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Autore: Diana LaFenice    01/08/2019    0 recensioni
«Sapevi che esistono ben più di ottantotto costellazioni, nella volta celeste? Alcune sono scomparse, altre esistono già, alcune sono visibili a occhio nudo e altre ancora devono ancora nascere. Invece, alcune sono talmente lontane che non possono essere viste neanche con il telescopio più potente del mondo. Io le conosco tutte, io le vedo e le sento tutte. Eccole, sono proprio qui, davanti a me, le sento sulla punta delle dita».
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le Tre Porte


Seiya

Il temporale che funestava questa notte non accennava a smettere e tu non ti sentivi ancora di rientrare nella tua Casa. Non ti ricordava affatto quello della Guerra Sacra contro Poseidone, in esso non avvertivi l’influsso del Dio dei Mari. Ma questo non lo rendeva meno spaventoso persino per te, che non avevi mai avuto paura dei fulmini.
Adesso dovevi fare il tuo dovere di Custode della Nona e stare all’erta. La tua corazza accentuava ancor di più la tua grandiosità e ti faceva sembrare ancora più forte di quanto eri. Vero che sulle tue spalle era stato posto un grande fardello, l’eroe del Santuario. Per anni non avevi mai ascoltato le voci che ti volevano come il deicida. Titolo che condividevi con i Gold Saint, altrimenti non sarebbero mai stati rinchiusi nella statua da cui la Dea aveva tanto faticato per tirarli fuori. L’avevi sempre trovata un’ingiustizia, ma non ti eri mai sognato di sacrificarti al posto loro. Non per cattiveria, ma perché non era nella tua indole.
La tua indole era quella di salvarli tutti. E avresti agito così anche stavolta, perché tu eri il Salvatore. E, questa certezza non era cambiata.  
Fossi stato un uomo qualsiasi avresti detto che la cosa migliore da fare, sarebbe stato pregare la Dea per avere una risposta. Tu che la Dea la servivi non sapevi neppure da che parte cominciare per elaborare una strategia. Anni e anni al Suo servizio e, ti rendevi conto, di essere ancora un uomo d’azione. Avevi le idee, ma tu eri un Saint che aspettava la chiamata della Dea e, nel frattempo, parlava con Kouga e Aiolia dell’imminente battaglia.
L’erede della tua vecchia cloth sembrava fiducioso in una risoluzione e, tu, guardandolo, in un certo senso ti ci rivedevi. Aiolia invece ti dava una sicurezza in più. Lui aveva combattuto i Titani e aveva sconfitto Chronos. Se avevate vinto anche l’ultima Guerra Sacra contro il Gran Dio Zeus, lo dovevate proprio a lui e a Shura.
Ma oggi eravate preoccupati. I tuoi fratelli avevano già affrontato Odysseus di Ophiuchus e ne avevano parlato come un avversario formidabile che avevano sconfitto a fatica, anche grazie all’aiuto del Cavaliere di Pegasus dell’epoca. Avevi percepito anche tu lo scontro tra Aldebaran, Shaina e gli altri, ed eri rimasto sconvolto nel vedere che l’unica che effettivamente poteva tenergli testa era la sua allieva.
Tu per tutto il tempo avevi stretto le mani i pugni e ti eri morso il labbro quasi a sangue per la tensione. Di fronte a tutto il potere che l’Apprendista del Gold Saint Maledetto aveva sprigionato, ti eri sentito perso. Ma non ti eri sentito di condannare la giovane. Perché durante la Guerra Sacra, voi quattro agiste esattamente come lei, mentre i Gold vi intimavano di andarvene. Più passava il tempo, più rivedevi la vostra tenacia e, una parte di voi stessi, in quella giovane che ora non era più. Anche se non amavi ammetterlo, Kouga e Astrid ti avevano ricordato cosa significava essere dei Bronze Saint e che, anche se eri meno potente di quanto sembrava, non significava né che lo fossi davvero, né che foste solo pedine da sacrificare. Anche se la tua ingenuità di ragazzino si era offuscata fino a scomparire quasi completamente, non avevi perso l’ottimismo. E, qualcosa ti diceva che, da questa battaglia sareste usciti vincitori, come sempre. Dopotutto voi eravate i Cavalieri della Speranza per ammissione stessa della Dea Atena. 
Sebbene non fosse come quando combatteste contro la Dea della Luna, il Dio del Sole e Mars, voi eravate Saint, sareste usciti vincitori anche da questa crisi.
Staccasti la lama di Amaterasu e l’impugnasti con la solennità che ti era propria. 
Kiki non era ancora tornato ufficialmente in servizio e adesso spendeva tempo a creare quei fermagli e quei gingilli a forma di uccello segretario. Che poi perché proprio quella forma non ve lo sapevate spiegare, né il giovane Aries era intenzionato a darvi delucidazioni.
Tuttavia, quando l’avevano convocato, non ti era sfuggita la nuova luce che animava quelle iridi violette. Che facesse qualsiasi cosa, ma che tornasse a combattere per la Dea alla svelta.
Perché il tempo materiale non l’avevate e, adesso che Astrid era venuta a mancare, anche altri Saint e civili erano morti, ti rendevi conto che eri un ben misero Salvatore. Le persone contavano soprattutto su di te e, tu eri impotente. E, questa condizione d’impotenza ti faceva incazzare.  
Nel profondo dell’anima sentivi questa rabbia bruciante verso te stesso. A causa della tua impotenza le armate della Dea si erano ridotte a  cinquantasei elementi. Avevate sbagliato a riporre tutta questa fiducia in Astrid e a non cercare un metodo di salvezza alternativo. Non avevate mai avuto a che fare con una tragedia simile. A sentire il Venerabile Shion, gli archivisti e i bibliotecari, neanche durante la peste del Milletrecento il Santuario si era ritrovato tanto in difficoltà. Chiunque ci fosse dietro tutto questo era evidente che vi stava attaccando, che fosse una dichiarazione di guerra. E anche la maggior parte dei tuoi colleghi la pensava così. Persino Kanon la vedeva a questo modo.
Ma quale Dio si celava dietro questi attacchi? L’unico che sembrava capace di una cosa simile era Hades, ma il Dio dei Morti aveva negato con tutto sé stesso per bocca di Shun. E, di Shun tu ti fidavi.
Aiolia, invece, doveva ancora fare i conti con questa rivelazione. Non l’aveva presa molto bene ma il solo frapporsi di tutti voi davanti a tuo fratello, l’aveva fatto desistere da ogni proposito d’attaccarlo. Peccato che non foste riusciti a impedirgli di lanciargli uno sguardo di pura delusione.
Se non altro, non era colpa sua.
La colpa era di Odysseus. Chissà quali segreti custodiva e di cosa era davvero capace. Forse c’era veramente lui dietro a tutto questo. Era logico. Quel Redivivo che faceva concorrenza ai risorti demonizzati di Pet Sematary di Stephen King, ma pure a una crisi interna che, in confronto, l’usurpazione di Saga fu un patriarcato come un altro!
Il Gold Saint di Ophiuchus non vi attaccava perché legato dal giuramento di Ippocrate, ma sospettavate tutti che da un momento all’altro, avrebbe messo in atto la sua minaccia. Come molto tempo prima.
Ogni giorno temevate che potesse usare le sue tecniche per attaccare. Avevate persino chiuso le vie d’accesso ai collaboratori domestici per proteggerli. Ma ora ti domandavi se fosse l’idea migliore.
Le missive dal Regno dell’Oltretomba erano cessate e Hades stesso si rifiutava di concedervi udienza. Shun sosteneva che Hades sembrava distratto, per non dire altrove, ma di più non sapeva concedervi altre informazioni. Tu cercavi di stressarlo il meno possibile, apparentemente per empatia, dal momento che non doveva essere facile ospitare un Dio dentro di sé. Ma la verità era che in realtà avresti voluto che Hades rispondesse. Ma neanche il Saint di Virgo riusciva a richiamarlo a sé, neppure con l’aiuto di Fudo, il quale, stava già soccombendo all’influsso delle Creature. Avevate voglia di trattenere il vostro Cosmo più che potevate, questi esseri non avevano bisogno di uccidervi toccandovi. Era come se vi disfaceste pezzo dopo pezzo, come scogli erosi dalle onde. Con la differenza che non sareste scomparsi in una decina di millenni, nel vostro caso era questione di mesi, forse di giorni. Persino la Somma Atena era disperata e cercava di alleviare come poteva la situazione.
Si era pure offerta di conferire con il Gold Saint di Ophiuchus. Tanto, l’aveva già affrontato una volta, se queste Creature erano opera sua come ormai si pensava, allora le avrebbe fermate.
Il solo sentirla ponderare quest’ipotesi ti aveva fatto sgranare gli occhi per il terrore. E lo stesso anche al resto dei tuoi fratelli.
La Vostra Dea era tanto gentile e disposta a sacrificarsi per voi, sapevate quanto l’amavate, ma

In un momento di crisi come questo non potevate permettervelo. Dovevate organizzare le linee di difesa e proteggere soprattutto le Dee e Shaina. Sebbene la moglie di Aldebaran fosse una Silver Saint, una veterana della Guerra Sacra contro gli Inferi, era ancora estremamente vulnerabile all’influsso del suo predecessore Gold Saint. Correvate il rischio che la donna potesse diventare il suo effettivo ricettacolo.
Anche se la Dea sembrava non pensarci, sapevi quanto in realtà fosse preoccupata per la maestra di Kouga di Pegasus. Il quale, si era offerto di starle accanto, suscitando lo sdegno della fiera Sacerdotessa-Guerriero. La quale, adesso, si stava allenando proprio con il Gran Sacerdote, sotto la supervisione della Dea, per diventare abbastanza forte per affrontarlo. Kanon aveva deciso di scommettere tutto su di lei, in vista di una battaglia decisiva contro Odysseus.
Ti portasti una mano sulla faccia e sospirasti. Tra tutte le disgrazie che potevano capitare ora c’era anche questo. “Spero che tu sappia cosa stai facendo, Shaina”. Le augurasti, preoccupato. Perché l’eroe di questa battaglia non eri tu.

Stavi ancora pensandoci quando fosti chiamato alla Tredicesima. Ti girasti e vedesti Hyoga, con indosso la Gold Cloth di Aquarius. «Hyoga, che ci fai qui? Non dovresti essere all’Undicesima?»
«C’ero, ma Lady Isabel vuole vederci».
«Adesso? Ma perché?»
«Dice che è importante».
Così seguisti tuo fratello. Appena alla Decima Shura chiese spiegazioni anche a te ma rispondesti soltanto di non sapere che cosa volesse la Dea. Per un momento avevi temuto il peggio. Ossia che questo fosse un falso Hyoga e fosse tutta una trappola.
Una volta nella sala delle udienze, chiedeste alla Dea assisa sul trono il motivo della vostra convocazione. «Desiderio che andiate a cercare dei carteggi. Non è un’impresa che affiderei a cuor leggero a un Saint di qualsiasi rango in questo momento, però è di vitale importanza che li troviate».
«D’accordo, milady, che cosa sono?»
«I miei antichi disegni delle cloth. Non sono per me, ma ho saputo da fonte certa e attendibile che qualcuno si è messo sulle sue tracce, dobbiamo trovarli prima di loro. Vi recherete nel Nepal ai piedi del Massiccio dell’Annapurna, dove vive la Bronze Saint di Horologium, lei vi darà tutto ciò di cui avrete bisogno. Ora andate e, per favore, tornate da me».Vi pregò, guardandovi preoccupata. Di fronte a quello sguardo, notasti che persino Hyoga si ritrovò in difficoltà. Perché non ti sfuggì il tremito nella voce, quando rispose: «Sì, state tranquilla», di poco antecedente al tuo entusiasta: «Torneremo prima di quanto possiate immaginare!» Cui la Dea sorrise speranzosa. Come facevi a essere sempre così ottimista? C’erano delle volte in cui ti sorprendevi da solo. Sarà perché eri stanco di essere guardato con tanto riguardo dalla Dea e dai tuoi fratelli. Nonostante le Vestigia che indossavi, per un momento avevi voluto tornare a essere solo il Bronze Saint di Pegasus. Anche se era una recita a esclusivo beneficio della Dea che servivate.  

Non eri mai stato sicuro che anche i tuoi fratelli la seguissero per effettiva devozione. Fatto sta che avevate scelto di seguirla perché vi aveva dimostrato di non essere più la bisbetica tiranna, che era da bambina. Più che lei, ed era evidente, era Kanon a gestire il Santuario, Lady Isabel non era per niente idonea e carismatica e, questo era palese. Tuttavia i suoi ordini erano comunque ordini.
Durante il viaggio sul jet privato della Fondazione, non poteste fare a meno di pensare. Almeno, tu. Mentre Hyoga era in pena per Natasha. Prima di andare via l’aveva affidata a Shun, il quale, mosso a compassione, l’aveva accolta ben volentieri alla Sesta. Anche a te era dispiaciuto lasciare la tua famiglia. La sentivi molto più così da quando Natasha era entrata a far parte delle vostre vite. Persino quel solitario di Ikki si faceva vedere un po’più spesso per stare in compagnia della nipotina acquisita. A volte le portava addirittura un regalo dai suoi viaggi. L’ultima volta le aveva portato una tavoletta di cioccolato, con grande sdegno di Hyoga. «Ikki! Domani Natasha ha il dentista!» Gli aveva urlato mentre la bambina se l’era già filata tutta sghignazzante a mangiare la cioccolata. Ti era impossibile non ridacchiare di fronte a questa scena. A Natasha avevi insegnato qualche canzoncina popolare giapponese. Eri contento che Hyoga avesse una famiglia tutta sua e che fosse coadiuvato anche da Milo, che, per lui restava un ponte verso Camus.
Tu neanche te lo immaginavi che Scorpio e Aquarius fossero amici. Già per te fu un colpo scoprire che Saga aveva un gemello e che Aiolia era il fratello minore di Aiolos. Anche per Hyoga fece un po’impressione questa scoperta, ma si adattò subito. Ebbe persino il coraggio (dopo tutti questi anni) di ringraziare Milo per aver donato il sangue necessario per resuscitare la sua antica Cloth.
Il quale liquidò il tutto con un sorriso e un cenno: «Non mi devi ringraziare, l’ho fatto volentieri. In fondo sei stato tu ad aprirmi gli occhi». Aveva aggiunto poi.
Hyoga però non poteva perdonargli della sua frequentazione con Astrid. In quanto genitore tendeva a non fidarsi molto di Astrid. Fiducia che andò cancellandosi definitivamente quando saltò fuori la vera identità della ragazza. Anche se non disse niente, si limitò a tenersi dentro tutto. Probabilmente ne aveva parlato con Shun, che era il suo miglior amico. A te dispiaceva per Astrid, anche se nessuno ti aveva chiesto di proteggerla, sentivi di aver mancato al tuo dovere in qualche modo. In un certo senso ti ricordava la morte di Cassios. Solo che ci avevi messo un po’per capire perché. Cassios si era sacrificato per aiutarvi, anche se diceva il contrario, proprio come Astrid. E, come Cassios, anche lei era morta. Neanche sapevi se conosceva le proprietà del Cosmo. Il fatto che Odysseus continuasse a chiedere di lei sembrava una grossa stronzata. E ti sentivi ancora più incazzato. Neanche quando Tatsumi vi spedì a recuperare i pezzi della Cloth di Sagitter ti eri mai sentito tanto preso in giro. E sì che di motivi per incazzarti ne avevi a bizzeffe. In primis con

Lady Isabel e quel suo ricatto. Se non fosse che ormai eri abituato a combattere e che non sapevi fare altro, l’avresti anche mandata a quel paese. Però qualcosa ti spingeva a dare la vita per lei.
Sotto questo punto di vista, Ikki ti sembrava veramente un estraneo per la sua non devozione alla causa.  
Aveva scelto di riprendere le Sacre Vestigia della Fenice fintanto che Aiolia sarebbe rimasto vivo. Ma, ancora, continuava a non dare a nessuno indicazioni su dove si trovasse e cosa facesse quando non combatteva insieme a voi.
«A cosa pensi, Seiya?» Ti chiese Hyoga, dopo qualche ora di volo.
«Pensavo a Ikki».    
«Ikki? Perché?»
«Boh, non lo vediamo tanto spesso e quando c’è non vuole mai dirci che cosa fa».
«Saranno affari suoi, non credi?» Rispose, glaciale come al solito.
«Sì, senza dubbio, però sarebbe bello vederlo un po’più spesso che non in situazioni d’emergenza».   
«Piuttosto, tu hai idea di come sia fatta la Bronze di Horologium?»
«Non ne ho idea, sinceramente, neanche pensavo che esistesse, né che fosse una donna. Davo per scontato che fosse un Saint, non una Sacerdotessa-Guerriero come Shaina».
Un sorriso divertito affiorò sulla bocca di Hyoga. Da quando aveva scoperto che tu eri stato il Saint che aveva “disonorato” la Silver Saint di Ophiuchus, ti prendeva in giro senza pietà. In effetti non ci si credeva, tu e Shaina eravate una coppia che, in effetti, non poteva stare in piedi. E poi, a te, Shaina, non l’avevi mai vista come un possibile interesse amoroso. Per questo eri contento che si fosse risolta così. L’unico che poteva comprenderti era Shun, ancora te lo ricordavi quando giunse da voi con June tra le braccia. Già, a proposito… Chissà se anche lei stava bene o se era già morta a causa delle Creature, come molti altri Saint e persone sulla Terra. Ti guardasti le mani rovinate e callose: tutti questi anni passati a combattere, tutto questo Cosmo e poi non era servito a niente. Questa Guerra era inutile. Anche tu risentivi del progressivo indebolimento che aveva spaventato la figlia di Aida, ma cercavi di affrontare questo disagio e questa paura a testa alta come sempre.        

Ma era pur sempre di Lady Isabel che stavamo parlando, per questo, quando scendeste all’aeroporto, non vi sorprendeste quando non vi accolse nessuno. Anche se avreste preferito, visto che del Jamir, a parte la regione della casa dei lemuriani, non conoscevate moltissimo. «Tanto valeva farcela a corsa!» Sbottò Hyoga amareggiato.
«Già». Concordasti deluso quanto lui. Fortuna che vi aveva almeno dato dei soldi per trovare rifugio in una guesthouse da cui sareste partiti l’indomani, dopo colazione. Quella notte la passasti ronfando beatamente tra le coperte.
L’indomani, con vostra enorme sorpresa, scopriste che per intraprendere il trekking al circuito avreste dovuto munirvi di due permessi. Neanche dire alla signora alla reception che eravate Cavalieri di Atena in missione vi servì a qualcosa. Così vi arrendeste e domandaste cosa bisognasse fare.
Dal momento che questo era un parco, avreste dovuto fornirvi dell’ACAP, con il quale avreste pagato l’ingresso vero e proprio e il TIMS con cui avreste pagato l’associazione delle agenzie di trekking che sarebbero giunte in vostro soccorso in caso foste scomparsi. O così o l’accesso ve lo sognavate e, avreste esposto i vostri reclami alle autorità locali e avreste ritardato di moltissimo la missione. Così vi minacciò la signorina, che avevate cercato inutilmente di convincere. «Non voglio avervi sulla coscienza». Aveva sentenziato.
Così vi eravate arresi. All’idea che qualcuno vi venisse a cercare avevate dovuto evitare di scoppiare a ridere in faccia alla poverina della guesthouse prima e dell’ufficio del Tourist Board di Katmandu (pure laggiù vi era toccato andare, ma a corsa, stavolta, che non avevate tanta voglia di andarci con i mezzi di trasporto classico) dopo. In teoria avreste potuto farlo anche a Besisahar, ma non ve lo potevate permettere, i vostri soldi erano contati.
Così doveste mettervi alla ricerca di una macchinetta per fototessere, litigare con la medesima perché il nuovo modello a uno scatto ne stampava già quattro e tu eri venuto male perché non c’eri abituato. Tornare al Tourist Board, scoprire che ce ne era una anche all’interno, imprecare e ridere di sé stessi a piacere, prima di compilare i moduli che vi furono forniti. Solo per rialzare la testa e piegarsi alla coda chilometrica che vi insegnò il valore della pazienza (come se già non la conosceste grazie alle grill house). Da lì la lotta assunse un nuovo obiettivo: cercare di ammazzare il tempo. Almeno Hyoga aveva chiamato Natasha e aveva passato il tempo a chiacchierare con la sua bambina. Ma tu? Tu con chi avresti potuto chiacchierare? Avessero avuto almeno una rivista o le parole crociate. No, non c’era neanche questo e arrendersi alla noia. Cosa che ti portò a cercare di ricostruire canzoni che avevi ascoltato decadi or sono e, di cui sopravvivevano appena una strofa o due nella tua memoria. Infine, accorgersi che quando avevi trovato qualcosa di divertente da fare, era già giunto il vostro turno.

L’uomo dietro il bancone vi spiegò tutto quello che dovevate sapere su questi permessi; parole che ascoltasti più tu che Hyoga, a onor del vero. Per questo per una volta, lo sorprendesti, quando vi ritrovaste ad avere a che fare con i primi check-post obbligatori dove i permessi venivano obbligati e timbrati.

Dopodiché vi recaste al punto di partenza, ossia Besisahar, che raggiungeste tramite alcuni autobus diretti (e ovviamente stracolmi di gente. Per fortuna foste accettati a bordo anche senza prenotazione; per vostra sfortuna foste anche costretti a mostrare il Pandora-Box all’autista perché dopo averveli visti sulla schiena, si era insospettito e aveva cercato di impedirvi di salire. Sfortuna tripla, quando tutti i turisti che erano lì ed erano stati richiamati dagli schiamazzi avevano visto, eravate diventati alla stregua di celebrità). Non avevate tuttavia preventivato la lunghezza del viaggio, che richiese tutta la giornata, la spossatezza e lo sconquasso che ne seguì. Non eravate per niente abituati a usare i mezzi a motore; preferivate correre, anche perché non avevi mai sentito il tuo stomaco fare su e giù con gli ammortizzatori e spostarsi lateralmente alle curve. In effetti fu un miracolo se non vomitasti in faccia a quei turisti che vi intrattenerono tutto il tempo. Anche quando doveste fermarvi per mangiare. L’autista non voleva che i passeggeri mangiassero in autobus. 
Hyoga si ritrovò a sfoggiare la sua migliore faccia amichevole, sviluppata grazie al suo lavoro di barman, per rapportarsi con queste persone. In realtà i suoi occhi azzurri tradivano tutto il fastidio che provava ad essere abbracciato, toccato e sottoposto a questi interrogatori. Una volta a destinazione, quando scendeste, scaricaste i bagagli e salutaste i vostri compagni di viaggio. Trovaste alloggio in un Lodge, una struttura rustica di pietra che fungeva anche da ristorante e vi garantì anche una doccia calda. Meno male che la stanza che riusciste ad accaparrarvi, per quanto spartana fosse, rientrò in un prezzo talmente basso che quasi fu un regalo. Se da altre parti vi avrebbero scannato vivi e buttato fuori a calci, qui non successe: evidentemente in Nepal si usava così. 
Nel tempo in cui la voce che eravate qui si spargeva, entraste nella vostra stanza. Spartana e disadorna come promesso, però con le pareti rivestite di legno e due letti separati dalle lenzuola rifatte. La stanza profumava di pulito e non c’era un solo filo di polvere. Posaste zaini e scrigni e ti accomodasti sul letto, tastandone la morbidezza.
Soltanto lì Hyoga rilassò le spalle e, smettendo la maschera d’impassibilità che finora aveva tenuto, si concesse di mostrarsi sofferente. Ma fu talmente inaspettato che ti spaventasti: «Che hai?» Chiedesti balzando in piedi, allarmato. Era stato attaccato mentalmente da qualcuno? Era ferito? Eppure non ti era parso d’aver percepito Cosmi ostili! Mentre ti arrabattavi per cercare una causa, fu lo stesso Hyoga a rispondere, con voce dolorante, portandosi le mani sull’addome: «Il viaggio, non ho sopportato l’autobus».
«Ah, ok, per un momento avevo pensato di peggio». Sospirasti di sollievo.
Si sedette a terra e mise la testa fra le ginocchia e tu smettesti di preoccuparti per stenderti a letto e fissare il soffitto. Solo dopo un po’disse: «Vado a farmi una doccia, ho bisogno di distendere i nervi». E si rialzò e andò a cercare il bagno.
«D’accordo, io vedo cosa può offrirci il ristorante, ordino anche per te?» Gli facesti, mettendoti seduto e lo accompagnasti con lo sguardo. Lui alzò il pollice in una passabile imitazione delle alzate di culo di Ikki prima di scomparire oltre la porta che si richiuse alle spalle.
Ti alzasti in piedi e ti stiracchiasti fino a far scricchiolare le vertebre della schiena, prima di uscire a tua volta.

Quando tornò dalla doccia sembrò decisamente più rilassato. «Ehi, ho ordinato il dal bhat e il succo di sciroppo di sea buckthorn anche per te, va bene?» Era una zuppa di legumi che chiamavano Dal con curry di verdure, riso bianco, papadam, cioè pane fritto e pickels, le verdure fermentate condita di salsa piccante.
«Non  l’ho mai assaggiato, ma va bene, purché non sfori le nostre finanze».
«Non lo fa, mi hanno detto che se fossimo andati altrove a mangiare, allora sì che avremmo incontrato un sovrapprezzo, mi hanno anche consigliato di fare colazione qui domani, sempre per ragioni economiche».
«Mi sembra logico, siamo i loro clienti». Fece con un tono tale che ti sentisti un perfetto imbecille.    
Decidesti di glissare su un altro argomento: «Ascolta, ho fatto qualche ricerca, stando ai siti di solito ci vuole un mese a passo d’uomo per chiudere il circuito. Noi dovremmo riuscirci molto prima, l’unica cosa che mi preoccupa sono i tremila metri; la cosa migliore da fare sarebbe costeggiare i villaggi, se il Bronze Saint di Horologium vive da queste parti, avrà comunque bisogno di mangiare e dormire; probabilmente vivrà a ridosso di questi o in uno di questi. Che c’è?» Chiedesti notando il modo strano in cui ti guardava. Il tuo amico si ricompose e se ne uscì con un: «Nulla» che ti fece inarcare le sopracciglia.
Bah, certe volte Hyoga era veramente strano.
«Quali sono i villaggi che hai visionato?»
«Bahundanda, Tal, Chame, Ghyaru e Ngwal, Manang e Braga. Ma ho i miei dubbi che il Saint viva così vicino, poi Gunsang, Yak Kharka, Letdar e Thorung Phedi. Se poi il nostro amico facesse parte del gruppo whatsapp del Santuario sarebbe anche più facile da localizzare». Il vostro era forse la più grande chat di gruppo che si potesse trovare nella storia delle chat. Ancora una volta vi ritrovaste a benedire questo ritrovato tecnologico che era andato a sostituire quasi perfettamente la telepatia.
«Ma non abbiamo tempo per girare tutto l’itinerario, che cosa dicono i nostri?»
«Leggi tu stesso». Facendogli passandogli il telefono.
Persino i colleghi Bronze non avevano la più pallida idea di dove si trovasse, né chi fosse. Neanche Kiki aveva mai sentito parlare di costui. L’unica informazione utile, vi giunse da un ragazzino di nome Nicolas. Disse che l’ultima volta che ne aveva sentito parlare, il Bronze Saint di Horologium si era stabilito presso il villaggio di Tal e da allora se ne erano perse le tracce. Se non altro, avevate un punto di partenza, anche se non avevate la più pallida idea di chi fosse questo Nicolas. Anche perché, ricontrollando i numeri e i nomi, non lo trovaste da nessuna parte. Ad ogni modo poteva essere l’unica pista che avevate e dovevate provarle tutte.    
Non eravate mai stati in Nepal. Neanche l’avevate mai attraversato, in un certo senso era una sorta di prima volta anche per voi. Però vi sentivate abbastanza fuori posto.
Anche perché, a causa del terrore delle Creature, neanche avevate provato a cercare di percepire qualcosa attraverso il Cosmo. E, comunque, qualcosa vi diceva che, se la Bronze Saint di Horologium non era già morta, a quest’ora probabilmente stava trattenendo il suo. Era come cercare un ago in un pagliaio. Ad ogni modo eravate Saint, perdersi d’animo non faceva parte del vostro vocabolario. 

