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Autore: Roberto Turati    29/07/2019    1 recensioni
Laura, Sam, Chloe e Jack sono quattro neo-laureati di Sidney che, dopo aver trovato un libro segreto firmato Charles Darwin che parla di ARK, un'isola preistorica abitata da creature ritenute estinte da milioni di anni, da un intrigante popolo, protetta da una barriera che altera lo spazio-tempo e che nasconde un "Tesoro" eccezionalmente importante, decidono di scoprire di più... andando su ARK. Ma le minacce sono tante, siccome l'arcipelago arkiano non è certo il più accogliente dei posti... però, per loro fortuna, non saranno soli nell'impresa. Fra creature preistoriche, mostri surreali, nemici che tenteranno di fermarli o di ucciderli per diversi motivi, rovine antiche, incontri da ogni luogo, da ogni epoca e da altri universi e gli indizi sul misterioso passato dimenticato di ARK, riusciranno a venire a capo di un luogo tanto surreale?
 
ATTENZIONE: oggi, il 30/06/2021, è iniziato un rifacimento radicale della storia usando l'esperienza che ho fatto con gli anni e la nuova mappa di ARK usata per l'isola del mio AU. Il contenuto della storia sta per cambiare in modo notevole.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Acceber spiegò a Laura che il cartello che aveva letto indicava la strada per il villaggio principale dei Piedi Sabbiosi, ma in realtà il centro abitato più vicino era il loro avamposto, costruito su una piccola isola rocciosa sulla punta nordorientale di ARK, collegata all’entroterra da due ponti naturali di arenaria: uno dei panorami più curiosi e suggestivi di ARK. Quando ci arrivarono (ovviamente Nerva fu lasciato a debita distanza), per aiutare Laura a godersi un meritato riposo, Helena e Mei suggerirono di restare un po’ fra loro giovani a rilassarsi, mentre loro andavano alla diplo-stazione per vedere se c’era un diplodoco disponibile per un trasporto diretto al villaggio principale. I ragazzi, allora, andarono in taverna e ordinarono un abbondante pasto a base di verdure fresche condite con salse fatte in casa che l’oste definiva “la ricetta segreta”. Normalmente, Laura avrebbe cominciato subito a provare ad indovinare coi suoi amici di cosa fosse fatta quell’invitante salsa densa e arancio, freschissima e dissetante quasi quanto l’acqua, ma in quel momento voleva solo recuperare tutte le ore di digiuno forzato a causa della prigionia con Mike e dimenticare l’uomo con la bombetta. Sam provò ad attaccare bottone dicendo che non l’aveva mai vista così vorace, ma lei lo ignorò e, in un minuto, svuotò il piattone di verdure assortite che aveva davanti. Offrì Acceber, anche se Laura le disse di non disturbarsi. Poi, per divertirsi un po’, Acceber fece una proposta, ammiccando:

«Ditemi, voi stranieri pensate di essere forti di stomaco?»

«Be’, quando ci siamo laureati abbiamo festeggiato andando in un posto dove vendevano i peperoncini più piccanti al mondo e abbiamo provato a mangiarli… penso di aver perso qualcosa come dieci chili per quanto ho sudato, ma anche gli altri non scherzavano! Alla fine, però, siamo riusciti a cavarcela…» raccontò Chloe.

«Tranne Jack, ovviamente: ricordi quanto vomito rosso ha versato nel gabinetto?» ricordò Sam.

«Ah… che dire, l’avevamo previsto!»

«Pensi che su ARK ci sia qualcosa di peggio, Acceber?» chiese Laura, finalmente a pancia piena.

«Sappi che non si tratta di piccante, si tratta di sapori forti!» rispose l’Arkiana.

«Uhm… che dite, accettiamo?» chiese Laura.

