    24/07/2019    0 recensioni
AU storica ambientata nell'antica Grecia: Alec e Magnus, cosa cambierebbe tra loro se fossero vissuti non in un tempo di angeli e demoni, ma in uno di potenti e sconosciuti Dèi dell'Olimpo?
Dal testo:
"Le Parche, alle volte, sanno essere crudeli.
Intrecciano vite destinate a completarsi a vicenda, per poi districare la matassa e dividere le esistenze senza farle più ricongiungere.
Questo porta un dolore sottile all'anima, che emette un richiamo costante alla metà mancante di se stessi, una fame insaziabile e un muto grido che fiaccano lo spirito dei mortali.
Quelle anime sono destinate a vagare senza pace nell'Ade, alla ricerca vana ed eterna di ciò che può riempire il loro vuoto."
Terza classificata al contest "A zonzo nel tempo!" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP
Genere: Fluff, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Magnus: il Dono



Il sole riscaldava l'aria del primo mattino di una tersa giornata di primavera, quando il viaggio di un giovane uomo con un grande sogno giunse a conclusione.

Magnus Bane aveva desiderato viaggiare fin da quando aveva memoria.

Le storie degli aedi lo avevano vinto con la loro magica musicalità, facendogli sognare della lontana Persia dai sapori forti e della bella Roma dalla neonata cultura, delle esotiche piramidi egizie e della feroce Cartagine.

Ma suo padre, Asmodeus lo scultore, aveva sempre impedito al suo unico figlio di allontanarsi dalla sua officina per più del tempo necessario ad andare al mercato di Atene a comprare della frutta.

Aveva sofferto per questo suo tarpargli le ali e tutte le volte che un adolescente Magnus, con gli occhi verde-ambrati che condivideva col padre pieni di liquida furia, aveva osato alzare la voce per ribadirlo l'uomo che gli aveva dato la vita gli raccontava la storia di Icaro.

Le mie ali non sono di cera, non mi faranno cadere, sono più forte di quel che credi!

Aveva dovuto attendere di compiere diciannove anni per ricevere qualcosa di simile all'approvazione paterna per poter partire per il suo viaggio, ma le stagioni che si erano susseguite non sarebbero certo bastate senza un po' di fortuna.

Pochi mesi prima, un ricco mercante che aveva attraccato al porto era passato da loro, commissionando all'officina di Asmodeus un busto che lo rappresentasse: il suo sempre crescente successo lo stava rendendo molto potente nella sua città e tutta quella influenza lo aveva riempito di arroganza.

Magnus aveva riconosciuto subito che tipo d'uomo fosse: abiti nuovi, sorriso tronfio e pieno di ubris, la tracotanza tipicamente umana, baffi e capelli castani unti d'olio perché rimanessero arricciati con la studiata noncuranza che andava tanto di moda nelle poleis dell'entroterra grazie alle effigi di Apollo, sempre più spesso rappresentato con i ricci del colore dell'oro dolcemente smossi dal vento. Il suo stesso padre aveva restaurato alcuni vecchi rilievi dei templi di Atene per adattarli al nuovo immaginario comune di divina bellezza e perfezione.

Aveva storto il naso all'idea che avrebbe dovuto aiutare a realizzare qualcosa di celebrativo e onorevole come un busto per un misero esemplare di essere umano come quello.

Specialmente perché egli, quando aveva visto i loro occhi a mandorla e i capelli neri, tanto estranei a quelle regioni, aveva chiaramente ponderato di andarsene. Ma se erano loro i più rinomati per lavorare bronzi e marmi in tutto il territorio, un motivo c'era e il Signor Boria doveva saperlo, perché era rimasto.

Suo padre allora gli aveva proposto una sfida, forse troppo stanco di vederlo in compagnia di giovani disertori o anziani veterani che si riempivano di idromele fino a svenire, o forse semplicemente esasperato dalle continue dispute con il più giovane.

Avrebbero entrambi realizzato quanto loro richiesto e se il loro cliente avesse preferito il lavoro del figlio, questo sarebbe stato libero di usare i soldi ricevuti come compenso per visitare altri luoghi.