Era un peccato che non vi foste documentati, il Nepal non era un paese solo di brulle montagne, come si vedeva nella maggior parte dei film ambientati in queste aree. Tuttavia la sua aria aspra era mitigata dal riscaldamento climatico e, persino dove vi trovavate c’erano fiori. Neanche vi aspettavate che avesse un clima tropicale, sebbene voi vi trovaste nel bel mezzo della stagione delle piogge, come preannunciava il cielo nuvoloso sopra le vostre teste.
Voi avreste preso il Percorso Annapurna o Annapurna Circuit. Secondo le guide turistiche avevate mancato il periodo migliore per fare il percorso, anche se vi consigliarono caldamente di percorrerlo in senso antiorario per una questione di acclimatizzazione; così avreste potuto collegare anche l’ascesa al Sanctuary nella parte finale.
Voi dubitavate molto di arrivare così in là: non eravate qui in viaggio di piacere. Tuttavia accettaste il consiglio, compraste qualche provvista e partiste zaino allacciato sopra gli scrigni. Avreste voluto noleggiare una jeep, dal momento che l’Annapurna circuit veniva percorso quasi per intero da mezzi a motore a parte il tratto Manang-Muktinath. Ma voi non avreste percorso la strada asfaltata, avreste preso i sentieri di itinerari secondari che alcuni volontari nepalesi avevano ricreato per ricreare il percorso originario. Trovasti affascinante questa dedizione dei nepalesi verso la loro storia e le loro radici. Si chiamava NATT, ossia New Annapurna Trekking Trail e, per vostra sfortuna, era un percorso segnalato con il sistema europeo. Solo che voi non avevate mai fatto una capatina sui sentieri europei, quindi eravate punto a capo. Ma una volta capito come funzionavano non ci furono problemi. Fece uno strano effetto seguire quelle buffe segnaletiche e rendersi conto che, salvo poche eccezioni, vi sembrò di poter assaporare per intero la sottile bellezza di questi luoghi. Fine come l’aria delle montagne che respiravate, dal fascino potente e pieno di vita. Era come se le creature leggendarie di questi posti vi osservassero incuriosite a ogni ponte e ogni bivio. E forse c’era davvero qualcosa perché era la prima volta che voialtri accusavate il mal di montagna. Come imparaste a vostre spese, il trekking dell’Annapurna raggiunse altezze impegnative anche di cinquemila metri, ma già a duemila avevate cominciato ad accusare i primi sintomi. Sintomi che peggiorarono una volta arrivati a tremilacinquecento con l’incrementarsi della nausea, del mal di testa, la stanchezza, il raschiamento alle pareti interne delle narici e il battito elevato. Subito comprendeste di aver fatto un errore di calcolo: per quanto allenati, non eravate abituati a sopportare queste altitudini e non vi eravate acclimatati ed eravate del tutto impreparati al mal di montagna.
Perciò per non stare peggio, decideste di salire con regolarità e con passo leggermente inferiore al vostro ritmo. Neanche potevate tornare indietro. Eravate a un punto morto.
In vostro soccorso però giunsero una comitiva di camminatori che vi aiutarono e vi somministrarono il paracetamolo e alcuni, si offrirono di riaccompagnarvi ai chilometri precedenti il vostro sentirvi male e restare con voi.
Compagnia che francamente accettaste volentieri e passaste a parlare di mappe, villaggi e sentieri, scoprendo che uno dei vostri accompagnatori aveva già fatto questo circuito almeno sei volte, tanto amava questo posto. Già, peccato soltanto che quando giungeste a Tal (che vi lasciò sconvolti  per le due cascate e il piccolo ruscello a nord), approfittaste dell’ospitalità dei locali per fare domande. Così veniste a sapere che anni prima effettivamente c’era un Bronze Saint qui. Solo che era morto e che aveva lasciato un’allieva.
«Un’allieva? Dov’è?» Chiedesti ma la signora del Lodge, si disse: «Desolata, ma temo di non potervi aiutare, la ragazza è andata via sei anni fa, crediamo che fosse diretta a Muktinath».
«Mukthinat? Ma è uno degli ultimi posti della mappa».
«Che ha di speciale quel posto?»
«Muktinath non è un villaggio, ma è un complesso di templi», v’informò giocosa. «Probabilmente vive laggiù».
Questo significava che la traversata continuava. A malapena tu eri stato a Okinawa e a Miho no Matsubara a Shizouka, tuttavia questa era la prima volta che potevi dire di aver visitato davvero un posto. Rallentare per voi Saint era una novità, ma non era affatto spiacevole e, anche se Hyoga non era socievole quanto Shiryu, la sua silenziosa compagnia non ti dispiaceva: questi, sebbene fossero luoghi molto belli, secondo te andavano assaporati in silenzio, per far sì che i cinque sensi si riempissero di tutto e cancellassero ogni preoccupazione dalla vostra mente. Adesso capivi perché la Bronze Saint di Horologium non avesse risposto al richiamo del Santuario e avesse deciso di restarsene in questi luoghi. Che, se già dall’atmosfera inebriante ti ricordava una pesca noce succosa e fragrante, non osavi immaginarli quando era bel tempo. Ossia la mattina, quello era il momento migliore, perché le piogge pomeridiane cadevano con una precisione impressionante.
Il cuore ti si allargò al solo pensiero e un sorriso affiorò sul tuo volto. L’unico tuo vero rimpianto fu quello di non esserti portato una macchina fotografica. Peccato anche che Hyoga non fosse neanche interessato a scattare foto. Eravate in missione, non c’era tempo per tergiversare. 
Poi, non ti dispiaceva camminare.  
Probabilmente per i civili non doveva essere quella scampagnata che per voi era.    
 per poi affrontare il passo del Torungh La dirigendovi verso la valle del Lower Mustang per poi arrivare a Ghorepani. Non trovaste ostacoli di nessuna sorta sul cammino, salvo qualche vescica sulle piante dei piedi e, doveste fermarvi per mangiare qualcosa e far riposare il vostro mulo.
Vi fermaste a Poon Hill per riposare a una delle tante ex Tea Houses che adesso erano diventate lodges hotel o guesthouse. Fu in una di questa che entraste.
Vi guardarono leggermente basiti, come se non fossero più abituati a sentire di gente patita di trekking. Superato il primo momento d’incertezza non ci furono problemi.
«Di solito la gente arriva qui in moto o in jeep». Commentò uno dello staff del personale scuotendo la testa. Sentisti le guance avvamparti per la vergogna. Ma che ci potevate fare se le vostre finanze non vi permettevano di noleggiare una jeep? A onor del vero tu neanche avevi la patente e non eri molto sicuro che Hyoga (che adesso ti rifilava occhiate assassine per la figuraccia) sapesse guidare.

Per questo a un tratto giungeste a una conclusione: «Basta! Non possiamo continuare così!» Sbottò Hyoga.
«Cosa fai?»

«Quello che avrei dovuto fare già da tempo!» Dichiarò posando lo zaino e togliendosi il Pandora-Box di dosso. Spalancasti gli occhi: «Sei pazzo? Attirerai le Creature!»
«Non se correremo alla velocità della luce e arriveremo a quel complesso». Ti fece notare mentre infossava la Cloth di Aquarius.
Non aveva tutti i torti neanche lui. Perciò lo imitasti e poi, zaino in mano, correste finalmente a destinazione, dove azzeraste il Cosmo e vi sfilaste le Sacre Vestigia.
A un certo punto sentiste una voce. Vi giraste e vedeste il vostro interlocutore. Era una vecchina curva e cieca da un occhio che vi si avvicinò. «Siete per caso dei Saint?»

«Sì e voi chi siete?» Domandò Hyoga accigliandosi. «Oh, ma siete una lemuriana!» Costatasti tu, notando le sopracciglia candide e ovali sul volto rugoso e macchiettato. La signora confermò.

«Era molto tempo che non si vedevano dei Saint da queste parti, cosa vi porta qui?»
«Stiamo cercando il, cioè la Bronze Saint di Horologium, sapreste dirci dov’è?»
«Perché la cercate?»
«É una questione di vitale importanza». 
Il volto della donna assunse un’espressione contrariata e, cercò di scacciarvi, solo che a metà frase s’interruppe e cambiò idea. Come se qualcosa l’avesse fermata. Dall’espressione che assunse, capiste che stava comunicando con qualcuno. Vi accigliaste, anche perché non percepiste alcun Cosmo. Poi la donna tornò in sé e vi disse: «D’accordo, venite con me, vi porterò da lei».
Poi vi anticipò. Si accorse che non la stavate seguendo, si girò e vi spronò a raggiungerla. Solo allora vi muoveste, perplessi.
Il Saint che cercavate non alloggiava nei complessi templari come Shaka, bensì nel villaggio di Ranipauwa, un chilometro sottostante. Se da un lato per voi fu meglio, dall’altro fu peggio, per via della discesa che affrontaste. Avreste potuto superare la nonnina, ma non era educato e, poi, non sapevate dove recarvi. 
Perciò scendeste in città e la signora vi condusse in una delle strade laterali. Si fermò di fronte alla porta di una casa anonima. Estrasse le chiavi dalla sua giacca e aprì. Poi si fece da parte per farvi entrare.

La prima cosa che notaste furono i campanelli appesi al soffitto che, suonavano a ogni movimento d’aria che entrava dalle finestre aperte. Poi, sentiste l’odore dell’incenso aromatico che addolciva l’aria. Infine notaste i numerosi alberi di ferro battuto con le foglioline di cristallo disposti dappertutto su ogni superficie piana. Anche il lampadario a forma di ruota a otto raggi era decorato allo stesso modo.
Un divano rosso con dei drappi era messo davanti al camino ardente che gettava una luce arancione nella stanza e sugli oggetti. il pavimento di legno era coperto di un tappeto colorato su cui erano sparsi cuscini ricamati comodi alla vista. La stanza, benché non fosse molto grande,  sembrava un misto tra un tempio e un appartamento disordinato. Le pareti erano decorate con arazzi e stampe orientali raffiguranti tennyo e tennin, il Buddha e vari Dèi della mitologia induista e buddhista che non conoscevate. Il tutto impreziosito dai riverberi iridescenti dei cristalli colpiti dalla luce del sole.
«Entrate, prego». Fece la signora spronandovi a varcare la soglia e tu e Hyoga obbediste, un po’titubanti. Poi la signora vi superò e andò a chiudere la finestra.

Per un attimo vedesti qualcosa di strano alla tua sinistra. Girasti la testa in quella direzione e vedesti il riverbero della luce riflessa dal piccolo salice di cristallo e ferro battuto. Ti avvicinasti e provasti a sfiorarlo delicatamente con la punta dell’indice. Appena lo toccasti fosti come risucchiato all’interno di una visione.
Un uomo biondo la cui chioma sfiorava le sue ginocchia e, l’armatura di Virgo, sulla soglia di un’altra casa, stava mettendo nelle mani di un vecchio lemuriano dai capelli d’argento il mala.
Shaka? Come se ti avesse sentito, quest’ultimo si girò verso di te e aprì lentamente gli occhi, mentre ti sorrideva felice di poterti vedere per la prima volta.
No, un momento, quello non era Shaka, questo aveva gli occhi più scuri ed erano quasi viola, quelli del Virgo che conoscevi te erano molto più chiari. Allora, chi era questo? Perché avevi la sensazione di conoscerlo? Era solo per via della somiglianza fisica? No, era qualcosa a livello più profondo. Poi un paio di mani si abbatterono sulle tue spalle e tornasti al presente. Ti girasti e vedesti gli occhi azzurri di Hyoga guardarti preoccupati: «Seiya, stai bene? Eri strano, non ti muovevi più e non mi sentivi, ti ho chiamato sei volte! Che cosa ti è successo?» Esclamò preoccupato.
«Io… io credo di sì ho visto… Ho visto un uomo». Facesti toccandoti la testa, anche se non ti faceva male.
«Quello è Asmita di Virgo». Rispose una delicata voce femminile, rispondendo ai tuoi interrogativi. Vi giraste a guardarla mentre questa continuava: «Avete smosso i miei campanelli di cristallo, per questo avete avuto una visione del passato». Era una ragazza con la maschera. Una Sacerdotessa-Guerriero. Dietro la sua testa, a mo’d’aureola delle iconografia cristiana, c’era il quadrante dorato di un orologio. I suoi capelli neri con le meches d’oro erano tenuti acconciati con quelle che sulle prime scambiasti per due bacchette, ma che, in realtà, capisti, erano le lancette del quadrante.
La Sacra Vestigia le cingeva il collo con un collare e le fasciava le spalle in un unico pezzo, scendeva sul busto con un collare curvo come un sorriso soddisfatto che teneva ferma la tunica monacale rossa aperta sui fianchi. Le braccia scoperte erano dipinte di elaborati tatuaggi all’henne, come le sue mani, adesso infilate nei bracciali della Cloth. Tuttavia le mani erano fasciate fino alla punta delle dita. Ai fianchi una cintura composta da una serie di anelli e ingranaggi che dovevano adornare il quadrante. Al centro del busto un robusto medaglione tenuto diagonalmente alla cinta e alle spalle e, le gambe, quel poco che si vedeva, erano cinte dai calzari della cloth. Ma era la maschera sacerdotale che v’impressionò più di ogni altra cosa. Il centro esatto era la punta del naso e da lì partivano dodici quadranti. La prima metà recante le fasi solari e la seconda, quelle lunari. Questi dodici quadranti a loro volta erano raggruppati in quattro insiemi di tre, recanti un simbolo e un colore specifico di una stagione. Cioè, da dicembre a febbraio erano azzurri, grigiastri e bianchi, da marzo a maggio erano di un bel verde punteggiato di colori, da giugno e agosto erano gialli come l’ocra e il grano e, infine, da settembre a novembre erano rosso arancio con tocchi di marrone. Gli occhi non avevano subito lo stesso trattamento ed erano ancora candidi e puliti, sì come la bocca. Eppure, avevate l’impressione che quegli occhi vi stessero osservando da mondi lontani. Che ne avessero viste di cose e che non avessero ancora smesso di osservare.
Era una maschera molto inquietante se ci si pensava bene, non è vero, Seiya? Era come se l’artista si fosse fatto un trip o si fosse visto qualcosa di psichedelico, prima di dipingerla. Solo in un secondo momento scorgeste anche il bindi in oro, simbolo dell’illuminazione al centro esatto della maschera. In un certo senso ti tornò in mente la Grande Guerra contro il Gran Dio Zeus che vi aveva portato a scontrarvi inizialmente con i Gladiatori di un’Altra Atena e una dimensione parallela. Il realizzarlo vi aveva fatto percorrere la schiena da un brivido, ma l’avevate ignorato e avevate combattuto.  
Non era la stessa sensazione che vi dette Shaka quando lo affrontaste, anche se era simile. Se Shaka vi dette più l’impressione di essere ultraterreno, questa ragazza vi sembrò una viaggiatrice di epoche, mondi e dimensioni tremendamente concrete. Ma a differenza del predecessore di Shun, non era ostile, tutt’al più era incuriosita.
«Voi siete la Bronze Saint di Horologium?» Domandò Hyoga sbalordito e forse meno impressionato di te.
«Certamente, vi stavo aspettando, per questo quando vi ho percepito ho detto alla cara Soraya di condurvi qui e accogliervi. Speravo che poteste arrivare prima, ma non è stato così. A quanto pare l’influsso delle Creature si è intensificato a tal punto che persino voi siete in difficoltà. Mi rammarico di non potermi muovere da qui, ma il mio compito me lo impedisce». Si scusò.
«Il vostro compito?»
«Ogni Saint ha un compito specifico, a me è stata data la custodia delle memorie del Santuario, capirete bene che è molto difficile che io mi muova. Mi aspettavo di essere chiamata per combattere nelle precedenti Guerre Sacre, ma non è successo». O questa giovane era più anziana di quanto desse a vedere oppure si riferiva alle ultime Guerre Sacre combattute.    
«Come fate a sapere ciò che ho visto?» Chiedesti.
«Quei cristalli racchiudono specifici momenti della Storia e del Tempo del nostro Santuario, reagiscono al possessore del Cosmo che li sfiora sicché io possa leggere il passato di un Cavaliere e della sua Cloth. Voi siete il Bronze Saint di Pegasus, non è così?». Chiese alzando il mento al tuo indirizzo. La sua voce aveva un che di mistico, come se avesse catturato l’essenza del vento nella sua gola.

«In realtà sono il Gold Saint di Sagitter». Rispondesti e lei proferì un “oh”, di stupore. «Non era mai successo che un Bronze Saint venisse promosso a Gold Saint, benché meno il Primo Cavaliere della Dea». Commentò. Hyoga al tuo fianco ti scoccò un’occhiata perplessa, mentre la vostra ospite continuava: «Ma immagino che ciò sia dovuto alla Battaglia delle Dodici Case, ho saputo che non siete stato il solo a risvegliare il Settimo Senso».
«Infatti, il mio amico qui presente è uno dei ragazzi che combatterono al mio fianco quella volta e, nel corso delle Guerre Sacre contro Poseidone, Hades e Zeus».
«Mi chiamo Hyoga, piacere». Intervenne quest’ultimo con un cenno del capo, indeciso su cosa fare.
«Io sono Raven, piacere mio». Si presentò lei con un cenno del capo e porgendogli la mano che, Hyoga, sorpreso, strinse. Poi, quando la stretta si sciolse, la porse anche a te, che scuotesti una volta, meravigliandoti di quanto la sua pelle fosse strana in confronto alla vostra. Non sembravano le mani di una Saint. Perché era bendata?
«Raven è inglese». Cambiò discorso Hyoga, incuriosito.
«Corretto, sono di qui, ma il mio maestro veniva dall’Inghilterra, voi invece venite dal Giappone. Terra interessante, anche se non ho mai avuto il piacere di recarmici». Vi fece cenno di accomodarvi sui cuscini davanti al focolare cui lei stessa dava le spalle. «Perdonate la mia maleducazione, prego accomodatevi, Soraya, porta qualcosa ai nostri ospiti per favore». Comandò la giovane, fluttuando dolcemente a terra. L’anziana domestica obbedì e scomparve in cucina per tornare con un vassoio pieno di leccornie locali che passò alla sua padrona. La quale mise sul tappeto davanti a voi: «Prego, servitevi pure, sono tutte fresche di mercato e voi avete fatto un lungo viaggio per giungere qui da me con questo tempaccio».
Superato il primo momento d’incertezza, decideste di non offendere la padrona di casa. Non eravate abituati a tanta cortesia e ospitalità. Eravate più avvezzi a massacri e botte da orbi. Non ricordavate che sporadiche volte in cui i vostri commilitoni vi avevano trattati come esseri umani qualsiasi. Forse soltanto Mur l’aveva fatto. Per questo tanta cortesia sembrava sospetta. Lei stessa si accorse dei vostri sospetti e vi rimproverò garbatamente: «So cosa state pensando e mi rammarica molto che partiate già prevenuti nei miei confronti. Tuttavia sono stata cresciuta con i dettami dell’ospitalità dell’Antica Grecia e voi siete giunti qui senza intenti bellicosi, per cui non vedo perché mi dobbiate considerare come una nemica. Inoltre ha preparato tutto la cara Soraya». Aggiunse accennando con il mento alla nonnina che si stava affrettando a lasciarvi soli. La seguiste con lo sguardo imbarazzati finché la signora non si chiuse nella stanza adiacente.
«Ci scusi…» Fece Hyoga, imbarazzato, mettendo giù uno dei dolcetti. Non l’avevi mai visto così in soggezione, mentre tu eri stranito. Questa giovane ti ricordava Aida. Solo lei ti aveva trattato così. E, ancora una volta, il rimpianto si affacciò nuovamente nel tuo cuore. «Ha ragione, ma ne abbiamo passate troppe per poterci fidare».
«Lo immagino, queste decadi sono state piene di conflitti, dubbi e turbamenti più che in ogni altro secolo. Temo che ci vorrà del tempo, prima che l’armonia, la fratellanza e la concordia tornino di nuovo tra le nostre fila». Commentò intristita. Lasciò che vi rifocillaste. Dopo aver adempiuto al suo dovere di padrona di casa, andaste al sodo e cominciaste a parlare della missione. «Speravamo che poteste consegnarceli».   
«Sono spiacente di deludervi, ma non ce l’ho».
«Cosa? Volete dire che abbiamo fatto tutta questa strada per niente?»
«Esattamente, i progetti sono andati perduti nella Notte dei Tempi, nessuno ha la più pallida idea di dove si trovino e se siano ancora intatti».
«Ma… Non esistono delle copie, qualcosa?»
«No». Perfetto. Non era una missione suicida come al solito, era una missione impossibile. E che diavolo, non eravate mica Ethan Hunt e l’I.M.F.! E li conoscevi perché nel tuo scomparire al cinema eri riuscito ad andarci. Improvvisamente ti venne in mente un uomo girato di spalle dai capelli corvini spettinati e una marsina con una tuba in testa. Poi nella tua testa rimbombò la parola: Kairos. «E se non fossimo solo noi a cercarli?» Ipotizzasti, sulla scia di questo pensiero.
«Per esempio?» Domandò la ragazza.
«Kairos. Se per caso anche lui li stesse cercando ed entrasse in possesso di questi progetti potrebbe essere la fine». Spiegasti  sotto lo sguardo sempre più incredulo di Hyoga.
Fatto sta che invece l’altra capì immediatamente a chi ti riferissi: «Non ha mai mostrato alcun interesse. Mi sembra improbabile che uno Specter come lui arrivi a questi punti». Annuisti anche se In realtà non sapevi neanche tu che cosa stessi dicendo.
«Ma se lo facesse, esisterà un modo per bloccarlo, no?» A quelle parole la ragazza s’irrigidì completamente.
Il padre di Natasha ti guardò ancora più perplesso e spaventato: «Seiya, che cosa stai dicendo? Chi è Kairos?»
Lo guardasti e alzasti le spalle: «Non ne ho idea, mi è uscita così».
«Stai male? Non dovresti affaticarti, lo sai…» Ma prima che potesse finire il discorso, fu interrotto dalla vostra collega: «Signori, vi rendete conto di cosa mi state chiedendo?» Vi interrogò spaventata.
«Sì, credo…» Iniziasti ma lei t’interruppe, infervorata; «No, non lo sapete, altrimenti non me lo chiedereste neanche! Se voi sapeste tutto quello che so io… Tutto quello che ho visto, il sangue, gli errori che si potevano evitare, i nemici, non parlereste così alla leggera! Il Tempo non è un luogo come tutti gli altri, si rischia di impazzire o peggio, di morire!» Vi urlò sporgendosi verso di voi che arretraste con la schiena. Lei stessa non era del tutto in sé, si vedeva. Qualunque cosa le fosse successa era diventata paranoica.
«E in nome della Dea, che cosa possiamo fare? Abbiamo bisogno di quei progetti!» Esclamasti, quasi disperato.
«Qualunque altra cosa, ma non chiedetemi mai più di aprire le Porte sul Tempo!» Strepitò.
«Non c’è qualcos’altro che possiamo fare?» Domandò Hyoga, cercando di essere il più ragionevole in questa casa.
«Una cosa ci sarebbe», rifletté, aggrappandosi al bordo del tavolo al lato della stanza, «dobbiamo far parlare le vostre Vestigia, tutte quelle che sono state indossate da voi».
«É possibile?»
La Sacerdotessa-Guerriero tacque a lungo prima di rispondere affermativamente: «Le Sacre Vestigia sono vive, immagazzinano ricordi, è possibile che ricordino perfettamente il momento della loro nascita e che abbiamo visto loro stesse quei progetti. Farle parlare sarà come chinarsi per sbirciare sotto la porta del tempo, sì, questo si può fare senza problemi. Tuttavia sarà comunque pericoloso, perché entrerete nelle loro storie». 
«Che cosa succede una volta entrati?»
«Non lo so. Credo che lo capirete una volta lì, so solo che siete i primi che tentano un’impresa simile. Fate mandare qui la Cloth di Pegasus e quella del Cigno, per favore, così potremo cominciare».
Se Hyoga obiettò dicendole che non poteva mandarvi allo sbaraglio così, che doveva essere più precisa, tu non facesti una piega. Intanto però le deste comunque una mano a spostare la mobilia per creare un cerchio perfetto e abbastanza grande per contenere tre persone. Due sdraiate e una seduta. Fu un po’difficile spostare gli alberi di ferro battuto dalle foglie di campanelle cinesi e cristalli senza romperli. Ma alla fine ce la faceste. Poi la giovane, con l’aiuto dell’anziana signora, accese degli incensi sacri profumati.
«Non mi è permesso usare il Cosmo per far parlare le Armature, non ho il dono dei Cavalieri di Aries, tuttavia conosco gli antichi riti dei fabbri e degli alchimisti del continente Mu». Vi spiegò la giovane dopo aver spento il fiammifero con cui aveva acceso l’ultimo bastoncino d’incenso. Poi si girò verso di voi e vi ordinò di chiamare Kiki per portarvi quanto necessario.    
Così, contattaste Kiki, il quale, che, dopo aver ascoltato attentamente le vostre richieste e la spiegazione, ve le teletrasportò direttamente sull’uscio. Non avrebbe dovuto sorprendervi, ve l’aveva anche detto, «Non posso violare la dimora di una signora». Si era giustificato prima d’attaccare.
«No, certo, fai bene». Avevi risposto, anche se toccò a voi portarle dentro e disporle secondo le sue istruzioni.
«Un momento, ma questo non attirerà le Creature?» Intervenisti, ricordandoti di loro. Hyoga si fermò di botto.
«No, il potere della Nobile Raven è sufficiente per creare una cupola protettiva contro di loro. Per questo riusciamo tutti a usare le nostre facoltà cosmiche in questa zona». Spiegò l’anziana Soraya accomodata su una sedia vuota e voi la guardaste. Quando era rientrata nella stanza?
«Ma per farlo dovrebbe usare il Cosmo!» Obiettò tuo fratello.
«Io non uso soltanto il Cosmo, sono stata addestrata anche in altri misteri proibiti a un semplice Saint; per questo le Creature non ci daranno fastidio». Rivelò la Sacerdotessa-Guerriero dalla chioma corvina riportando l’attenzione su di sé. Ma non si sbottonò più di tanto sull’argomento. Perciò doveste farvi bastare la sua, inquietante ed enigmatica, spiegazione per ragioni tempistiche e logistiche.
Così posasti il Pandora Box di Sagitter verso la porta a Nord, Hyoga quello di Pegasus a Sud. Invece Hyoga portò lo scrigno dell’Aquario a Est e tu quella del Cigno a Ovest. Anche questo faceva parte del rito, dal momento che dovevate sentire la storia di tutte le Cloth riunite era un modo per dire che avreste ascoltato tutte allo stesso modo. E, vi eravate già accorti che qualcosa nell’atmosfera era cambiato. Nel disporle era stato come se le Cloth negli Scrigni vi avessero guardato e avessero incatenato gli sguardi ai vostri.
Una volta fatto vi istruì dicendo di spostare i cuscini di modo che fossero diagonali e uno accanto all’altro. «Così nessuno di voi darà veramente le spalle alle Cloth». Tu in particolare, ti ritrovasti a osservare quella di Sagitter e quella del Cigno. Mentre Hyoga le altre due. «Probabilmente vi concentrerete a tal punto che perderete il controllo dei vostri corpi, che cadranno a terra, per questo ho fatto mettere i cuscini a questo modo, mentre voi, dovrete stare esattamente al centro, seduti uno accanto all’altro ma rivolti nella direzione in cui state guardando. Adesso, per favore, mangiate questo, vi darà le forze per affrontare il viaggio». Continuò lei passandovi un cioccolatino a testa. Poi, prese una pergamena arrotolata da una scansia e si sedette accanto a Hyoga, dando le spalle alla Cloth di Pegasus e vi dette le ultime istruzioni. Dal rumore di carta srotolata che sentisti capisti che l’aveva aperta e appoggiata sul pavimento.
Il tuo cuore batté all’impazzata, mentre ti rendevi conto che le Cloth erano attente e vi fissavano, aspettando solo voi. «Concentratevi sul vostro obiettivo e quando sarete pronti, domandate alle cloth: portatemi con voi, nei meandri della vostra storia. É il modo migliore affinché vi raccontino meglio tutto quello che sanno e senza mentire. Quando avranno finito io sarò qui a scrivere. Tutto chiaro?»
«Sì», dicesti tu, più convinto di Hyoga.
«Bene, fuoco alle polveri». 
Concentrarsi richiese per te un po’ di tempo. Forse di più di quanto fosse servito a Hyoga. Tu sapevi concentrarti in battaglia, ma non in situazioni differenti. Non eri riflessivo e introspettivo e, questa, ti rendesti conto, che era una grande pecca. Prima di ora non ti era mai neanche passato per la testa che potesse essere un problema. La tua impulsività spesso ti aveva messo in situazioni di estremo pericolo. Adesso non era molto diverso.
La Sacerdotessa ti aveva detto cosa fare. Non era così diverso dall’alzarsi in piedi e combattere. Qui dovevi solo combattere con la tua scarsa concentrazione e raggiungere l’obiettivo, che, comparve davanti a te sottoforma di cartiglio splendente protetto da uomini in armatura scura.
E, li affrontasti come solo un Saint può fare, sconfiggendoli tutti per poi lanciarti contro il cartiglio e, ci sprofondasti dentro come acqua mentre la formula magica che recitasti prese corpo in kanji giapponesi e caratteri greci dorati e bronzei e si trasformarono in un cerchio magico ai tuoi piedi, da cui uscirono delle mani che ti trascinarono giù, in profondità che neanche ti eri mai sognato.  
Ma non ti lasciarono neanche per un secondo e non ti permisero di chiamare a te la tua Armatura.  
Potesti solo urlare mentre precipitavi e atterravi malamente sulla sedia a rotelle. L’impatto fu così grave che non solo sprofondò di qualche centimetro nel terreno fangoso, ma tu perdesti la sensibilità e la mobilità del corpo dal collo in giù. La ferita al petto di nuovo dolente e, non potevi tastare né questa né la mascella, che nell’impatto avevi richiuso battendo con forza i denti. E, adesso il dolore pulsava nella tua bocca strappandoti un gemito di dolore. Per fortuna che non ti eri morso la lingua, anche se la tua bocca sapeva di sangue. 
Provasti ad alzarti ma non ci riuscisti. Quando realizzasti che cosa fosse successo e riconoscesti queste sensazioni, il terrore s’impossessò di te. Non era come quando uscisti dal coma per sconfiggere Sorrento: questo era dieci volte peggio. Pegasus aveva perso le sue ali e non avrebbe solcato mai più i cieli.
Hades era sconfitto, Atena era salva e tua sorella era viva e accanto a te. Insieme a Castalia, Shaina e Lady Isabel si occupava di te e pregava che tu ti svegliasti. Avevi percepito anche tu il braccialetto di fiori che ti aveva fatto la Dea che proteggevi. Però non avevi potuto girare la testa e sorriderle per ringraziarla. Né avresti mai potuto dire alla tua ex bulla che era cambiata moltissimo. Non glielo avevi mai detto non perché temevi che la sua stronzaggine e classismo saltassero di nuovo fuori, bensì Ma non ti eri mai sentito prigioniero del tuo corpo come adesso.

