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Autore: Duncneyforever    27/07/2019    0 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Di tutte le parole che mi sono state rivolte, una in particolare mi colpisce più delle altre: " Untermensch ", " subumana ".

Rüdiger non mi aveva mai chiamata in questo modo e, sebbene sia una persona oltremodo altezzosa, in nessuna occasione aveva osato equipararmi alle genti verso cui prova odio, ma un odio dettato dalla sua ideologia, che non ha nulla di personale. 

Mi è bastato voltargli le spalle, dopo esser stata brutalizzata dalla sua violenza, per cancellare in lui ogni affetto, ogni piccola gioia che gli avevo procurato. 

La piccola italiana, la " sua " piccola italiana rompipalle, ridotta ad una schiava, una schiava ancora libera, che suscita alterezza nella mente perversa dei futuri aguzzini. 

Nei suoi occhi lo scherno, il disgusto, ottenebrato da un desiderio puramente fisico. 

- Come ben sai, domani si terrà una serata in onore di Peter, il fratello che non ho mai avuto. Una macchia insozza il suo nome ed è mio compito liberarlo da questo disonore: alla festa sarà presente suo zio, Ernst Hoffmann, capitano nel campo di Chełmno; ovviamente sarà accompagnato dalla sua compagna, una donnetta sprovveduta, rinomatamente fedele al marito. Corre voce che costui abbia sottratto denaro e gioielli destinati alla Reichsbank, ma non vi sono prove, per cui non è imputabile. Non perde mai di vista la mogliettina, forse per paura che possa rivelare a qualcuno i suoi sporchi segretucci. Dicono molte cose sul capitano, ad esempio, che abbia un debole per le ragazzine... - Dall'alto si piega verso di me, scostandomi dal busto i lunghi capelli ancora umidicci, avvolti in morbidi ricciolini, come la scomposta criniera di un leone. Avverto freddo, ma non mi rivolto in sotto, sapendo che gli sarei risultata solo più vulnerabile. - Tu distrarrai quell'uomo, mentre io mi occuperò di Frau Hoffmann. In un modo o nell'altro, la indurrò a confessare ma, fino ad allora, lo dovrai tenere lontano. Lo porterai nella stanza di sopra, quella con il baldacchino intagliato e la finestra affacciata sul roseto e lo intratterrai, non importa come... Del resto, ti basterà fargli il lavaggio del cervello, come hai fatto con Von Hebel, no? - Resto a guardarlo, in silenzio, con un'aria sconcertata e gli occhi già gonfi. Richiudo le gambe prima che ci si possa insinuare, facendo un cenno di dissenso. 

In cuor mio so di non poter rifiutare. I suoi occhi mi informano che qualcuno morirà, se oserò disobbedirgli. Quel " qualcuno " è sicuramente una persona che mi è vicina; un conoscente... Un amico. 

- Tu vuoi che io vada a letto con quell'uomo? - Biascico, sconfitta, sapendo di non potermi appellare ad una virtù che non possiede. 

- Stellina... Riconoscerai che sarebbe uno spreco terribile! - Si siede per terra, aggraziato e, come un bambino, incrocia le gambe, studiandomi da vicino. Mi guarda con un'espressione spensierata, una piega felice sulle labbra e la testa reclinata lievemente d'un lato, compiaciuto del suo potere. - Solitamente non impazzisco per le vergini, ma tu, che ti ostini a preservarti per un uomo degno, devi essere mia. - 

- Perché non lo fai ora? Cosa aspetti? - Schneider la interpreta come una domanda retorica: nella mia mente si sovrappone a lui l'immagine di una iena; la risata che riecheggia nella Savana nel periodo degli amori, denti aguzzi, il muso sporco di sangue. 

Il sorriso si dissolve non appena chiedo del suo passato, della storia dietro alle cicatrici. Egli sfodera una smorfia infantile, annoiata, come se avessi rovinato un momento di festa. Dura poco, troppo poco, poiché si rianima subito, mordendosi il labbro. 

- Cerchi una giustificazione a tutto questo, Italienerin? Ma certo! Come può un essere umano, senza aver prima vissuto l'inferno sulla propria pelle, ridursi ad uccidere, in un boato di urla di giubilo, i suoi stessi fratelli? Ebbene... Non mi ha spinto nessuno a diventare ciò che sono. Io, di mia propria volontà, decisi di non voler più essere umano, di privarmi di quel moralismo che mi asserviva ignobilmente a quelli che, nella loro inferiorità, avrebbero dovuto strisciare ai miei piedi. Me le sono procurate io le cicatrici: ogni volta che mostravo debolezza o compassione, mi punivo. I primi tempi, chiesi a mio padre di farlo al posto mio. Era orgoglioso dell'uomo che sarei diventato; non si oppose mai. Gli raccontavo di quali ignominie avessi fatto o pensato durante la giornata e lui, di rimando, mi colpiva, con la cinghia, perché imparassi a non provare tutte quelle emozioni che mi avrebbero impedito di raggiungere il Parnaso, la perfezione. - Si sbottona la camicia, facendomi intravedere alcuni segni sbiaditi. - Che ti prende? Non ti interessano più, adesso? - 

Alcune lacrime stantie scivolano lateralmente, incollandosi al cuoio capelluto. 