Magnus era stato tanto felice di quel compromesso che, per la prima volta dopo tanti anni, aveva impugnato lo scalpello e aveva lavorato con sincero entusiasmo. Non che ereditare il lavoro di suo padre non fosse nei suoi progetti, ma prima di poter davvero decidere avrebbe voluto vedere il mondo... o almeno una sua parte.

Aveva lavorato sodo giorno e notte, con la sensazione che quella era l'occasione della sua vita, che qualcosa di meraviglioso e grande lo stesse aspettando al di fuori dei confini di casa sua.

Aveva pregato con una devozione nuova per la riuscita della sua impresa: non era mai stato troppo devoto, non avrebbe neppure saputo quale dio pregare per vincere quella sfida, ma aveva infuso ogni sua energia in quei mormorii sotto le stelle, mentre usciva all'aperto per lavorare in gran segreto sul suo lavoro.

Aveva impiegato tutte le abilità innate che gli aveva trasmesso il padre, insieme alle tecniche che lo stesso Asmodeus gli aveva insegnato con tutta la sua -scarsissima- pazienza. Magnus era fermamente convinto di aver ereditato la propria, praticamente inesauribile, dalla madre che non aveva mai conosciuto essendo morta di parto.

Era stata la prima volta che l'uomo gli aveva concesso di utilizzare uno dei suoi strumenti di lavoro personali invece di quelli a disposizione di tutti i suoi collaboratori e allievi: il suo scalpello personale.

Glielo aveva dato in prestito come "prova di fiducia", qualcosa che per gli standard di suo padre equivaleva ad abbracci virili e lunghi discorsi di incoraggiamento. 

Magnus l'aveva capito, perciò per una volta nella sua giovane vita aveva evitato di usare il sarcasmo che era tratto distintivo del suo carattere e lo aveva semplicemente ringraziato, promettendogli che l'avrebbe battuto proprio con il suo scalpello, l'attrezzo a cui teneva di più. Era stato donato ad Asmodeus dal suo maestro quando aveva portato a termine il primo lavoro importante, e nonostante i molti anni di servizio faceva ancora il suo lavoro. La punta era ancora perfetta, senza un grammo di ruggine o incuria, e la selce che componeva il manico era ancora finemente intagliata, con i suoi rami d'alloro stilizzati.

Non proprio caratteristico, aveva pensato un undicenne Magnus quando aveva ottenuto il permesso di entrare nel laboratorio paterno per poter iniziare con i lavori più semplici. Gli era stato detto che il maestro di suo padre l'aveva ricevuto in dono da sua moglie, che l'aveva fatto fare appositamente come dono per l'uomo in vista del loro matrimonio: era stato il suo modo per dire che si affidava a lui e al suo lavoro di scultore, che era certa della loro vita insieme e che ne era persino orgogliosa.

Anche suo padre ne aveva fatto dono alla madre di Magnus, Madelaine, quando era rimasta incinta, ma il dolore per la sua morte era stato tale che ci erano voluti anni prima che ricominciasse a utilizzare quello specifico strumento per il suo lavoro.

Ecco perché il giovane scultore aveva creduto che dietro il gesto del padre, quel suo affidargli pur temporaneamente un oggetto di tale valore simbolico, ci fosse la sua volontà che lui facesse del suo meglio per scegliere la sua strada.

Gli stava dando la possibilità di farlo.

Dopo settimane e settimane di lavoro e perfezionamenti, era giunto il momento della consegna dei loro lavoro.

E Magnus aveva vinto, molto più di quanto in quel preciso momento potesse immaginare, ma quel che sapeva era bastato a riempirlo di gioia e soddisfazione, specialmente quando il padre, per la prima volta dopo molto tempo, gli donò un piccolo sorriso sinceramente orgoglioso.

Si sentì così forte, in quel momento, che avrebbe potuto persino scalare l'Olimpo.




Aveva aspettato solo pochi giorni prima di riscuotere il suo premio, il tempo per radunare provviste e vestiti, oltre a una discreta spada corta per difendersi lungo la strada, e salutare i pochi amici sinceri che aveva.

La sera prima della sua partenza, si accomiatò da suo padre.

-Te lo affido. Fanne buon uso, figlio mio, e quando arriverà il momento spero di cuore che saprai a chi donarlo.-

Gli era stato affidato lo scalpello di suo padre. Si era rifiutato di commuoversi, ma lo aveva sinceramente ringraziato, pur pensando in cuor suo che difficilmente avrebbe trovato qualcuno a cui poter donare un pegno di quel calibro.

