Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Minga Donquixote    25/07/2019    2 recensioni
«Sei incredibile!» Si lamentò lei, tornando a sedersi sul pavimento e afferrandogli una mano. «Vuoi pure che ti racconti una fiaba per bambini?»
Cutler la guardò minaccioso e strinse forte la mano, facendola gemere di dolore. «Sei insopportabile.» le sibilò.
«Faccio del mio meglio.» ribattè lei, testarda.
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Era sicuramente un incubo il posto in cui era capitata la giovane Eris Gallese. Parrucche incipriate, lotte di pirati, dannati corsetti e no docce saponate.
Quando non si studia la storia, ci si trova impreparati.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Norrington, Lord Cutler Beckett, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16. Di nuovo a Port Royal

Il resto del viaggio Eris lo passò all’interno della sua cabina. Con altri due giorni di navigazione avevano nuovamente raggiunto Port Royal grazie all’aiuto dell’Olandese che li aveva scortati con la capacità di navigare in assenza o contro vento, o almeno così le aveva spiegato Cutler.
L’uomo sembrava essere tornato distratto e concentrato sul suo scopo per darle un minimo di attenzione e aveva iniziata a visitarla sempre meno in quei due giorni.
Il quinto giorno, due giorni dopo aver approdato in Giamaica, Eris si sentì in grado si alzarsi dal letto, accompagnata dalla spalla costantemente fasciata.
Il dottor Rosslet l’aveva assistita fino al giorno prima, cambiandole un’ultima volta le bende. Non aveva avuto problemi a farsi toccare e guardare da lui per la cura della spalla…dopotutto aveva un ginecologo maschio, di cosa si sarebbe dovuta imbarazzare?
Nel periodo che aveva passato da sola si era persino occupata di sistemarsi i capelli che ora le arrivavano poco sopra le spalle, anche se con qualche difficoltà, certa che il dolore al braccio non le avrebbe permesso di migliorare il taglio.
La ferita era orribile da guardare. Era stata chiaramente cicatrizzata con un ferro rovente che le aveva lasciato la carne rossa,anche se  sembrava stesse guarendo piuttosto velocemente.
Quindi, nonostante la fasciatura non le servisse più e nonostante il medico le avesse suggerito di tenerla all’aria aperta e pulirla, la ragazza aveva deciso di coprirla perennemente con delle pezze bianche che lavava ogni giorno.
Le avevano detto che un miracolo l’aveva salvata dall’amputare il braccio ma il muscolo era comunque stato danneggiato, impedendole di alzare e stirare la spalla più di un determinato livello.
Jack Sparrow saltava di albero maestro in albero maestro e lei si era quasi fatta staccare un braccio in un solo e singolo combattimento.
Con la casacca bianca e leggera che mostrava parte della fasciatura uscì all’aria aperta, seguita dal fedele cagnolino di neve. Prese a correre nella direzione degli ufficiali che si stavano, come sempre, occupando degli affari sulla nave e abbagliando con insistenza, chiedendo attenzioni.
Qualche soldato si era piegato a salutarlo e carezzargli la testolina, altri lo avevano ignorato.
Eris percorse la rampa verso il basso, mettendo i piedi sul molo con un grosso gemito di liberazione. Quelle giornate dentro quella cabina sembravano non passare mai, nonostante Mercer le avesse dato dei libri per conto di Beckett (che aveva spacciato per intrattenimento, ma che parlavano esclusivamente di galateo).
Proprio mentre superava il molo, una fila interminabile di uomini e donne con stracci e vestiti sporchi incatenati tra loro le passò davanti.
La giovane capì che Cutler aveva dato inizio allo sterminio dei pirati. Il porto era colmo di navi della Royal Navy e della Compagnia delle Indie e con molta probabilità, erano proprio loro a garantire quel via vai di pirati imprigionati.
Passò per la strada principale in silenzio e, vestita com’era e coi quel taglio di capelli, nessuno si girò a guardarla. Durante il tragitto dovette fermarsi qualche volta per aspettare che il cagnolino potesse raggiungerla, troppo curioso a girarsi intorno per annusare e saggiare ciò che trovava.
Proprio mentre fu costretta all’ennesima pausa, osservò l’isteria di una donna in catene che faceva parte di una fila diversa da quella che aveva adocchiato sul molo.
