Film > Il gobbo di Notre Dame
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Autore: Angelica Cicatrice    29/07/2019    2 recensioni
Clopin aveva dedicato tutta la sua vita nel donare il sorriso ai bambini di Parigi. Non desiderava altro nella sua umile vita da giullare della piazza. Eppure, qualcosa stava per stravolgere quella felice monotonia, e la paura di essere dimenticato o messo da parte ( per colpa dell'arrivo di un nuovo cantastorie ) lo avrebbe logorato. Per non parlare dell'imminente giorno della Festa dei Folli. I due giullari si sarebbero scontrati in un duello all'ultimo spettacolo? O sarebbe accaduto qualcosa di assolutamente inaspettato da far rovesciare gli eventi? Il re degli zingari non si era mai posto il quesito: e se esistesse, in questo mondo folle, una persona come me ?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clopin, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                                 Falce lunare

Le prime luci dell'alba risplendevano per dare il buongiorno ai cittadini di Parigi. Come al solito, l'aria nel mese di gennaio era bella frizzante e i più mattinieri potevano assaporarla ispirando a pieni polmoni. Prima fra tutti, la bella Roxanne, che aveva recuperato il suo carretto e riportato al piazzale di Notre Dame. Dato che il suo nuovo amico e maestro, il re dei giullari, le aveva dato il permesso, poteva continuare a esibirsi senza regole e restrizioni. Ripensando a ciò, la cantastorie si sentiva fortunata. Lavorare in quella piazza, così grande e maestosa, era il sogno della sua vita, perché così avrebbe mantenuto una promessa fatta tempo fa. Roxanne si pettinò i lunghi capelli corvini, indossò il suo costume da giullare, e mise la mascherina sul viso. 
Mentre finiva di prepararsi, i suoi pensieri tornarono alla sera precedente, quando Clopin l'aveva portata alla taverna di Marcel. 

PV Roxanne 

" Clopin è davvero un tipo strambo, ma anche simpatico e molto divertente " pensai, mentre annodavo il pareo con i cammei dorati attorno alla gonna in tulle.
" Fin dall'inizio avevo capito che era un tipo particolare " dissi, ridendo "  ma nei giorni prima della festa l'avevo osservato per bene, senza che lui se ne accorgesse, e avevo visto il suo grande affetto nei confronti dei bambini e la passione che ci metteva nei suoi spettacoli. Ecco perché si era sentito così minacciato dall'arrivo di un nuovo contendente nella piazza ". Ero sincera, non lo avevo mai odiato, perché avevo compreso bene i suoi sentimenti, che non erano affatto mossi dall'avarizia o dalla sete di successo.
In quel bizzarro uomo c'era solo amore e orgoglio per la sua arte, e per le persone a lui care.
Lo ammiravo ed ero molto contenta di averlo come vicino di piazza. 
- Vorrei tanto rivederlo - confessai ad alta voce - grazie a lui ho anche fatto delle nuove amicizie. Inoltre, ripenso ancora a quelle parole...prima che lui cascasse dal sonno -. Quel dettaglio mi fece sorridere. Ma ogni volta che rivedevo Clopin che mi guardava con occhi dolci, accarezzandomi e dedicarmi parole di conforto, sentivo il viso accendersi di imbarazzo.
" Ha una voce così soave e vellutata, capace di farti sciogliere come neve al sole ". 
Peccato che il tempo stava passando, e non potevo lasciarmi inebriare da quei ricordi. Una nuova giornata di lavoro stava per iniziare. Stavo quasi per dimenticare una cosa importante; la mascherina in miniatura che portavo sempre sul capo, insieme alle rose scarlatte. Aprì un cofanetto di colore nero, e dentro c'era la mascherina. Con un sospiro malinconico, accarezzai la superficie in pura ceramica, decorata a mano.
- Spero che siate fieri di me - dissi a bassa voce, come a voler tenere solo per me quelle preziose parole.
Ovviamente tutto andò alla grande. Lo spettacolo fu un successo, accompagnata dalla melodia del mio strumento musicale, e gli spettatori mi ripagarono con monete d'oro e applausi scroscianti. Ciò che mi dispiaceva, era che non riuscivo a mostrarmi completamente (usavo ancora il trucco dello sgabello, nascondendo il viso nel buio). Temevo troppo di essere giudicata dagli altri, e di essere ignorata o presa sotto gamba. Già in passato, quando ero ancora giovane e inesperta, ero stata etichettata e molti mi dicevano " non è una cosa adatta a una fanciulla. Torna a ballare per le strade, è meglio per te".
Potevo anche ignorare tali giudizi, ma le parole possono pesare quando sono troppe. Ero così travolta da quei pensieri, che non avevo avvertito un bussare alla porta sul retro del carretto. Solo dopo una seconda bussata, più forte, mi alzai e andai verso la 
porta in legno. Ma subito mi fermai. Chi poteva essere? Mentre rimanevo immobile senza sapere che fare, sotto la porta scivolò un foglietto di carta colorata. Era uno di quelli che spargevo sulla folla, dopo ogni spettacolo. Girandolo vidi una scritta che diceva: 
Vostra Maestà vi chiede l'onore di essere ricevuto, Madame.