Gli altri due fecero spallucce e allora la sfida fu raccolta. Allora Acceber, quando passò un cameriere, gli chiese una caraffa d’equiseto a testa. Laura conosceva molto bene l’equiseto: è una pianta molto diffusa, ma a meno che non si studi paleontologia come lei non ci si fa tanto caso. Durante un master in Europa, aveva visto intere collezioni di lastre di pietra con incise le impronte fossili di questa pianta simile ad una coda di cavallo. Non la soprese che gli Arkiani ci facessero una bevanda: era uso anche in passato. Ma nessuno di loro aveva mai sentito che sapore aveva… stavano per scoprirlo. Così furono serviti loro quattro boccali pieni di una bevanda verde pisello e abbastanza densa, come un frullato di frutta. Acceber prese il suo e li invitò a fare altrettanto.

«Pronti? Via!» e trangugiò tutto il contenuto del boccale in un fiato, come se fosse acqua.

Vedendola così disinvolta, anche loro se lo versarono in bocca in quantità, ma se ne pentirono subito. Quella roba era orribilmente amara, faceva venire da vomitare. Laura pensava di annegare in quell’asprezza: se il rabarbaro era amaro, l’equiseto era dieci volte peggio. Chloe l’avrebbe paragonato a bere candeggina e soda caustica insieme. Sam si sforzò di fare il duro e resistere, ma dopo tre sorsi si arrese anche lui. Pochi secondi dopo, erano tutti sfiatati e con la lingua fuori, che tossivano e bevevano dalle borracce per sciacquarsi la bocca. Acceber rise di gusto:

«Ma come, avete già ceduto? Andiamo, su!»

«Che pretendi? Tu sei abituata!» protestò Chloe.

«No, questa è appena la terza volta che ci provo! Siete voi che ne avete provato un goccio e già vomitate i polmoni!»

In quel momento, furono raggiunti da Helena, che annunciò di aver trovato e prenotato un diplodoco. Sarebbe partito poco dopo, quindi dovettero pagare sette ciottoli a testa per l’equiseto e avviarsi. Le bestie erano alla stalla comune a rimpinzarsi e Cupcake, appena vide la sua padrona adottiva all’ingresso, sollevò subito la testa dalla mangiatoia e le corse incontro: voleva stare da solo il meno possibile.

«Sembra che gli stia più simpatica di quanto pensassi! Credo che anche tu debba iniziare a prendere seriamente il vostro rapporto… sai quanto è stato emozionante empatizzare con Atena?» le disse Helena, con un sorriso ammirato.

«Davvero? Uao… ti sto così simpatica, bello?» gli acarezzò il collo e lui le strofinò la guancia col muso.

«Oooooh, è come un cagnolone preistorico!» commentò Chloe.

Laura, allora, ebbe un’idea:

«Acceber, mi insegni a gestire una cavalcatura come fate voi Arkiani?»

La figlia di Drof rimase sorpresa e colta alla sprovvista allo stesso tempo e si strofinò nervosamente il collo in cerca di una buona risposta:

«Oh… ehm… volentieri! Però spero di saperti far fare tutto, non sono ai livelli di mio padre… certo, mi ha fatto vedere un sacco di cose, ma ho sempre solo Rexar per ora e non…»

«Fa niente, mi va bene qualunque cosa!»

«Oh… d’accordo, allora! Quindi… comincio quando arriviamo al prossimo villaggio?»