«Alzati!» Esclamò una voce femminile e tu alzasti la testa di scatto e incontrasti lo sguardo scuro di una ragazzina di tredici anni dai capelli corvini cotonati che le toccavano le spalle. La frangia separata dal resto della chioma da una bandana rosa fucsia allacciata come un nastro e lo sguardo fiero contornato di khol che le dava un’aria più sbarazzina, ma che non contribuiva a farla sembrare più grande. Indossava una larga felpa sopra una canottiera con stampigliata sopra la faccia di Kim Wilde e un finto reggiseno di pizzo nero sopra la medesima, stile Madonna. Al colletto della maglia erano appesi dei ray ban.
Portava pantaloni di jeans infilati in stivali marroni. Le braccia conserte adorne di braccialettini di perline colorate di plastica sopra delle polsiere. A guardare bene uno di quei ninnoli, sembrava un braccialetto di piume rosa. Nel complesso era ridicola, ma la moda degli Anni Ottanta era ridicola quasi per definizione. Lo ammettevi tu stesso che, quegli anni li avevi vissuti.
Eppure questa sconosciuta ti era famigliare, sebbene non ricordassi dove l’avessi già vista. «Hai intenzione di stare a poltrire ancora per molto? Forza, alzati da lì, Seiya di Pegasus!» Esclamò perentoria e anche scocciata, risvegliandoti dai tuoi pensieri. «Scusami, scusami… ehi, un momento, come sai come mi chiamo?» Domandasti accigliandoti. Sarai anche stato preso a mazzate in testa, ma tu la testa l’avevi dura e un minimo di buon senso si era salvato abbastanza per porre questa domanda più che legittima.
La giovane alzò il mento con fare arrogante e rispose «Che domanda cretina, grazie alle Galaxian Wars, no? La nipote di Alman di Thule le ha fatte trasmettere in mondo visione. É un peccato che si siano concluse così, io facevo il tifo per te». Sbottò infastidita. Oh, era una tua vecchia fan, quando ancora credevi di essere soltanto un lottatore come tanti a là Uomo Tigre e Rocky Joe. E che tutta questa roba delle costellazioni e del Cosmo fosse solo una gran cretinata ad oc per il pubblico.
Ciononostante quello sguardo ti fece arrossire: «Ah, ehm, grazie, però lo sai che quegli incontri erano tutta una farsa per far uscire allo scoperto i Saint». Ribattesti.
«Sì, lo so, non mi stai dicendo niente di nuovo, anche se bisogna ammettere che la meringa ha fatto di tutto per pararsi il culo nelle interviste a seguito dell’incendio».
«Hanno trasmesso anche quelle?» Chiedesti, che in quel periodo eri un tantino impegnato nel recupero di quella che poi sarebbe diventata la tua Cloth.
«Sì, avevo sperato con tutto il cuore che risistemassero il Colosseo Grado o che spostassero altrove gli incontri. Ci sono rimasta malissimo quando non se ne è fatto più niente. Era un buon programma tutto sommato».
Non ti sentisti di darle torto; se ci pensavi, all’inizio di quest’avventura era tutto più semplice. Tu eri solo un ragazzino spedito in Grecia per recuperare una Cloth per una collezione di quel bastardo di Alman di Thule e, quella classista di Lady Isabel potevi ancora vederla come una persona normale, che ti aveva ricattato e che vi vessava da piccoli. Solo dopo ti era anche venuto in mente che questo era sfruttamento minorile. Ma nessuno lo aveva detto e tu non ci avevi pensato. Neanche vi avevano promesso un compenso come adesso. Perché una volta vinta quella Gold Cloth e ritrovato tua sorella che cosa te ne facevi? Avresti voluto avere il cervello di ora per pensare anche a questo: «Bè, personalmente avrei preferito che fosse andata così anche per me; però devo dire che fu una buona pensata quella di rivolgersi alla polizia per cercare di recuperarla, dopo la comparsata di Phoenix». Ammise, ammirata.
«Sì, mi era sembrata la cosa più sensata da fare». Anche se si rivelò inutile, in quanto andava molto oltre le tue possibilità. In un certo senso il te del passato ti ricordava molto Astrid. Se non ci fosse stata la Guerra e se l’avessi conosciuta prima, probabilmente sareste diventati buoni amici. 
«Bè, complimenti, a me non sarebbe neanche passato per la testa; significa che c’è anche un cervello lì dentro».
«Grazie». Sorridesti rinfrancato: ti eri sentito un totale coglione per anni e anni per non averlo capito subito. Non avevi mai pensato che nell’ottica delle persone normali questo fosse  encomiabile. Quando ancora credevi di essere una persona normale e che fosse tutto un sogno e, tu non ti eri ancora reso conto di essere diventato parte di qualcosa di più grande e decisamente anormale. Perché tu non avevi mai davvero voluto essere un Saint. Come neanche Geki, Ban, Ichi, Nachi, Jabu, Shun, Ikki, Mei, Shiryu e Hyoga. Volevate solo vivere una vita normale e scappare da quell’orfanotrofio con il filo spinato e la recinzione elettrificata in cui vi costringevano a vivere, nascondendovi di essere tutti fratelli. Tutti figli di un unico maiale. Questo non l’avresti mai perdonata né a Lady Isabel, né ad Alman di Thule, semmai l’avessi incontrato. Non era tuo padre, né mai lo sarebbe stato. Accettavi l’intensità del legame che ti univa ai tuoi amici e compagni d’arme, ma ripudiavi il tuo vero cognome con tutte le tue forze. E avevi ragione; non dovevi niente a quel disgraziato che aveva solo saputo recarvi dolore. 
«Tutto bene?» Ti chiese preoccupata, sciogliendo la stretta delle braccia.
«Sì, tranquilla stavo solo pensando». La rassicurasti mettendo su il migliore dei tuoi sorrisi. 
«Ad ogni modo, credi di riuscire ad alzarti da lì o vuoi restarci ancora per molto?» Ti chiese spostandosi un lembo della bandana dietro la spalla. La testa inclinata verso destra.
«Mi dispiace, ma non posso alzarmi, sono ferito». Ti scusasti con lei, la quale ti guardò letteralmente impietosita e preoccupata. «Che cosa ti è successo?»
«Una spada mi ha ridotto così, non so cosa abbia reciso, ma da allora ne ho sempre risentito e ho delle ricadute». Spiegasti vergognandoti ancor di più. Sensazione peggiorata dal fatto che non potevi muoverti e girare la testa. 
La giovane sbuffò mettendo su un buffo broncio da bambina: «Che disdetta, pensavo che quando avrei incontrato il mio idolo sarebbe stato meglio di così».
«Ma aspetta, tu come sei arrivata  qui? Perché sono di nuovo inchiodato alla sedia a rotelle?» E richiudesti la bocca, trattenendoti dal rivelare anche la tua missione. Non solo perché questa civile d’apparenza poteva esserlo anche nei fatti, ma perché non avevi la più pallida idea di chi fosse davvero. E se fosse stata una nemica?  
«Non ne ho idea, francamente non so nemmeno io perché mi trovo qui». Fece ponendosi le mani sui fianchi e girando la testa per guardarsi attorno. Poi tornò a guardarti e sospirò rassegnata: «Bè, direi che sia il caso di trovare una via d’uscita, no?»
«Sicuramente». Ma lo dicesti solo per lei, una volta che fosti stato certo che sarebbe stata al sicuro, avresti continuato la tua ricerca. La giovane ti chiese se tu riuscissi a muovere le braccia per spostarti con la sedia ma tu negasti, contrito. Allora si rimboccò metaforicamente le maniche e disse: «Ho capito, ci penso io». Fece il giro della sedia e ne afferrò i manici e cominciare a spingere.
«Aspetta un momento, che cosa fai?» Esclamasti sgranando gli occhi e, solo in questo momento ti rendesti conto di avere di nuovo la tua voce di tredicenne. E questo ti zittì. Che cosa? Cosa ti era successo? Eri ringiovanito?
Lei si fermò e disse, sporgendosi in avanti per parlare al tuo orecchio: «Bè, che c’è? Non vorrai mica dirmi che preferisci restare qui in mezzo al niente. Su, non essere fifone e andiamo».
«Aspetta, non possiamo muoverci, è troppo pesante…» Ma non facesti in tempo a finire che sentisti la giovane ricominciare da dove si era interrotta, mettendoci sempre più forza finché non ebbe la meglio sul terreno colloso e fangoso. La sedia a rotelle, piano piano, si mosse in avanti, scollandosi dal terreno. E tu, se avessi potuto muoverti, ti saresti aggrappato ai braccioli. Ma le tue mani erano abbandonate in grembo, inutilizzate.
«Ecco fatto, non ci voleva molto, no? Su, andiamo». Esclamò come una bambina che gioca a fare il pirata.«Come hai fatto? Era impossibile schiodarmi da lì!»
«Ho spinto sempre di più finché non ci sono riuscita, ecco come». E, insieme, vi avventuraste nel buio circostante.

«Allora, raccontami di te, Seiya, cosa fai di bello nella vita, oltre a lottare in TV? Vai a scuola, lavori?» Ti chiese la giovane alle tue spalle facendoti sprofondare nell’imbarazzo.
«Io no, non vado a scuola da un pezzo ormai». Rispondesti vergognandoti. Mentre la tua compagna d’avventure improvvisata ti disse che frequentava la seconda media. «Oh, hai quattordici anni?»
«Ne ho tredici, l’anno prossimo ne compirò quattordici». E, a fronte della tua perplessità ti spiegò come funzionava il sistema scolastico del suo Paese natio. Avevi pensato che fosse giapponese anche lei, almeno che appartenesse alla minoranza etnica occidentale che viveva nell’Isola Nipponica ma ti sbagliavi. E tu le spiegasti come funzionava l’ordinamento scolastico della tua patria. «Ma aspetta, come facciamo a capirci?» Le chiedesti, colto da un dubbio. Non ti sembrava di parlare in inglese o una qualsiasi delle tante lingue che Castalia ti aveva insegnato al Santuario, punto comune di tutti i Saint. «Ah, non lo so, non l’ho ancora capito. Forse è la lingua del mondo dei sogni». Rispetto alla tua… coetanea eri molto più sveglio. “Certo che ci tenevamo proprio tanto a rendere le donne delle perfette sceme”. Ti ritrovasti a considerare con amarezza. Se non avessi avuto l’esempio di Shaina, Castalia e anche di Astrid e varie marzialiste olimpioniche, probabilmente avresti continuato a pensare che buona parte delle civili fossero incapaci di badare a loro stesse. 
«Mondo dei sogni?» Ripetesti inarcando un sopracciglio e lei si tartassò le mani, incerta, nel rispondere: «Bè, sì, non è forse un sogno? L’ultima cosa che mi ricordo è di essermi addormentata sul mio libro di aritmetica». Rivelò e, tu, capendo che forse per lei sarebbe stato troppo sapere la verità, decidesti di darle corda. Addolcisti lo sguardo e il tono della voce e concordasti con lei: «Sì, hai ragione, deve essere sicuramente un sogno».
Almeno ci fosse stata Miho con te, o Castalia, o Seika, ti saresti sentito meno a disagio di così, invece di una perfetta sconosciuta. Improvvisamente delle immagini comparvero davanti a te e, la tua accompagnatrice si fermò di colpo. Riconoscesti le immagini come i tuoi ricordi e ne restasti sbalordito. «Che cosa sono?» Chiese la giovane e tu la rassicurasti.
«Uh, è quasi come essere al cinema!» Esclamò la ragazza ridacchiando nervosamente per la figuraccia che credeva di aver fatto, appoggiandosi ai manici della sedia. Cinema, a quanto pareva aveva voglia di scherzare. Ad ogni modo osservaste le fasi del tuo addestramento finché non si bloccarono. Solo quando lei ricominciò a spingere anche il film della tua vita ripartì. «Che figata», commentò lei, meravigliata. “Se lo dici tu”. A ogni passo le immagini si muovevano davanti a voi, arretrando come ad aprirvi la strada.
Arrivasti al momento della rottura della maschera di Shaina e poi, subito dopo alla trasvolata che ti riportò a Nuova Luxor e poi davanti ai giornalisti. La provocazione di Jabu, il ricatto di Lady Isabel e il torneo. «Ecco, queste parti le conoscevo, però, uao, io pensavo che fosse tutto finto, non che fosse qualcosa di reale. Quindi l’hai rotto davvero quello schermo, non era già rotto di suo». Commentò la tua accompagnatrice, destandoti di nuovo dai tuoi pensieri.    
«Sì».
«E te l’hanno insegnato al Santuario?»
«Sì». 
«É una figata pazzesca!» Esclamò entusiasta e ammirata. Tu non avevi mai pensato ai tuoi vecchi fan, neanche pensavi di averceli. Ricordavi appena di aver incontrato una ragazza dai capelli rossi che poi venne a vedere il tuo incontro con Shiryu. Ricordavi che era triste, che era stata separata da sua sorella, proprio come te e l’avevi incoraggiata. Chiunque l’avrebbe fatto. Ma non pensavi che qualcuno ti avrebbe mai ammirato. A te del mondo non importava, rivolevi solo tua sorella.

E poi vedeste Ikki comparire dal Pandora-Box di Sagitter e ferire gravemente Nachi. Anche se il Saint del Lupo lo nascondeva, dal giorno dello scontro con Ikki gli era rimasta la cicatrice psicologica.
E poi tutta la battaglia che ne seguì, la mattanza dei Silver e dei Gold, che cancellarono progressivamente il sorriso alla tua accompagnatrice, che, alla morte di Saga, dovette fermarsi. E le immagini scomparvero, tuttavia, sperimentasti un fenomeno curioso: ti tornò la sensibilità nella parte superiore del tuo corpo. Girasti il capo verso di lei e la guardasti: «Ehi, ma tu stai piangendo».     
«Scusa, è che è stato orribile… Non pensavo, non credevo che dopo la fine dello show, che tu, voi che foste veramente dei bambini soldato; quale Dea può essere tanto crudele da chiedere a dei bambini di sottoporsi a un addestramento così crudele e uccidere? Quale? Questo non lo capisco, né lo accetto!» Esclamò lei detergendosi le lacrime dal viso, cercando di darsi un contegno, anche se invano. Lei non sapeva cosa significava tutto questo, ma forse una parte del tuo vecchio te era sopravvissuta, perché non solo ti sentisti male nel vederla piangere.  E, ti venne istintivo girare il busto verso di lei, scoprendo che era possibile, se ti sporgevi un po’verso sinistra.   
«Mi dispiace, non avresti dovuto assistere». Facesti chinandoti in avanti, intrecciando le mani l’una con l’altra. Non avresti mai voluto che si spaventasse così. Ogni scena che vedevate per te era solo fonte di dolore. Neanche a Miho avevi mai raccontato cosa avevi dovuto sopportare. Ancora ti sorprendevi del fatto che la tua mente non si fosse ancora spezzata.
Ma bambino soldato… nessuno ti aveva mai chiamato così. Ecco cosa eravate voi Saint. Ti aveva chiesto cosa facessi nella vita e l’aveva scoperto così. Già qualcun altro lo scoprì e già qualcun altro ebbe un crollo molto simile. Ma stavolta non c’era nessuna sorella da ritrovare, c’era solo il tuo passato e quello delle tue Cloth da affrontare. «Per favore, smetti di piangere. Non mi piace sentire il pianto delle donne». La supplicasti.
«Scusa». Estrasse un fazzoletto dalla tasca dei jeans, con cui tamponarsi le lacrime e soffiarsi il naso.

«Non è ancora finita». Interruppe una voce maschile che vi fece girare la testa di scatto che rimbombò come se fosse accanto a te in un bizzarro dolby surround. Davanti a voi comparve Arles, gli occhi rossi, i capelli neri e l’espressione malefica che ricordavi. «Arles!» Esclamasti tu mentre la tua accompagnatrice sussultò e lanciò un piccolo grido di paura.
«Sta indietro!» Le suggeristi muovendo le braccia mentre lei si portava le mani al petto come se ciò avesse potuto aiutarla a girarsi e allontanarsi ancor di più.
«Ma tu guarda, il Primo Cavaliere della Dea ridotto così. Lo trovo molto ironico, credevo che dopo il trattamento dei Gold Saint tu fossi più morto che vivo». La voce suonava con una doppia cadenza come se le sue corde vocali fossero capaci di produrre più suoni in contemporanea.
«Illuso, se credevi che potesse bastare per impedirci di servire la Dea allora sei fuori strada». Ribattesti cercando di ignorare ancora una volta quella fastidiosa eco.     
«Seiya, come è possibile? Questo tizio non dovrebbe essere morto? Porca miseria, l’abbiamo visto morire!» Esclamò la tua compagna di viaggio, giustamente terrorizzata.
«Sì, ma ritornano. Saga torna in te! Non lasciarti sopraffare dalla tua metà oscura». Urlasti poi, ma l’espressione del Gold dalla chioma corvina davanti a te non mutò.
«Metà oscura a chi? Io sono un essere a sé stante, sciocco ragazzino!» 

E, davanti a te, comparve la tua controparte in Cloth, distrutta ma ancora combattiva. Non ti eri mai visto prima con occhio esterno, ma non ti capacitavi di tanta determinazione. All’epoca non ti era importato della differenza di rango, forza e Cosmo che vi separava dai Gold. Sapevate di essere nel giusto e nel giusto avevate combattuto tutti e cinque. Come poi fece Kouga di Pegasus durante la dominazione di Mars e la Guerra Sacra contro Pallas. Improvvisamente mentre la tua controparte soccombeva, la tua accompagnatrice prese la situazione in mano. Si trasse qualcosa dalla tasca dei jeans e la lanciò ai piedi del Gold Saint che, avanzando la calpestò e, si fermò sopra di essa, mandandola in mille pezzi, dopodiché gonfiò il suo Cosmo d’Oro: «É inutile che scappi, tanto ti riprendo! So che sei lì dietro!» Esclamò e scostò la tenda ma al suo posto vide soltanto la Cloth di Gemini ripetuta per infinite volte chiedergli chi fosse. Lasciando il Gold Saint sgomento. Se lì per lì cercò di ignorare il tutto non ce la fece più, visto che la Cloth continuò a tormentarlo, riflettendosi nel frammenti di vetro che erano stati catturati nel suo Cosmo e, di cui lui, tanto preso dalla battaglia, non si era accorto.
Non avevi mai visto prima questo retroscena. Ai tuoi occhi esercitò un fascino tanto morboso quanto strabiliante, mentre stringevi a te la giovane per proteggerla, sussurrandole ripetutamente di non guardare. Peccato che non potevi muoverti e non potevi fare niente. Neanche espandere il tuo Cosmo serviva a qualcosa. Pegasus era debole, troppo.  

Improvvisamente qualcosa si parò davanti a te e urlò: «Fermo! Lascialo stare!» Solo dopo capisti che era stata la ragazza. Ti sarebbe uscito spontaneo il suo nome, se tu l’avessi saputo, quello che potesti fare, tuttavia, fu trasalire. Nessuno aveva mai cercato di proteggerti a questo modo. Ti avevano insegnato a difenderti, sicché potessi farlo da solo, ma questo era un altro discorso. «Tu non devi uscire dal tuo ricordo! Torna immediatamente nella tua storia altrimenti…» Esclamò tendendo un dito verso Arles, prima di ricordarsi che non poteva niente contro di lui, che la trapassò di rimando con gli occhi e tacque, spaventata.
Il Saint sorrise malefico, trapassandola con lo sguardo, schernendola: «Altrimenti? Sentiamo, altrimenti che mi fai?»
Nonostante che prese a tremare non si schiodò dalla posizione. Il Saint dalla chioma nera l’afferrò repentinamente per la gola e la sollevò in aria. La giovane sussultò e si appigliò immediatamente al polso dell’uomo, lottando, scalciando e dibattendosi per liberarsene. «No! Lasciala andare! Lasciala subito andare!» Urlasti cercando di sporgerti in avanti e alzarti, ma non solo non ci riuscisti, il Gold Saint non ti ascoltò. Cercasti ancora una volta di alzarti dalla sedia ma le gambe non ti risposero. Imprecasti per l’impedimento. Non riuscivi neanche a bruciare il tuo Cosmo per giungere in suo soccorso.
«Non dovresti intrometterti in cose che non ti riguardano, insulsa e patetica ragazzina». La sgridò il Gold dopo essersela avvicinata al volto, di modo che sentisse le sue parole e lo vedesse bene, mentre lei annaspava. Poi la lanciò via, oltre la tua testa. «No!» Urlasti  e, per quel poco che potesti girare la testa, la vedesti atterrare oltre il tuo campo visivo. Ti sporgesti lateralmente ma ti dovesti rigirare che sentisti Gemini coprire la distanza tra voi: «E ora a noi due!» Esclamò allungando la mano verso di te. Tuttavia, prima che ci riuscisse, una macchia nera, fucsia, bianca e blu gli si lanciò addosso, scavalcandoti con un balzo e un ruggito di rabbia. Per la sorpresa Gemini cadde a terra sulla schiena in un clangore metallico. Con tua grande sorpresa riconoscesti che era la civile. L’uomo l’afferrò di nuovo e se la tolse di dosso. Stavolta però la ragazza fece una capriola all’indietro e si rialzò. Le mani tese verso di lui in una posizione simile a quella d’attacco dei marzialisti. Il fiato grosso per lo sforzo.
«Ancora tu!» Esclamò Gemini esterrefatto, prima di fulminarla un’altra volta con lo sguardo, ottenendo soltanto un piccolo scatto indietro, ma nient’altro. «Eh, no! Questo è il mio sogno, quindi vinco io!» Esclamò la tua accompagnatrice.  
«Illusa, vorresti batterti te contro di me?»
«Sì! Non ho paura di te, brutto pallone gonfiato! E ti avverto, non è la prima volta che faccio a botte!»
Dalla padella alla brace. E le urlasti di fare attenzione: Gemini l’avrebbe uccisa senza pensarci due volte. Quest’ultimo sorrise e chinò il capo. Schioccò la lingua contro il palato prima di cominciare a ridere, dapprima sommesso e poi sempre più sguaiato. Fino a reclinare il capo all’indietro e le mani contratte in pugni.   

Cosa che fece scattare leggermente in avanti la giovane, che, comunque non abbandonò la posizione. «Stai indietro, non è la tua battaglia!» Continuasti tu.
«É sempre la mia battaglia quando si tratta di proteggere qualcuno», rispose lei con voce tremula nonostante l’ira. Era evidente che cercava di non lasciarsi sopraffare dalla paura che le faceva tremare le braccia e le gambe.  

«Non è il momento di fare l’eroina! Vattene!»
«No!»
«Dovresti ascoltare il tuo amico, ragazzina». S’intromise il Saint in tono lugubre,
«Io non sono una ragazzina! Io sono il Fuoco e ti brucerò fin dentro le ossa!» Lo minacciò di rimando alzando la voce.
Ok, era partita di testa. Ricominciasti a lottare contro la ferita che t’impediva i movimenti, ma improvvisamente vedesti una luce arancione accendersi davanti a lei. Credesti che fosse un attacco di Gemini. Facesti per gridarle di stare attenta, tuttavia una linea fiammeggiante si fece largo sulle sue braccia, raggiunse le sue spalle e scese sui fianchi su cui divamparono piccole lingue di fuoco. «Che diavolo…» Borbottasti mentre l’altro trasalì intanto che lei abbassava le braccia. Le spalle che si alzavano e si abbassavano. Il suo respiro profondo ti ricordò tanto un mantice, come se andasse ad alimentare le fiamme che si propagavano sempre di più sul suo corpo e scendevano sul buio attorno a voi, andando a creare una barriera di lingue di fuoco come non ne avevi mai viste. Neanche con Ikki.
«Da questa barriera tu non passerai!» Promise la tredicenne.
«Credi sul serio che basterà il tuo Cosmo appena più alto della media per battermi?» La schernì il Saint, ritrovando presto la sua baldanza. La voce che, ancora una volta sembrava provenire da un punto vicinissimo a te.
Poi le lanciò l’Alienazione dei Cinque Sensi, ma le fiamme brillarono con sì tanta intensità da rimandare indietro l’attacco, cancellando le risa del vostro avversario.
«Te l’ho detto, tu non puoi passare». Ribadì la tua alleata scandendo bene le parole, mentre osservavi tutto a occhi sgranati.
Attorno a voi la temperatura s’innalzò come se vi trovaste all’interno di un vulcano. Non avevi mai sperimentato la sensazione, ma doveva essere così, visto la paura e il calore sempre crescente.  

La giovane abbandonò la posizione, riunì aggraziatamente i piedi e alzò le mani, i palmi rivolti verso l’alto. Improvvisamente attorno a voi si innalzarono delle colonne di fuoco che cancellarono il sorriso del vostro avversario in via definitiva. «Non preoccuparti, Seiya, adesso ci penso io». Ti promise guardandoti sopra una spalla, prima che Gemini domandasse: «Come è possibile? Sei una Saint anche tu?»
Ma la mora non rispose.

Poi, partì all’attacco alzando le braccia di scatto. Le fiamme s’innalzarono e si lanciarono addosso al Cavaliere che saltò via. Ma la tredicenne non gli dette tregua. Si vedeva che non c’era abituata e che si stava sforzando. Che le controllava tramite le mani che muoveva in un modo che non avevi mai visto; era come se ballasse. Poi, Gemini rispose con il Galaxian Explosion che la giovane vanificò opponendo una serie di meteore di fuoco: «Ti piace questa, Seiya? L’ho chiamata Flame Ryuseiken!» Che andò a colpire i pianeti della sua tecnica e ridurli in briciole fiammeggianti. 
«Non può essere!» Esclamaste tu e Gemini in coro, mentre la ragazza si rialzava e sogghignava: «E non hai ancora visto niente». Poi Il Saint cambiò tattica e le si lanciò addosso scontrandosi di nuovo con la sua barriera fiammeggiante. «Le tue fiamme non sono niente per me!» Fece aprendosi un varco con il Cosmo: «Ah, sì? Vediamo questo: Solar Flame!» Urlò e il vostro avversario fu investito da una potente ondata di calore e fuoco. Ma neanche questo bastò. Arles fu veramente un osso duro anche per te. Ma più combattevano, più lei si girava a controllare che stessi bene e non capivi perché.   
«Non puoi battermi, ragazzina!» Sogghignò Gemini gonfiando il suo Cosmo. Lei digrignò i denti e fece per scagliarglisi addosso di nuovo. Ma improvvisamente si bloccò e si volse verso di te e guardarti perplessa, prima che Gemini richiamasse di nuovo la sua attenzione. «Stai attenta!» Urlasti di nuovo tu ma lei, dopo aver guardato lui e poi di nuovo te schioccò le dita ed esclamò:

«Ho capito!» Gli occhi accesi di una nuova consapevolezza.
Gemini sgranò gli occhi e urlando «No!» Le si lanciò addosso, che fu di nuovo costretta a girarsi e a respingerlo con una barriera di fuoco ancora più grande della precedente. Allontanandolo sempre più di qualche metro mano a mano che lei spingeva.  

«É assurdo, non mi lascerò sopraffare da una banale Bronze Saint!» Urlò Gemini proteggendosi la faccia con le braccia. Ma anche così lo sentiste benissimo, mentre la ragazza si girava verso di te. Perché?
«Io non sono una Saint. Io sono una strega!» Esclamò prima di spingere un’ultima volta, allontanandolo quel tanto che bastò per toglierselo di torno. Smise di bruciare il Cosmo e si volse verso di te. Ogni interesse per Gemini perduto. Poi, guardandoti con una strana luce negli occhi urlò: «Tornatene da dove sei venuto, spirito maligno, Solar Light!» Dopodiché tese le braccia verso di te e la luce ti si abbatté addosso, costringendoti a chiudere gli occhi con un gemito di dolore. Aprendone una fessura te la vedesti arrivare contro. Sgranasti gli occhi: «No, ferma! Non sono io il nemico!»
Tese una mano verso di te, spingendo il niente. L’aria s’increspò producendo un bagliore biancastro e raggi di luce dello stesso colore.
Gemini urlò come te, alle spalle della ragazza. La quale ruggì a sua volta per darsi la carica e premere quella luce verso di te, dentro la tua testa. Non capisti che stesse succedendo finché non sentisti il suo palmo sulla fronte e la sua voce assordarti: «Torna da me, Seiya!»
Trasalisti. Poi la luce annichilì ogni tuo pensiero.

 

Aldebaran

L’idea che Kanon avesse scelto tua moglie come ultimo baluardo di difesa non ti faceva impazzire proprio per niente. Avresti preferito mille altre opzioni a questa, ma la tua parola non contava nulla. Stando a Kanon, che era salito sull’Altura delle Stelle per divinare gli astri, Shaina era colei che avrebbe dovuto scontrarsi contro il suo predecessore.
«Così hanno deciso le stelle. Solo un altro Ophiuchus può combattere contro l’Ophiuchus». Ribadì. 
Cercasti aiuto in Saga, sottoforma di civetta, ma anche lui confermò quanto predetto dalla Dea Artemide.
«Ma è una follia!» Ruggisti tu alzandoti in piedi di scatto, quando ti convocò per parlartene. Non ti stava chiedendo il permesso, era ovvio che la sua decisione fosse già presa, eppure non potesti impedirti di reagire così. Ma cosa ne poteva sapere Kanon di cosa si provava a sentirsi dire una cosa simile? Cosa ne sapeva dell’amore che provavi per la tua consorte? Non capiva che dirti questo era come chiederti di strapparti il cuore dal petto con le tue stesse mani?
Il Patriarca non rispose e tu non potesti fare altro che guardarlo sbigottito. Ispirò e poi ti ordinò: «Sarai tu ad addestrare Shaina di Ophiuchus affinché risvegli il Settimo Senso».
«Non potete chiedermi una cosa del genere».
«Purtroppo posso eccome, Aldebaran. Non fraintendermi, capisco perfettamente cosa ti leghi a lei, ma l’amore per la Dea vengono prima di ogni cosa. Non credo che sia necessario che te lo ricordi».
«No, Signore, però mi state chiedendo di sacrificare la mia consorte in nome della vittoria.»  Facesti, controllando a stento la voce. Avresti voluto mandarlo a quel paese come meritava, perché Kanon non importava niente dei vostri sentimenti. Era già tanto che concepisse il rispetto, la devozione e la fedeltà per la Vostra Dea. Ma ora, sperare che ciò avrebbe contribuito ad ammorbidire il suo cuore era chiedere troppo.  
«No, Aldebaran, se così fosse avrei spedito direttamente Shaina sul campo e senza preparazione alcuna. Neanche ti avrei avvisato e ordinato di diventare il suo maestro».   

«Farò del mio meglio, Gran Sacerdote». Garantisti già sapendo che sarebbe stata un’impresa. Povera Shaina, il Gran Sacerdote aveva deciso di sacrificarla per il bene di tutti voi. Decidesti di non dire niente a Yoshino per evitare di turbarla ancor di più. Tua moglie, invece, quando glielo riferisti, dapprima reagì con incredulità, poi, rendendosi conto che non c’era altra scelta, rabbrividì. Si raccolse le braccia al corpo e tremò. Ti venne istintivo posarle le mani sulle spalle e cercare di rassicurarla. Alla fine lei disse: «Se è la Dea a chiederlo, allora lo farò».  
E l’allenamento era cominciato.

Non senza difficoltà. Tu c’eri arrivato da solo a sviscerare i segreti del Cosmo. Non pensavi che fosse così difficile per una persona normale. Avevi dimenticato che, per quanto tua moglie fosse intelligente, non era un genio come te, Aiolia, Mur, Milo, Camus e Shaka.