L’anziana si agitava, piangeva, faceva schioccare le sue catene e quelle degli altri e urlava. Un urlo straziante che bloccò il respiro della ragazza.
Una guardia, irritata, le tirò un forte rovescio con il calcio del fucile, facendola rovinare a terra con le ginocchia.
Impietosita, Eris corse verso di loro e poggiò la mano destra sul braccio del soldato. «Deve già affrontare l’impiccagione, vuoi pure pestarla?»
Il soldato la guardò con cipiglio disturbato e fece per tirare anche a lei un colpo quando la voce di Gillette sovrastò il pianto della donna a terra.
«Non lo farei se fossi in te, soldato.»
Il Tenente si accostò alla mora e si chinò appena. «Non è il posto per una lady questo, mia signora.»
Eris guardò prima lui e poi tornò con gli occhi sulla prigioniera, che aveva cominciato a tremare. «Acqua…sete…»
La Gallese si girò verso il soldato che l’aveva minacciata e stracco brutalmente la sacca di acqua dalla sua cintura, aprendola e chinandosi vicino all’anziana.
«Ecco» la avvertì, avvicinando il boccale alle sue labbra chiazzate di sangue rappreso e di chissà cos’altro.
La signora, la prese avidamente senza una sola parola finché non ne vuotò il contenuto. Tornata a stabilizzarsi, un altro marine la tirò in piedi di forza davanti ad Eris ancora piegata in ginocchio e proseguirono la loro strada.
Prese la fiaschetta vuota e la riconsegnò al proprietario, che storse la bocca disgustato.
«Non serve impietosirsi verso saccheggiatori e stupratori, mia signora.» la rimproverò Gillette, guardandola spazzolarsi i vestiti che si erano macchiati di terra bagnata.
«Non sono tutti pirati.»
«Ma assistono sempre la loro causa.» la rimbeccò come si fa con i bambini che non capiscono.
La Gallese ridusse i suoi occhi a due fessure, come tentando di intimare il tenente di non azzardare un’altra parola, ma quello la ignorò bellamente.
«Tornate alla nave.» le ordinò.
Quando la lunga fila di prigionieri terminò la sua corsa accanto a loro, Gillette concluse scortandoli e controllandoli dal retro e avanzò, lasciando indietro la mora.
Eris, rimasta sola in mezzo alla strada. Le case che le facevano da sentiero erano chiuse e le finestre sbarrate, come se temessero un’effrazione da un momento o l’altro. La via era deserta fatta eccezione di marinai e soldati della compagnia che trasportavano carri e cannoni a gran velocità.
L’aria dei caraibi era afosa e la soffocava in confronto a quella fredda e letale di Londra. Non aveva mai amato il caldo, dopotutto.
Quando azzardò un passo per tornare indietro alla nave, il cane le abbaiò e corse via verso la fine della strada.
Scossa, non riuscì a far altro che seguirlo ma ben presto lo perse. Si girò a destra e sinistra finché non osservò una giubba rossa svanire dietro un vicolo.
Prima che potesse perdere anche le tracce di quello, lo affiancò velocemente, il respiro ormai affannoso e la gola secca.
Davanti a lei, su una piccola altura, il vento muoveva sei corde da cappio.
«Miss Eris, che ci fate qui?»
Con la coda dell’occhio vide Groves avvicinarsi a lei, un elenco stretto tra le mani ma non riuscì a distogliere lo sguardo dagli uomini che stavano per essere giustiziati su quel patibolo orrendo.
«Non guardate.»
La fece girare verso di se con forza e la costrinse a guardare soltanto lui proprio mentre il boia abbassava la leva.
Non serviva guardare per sapere cosa stava succedendo a quei poveri uomini e donne. Come poteva l’assistenza ad un pirata essere condannata con la morte?
«Cutler…dov’è?»
«Lord Beckett?» il tenente mosse la testa verso sinistra, trattenendo ancora la giovane verso di lui. «Vi accompagno.»
Le posò una mano sulla spalla non ferita e la condusse verso un piccolo tunnel in pietra, continuando a dare le spalle al patibolo.
Salirono le scale e, seduto ad un tavolo, penna d’oca in mano c’era Beckett. Ai suoi piedi il cane bianco si era accucciato silenziosamente.
L’uomo alzò gli occhi grigi sulla mora appena arrivata e sbuffò. «Il cane mi aveva già avvertito della vostra presenza» fece un cenno di ritirata a Theodore che si inchinò appena e tornò al proprio lavoro.
