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Autore: Nadine_Rose    31/07/2019    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Caro lettore,

prima di immergerti nella lettura di questo capitolo, ti consiglio di rivedere le parti in corsivo del capitolo 6: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3821421&i=1.

Grazie e buona lettura!

 

Capitolo 12

 

Ebrea per un quarto

 

Seconda parte

 

- Nel mare verde dei tuoi occhi -

 

“Alla fine, ai miei occhi tu eri destinata.”

Pablo Neruda

 


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12 febbraio 1944

 

Sarah aveva smesso di piangere. Tutti nel treno, stretti come sardine, erano stanchi e non versavano più lacrime. I bambini, assieme ai quali era stata arrestata, dormivano, mentre don Franco pregava sommessamente, in un frenetico movimento di labbra, senza rosario, spezzato e perso durante la colluttazione in chiesa da quelli che non avevano alcun dio da temere.

“Dove ci portano?” gli aveva domandato Sarah, conoscendo già la risposta e, intanto, guardò uno dei bambini più piccoli, chiedendosi cosa avrebbe mai fatto un bimbetto come lui in un campo di lavoro forzato in Germania.

Li avrebbero uccisi tutti, come aveva detto suo fratello prima di andar via, e a confermarglielo era stata la risposta di don Franco, priva di una qualsiasi illusoria speranza: “Prega, figliola, prega.”

Si sentì attanagliare il petto da una morsa di paura e rassegnazione, mentre il sovraffollamento e la puzza nel treno, destinato in realtà al trasporto di animali, diventavano sempre più opprimenti. Poi, anche lei, un po’ per stanchezza, un po’ per evasione, chiuse gli occhi e si ritrovò bambina, a correre sulla spiaggia di Santa Marinella, inseguita da suo fratello.

Era il ricordo della loro unica vacanza al mare. Poteva ancora sentirne gli odori, vedere i suoi piedi immersi nella sabbia, udire le risate di suo fratello e le proprie.

Non avrebbe mai più rivisto il mare, suo fratello, i suoi genitori. Sarebbe morta lontana dai suoi cari, in una terra straniera e ostile, più dell’Italia, nell’inferno di un campo che, probabilmente, non era soltanto di lavoro forzato, senza mai conoscere l’amore, senza che il suo grembo conoscesse mai il battito di una vita. I sogni che coltivava sin da bambina si erano infranti, decomponendosi in fretta e rilasciando lo stesso puzzo che imperava nel treno, spirando tra i gemiti di persone innocenti condannate a morte e gli strepiti di un vagone fatiscente.

“Sarah! Sarah! Svegliati!” fece l’anziano sacerdote, scuotendole un po’ il braccio.

Sarah aprì gli occhi, confusa, scarmigliata e, come tutti gli altri, balzò in piedi. Il treno si era fermato.

“Vieni a vedere, Sarah!” proseguì don Franco, con voce di concitata euforia, invitandola a guardare attraverso una fessura del vagone. “Il Signore ha ascoltato le nostre preghiere: siamo ancora in Italia!”

Un raggio di sole sembrò illuminare il cartello della stazione di Carpi, facendolo brillare di mille colori, mentre una voce maschile dal tono pacato e dalla dizione impeccabile, rivolgendosi proprio all’anziano sacerdote, disse: “Qui vicino c’è un campo di concentramento italiano con personale italiano. Sicuramente rimarremo lì fino alla fine della guerra. Ormai manca poco.”

Gli occhi di Sarah, che continuavano a fissare il cartello attraverso la fessura, si velarono di commozione.

“Hai sentito, Sarah?” fece don Franco, anche lui palesemente commosso, ponendole una mano sulla spalla. “Possiamo ancora sperare.”

Ma le porte del treno furono aperte con violenza da quelli che non erano soldati italiani.

E i tedeschi urlavano, un po’ nella loro lingua e un po’ in un italiano stentato, spingevano, strattonavano, picchiavano e aizzavano i loro cani ad abbaiare rabbiosamente contro i malcapitati. Era forse come quella di Fossoli l’accoglienza all’inferno?

Durante il breve tragitto in camion, il volto di don Franco si era corrugato in un’espressione preoccupata e impaurita che non aveva più cambiato, i bambini erano sempre più stremati e insofferenti, mentre Sarah continuava con fatica ad aggrapparsi al conforto di essere ancora in Italia.

Si sentì piccola piccola tra le baracche di un campo che le sembrò grande quanto un’intera città, ancor più fragile nella confusione di una moltitudine di persone disorientate, spaventate, maltrattate da soldati crudeli che sembravano più grossi di quello che in realtà erano.

E, davanti a lei, un tedesco, con indosso una divisa diversa dagli altri, colpì con il frustino un uomo, per poi strattonarlo con violenza. L’uomo rischiò di inciampare, ma a cadere fu lei. Le mani di Sarah sprofondarono nel terreno fangoso e, per un soffio, non sfiorarono gli stivaloni neri dell’ufficiale. In quei pochi e interminabili secondi, poté sentire i battiti accelerati del proprio cuore, che pulsava forte contro la terra sulla quale era distesa, e il respiro farsi più corto e affannoso. Quasi volle piangere, non per il dolore della caduta, ma per la paura di ciò che le sarebbe accaduto, una volta rialzatasi.

Prima che don Franco potesse porgerle una mano per aiutarla, Sarah si fece forza sulle braccia e sulle ginocchia indolenzite e, tremante, si rialzò lentamente. La prima cosa che vide, alzando un po’ lo sguardo, furono due spalle larghe su di un corpo alto e imponente. Ma non le arrivò nessuno schiaffo, nessun colpo. Impaurita e confusa, osò alzare ancor di più lo sguardo e s’imbatté in due occhi verdi, le cui sfumature le ricordarono i colori del mare che aveva rivisto in sogno.

Un breve scambio di sguardi e gli occhi di Sarah, come distese di grano tra le mani del vento, s’incrociarono con le profondità oceaniche di quegli occhi smeraldo. Il viso cereo e severo dell’ufficiale, per un attimo, sembrò addolcirsi e anche la sua postura, fiera e sprezzante, andò rilassandosi. L’inferno non doveva essere poi così terribile, se chi ne era a comando possedeva quegli occhi e aveva avuto pietà di lei.

 

“Sulla terra io e lei,

eravamo amanti e stranieri io e lei.

Io e lei,

eravamo il mare e la terra io e lei.

Dimenticando il tempo,

né ieri né domani.

Io e lei,

sulla terra io e lei.”

 

Riccardo Cocciante, Sulla terra io e lei

   
 
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