«É inutile, non ce la faccio!» Esclamò lei abbattendo un pugno a terra aprendo una piccola depressione.
«No, non è inutile, sei sulla buona strada». La incoraggiasti, stringendole la spalla con la mano. Mano che lei coprì con la sua, più piccola e, distolse lo sguardo verso sinistra. La maschera inespressiva nascondeva la sua espressione frustrata.
Non eri un granché come insegnante, dovesti ammetterlo. Tu, come Milo, Camus, Aiolia, Mur e Shaka, avevate fatto tutto da soli, spinti dal vostro istinto e dalla voglia di conoscere, eravate dei geni. Si dà per scontato che i geni riescano a spiegare ciò che a loro viene naturale, ma non era il tuo caso. Tu non eri mai stato un maestro di oratoria. Avevi scoperto di saperti esprimere meglio di quanto pensassi da quando eri diventato padre. Ma Shaina non era tua figlia, non potevi rivolgerti a lei come con la vostra bambina. E, conoscendo il suo carattere forte e orgoglioso, non ti sentivi di sminuirla.
Le incorniciasti il volto coperto dalla maschera con la mano e le carezzasti i capelli neri, adesso verdi di Cosmo, con il pollice. Ma quella maschera di freddo metallo ti impedì di assaporare a pieno il dolce tepore di quella pelle tanto amata. Questa era l’unica cosa che ti dava fastidio. «No, scusami tu, sono io a non sapere come poterti aiutare».
Lei ti guardò, da dietro la maschera, stupita. Era rarissimo sentire un Gold Saint ammettere le proprie debolezze. Posò la mano sul tuo polso, nel tentativo di infonderti coraggio. Tuttavia la sua voce rotta e lamentosa tradiva tutta la sua paura. Era evidente che fosse prossima alle lacrime: «Vorrei essere abbastanza forte per poter sostenere sulle mie spalle la fiducia che riponete in me, ma non… non so se…». Confessò prima che le parole le morissero in gola e chinasse il capo, lasciandosi sfuggire un piccolo gemito di pianto.
Cercasti di rassicurarla: «Non dire così, sei una Silver Saint tra le più potenti che conosca. Tu, da sola hai contribuito a proteggere il Santuario quando non c’eravamo noi Gold e, hai aiutato i Bronze nell’epurazione dal male. Mi hai aiutato a crescere nostra figlia e a proteggere questo mondo, hai sconfitto un Senza Volto».
«Ma era diverso, allora non mi sentivo così debole e non avevamo il problema delle Creature. Mi sento un fallimento come Saint al punto che temo che la mia cloth mi abbandoni per la vergogna».
Poi scoppiò davvero in lacrime.
L’abbracciasti, cercando di trasmetterle tutta la forza e l’amore che provavi per lei. Non aveva davvero idea di quanto in realtà fosse forte e meritevole di ammirazione. Era giunta da te a pezzi, ma anche se esausta, non aveva perso la forza per combattere e la voglia di vivere. Posasti una mano tra le sue scapole e l’altra sul suo capo, poggiato sul tuo petto, proprio dove batteva il cuore. Che apparteneva anche a lei.
La tenesti stretta a te finché non si calmò e non si sentì di nuovo pronta per lottare. «Scusami per lo sfogo, non dovrei essere così frignona». Si scusò, detergendosi inutilmente gli inespressivi occhi della maschera, mentre l’aiutavi a rialzarsi. Per quanto fosse buffa, però, tu la osservasti con tenerezza. «No, va bene, non devi scusarti di nulla; questa è la prova della tua forza, sarebbe sciocco se tu non lo facessi».
Lei rise divertita: «A volte dimentico quanto sei saggio».
Sorridesti per il complimento e le stringesti una spalla: «Non sono saggio, però riconosco il valore delle persone e credo in te, nella tua tenacia, nel tuo Cosmo e nella tua forza. È solo questo che conta». Ribattesti umile. “E ho ancora parecchia strada da fare, prima di potermi ritenere saggio”.
«Ma io non sono potente come Calliope della Lyra».
«Non occorre che tu guardi a Calliope per cercare la tua forza, devi puntare ancora più in alto, perché più in alto punterai, più riuscirai nella tua impresa. Punta alla Luna perché male che vada potrai dire di aver camminato tra le stelle».
Lei sorrise dietro la maschera. «Dove l’hai sentita?»
«Era la dedica di un libro che trovai molto tempo fa in una biblioteca a Tokyo». Sorridesti contento di sapere che l’aveva rinfrancata.
«É bellissima». Ammise, sempre sorridendo. Almeno un po’.
«Ma è vera; io credo sul serio che non ci sia nessuno più meritevole di te per raggiungere la Luna. Non pensare ai mille modi in cui un Gold Saint può sconfiggerti, per favore. Pensa piuttosto ai modi in cui tu potresti sconfiggere lui».
«Non è così facile, non è una missione come le altre. Fa sembrare una sciocchezza ogni cosa, persino la battaglia contro Poseidone». Fece stringendosi nelle spalle. Che ti ricordavi che fu mandata lei come messaggera per le armi di Libra e, che ti raccontò anche di come avesse attaccato invano Poseidone e di come avesse fatto scudo con il suo corpo a Seiya per evitare che venisse colpito dalla sua stessa freccia. 
«No, però dovresti smettere di pensare a te stessa come alla ragazza che protesse Seiya, tu non sei destinata a essere solo un puntaspilli, amore mio. Tu sei una grande Guerriera ed è anche grazie a te che abbiamo vinto molte battaglie. Sì, non fare quella faccia», che potevi intuire dietro lo scatto che ebbe, «se non fosse stato per te, Seiya e non sarebbe mai sopravvissuto ad Aiolia e la Dea non avrebbe fatto ritorno al Santuario, se non fosse stato per te, Castalia sarebbe potuta essere attaccata sulla scalinata delle Dodici Case. Non so se hai una minima traccia del potere di Odysseus dentro di te, ma c’è qualcosa che ti rende affine a lui in quanto medico; perché tu per prima hai contribuito a togliere il marciume dal Santuario e hai contribuito alla sua completa risanazione. Se tu non ci fossi mai stata, probabilmente a quest’ora saremmo caduti da un pezzo sotto Arles. Io ho sempre pensato questo di te; perché prima ancora di Seiya, arrivavi tu, forse senza neanche accorgertene».
«Non è così, c’era anche Castalia».
«É vero, ma lei serviva solo a vedere il problema, colei che indicava la via per la guarigione sei sempre stata tu».
«Quindi stai dicendo che in un certo senso io sono una guaritrice?»
«Sì, io la penso così».    
Ti fissò a lungo in silenzio, completamente immobile. Ma a tal punto che credesti si fosse pietrificata. Poi si rianimò. «Queste sono forse le parole più belle che mi siano mai state dette» disse commossa. Ti abbracciò e ti ringraziò con voce accalorata e piena di gratitudine e di amore. Tu ricambiasti e, un sorriso affiorò sul tuo volto. Forse non era vero che non avevi un minimo di talento come credevi.        


Quella notte ti svegliasti e scopristi di essere da solo nel letto. Ti rivestisti e andasti a cercare tua moglie. Non era nella camera di Yoshino, che a volte vegliava sul suo sonno, quando aveva gli incubi. Da lì percepivi solo il Cosmo placido e tranquillo della vostra bambina immersa nel mondo dei sogni. Almeno stanotte. La notizia della morte della sua migliore amica l’aveva mandata in crisi. Era come se si fosse spenta. Si era chiusa in sé stessa a causa del dolore, come quando credette di aver perso Shura. Poverina, avevi un’immensa pietà per tua figlia. Se solo fosse stata una bambina normale, non avrebbe mai dovuto versare tutte le lacrime per la morte di chi amava. Perché la Dea amava i suoi seguaci e voi amavate la Dea. Ma il rapporto che legava Astrid e Yoshino era diverso ancora, forse Astrid era veramente la persona più vicina ad Atena, anche se non lo sapeva. Perlomeno a un’Atena.
Anche la piccola Natasha era triste di aver perso due delle sue compagne di giochi. Se Hyoga non fosse stato sicuro che la sua piccolina fosse stata più al sicuro qui, probabilmente l’avrebbe fatta spostare altrove.
Ad ogni modo il discorso che avevi fatto a Shaina sembrava averla spronata a migliorarsi ancora. La percepisti meditare nel Giardino della Seconda. Decidesti di non disturbarla, non sapendo quanto fosse progredita o se stesse avanzando nella sua conoscenza del Cosmo. La via di Seiya e dei suoi fratelli per risvegliare il Settimo Senso non l’avresti augurata a nessuno, tanto meno a lei. Forse era anche per questo che non riuscivi a insegnarle come avresti dovuto. L’idea di farle del male ti dilaniava il cuore. Anche se sapevi perfettamente che lei non si rompeva così facilmente, non era giusto. 
Ti versasti un bicchiere d’acqua e bevesti per calmare un po’la sete.
Poi, dacché la preoccupazione t’impediva di tornare a dormire serenamente, decidesti di fare un salto alla Prima Casa a vedere come se la stesse passando Kiki. Era da quando era salito alla Tredicesima Casa per pregare che non l’avevi più visto. Cioè, sì, l’avevi visto tornare, ma poi si era rintanato nella sua Casa e da lì non era più uscito. Anche se non lo ammettevi eri preoccupato. I Lemuriani si erano letteralmente barricati in Casa.
Forse era arrivato il momento di andare a trovarli. Tornasti in camera, ti mettesti qualcosa addosso e poi, andasti. Non prima di aver gettato uno sguardo alle piantine che vi aveva portato Astrid dopo il Chrysos Synaigen. Non ti eri accorto che erano fiorite e che erano dei pentolini blu alla luce della Luna che filtrava dalla finestra. Sorridesti divertito pensando che fossero delle piccole orchidee bianche e invece… Scuotesti il capo e ti avviasti alla Casa del tuo amico dello Jamir e della sua famiglia.  Chissà, magari avreste potuto bere qualcosa. Quello che non ti aspettasti appena uscisti dalla Seconda, fu di vedere le luci della Prima completamente accese. “Cosa?” Pensasti stupito. Stupore che si accrebbe quando percepisti il ribollire di vita e attività al suo interno. Sensazione che si amplificò a ogni gradino sceso e, che ti avvolse quando entrasti. E questo che cos’era? Sembrava di essere al mercato!
Un gran via vai di persone affollavano il corridoio di passaggio e, facevano avanti e indietro in un allegro vociare che ti ricordò più una festa. Tra loro riconoscesti saint d’Argento e Bronzo, oltre a qualche Black Saint. Che diavolo stava succedendo? Avevano forse aperto un mercato? Ti recasti nella stanza dove gli Arieti riparavano le Armature e lì trovasti Kiki, che aveva appena finito di parlare con un giovane. Gli dette una pacca sul braccio e poi lo congedò, solo allora ti vide, incorniciato sulla soglia e incapace di spiccicare parola. Invece di riderti in faccia, sollevò le sopracciglia ovali e ti venne incontro, salutandoti. «Oh, Aldebaran, qual buon vento?» Domandò pulendosi le mani sui pantaloni.

«Kiki», lo chiamasti e il giovane ti sorrise leggermente divertito e continuò: «Non mi aspettavo una tua visita a quest’ora, è forse successo qualcosa? Oh, ti abbiamo forse disturbato? Perdonaci, non era nostra intenzione…» Si scusò ma tu lo interrompesti
«No, no, figurati, non riuscivo a dormire ma tu? Che cosa sta succedendo qui?»
«Sto cercando di fare il mio dovere di Saint». Rispose e gli occhi schiariti sul pervinca per via della luce, lanciarono un brillio di determinazione. Come? Ma se non aveva mai accettato le condizioni della Dea! Improvvisamente lo vedesti per quello che era: sconfitto, sì, ma non impotente. Proprio come il fuoco che ardeva nel suo sguardo. Un’evoluzione dello sguardo che aveva quando era solo un pestifero ragazzino di appena otto anni. Indomabile allora, indomabile ancora. «Davvero?» Chiedesti sorpreso. Eppure non avevi visto tracce di oricalco e polvere di stelle. Non c’era neanche il Bronze di Sculptor. «Oh, sì, io e i miei maestri abbiamo intenzione di ricreare la barriera di luce». Ribatté orgoglioso.
«Ma hai sentito cosa ha ordinato Kanon?» La barriera non aveva funzionato già una volta, non aveva senso riprodurla.
«Sì, certo». “E me ne infischio allegramente. Diglielo pure, quando lo vedi!” Replicò allegro voltandoti le spalle. La lunga chioma rossa che sventolava lateralmente a ogni movimento. E tu gli ricordasti dell’ultima volta, mentre lui si avviava al tavolo ingombro di progetti e roba ammassata in modo confusionario. «Perché era la prima volta che provavamo quest’incantesimo. Abbiamo commesso tutta una serie di errori fondamentali l’altra volta, ma adesso sappiamo come eseguirlo alla perfezione!» Esclamò allegro mentre scartabellava alla ricerca di qualcosa e tu ti avvicinavi a tua volta.  Poi, trasse un rotolo dal mucchio e fece largo sulla scrivania per poterla srotolare senza problemi. «Guarda qui», T’invitò e tu eseguisti per spalancare gli occhi: era una planimetria del Grande Tempio: Ma era segnata da una rete in rosso. Qui e là appunti vergati frettolosamente nella sua lingua natia andavano a spiegare e rinforzare la teoria. Era come se avesse disegnato una voliera attorno al Santuario. Altri invece erano stati segnati con una riga o cancellati completamente da una mano arrabbiata e frustrata. Altri ancora erano stati aggiunti a lapis o con dei post-it.
Era molto diversa dal cerchio magico fatto di luce e sigilli che avevate tracciato, questa sembrava una gabbia vera e propria. «Che cosa…?» Iniziasti e lui ti raccontò tutto il piano. A ogni frase uscita da quella bocca, tu eri sempre più sconcertato. Poco prima di rasentare lo shock. «Ma è… Siete sicuri? Non è pericoloso? La Dea lo sa?»
«Sa già tutto e ci appoggia, ha detto che vuole scendere in campo anche lei. Naturalmente Shiryu e Shun e tutti noi saremo al suo fianco». Almeno una rassicurazione. Poi un brillio sulla sua sciarpa catturò la tua attenzione. Sembrava una spilla, ma non ne avevi mai vista una di questa foggia e forma. Non avevi mai avuto a che fare prima con l’arte dello Jamir. Ma eri quasi sicuro che fosse un simbolo cristiano. E lui non lo era di sicuro, per questo vedere quel tao sulla sua sciarpa ti fece strano. «Che cos’è questo?» Domandasti accigliandoti, indicandoglielo. Lui seguì il tuo sguardo e sorrise dolcemente. I suoi occhi, da quel poco che riuscisti a vedere, si velarono di nostalgia e tenerezza. «Un ricordo di una persona importante». Tuttavia rispose con la voce ferma che gli avevi sentito solo in occasione della Guerra Sacra contro la Dea Artemide.
«Posso vederla?» Chiedesti e il Cavaliere della Prima Casa la slacciò dalla sciarpa bianca e te la porse. Una volta che l’avesti vicina capisti che non era un simbolo cristiano. Raffigurava un rapace ad ali spalancate, colto nell’atto di volare. La testa, che guardava davanti a sé era cinta da una corona di piume come un’aureola. Girandola potesti osservare anche il becco ricurvo controbilanciato  dalla cresta sul capo. Le zampe lunge e la coda che si apriva rivelando delle timoniere simili alla coda di un pavone. Era completamente d’oro ed era un oggetto molto pregiato. Glielo restituisti, ammirato: «É molto bello, a chi apparteneva, se posso chiedere?»
«L’ho fatto da solo». Rispose allacciandolo di nuovo all’indumento.
Restasti basito a questa rivelazione, non sapevi che il Cavaliere della Prima Casa, oltre che a riparare Armature, forgiasse anche oggetti di pregio. «Sei molto più abile di quanto immaginassi».    
«Grazie, Signore».

«Una credenza della mia nazione, vuole che ogni cosa abbia il suo contrario e, che, in natura, esistano sempre dei predatori per ogni cosa, è una vecchia credenza del continente Mu ma ho pensato che potesse funzionare anche in questo caso. Se riuscissimo a distribuire quanti più talismani possibili, potremmo circoscrivere l’area di influenza di Odysseus e al tempo stesso…»
«Proteggere anche mia moglie». Completasti tu, sbalordito.

«È più che altro un talismano, serve per scacciare gli spiriti maligni». Spiegò Kiki.
«Potrebbe funzionare anche su Odysseus?»
«Dovrebbe».
«Che cosa rappresenta? Non somiglia per niente allo scettro di Nike». Facesti osservandone la forma e la fattura. Il giovane fabbro confermò e ti spiegò tutto. Cioè che l’uccello che aveva forgiato era: «Il predatore naturale dei serpenti nelle savane africane».
«I serpenti delle savane hanno dei predatori?» Chiedesti sorpreso. Non eri ferratissimo in materia, però non pensavi veramente che anche quegli aspidi velenosi fossero braccati da altri animali. Ma più di ogni altra cosa, come aveva fatto Kiki a scoprire il contenuto della visione avuta da Kanon sull’Altura delle Stelle?
«Sì».  

«Come si chiama?» Domandasti.
«Uccello Segretario, non è il primo che forgio, ma a Rodorio stanno spopolando abbastanza. Oh, non fraintendere le mie parole, non ho alcuna intenzione di lucrare su questa disgrazia, voglio soltanto mettere al sicuro quante più persone possibili». Si affrettò a dire, ma tu non stavi affatto pensandolo.
Inarcasti un sopracciglio con aria scettica. «E tu credi che questi talismano possano farlo?»
Il giovane lemuriano scrollò le spalle: «É una credenza della mia terra natia, basata sulle forze contrapposte. Noi crediamo che due cose uguali siano destinate ad annullarsi a vicenda, mentre due forze opposte, se confrontate, riporteranno l’equilibrio. É una storia che ci portiamo dietro dai tempi dell’inabissamento del Continente Mu; si insegna nelle scuole e i lemuriani superstiti recentemente hanno trovato reperti archeologici che paiono confermare questa storia. Per questo pensiamo che il Gran Sacerdote stia giocando male le sue carte».
«Aspetta un momento, tu come sai che cosa pensa il Gran Sacerdote?»
«Me l’ha detto Aphrodite, ha ancora il vizio di intrufolarsi nella sala delle udienze». Spiegò laconico mentre ti mostrava i progetti e le immagini. Tu fino a quel momento non sapevi che covasse questo interesse. Eri contento che avesse trovato una nuova ragione di combattere, tuttavia lo rimproverasti: «Kiki, sai che cosa ha ordinato il Gran Sacerdote».  
E il giovane Aries dai capelli di fiamma girò la faccia verso di te, sfidandoti a muso duro: «Non m’importa, dobbiamo tenerci pronti per ogni evenienza. Anche se Shaina riuscisse a raggiungere il Settimo Senso potrebbe essere ridotta in fin di vita e noi potremmo essere troppo lontani per combattere in vece sua. Questi saranno la sua ancora di salvezza».

La sua veemenza ti lasciò senza parole. Forse dovevi smetterla di vederlo come il bimbo di otto anni che guidò Seiya e i suoi fratelli ad Atlantide sfruttando il suo olfatto. Ma quello sguardo, avevi visto uno sguardo così in un’altra persona, una persona dagli occhi gialli che sfidò il Chrysos Synaigen. Per un momento ti parve di vederla balenare fuori dai suoi tratti e, ogni cosa ti fu chiara. Capisti da dove la prendeva quella forza, perché si era rialzato e per cosa stesse incanalando le sue energie. Perché se Kanon aveva scelto di puntare tutto su una persona, Kiki aveva scelto di puntare sull’aiuto di tutti. Era meno rischioso della strategia di Kanon, ma ce la potevate fare.
E, comprendesti anche chi doveva rappresentare veramente quel talismano. Voleva combattere uno spettro con un altro spettro, sfruttando un legame trasversale rispetto a quello di Kanon. «Kiki, vieni, abbiamo bisogno di te di qua!» Lo chiamò Mur. 
«Arrivo. Prendi, Aldebaran». T’incoraggiò lanciandotene uno, che tu afferrasti al volo. Poi ti sorrise ed entrò nella stanza adiacente. Solo dopo ti accorgesti che appeso al muro c’era il ritratto di Regulus di Leo, il predecessore di Aiolia del Millesettecentoquarantatré.
Ti accigliasti, perplesso. Perché avrebbe dovuto tenere un dipinto simile nella sua fucina? Però non ci desti tanto peso. Dopotutto la Casa era sua, era libero di arredarla come più gli pareva e piaceva.
Uscisti dalla fucina e vedesti Mur seduto al tavolo della sala da pranzo che parlava fitto fitto con dei soldati illustrando con un dito la mappa del Santuario. Una tazza di caffè nelle mani dei soldati che ascoltavano attentamente e, a volte, annuivano.      

Altri soldati e civili che parlavo tra loro nel salotto della Prima. Non avevi mai visto una cosa simile. Ma vedendo la speranza che muoveva queste persone, non potesti fare a meno di pensare che, anche tu non dovevi arrenderti. Per questo da quel momento in poi riprendeste l’addestramento calcando la mano più di prima. Tanto Shaina non si rompeva facilmente a dispetto dalle apparenze.    

La conquista del Settimo Senso non era facile, ma lei ce la stava mettendo tutta. I progressi stavano cominciando ad arrivare. A volte anche Yoshino restava a osservarvi mentre cercavi di insegnare alla tua consorte. Quando lei aveva saputo che cosa aveva ordinato la Vostra Dea, si era subito sentita in pena per la mamma. «Già il signor Shura ha perso un braccio una volta nel tentativo di fermare il Gran Dio Zeus, ora questo, non potete chiedermi di non essere angosciata». Vi aveva detto. 
In effetti l’aveva perso davvero, la cicatrice sul bicipite quasi non si notava più grazie ai dottori e a Yoshino, che gliene aveva donato uno nuovo grazie al Cosmo. Anche se Shura aveva insistito per restare monco a testimonianza del suo sacrificio. Ma Yoshino non ne aveva voluto sapere e così il povero Capricorn si era piegato, finalmente, alla Dea di cui sentiva di essere davvero il fedele servitore delle leggende. Sotto molti punti di vista Yoshino stessa era un miracolo. Aveva ridato a voi Gold della generazione corrotta quell’opportunità che non vi fu data. Servire colei che veneravate con tutti voi stessi. Anche se questo significava, in un certo senso, voltare le spalle ad Atena.  
Dovevate ringraziare lo stesso Shura se in qualche modo Yoshino non era crollata a causa del tradimento di Lancelot. Per questo sapere che aveva appoggiato il piano dei lemuriani ti aveva lasciato con un senso di straniamento addosso. «Ad Astrid sarebbe piaciuto di sicuro, almeno in parte, dall’altra avrebbe detto che è una follia». Già, il Gold Saint di Ophiuchus che era diventata la sua migliore amica. «Magari ha ragione, magari è una follia, ma voglio tentare lo stesso per motivarmi e sentire che lei è ancora qui». Spiegò Yoshino stringendo al petto il ciondolo dell’uccello segretario che aveva forgiato Kiki e, che solo in quel momento notasti.
Tu le sorridesti lieto di saperla di nuovo più sicura.

E la notte della battaglia giunse con le sentinelle che dettero l’allarme e l’esplosione del Cosmo del Cavaliere di Ophiuchus.
Fu immediatamente accesa la meridiana dello zodiaco. Anche ora faceva uno strano effetto combattere qualcosa di interno al Grande Tempio onde evitare che uscisse dalle Dodici Case come un miasma.  
Subito la voce del Venerabile Shion irruppe nella tua testa: “Presto, recati tra l’Ottava e la Nona e unisciti agli altri!” E, tu obbedisti correndo alla velocità della luce. Un secondo dopo arrivarono anche il Saint della Balena e Shaina. Mentre gli altri Gold erano già lì. «E voi cosa ci fate qui?» Chiedeste tu e Sirrah ma fu Kiki a rispondere dicendo che servivano tutte le costellazioni dell’equatore celeste, non solo quelle convenzionali. Per questo tra loro riconoscesti anche Jabu, che per l’occasione era stato richiamato a indossare la cloth di Unicorn, un Saint dall’aria benevola ma al tempo spettrale che doveva essere quello di Eridano, Nicolas di Orion, il Saint di Canis Minor, Ichi dell’Idra, Rei del Sestante, il Saint di Serpens e Castalia dell’Aquila, disposti tra gli spazi vuoti lasciati tra un Saint e l’altro. Per l’occasione Jehu e un giovane che Nicolas aveva salutato come Argaios, fecero rispettivamente le veci di Sagitter e Aquarius. In realtà i nomi te li dissero loro. Il loro arrivo aveva sollevato un polverone dal momento che nessuno di loro li aveva mai visti ma, indubbiamente erano cavalieri d’oro. Jehu con i capelli lisci, la pelle pallida e il pizzetto, esile, quasi mentre Argaios con i capelli castano chiaro un velo di barba sulle guance. Era più grande sia di Nicolas sia di Jehu. Dimostrava già venticinque anni mentre il giovane Cavaliere di Orione era sui diciotto con i capelli neri e gli occhi azzurri. Quello che colpiva di lui era che a guardarlo si aveva l’impressione di veder il muso di un leone sovrapporsi a quelli del suo volto glabro.
«Perché non vi abbiamo mai visto?» Chiedeva Aiolia.
«Ci ha mandati qui adesso il maestro Ikki, ha detto che potevamo aiutarvi, ma non ci ha detto perché». Rispose Nicolas, la voce traboccante di orgoglio al solo nominare l’erede di Leo.   
Ti ricordavi che ci fosse qualcuno che rispondeva a questi nomi nel gruppo social del Santuario, ma non pensavi che li avresti mai visti davvero.  
Ti collocasti tra Saga e Kiki dopo aver salutato questi nuovi arrivati, espandendo immediatamente il tuo Cosmo. L’alone d’oro andò a fondersi con quelli degli altri Gold ricreando il muro. Anche i Silver e i Bronze espansero i loro a rinforzare la gabbia, tratteggiando una serie di linee verticali di colori argentei e bronzei quelle orizzontali.
Il Venerabile Shion levitava sopra di voi e combatteva contro Lancelot. Odysseus invece vi osservava nel cerchio di pochi metri che avevate tracciato. Stavolta, ancor più di prima, eravate pronti a combattere come un sol uomo. Anche se il vostro Cosmo era in forte calo non v’importava, avreste ricacciato quello spirito maligno.     

«Avete di nuovo ricreato il muro di luce. Anche se sapete che questo non basterà a fermarmi». Costatò Odysseus chiudendo gli occhi, come se la vostra vista lo annoiasse. Il tono di chi parlava a dei bambini idioti.
«Forse è per questo che non ci arrendiamo mai!» Esclamò il giovane Nicolas con un impeto che lo portò a bruciare ancora il suo Cosmo e ti ricordò molto Seiya. Eppure le sue parole sortirono il loro effetto, che tutti bruciaste ancor più il Cosmo.
Sopra di voi Shion abbatté Lancelot, che cadde a terra come un sacco di patate.  

Il Cavaliere Maledetto lo guardò prima di tendere la mano e spostare Shion con la sola forza del pensiero. Vedeste il Venerabile lottare per opporsi al suo potere. Voi stessi, cercaste di impedirgli di bruciare il Cosmo, ma lui era troppo forte.
Improvvisamente però un dolce e sublime Cosmo si sollevò e vi sovrastò, annientando i vostri, permettendo così al Cavaliere Maledetto di avvicinarsi a Lancelot.
Vi giraste e spalancaste gli occhi nel veder arrivare la Dea in persona, scortata dal giovane Cavaliere di Pegasus.
«Milady!» Esclamò Shiryu, mentre i nuovi arrivati la osservavano stupiti. Osservasti i due Saint estranei: Nicolas mormorò qualcosa che non comprendesti e Jehu La osservava come se non la riconoscesse. «Mia Signora! Che volete fare?» Esclamò Milo.
«Tranquillo, Milo, voglio solo parlare con il Cavaliere». Rispose gentilmente la Dea Atena avanzando verso il campo di battaglia. E il tuo commilitone non poté fare altro che accontentarla, accompagnandola con lo sguardo, impossibilito com’era a rompere il cerchio.

La Dea passò tra di voi e si fermò davanti al suo ex Saint. «Atena». Salutò quest’ultimo trapassandola con lo sguardo serpentesco.
«Odysseus». Replicò la Dea, per niente intimorita.
«Cosa volete da me in questa notte? Non è questo quello che vi chiedo, ciò che chiedo lo sapete, voglio la mia allieva, allora perché me la nascondete e impedite che giunga a me? Perché m’impedite anche di andarla a cercare?»
«Odysseus abbandona la tua Cerca e torna nel Regno dei Morti. Tu non appartieni più a questo posto e neanche Astrid. Inoltre resuscitare qualcuno non rientra nelle mie capacità e, anche se lo fosse, non lo farei di certo. Chi è morto deve restare morto. Comprenderai bene che lei debba proseguire la sua strada. É tempo per te di abbandonare questi luoghi, non permetterò che tu commetta altre atrocità e sparga il terrore per il mondo». Comandò la Dea. 
«Capisco, a quanto pare non avete ben compreso la situazione; allora dovrò più essere più chiaro di così: riportate Astrid nel mondo dei Viventi e consegnatela a me, mi occuperò io della sua formazione». Replicò il Gold Saint Maledetto senza scomporsi.  
Aiolia e Milo digrignarono i denti, il rifiuto si leggeva benissimo sui loro volti. Se si trattenevano era solo per rispetto della Vostra Dea. La quale sospirò: «Mi addolora vedere che parliamo di due argomenti differenti».
«No, mia Signora, siete voi a non voler capire; Astrid non è morta». Rivelò il Saint. Sbirciasti in direzione di Kiki e lo vedesti guardare la scena incredulo, mentre la speranza si riaccendeva nei suoi occhi.
«Non dategli ascolto, Milady!» L’avvisò Sirrah. Già quello era un vostro nemico, chi mai sarebbe così stolto da fidarsi di una persona così? 
«Come?» Domandò Lady Isabel sgranando gli occhi e sussultando come se qualcuno le avesse fatto “buh”. Anche voi altri strabuzzaste gli occhi e prendeste a mormorare tra di voi.
«Forse non lo sapete, Dea Atena, ma la Luce Ombrosa non può morire nel vero senso della parola. Per questo chiunque le stia attorno fa di tutto per proteggerla. Se lei muore, muore ogni possibilità di salvezza per il Cosmo. Capirete che non posso permettere che accada e, più resta negli Inferi, più si accrescono le probabilità».   