No... Non può essere vero. 

Ogni volta lui si rattristava, ma non perché qualcuno avesse infierito su di lui in passato, bensì al ricordo di ciò che era stato, un ragazzino probabilmente buono e dolce, come lo aveva descritto Reiner. 

Si è trattato di un suicidio assistito, il suo primo omicidio. 

Scoprire che alla fonte della sua pazzia non ci sia nulla, mi lascia addosso un senso di paura e di amarezza, come se in tutto questo tempo avessi cercato la cura per una malattia immaginaria. 

- Tua madre lo sa? Sa quello che ti sei fatto? - Vorrebbe reagire, ma dopo aver colto una falla nel sistema, sono riuscita a zittirlo. Resta seduto, sempre a gambe incrociate, immobile. Continua a guardarmi, schiacciandosi in avanti, una contrazione quasi violenta, una reazione furiosa del corpo, che esprime tutta la sua indignazione nei confronti di una provocazione imperdonabile. Si afferra l'interno coscia con uno scatto insicuro, tirando la stoffa con poca forza. Io non posso alzarmi per il dolore, tuttavia, il modo in cui ha risposto all'istigazione mi avrebbe comunque paralizzata. È come trovarsi di fronte ad un uomo posseduto, che si agita in modo scostante senza apparente motivo. Ha il viso nascosto, la testa china, i muscoli contratti contro la stoffa della divisa. 

Nel vederlo, mi sale il terrore di venire strangolata. Striscio all'indietro, agitando le braccia come se nuotassi. 

Lui si rialza di scatto, ordinandomi di provare il vestito che aveva riposto sul letto, in una scatola bianca. I suoi occhi sono rossi, difficile dire se a causa della rabbia o del dolore. 

Mi guarda strisciare malamente fino all'inferriata, dove mi aggrappo, tentando di salire sul materasso. 

- Non ci riesco. - Balbetto, franando sul pavimento. 

- Però la forza di correre dai tuoi dannati giudei ce l'hai avuta... - Si decide ad intervenire, prendendomi da sotto le braccia e gettandomi su, facendomi ruzzolare fino alla testata del letto. Mordo l'interno del labbro per sopportare il dolore, aprendolo in due lembi sottili. - L'angelo di Birkenau, signore e signori. Cos'hai di divino? Sei mortale, proprio come loro. - 

- Come te. - Aggiungo, inviperita. Scoperchio la confezione ed estraggo il capo, imballato con cura al suo interno. 

Sono inorridita. 

Se il primo si poteva considerare osé in modo innocente, questo sembra uscito dalla cassettiera in cui ripongo l'intimo: oltre ad essere oscenamente corto, è anche attillato e sul davanti ha una scollatura a V profondissima, che mi arriva fin quasi all'ombelico. 

Prima di riuscire a fermarne la fuoriuscita, inizio a piangere lacrime di vergogna al solo pensiero di doverlo indossare davanti a tutte quelle persone, specialmente davanti a quell'uomo, con cui dovrò trascorrere un momento in " intimità ". 

- Non lo metto. - Asserisco, lanciandoglielo addosso. 

- Sei proprio un animale; lo sai quanto l'ho pagato?! - È un abito in raso nero, di certo della migliore qualità, ma non lo metterei neanche se fosse ornato di cherubini. 

Reiner non lo permetterà mai. 

- Di sicuro hai sprecato dei soldi. Ti facevo più di classe, comunque. Non è che per caso lo hai pescato in quel bordello berlinese... Com'è che si chiama? - 

- Provalo. - Mi ignora completamente, replicando con tono seccato. - Non lo ripeterò una terza volta. - 

Per evitare di spazientirlo, lo infilo da sotto, rischiando di strapparlo. 

- Lo devi togliere quello. - Una volta tirate su le spalline lo accontento, gettandogli contro anche il reggiseno, come avevo fatto con il vestito. Questo lo prende al volo, stringendolo nel pugno. 

- Beh?! - Domando, al limite della sopportazione, rassettando le pieghette. 