Sorrisi entusiasta. Era lui. Senza perdere tempo, e dopo essermi spolverata il vestito con le mani e aggiustato i capelli (non sapevo nemmeno io perché lo stessi facendo...) aprì finalmente la porta. Mi trovai davanti il re del piazzale, con il suo costume variopinto, e l'inseparabile mascherina fuxia-violacea. Lui mi donò un sorriso smagliante (con quei denti scheggiati che non mi disturbavano affatto, anzi) e infine, con un inchino profondo fece:
- Bon jour, mon Madame, spero di non disturbarvi - Io soffocai una risata, poi feci una riverenza, allargando la gonna.
- Affatto, Vostra Maestà. Sono lieta di avere la vostra presenza nella mia umile dimora - dissi, con un tono plateale e stucchevole. Mi resi conto che ormai quel gioco di ruolo era diventato il nostro modo preferito per stuzzicarci e divertirci insieme. Era troppo spassoso. E con Clopin, era tutto così facile. Lo invitai ad entrare e a sedersi su alcuni cuscini sul tappeto, mentre io mi accomodai sullo sgabello. Ero un po’ nervosa, perché nessuno fino da allora era mai entrato nel mio teatrino, che per me era tutto il mio mondo. Lui si guardò attorno, incuriosito, per poi affermare:
- Che bel posticino! Così accogliente e intimo -. Mentre studiava una cesta piena di pupazzetti, cominciai a chiedergli della notte precedente.
- Allora, come stai? Insomma, dopo che ti sei addormentato...- mi fermai, mentre lui mi lanciò un'occhiata furbetta e allungò il sorriso. 
- Tranquilla, alla fine mi sono ritrovato nel mio letto, grazie all'aiuto di alcuni miei amici - mi spiegò - Però, sai, quando stamane ho fatto un salto veloce da Marcel, mi ha detto che voleva farti scortare fino a casa, ma tu hai rifiutato e sei andata via da sola -.
In quel momento il suo viso si fece serio. Cominciai a pensare che ci fosse rimasto male. Giocando con una ciocca dei miei capelli, risposi: 
- Sì, perché non volevo dare fastidi. Non devi preoccuparti, Clopin, sono una donna che sa difendersi da sola -.
Stavo cercando di sorridere per addolcire quell'aria tesa. Non mi stavo giustificando, era la pura verità. Ma mi rendevo conto che lui avesse tutti i buoni motivi per stare in quel modo. Deve essersi preoccupato per me. In quel momento lui mi guardò negli occhi.
- Ma...io mi sono preoccupato lo stesso - disse, cogliendomi di sorpresa - Avevo paura non solo che ti fosse accaduto qualcosa, sola a tarda notte. Ma anche che stamane, arrivando qui, non avrei visto il tuo carretto. Che te ne fossi andata via, per sempre -.
Che stava cercando di dirmi? Sentì un tuffo al cuore quando terminò di parlare. Mi sentivo così strana, e allo stomaco avvertivo una sensazione nuova, ma che non mi dava fastidio. Sorrisi lievemente, mentre mi tormentavo i capelli, facendoli arricciare tra le dita.
- Strano. Qualche giorno fa avresti di certo gioito, se fossi sparita nel nulla - dissi, cercando di fare dell'ironia. Speravo in una risata, anche piccola, ma Clopin si alzò dai cuscini e in pochi secondi mi fu davanti. Mi sembrava così alto, con quel cappello blu cobalto.
- Ora è diverso...Roxanne - disse con fermezza, guardandomi negli occhi. Perché tutto ad un tratto, nonostante fosse gennaio, sentivo così caldo?
Ebbi la certezza che Clopin mi stesse osservando un po’ troppo, e non era certo ubriaco. Lui forse se ne accorse e distolse lo sguardo.
- Il fatto è, che solo da quando ti ho conosciuta mi sono reso conto di quanto fosse monotono e desolato questo piazzale, senza qualcuno con cui dividerlo - spiegò alla fine. Io mi rilassai, e fui felice di sentire quelle parole. Voleva dire che ormai mi considerava davvero una collega, una sua pari. E che eravamo amici. Mi intenerì quella rivelazione, e scivolai dallo sgabello, mi sollevai sulle punte, per colmare quei pochi centimetri e guardarlo in faccia. 
- Beh, come vedi, sono ancora qui. E non credo che me ne andrò così presto - gli dissi, facendogli l'occhiolino. Dovevo ammettere una cosa; per quanto quella maschera gli desse un'aria misteriosa e attraente, trovavo Clopin più bello a volto scoperto. Potevo vedere ogni suo singolo dettaglio. Chissà se era lo stesso per lui, nei miei confronti?