«Mia Signora, il Saint sta dicendo la verità. Io sono capace di riconoscere una bugia».  Intervenne Shura. Nonostante ciò nessuno di voi abbassò il Cosmo.
Vi giraste a guardarlo gli occhi colmi di speranza e stupore: perché non ve l’aveva mai detto?
Shun confermò: «Posso vederla, è come dice Odysseus, si trova veramente negli Inferi». Esclamò guardandola sbalordita.
«Questo significa che Astrid…»
«É negli Inferi! Si trova negli Inferi!» Ripeté Aiolia come se quest’idea l’avesse partorita lui.  
«Ben detto, Gold Saint di Leo». Fece Shun in tono decisamente diverso. Lo guardaste e vedeste i suoi occhi azzurri diventare verdi e i suoi capelli fluttuanti scurirsi mentre il Cosmo scuro del Dio dei Morti cominciava a volteggiare attorno alla sua persona. «Hades!» Esclamò Aiolia arretrando di un passo per lo spavento, assumendo repentinamente la posizione d’attacco e un’espressione truce. Anche voi arretraste di un passo e il muro di luce si spezzò.
Ma né il Dio né il Gold Saint maledetto si scomposero: «Il Cavaliere di Ophiuchus rivuole la sua allieva. Ha avvertito anche lui il richiamo della Custode attraverso il Cosmo; credo che sia giunto il momento di andarla a riprendere». Dichiarò guardando le schiere della nipote divina.
«Andarla a riprendere?» Chiese Shiryu, in coro con Sirrah, il quale aggiunse: «E dove? Gli Inferi sono immensi!»  
«Shun…» Riuscì solo a dire Shiryu. Kiki invece sgranò gli occhi e domandò, con un misto di speranza e timore: «É viva?», ma prima che potesse ottenere una risposta, miriadi di domandi si sovrapposero l’una sull’altra. Tu stesso faticasti a porre la tua: «Come sappiamo che non è una trappola?» Non avevi mai dimenticato la Guerra Sacra, anche se eri stato ammazzato molto prima di potervi prendere parte.
«Sommo Hades», lo chiamò di nuovo Kiki e il Dio volse il volto verso di lui. Le mani giunte come in preghiera. «Astrid… Astrid è viva?» Chiese.
Il Dio lo fissò per qualche istante, prima di addolcire la sua espressione e rispondere affermativamente. «Sì, è viva». Se il giovane rosso chinò il capo e lo ringraziò, voialtri foste più pratici e gli domandaste spiegazioni: «Si trova negli Inferi, in questo momento sta combattendo assieme agli Specter per la sopravvivenza di tutti noi nella piana tra il Flegetonte e la Sesta Prigione».
«I morti non cantano». Bisbigliò Milo così dal niente  e tu lo guardasti accigliato, mentre sul suo volto si allargava lo stupore. Come se avesse appena fatto un collegamento sconvolgente con qualcosa. Ma lo udisti solo tu, per via dell’acustica e perché la sua frase era talmente fuori luogo da farti inarcare le sopracciglia bionde. Poi si rianimò e si offrì coraggiosamente: «Andrò io a recuperarla».
«Sei certo?» Domandaste. Il Dio dell’Oltretomba lo guardò incuriosito, sfruttando le iridi di Shun. Iridi d’acquamarina che Milo sostenne coraggiosamente: «Posso farlo. Ho risvegliato l’Ottavo Senso anch’io, posso discendere nell’Ade senza problemi». Garantì. Poi guardò la Vostra Signora e aggiunse, «Sempre che la Dea me lo conceda».
«Hai il mio permesso». Decretò quest’ultima. Prima che potesse dire altro Odysseus s’intromise: «Nel frattempo sospenderemo le ostilità tra di noi, se entro la prossima luna piena Astrid non avrà fatto ritorno al Santuario, prenderò la Vostra testa». I Saint più vicini alla Dea le si strinsero intorno. La Vostra Signora, invece, restò impassibile, a eccezione degli occhi ricolmi di tristezza.
Poi il Gold Saint si avvicinò. Scattaste tutti di un passo, tuttavia vi fermaste, perché si limitò a soccorrere Lancelot. Usò su di lui le sue arti e poi comandò ai suoi serpenti di trasportarlo via. I quali accorsero e obbedirono.
«Appena la Guerra con i Black Saint sarà debellata aprirò un passaggio per l’Altro Mondo personalmente». Legiferò il Dio dell’Oltretomba. Poi guardò il Cavaliere dalla lunghissima e spettinata chioma. «Ma a sancirne la fine per tempo non spetta a me». Gli ricordò.
La reincarnazione di Asclepius si limitò ad annuire e poi a guardare di nuovo la sua ex Sovrana e ricordarle il patto. Dopodiché vi dette le spalle e scomparve nel nulla, assieme ai serpenti e alla Cloth.
Azzeraste immediatamente il Cosmo e le Creature, finora tenute a bada da Sirrah e dagli spiriti precedentemente evocati da Shun, sciamarono via.

La Dea, dopo averle seguite con lo sguardo si girò verso il custode dell’Ottava e disse: «Bene, Milo, contiamo su di te, vai a salvare la Custode della Luce Ombrosa».

 

Camus
Il mughetto infero di Luco non sembrava aver attecchito. Anche se, tutti i giorni la giovane raccoglieva una manciata d’acqua con le mani e l’annaffiava, sembrava che non dovesse succedere niente. Non avresti saputo dirlo, non ne sapevi niente sui fiori e, non te l’eri sentita di coinvolgere nessun altro. Però speravi che fosse solo un’impressione iniziale, che la piantina avesse bisogno di abituarsi al nuovo terreno.
Che ironia, vero? Tu che ti ritrovavi a sperare per la rinascita di uno Specter. Bè, di questi tempi ce ne era bisogno. Le parole di Zaphiri di Scorpio e la scena della sua uccisione continuavano a restarti impresse e non se ne volevano andare. Non avevi mai seriamente riflettuto sulle parole di Lady Pandora a proposito di schieramenti e colori finché Zaphiri non era morto. E avevi pianto, poi, da solo, quando eri stato sicuro che nessuno ti vedesse. Avevi pianto per essere stato costretto a combattere contro il tuo predecessore e per non aver saputo aiutare un'altra persona. Zaphiri desiderava soltanto riscattarsi. Perché il Destino doveva essere così crudele? 
Sentisti Astrid rialzarsi e asciugarsi le mani sulla gonna del vestito nero. Adesso indossava anche la stola che era appartenuta a Menta ancora ricoverata. L’aveva allacciata diagonalmente rispetto al corpo e fissata alla cintura, di modo che simulasse un chitone sulla parte superiore del medesimo. Aveva detto che lo avrebbe custodito lei in vece di Menta finché lei non si sarebbe ripresa. E, ne aveva tratto giovamento, dacché in questi due giorni avevate scoperto che era grazie a quei veli che le Ninfe Stigie riuscivano a rendersi intangibili e a combattere. Questo era pure meglio di un giustacuore, che Astrid aveva tolto. Tu pensavi che fosse una pessima idea, visto che non si poteva mai sapere e, finora, Astrid non aveva mai attivato il potere di quella stola. Già, non avevi tempo per pensare ai morti, adesso dovevi pensare ai Vivi e la giovane bionda contava su di te. Non potevi deluderla così.   
Astrid, ignara di tutto, si sedette accanto a te, grata di non dover più congelare ogni volta che ti sfiorava.
Da quando ti eri dissetato con le acque del Flegetonte non avevi fatto altro che ripensare alla battaglia delle Dodici Case e alla tua fama. E, ancora una volta, fosti ben lieto di cambiare pensiero. Glaciale. Sì, tu, con Lo straniero del tuo omonimo, non avevi niente in comune. E meno male, ti avrebbe fatto impressione ritrovarti in un tipo come Meursault. 
Solo perché tu non avevi avuto bisogno di maestri - al massimo, i vostri insegnanti furono quei tutori che vi insegnarono a leggere, scrivere, far di conto e sbrigare per voi le faccende burocratiche fino alla maggiore età - non significava che fossi così. Tu eri solo indipendente. Non significava che non avessi chiesto aiuto per imparare anche a combattere gli effetti del freddo come l’ipotermia, o che non avessi dispensato a tua volta. Solo perché sapevi controllarti molto bene non significava che tu non avessi emozioni. Perché, se era vero che potevi controllare il ghiaccio e nella sua freddezza trovare la tua forza, adesso, avevi da riscoprire anche l’Acqua dentro di te. La stessa che ti permise di scatenare il maremoto che inabissò il relitto dove riposava il cadavere di Natasha. Avevi voglia di dirti che l’avevi fatto in nome di Atena, perché se Hyoga era davvero un Saint allora la prima persona per cui avrebbe dato la vita era Lei. Ma, sebbene nel giusto, avevi anche provato repulsa per te stesso, perché quello era pur sempre il corpo di sua madre. E l’espressione ferita di Hyoga era stata per te una stilettata al cuore: “Avanti, dimostrami che sei pronto, dimostrami che puoi farcela”, l’avevi pregato mentre trattenevi a fatica le lacrime, accigliandoti ancor di più, in quell’espressione truce che ti contraddistingueva.
Ma quel testone non l’aveva capito. La persona che per te aveva contato più di chiunque altro, era uno stupido obnubilato dalle emozioni. Ma forse era questo che ti attirava di questa risma e che ti aveva portato a pensare al suo bene più di ogni altra cosa, nonostante la depressione. Anche più di Milo che, in fondo, non aveva fatto che ammirarti e autoproclamarsi tuo amico e starti vicino, cercare di conoscerti. E le lacrime di Milo bambino le rivedevi riflesse in quelle di Hyoga quel giorno. A volte ti dispiaceva davvero non essere stato più aperto con il giovane Scorpio. Poi ci pensavi bene e ti dicevi che andava bene così. Poi, ti era parso di capire che Milo fosse andato avanti, se no, quando eri ritornato come Specter avrebbe sorretto te, invece di Saga. Avresti voluto scriverglielo qualche volta nelle lettere, ma non avevi mai trovato il coraggio di farlo. Di domandargli se si fosse fatto qualche amico, se fosse riuscito ad andare avanti. Perché sì, non avevi bisogno di chiederglielo. Per quanto fosse un sadico, spietato guerriero, era anche un uomo estremamente positivo, era ovvio che c’era riuscito. E, non eri neanche sicuro che ad Asgard ti avesse azzittito perché avesse capito.
Eppure sotto questo aspetto lo invidiavi.
Tu eri riuscito ad andare avanti soltanto negli Inferi, grazie a Valentine e a Fianna.
La verità era che Milo, orfano come te, si era appigliato a chi restava e restavi tu. Però aveva veramente vegliato su Hyoga e se ne era realmente preso cura. E tu ne eri rimasto sbalordito, quando il tuo allievo ti aveva raccontato chi avesse donato il sangue per far rivivere la Bronze Cloth del Cigno. Ed era sull’onda di queste emozioni che adesso certi interrogativi si risolvevano con un senso di turbamento per le parole dell’Azone al servizio di Hades. Avevi dimenticato cosa significasse essere come l’Acqua, Camus. L’acqua che il Flegetonte ti aveva ricordato di possedere nel tuo essere. Vero, Mago dell’Acqua? A proposito, come va la sete, Camus? Male, eh? L’Azone non ti aveva avvisato che, sebbene le acque del Flegetonte ti riempissero lo stomaco, non dissetassero neanche per scherzo. Avevano invece peggiorato la situazione. Non ricordavi di aver mai bevuto tanta acqua come in questi giorni.
Persino Astrid era preoccupata per te e, spesso, ti aveva guardato angosciata. Però avevi scoperto che, concentrarti su altro, aiutava abbastanza a sedare la tua sete vampirica. Sì è qui anche per scherzare, no? Ok, la smetto. A parte gli scherzi, se tu fossi stato un po’più aggiornato e avessi letto un po’di più, avresti avuto la maschera di Halloween bell’e pronta.  
«Sai, che avevo un osservatorio astronomico?»
«Davvero?»
«Non una cosa di chissà quale portata, in verità era assai rudimentale, me l’ero costruito sui monti vicino all’Altura delle Stelle. Ci andavo ogni notte per studiarle e verificare quante costellazioni o parti di cielo fossero scomparse». Spiegò con aria nostalgica, abbracciandosi le ginocchia, il naso ancora per aria. «Ci andavo di notte, mi illuminavo la via con una lanterna. Mi ero anche attrezzata, avevo lavorato a quell’osservatorio, anche se sembrava più un accampamento con tanto di focolare per scaldarmi. L’umidità e il freddo la facevano da padrone lassù. Ancora non ho capito come facevano a fare la ronda, ma tant’è». A volte alzavate il cielo per guardare l’inquietante volta celeste infera.
«A cosa pensi?» Le chiedesti mentre osservavate il cielo, entrambi con il naso per aria. Tu trovavi le aurore decisamente più attraenti. Questo cielo era statico. Non c’era altro modo per definirlo.
«Che da quando sono qui non ho mai osservato le stelle, anche se so che ci sono. É un peccato».
«Non sapevo neanche che quelle potessero essere classificabili come tali, pensavo che fossero cristalli».
«Tipo rubini e ametiste?»
«Qualcosa del genere, sì, dopotutto, il Flegetonte è fatto di lava e le gemme nascono anche dalla lava». Per quel che ti ricordavi potevano essere di origine vegetale, animale e minerale. Ma di origine vulcanica non ti veniva in mente niente.
«Non so, non sono ferrata in geologia». Ammise.
«Neanch’io. Però ho sentito dire spesso ai celti che queste zone abbondano di acquamarina, ametiste, agate e berilli». Facesti, ora che ti veniva in mente. Erano alcuni tra i migliori gioiellieri che si poteva sperare di incontrare, dopo i fabbri degli Specter e i Black Saint che non si erano uniti alla crociata contro di voi. Se non erravi, quel gruppetto sparuto guidato da un lemuriano, si occupava anche di intrattenere scambi commerciali con i regni Infernali limitrofi. Alcuni dei prodotti di sostentamento che vi arrivavano giungevano anche dall’Inferno di Lucifero, di Anubis e di Hela. Il cibo proveniente dalle terre dei Vivi era molto apprezzato ovunque ed era un eccellente punto di contatto tra i regni. Altra cosa che avevi imparato stando a contatto con Valentine. Nonostante ciò non avevate ancora altri alleati a causa dell’Azone di Hades che era rientrato in servizio da poco. Non ch le forze ctonie e quelle di Poseidone fossero insufficienti, al contrario.
Fu però la voce di Astrid a distoglierti dai tuoi pensieri, riprendendo il filo del discorso originario.       
«Io conoscevo quelle associate al fuoco, tipo i quarzi citrini, le kunziti, le corniole, la sodalite, i topazi , gli zirconi, i quarzi rosa, le pietre di luna e di sole… Ma le mie conoscenze si fermano qui, è già tanto se mi ricordo i nomi di queste pietre; era mia madre quella che le conosceva».
«Interessante. Credi che la volta celeste infera sia composta di cristalli?» Non avevi mai considerato prima questa ipotesi, con tutte le volte che avevi osservato il cupo cielo infero sopra di voi. Ma questo avrebbe reso il tutto meno spaventoso e, allo stesso tempo più terrorizzante tutto. Perché vi avrebbe ricordato quanto in realtà foste prigionieri. E, quest’idea ti spaventava più che mai. Distogliesti lo sguardo dalla volta concava.
«Non ne ho idea, ma sarebbe un colpo da niente se fosse così».
«Credi che lo siano?»
«No, sono stelle vere e proprie».
«Ah, pensi che le codificherai?» Domandasti poi, ma lei si limitò a stendersi in terra, le mani dietro la testa e osservare tutto. «Penso di sì, credo… Non so quanto mi convenga, voglio dire, tanto sono stelle che solo gli Specter e chi vive qui può osservare, no? Forse non ne vale neanche la pena, a meno che non volessi scrivere la Divina Commedia Due, La Vendetta». Scherzò ridendo divertita all’idea, dopo una pausa così lunga che tu ti dimenticasti persino di averglielo chiesto. La sua risata fu così contagiosa che ridesti anche tu. «In quel caso avresti già un lettore». Le garantisti, scoccandole uno sguardo pieno d’affetto e d’aspettativa: se era brava anche la metà di come si esprimeva, allora sarebbe stato un buon libro. 
Lei sorrise, grata, poi, piano piano, il suo sorriso si afflosciò e cambiò discorso: «Sarebbe meglio trovare invece un modo per far rifiorire quella pianta». Disse mogia.
«Già, sarebbe utile». Facesti tu, puntellando le braccia indietro per poter reclinare meglio la testa, tornando serio a tua volta.  
«Milady Astrid, nobile Camus». Esordì Aliena, interrompendo la vostra discussione e rompendo l’atmosfera di confidenza che si era venuta a creare tra di voi.
«Oh, salve Lady Aliena». Salutò la giovane di rimando, guardandola. Ricambiasti il saluto della Ninfa con un cenno del capo. «Cosa vi porta qui?» Le chiese la tua compagna d’arme.
«Avete saltato il pasto serale, pensavo che poteste avere fame», spiegò porgendovi il cestino da picnic che, finora era stato appeso al suo avambraccio. guardandola impietosita. Vi aveva trovati ancora in riva al ruscello dove aveva piantato il mughetto. Tu trovavi la compagnia della Ninfa Stigia una cosa strana e anche ipocrita. Prima dell’entrata in battaglia di Astrid non vi aveva mai rivolto la parola.
In ogni caso la ringraziò e cominciò a sbocconcellare un panino. La Ninfa Stigia si scusò dicendo che aveva già mangiato prima e tu, se lì per lì pensasti di rifiutare, cambiasti idea e mangiasti.
«Non sono triste, è che mi sembra di brancolare nel buio, sono tre giorni che cerco di scervellarmi per salvare i ragazzini, ma ottengo solo crisi d’ansia come non mai. Di questo passo temo che mi butterete fuori della tenda per avere sonni tranquilli.» scherzò amara.  
Aliena le scoccò uno sguardo impietosito, prima di avere un’idea e sorriderle. Lo capisti dal luccichio nelle sue iridi castane: «Milady, perché non venite con me? Forse lo so io come risollevarvi il morale, su, venite». Poi la prese per il braccio e la fece alzare in piedi. E, la trascinò, ignorando le sue fiacche lamentele. «Venite anche voi, Sommo Camus!» T’invitò tutta entusiasta. Tu le lanciasti un’occhiata perplessa. Astrid alzò le spalle e si decise ad accordare il passo al suo per non inciampare.
Le seguisti tenendoti un poco distante. «Dove stiamo andando?» Domandò la giovane cercando di guardare la sua ancella in viso. Ma costei non rispose. La cosa non ti piacque per niente.
In breve il cielo si colorò dei veri colori della notte. Astrid trasalì a quel fenomeno e cercò di guardarlo ma non ci riuscì perché il ritmo della corsa glielo impedì.
Ma non ti sfuggì il variare della luce intorno a voi. Dapprima come un piccolo dettagli di poco conto. A poco a poco avevi realizzato: la luce, i colori! Erano questi a essere cambiati. La luce era sfumata su tonalità argentee e, il paesaggio era virato sul blu della notte, abbandonando le tempestose sfumature viola, rossastre e purpuree cui eravate abituati. Guardando meglio ti accorgesti che persino le piante avevano qualcosa di diverso, di più vivo e dolce e meno terribile come quelle infere. Che la loro corteccia non sembrava dura come l’ossidiana e le loro foglie non avevano quella patina grigiastra come se fosse nevicata della cenere. I colori erano più vividi, gli odori erano più umidi, freschi, sapevano di sera estiva. Riconoscesti le erbe e le piante palustri tutto attorno a voi, mentre i rumori dello stagno creavano un dolce sottofondo musicale per le vostre orecchie.
Sollevasti lo sguardo stupefatto, sul cielo, domandandoti come fosse possibile un tale miracolo in un luogo come questo. A forza di stare qua sotto avevi quasi dimenticato il colore delle nubi durante certe notti estive, quando vengono colpite dall’argento dei raggi lunari. 
In breve tempo arrivaste in una zona degli Inferi che non avevate ancora mai visto.
Sembrava quasi di essere finiti dentro un quadro. Non ti saresti neanche sorpreso se fosse così, avevi sentito parlare anche tu del Lost Canvas.
I tronchi di ontani, betulle, tigli, platani, salici ed eucalipto svettavano come colonne verso la volta celeste, come se con le loro imponenti fronde avessero potuto sostenerla. Alcune lucciole svolazzavano qui e là accendendo l’oscurità di bagliori iridescenti e rivelando la presenza di specchi d’acqua circondati da erbe palustri e ninfee e altre piante acquatiche brulicanti di animali della superficie! Sgranasti gli occhi quando riconoscesti la sagoma di un airone cinerino in caccia.
Mentre le libellule pasteggiavano con i nugoli di moscerini e altri insetti, ronzandovi intorno e, le lucciole accendevano il paesaggio della loro luminosità fosforescente, facendolo sembrare ancora più magico.
Se tu avessi mai visto dei cartoni animati ambientati a New Orleans avresti detto che questo posto somigliavamo moltissimo a quelle paludi. Il Bosco entro cui vi stavate addentrando tenendovi tutti e tre per mano, neanche foste incastrati nel bel mezzo del carnevale e quello fosse l’unico modo per non perdersi, era immenso. In breve raggiungeste un luogo dove l’erba si fece più corta e arrivò appena a sfiorarvi le caviglie, a differenza di quella che aveva cercato di ostacolarvi, alzandosi fino alle ginocchia. Ma proprio perché aveva quest’aspetto, ti domandasti dove si nascondessero i suoi predatori. Dov’erano i coccodrilli e i serpenti? Solo per citarne alcuni, oltre a quelli più piccoli e insidiosi.
«Che meraviglia, che posto è questo?» Chiese colpita, rubandoti le parole di bocca, mentre vi guardavate attorno con aria smarrita. Anche tu mormorasti: «Non avevo mai visto questo posto».
«Quando il sommo Hades decise di ricostituire gli Inferi per adattarli alle nuove paure delle persone, luoghi come la Valle degli Asfodeli, la Caverna della Sibilla e il bosco di Ecate furono spostati più in profondità rispetto all’entrata del vecchio Averno. Ai lati delle Prigioni. Lì, noi Ninfe Stigie e altri abitanti dell’Ade trovammo rifugio. Quello che i peccatori conoscono è solo la parte marcescente della Palude ove sosta il signor Flegiàs con la sua zattera. Lui è sì il traghettatore, ma anche il guardiano dei confini del vero Giardino degli Inferi, curato dal signor Luco della Driade. Questo è il piccolo gioiello che Sua Maestà Hades preservò e custodì persino più gelosamente del suo stesso corpo divino. Luogo cui neanche la Sacerdotessa Pandora aveva accesso. Una volta, prima che il Sommo Ares chiedesse aiuto al Sommo Hades per vendicarsi di Atena e che tutte le Guerre Sacre iniziassero, non era difficile vederlo passare il suo tempo qui».
«Non credevo che negli Inferi esistesse un posto così bello. Ora comprendo come mai gli Specter non si siano ancora ribellati». Commentasti sorpreso.
«Oh, se è per questo molti di noi sono loro discendenti». Aggiunse Aliena, in vena di confidenze e, entrambi sgranaste gli occhi, sorpresi. Pensavate che gli Specter non avessero dei discendenti, ma che si reincarnassero e basta. «Io sapevo che le centootto stelle malefiche si reincarnano nei loro discendenti terreni, ma non mi ero mai chiesto da dove saltassero fuori queste stirpi».
«Non tutte le stelle malefiche hanno discendenti sulla Terra dei Vivi». Spiegò la Guardiana dello Stige con un sorriso astuto e una scrollata delle spalle nude. Poi cambiò discorso; «Se si è fortunati è possibile incontrare anche gli Dèi gemelli del Sonno e della Morte con il loro corteggio di ninfe o la stessa Strega della Luna. Adesso anche la Somma Pandora vi accede e contribuisce ad allietare qualcuna delle nostre serate con la sua arpa».
«Chi vive qui?» Chiese Astrid.
«Le mie sorelle al plurale, le Sacerdotesse e gli adepti di Hades dei tempi antichi e le Streghe che furono ingiustamente condannate al rogo. No, non temete, esse non sono pericolose, sono persone legate agli antichi culti degli Dèi, come il Sommo Camus qui presente. Non vi faranno mai del male, non è nel loro credo». 
«Ah, intendi forse che sono degli wiccan?» Domandò Astrid con sguardo melanconico, mentre alcune Streghe e Sacerdotesse accendevano dei falò che andarono a rischiarare l’ambiente, scoprendo così una radura e facendovi battere le palpebre. Alcune Ninfe portarono invece dei drappi di seta molto simili al velo divisorio di Hades, ridendo divertite come bambine che hanno combinato una marachella. 
Ma la vostra guida non sembrò farci molto caso: «Certo, mia Signora».
La tua compagna d’arme si rilassò e ti fece cenno di fare altrettanto, come se tu non te ne fossi accorto. Però decidesti di non farlo. Qualcuno tra voi doveva per forza restare vigile. Forse avrebbe persino dovuto farlo anche lei.
Poi, Aliena fece qualche passo avanti e lanciò un ululato. Niente di così tremendo come quello delle Banshee, somigliava più al grido di battaglia degli indiani dei western stereotipati. La differenza era che mentre gridava muoveva la lingua a destra e a sinistra nella bocca, come le raccoglitrici di lino in Egitto. 
Ti accostasti alla tua amica, angosciato: «Astrid! Non dovresti fidarti così facilmente, è pur sempre una servitrice di Pandora». Le sussurrasti a un orecchio, leggermente nervoso, mentre la tua collega andava a svegliare la foresta. Se non fosse stato per le Streghe che già l’animavano e la preparavano avreste pensato che fosse impazzita. «Ma Pandora è la mia tata e la mia madrina. Non temere, in caso di necessità posso difendermi anche da sola». Ti garantì.
«Non è questo il punto». Ti guardò e inarcò un sopracciglio con aria interrogativa ma non tu non proferisti parola, né insistesti oltre, ti limitasti a poggiare le mani sui fianchi e a sbuffare: «Stiamo perdendo tempo, qui». Incrociasti le braccia al petto. 
«Ma neanche scervellarci sul problema ci porterà da qualche parte, dammi retta, un po’di svago ci farà bene». Le gettasti un’occhiataccia. «E i bambini?» Chiese poi.
«Ci penseranno i Celti e Isaac a tenerli d’occhio stasera». Rispondesti caustico. Per quanto avessi imparato ad apprezzare la compagnia di Valentine, non ti fidavi per niente, adesso che sapevi cosa bolliva in pentola. 
La vedesti serrare le labbra. Poi giunsero anche le anime di qualche dannato. Restaste molto sorpresi nel notare Paganini tra di loro e qualche defunto artista moderno tra le Streghe e i musici celtici pittati di blu. Si vedeva che erano anime, però, perché erano quasi traslucidi e i loro occhi erano di un giallo limone talmente intenso da suggerire una sensazione di pericolo. Era come se non fossero veramente loro, ma solo spiriti che avessero assunto le loro sembianze. Ti sentivi come se stessi guardando delle piante carnivore giganti munite di occhi che mancava poco ti adocchiassero.
Ma se Astrid distolse lo sguardo, timorosa, mentre accordavano in silenzio gli strumenti, tu no. Avevi un metodo infallibile, per annientare le piante.
Aliena scomparve un attimo. Quando tornò recava con sé un vasetto pieno di una tinta nera. «Che cos’è?» Domandò Astrid. La giovane rispose che era del semplice trucco. «Tipo un eyeliner in pasta?» Mentre tu ti domandavi che cosa fosse un eyeliner, la Ninfa annuì e le chiese se avesse potuto truccarla. Sulle prime, la ragazza tentò di rifiutare, ma poi cambiò idea e lasciò che la ninfa le dipingesse quella riga nera a ridosso sulle ciglia. Avevi già visto questo trucco a giro da vivo, al di là della cortina di ferro, però ad Astrid accendeva lo sguardo. «Ti sta bene». Ti complimentasti.   
Lei ti ringraziò ma non si allontanò dal tuo fianco, intimorita com’era.
La sensazione che avevate sui musicisti andò accentuandosi quando cominciarono a suonare delle melodie celtiche moderne. «Oh, non sapevo che conosceste anche questa musica». Disse sorpresa a Menta che osservava tutto con una luce di gioia selvaggia nelle iridi scure in cui si riflettevano le fiamme dei vari falò.
Le Ninfe Stigie, i veli semi trasparenti allacciati ai corpi come sari, cominciarono a ballare e cantare in coro con le silfidi e altre creature appollaiate sui rami degli alberi. Anche tu seguisti il loro esempio e, tendesti una mano ad Astrid per aiutarla a salire sul tuo stesso ramo. Lì, assisteste all’esibizione e, per tutto il tempo, Astrid mosse le spalle a tempo coi tamburi. Anche tu facesti fatica a non lasciarti trascinare dalla musica. Non sapevi che fosse così coinvolgente. Non eri un intenditore, ma eri più abituato alle sonorità degli Anni Sessanta, Settanta e della prima metà degli Ottanta che a questo. Perciò ti ci volle un po’ per coglierne la bellezza. Fortuna che il ramo era sufficientemente grosso per non tremare sotto il vostro peso e a ogni movimento di Astrid. Che, onestamente, t’infastidì.  
Quando finì la prima canzone lei applaudì. Poi Aliena la trascinò nelle danze. Vedendola ballare assieme alla tua collega guardiana e alle altre ninfe ti incuriosisti. Non avevi mai provato a ballare. Tu invece sgranasti gli occhi, perché comparvero anche gli Specter. Li indicasti alla ragazza che s’irrigidì, quando li riconobbe senza le Surplici. Non li avevate mai visti prima in borghese. Non che me li ricordassi poi tantissimo. Lei ti dette una gomitata per attirare la tua attenzione e, indicarti alcuni tra i nuovi arrivati. Seguisti il suo sguardo e individuasti il Garuda e la sua seconda in comando.
Posasti una mano sulla spalla della bionda che esclamò: «Sei gelido!» Togliesti repentinamente la mano, spaventato. Come era possibile? Eppure l’Azone ti aveva garantito che l’effetto sarebbe durato due settimane! Con il terrore e i dubbi ti allontanasti dalla festa per calmarti e vedere se potevi scaldarti come i comuni esseri umani. Infatti, cominciasti a sfregarti le braccia dipinte, pregando che si scaldassero. Cosa che effettivamente, dopo un po’successe, anche se ormai ti facevano male le braccia e le mani per la forza che ci avevi messo. Perché non avevi tremato? Tremare serviva a scaldarti, non solo a ricordarti quanto potevi spaventarti. Perché non c’era freddo.  Ti ci mancava solo questa.
«Ah, è ridicolo». Soffiasti così piano che la musica coprì ogni parola.
«Che succede?» Ti chiese Valentine e tu lo guardasti anche se lì per lì non lo riconoscesti senza la Surplice. Sembrava più esile e piccolo.  
«Il mio corpo, sono di nuovo gelido!» Lo Specter si accigliò ti sfiorò il braccio e disse, in tono di finto compatimento, nelle cui righe leggesti un palese “povero deficiente”: «Ma no, va tutto a posto, ti stai solo termoregolando, rilassati, Aquarius, è l’ennesima riprova che sei vivo e vegeto. Non dirmi che ti sei dimenticato anche di questo!» Esclamò poi canzonatorio.
«Ah, oh…» Abbassasti lo sguardo arrossendo per la vergogna: non c’eri più abituato, dopo tutti questi anni passati così, avevi dimenticato che cosa si provasse a sentire di nuovo gli effetti della temperatura circostante su di sé. 
«Camus». Chiamò la voce di Astrid ed entrambi vi giraste verso di lei, la quale vi vide: «Valentine, che è successo?» Domandò angustiata, mentre vi raggiungeva velocemente.
«Niente, per un momento abbiamo temuto che fosse tornato freddo come prima». Spiegò lo Specter anche per te e tu annuisti come a sottolineare le sue parole.
Astrid sospirò sollevata: «Meno male, mi sono spaventata».
«Non c’è nulla di cui preoccuparsi, tornate alla festa, è anche per voi, dopotutto». Fece il tuo collega del Cocito lasciandovi soli.
«Cos’è questa storia?»
Così, la giovane si drappeggiò meglio la sciarpa sulle spalle e passò il resto della serata seduta vicino a te che, da quel momento in poi non le staccasti più gli occhi di dosso. 
A un certo punto, una Ninfa, tutta scarmigliata, la tirò in piedi, invece te, ti ignorarono completamente. Non era la prima volta che succedeva, però ti venne da chiederti perché e cosa avessi fatto. «Oh, no, no, io non so ballare». Si scusò, cercando di non farcela restare troppo male. La ninfa mise il broncio e allora le dissi, impietosita: «Sarà per un’altra volta».
«Lo giurate?»
Il sorriso sul volto di Astrid si afflosciò e la sua espressione fu sostituita da una intimorita. Tu stesso fiutasti il pericolo, per questo ti alzasti in piedi e intervenisti. La portasti via da lì con una scusa. Lei ti scoccò un’occhiata di gratitudine e poi, insieme vi allontanaste, recuperaste la sua Surplice e poi, camminaste fuori dei confini delle paludi senza girarvi. La sensazione che vi stessero seguendo, pronti a tendere le mani e a riportarvi nel cerchio.
Astrid ti strinse il bicipite per dirti di non guardare. Lo capisti dalla sua espressione, quando la guardasti con la coda dell’occhio. Poi, ti salì sulla schiena e, aggrappandosi a te con tutte le sue forze, ve la deste a gambe alla velocità della luce. Soltanto quando ritornaste all’accampamento Astrid ricominciò a respirare. 