Insomma, aveva già diciannove anni e non si era ancora deciso a cercare di sistemarsi, mentre molti giovani della sua età, se non erano partiti per arruolarsi, erano già sposati e alcuni avevano persino dei figli.

Discendeva da una stirpe straniera e anche se il nome dei Bane era diventato famoso come quello di pregiati scultori, non bastava a fare di loro dei partiti appetibili. Non che a sua madre fosse mai importato... ed era per quel motivo che l'aveva sposato.

Lui stesso nemmeno sapeva se la desiderava, al suo fianco per tutta la vita, una ragazza, solo per farci una famiglia... l'idea stessa di diventare un marito e un padre lo terrorizzava più dell'idea di un'invasione di Titani...

Aveva comunque accettato il dono, pensando che avrebbe potuto donarlo a tempo debito al suo miglior allievo, una volta rilevata la bottega dal padre.

L'aveva riposto con cura nella sua sacca, chiudendola con un nodo ben stretto, sentendosi finalmente pronto a esplorare il mondo.




Aveva iniziato con qualcosa di più semplice del mondo, come andare a guardare ogni singolo agglomerato urbano, di qualunque dimensione fosse, con destinazione il mar Egeo. Aveva deciso che, una volta giunto alla famigerata Efeso, avrebbe comprato un passaggio su una nave mercantile per viaggiare sull'acqua salata e affidarsi al caso per la sua successiva destinazione. Non era poi così importante per lui la meta, quanto il viaggio compiuto per arrivarci.

Fu con questa convinzione e i ricordi della sua vittoria con il padre che era giunto all'ultima tappa conosciuta del suo viaggio. Prima di entrare e andare a visitare il tempio di Artemide però, cosa che aveva sempre voluto fare da quando il padre gli aveva raccontato delle meravigliose sculture che lo adornavano, decise di farsi un bagno nel bosco che costeggiava la città verso nord, mentre a sud era baciata dal mare. 

Era meravigliosa, nulla da dire sul panorama.

Fu fortunato a trovare un fiume di acqua limpida non troppo distante in cui dissetarsi e, dopo essersi accertato di essere solo, si era spogliato della sua tunica color sabbia e dei sandali di cuoio e si era immerso con un gemito di piacere nell'acqua non troppo alta, per poi immergersi completamente. La corrente non era forte e rialzandosi il livello non gli superava di molto la vita, non avrebbe corso alcun rischio a stare accucciato nel letto del fiume per qualche secondo, godendosi la sensazione di farsi lavare via sudore, lerciume e stanchezza di dosso.

Riemerse, tirando un profondo respiro che sapeva immensamente di libertà nella pace di quel luogo quasi fuori dal mondo, tanto tranquillo e dalla magica atmosfera da avere l'impressione che da un momento all'altro sarebbe apparsa una ninfa dei boschi, magari inseguita dall'intrepido Apollo che ne voleva fare la sua amante.

Si lasciò scivolare via l'acqua fresca dalla pelle ambrata, godendosi i tiepidi raggi del sole, quando udì un rumore che lo mise in allarme. Fino a quel momento non aveva subito aggressioni, ma era abbastanza sveglio da sapere che poteva accadere da un momento all'altro.

Raccolse la spada che aveva posato vicino alla riva, poi uscì per avere più libertà di movimento, voltandosi velocemente verso la fonte di quel rumore - un semplice ramo spezzato, realizzò - dimenticandosi oltretutto di non avere nulla addosso se non la propria pelle, resa luminosa dall'acqua e dal sole.

Si volse e, proprio davanti a lui, a pochi metri di distanza e con un arco teso e pronto a scoccare una freccia da un momento all'altro, c'era la prova vivente dell'esistenza delle divinità nel loro mondo.

Non fu un pensiero razionale, ma Magnus non riusciva più a ragionare da quando le sue iridi si erano incatenate a quelle del giovane che puntava una freccia dritta verso il suo cuore.

Non ne hai bisogno, avrebbe voluto dirgli.