Mi avvicinai a uno specchio appeso al muro, e mi diedi un'occhiata. Quel giorno decisi di indossare il mio gioiello più
bello. Mentre lo cercavo, guardai il riflesso di Clopin nello specchio e dissi: 
- Per la cronaca, ieri notte non ho dovuto camminare molto, dovevo semplicemente tornare qui - confessai, aspettando la sua reazione. Lui corrugò la fronte.
- Qui? Nel carretto? Cioè, vuoi dirmi che tu abiti proprio qui? - mi chiese, incredulo. Immaginavo quella faccia, e risposi:
- Esatto. Ti presento la mia cara dolce casa. Ti racconterò i particolari fuori. Andiamo in giro, che sto morendo di fame - dissi, mentre mi stavo mettendo un orecchino dorato a cerchio (il classico gioiello di noi zingari). Non era un semplice orecchino come altri, perché portava appeso un ciondolo a forma di mezza luna. Era il simbolo della famiglia di mia madre, e lo avevo ereditato il giorno della sua morte. Non lo indossavo mai perché temevo di perderlo, e ci ero molto affezionata.
Ma per quel giorno volevo sfoggiarlo. A dire il vero, desideravo mostrarlo al mio nuovo amico. Clopin era già pronto ad aprirmi la porta e io sorrisi, ammirando la sua galanteria. Infine uscimmo. 
Il re della piazza mi aiutò ad uscire dal carretto in modo silenzioso e furtivo, per evitare che i passanti si accorgessero di me. Mentre passeggiavamo al centro del piazzale, lui si rivolse a me, con tono premuroso:
- Un giorno dovrai mostrarti per quello che sei, cherì. Comprendo i tuoi timori e tutto quello che hai dovuto fare per arrivare fin qui. Ma mi  sembra anche giusto che tu abbia davvero il tuo posto nel mondo, alla luce del sole -. Lo ascoltai, poi udimmo il suono delle campane. Quasimodo ci stava salutando a modo suo, con quel gradevole suono che si estendeva per chilometri. Clopin stava volgendo lo sguardo verso il campanile. 
- Sai, anche Quasi viveva nell'ombra, lontano da tutti. Ha vissuto così per tanti anni, con la paura di essere giudicato. Ma poi ha affrontato tutto e tutti, e solo perché ha avuto coraggio che è stato accettato dal resto del mondo, ed ora è una persona del tutto nuova - mi raccontò.
Non sapevo di questa cosa riguardo a Quasimodo, ma capivo perché il mio amico me ne stava parlando. Era bello vedere come una persona, dopo tanto tempo di solitudine, si preoccupasse tanto per me. Rimasi un attimo in silenzio, poi risposi:
- Ci penserò. Te lo prometto -. Lui annuì, e mi offrì il suo braccio, come aveva fatto la sera prima.
Mi trattava come una regina, e io rimanevo ogni volta incantata dai suoi modi gentili. Che sia chiaro, non ero così ingenua. Avevo notato, quelle poche volte, in cui gli occhi di Clopin erano arrivati sulle mie curve, sulle gambe e forse sulla mia scollatura. Era una cosa che facevano molti uomini. Ovvio che la cosa mi disturbava, e non poco. Ma con Clopin era diverso. Nonostante i suoi sguardi, aveva sempre riservato per me un rispetto e un contegno difficile da trovare in tutti.
Di certo, non si era mai permesso di mettermi le mani addosso, nemmeno quella sera che aveva esagerato col bere.
Poi, diciamolo, era pur sempre un uomo, ed ero consapevole di essere una donna che faceva girare la testa ai maschietti. Modestamente. Quindi, sì, con lui mi sentivo perfettamente a mio agio e allo stesso tempo lusingata delle sue attenzioni.
Arrivammo nei pressi di un panificio, e del buon profumino mi fece venire l'acquolina. Torta di mele! La mia preferita.
- Non pensavo che anche tu la adorassi - disse stupito lui, mentre prendeva una tortiera grande, da dividere per due. Avevamo trovato un'altra cosa in comune. Teatrino, costume da giullare, e torta di mele. Fantastico! Ci fermammo e ci sedemmo su un muretto. Sotto i nostri piedi scorreva la Senna. Avevo così tanta fame che mi fiondai sulla mia parte della torta, riempiendomi le guance che quasi stavano scoppiando. Clopin mi guardò, spalancò gli occhi per lo stupore, e quando mi voltai verso di lui, scoppiò in una risata.
- Mon cher, sembri uno scoiattolo! - esclamò, cercando di prendere fiato. Masticai e ingoia, giusto in tempo per rispondere con:
- E tu invece? Il tuo pizzetto sembra una scopa che ha appena spazzato via le briciole - lo informai, ridacchiando. Infatti era così. Senza pensarci, con le dita solleticai quel pizzetto ben disegnato, per togliere via le briciole. Mi piaceva. Ero convinta che se Clopin si fosse rasato, avrebbe fatto sparire ciò che lo rendeva così...così affascinante. Lessi nei suoi occhi che lo avevo preso di sorpresa, poi si ricompose e mi ringraziò. A volte sembrava così spontaneo, ma altre volte così imbarazzato dai miei gesti. Mi chiedevo se si comportasse così con tutte le donne. In quel momento mi balenò un quesito:
 " chissà se era impegnato con qualcuna? ".