«Siete venuta a privare qualche pirata della giustizia del Re?»
I pirati erano una razza non destinata a perdurare a causa delle loro moralità corrotte ma perché la parola giustizia sembrava così sbagliata in quel frangente?
«La tua giustizia, ma no.» roteò gli occhi, piegandosi per riacciuffare il cagnolino. Mentre si piegava riuscì a distinguere una moneta chiusa nella mano del Lord che, a quella attenzione, aprì del tutto.
Il pezzo da otto brillava di sporco, ma brillava come nessuna altra moneta aveva mai fatto e sembrava quasi vibrare sul suo palmo.
«E’ stata cantata la canzone?» chiese lei, tornando dritta.
«A quanto pare.» confermò Cutler, portando a livello del viso la moneta. «Vige una leggenda su questi pezzi da otto, ne eravate al corrente?»
«Non proprio…» sussurrò, distogliendo lo sguardo.
«La vostre bugie sono trasparenti quanto i fantasmi» se la rise lui, un sorrisetto sarcastico dipinto sulle labbra. «Sembra che anche i pirati abbiano una gerarchia tra le loro fila, con la canzone saranno costretti a farsi avanti. Mi sono già assicurato che questo accada.»
Eris annuì. «Dov’è Mercer?»
Il Lord la trapassò con i due occhi indagatori, facendola rabbrividire. «Non vi sfugge niente, mia signora»
Eris inspirò forte sotto quello sguardo mentre impallidiva piano piano.
Era chiaro che l’uomo ormai sospettasse che lei sapesse più di quanto aveva detto e dato a vedere. Ed era chiaro che al minimo cenno di cedimento e disattenzione, il Lord avrebbe fatto di tutto per accaparrarsi le informazioni.
«B-Beh, è la tua ombra. L’assenza è ovvia.» ribatté lei, cercando di apparire padrona di se stessa.
Lui le sorrise di nuovo, come aspettandosi una risposta evasiva e si issò in piedi, avvicinandosi al suo corpo irrigidito.
«Forse è meglio se vi ritiriate a bordo dell’Endeavour. Non vogliamo rischiare che possiate farvi ancora del male.» la mano che le bloccò il viso non aveva nulla di delicato o gentile, era fredda, dominante e minacciosa.
«Ci sono soldati ovunque» provò lei, la coda tra le gambe.
«Le sviste succedono.»
I suoi occhi di ghiaccio brillavano alla luce che riusciva a sfuggire alle nuvole ed erano spietati come non lo erano mai stati. Era cambiato nel giro di poche ore.
Eris non dubitava che fosse un po’ lunatico, ma aveva il potere su tutto il mare, non voleva sfidare la sorte in una sua giornata no.
Per qualche istante, la giovane non riuscì a muoversi, imprigionata dalla morsa ma si riscosse subito, scostandolo brutalmente.
«BENE!»

Cutler la guardò girare i tacchi, o meglio quelle sue scarpe chiare, e sparire dalla piazza centrale.
Le giornate che aveva passato per affrontare quella vicenda erano state molto pesanti. Aveva dovuto pensare a come posare le sue mosse e aspettare che quella dannata canzone venisse cantata.
Quella ragazza, inoltre, gli si era presentata nel bel mezzo di un delicato programma mentre leggeva gli aggiornamenti di Mercer. Lo aveva mandato già da un paio di giorni a Singapore, dove la fama di uno dei pirati lo precedeva.
Tuttavia, lei sembrava conoscere alcuni dettagli di quello scontro ma continuava a fare di tutto per nascondere le apparenze.
Lo infastidiva oltre ogni misura.
Quando l’ennesima giornata di esecuzioni terminò, Cutler lasciò ordinato ad un tenente di occuparsi per parte della mattinata del giorno successivo, consegnandogli i documenti che aveva personalmente firmato e siglato con la ceralacca.
Il ritorno al porto non fu lungo, accompagnato all’interno della carrozza e da due soldati della Compagnia delle Indie. Gli ultimi giorni non era affatto tornato alla sua nave a causa delle ore tarde ed aveva pernottato nella magione del Governatore Swann.
Pensò a quando la ragazza lo aveva guardato con occhi spiritati e timorosi ma successivamente travolti da un senso di tenacia che non le apparteneva.