A te non era sfuggito il fatto che Astrid passasse il tempo in compagnia dell’apprendista di Kiki. E, avevi scoperto, seguendole, che avevano trovato un angolino tutto loro, vicino allo strapiombo. Lì, la più grande si metteva a cantare per la più piccola. Non sapevi che lo sapesse fare e, ne eri rimasto impressionato. Anche perché era la prima volta che sentivi qualcuno cantare in tutta la tua vita.
Ti erano rimaste impresse in particolar modo Bella Signora e What a feeling. La prima la cantava in un modo che somigliava moltissimo a un invito. E tu la vedevi davvero questa bella signora, solo che nel mare nero della notte scura, ci vedevi lei, che tendeva una mano verso di te, sorridendoti. Come quel sogno che avevi cominciato a fare da quando vi eravate spostati nuovamente. Nel tuo sogno ti vedevi nel nero del Limbo e, a un tratto una serie di lampi di luce, come delle comete, cominciavano a solcare il cielo attorno a te. E, mentre tu le seguivi con lo sguardo, meravigliato, ti girasti e vedesti il cielo tempestato dei colori dello spazio e delle sue stelle venire verso di te, rimpicciolendosi sempre più fino ad assumere una forma vagamente femminile. Quando ti passò accanto girò il volto per guardarti. Nella sua forma riconoscerti dei tratti umanoidi, come se quell’essere fosse stato trasparente. L’essere fluttuante di spazio e di stelle ti girò intorno un paio di volte e tu con lui, mentre ti accorgevi che assumeva tratti sempre più femminei e sempre più simili ai tuoi. Il suo viso di poco più in alto del tuo, proteso verso di te. A un tratto il manto variopinto arretrò lasciando liberi una pelle candida e i capelli biondi della persona, della donna che avevi davanti. Anche se solo una parte, non avevi mai visto degli occhi più affascinanti di quelli di… “Astrid!”  Li riconoscesti sorpreso, mentre la sua persona si delineava davanti a te e sorrideva divertita. Il manto che fino a quel momento l’aveva rivestita scivolò dolcemente giù dalle sue membra, rivelando la pelle candida punteggiata di lentiggini dorate, i grandi, bellissimi, dettagliati occhi gialli in cui albergava il riverbero del Cosmo. Un sorriso malizioso le incurvò le belle labbra rosee quando tu sgranasti gli occhi, sorpreso.
I biondi capelli, liberi dal manto di cielo e stelle fluttuarono come mossi dalla brezza.
Il blu tempestato di brillanti e fulgidi dettagli e colori, si fermò all’altezza delle clavicole e ti ritrovasti a osservare la tua sosia. «Astrid!» Esclamasti. Il suo sorriso si ampliò e ti strizzò l’occhio prima di sfrecciare via a gran velocità. 
La seconda, gliela sentisti cantare quando le due si misero a lavare i panni assieme alle lavandaie celtiche e alle velate e finirono per prendersi a schizzi e a ridere come pazze. Tu quel giorno eri lì con loro perché le avevi raggiunte dopo aver concluso una riunione con i Celti per riposare. Come sempre, Astrid si era portata dietro i ragazzini e Anna e Saoirse stavano dormendo sotto uno degli alberi in riva al ruscello. Ti accomodasti accanto a loro, di modo che potessi tenere d’occhio tutti quanti. Visto che il momento più delicato per gli apprendisti era proprio il sonno, non potevi permetterti distrazioni. Fortuna che c’erano le sentinelle, perché tu non potevi percepire i loro Cosmi e, al momento era tutto tranquillo. Tutto era partito mentre eri lì lì per sonnecchiare, tanto eri esausto. Poi avevi sentito Astrid cominciare a cantare così, dal niente, contagiato dall’aria di tranquillità che si respirava.
Si sentiva, da quella voce espressiva, che era solo per Raki, che era il suo modo per dirle che poteva fidarsi di lei e che l’avrebbe tenuta sempre con sé, che avrebbe vegliato su di lei e che l’avrebbe protetta. Anche se era palese che era una canzone d’amore che, con ciò che voleva esprimere non c’entrava niente. Però per come la cantava sembrava questo. Se avesse avuto anche la base musicale giusta e lo spazio necessario, l’avrebbe perfino fatta volteggiare. Ma a fine canzone si accontentò di cominciare a ribattere agli schizzi che le arrivarono e le risate.
Non ti saresti mai aspettato di fare questa scoperta. Le avevi osservate sbalordito, mentre quelle due giocavano e vedevi come Astrid si illuminava, non potesti fare a meno di guardarla, attirato dal lampo di felicità che emanava mentre giocava con l’allieva di Mur. Era rilassante assistere a queste scene di tranquillità in mezzo a tanto buio e disperazione. Se da un lato taluni trovano vomitevole questa pausa, non avevano idea di quanto in realtà l’umanità sentisse il bisogno di voltare le spalle alla morte.
E quelle due erano talmente luminose ai tuoi occhi, da rischiarare tutta la scena per davvero, come dei soli formato persone.       
La guardasti ammirato, mentre i ragazzini, che fino a quel momento si erano allenati poco distante, ti raggiunsero, tergendosi il collo e la fronte sudati. Le osservavano un po’ sconvolti e disgustati. Come osavano cantare in una situazione tanto grave come questa? Scuotesti il capo divertito. Se se la prendevano per così poco, avresti voluto vedere le loro facce se avessero saputo che le persone cantavano nei momenti più disparati. Allora sarebbero rimasti traumatizzati! Neji ti domandò: «Ma lei lo sa che siamo guerrieri?»
«Ai suoi occhi siete ancora dei bambini, probabilmente vuole solo proteggervi». Spiegasti, tacendo il fatto che eri disposto a fare altrettanto anche se non erano i tuoi allievi o membri della tua famiglia. Ma questo era normale tra i Saint. Li guardasti con la coda dell’occhio e ti domandasti cosa fosse successo alle schiere del Santuario. Ricordavi un certo spirito di collaborazione e cameratismo tra i Silver e i Bronze, soprattutto i Bronze, ma perché questi ragazzini qui non ti sembravano per nulla disposti ad aiutare il proprio compagno? Dopotutto era questo che stava facendo Astrid, nell’unico modo che conosceva. Allora perché se la prendevano tanto?
«Bè, è fastidioso». Sbuffò Tokaki incrociando le braccia, prima di lanciare un’occhiata alla bionda in nero che giocava con la piccola Lemuriana. La quale ricambiava i suoi schizzi aiutandosi anche con la telecinesi, facendo sgranare gli occhi ad Astrid in un’espressione di orrore neanche tanto finto. Qualcosa ti diceva che era meglio preparare il necessario per far asciugare quelle due, sì da evitare che si prendessero un malanno.
Ordinasti ai due ragazzini di prendere le due sorelline e riportarle all’accampamento che alle altre avresti pensato tu.
I due ragazzi obbedirono, si chinarono sulle bambine e, con delicatezza, le presero in braccio e si diressero all’accampamento. Li accompagnasti con lo sguardo e poi restasti a osservarle un altro po’. Non ti spaventasti neanche quando sentisti Valentine accomodarsi dove prima eri tu. Che adesso te ne stavi con la schiena appoggiata al tronco d’albero.
Chi l’avrebbe mai detto che sarebbero riuscite a ritagliarsi uno spazio di vita in un luogo che, in teoria, doveva essere di morte e reclusione?
Andasti a interrompere le due scatenate. Le quali ti guardarono, immerse in acqua fino alla vita come se tu avessi parlato ostrogoto. Poi ti arrivò uno schizzo d’acqua che evitasti spostandoti alla velocità della luce. L’acqua cadde a terra senza neanche tangerti un capello. «Però così non vale!» Protestò Astrid tirando fuori un tono talmente infantile che dovesti morderti la lingua per evitare di scoppiare a ridere. Poi ti desti un tono e replicasti, in tono serio: «Spiacente, ragazze, non penserete sul serio che mi lascerò schizzare solo perché voi vi state divertendo e sperate di zittirmi. Su, forza, adesso che i panni sono interamente lavati», e ponesti l’accento su queste due parole «credo che sia il caso che voi usciate dall’acqua, state disturbando le lavandaie. Non dico che fate male a voler ridere e scherzare così, anzi, trovo che sia una cosa giusta, per scappare dall’orrore che ci circonda, però non dovete dimenticare che vertiamo in uno stato d’allerta, non è bene indugiare troppo a lungo in questi svaghi». Le ammonisti in tono pacato, continuando su questa falsariga, beccandoti due occhiatacce che ti strapparono una risata mentale divertita, ma che non contagiò affatto il tuo corpo. Perciò le due non ebbero altra scelta che darti retta e uscire dall’acqua. Chiamasti una lavandaia e le dicesti che avresti preso a prestito due teli già asciutti e al suo cenno affermativo, suggeristi alle due di approfittarne. Cosa che fecero, avvolgendosi nei teli. Il sorriso cancellato dai loro volti e gli occhi di nuovo seri, come doveva essere. Ti dispiacque vederle così, ma erano prima di ogni altra cosa dei militari e dovevano ricordarselo.
Poi, insieme, tornaste all’accampamento.
Quella notte a mensa, parlasti con Valentine a proposito del Cocito e dei tuoi propositi: «Fammi capire», disse lo Specter, mettendo giù il bicchiere di legno, «vuoi provare a portare avanti degli studi sull’acqua del Cocito? E a che ti serve?»    
«Per curiosità». Facesti tu tenendoti sul vago, e lo Specter ti guardò inarcando un sopracciglio. Non ti aspettavi certo che ti fermasse, ma il suo sguardo comunicava perfettamente tutto ciò che pensava. Anche se alla fine, quando parlò, se ne uscì con un tiratissimo: «Fà un po’come ti pare, ma per me è una perdita di tempo».
Perciò adesso ti trovavi vicino all’affluente del Cocito per meditare. Anche se riprendere da dove ti eri interrotto anni fa era quasi una tortura. I ricordi erano ancora troppo vividi eppure non avevi sensi di colpa per il tuo allievo. Avevi sperato di poterlo liberare dalla sua ossessione, oltre che di provocarlo a reagire. «Secondo me non ce la farai». Ti salutò l’Azone comparendo su una roccia poco più lontana della tua. Anche se non lo desti a vedere, ti aveva spaventato. Lo guardasti e rispondesti che: «Devo provarci, non posso lasciare una cosa a metà». E avevi trovato proprio in quel periodo il modo di riuscirci, tramite le emozioni. Ma non riuscivi a raggiungere lo stesso livello di concentrazione del periodo. Perché? Eppure davi sempre il meglio di te sotto pressione. Tu eri sempre così controllato anche in battaglia. Di che ti sorprendevi?
L’Azone non disse niente. Si limitò a girare il volto di tre quarti per lanciarti un’occhiata obliqua.
«Piuttosto, ricordati di andare al Flegetonte, quello sì che è veramente importante». Ti suggerì con l’aria del medico curante. Per contro, ti limitasti a fissare la sagoma del tuo riflesso e la volta infera che si specchiava in quella parte di fiume di fiele. Ancora una volta l’acqua ti ricordò di quando avevi causato il maremoto che provocò l’inabissamento della nave dove riposava il corpo di Natasha e, di nuovo, ti domandasti se magari non fosse il caso di riprendere a studiare le correnti per vedere se potevi anche accelerarle, dunque anche sciogliere il ghiaccio, non solo crearlo. Non ne avevi il pieno controllo, però qualcosa riuscivi a fare, anche se su grande scala. «Ah, a proposito, io fossi in te correrei alla Magnolia degli Inferi, ho il sospetto che ci troverai qualcosa di molto interessante».
Solo allora ti rendesti conto che un Cosmo si era allontanato dall’accampamento. Ti era famigliare, a chi apparteneva? Però c’era qualcosa di strano, era stranamente piatto, cristallizzato. Non si sentiva emozione, soltanto un senso di trasognamento decisamente anomalo. Un episodio di sonnambulismo o qualcosa di più grave? Poi, sentisti i Cosmi degli altri ragazzini in subbuglio. Ti accigliasti: che cosa stava succedendo? Perché erano così spaventati? Li contasti e comprendesti. Dov’era Neji?
«Neji!» Esclamasti spalancando gli occhi. E, lo individuasti poco più in là rispetto all’accampamento. Volgesti il volto verso le montagne, balzasti in piedi e corresti dal giovane più rapido che potesti. Lo trovasti che stava camminando, apparentemente come se non avesse peso e, come se non fosse neanche consapevole di dove si trovasse, lungo un sentiero tra le rocce. Camminava come sospeso, gli occhi fissi, come se non vedesse dove andasse. I capelli lunghi fino alla vita e castani, di solito legati in una treccia, adesso erano sciolti e arruffati. Ti ricordava tanto una sorta di vittima sacrificale. Impressione accentuata ancor più dagli occhi grigio chiaro a mezz’asta e la pelle, se possibile ancor più pallida. E, soprattutto, dai tentativi di Astrid di stargli dietro e richiamarlo alla realtà: «Neji! Fermati! Fermati Neji!» Urlava la giovane che correva, letteralmente per cercare di raggiungerlo. A volte muoveva le mani come se avesse potuto tirargli uno schiaffo e, dei fili lucenti cercavano di acchiapparlo, ma una barriera glielo impediva.
La giovane si fermò e si appoggiò a una roccia, ansimando, portandosi una mano sul cuore. Il capo chino e i capelli che le scivolarono davanti. Poi si riprese e ripartì all’inseguimento. Tu stesso cercasti di fermarlo ricorrendo alla telecinesi, ma, ti accorgesti, che qualcuno stava già manovrando la sua mente. Qualcuno che parlava con la tua voce. “Cosa?” Pensasti sgranando gli occhi e, questo ti persuase a staccarti dal masso su cui monitoravi la scena dall’alto per inseguire a tua volta il giovane.    
E, per bloccarlo, gli congelasti le gambe. Sentisti appena la voce di Astrid chiamarti con un misto di gratitudine e stupore, tanto sperasti di non dover ricorrere al koliso. Il freddo e l’impossibilità di muoversi fu sufficiente per risvegliarlo. Il giovane prese a urlare per la sorpresa e il dolore e a guardarsi freneticamente intorno mentre voi due lo raggiungevate: «Neji!» Esclamò Astrid sollevata, abbracciandolo da dietro, felice che fosse tornato in sé. Il ragazzino avvampò prima di batterle la mano sull’avambraccio, mentre tu li raggiungevi.
Lei si tolse immediatamente.
«Sommo Camus!» Ti chiamò sbalordito quando tu spaccasti il ghiaccio con una manata ben assestata e, Astrid lo lasciò andare. Il vostro giovane amico cadde in ginocchio. «Che cosa mi è successo? Perché le mie gambe erano congelate?» Domandò con voce dolorante e gli occhi lacrimanti, incapace di muoversi. Il freddo pungente della lastra doveva avergli fatto più male di quanto avessi previsto. «Che cosa ti è successo?» Gli chiedesti inginocchiandoti davanti a lui. Astrid t’imitò, guardandolo con occhi preoccupati.  
«Io non lo so… Stavo sognando quando a un certo punto ho sentito la vostra voce».
«La mia voce? E che dicevo?» Chiedesti dopo esserti scambiato un’occhiata allarmata con Astrid.
«Non lo so, so che mi chiamavate e che non vedevo niente».
«Ma ricordi di esserti alzato?» Indagasti scoccando un’occhiata ad Astrid, i cui occhi d’oro liquido rivelavano tutta l’angoscia per la possibile risposta. 
«No, non mi ricordo proprio. Sommo Camus, che cosa mi è successo?» Domandò preoccupato cercando il tuo sguardo. Lui, che di solito l’aveva fermo come quello di un gladiatore dinanzi alla belva feroce, adesso sembrava solo un quattordicenne spaventato come tanti.
«Non è successo niente». Mentisti, poi lo rassicurasti e, quando si fu un po’calmato gli domandasti se ce la facesse ad alzarsi. «No, credo di aver perso sensibilità alle gambe». Si scusò il giovane. 
Così lo prendesti in braccio e, insieme, tornaste all’accampamento. Durante il tragitto, però, l’adolescente non fece che esporvi i suoi dubbi. «Nessuno di noi soffriva di attacchi di sonnambulismo. Credevo che fosse opera degli Specter, ero attento e invece… Credete che sia stato così anche per Iago?» Chiese spaventato.
«Non lo so». Rispose spaventato facendo vagare lo sguardo sulle rocce. Lo riportaste indietro. Quella sera ci pensò Astrid a badare ai ragazzini. Mentre tu ti accorgesti che Valentine non era più nella tenda assieme a te, Isaac e Fianna. E non potesti fare a meno di preoccuparti.
Solo dopo realizzasti. Che cosa ti prendeva Camus? Perché ti preoccupavi per lui? Era solo per le Lacrime di Kalì o… No, non lo amavi, ma gli volevi bene. Ammettesti sentendo le tue guance scaldarsi un po’. Adesso ti avrebbe fatto comodo averlo accanto, anche per avere un’opinione diversa.
Due giorni dopo vi giunsero i materiali che vi servivano per il progetto di Lady Pandora di ricostruire il precedente padiglione. E, fu così che nella spedizione, scopristi che era stato incluso l’Arpia. Ah, se non altro sapevi dove fosse finito.
Stavi aiutando a costruire il nuovo padiglione della Giudecca assieme ad alcuni celti e Skeleton. Non era la prima volta che lavoravi assieme ai soldati di rango inferiore, perciò non avesti problemi. Seguivate i progetti dell’architetto degli Inferi, che era lo stesso che aveva costruito i precedenti padiglioni. E che, adesso, aveva ridisegnato il tutto.
A un certo punto uno degli operai, dopo averti passato dell’acqua, ti disse che c’era Valentine. Ti girasti, lo vedesti e bevesti avidamente. Poi gli andasti incontro.
Dopo i convenevoli gli chiedesti dove fosse finito, che erano giorni che non si faceva vivo.
«Sono venuto a dirti che me ne vado». Annunciò.
«Te ne vai? Perché?»
«Affari miei». Rispose laconico, ma tu non ti accontentasti, volevi una risposta vera.
«Ma è per via del sovraffollamento della tenda? Per Astrid? Isaak?» Indagasti.
«Non mi importa niente dei mocciosi, Camus».
«Allora perché? Sei sparito per giorni, penso che dovresti darmi una spiegazione decente».
«In nome di che? Non mi sembra di essere tenuto a dirti niente».
«Pensavo che fossimo amici». Ti sfuggì prima che potessi fermare queste parole.
Il secondo Guardiano del Cocito ti fissò a lungo. «Amici». Ripeté soppesando questa parola. «Sì, forse su questo hai ragione». Concesse.
Dopotutto in questi anni eri riuscito ad andare oltre alla Surplice e altri schieramenti. Ti accorgesti, solo in quel momento, di essere cambiato. Quei vaghi pregiudizi che avevi covato sugli Specter erano solo frutto della paura che avevi provato tutto il tempo, decadi orsono. Li avevi odiati per principio perché allora era giusto così. Ma non lo era mai stato.  
«Allora resta. Perché non ci dai mai una mano coi bambini? Sei molto attento, conosci questi posti meglio di noi, potresti…» Lo Specter dell’Arpia s’appoggiò alla trave vicina e guardò dritto davanti a sé. «Non posso». Disse soltanto e tu ti accigliasti. “Perché no?” Non ci fu neanche bisogno di esternare questa domanda che lo stesso Valentine rispose: «Non sono tenuto a occuparmi di loro, solo perché tu e la Luce Ombrosa avete preso questa decisione. Non potete aspettarvi che vi seguano tutti in automatico». Ti guardò e incrociò le braccia: «Magari al Santuario può essere così, ma non qui. Qui le Armature d’Oro non contano niente e lo sai anche tu».
«Che vorresti dire? Qui non si tratta di Armature e Surplici, si tratta di bambini».
«Sto dicendo che non ti seguirò, tanto meno ti aiuterò». Chiarì il tuo collega del Cocito.
«Perché?»
«Perché sono uno Specter».
«E questo che cosa c’entra con i bambini?»
Lui ti guardò di nuovo, impietosito: «Credevo fossi più accorto, Camus di Aquarius, ma forse ti ho sopravvalutato. D’altronde cosa potevo aspettarmi da uno che preferisce sacrificare sé stesso per una ragione così stupida?»
Tante cose si potevano dire di te, fuorché tu avessi sbagliato tutto con Hyoga. Potevi sopportare miriadi di insulti, abusi e soprusi, ma nessuno, nessuno aveva diritto di insultare il tuo operato di maestro.
La rabbia così tanto controllata, divampò istantaneamente come una fiammata. «Ehi! Come ti permetti? Senza di me Hyoga non avrebbe mai risvegliato il Settimo Senso». Per una volta sembrò che vi foste scambiati i caratteri. Adesso eri tu quello impulsivo e fumantino. E lui, proprio come se ve li foste scambiati davvero, continuò a osservarti con sufficienza, mentre sbraitavi: «Come ti permetti di dirmi quello che avrei dovuto fare o no con il mio allievo? Chi ti credi di essere per rimbeccarmi?»
«Quello che ti ha trovato quando sei caduto negli Inferi». Ribatté in tono secco dopo averti scoccato un’occhiata ammonitrice che ti zittì subito. «Quello che ti ha raccattato dopo Asgard e che lavora con te da anni nel Cocito. E sai cosa penso tutte le volte che ti vedo? Dio, che spreco. Avevi tutta una vita davanti, ma hai preferito sprecarla a causa della tua stupidità». Fece staccando la schiena dalla trave per fronteggiarti apertamente.
«Non è stupido sacrificarsi per chi ami».
«No», concordò, «ma è stupido ingannare così le persone che ami o che ti amano. Non ti sei mai accorto che Milo avrebbe fatto qualsiasi cosa per te, occupato com’eri a combattere te stesso e a proteggere il tuo allievo. E poi lo tradisci così, facendoti ammazzare, pur sapendo che lui aveva già assistito al suicidio della madre e adesso è lo stesso, ma per mano sua. E ad Asgard poi… Non ne azzecchi una, ragazzino». Sputò con aria sprezzante.
Serrasti il pugno, impedendoti di spaccargli la faccia. Ma era difficile, estremamente difficile.
«Tanto sarei morto comunque, nella Guerra Sacra».
«Forse sì, o forse no, ma così non hai mai potuto scoprirlo, non ha avuto alcun senso e lo sai anche tu». Fece staccandosi dalla trave con una piccola spinta in avanti. Poi, continuando a tenere le mani dietro la schiena, si spostò davanti a te. Gli occhi scuri inchiodati nei tuoi.    
«Hyoga è diventato quello che è grazie al mio sacrificio! Cosa ne sa uno Specter del sacrificio e di essere un maestro? Non accetto la predica da te, che non sai nessuna di queste cose!» sibilasti livoroso. Ma l’Arpia sapeva come ribattere; infatti, non esitò a farlo: «Hyoga aveva già affrontato Scorpio. Se era arrivato all’Undicesima per ammazzarti, significa che ne era uscito vittorioso, imbecille; aveva già risvegliato il Settimo Senso. Non c’era bisogno di procurargli un altro trauma. Ma a voi Saint deve piacere la drammaticità, visto che non vi rinunciate mai. Anche adesso con quei bambini».
«Come puoi chiedermi di girarmi dall’altra parte mentre scompaiono ad uno ad uno? Come fai a essere così insensibile?»
«É come chiedere a una persona come si fa a restare impassibili quando esistono veri e propri mattatoi automatizzati che macellano gli animali per il supermercato. Oppure come si fa a ignorare il fatto che la Terra è talmente inquinata che ci stiamo avvelenando da soli. Oppure ancora, come si fa a ignorare che, in alcune parti del mondo stanno rendendo illegale una pratica che potrebbe salvare la vita di milioni di donne. Si fa nello stesso modo, si sceglie di fare altro di apparentemente più alla nostra portata e si sceglie non vedere. Altrimenti, se si pensassero a tutti i problemi che ci sono, non si vivrebbe più. Come noi non possiamo spurgare e punire tutti i malvagi, voi non potete salvare tutti». Rispose lo Specter in tono asciutto. Quelle parole, per quanto veritiere fossero, alle tue orecchie suonarono affilate come coltelli e tristi come una nenia funebre.
Eppure, nei suoi occhi, per la prima volta da che lo conoscevi, vedesti balenare la paura. E questo annientò tutto ciò che restava della tua ira. Quando parlò, anche il suo tono di voce si era fatto più mite e malinconico: «Ho già visto cosa porta essere come te e quella ragazza sulla mia stessa pelle molto tempo fa. Non pagherò lo scotto delle vostre stupidaggini una seconda volta». Concluse con un bisbiglio. Gli occhi persi in un ricordo tanto vago quanto lontano.
A che si riferiva?
Prima che tu potessi chiederglielo se ne andò, lasciandoti a meditare su queste parole e il vero significato dell’essere parte delle Armate Infernali. Non avevi mai pensato che questo Specter…  Prima che tu potessi completare il pensiero, ti richiamò e tu ti girasti a guardarlo. Ma vedesti solo le ali ripiegate a cuore della sua Surplice e, le mani che si tormentavano dietro la sua schiena, proprio sotto le ali. «Accetta un consiglio, non fidarti troppo degli Specter, se ti dicessi tutto quello che so e se restassi, potresti accusarmi di complicità. Anche se non condivido questi metodi sto solo cercando di preservare l’equilibrio in vista della futura battaglia e quel poco di amicizia che c’è tra noi». Ammise.
Lo guardasti sorpreso. Non avresti mai pensato che ci tenesse davvero. «Stammi bene». SI accomiatò, prima di scomparire tra le tende.  
Che cosa aveva voluto dire?