Stavo scacciando via quel pensiero, quando mi accorsi che lui mi osservava. Precisamente stava guardando l'orecchino. Fui felice che se ne fosse accorto. 
- Non ho mai visto un orecchino così particolare. Un cimelio di famiglia? - mi chiese. Io girai il capo di lato per mostrarglielo meglio. Ne andavo molto fiera.
- Sì, apparteneva al clan di mia madre. Venivano chiamati i "gitani della falce lunare". Ecco perché c'è questo ciondolo a forma di mezza luna - gli spiegai.
Lui studiò il gioiello, incuriosito. 
- Deve essere molto prezioso per te - aggiunse. Io annuì e gli dissi che l'avevo ereditato quando morì mia madre.
Non avevo fratelli o sorelle, quindi automaticamente il simbolo della famiglia era passato a me, come unica erede di tale clan. Finimmo entrambi il nostro dolce. Avevo lo stomaco pieno.
Il re dei giullari si stiracchiò e dopo avermi aiutata a scendere dal  muretto, mi chiese:
- Ti va di venire con me? C'è un posto speciale che vorrei mostrarti -. Mi chiedevo se fosse una buona idea, dato che dovevamo tornare a lavoro. Ma lui mi assicurò che per quel pomeriggio potevamo prenderci una pausa. In fondo avevamo guadagnato molto, tutti e due, e potevamo concederci un po’ di libertà. Allora feci un cenno col capo, accettando l'invito
- Fantastico! - festeggiò lui, saltellando come una molla. Dopo esserci uniti nel solito sottobraccio, lo seguì lungo una strada che portava alle porte di Parigi.

PV Clopin

Una volta usciti dai portoni della città, camminammo per parecchi minuti. Il luogo dove eravamo diretti era parecchio lontano. Ma il tempo non ci pesò affatto, dato che la mia bella amica mi raccontò dei lunghi viaggi che lei e suo padre facevano, per diffondere i loro spettacoli e guadagnarsi il pane quotidiano. Da lì capì il perché Roxanne non avesse una casa fissa, e che vivesse nel carretto di suo padre.
Lei vomitava ricordi colmi di gioia, di momenti che l'avevano forgiata nella persona qual era. 
- Quando mio padre morì avevo appena compiuto 18 anni. Si era ammalato di polmonite. Da quel momento mi sono ritrovata da sola e ho mandato avanti il lavoro dei miei genitori. Ho continuato a viaggiare per tutta la Francia, per plasmare il mio talento. Oltre a suonare il violino, mi sono esibita cantando, recitando poesie, e man mano ho imparato a creare storie e spettacolini con le marionette. Dopo aver visitato molti luoghi, alla fine sono giunta qui - disse, finendo così di raccontarmi. Avevo ascoltato attentamente ogni singola parola, ed ero rimasto sbalordito. Per una ragazza che era rimasta sola al mondo, senza sostegno di alcun tipo, era davvero dura, ma lei era stata così forte e coraggiosa nel riuscire a superare gli ostacoli della vita.
Quel racconto mi aveva fatto scoprire quanto Roxanne fosse una donna stupenda. Le accarezzai la mano, mentre continuavamo nel nostro cammino.
- Sono certo che sia tuo padre, che tua madre, sarebbero stati molto fieri di te - le dissi, con estrema convinzione. Lei mi sorrise, commossa.
- Lo penso anche io - mi rispose, e sollevò l'altra mano libera per afferrare la mascherina in miniatura che portava al centro del capo. Lei me la mostrò e disse:
- Questa è una delle creazioni più riuscite di mio padre. Sai, lui non era francese, ma italiano, esattamente era nato e cresciuto a Venezia. E non era neanche uno zingaro, ma un umile falegname che aveva la passione per il teatro -.
Mentre mi raccontava, presi dalle sue delicate mani la maschera. Era fatta di ceramica, dipinta con tenui colori che andavano sul lilla e il celeste. Il disegno di chissà quale città, con cupole e tetti maestosi, era dipinto con linee nette, mentre attorno alle fessure e sulle labbra luccicava una pittura dorata.
Che meraviglia! Una vera opera d'arte.
Sapevo che Venezia fosse la città delle maschere più belle del mondo, e in quel momento ne ebbi la conferma. 
- Quando decise di costruirsi un teatrino mobile era molto giovane. Viaggiò verso la Francia per cercare fortuna, arrivato a Marsiglia incontrò e si innamorò di una bella gitana. La sposò ed ebbero una figlia che chiamarono Roxanne - aggiunse, marcando una nota d'orgoglio nelle ultime parole. Sorrisi mentre le restituivo la sua preziosa mascherina, che con cura la ripose incastrandola in mezzo alle rose tra i capelli. Intanto, non mancava molto, eravamo quasi arrivati.