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Il diplodoco avanzava placidamente lungo la larga strada battuta che aggirava il cuore rovente del deserto e fiancheggiava la costa, ricollegandosi al villaggio dei Piedi Sabbiosi. Il piccolo corteo delle bestie dei passeggeri che ne avevano gli stava sotto la pancia per stare all’ombra, tranne quelle che erano più abituate a quel clima torrido, come Rexar. I tilacolei, infatti, non vivevano solo nella foresta di sequoie, ma anche nelle zone rocciose e collinari del cantone arido. Chloe era seduta sul lato che dava sulla costa e osservava meravigliata il contrasto fra il dorato della sabbia e il blu cobalto dell’oceano. Ogni tanto degli ittiosauri saltellavano fuori dall’acqua in fila per tre ed era uguale a guardare i delfini in Australia, il che le faceva venire nostalgia di casa. Riuscì anche ad intravedere la pinna dorsale di un megalodonte che si aggirava per la superficie. Helena, seduta accanto a lei, la aiutava a riconoscere le varie specie di pesci, uccelli marini e, eventualmente, bestiole da spiaggia che si vedevano dal diplodoco ed era alquanto divertente. Sopra il sauropode volteggiava uno stormo di avvoltoi imperiali che, ormai da generazioni, avevano preso l’abitudine di “elemosinare” dai passeggeri dei pezzetti di carne o ossicini per fare meno fatica che cercare carcasse. Sam volle provare una volta e si fece prestare una striscia di carne secca dal suo vicino di sedile: aspettò che un avvoltoio gli si avvicinasse per lanciarlo, ma aspettò un po’ troppo e rischiò di farsi cavare l’occhio. Per fortuna, però, si ritrovò solo con la faccia coperta di penne.

«Quindi, visto che tu sarai occupata ad empatizzare con… Cupcake, potremmo dividerci ancora un momento: voi prendete il nuovo manufatto dal capovilaggio e vi riposate ancora un po’, più questo esercizio con Acceber, noi portiamo quello che l’uomo con la bombetta ci ha rubato al piedistallo. È un problema per te, Mei?» chiese Helena.

«Scherzi? No! Anzi, faremo ancora più in fretta… - vedendo lo sguardo triste che Laura le rivolse, si corresse in un baleno – Ehm… ovviamente non sto dicendo che voi ragazzi ci date fastidio! È solo un fatto»

In quel momento, però, Chloe notò qualcosa di molto strano in mare. Non era un pesce e non era una pinna dorsale, ma senza ombra di dubbio era quello che le era sembrata a prima vista: una cresta. Spuntò piano piano dall’acqua e iniziò a fendere la superficie seguendo la linea della costa, procedendo più o meno alla lentezza del loro diplodoco. Quando emersero del tutto, Chloe richiamò l’attenzione degli altri e tutti i passeggeri del diplodoco (cocchiere incluso) si voltarono a guardare a bocca aperta quella cosa misteriosa. Laura provò a chiedere ad Acceber o agli altri Arkiani, ma nessuno seppe dirle di che creatura si trattasse. Erano tre file parallele di placche ossee triangolari, dai bordi sottili e frastagliati. Le placche delle file esterne erano più piccole di quelle della fila al centro. Diventavano sempre più grosse man mano che proseguivano dall’estremità destra a quella sinistra, per poi tornare piccole all’altro capo. Il fondo si muoveva sinuosamente a destra e sinistra: la creatura nuotava agitando la coda. Erano tutti così allibiti che il cocchiere smise di stare attento alle redini: il diplodoco, ormai, avanzava da solo per abitudine. Sam le trovava mostruosamente familiari.

“Io conosco quella cresta… più la guardo, più mi sembra… no, che diamine penso?"

Aveva una vaga idea di cosa potesse essere, per l’incredibile somiglianza, ma scacciò a forza il pensiero perché lo trovava troppo assurdo. Alla fine, la cresta si immerse e scomparve com’era apparsa di colpo. La gente continuò a fissare l’oceano con gli occhi sgranati, poi, quasi vergognandosi di ciò, tornarono a pensare ciascuno ai fatti propri. La notizia sarebbe comunque girata e non l’avrebbe di certo ignorata nessuno. I ragazzi si guardarono con muta meraviglia, poi alzarono le spalle e pensarono:

“Be’, questa è ARK, in fondo…”