Lo avrebbe sempre combattuto poiché le loro idee cozzavano fin troppo, ma questo non assopiva l’interesse di studiarla, se mai lo stimolava.
Beckett non aveva deciso di evitarla perché aveva paura di sfidarla ma a causa dell’arrendevolezza che dimostrava nei suoi confronti. Lo destabilizzava e confondeva. Era una parte di lui che aveva ucciso anni addietro e vederla riemergere non lo rendeva fiducioso e stabile come aveva imparato ad essere.
Salì sul ponte, ricevendo i saluti dei tenenti e delle guardie e si ritirò sotto coperta, avanzando velocemente verso la sua camera. Ma prima che potesse proseguire, si bloccò davanti alla camera della giovane. Il legno era stato riparato da tempo dopo che ebbe rotto la chiusura.
Scosse il capo e proseguì, togliendosi il cappello prima di prendere la chiave e infilarla nella toppa. Quella però non scattò come per togliere il blocco e si accigliò. La porta era già stata aperta.
Entrò silenziosamente e quasi si stupì di trovare la Gallese stesa sul suo letto.
«Dovrò capire come riuscite a entrare nelle mie stanze.»
Avvicinandosi però constatò che la donna era completamente addormentata.
La lampada accanto al letto illuminava il suo corpo coperto solo dalla veste da notte, un braccio che sorreggeva il capo e i suoi piedi adagiati sul suo cuscino. Ovviamente doveva essere strana anche mentre dormiva, altrimenti avrebbe potuto confonderla con qualcun altro.
Poggiò il giaccone su una sedia lì vicino e si disfece il fazzoletto dal collo, rimanendo in casacca, poi si avvicinò nuovamente al letto e si sedette.
Mentre la osservava dormire la parte ragionevole di lui gli urlava di fare un passo indietro. Lo informava che il suo destino non poteva certo essere ostacolato da una ragazzina che veniva dal futuro, per quanto invadente fosse ormai diventata all’interno della sua vita.
Le scostò i capelli che le avevano invaso il viso e alcuni li trovò incastrati tra le labbra. Proprio mentre l’aiutava a districarsi, gli occhi marroni di lei si aprirono sonnolenti e spaventata dalla vicinanza di qualcuno che non distingueva gli tirò un pugno con tutta la forza che aveva.
Il Lord, colto di sorpresa, non anticipò il movimento e il colpo gli arrivò dritto sul naso. Fortunatamente, il fatto che fosse a debita distanza lo graziò con un pugno debole.
Si allontanò dalla belva ringhiante sul letto e si strinse forte le mani al naso.
«Ma che vi prende, donna?!» le urlò, tirando su la testa e alzando una mano davanti agli occhi per controllare che non sanguinasse.
Si girò verso di lei e la trovò a sfregarsi le palpebre, stanca.
«Beckett?» chiese una volta che si fu abituata alla luce della stanza.
«Chi vi aspettavate, sono le mie stanze!» si lamentò lui, allontanando finalmente le mani dal viso.
«Ah già, ti aspettavo per gli scacchi…» parve rimembrare lei, alzandosi dal letto. Si avvicinò a Cutler e gli prese il viso tra le mani, girandoselo in modo fin troppo rude. «Non ti ho rotto niente, per fortuna.» ghignò. «Sarebbe un peccato per questo bel faccino.»
Il Lord le scostò le mani, stizzito e stanco della giornata e la guardò male.
«Tornate nelle vostre stanze, Eris. Non ho pazienza questa sera.»
Ma invece di fare come le era stato ordinato, la ragazza tornò a stendersi sul suo letto e aprì quello che sembrava un libro della sua collezione privata.
Beckett aprì la bocca un paio di volte e quando fu certo che quella non aveva la minima intenzione di uscire, decise che avrebbe perso la sua solita compostezza.
«Perché dovete essere così cocciuta?!»
Prima che lei potesse sgusciare via dalla sua figura minacciosa, riuscì ad agguantarla per il braccio ferito e la tirò su di peso.
La presa sul suo avambraccio fu così violenta che quasi lo sentì staccarsi. Urlò di dolore e Beckett, scottato, la mollò di colpo lasciandola cadere a terra, mentre si stringeva forte il braccio ferito con la mano sana.