Cupido lo aveva già colpito con la sua, di freccia, e per lui non c'era più alcun modo di tornare indietro a prima che il suo cuore si riempisse di meraviglia per tutta quella bellezza. 

Egli era Apollo, con il suo arco teso e i ricci che gli circondavano il volto tanto perfetto da far male agli occhi, e al tempo stesso la sua gemella Artemide, con i suoi capelli neri come la notte e la pelle bianca come la luna che era suo simbolo e con un cervo a poca distanza che li osservava curioso, insieme a molti altri animali selvatici tutto intorno a loro.

Era Afrodite, con la sua bellezza devastante, tale da portare gli uomini e le donne alla follia pur di averlo, dotato di una sensualità impareggiabile e inconsapevole.

Aveva Poseidone nello sguardo blu come il mare, pieno delle tempeste, delle correnti e della vita stessa che animavano il mare.

E aveva qualcosa dello stesso Zeus, il padre degli dei, anche se Magnus non riuscì subito a capirne il motivo... finché non fece caso al suo fisico muscoloso, quello di un soldato, ma sistemato in una postura fiera ed elegante, come quella dei grandi condottieri e dei sovrani.

Poi il giovane Adone abbassò la sua arma, guardandolo ora con un leggero imbarazzo, tanto più evidente se si guardavano le sue gote incredibilmente arrossate sulla pelle pallida.

-Mi dispiace di averti spaventato, di solito qui non viene mai nessuno e temevo di trovare degli orsi, o dei furfanti. Tutto bene?-

La sua voce era come una musica eterea e Magnus, incantato da quel suono, si era scordato di abbassare la spada e di chiudere la bocca, che gli si era spontaneamente spalancata a quella visione.

Il ragazzo aggrottò la fronte, confuso per il suo silenzio, e senza più badare troppo alla sua nudità gli si avvicinò.

-Mi chiamo Alexander, ma preferisco Alec. Vivo al tempio qui a Efeso, mi stanno addestrando per essere un sacerdote di Artemide. Se ti serve aiuto, puoi rivolgerti a me senza timori.-

Per sottolineare quelle parole, appoggiò a terra il suo arco lentamente, per poi avanzare di un passo verso di lui.

Alexander...

Qualcosa in quel nome funse da richiamo per lui, sentì uno strappo feroce dentro di sé, come se metà della sua anima, prima interamente dentro di lui, si fosse improvvisamente fiondata da qualche altra parte. Fu doloroso e inspiegabile, ma per qualche motivo non si era mai sentito meglio.

Riprese finalmente possesso del suo corpo, lasciò cadere la lama e si lasciò andare al sorriso più smagliante di cui fosse capace. Non che gli risultasse poi difficile, si sentiva euforico e sorridere era naturale come respirare in presenza di quel bel moretto.

-Io mi chiamo Magnus Bane, faccio lo scultore e sono in viaggio... cercavo proprio il tempio di Efeso, vorrei visitarlo, mio padre ha elogiato a lungo le opere d'arte che contiene. Se tu potessi mostrarmelo te ne sarei molto grato.-

-Non c'é problema, ti posso portare direttamente lì se lo desideri, per oggi ho finito con i miei compiti qui. Prima però...-

Arrossì in un modo che Magnus riuscì a definire solo tenero, ma non capiva perché all'improvviso fosse tanto agitato dalla sua presenza.

-...potresti rivestirti?-

Magnus rise, forte e di gusto, ma si disse di non fare troppo lo sfacciato e si rimise tunica e sandali, prima di seguire l'adone moro che aveva incontrato.





Note:
Sì, lo so, dovrei continuare l'altra long che ho in corso su di loro....
Fidatevi, ho tutte le intenzioni di riprenderla presto in mano e di finirla, ma siccome questa storia è una mini-long di appena tre capitoli ho deciso di darle priorità in modo da completarla presto.
Abbiate fede e, se fin'ora la storia vi è piaciuta o avete commenti da fare sapete di essere i benvenuti!
(per chi volessa fangirlare un po' su questa coppia invece passi pure anche alle tre del mattino, per i cuoricini volanti e occhi teneri e commenti fluffosi ho sempre tempo!)
Ci vediamo presto all'ultimo capitolo, spero che fin'ora questo primo esperimento di AU storica stia almeno un po' interessandovi!
Flos Ignis

  
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