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Adesso Laura si trovava in un largo recinto pieno di attrezzi e ostacoli per allenarsi alla cavalcatura delle bestie, come una pista per cavalli. Mentre Sam e Chloe andavano dal capovillaggio a reclamare il manufatto, Acceber cercava di allenare Laura a cavalcare il pachicefalosauro. Prima di tutto, le insegnò a regolare la velocità: un colpetto leggero con le caviglie sui fianchi per la camminata, due per il trotto e tre per la corsa. Laura non si ricordava più niente di quel poco di equitazione che aveva fatto in vita sua, ma non ci voleva un esperto per notare quanto fosse simile all’allenamento dei cavalli: in due parole, erano solo animali diversi. Di certo, con quelli acquatici, giganteschi e alati ci voleva un altro approccio, ma ci avrebbe pensato in un altro momento. Acceber, sempre affiancandola, le fece fare cinque giri piano, tre a velocità media e uno in corsa.

«Però, è già ad un livello niente male! Mi sa che possiamo permetterci di saltare certi passaggi…» constatò.

«Be’, deve aver imparato dal suo vecchio padrone» ragionò Laura.

«OK, ora passiamo a come dare ordini rapidi, facili da capire e validi per qualunque creatura!»

«In che senso?»

«Be’, è logico: se un carnivoro ti sta puntando, non puoi certo perdere secondi preziosi a dire un’intera frase! Per questo i nostri antenati hanno inventato il sistema dei fischi»

«Interessante…»

«Già, davvero. Sai fischiare?»

«Sì, anche piuttosto bene»

«Benissimo! Allora ascolta bene i miei e cerca di impararli a memoria: ti salveranno la vita molto spesso»

Laura scese da Cupcake e, nei successivi minuti, Acceber le fece provare tutti i tipi di ordine che si potevano dare fischiando: con una nota che di primo acchito si poteva definire “d’invito”, l’animale cominciava a seguirla a distanza ravvicinata dovunque camminasse. Con lo stesso suono, ma con una nota alta alla fine, si fermava. Poi, con un doppio fischio che pareva quello che fanno gli uomini alla vista di una bella donna, si diceva alla cavalcatura di sedersi o sdraiarsi. A proposito di ciò, Acceber spiegò anche che nel caso dei megalosauri c’era anche un fischio speciale per dare loro il permesso di dormire. Laura seppe imitarli molto bene e Cupcake, in più, aveva l’aria di starsi divertendo, quindi tanto meglio. Alla fine, Acceber li accompagnò fino ad una serie di piloni di legno e fantocci in paglia che gli animali usavano per fingere di combattere. Acceber fece un fischio che sembrava un avvertimento e Cupcake, abbassata la testa, caricò il pilone che avevano scelto, lasciandoci una grossa ammaccatura. Laura riprovò e Cupcake non sembrò molto convinto: la guardò inclinando la testa e rimanendo confuso. Acceber le disse che non ci aveva messo abbastanza “arrabbiatura”, con un risolino. Laura dovette riprovare altre cinque volte, prima di farsi obbedire. Alla fine, visto che era praticamente già a posto, rimaneva una cosa da fare:

«Hai notato quella cinghia allentata arrotolata accanto alla sella?» chiese Acceber.

«No, onestamente…» rispose Laura, imbarazzata.

«È un’esclusiva dei pachicefalosauri e dei volatili. Nessun altro animale da carica lo fa nel modo violento e concentrato di loro, quindi puoi ben immaginare che se glielo fai fare mentre lo cavalchi ti ritrovi metà isola più lontano per lo sbalzo, una volta che colpisce. Ed è per questo che è stata aggiunta quella»