Dopo esserci gettati alle spalle per vari metri le porte di Parigi, arrivammo in un sentiero isolato, dove difficilmente carri e carrozze potevano percorrere. In pochi minuti ci trovammo in un piccolo boschetto, che man mano diventava sempre più fitto. Gli alberi si aprivano al nostro passaggio, con i rami e le fronde ancora colmi di foglie rosse, nonostante la stagione fredda.
Per fortuna quel giorno era abbastanza soleggiato, e con i nostri costumi eravamo ben protetti.
Roxanne ammirava lo splendore del posto, mentre la guidavo verso le rive di un ruscello, dall'acqua limpida. Lei si sedette su un masso sporgente.
- Clopin, ma questo posto è meraviglioso! - disse, mentre presi posto vicino a lei. 
- Questo è il mio nascondiglio personale. Ci venivo sempre da bambino, e a volte portavo con me Esmeralda, così potevamo giocare felici e spensierati, senza pensare alle difficoltà della nostra vita -. Ripensai allora, i bei tempi, quando io ed Esme giocavamo a nasconderci, improvvisavamo delle piccole recite oppure passavamo le ore a raccogliere sassolini nel ruscello.
Che nostalgia! Almeno quel posto era rimasto lo stesso. La mia amica si guardava attorno, perlustrando con lo sguardo ogni cosa. Mi sembrava davvero emozionata.
- Ho sempre adorato i boschi. Sono così ricchi di vita, energia positiva, e ti fanno sentire così bene. Se potessi vivere in un posto fisso, sceglierei proprio un bosco - affermò lei, respirando a fondo l'aria profumata che sapeva di erba bagnata e fiori selvatici. Non potevo che essere d’accordo con lei. Anche a me sarebbe piaciuto vivere in un posto così tranquillo, in mezzo alla natura. Peccato che non fosse una cosa possibile.
- A proposito, non mi hai ancora detto dove vivi. Non dirmi che anche tu lavori e dormi nel carretto, vero? - scherzò lei. Per poco non mi soffocai con la mia saliva. Roxanne non sapeva ancora che vivevo alla Corte dei Miracoli, e non sapeva che ero addirittura il re degli zingari di Parigi. Sono sincero, era una cosa a cui non avevo ancora pensato. Solitamente quando ero fuori dalla Corte, non aprivo bocca su quei particolari che, seriamente, dovevano rimanere segreti. Proprio perché avevo la completa responsabilità della mia gente, non potevo fidarmi di nessuno, e di conseguenza non mi passava minimamente l'idea di dare certe informazioni. Però, sentivo che Roxanne fosse una persona affidabile. Ma forse, era ancora troppo presto per rivelarle tutto. Schiarì la voce, e infine risposi:
- Vivo in una tenda tutta mia. Ma credimi, è molto meglio il tuo carretto. Quasi quasi ci sto facendo un pensiero e trasferirmi nel mio teatrino mobile. Così almeno non rischio di fare tardi a lavoro ogni mattina - risi, sperando che lei non avesse sospetti. Di solito, ero molto bravo a mentire, ma se mi capitava con persone a cui provavo affetto, mi risultava più difficile. Con mio sollievo, la vidi annuire, abbozzando una risatina.
Ci fu un attimo di silenzio, e Roxanne stava fissando le sue scarpette nere. 
- Forse non è stata una buona idea venire qui con i nostri costumi addosso. Dovevamo cambiarci - mi fece notare. In effetti non aveva tutti i torti. In quel momento un'idea mi fulminò la mente. La violinista mi aveva appena dato un modo per stuzzicarla a dovere. Con tono ironico, la fissai con aria canzonatoria, e le dissi:
- Cosa c'è, Madame, ha forse paura che con un po’ di fanghiglia il suo bel vestito si possa rovinare ? -.
Lei mi guardò, con aria stupita. Poi girò lievemente il capo, strinse gli occhi vermigli in due fessure, come a voler dire:
" Mi stai sfidando? ".
E avvenne una cosa che davvero non mi aspettai. Roxanne si alzò di scatto, cominciò a correre verso il ruscello. Mentre lo raggiungeva, si tolse le scarpe, sfilò i guanti e la mantella coi campanelli. Con due occhi spalancati la vidi entrare nel ruscello, bagnandosi la calzamaglia. Lei si girò verso di me e con un'aria beffarda mi urlò:
- Cosa c'è, Vostra Maestà? Avete paura che con un po’ d'acqua il vostro abito regale si possa rovinare? - mi schernì, rigettandomi indietro la battuta.
Eh no, questo è troppo! Una strana forza interiore mi fece scattare. Gettai per aria il cappello, e senza togliermi altro (in fondo era una sfida) corsi verso di lei. Ebbi il tempo di vedere le sue gemme verdastre spalancarsi per lo stupore, fare qualche movimento per sfuggirmi che, ovviamente, fu del tutto inutile. L' afferrai prendendola per la vita, e tra un misto di risolini e urletti, la sollevai facendola volteggiare. Fu un  momento meraviglioso. Era la prima volta che mi sentivo in quel modo.