Paradossalmente l’aiuto di Fianna e dei druidi ti fu fondamentale per capire come usare l’acqua. Se tu avessi potuto parlare con il Titano che affrontasti prima che Aiolia scendesse nel Tartaro a recuperare Lythos, ti saresti anche fatto spiegare come si controllava l’acqua. Per ora il massimo che riuscivi a fare era studiare le correnti alla maniera dei Celti.
Per quanto ti sforzasti però non era sufficiente. Sì, il fiume ti rispondeva e ti riconosceva, ma non era il risultato che ti eri posto come obiettivo. Se non fosse stato per quel problema delle Lacrime di Kalì e per il tuo Cosmo. Ti guardasti le mani. Non avevi dimenticato lo scontro con il Guardiano e la Dea ambigua che Shaka aveva deciso di seguire. Il fatto che lei in poche mosse fosse riuscita a ingannare tutti voi e a fermare quell’essere che non avevi mai sentito nominare ti inquietava. Alzasti lo sguardo verso il cielo tempestoso. Chissà se le Lacrime di Kalì si nascondevano tra le nuvole proprio in questo momento per balzarti addosso? Le tecniche di Astrid sarebbero bastate contro di loro? Per la prima volta avresti voluto avere le capacità divinatorie dei druidi e delle sacerdotesse di Avalon.
Eppure, rammentasti, adesso, con gli occhi del futuro, che durante la battaglia contro l’Astronauta le Lacrime non si erano fatte vedere. Che gli Azoni avessero una facoltà simile? Ripensasti a quello che ti aveva dato la coppa. Forse non eravate soli in questa battaglia, c’era anche l’Azone che ti aveva aiutato. Sperasti di non sbagliarti a riporre fiducia in lui.
Forte di questo pensiero, tornasti a meditare e concentrarti. A interrompere la tua meditazione fu Fianna che ti portò da mangiare e ti fece compagnia.
«Come va?» Ti chiese e tu alzasti le spalle mentre tiravi fuori dal cestino il pranzo. Tu sbuffasti per la stanchezza ma riuscisti a mettere insieme le parole e l’espressione giusta per dire una bugia: «Bene e tu, va un po’ meglio da quando ho parlato al Consiglio?» Chiedesti guardandola con aria rassicurante, ti piaceva pensare di essere come una sorta di roccia per lei. Che, lo vedevi, ti ammirava per il tuo autocontrollo.
Purtroppo non te la potevi portare sempre con te e non potevi ancora sdoppiarti per essere dappertutto.
Lei annuì mentre mangiavi. Solo adesso ti rendevi conto di essere a corto di energie.
«Sì, molto meglio». Rispondesti quando ingoiasti. Fianna non era mai stata di troppe parole, però stavolta fece un’eccezione e ti chiese che cosa stessi facendo e, sperò di non aver interrotto niente.
«Non era un rito di quelli della tua gente, se è questo quello che intendi». Rispondesti dopo aver bevuto un sorso d’acqua dalla borraccia. «Sto cercando di portare avanti i miei studi sull’acqua».
«Acqua?»
«Voglio imparare a controllarla». Confessasti. Fianna annuì, poi si fece pensierosa e, quando parlò prese a raccontarti degli insegnamenti che le sacerdotesse e i druidi impartivano alle nuove leve prima che lei decidesse di prendere una strada tutta diversa. Ti spiegò pure come avresti potuto fare, ossia meditare sui serpenti.
Un ragionamento astruso ma lei balzò in piedi e te lo spiegò, spronandoti ad alzarti a tua volta. Tanto avevi finito di mangiare. Ti spolverasti i vestiti dalle briciole e la imitasti guardandola leggermente divertito e imbarazzato. Cosa mai pensava di fare una bambina? Pensavi, salvo poi ricordarti chi fosse quella piccola. Per questo ascoltasti attentamente. Ponesti le domande al momento giusto e lei, di fronte a spiegazioni che per te erano poco chiari, ne cercò altre. Ci teneva davvero che tu comprendessi.
Poi, passò a una dimostrazione pratica di magia divinatoria. E ti fece fissare l’acqua che scorreva sotto di voi. Lì per lì non ti disse niente, anzi, ti sentisti piuttosto stupido, ma quando un’immagine si allargò nel tuo campo visivo sgranasti gli occhi.
Assottigliasti lo sguardo, riconoscendo quei lunghi capelli castani e quella pelle pallida. “Neji?” Pensasti senza capire.
E poi, più in basso due testoline di bambine.
Cosa? «Anna? Saoirse?» Le riconoscesti confuso. Cosa ci facevano lì? Perché stavano cercando di fermarlo, aggrappandosi alle sue braccia a quel modo concitato? Anche se i loro volti erano coperti dalle maschere era evidente che fossero terrorizzate.
«Camus!» Urlò Astrid e la sua voce fu così forte che tu ti spaventasti e balzasti indietro di scatto. Il cuore che ti batteva rapidamente in petto per lo sforzo. «Camus!» Esclamò Fianna accostandoti a te, preoccupata: «Che cosa hai visto? Che cosa hai visto?» Ti chiese angosciata.
Poi sentisti l’esplosione dei Cosmi. Neji stava combattendo contro qualcosa, ma non era più all’accampamento.
«Neji! Devo andare a vedere! Andiamo!» Balzasti in piedi e corresti via a gran velocità. E corresti appena in tempo per vedere Astrid che distruggeva con l’aiuto del falcione d’oro lo scudo cosmico di Neji.
Le stridule grida di terrore delle bambine si sentivano anche da qui: «Astrid!», «Aiutaci, Astrid!» Urlavano.
«Ragazze!» Strillò lei di rimando smettendo di colpire la barriera per posarci una mano sopra.
«Astrid!»
«Camus!» Esclamò sorpresa girandosi verso di te. Gli occhi sgranati.
«Cosa sta succedendo?»
«Non lo so, a un certo punto Neji si è appisolato e quando si è svegliato mi ha attaccato alle spalle e ha rapito Anna e Saoirse!»
«Che cos’è questa barriera?» Facesti posandoci una mano sopra a tua volta.
«Non lo so!» Ribatté lei isterica.
Aggrottasti le sopracciglia, concentrandoti per scandagliare la barriera con il tuo Cosmo. Non avevi mai sentito prima un Cosmo simile. Era molto potente, certo, non come quello dell’Astronauta, ma neanche ci andava tanto lontano. Ad ogni modo forse potevi fare qualcosa. Congelasti gli atomi attorno alla barriera creando la sottile patina che rivelò l’effettiva dimensione della medesima. Niente comunque che un Saint non potesse non superare.
La ragazza al tuo fianco ti guardò colpita. Le guance rosse per l’imbarazzo. Ma tu non ci facesti molto caso. La prendesti in braccio e saltaste oltre. Ma non faceste che pochi passi che subito foste accerchiati da delle ombre nere umanoidi coi bordi fiammeggianti. «Cosa sono questi cosi?» Strillò Astrid. 
“I soldati ombra!” Li riconoscesti, mentre facevi scendere la ragazza che adesso era spaventata e ansiosa di raggiungere le ragazzine, le cui urla si allontanavano sempre di più. Materializzò i globi fosforescenti ma quelli regredirono su sé stessi fino a scomparire. «Che ti succede?»
«Non lo so! Non era mai successo prima!»
«Adesso calmati e cerchiamo di toglierci di torno questi cosi!» Non perdesti altro tempo che corresti alla velocità della luce. Ma ti accorgesti presto di due cose, la prima che stavi girando in tondo, la seconda, che non ti inseguiva nessuno. Ti fermasti. “No, un momento, questi non sono i soldati ombra del Drago Rosso!” Pensasti. “Ma allora a chi appartengono? Ah, non ha importanza!”
Non potevi chiedere aiuto ad Astrid, in panne com’era. Però potevi cercare il Cosmo del disgraziato che ti aveva rinchiuso in questo labirinto.
Ti concentrasti e scandagliasti tutta l’area. Poi lo trovasti. Riapristi gli occhi e, istantaneamente lo congelasti.
Immediatamente la trappola si dissolse e ti ritrovasti poco più avanti di Astrid che stava usando il proprio Cosmo e il falcione per combattere contro qualcosa che vedeva solo lei. Si fermò immediatamente guardandosi attorno spiazzata. Poi ti vide: «Camus…»
Anna lanciò uno strillo.
Correste immediatamente a vedere ma la strada vi fu sbarrata di nuovo dai falsi soldati ombra di prima. «Non perdere tempo con loro, sono solo delle ombre!» Urlasti alla ragazza che si era già messa in posizione, il Cosmo che le ribolliva a una spanna dalla pelle come un’aura nerastra. 
«Allora chi è il nemico?»
«Non lo so, ma è lui che bisogna bloccare».
«Indicamelo!» Tendesti un dito verso i monti e la ragazza ti sorpassò per sferrare un fendente d’energia dorata che scomparve tra le montagne. Due secondi dopo sentiste il rumore di un’esplosione e una nube di polveri si sollevò. Con il Cosmo appurasti che lo aveva preso. Ma anche così non potevate passare tutto il tempo a bloccarlo.
Proprio allora un soldato ombra si avventò addosso alla ragazza ma una Diamond Dust lo spazzò via.  Poi Isaac vi raggiunse: «Andate! Li terrò a bada io!» Urlò il tuo allievo.
E voi obbediste, finalmente liberi di proseguire senza intoppi, nel silenzio più totale.
No, non poteva essere troppo tardi.  
La scena che ne seguì fu una delle più terribili delle vostre vite.
Il ragazzino vi dava le spalle e tremava, inginocchiato davanti ai corpi delle bambine. Non capisti se fossero svenute o morte, anche a causa del suo, più grande, che v’impediva la visuale.
«Neji!» Sussurrò Astrid sgranando gli occhi per il terrore, mentre l’odore del sangue si spargeva dappertutto. Tu le facesti eco, incredulo. Questa non somigliava per niente alla perdita di Isaak, non avevi termini di paragone. L’esperienza passata non poté assolutamente aiutarti a metabolizzare il colpo. Perché Hyoga non aveva mai ammazzato Isaak con le sue mani. «Maestro Camus». Ti chiamò girando il volto verso di te. Quella faccia era il ritratto della paura più totale ed era chiazzata di lacrime e sangue. Persino tu sbarrasti gli occhi per l’orrore.
«È tutta colpa mia, credevo di essere abbastanza forte per contrastarlo. Credevo di riuscirci». Singhiozzò con voce rotta e gli occhi che ti osservavano da lontano, come se si trovasse su una lastra di ghiaccio alla deriva.
Tendesti una mano verso di lui ma la scacciò con un  «Non toccatemi, sono impuro… Sono un mostro». Appena lo disse dei miasmi nero violacei cominciarono a uscire dal suo corpo.
Ritraesti la mano mentre Astrid che era arretrata a sua volta, cercò di dire qualcosa che ignoraste entrambi. Poi gridò per la paura e tu ti girasti a guardarla. Ai suo piedi dei miasmi nero violacei stavano strisciando verso di lei. «Scappa, Astrid!» Le urlasti, ma lei tagliò i miasmi con il falcione e replicò allo stesso modo: «No, prendi Neji! Salvalo!»
Il ragazzino riprese a parlare in tono isterico: «Alla Palaestra ci hanno insegnato che il compito di un Saint è quello di dare la caccia ai mostri…» Sollevò il coltello che teneva in mano. Le radici dell’albero si animarono e, emergendo dal terreno si protesero verso di lui. «Se io sono un mostro, allora che questa follia finisca con me». Delirò piangendo, mentre si portava la lama alla gola.
«No, Neji!» Urlaste in coro. Provasti a congelare le radici e a spezzarle, ma i miasmi neri le protessero. Provasti a fermarlo congelandogli il braccio ma la cortina si ispessì.
«Camus!» Urlò la ragazza mentre il posseduto scompariva alla tua vista assieme ai corpicini delle bambine.
«Neji!» Strillò Astrid ed espanse furiosamente il proprio Cosmo. L’onda d’urto fu così violenta che spazzò via i miasmi e le radici e buttò a terra entrambi, inclinando pericolosamente il tronco spoglio. Ma questo si rimise dritto, come se non fosse successo niente.
Ti rialzasti sugli avambracci e vedesti Neji spaventato guardarsi repentinamente intorno. Lo chiamaste di nuovo. Improvvisamente foste sbalzati di una trentina di metri indietro e le radici presero a rianimarsi.
L’albero non era intenzionato a lasciarsi scappare la sua preda e tornò all’attacco. «Ti tireremo fuori da lì!» Gridasti prima di scagliare l’Aurora Execution che congelò solo parzialmente le radici., mentre i globi fosforescenti ti aprivano la via.
Il ragazzino si accorse delle radici e dei miasmi, vide quello che era successo e si spaventò: «Aquarius! Astrid! Io, io! Che cosa ho fatto!»
«Giusta osservazione!» Riprese la voce del falso te, con voce maschile ghignante, provenendo da tutte le direzioni. Vi guardaste attorno nel tentativo di individuarne la fonte. «Sei diventato un mostro, proprio tu che dicevi di volerti ergere più in su di ogni altro eroe, sei un miserabile».
«No, no!» Fece Neji scuotendo il capo, schiacciandosi il volto bagnato di lacrime di dolore tra le mani. Poi sussultò e si guardò le mani con orrore, scoprendole sporche di sangue. «Neji, non ascoltarlo! Non ascoltarlo!» Urlaste voi due all’unisono.
Ma al di fuori della barriera non potevate niente. Neanche i tuoi colpi più potenti servivano a qualcosa. Neanche Astrid riusciva a fare qualcosa.
«No, io non sono un mostro!»
«Sì che lo sei e c’è un’unica cosa da fare per i mostri come te, lo sai…» Il ragazzino vide il pugnale e tu sgranasti gli occhi, ammutolendo per un secondo. Ricominciasti a battere i pugni sulla barriera con tutta la tua forza senza successo. Ma non servì a niente.
Sentisti i passi di Astrid avvicinarsi rapidamente e sgranasti gli occhi. Ti girasti verso di lei e le andasti incontro. La stringesti al petto, costringendola a piegare le ginocchia e urlasti. «No! Non guardare!» Impedendole di sentire il rumore del coltello che affondava nella carne e, impedendole di vedere la scena dell’albero che vinceva la sua battaglia e assorbiva anche lui.
Astrid s’immobilizzò di colpo.
Solo quando l’albero si rigenerò ancora una volta e nuovi rami e nuove gemme crebbero su questi ultimi, si rianimò. La sentisti tremare tra le tue braccia. Il suo volto schiacciato sul tuo pettorale. Continuasti ad avvolgerla per impedirle di muoversi e, ripetesti, serrando a tua volta gli occhi pieni di lacrime, in tono addolorato e spaventato, con voce più bassa: «Non guardare». Mentre il falso te ridendo divertito, scompariva, lasciando dietro di sé solo l’eco della sua risata. 
Il suo tremore si fece più forte e dalla sua gola sgorgarono singhiozzi che si trasformarono in un vero e proprio pianto.
Solo allora Isaac vi raggiunse e s’immobilizzò di colpo, con gli occhi sgranati nel vedervi così. 
Guardasti la giovane tra le tue braccia. e, poi, reclinasti il capo all’indietro e urlasti: «Avevi detto che ci avresti aiutato! Perché non hai fatto niente? Perché?» Ma l’Azone non ti rispose.  

«É tutta colpa mia, maestro, sarei dovuto essere più attento». Si scusò Isaac quella sera dopo cena. Avevate mangiato soltanto per via della battaglia. Eravate rimasti alla mensa a cielo aperto anche dopo che questa si era svuotata.
Sollevasti lo sguardo dalle assi del tavolo e lo guardasti, riemergendo dai tuoi pensieri.
Il giovane con un occhio solo era il ritratto del dispiacere.
«Non è stata colpa tua, non potevamo immaginare che gli Specter avessero un piano d’emergenza». Cercasti di rassicurarlo. «Piuttosto, cerchiamo di non pensarci. Non è ancora il momento: molti altri periranno in questa battaglia; non ci conviene combattere con gli occhi offuscati di lacrime».
A dispetto dell’apparente freddezza con cui proferisti quelle parole, il loro senso era chiarissimo. «Avete ragione». Annuì il giovane dai capelli verde bottiglia. Perciò glissaste su un altro argomento.
I Marine erano tra quelli più in difficoltà. La stessa Anfitrite faticava molto a tenerli uniti; la maggior parte dei generali spingeva affinché se ne andassero. Gli unici che continuavano a sostenerla, a parte il Cavaliere di Octopus, erano Kaysa di Lymnades, Krishna di Crisaore e Sorrento di Siren. Se non fosse stato proprio per il Cavaliere di Octopus e alcuni ex Saint che li avevano aiutati durante la crisi oceanica, se ne sarebbero già andati da un pezzo.
La stessa Anfitrite sosteneva che era giusto combattere questa battaglia per la libertà. Disse anche di non averla mai visto tanto determinata. Forse ancora di più di quando era in vita. Sembrava non tenere conto dello stato in cui versavano le sue schiere. «Molti di noi sono scoraggiati e feriti. Non possiamo neanche combattere nel nostro elemento naturale e l’aria non è la stessa cosa». I Cavalieri di Nettuno infatti, avevano cercato di apprendere l’arte del volo dai fantasmi di Lady Viviana e Lady Niniane, ma con scarsi risultati.
Inoltre era come se fossero considerati come soldati di serie B in quanto costretti a pagare i prezzi pieni per l’acquisto dei materiali. Anche loro avevano un padiglione cui fare riferimento, ma non erano riusciti a idearlo. La loro Sacerdotessa dormiva tuttora in una tenda assieme ad alcuni Cavalieri-Sirena di sesso femminile. E questo pesava a molti dei loro sottoposti, che vedevano l’ingiustizia in cui versavano.
Come se non bastasse molti di loro erano feriti e demoralizzati. Non potevano riparare le loro Scale neanche con l’aiuto della Luce Ombrosa. Che pure non avevano mai visto, nonostante gli inviti della loro Sacerdotessa.
A complicare la loro situazione c’era che non facevano capo a una costellazione o a una stella. Bensì sull’energia Kundalini. Gli unici che usavano il Cosmo erano quei pochi ex membri di altri schieramenti che il mare aveva raccolto. «Non si riparano così facilmente le nostre Scale. Abbiamo bisogno di tutta una procedura speciale e i nostri fabbri sono a corto di materiale». Ti confessò il tuo allievo, preoccupato.
«Non ti chiederò quale per rispetto dell’Armatura e del Dio che servi, tuttavia ammetto che la situazione è critica».
«Già, se non fosse soprattutto per Krishna a quest’ora Lady Anfitrite sarebbe in difficoltà ancora più serie».
«Capisco. Non ho mai sentito parlare di questa Sacerdotessa. Finora neanche sapevo chi ci fosse alla testa delle schiere di Poseidone in sua vece». Ti faceva anche strano pensare che Hades e il Dio degli Abissi avessero delle donne come Sacerdotesse e Luogotenenti. Non per maschilismo, semplicemente dovevi farci l’abitudine. Ti sarebbero serviti altri decenni per abituarti a pensare alle due schiere capitanate da delle donne invece che da un Grande Sacerdote.  
«Come sta?» Chiese poi Isaac, sollevando l’unico occhio buono su di te.
«L’ho lasciata alla tenda poco fa. É distrutta».     
Isaac annuì, poi disse che doveva tornare dalle sue schiere, che quella sera i Generali di Poseidone si sarebbero riuniti a consiglio.
«Astrid?»
«Non c’è». Rispose Fianna scuotendo la testa. La guardasti stupito, poi ti preoccupasti. “Oh, no. Se le fosse successo qualcosa?”: «Dov’è?» Le chiedesti allarmato.  
«Alle Paludi Stigie». Vi raccontò di averla vista scoppiare in una risata isterica e di essersene andata. La bambina l’aveva seguita e l’aveva vista scomparire tra gli alberi delle Paludi, da cui proveniva la musica. Restasti di stucco, poi provasti un gran moto di disgusto per la bionda. Come era possibile? Come poteva essere tanto insensibile da andare a divertirsi dopo una disgrazia?
«É la verità». Proprio in quel momento Raki uscì dalla tenda, strofinandosi un occhio con fare assonnato: «Raki, dov’è Astrid?»
«Astrid? Non era con voi?»
«No». “No, per favore, ditemi che non è vero”.  
L’andasti immediatamente a cercare e, la trovasti dove ti avevano detto. Lo spettacolo cui ti ritrovasti ad assistere fu tra i più terribili della tua vita. Astrid, spogliata della sua Surplice, danzava con gli Specter, i fantasmi e le Ninfe Stigie come se non fosse successo niente. Sorrideva addirittura. E questo te la fece detestare ancor di più.

In quei giorni ti impegnasti a creare nuove strategie di battaglia e a fare la spola tra Lady Pandora e Lady Viviana per la questione dei Celtici. A proposito ti rodeva un tarlo: perché rendere loro la libertà, gli avrebbe di nuovo condannati a una spirale di sofferenza, mentre qui non era così.  
 E, questo stesso tarlo te l’aveva suggerito la stessa Lady Pandora. «Pensateci, Aquarius, cosa è peggio, per loro? Tornare alla vita e poi tornare qui fino alla fine dei tempi o restare prigionieri qui per sempre?» Aveva detto Lady Pandora prima di congedarti.
Adesso i druidi e le sacerdotesse stavano dibattendo la questione assieme alle regine e ai dux bellorum. E c’eri finito dentro con tutte le scarpe a causa del tuo lavoro da mediatore nel gruppo, ormai polarizzato dei Celti. Se avessi saputo che la questione si sarebbe risolta così li avresti mandati a quel paese in perfetto stile Death Mask. Se tu non ti fossi mai unito ai Celti a quest’ora avresti avuto meno responsabilità. Eppure, per quanto faticoso fosse, sentivi anche che era la cosa migliore da fare.  
In un certo senso invidiavi Astrid. Se alla sera conservava energie sufficienti per fare qualsiasi cosa, tu avresti preferito sotterrarti. Ma non potevi, tuo dovere era proteggere gli innocenti e, non eri sicuro che la tua compagna d’arme riuscisse a reggere una nottata di veglia intera senza l’aiuto della caffeina o di altre bevande. O anche soltanto di badare ai bambini. Da quando quei tre erano morti li aveva lasciati allo sbaraglio. A proposito di dovere, era anche il suo, per quanto sarebbe andata avanti questa storia?
Non ti piaceva che fraternizzasse così con loro e ignorasse tutti voi. Ti faceva ribrezzo vedere come a volte la salutavano. E di come lei ricambiasse pure! Anche se aveva due occhiaie da spavento, per contro sembrava piena di energie. Sembrava persino più in sintonia di te con gli Specter, cosa che ti faceva inarcare un sopracciglio. Quale miracolo era mai accaduto? E, se non era un miracolo, ma un rito, cosa era stato dato in cambio?
Deciso a scoprirlo e a farla finita con questa pagliacciata, la sera della vittoria degli Specter (che dopo l’attacco, da quando Astrid aveva cominciato a partecipare alle battaglie) la seguisti.
Avesti modo di vederla mentre scherzava con il Pipistrello e Cube di Dulallhan e beveva con Violate di Behemoth. Oltre che a danzare con le Ninfe Stigie. Non l’avevi mai vista ballare e dovesti ammettere che era una buona ballerina. Non da Bolshoi, ma decisamente più sicura e sciolta di te e molti altri, che eri rigido quanto un pezzo di ghiaccio.   
Era così che stava conquistandosi le loro simpatie? A sprezzo di voialtri, calpestando la memoria di Neji, Anna, Saoirse e Iago?   
A un certo punto Aliena rise: «Visto che sapete ballare benissimo?» Poi, le sfiorò il viso con un dito tinto di nero e le disegnò un’ala di farfalla con la magia. Tu sgranasti gli occhi per l’orrore riconoscendo quel disegno. «No, Astrid!» Sibilasti, ma lei non ti sentì.
Volteggiò con le Ninfe e poi con Myu della Farfalla. Che, non solo si rivelò un ottimo ballerino, (in confronto a te sicuramente, in realtà era solo discreto) da come le sorrise sembrava che avessero un flirt già da molto tempo. Cosa che ti fece sgranare gli occhi.
Scopristi anche che vigeva una sola regola in questo luogo: niente Surplici, quindi anche gli Specter erano costretti a togliersi la Surplice prima di entrare e Myu, non era mica così brutto nella sua forma umana. Qui i servitori di Hades, che facevano a turno per gestire gli Inferi, potevano smettere le loro Surplici e divertirsi come normali esseri umani. E, smettendole, persino il loro aspetto tornava meno spaventoso e decisamente più umano, come nel caso del sopraccitato Specter. A giudicare dal sorriso di Astrid non doveva baciare neanche male.
Era impossibile che l’avesse scambiata per una Ninfa Stigia. Per poco non ti prese un colpo quando la vedesti amoreggiare con lui.
Una rabbia gelida t’invase e, con tutta la sua freddezza e l’offesa, intervenisti.
La tirasti via da lui. «Camus!» Esclamò contrariata fulminandoti con i suoi occhi dorati. 
L’altro invece, dopo un istante di sconcerto rise divertito e ti incitò con un’entusiasta: «Falla divertire anche per me, amico!»
«Che cosa fai? Lasciami, lasciami! Ma perché? Mi divertivo». Protestò lei in tono lamentoso, neanche fosse una ragazzina di dodici anni, mentre la trascinavi via. «É così che ti divertivi? A sprezzo di Anna, Neji e Saoirse?» L’accusasti.
«Come osi?»
«Semmai come osi tu mancargli di rispetto così! Ti sei divertita anche troppo, adesso andiamo via».
Puntò i piedi: «Non se ne parla neanche».
Tu ti fermasti e ti girasti senza lasciarle il polso. Possibile che fosse tanto menefreghista? Allora non gliene importava davvero niente di quei bambini, la sua era veramente tutta una recita.
Il tuo sguardo guizzò lungo le spalline che erano scivolate sulle sue braccia. E, cosa peggiore di tutte, oltre all’offesa si aggiunse il desiderio. Lasciasti andare il suo polso come se tu ti fossi scottato.
Ti sentivi ridicolo. Non era possibile che una semplice ragazzina ti facesse capitolare così. Anche perché ti sentivi ancora offeso. «Per favore ricomponiti». Le suggeristi, forse con più serietà e disgusto di quanto avresti voluto.
Invece di fulminarti a sua volta con gli occhi e rispondere per le rime, un sorriso malizioso affiorò sul suo volto e replicò: «Che c’è? Ti dà forse fastidio vedere qualche centimetro di pelle? Oppure non sei più abituato a vedere una ragazza che si diverte?»
«E, quello lo chiami divertirsi? Sei proprio un’irresponsabile e irrispettosa! Come fai a divertirti sapendo di lasciare incustoditi Raki e Tokaki dopo quello che è successo? E poi con gli Specter. Lo sai chi è quello là? Quello è Myu della Farfalla, uno dei più forti di Hades, secondo soltanto ai tre Giudici Infernali!»
Per tutta risposta incrociò le braccia e ti guardò scocciata: «E, allora?»
«E, allora è un nemico del Santuario di Atena e tu dovresti essere a proteggere quei bambini». E i tuoi discorsi facevano pena. Con tanto di rima.
«Guarda che Hades e Atena sono alleati. Non è che mi stai facendo la paternale perché sei geloso?»
Nonostante l’incredulità la guardasti severo: «Qui non si tratta di gelosia! E, se lo venisse a sapere la tua madrina con chi credi che se la prenderebbe di più? Con me o con te?»
«Solo perché ho baciato uno Specter? Permetti che il tuo ragionamento non ha senso?» Ti fece notare alzando un sopracciglio.
«É lo stesso, devi stare attenta, ogni cosa qui è predisposta per farti cadere in tentazione e poi catturarti. Guarda Aliena, abbiamo già rischiato grosso una volta, cosa ti garantisce che Myu poi non faccia lo stesso? Che si approfitti di questi momenti per insinuarsi nella tua mente e controllarti? Scusa, ma non riesco a restare impassibile». Tentazione? Semmai trappola. Perché ti stavano uscendo questi lapsus?
«E allora? Ho dei bisogni anch’io, semi sopiti da tutto quello che mi è accaduto finora ma ne ho. Non vedo cosa ci sia di male nel baciare qualcuno ogni tanto. Dopotutto sono single, fino a prova contraria non ho mai giurato fedeltà alla Dea e, non saranno sicuramente due baci in croce e uno Specter a traviarmi. Aggiornati, Camus, non siamo più negli Anni Ottanta. E poi mi pareva di essere stata chiara, io non mi faccio sicuramente comandare a bacchetta. Inoltre, nel caso ti fosse sfuggito, io sono più pericolosa di tutti voi messi insieme.» per un momento, nel dirlo, ti sembrò più fragile e spaventata di quanto fosse realmente. Era come se il solo parlarne portasse alla luce la fragilità e il timore che non mostrava. Ma non era esterna, no, piuttosto era interna. Per te fu come una rivelazione: non avevi mai pensato che potesse essere spaventata dal suo stesso potere. Tuttavia non ti lasciasti commuovere e tornasti al discorso originale. «Non me ne frega niente di tutto questo, torna immediatamente da Raki e Tokaki, questa è l’unica cosa che m’importa».
Eppure in cuor tuo sapevi di stare sbagliando tutto; continuasti. La stavi trattando come se foste in guerra con l’Oltretomba invece che dalla stessa parte. In un certo senso era ancora una fraternizzazione con il nemico e avevi ragione. Come avevi ragione a trattarla così. Purché reagisse, finalmente. Non stava fuggendo, la verità era che si era stufata di tutto questo e aveva deciso di mollare. Si poteva essere più stronzi di così?
Non ci credevi per niente alle sue vuote giustificazioni. Neanche tu eri mai scappato, avevi affrontato il tuo dolore sempre e comunque. Quanto avevi sbagliato a giudicarla, credevi che fosse più matura e sensibile di così. Adesso la vedevi per la stronza che era davvero.  E ciò non fece che aumentare il tuo disgusto. Ed eri intenzionato a farglielo sentire tutto e a farla soffrire davvero. Anche se non era nelle tue corde e non ti era mai fregato prima. «Non cambiare discorso…» Cominciasti severo ma lei t’interruppe, con voce spezzata, come se stesse sforzandosi di parlare normalmente e non ci riuscisse. Non potevi neanche scorgere i suoi occhi a causa della falda a tendina. Aveva, infatti, chinato il capo. L’unica cosa che notavi era che stringeva i pugni e che tremava.
Non glielo dicesti a voce alta, eppure fu come se lo avessi fatto.
La sua intera figura fremeva di rabbia: «Permetti che anch’io voglia sentirmi, almeno la notte, di nuovo una ragazza normale? Che questa situazione sia stressante anche per me? Va bene, mi trovo negli Inferi, ma voglio solo sentirmi normale! Almeno qui. Tu non hai mai sentito questo bisogno qualche volta? Ah, ma che diavolo parlo a fare con te, non capiresti neanche la metà di quello che dico».
«E non ci tengo. Mi hai deluso profondamente».
Lei scoppiò in una risata divertita e se ne andò piantandoti lì.
Chiudesti gli occhi con un sospiro, prima di darti dell’imbecille per aver sperato che in lei ci fosse qualcosa di buono e andartene dalla parte opposta. Da quella notte la bionda non tornò più alla tenda.  