Quindi fece rimontare Laura e le legò quella strettissima cintura alla vita. Le disse di tenere saldissime le due redini, coprimere le gambe contro i fianchi e serrare i denti per evitare di mordersi la lingua. Quindi spostarono Cupcake fino ad un macigno che i velociraptor usavano per esercitarsi a balzare e scalare e lo misero nella giusta posizione. In quel momento, arrivarono anche Chloe e Sam col manufatto. Vedendo Laura così, nel bel mezzo della folla che si esercitava, si incuriosirono e rimasero sulla staccionata per vedere che faceva. Laura prese tutte le precauzioni date dalla sua “maestra”, fece il fischio e strinse i denti spingendo la lingua contro il palato subito dopo. Il pachicefalosauro muggì e partì in corsa, andando sempre più veloce e facendole venire una scarica di adrenalina sentendo l’aria che le sferzava la faccia. Quando ci fu l’impatto con la roccia, Laura fu proiettata in avanti, bloccandosi subito grazie alla cintura. Ma la cinghia le schiacciò così tanto la pancia che non fece altro che tossire senza riuscire a parlare per più di cinque minuti. E la tosse peggiorò quando notò che alla staccionata Sam e Chloe ridevano di gusto e con loro Acceber, anche se lei almeno si copriva la bocca con una mano.

“Chissà come se la passano Helena e gli altri, intanto…” si disse.

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«Uff, in questo deserto si soffoca… non mi abituerò mai a questo caldo! Mi manca la brezza di montagna del mio villaggio…» si lamentava maliconicamente Mei-Yin.

«Cosa? L’ultima volta che me ne hai parlato hai detto che era nella foresta» rispose Nerva.

«Sì, certo, una foresta di montagna. Ricordo che, da piccola, quando sapevamo di non rischiare un attacco dei Turbanti Gialli, io e altre bambine andavamo nelle radure a dar da mangiare ai panda»

«Cavolo, questo dettaglio è così tenero che non sembri nemmeno tu, Mei!» scherzò Helena.

«Quando passi la vita combattendo, è ovvio che dimentichi la tenerezza» sospirò la guerriera.

«Comunque, io sono decisamente a posto coi deserti: sapeste quante spedizioni ci ho fatto, tra l’Outback e il Namib! Ciò non toglie che sia una tipa costiera, però… viaggiare per il mondo a studiare gli animali aiuta a farsi crescere i peli nello stomaco. E tu, Gaius?»

Il Romano alzò le spalle:

«Non sono stato in tutte le province dell’Impero, ma nel periodo dopo la promozione a decurio sono stato a Cartagine. Avevamo un castra nel deserto per tenere a freno i saccheggi dei predoni ed era lì che il caldo si faceva sentire»

«Eh, vabbè, ma lì è mitigato dal vento di mare, come qui! Hai idea di come sia il centro dell’Australia?»

Mentre i tre compagni conversavano e marciavano verso le formazioni rocciose che torreggiavano al centro del deserto, anche i velociraptor si parlavano a modo loro: Usain e Hei si scambiavano uggiolii e scuotevano le code come segnali, Ippocrate si affilava gli artigli della zampa anteriore, poi si faceva aiutare da Alba a pettinarsi le penne e così via. I velociraptor erano così abituati a socializzare e organizzarsi fra loro, da crearsi dei “branchi” anche in cattività, non importava quanto e quando stavano insieme. Così, ridendo e scherzando, al tramonto, il quale dava un’atmosfera talmente magica e incantevole ai dintorni che Helena l’avrebbe osservato in silenzio per sempre, arrivarono ad una convergenza delle gole scavate tra le formazioni rocciose ed ecco che arrivarono alle rovine pre-arkiane, che per qualche motivo i Piedi Sabbiosi chiamavano “Nosti”, un nome che in arkiano non esisteva e non significava nulla.

«Giusto per sfizio, guardatevi bene intorno: se vedete incisioni come quelle alla montagna, avvisatemi. Voglio sapere di più su questa storia!» chiese Helena.

«Io mi preoccuperei più che altro per dei predatori, in tutta onestà» disse Mei.