Cutler la guardò trattenere le lacrime mentre si alzava di nuovo in piedi da sola e fissò con sgomento la garza, per paura che si bagnasse di sangue.
Sollevò una mano per controllare che non avesse fatto più danni del previsto ma lei, con uno sguardo carico di paura, la colpì via con talmente tanta foga da quasi fargliela bruciare di dolore.
Rimasero a fissarsi a lungo ma Beckett era tremendamente in conflitto con sé per essersi permesso di perdere le staffe in modo così bruto.
«Le mie scuse, non intendevo-»
Ma lo sguardo di astio nei suoi occhi lo sfidarono a completare la frase.
«Sedetevi, controllerò la ferita.»
«Non ce n’è alcun bisogno-»
«Era un ordine, il mio.»
«E ho mai seguito un tuo ordine?»
Ovviamente doveva sempre avere lei l’ultima parola. Le fece un cenno con la mano verso il letto ma lei non obiettò ancora.
Tornò a sedersi e mosse il viso lontano dalla figura di Beckett che si avvicinava e chinava sulla bendatura.
Cercò di ignorare il resto e focalizzarsi soltanto sulla benda che stava disfacendo e si sentì in collera con se stesso. Nessun gentiluomo avrebbe alzato il dito su una donna nemmeno in casi estremi.
Sospirò di sollievo mentre guardava la cicatrice rossa «Non ci sono danni»
La ragazza sbuffò divertita ma continuò a tenere gli occhi e l’attenzione distanti da lui, un broncio carino sulle labbra rosee.
«Vi ho già detto che mi dispiace, che altro devo fare? Vi ricordo che pochi minuti fa voi mi avete tirato un pugno.»
Finalmente lo guardò negli occhi ma ciò che vide non gli piacque affatto.
«Buttati giù dalla nave e siamo pari.»
Cutler ridacchiò, tornando a stringerle la fasciatura, ma quando tornò con gli occhi nei suoi notò una determinazione palese. Non stava scherzando.
«Non sarete seria, spero.»
La Gallese fece spallucce ma sorrise alla sua espressione timorosa.
«Oggi mi sento caritatevole…» beffeggiò, con aria pomposa. «Sei risparmiato.»
Cutler non riuscì ad impedire che un sorriso divertito gli illuminasse il viso e si posò una mano sul cuore, fingendo sincera commozione.
«Vi ringrazio per la vostra clemenza» sarcastico si scostò dalla ragazza.
Eris lo guardò attentamente. «Nemmeno una settimana fa eri diverso, cosa è cambiato?»
Beckett si accigliò. «Non è cambiato nulla.»
«Non sei più venuto a trovarmi e ora mi minacci apertamente di morte.» disse, dispiaciuta.
L’uomo distolse lo sguardo e lo posò su qualche piccolo ornamento sulla sua mensola, poco distante.
«Impegni più importanti mi hanno trattenuto, pensavo foste al corrente di ciò che sto portando avanti. Inoltre, perché questo improvviso interesse sulle minacce? Non vi hanno mai sfiorata prima.» rivelò severo.
Arrossì improvvisamente. Effettivamente non si era mai offesa quando Beckett ci aveva scherzato su come a cercare di intimorirla.
«Si, hai ragione…»
Cutler parve rifletterci su. «State cercando di dire che vi sono mancato, milady?»
Eris lo folgorò con gli occhi scuri e li strinse in modo minaccioso. «Non crogiolarti.»
«Non sia mai, Eris.»
Maledetto sarcasmo.
«Mi stai facendo davvero desiderare di buttarti giù dalla nave.»



Angolo d'Autrice
Salve, ragazzi.
Che dire, mi sono lanciata nel fantastico mondo del C1 in Inglese e mi toglie ossigeno e tranquillità (come se non bastasse l'università).
C'ho pure un gatto che mi impedisce la stesura dei capitoli perchè attirato dalla benedetta tastiera del mio computer ma vabbè, tralasciamo queste piccolezze.
Questo capitolo, o meglio, questi capitoli sono un po' corti causa poco spazio di trama lasciato dal produttore di Pirati dei Caraibi 3 ma cerco sempre di fare del mio meglio anche con i dettagli (che non sono solita approfondire per svogliatezza, perdonatemi).
Spero che vi piaccia anche questo capitolo e che mi accompagnerete passo passo nel completarlo.
A presto.
  
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