Volteggiamo per qualche secondo, mentre schizzi d'acqua cristallina volarono di qua e di là. Il mio piede scivolò su un sasso e caddi all'indietro, trascinando con me anche la mia amica. Eravamo completamenti bagnati, io specialmente.
Lei, sopra di me, rideva come non mai. Poi, disse:
- Sei un pazzo! -. Era così bella anche in quella situazione. Io, intanto, avevo perso la mascherina, ma non ci badai.
Non mi importava che il costume fosse bagnato, stare lì in quella circostanza con lei mi faceva ridere ed eccitare al tempo stesso. 
- Allora siamo in due, cherì!- la canzonai, passandomi una mano tra i capelli bagnati. Stranamente lei non si mosse. Era rimasta immobile, a cavalcioni su di me, come un'abile amazzone. Scrutandola negli occhi, sentì di nuovo quel calore provato la sera scorsa. Allungai una mano e le tolsi la mascherina in merletto. Mentre facevo ciò, notai il suo seno che si alzava e abbassava per il respiro che diventava più veloce. La tentazione di stringerla a me era troppa.
- Non avresti dovuto provocarmi... - le dissi, quasi sussurrando, mentre le scostavo delle ciocche bagnate sulla scollatura. Sulla pelle, candida come un fiore d'arancio, scivolavano piccole gocce d'acqua. Ero sul punto di toccarla, ma riuscì a controllarmi, così abbozzai un mezzo sorriso e le dissi: 
- Su, è meglio andare, altrimenti conciati così ci beccheremo un malanno -. Sollevandomi un po’, la aiuta ad alzarsi. Aveva un'aria piuttosto stralunata, come se fosse rimasta intrappolata in due realtà diverse. Recuperammo le nostre cose ( la mia mascherina la ripescai con disperazione, dato che la corrente la stava portando via ), e ci incamminammo per tornare indietro. Lungo il tragitto, ci fu un silenzio imbarazzante. Sperai che lei ricominciasse a parlare per rompere il  silenzio, come faceva spesso.
Invece rimase ammutolita, gettandomi nella completa confusione. Avevo forse fatto qualcosa che l'avesse turbata?
Ero sul punto di chiederle se stava bene, quando uno strano rumore che proveniva dai cespugli mi diede un'improvvisa ansia. Prima di scoprire cosa fosse, misi una mano sulla corda alla vita, dove era legato il mio pugnale. 
- Stai dietro di me - le ordinai, tirandola per un braccio e nascondendola dietro di me. I miei sospetti erano fondati. Due loschi individui, dall'aria poco raccomandabile, uscirono fuori. Uno di loro aveva già estratto un coltello. Da come erano vestiti capì che erano zingari, ma della peggior specie. Erano quelli che macchiavano di disonore tutta la nostra razza, rubando e uccidendo senza farsi scrupoli. Mi davano la nausea. Uno di loro, quello non armato fu il primo a parlare:
- Signori, non dovete avere timore. Non abbiamo alcuna intenzione di farvi del male. Certo se voi collaborerete - precisò, suscitando le risate del suo compare.
- Che cosa volete?! - chiesi, con tono rabbioso. Ah, se solo avessi avuto con me i miei sottoposti, li avremo trucidati in pochi secondi, senza pietà!
- Da te niente, amico. Ma la tua amichetta potrebbe essere così gentile da donarci quello splendido monile che porta all'orecchio destro - disse l'altro zingaro armato di coltello. Sentì Roxanne stringersi di più a me, era evidente che fosse spaventata. Cercai di tranquillizzarla, stringendole con fermezza il braccio.
L'avrei protetta anche a costo della mia stessa vita. Fulminandoli con lo sguardo dissi:
- Vi conviene andarvene il più lontano possibile, o ve ne pentirete! -. A quelle parole, lo zingaro armato, il più impaziente, si fiondò verso di me. Solo allora sfoderai il pugnale, e con velocità deviai il colpo e ferì il braccio dell'aggressore. Il suo complice, agitandosi, fece anche lui un tentativo, ma con un calcio lo allontanai. Potevo tenerli facilmente a bada, ma dovevo pensare a Roxanne.
- Scappa, corri! - le gridai, mentre mi preparavo per il prossimo attacco. Ma avvertì un grido e mi voltai di scatto.
La mia amica era intrappolata da un altro uomo, grande e grosso, che la minacciava con una spada alla gola. Doveva fare parte del gruppo, probabilmente era il capo. Erano più furbi di quanto immaginassi. Lo zingaro che mi aveva attaccato per primo, forse per vendetta, mi colpì e mi ferì la spalla destra. 
- Clopin! - gridò lei, preoccupata a morte. I due ladri mi tenevano fermo, e io impotente caddi in ginocchio. Fissai il loro capo, e ringhiai.