- Sono certo che non mi deluderai. Sicuramente non deluderai neppure il capitano. - 

- Le braghe le posso tenere? - Sbotto, chinandomi in avanti, trovando conferma delle mie paure: se e quando mi piegherò, il minimo movimento farà fuoriuscire tutto. 

- Per il momento. - Si avvicina, tempestivo e, prima che possa allontanarmi troppo, mi cattura per la schiena, facendomi sbilanciare. 

Metto le mani avanti per non sbattere la faccia contro il ferro battuto, ritrovandomi contro il sul viso, travolto da una risata di scherno. 

- Du siehst wie eine Kuh aus. / Sembri una mucca. - Mi rimbecca, accennando al décolleté strabordato dalla scollatura. 

Allora mi copro castamente, alimentando il braciere di odio che infervora gli occhi di terra bruciata, due guizzi di fiamme infernali, appena un assaggio di ciò che realmente arde nel mio petto. 

Lui si accende, entusiasta, appagato del suo tormento più grande. 

Prende tra le mani un gioiello, un cinturino di particolari perline rosse e fa per agganciarmelo in vita. 

- Ti lamentavi della carenza di classe... - È corallo, lo riconosco poiché l'ho già visto in tante vetrine, pur non possedendo nulla di questo materiale. 

- Non lo rende meno sconcio. - Ribatto, sfiorando con le dita la gonnellina quasi inguinale. - Ne hai così tanti che non sai neanche più come impiegarli, eh? - 

- Per far fruttare soldi, bisogna prima spenderli. - 

Parla pure come un azionista... 

Mi ricorda tanto l'odioso fidanzato di Rose, in Titanic, che credeva di poter comprare il suo affetto regalandole un diamante blu dal valore inestimabile. 

Peccato che fosse un uomo arido e superbo, ricco solo nel portafogli. 

- Non mi reggo in piedi, Rüdiger. - 

- Un modo lo troverai. - Dopo avermi sfinita con i suoi ricatti e le sue assurde pretese, sparisce dalla mia vista, lasciandomi finalmente sola. 

Affondo il viso tra i cuscini, immaginando come la prenderà Reiner dopo che gli avrò raccontato della " visita " del colonnello e dei relativi sviluppi. 

Manca così poco... 

Anche Isaac dovrà subire il mio stesso supplizio; del resto, è solamente per questo che si trova in questa casa... Solamente per questo che è ancora in vita. 

Il suo talento è entrambe le cose, un dono ed un veleno e, se mai riuscisse a sopravvivere, non sono sicura che vorrà continuare ad esibirsi. 

Basta poltrire; devo andare da lui. 

Senza spogliarmi, raggiungo le scale con non troppa fatica, sebbene il vero ostacolo sia costituito dalle scale stesse. 

Mi sostengo facendo leva sul corrimano, mettendo avanti un piede per volta, gradino dopo gradino, fino a metà della rampa, esausta prima ancora di terminarla. 

Passo il dorso della mano sulla fronte, cercando inutilmente di liberarmi da quelle stelline luminose che vedo svolazzare nell'aria, frutto di un affaticamento. 

- Ariel! - Spero di vederlo arrivare e, per fortuna, così è. 

- Signorina... - Si inerpica per le scale, tuttavia, prima che possa aggiungere qualcosa, gli allaccio le braccia attorno alle spalle, attenta a non farlo scivolare. - Non posso aiutarvi io; sono troppo debole, non riuscirei mai a portarvi di sotto. Vi chiamo qualcuno di più forte, tenetevi bene intanto. - 

- Chiedi ad Isaac. Per favore, ho bisogno di lui. - Il riccio compare poco dopo e, pian piano, mi aiuta a scendere. - Ti cercavo... Credi di potercela fare domani sera? - 

- Lo farò per te, che hai a cuore la mia vita più di quanto non l'abbia io. - 

- Schneider non deve sapere che tu sai. - Lui coglie la provocazione e china il capo, dichiaratamente colpevole benché la sua innocenza sia innegabile, in una situazione come questa. Lui già sapeva dell'esistenza del Bunker 2; lo aveva menzionato parlando di Yonathan, specificando cosa gli avessero fatto, una volta scartato alla prima selezione.

 - Dobbiamo parlare. - Asserisco, scrutandolo attentamente negli occhi. - Possiamo superare la serata... - 

- Tu sei il mito... Sono certo che tu possa fare qualunque cosa, Hajnalcsillag, con o senza di me. - 

 

 

 

 

Angolo note: 

mi scuso per la lunghezza ridotta del capitolo... Piuttosto che postare tra una settimana o più, ho preferito spezzare in due parti. 

Detto questo, anticipo già che mi metterò d’impegno affinché il prossimo capitolo contenga circa il doppio dei caratteri. 

Alla prossima! 

 

 

  
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