Mentre si aggiravano per gli edifici antichissimi e ormai ridotti in macerie, Nerva fece notare quanto facessero pensare alle abitazioni egizie: struttura quadrata, tetto-terrazzo piatto, muri bianchi… dunque era quello lo stile a cui i Pre-Arkiani si erano ispirati in quel bioma. Arrivarono al piedistallo ed Helena, scesa da Usain, mise il manufatto sottratto all’uomo con la bombetta e lo ruotò come di consuetudine. Si aprì la fossa con la nicchia e lei scese a prendere il nuovo tassello del mosaico. Poi, però, si ricordò che Mei e Gaius non avevano visto il portale che conduceva a Machu Picchu, avevano solo sentito il racconto; le venne quindi la tentazione di vedere dove portava quel sito, ma Nerva la riportò alla realtà indicandole qualcosa: in effetti, una curiosa incisione era presente, sul muro della casa più vicina al cerchio di colonnine attorno al piedistallo.

«Ma quello non è un pittogramma, è un messaggio in geroglifico e…Oddio, c’è una scritta in geroglifico egizio e una nella mia lingua!»

Si avvicinarono e osservarono meglio la scritta, che si presentava più o meno così:

Helena si strofinò le guance, pensosa, mentre leggeva:

«Dahkeya… suona molto pellerossa. E il fatto che lo chiamassero con un nome legato agli animali lo conferma. Raia… be’, se questo è il tipico messaggio d’amore, immagino che la sua amata sia egizia»

«Lo è sicuramente, scrive come gli Egizi! E poi Raia est nomen che sentivo molto spesso quando con le copiae passavo dalla valle del Nilo» disse Nerva, a sostegno della tesi.

Helena rimuginò sulle origini dei due autori della scritta: Dahkeya era un pellerossa ed era un fuorilegge, era probabile che fosse approdato su ARK mentre attraversava il Pacifico. Aveva sentito di fuorilegge del Far West che cercavano di fuggire negli arcipelaghi del Pacifico per sfuggire alle autorità, quindi poteva essere il suo caso. Ma Raia? L’unica spiegazione logica era che avesse trovato il portale pre-arkiano dall’esterno e avesse usato quello per raggiungere l’isola senza fare il giro del mondo, alla sua epoca impossibile. Fu riportata alla realtà da un’improvvisa esclamazione preoccupata di Mei:

«Dobbiamo andare via subito! I velociraptor si innervosiscono. Ci sono dei predatori!»

Appena finì di dirlo, da qualche parte provenne un sibilo inquetantissimo, che faceva gelare il sangue. Non era quello di un serpente, anche se vi somigliava tanto: era sicuramente un insetto. I velociraptor si voltarono verso una delle case ed emisero un grido intimidatorio, avvicinandosi gli uni agli altri. Helena aveva un vago sospetto di a cosa appartenesse il sibilo, l’aveva già sentito. Ma Mei e Gaius non ne avevano la minima idea, per cui si affrettarono a chiederglielo mentre mettevano mano alle spade.

«Oh, no…» mormorò la biologa, terrorizzata.

Almeno una decina di altri sibili risposero ai velociraptor da tutte le parti, intimidendoli. I quattro rettili formarono un cerchio di loro spontanea volontà e presero a guardarsi attorno con la massima attenzione, occhi e orecchie tesi.

«Mantidi spadaccine… raggruppate… siamo in un nido!» rivelò Helena.

«Mantides?» chiese Nerva, perplesso.

Un grido stridulo alle loro spalle attirò la loro attenzione e i velociraptor si voltarono: sul tetto della casa con la scritta d’amore, era apparsa una mantide di due metri. L’insetto, verde smeraldo e con l’esoscheletro traslucido, si mise in posa di minaccia spalancando le zampe a falce e sollevando le ali, sibilando. Subito dopo, tutt’intorno, ne apparvero molte altre. Alcune uscivano dalle finestre delle case, altre da buchi nelle rocce, altre spuntavano dal bordo della gola. Alcune erano verdi, altre erano un po’ più piccole e arancio come zucche. Erano circondati.