- Vigliacchi, lasciatela libera! Prendetevela con me! -. Sperai davvero che quei maledetti avrebbero accettato la mia offerta, ma lo zingaro rispose:
- Taci, pagliaccio! Faremo esattamente quello che vogliamo! - annunciò, mentre i suoi occhi vagavano sul corpo di Roxanne. Brutto schifoso! 
- Lo sapevo, che sarebbe stato troppo facile, con una donna in mezzo - disse il capo, che ormai aveva la situazione in pugno. 
- Ne sei sicuro? -. Era stata proprio Roxanne a parlare. - Credi davvero che una donna non sappia difendersi...-. In una velocità assurda, la mia amica diede un calcio all'indietro, facendo zoppicare il suo aguzzino. La vidi esibirsi in una danza fatta di calci e colpi violenti, riuscendo a tenere testa a quel omone grosso come un armadio. Rimasi con la bocca a penzoloni. Anche gli altri due zingari erano rimasti pietrificati, e ne approfittai per scattare in piedi, prendendoli a pugni, e dopo aver recuperato il pugnale, lasciai che la mia indole sanguigna si scatenasse. Senza indugi, ferì mortalmente uno dei due, mentre l'altro ebbe la sfortuna di ritrovarsi con la gola tagliata dal mio pugnale. Mi voltai e corsi verso Roxanne, che ormai aveva steso il suo nemico. 
Sperai che non fosse ferita. Ma quando mi fermai per riprendere fiato, lei guardò nella mia direzione. Lessi il terrore nei suoi occhi e urlò:
- Clopin, attento! -. Tutto avvenne troppo velocemente. Roxanne che si fiondava verso di me, che mi stringeva, facendomi girare e infine un suono sordo.
Zampilli di sangue bagnarono il terreno, mentre un pugnale, che non avevo mai visto prima, perforava il petto dello zingaro che poco fa credevo di aver ferito mortalmente. Il tizio cadde, morto stecchito. Roxanne mi aveva appena salvato la vita. Mi affrettai e comincia a chiamarla per nome. Ma i suoi occhi, che erano sempre così pieni di vita, erano spenti e vuoti. 
- Roxanne, stai bene?...- le chiesi, afferrandola per le spalle e scuotendola, come a volerla risvegliare da un brutto incubo. Battendo le palpebre, finalmente mi rispose: 
- Clopin...si, tranquillo sto bene - mi rispose, e mi fece un mezzo sorriso per rassicurarmi. I suoi occhi, tornati alla normalità, si posarono sulla mia spalla destra. Avevo completamente dimenticato che ero stato ferito. Lei si allarmò, e senza perdere tempo, recuperò il suo personale fazzoletto rosso. Lo usò per fasciarmi la ferita, anche se per me era soltanto un graffio.
- Presto, torniamo al piazzale, dobbiamo medicarti per bene - disse alla fine. Ovviamente, lasciammo quelle carcasse inutili a marcire in mezzo alle erbacce. Quando vi passai vicino, sputai per terra, disgustato.
E pensare, che io stesso, Clopin il re degli zingari, avevo potere in tutta Parigi su quella categoria di gentaglia. Arrivammo alla piazza dopo il tramonto. La violinista era molto in pena per me, ma io continuavo a dirle che non era nulla di grave. Decidemmo di raccattare ciò che ci serviva e ci barricammo nel mio teatrino. Ci cambiammo i vestiti ( i nostri costumi erano ancora fradici). Roxanne, si stava cambiando dietro allo schienale del mio divano, mentre io stavo accendendo varie candele per dare luce e calore. Quando fu pronta, ci accomodammo sul divano, e lei armeggiò con ago e filo per sistemarmi la ferita. Non senti troppo dolore, aveva una buona mano ferma. Mentre mi stava fasciando nuovamente la spalla, la osservai. C'erano troppe cose che volevo sapere e non riuscivo più a trattenermi.
- Dove hai imparato? - le chiesi, facendomi coraggio. Lei mi guardò, come se non avesse capito bene. 
-Insomma, dove hai imparato a combattere così? Mi hai lasciato di sasso - dissi, facendo una smorfia nell'ultima frase, cercando di farla sorridere. Lei rimase seria, e dopo aver annodato il fazzoletto di stoffa, cominciò a spiegarmi:
- Mio padre. Fu mio padre a insegnarmi il combattimento corpo a corpo. Ma solo per difendermi - mi spiegò, mentre si appoggiava sullo schienale del divano. - Dopo la morte di mia madre, lui divenne molto apprensivo nei miei confronti. E quando si rese conto che stavo crescendo, all'età di 15 anni, mi diede un pugnale, che avrei sempre nascosto sotto la gonna, e mi incoraggiò a usarlo contro un sacco pieno di paglia. Con pazienza e calma mi spiegava come muovermi, come disarmare e come attaccare. Tutto questo perché sapeva che non poteva proteggermi per sempre, in un mondo dove le donne vengono schiacciate dalla stessa società -.Si fermò un attimo. Si stava tormentando i capelli, e io ne approfittai per dire la mia:
- Tuo padre è stato un ottimo insegnante. Sei stata formidabile -. In quel momento, vidi il suo viso incupirsi. Poi prese la mascherina in miniatura e se la passò fra le mani. Con voce lieve disse:
- Se oggi ce l'ho fatta, è solo grazie a lui. Sul suo letto di morte, non aveva paura di morire, ma di lasciarmi sola. Io, sorridendogli, gli promisi che me la sarei sempre cavata, in ogni situazione. Così...se ne sarebbe andato...senza preoccuparsi ulteriormente per me... - la sua voce divenne all'improvviso tremante e rotta dal pianto. Su una guancia scese una lacrima.
Fu la prima volta che la vidi in quel modo, e il cuore mi si spezzò. 
Aprì le braccia, e la strinsi a me. Lei cercava di soffocare il suo pianto, come se si vergognasse. Le sussurrai all'orecchio:
- Tranquilla, cherì. Ci sono io con te. Ci penserò io a proteggerti -. Se fosse esistito davvero un Dio, avrebbe dovuto gettarmi all'inferno, se quelle parole non fossero state sincere.
- Non ho avuto paura per me... - disse, con la voce ancora sgretolata dal pianto - ma per te. Non volevo ucciderlo, ma se non avessi fatto nulla, avrebbe ucciso te...Non lo avrei sopportato...- mi confessò tra i singhiozzi. Il cuore mi prese a galoppare, sia per il dolore di vederla in quello stato, sia per un qualcosa che stava nascendo dentro di me. La cullai tra le mie braccia, non staccandomi da lei neanche per un attimo.
Man mano, si stava calmando, con la testa poggiata sul mio petto. La mia bella, frizzante, e coraggiosa violinista, si stava addormentando stretta a me. Intanto, fuori dal carretto, regnava la calma, e la notte era da poco giunta. L'idea di rimanere lì, a dormire nel teatrino, mi sembrava strano. Ma con Roxanne tra le braccia, non era poi così malvagio. Allontanai di poco
la testa, e la osservai, mentre aveva gli occhi chiusi. Nella luce fioca delle candele, sembrava un angelo. Le accarezzai lo zigomo, dove c'era quel neo che risaltava il suo volto. Aveva avuto paura per me. Beh, anche io avevo avuto molta paura...di perderla.
- Roxanne...- pronunciai il suo nome, con un lieve sussurro. Lei non era ancora addormentata, ma era tra la veglia e il sonno, perché mi rispose:
- Ouì...-
- Mi prometti che non te ne andrai?...Posso tenerti con me?...- le chiesi, mantenendo lo sguardo su di lei.
- Ouì...- rispose, con gli occhi ancora chiusi. Non mi importava se quella risposta era dettata dalla coscienza, o un vago borbottio involontario per il sonno. Volevo solo sentirmelo dire. Ormai, ne ero sicuro. Roxanne mi piaceva. Mi faceva un effetto che nessun'altra donna aveva avuto su di me. Di solito, ero sempre stato io l'ammaliatore, ma non in quel caso. L'avevo capito in quel pomeriggio, quando le ho detto che temevo per la sua assenza, o quando al ruscello, l'avevo presa e sollevata, o quando poco dopo avevo temuto che me la portassero via. Soddisfatto di ciò, poggiai le mie labbra sulla sua fronte. 
Fu un bacio casto, innocente, ma pieno di passione, perché rimasi per più di cinque secondi incollato alla sua candida pelle. Come a voler suggellare un forte legame che non si sarebbe mai spezzato, e che avrebbe mostrato al mondo intero che in qualche modo lei fosse mia.

Clopin passò le ore successive a guardarla, godendosi quel momento, tutto per se. Poi, avvertendo i primi sbadigli, si sdraiò, portando con se anche la violinista, che nel sonno si accoccolò di più a lui. Il re dei giullari si addormentò contento, avvolto dal calore del corpo perfetto di lei. Infine anche le ultime candele si spensero, e il carretto fu coperto dall'oscurità e dal silenzio di una dolce notte di gennaio. 
 
Angolo dell'autrice:

Bene bene, gente, le cose si stanno facendo serie tra i due giullari. e stiamo scoprendo sempre di più di Roxanne. Il fatto che sia italo-francese è una cosa che mi è venuta in mente molto dopo aver creato il personaggio. Inoltre, ammetto che in questo capitolo ci sono diversi punti ispirati a scene di film
( voglio vedere se ne scoprite qualcuno XD). Spero che la relazione che si sta creando vi stia piacendo, in fondo sto andando per gradi ( per le la fase del corteggiamento-frequentazione della coppia è sempre importante, e quella che preferisco di più raccontare) ^^ Direi che il nostro Clopin abbia avuto parecchie 
sorprese oggi, ma tranquilli, anche Roxanne scoprirà delle verità nascoste su di lui ( infatti ancora non sa che lui è il re degli zingari XD)
Al prossimo capitolo <3 
 
   
 
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