«Sono terrificanti!» esclamò Mei.

«State molto attenti a non farvi colpire: una zampata delle loro potrebbe tagliarvi in due! Non avete idea di cosa abbia visto quando le studiavo…» avvertì Helena.

Fu interrotta dalla mantide sul tetto, che balzò giù per attaccare proprio lei. Usain fu abbastanza fulmineo per scartare di lato all’ultimo, mentre la sua padrona si reggeva meglio che poteva, scossa. Mei-Yin spronò Hei ad attaccare subito dopo: prima che l’insetto facesse qualcos’altro, il velociraptor nero le saltò addosso e la bloccò a terra premendo sulle zampe con gli artigli e serrandole il collo tra le fauci. La guerriera puntò la spada contro la testa della mantide sporgendosi dalla sella di Hei e la infilzò, uccidendola. Un fiotto di sangue biancastro la insozzò tutta e dovette sforzarsi per non vomitare dal disgusto. Intanto, Nerva preferì scendere da Alba per non renderla troppo goffa col suo peso. La velociraptor cadida scattò in avanti verso la mantide più vicina: le due creature ebbero un breve scontro, ciascuna delle due attaccava a vuoto e schivava con prontezza i colpi dell’altra. Il centurione, a piedi, schivò la zampata di una delle mantidi arancio, ma fu colpito di striscio: la falce affilatissima squarciò il suo abito e incise una lunga ferita obliqua lungo tutto il corpo, dalla spalla destra fino al fianco sinistro. Nerva ignorò il bruciore della ferita a denti stretti e compì una scivolata, andando sotto la pancia dell’insetto. Mentre slittava sulla sabbia, sollevò la spada e aprì in due lo stomaco della mantide, sporcandosi a sua volta e ammazzando la creatura. Alba, finalmente, trovò il momento adatto a spezzare la guardia della mantide e le afferrò la testa, quindi gliela staccò di netto con uno strattone. Helena decise di mandare Usain in soccorso di Ippocrate, che stava per essere circondato perché si era isolato troppo: uccise due mantidi, ma una terza lo soprese alle spalle e lo colpì in testa, cavandogli l’occhio destro e mozzandogli alcune piume sulla testa. Il velociraptor, in preda al dolore e confuso, prese a girare su se stesso a caso, non riuscendo a mettere le immagini a fuoco solo con l’occhio sinistro. Un’altra zampata lo graffiò sul fianco, facendolo cadere. Usain intervenne prima che il compagno fosse ucciso: saltò sul dorso di una mantide e le aprì il torace con fulminee artigliate. Helena, scesa a terra, prese la balestra e, anche se non era tanto ferrata, riuscì a colpire la testa di un’altra perché era grossa e alquanto vicina. Mei, nel frattempo, aveva aiutato Hei ad ammazzarne altre e Alba uccise le ultime, anche se fu colpita alla caviglia. Erano sopravvissuti, anche se non ne erano usciti per niente illesi. 

«State bene?» chiese Helena, ancora col fiato corto.

«Insomma…» borbottò Nerva, tenendosi una mano sulla ferita e controllando la zampa di Alba.

«Penseremo a sistemarci una volta tornati dai ragazzi. Helena, pensi che ce ne siano altre in giro?» chiese la Regina delle Bestie.

«Molto probabile. Devono essere a caccia o in cerca di una tana migliore»

«Allora non aspettiamo di incontrarle e partiamo. Forza, muoviamoci!» esortò Mei.

«Be’, e anche questa è fatta!» sospirò Helena.

Spronando i velociraptor, anche se ad Alba fu concesso di camminare per non sforzare troppo la zampa ferita, iniziarono il ritorno. Intanto, in cielo, cominciavano a spuntare le prime stelle, tra cui spiccava Venere.

   
 
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