Ti alzasti dal masso piatto dove eseguivi i tuoi esercizi e ti stiracchiasti prima di profonderti in uno
sbuffo seccato. Ancora nessun miglioramento. Nonostante tutta la buona volontà di Fianna e del Druido non si erano ancora visti miglioramenti.
Quando tornasti all’accampamento, la prima cosa che facesti fu andare a trovare i ragazzini. Fortunatamente stavano bene, accuditi da Isaac e Fianna. Quei due insieme stavano facendo un lavoro decisamente migliore di quello di Valentine e Astrid. Cancellasti immediatamente ogni pensiero sulla ragazza. Non dovevi pensare a quella stronza. Adesso che le vostre forze si erano rimesse abbastanza, dovevate concentrarvi sulla prossima battaglia.
Persino i Cavalieri di Poseidone erano riusciti a ricevere gli aiuti necessari, grazie al decreto di aiuto gratuito di Lady Pandora. Così avevano potuto riparare le Scale e rimettersi completamente dalla convalescenza. Anche grazie all’aiuto dei medici Specter e celtici.  
Adesso la loro parte di accampamento risuonava del clangore delle loro armi e dei loro colpi. Molti avevano ripreso ad allenarsi.
Tokaki era sparito.
Ti tornò immediatamente in mente l’albero degli Specter.
Lo cercasti in lungo e in largo, senza successo.  Poi, lo vedesti ritornare alla tenda, guardandovi con due occhi grandi così: «Che cosa è successo?» Vi chiese perplesso quando ebbe colmato a gran velocità la distanza tra di voi.
«Come che cosa è successo? Eri sparito!» Esclamasti tu mentre Raki lo abbracciava.
«Ma ero solo andato in bagno». Protestò debolmente il ragazzino, separandosi dalla bambina. Buttasti fuori tutta la tua paura con un respiro profondo: «Non farlo mai più, adesso fila a dormire».
«Cosa? Devo farmela addosso adesso?» Chiese il giovane sgranando gli occhi per l’indignazione.
«Hai capito, dopo quello che sta succedendo non scherzare».
«Io? Piuttosto dovreste essere voi a non scherzare, da quando Anna e Saoirse sono scomparse, la bionda non fa che piangere tutto il tempo e a me tocca di fare da balia alla ragazzina!» Protestò Tokaki, indignato.
Posasti immediatamente la tua mano sulla sua spalla per fermarlo. «Cosa? Che cosa hai detto a proposito di Astrid?» Esclamasti strabuzzando gli occhi. Il ragazzino ti guardò perplesso: «Cosa? Quando?»
«Tre sere fa». Tre sere fa, cioè da quando avevi rifiutato di aiutare la giovane. E quella sera doveva essere successo qualcosa, ma tu eri troppo impegnato a piangerti addosso per accorgertene. Accidenti, non ci voleva: «Sai dov’è?»
«Non lo so, sono tre sere che non la vediamo».
«Allora come fai a dire che piange?»
«É Raki che lo dice, lei le legge nel pensiero». La piccola lemuriana confermò e ti rivelò che era stata la stessa Astrid ad averle chiesto di mantenere il segreto: «Ha detto che voleva piangere da sola, però non riesco più neanch’io ad avvicinarmi a lei, si sta chiudendo troppo in sé stessa. Ho paura che non tornerà più da me». Spiegò la quattordicenne con occhi pieni di lacrime.
Lasciasti andare la spalla del ragazzino, incredulo. Allora non era rimasta indifferente.
Il sedicenne sembrò ammorbidirsi un po’ e domandò, mostrando parte della sua preoccupazione: «Non le è successo nulla di male, vero?»
«Vado subito a verificare». Lui annuì un po’meno timoroso, poi se ne tornò dentro la tenda, trascinando delicatamente anche Raki. Quella sera avrebbe pensato lui a proteggerla.
Cercasti Astrid in lungo e in largo. Solo quando uscisti dalla tenda-infermeria allargasti il campo. Non era neanche da Menta. La quale era ancora in coma.  
La trovasti seduta a un tavolo della mensa con un boccale stracolmo di birra davanti. La guancia destra appoggiata sul tavolo e i capelli che le coprivano la faccia. Se non fosse stato per il colore della sua chioma, neanche l’avresti scorta.
«Astrid». La chiamasti sollevato nelle intenzioni, come una domanda nella realtà. Sembrava che le avessero tagliato la testa e l’avessero abbandonata sul tavolo. Improvvisamente si rianimò e borbottò: «Accidenti, in questo schifo di posto non posso neanche farmi un barracuda decente e devo accontentarmi della birra». Poi rise delle sue stesse parole e cominciò a gorgheggiare The greatest. Almeno, deducesti che si intitolasse così.
La sua voce partiva malamente rispetto al solito. Impastata e con le parole sbiasciate, come se avesse la colla al posto della saliva. Poi scoppiò a sghignazzare divertita e la sua voce sbocciò, tornando limpida come sempre.
«Sono ancora qui, non sono mica partita». Ti corresse raddrizzando il busto. E tu avesti la conferma che era proprio mezzo ubriaca. Un senso di disagio e timore ti attraversò: per la prima volta la vedevi toccare il fondo.
Lei, incurante di tutto, si pulì la bocca con il dorso della mano e domandò, allegra - un luccichio voluttuoso negli occhi: «Ma sai che ora che ti guardo vedo che sei carino? Dici che mi congelo se ti bacio?»
Preferisti ignorare la domanda e andare dritto al sodo. «Ho saputo quello che è successo, Raki mi ha detto tutto…» ma non avesti il tempo di finire che fosti interrotto: «Chi…? Ah… Ah, ho capito. Anna e Saoirse, Neji, Raki sì, mi ricordo. Sì. Bene, mi fa piacere. Mi hai detto che sono una stronza, eh? D’accordo, ti faccio vedere quanto importa, alla stronza… Vieni, vieni…»
Si alzò e, barcollando un po’, se ne andò. Tu la seguisti con un misto di angoscia e timore.
Avevi un leggero timore che potesse girarsi di colpo e mostrarti ben altro. Ma lei non sembrava interessata.
In poco tempo usciste dall’accampamento e vi inoltraste nella foresta risalendo il ruscello fino a una piccola area delimitata da sassi, bastoncini e candele. Al centro dello spiazzo, comunque pulito, c’erano quattro piccole erme sormontate da una croce di rametti legati insieme con un laccetto. E tutto attorno qualche fiore infernale fresco sopra altri molto più secchi. Contasti almeno cinque mazzolini per ogni tomba, come se le avesse portato i fiori tutti i giorni. Solo dopo capisti che erano le tombe-simulacro dei bambini che non era riuscita a proteggere.
Raki diceva sul serio la verità.
«Hai visto quanto sono stronza?» Rise la ragazza poi, canticchiando, con voce sempre più controllata e vibrante The greatest, s’inginocchiò. Quando la canzone arrivò al No, no, no, il suo «No!» Si trasformò in un ruggito di rabbia e di dolore disarticolato che la portò ad abbattere violentemente i pugni sul terreno. L’impatto fu così potente che aprì una voragine.
Arretrasti istintivamente di un passo.
Poi gemette e si ripiegò su sé stessa.
Si strinse il busto piangendo disperata. I capelli che le erano scivolati davanti al volto a causa del movimento repentino, nascosero le sue lacrime. Ma non la sua voce ormai trasformata in pianto vero e proprio.
Improvvisamente  rivedesti il piccolo Hyoga chino davanti alla buca nel ghiaccio che singhiozzava per Isaac. «Isaac… Isaac». E, di riflesso, anche tu ti sentisti così, quella volta per questo tuo fallimento come maestro. Poi il ricordo sfumò restituendoti alla realtà.
In questo momento non era un’apprendista e, non era neanche la Luce Ombrosa: era soltanto una ragazza persa e sofferente. Ti sentisti molto vicino a lei. Anche se i vostri dolori avevano una causa diversa entrambi condividevate lo stesso senso di responsabilità. Tuttavia, potevi solo immaginare quanto fosse grande il suo. Se quello che ti aveva raccontato corrispondeva alla verità, sulle sue spalle era stato posto un peso che la stava schiacciando.
Chinasti il capo, i pugni di nuovo stretti.
«Dovevo salvarli, gli avevo detto che l’avrei fatto e non sono riuscita a fare niente! Niente!» Gemette di dolore e rabbia, ormai completamente lucida a causa della sofferenza.
Ti avvicinasti a lei, che si era raddrizzata e spostata i capelli dalla faccia, prima di lasciar ricadere anche quella mano in grembo a far compagnia alla gemella. Il volto rigato di copiose lacrime che adesso potevi vedere. Di bocca le uscivano gemiti strazianti che non avevi mai sentito neanche da Surt quando la valanga travolse la sua adorata sorellina.
T’inginocchiasti accanto a lei e le cingesti le spalle con un braccio, stringendola di lato. Lei si strinse a te e tu chiudesti gli occhi asciutti.
Sembrava che t’implorasse di non lasciarla mentre si aggrappava a te e, tu, stavolta, riuscisti ad abbracciarla.
L’aiutasti a tornare alla tenda e, lì, la osservasti coricarsi nel giaciglio. Gli occhi ancora lucidi di pianto. Le tenesti una mano tutto il tempo nella speranza che da questo contatto potesse trarre la forza che le serviva. «Cerca di riposare, Astrid, per favore». 
L’indomani le portasti una tazza di latte e dei fiori che avevi colto vicino al ruscello. Già che c’eri avevi pure innaffiato il mughetto infero in vece sua.
Quando si svegliò, tu eri ancora lì, accanto a lei. Ti parve sollevata di trovarti ancora al suo fianco. Anche se eri tutto intorpidito e ti faceva male la schiena più del solito.
Non le chiedesti se andasse meglio, perché era evidente che non era così. Ciò nondimeno dovevate essere forti, eravate nel bel mezzo di una guerra e, le persone avrebbero continuato a morire.
Le chiedesti di resistere un altro po’, finché non fosse tutto finito. Più che una Saint sembrava un soldato di un conflitto molto più umano.
Pregasti Atena per lei che non si spezzasse mai.
La giovane annuì.    
Nei due giorni seguenti cercasti di tirarla su ed evitasti di farcela pensare più del dovuto. Così avresti evitato di offenderla e, al tempo stesso le avresti dimostrato la tua vicinanza.
Cosa ti animasse non lo sapevi neanche tu. Né avevi idea da dove le prendessi le energie. Sapevi di essere molto stressato. Era merito del tuo addestramento e del tuo invidiabile autocontrollo se non eri ancora crollato. Potevi abbatterti, ma crollare no, anche se avevi bisogno di una vacanza.
No, non potevi mollare adesso. Un mucchio di gente contava su di te e tu eri un guerriero. Avresti fatto vedere a tutti di che pasta eri fatto. 
Poi, appena finisti le lezioni di magia con Fianna e un Druido insegnante, tornasti alla tenda e lì ti addormentasti immediatamente, esausto.   
Sognasti un sorridente Luco della Driade attaccarti.
A trarti dalle tenebre dell’incoscienza, fu un profumo. «Te l’ho detto, non puoi battermi, Cavaliere». Lo sentisti sogghignare ai tuoi interrogativi e, improvvisamente, il profumo si fece più intenso. Da quando in qua sognavi anche gli odori? Un momento, ma nei tuoi sogni non erano mai comparsi. Apristi gli occhi e li vedesti davanti a te qualcosa di viola che te li fece sgranare di colpo, trasalendo. Guardasti meglio e capisti che era solo un mazzolino di fiori. E, che accanto c’era una ciotola fumante, subito dietro c’era Astrid che ti guardava spaventata dal tuo scatto: «Tutto bene?» Ti chiese. Ci mettesti un po’a metterla a fuoco e, notasti che si era data una ripulita.
Ti mettesti seduto e fu allora che vedesti che quella era la colazione: «Oh, grazie». Facesti sorpreso anche e soprattutto per i fiori.  
«Prego, ho pensato che potesse essere…» cercò la parola «un compenso per il tuo disturbo». Sorrise leggermente, spostandosi una ciocca dietro le orecchie. Fu così che ti accorgesti che vestiva di nuovo la sua armatura e, la prendesti come un buon segno. Allora a qualcosa era servito se, aveva deciso di ricominciare a lottare. Ti mettesti seduto e la guardasti assonnato, senza capire di cosa stesse parlando. «Mi rendo conto di essere stata un peso in questi giorni, però…»
«Di che cosa stai parlando? Guarda che io l’ho fatto perché volevo, pensavi che volessi qualcosa in cambio?» Chiedesti, mezzo divertito e mezzo offeso. Lei si fermò di colpo e ti guardò sgomenta, prima di arrossire per l’imbarazzo e distogliere lo sguardo: «Scusa». Farfugliò e, di lì in poi, a fronte dei tuoi tentativi di cavarle una risposta decente di bocca, lei si impappinò.
«Per cosa?»
«Pensavo che» poi borbottò qualcosa di non intelligibile che ti costrinse a domandare: «Come, prego?» Udito fine o no, non captavi ancora le frequenze dei pipistrelli. E la tua stanchezza non se ne era ancora andata.   
«Grazie per tutto». Fece a voce più alta, diventando scarlatta come la sua parure a forma di orecchio di drago. Annuisti come a dire: “Ok…” Poi pensasti che fosse meglio lasciar correre. Ti limitasti a ricambiare con un cenno del capo, mentre l’imbarazzo calava su di voi come una cappa. Aspettasti che dicesse qualcosa, ma non le venne niente. Si alzò e se ne andò.  

«Per questa battaglia avrò bisogno della collaborazione di tutti voi». Ricapitolò la donna in nero, i lunghi capelli sciolti come una cascata nera sulla schiena. «Per quanto siamo diversi dobbiamo collaborare e unire le forze per agire nel migliore dei modi. Ora che la Luce Ombrosa» a te non sfuggì il vago tentenno nella sua voce al solo nominarla, «È dalla nostra parte, non abbiamo più alcuna ragione per temere le Creature, o meglio, le Lacrime di Kalì, come ci ha informati il qui presente Aquarius».
«Spero mi vogliate scusare per avervi taciuto tanto a lungo contro chi ci saremmo battuti». Disse la signora in nero, guardandoti. «Non deve essere affatto facile per voi combattere contro il vostro stesso Santuario».
«Non preoccupatevi, mia Signora, non è la prima volta». La rassicurasti tu. Ma era la prima volta che lo facevi seguendo una giusta causa e vestendo la tua sacra Aquarius, non una Surplice.
In questi giorni le Signore a capo della Resistenza si erano riorganizzate e avevano schierato i loro paladini per strappare a turno pezzi di Inferi ai Morti. Una menzione d’onore particolare tra questi spettava a Sheffield del Basilisco e a Flegiàs del Licaone. Anche Myu della Farfalla si era distinto per le sue doti contribuendo a danneggiare e le truppe nemiche. Anche da solo Myu avrebbe potuto contrastare le Lacrime, in quanto il suo potere si basava sulle anime che lo schermavano dagli attacchi.
Non usare direttamente Astrid in campo era una buona strategia. La ragazza non era totalmente esperta nell’uso delle tecniche del Cosmo ed era ancora molto acerba come guerriera. Non aveva neanche la resistenza necessaria per sopportare lo sforzo fisico di una battaglia vera e propria.

«Mi hanno riferito che siete entrato in contatto con il nostro protettore Divino, è vero?» Domandò la donna.
«Sissignora».
«Che ne pensate?»    
«Sinceramente non so che cosa pensare».

Sembrò che volesse chiederti altro, ma poi ti congedò.
 

«Una voce che mi spronava in una direzione differente dai percorsi che conoscevamo». E che voi, però, tristemente conoscevate. Maledizione, stava succedendo ancora. «Questa voce non è di un avversario come gli altri, mi mette i brividi, ho una paura che non ti so neanche descrivere tanto è immensa». Cercò di rifiutarsi.
Tu le stringesti le spalle e incatenasti i tuoi occhi nei suoi: «So che può essere terrificante, ma per favore, cerca di guidarmi fino alla fonte». Lei annuì, soprattutto quando le promettesti che l’avresti salvata in tempo ed eri deciso a farlo, stavolta.
Così, eravate giunti ai piedi di un tronco di magnolia a fianco di una cascata di sangue. Dove trovaste Astrid osservare l’albero, le mani intrecciate dietro la schiena. Più che aspettandovi sembrava che stesse dialogando con l’albero.
La Lemuriana lanciò un richiamo alla sua amica, che si girò a guardarvi: «Raki, Camus!» Esclamò, perfettamente consapevole, poi vide anche Tokaki.
L’apprendista di Aries corse da lei e la strinse a sé, implorandola di fermarsi. «É tutto a posto, Raki, va tutto bene». 
«Che cos’è questo?» Chiese a mezza voce.
«Astrid, andiamocene via». La implorò Raki, mentre tu, come in un incubo, rivedevi Neji  avvicinarsi al tronco, trascinandosi dietro Anna e Saoirse.
«Cosa ci fai qui?» Le chiedesti, tu, invece e la bionda ti rispose che stavolta aveva voluto giocare d’anticipo.
Annuisti.
«Mi sta chiamando». Asserì Tokaki con voce trasognata, senza distogliere lo sguardo o mutare espressione e, per un momento il passato parve fondersi con il presente. Sembrava incantato.
Astrid sollevò il suo falcione di Cosmo dorato e l’aria attorno alla sua persona vibrò.
«Cosa stai facendo? Smettila, Tokaki!» Strillò Raki correndo ad abbracciarlo. Lui sussultò e si fermò. Vi guardò battendo le palpebre, come se non capisse che cosa stesse succedendo. «Maestro Aquarius, Astrid io… Cosa stavo facendo?»  
«Niente, è tutto a posto, non stavi facendo niente». Mentì lei ma il ragazzino non ci cascò e si staccò dalla stretta di Raki fissandola male.
«Non mentite, non sono un bambino. Basta menzogne, basta bugie, mi ci hanno cresciuto da tutta una vita, adesso voglio la verità».
Con un sospiro, decidesti di rispondere alle sue domande, di modo che sapessero: «É l’albero degli Specter, è lui che vi chiama a sé e vi uccide. É questo il motivo per cui vi hanno rapito». Rispondesti in tono lugubre osservando il tronco spoglio.
I due arretrarono come se la pianta avesse potuto divorarli.
Poi spiegasti alla tua compagna d’arme, che vi guardava leggermente stranita, che secondo la leggenda, era da questo che gli Specter erano nati. E che, fu dai suoi semi che Asmita della Vergine fabbricò il mala nel millesettecento, anche se, tale azione gli costò la vita.  
«Lo conosci?» Chiese Astrid in tono angosciato, guardando la pianta leggermente indietro alla sua sinistra.
Tu annuisti di nuovo e concludesti seguendo il suo sguardo: «Si dice che fu abbattuto da Tenma di Pegasus nella Guerra Sacra del Millesettecento». Mentre raccontavi, cominciasti ad avere la conferma della vaga idea dell’uso che potevano avere questi ragazzini per la causa degli Specter. Soprattutto ora che Luco della Driade era morto e la daga deicida di Saga era caduta nelle mani di Don Avido.      
«Perché noi non la sentiamo?» Domandasti poi, confuso, tradendo tutta la preoccupazione e l’angoscia che provavi con una piccola esitazione.
«Forse soltanto i bambini possono sentirlo».
«Ehi, noi siamo qui!»
«Siete comunque dei bambini».
«Non è il momento». Li bloccasti in anticipo. Non aveva senso neanche alle sue orecchie perché lei, Cosmo o non Cosmo, poteva sentirlo. No, il fattore età non c’entrava niente e neanche il Cosmo. Era qualcosa di più sottile. 
Astrid tornò a guardare voi, volgendo le spalle all’albero che si stagliava contro il paesaggio roccioso e il cielo tempestoso. Un refolo di vento smosse le vostre vesti. Ma non fu solo questo a farla rabbrividire, mentre osservava quei rami come se da un momento all’altro un paio d’occhi gialli e inquietanti si aprissero dalla corteccia e ricambiassero i vostri sguardi. «Camus?»
«Sì?»
«Orologi fermi, uno stato di trance che fa sembrare tutto sospeso come in un sogno, ragazzini che scompaiono e vengono ritrovati feriti o privi di vita… Adesso questa storia somiglia veramente a Picnic ad Hanging Rock». Asserì la tua versione femminile in tono talmente cupo che persino il coraggioso Tokaki rabbrividì.
Il vento che soffiava vi portò alle narici l’odore della cascata di sangue, vi riempì la bocca del suo sapore come se steste abbeverandovi ad essa. Persino l’ululato delle raffiche, nel riecheggiare tra le rocce, sembrava suggerire una delicata e, al tempo stesso spigolosa, inquietante melodia che faceva da solenne colonna sonora di un disastro. E se nel proferire quelle parole, persino lei era spaventata, non osavi immaginare quanto dovesse essere terrificante il film che stava citando.  
«C’è qualche problema?» Domandò una voce famigliare mentre osservavate l’albero. Con un sussulto vi giraste di scatto e vedeste Myu della Farfalla ritto in piedi su una roccia. Le braccia incrociate e lo sguardo fermo e autoritario. «No, nessuno». Mentì cercando di essere più convincente che poté.
Tornaste indietro e a metà strada lasciaste che i ragazzini vi precedessero.
Appena fosti soli le domandasti se andasse tutto bene. Non aveva abbandonato neanche un secondo il suo falcione. «Non è per via di quello che è successo, non potevamo immaginare che…»
«Lo so, eppure non riesco a non incolparmi per la mia impotenza». Fece lei asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, rivelando tutta la sua fragilità. Aveva preferito non mostrarla davanti ai ragazzini.  
«Dobbiamo fare qualcosa». Convenisti con lei.
«Dunque è per questo che sono stati portati qui! Gli servivano delle batterie per ricaricarlo». Sibilò lei.
«Dobbiamo distruggerlo». Dichiarasti.
Lei si bloccò e ruggì «No!» con tutte le sue forze. La guardasti interdetto e ti fermasti a tua volta.
Non era lei quella che voleva salvare i bambini? Allora perché adesso cambiava idea? «Perché no? Se gli Specter riconquistano il potere della magnolia degli Inferi…»
«Vinceranno la Guerra!» Ti zittì.
Anche questo era vero. «Sì, certo ma…» Iniziasti ma lei t’interruppe ancora una volta: «Abbiamo già il mala di Shaka e, un giorno tornerà nelle mani di un Cavaliere di Virgo, ma ora dobbiamo lasciare tutto così com’è».
La guardasti senza riconoscerla: si era bevuta il cervello, per caso? «Astrid non puoi lasciare che gli Specter riconquistino tutto quel potere».
Lo sguardo tagliente che ti rifilò, fu solo una velata anticipazione delle parole piene di determinazione che l’accompagnarono: «Sì che posso».
«Quindi non vuoi proteggere le altre persone? Lasceresti veramente che tutti gli altri soccombano per via di quell’albero?»
«No. Io le voglio salvare tutte. Non c’è nessun tutti gli altri, o tutti o nessuno, Camus e io non permetterò mai che questi fantasmi mettano in pericolo l’intero ciclo della Vita e della Morte. Non m’interessa per quale motivo ce l’hai a morte con gli Specter, non m’interessa che cosa ti hanno fatto, qui la Guerra non è contro di loro! Non è neanche contro Valentine». Già, ti eri scordato che Valentine fosse uno Specter «E se l’albero degli Specter possa rappresentare in qualche modo una fonte del loro potere, così sia. Così avremo qualcos’altro in più per contrastare quella daga che non sono riuscita a recuperare». Confessò.
«La daga? Come sai della daga?»
«Ero lì» emise un sospiro addolorato e ti raccontò tutto, persino di quello che aveva scoperto e di come adesso potesse effettivamente nuocere ai fantasmi e le anime tramite le Lacrime di Kalì. Restasti sorpreso dall’ultimo atto di bontà dello Specter, che l’aveva coperta permettendole la fuga. E, al tempo stesso, ci restasti di stucco nell’apprendere che l’unico medico tra gli Specter, l’unica persona che poteva rifornire le fila, era persa. Questa notizia andò a minare il piano che stavate tessendo.
Le chiedesti perché non avesse detto niente. Lei si strinse nelle spalle e abbassare il capo. Poi rispose, più piano, affranta: «Non lo so».
Adesso si spiegava tutto, la dedizione che ci metteva per curare quel mughetto, il fatto che ogni volta tu la trovassi sempre lì. Luco le aveva affidato la fonte del suo Cosmo, prima di morire. E da lì lei sperava di riuscire a farlo resuscitare. Nonostante ciò, non riuscisti a non guardarla di traverso. La sua genialata rischiava di mandare a monte ogni cosa. «Chi altri lo sa?» Le chiedesti, sforzandoti di parlare normalmente. «I nemici. Tra le nostre fila solo tu ed io».
“Fantastico!” Pensasti sarcastico.
Chiudesti gli occhi, imprecando mentalmente e incrociasti le braccia. Questa non ci voleva.
Quando li riapristi e parlasti, scegliesti le parole con molta cura: «Ti rendi conto che questa informazione ci doveva essere data molto prima?»
«Sì». Si scusò contrita con voce sottile.
Tu apristi gli occhi e la guardasti con disprezzo: «Dovrò riferirla ai nostri alleati». Dopodiché le voltasti le spalle e te ne andasti. Lei parve riscuotersi e ti seguì. Ti afferrò per un braccio e ti fermò, facendoti girare verso di sé: «Mi dispiace, Camus, mi dispiace davvero!»
Tu ti liberasti dalla sua presa e la trapassasti con lo sguardo: «Non è a me che devi chiedere scusa, qui non serviranno a niente le tue scuse. Questo non è un gioco e mi rammarica vedere che tu non abbia ancora capito la gravità delle tue azioni! Tuttavia anche tu sei molto migliorata. Se abbiamo questa nuova tecnica che permette alle Lacrime di ferire i fantasmi, non abbiamo bisogno dell’albero, per cui lasciamelo abbattere».
«No! Non possiamo fare affidamento soltanto su quella». Adesso ti sentivi di nuovo dilaniato dalla ragion di stato e i tuoi interessi personali. Come durante la battaglia delle Dodici Case. Ma già una volta avevi sbagliato, non avresti commesso lo stesso errore due volte. Non lo avresti mai permesso a nessuno, neanche a lei. «Astrid, quell’albero non può comunque restare in piedi!»
«Invece ci resterà! Ripeto, Camus, o tutti, o nessuno e, con tutti, dico anche gli Specter. Se questo è il modo che hanno escogitato per salvarsi così sia, ma cercherò un’altra soluzione, per sostituire le vittime sacrificali con quei fantasmi scassa palle».
«I fantasmi?» Questo era inaspettato.
«Meglio loro che i Vivi, no?»
«Guarda che anch’io rientro nella categoria». Le facesti notare; salvo poi rinvenirti.
«No, altrimenti il tuo cuore non batterebbe e non cercare di fregarmi, non sono Hyoga, con me non attacca, lo so che il tuo cuore batte e che stai facendo un Viaggio Astrale, quindi sei ancora vivo». Il ragionamento non faceva una grinza eppure ti ritrovasti lo stesso in disaccordo con lei.
«Quindi cosa ti aspetti che faccia? Che mi unisca a te in questa campagna suicida? Hai una vaga idea di cosa tu mi stia chiedendo?» Perché eri abbastanza sveglio da intuire che si sarebbe cacciata nei guai durante il prossimo scontro. Più grossi del solito, stavolta.      
«Veramente mi aspettavo che tu ti mettessi contro di me, di risponderti che non m’interessa, che io ho scelto di fare così e farò così, perché io non credo negli aut aut e voglio crearmi da sola le mie possibilità». Ribatté alzando le spalle, l’ira che cominciava a infiammare il suo sguardo.
Non t’impressionasti per quella silenziosa minaccia albergante in quelle iridi dorate.
Quello era il discorso più stupido e al tempo stesso più speranzoso e coraggioso che avesti mai sentito. «È una follia». Rilevasti, cercando di farla tornare coi piedi per terra. Peccato che neanche questo smorzò la sua determinazione o le fece cambiare idea, anzi, si accigliò ancor di più: «Non è la prima follia che faccio. Non mi tirerò indietro solo perché loro indossano delle Surplici e tu una Cloth e, non mi tirerò indietro neanche se tu dovessi diventare mio nemico, neanche se tutti gli Specter decidessero di darmi contro. So solo che in quel caso mi difenderò. Ora so come fare».  Concluse in tono secco.
Poi ti superò. 
«Tu sei una Saint…» Iniziasti.
«Io sono la Luce Ombrosa!» Sbraitò (girandosi di scatto) con una determinazione e una ferocia tali che ti ammutolirono. Era come avere a che fare con una fiera.
Le sue parole rimbombarono nella vallata e tornarono indietro in un’eco distorta. «E combatto per le stelle, ecco per chi combatto». Dichiarò sempre allo stesso tono, ma con voce più bassa, senza staccare gli occhi ferini dai tuoi.
«Non posso aiutarti a macchiarti di questo peccato. È immorale Astrid, non ti aiuterò a scavarti la fossa da sola. Per favore, non lasciarti consumare dal dolore, combattilo ed evita che anche i fantasmi abbiano in sorte la morte», facesti tu, opponendoti fermamente a tutto quello che aveva detto, perché sapevi bene da cosa le nascesse. Anche se condividevi i suoi intenti, non ne condividevi il metodo e tanto ti bastava.
«Quei fantasmi meriterebbero ben di peggio che la morte». Protestò in tono secco.
Nuove lacrime di rabbia le rigarono le guance.
Capisti di essere sulla strada giusta e, allora continuasti. «Lo so, ma non sei obbligata a dargliela tu».
«Non importa».
“Ho capito”, pensasti e sospirasti, rassegnato. Non potevi persuaderla a cambiare idea.
«Hai fatto la tua scelta». Le accordasti, ben sapendo che non le avevi accordato proprio niente. Che lei non ti considerava il suo maestro, tantomeno un padrone. Teneva troppo alla sua libertà per permettere a qualcun altro di decidere per lei.
L’unica cosa che potevi fare fu voltarle definitivamente le spalle. Alla fine la soluzione per il problema delle Lacrime di Kalì l’avevate trovata, no? Allora non serviva a niente continuare a collaborare.
Presa questa decisione la lasciasti lì.   
Mentre tornavi indietro ripensasti alle sue parole e a tutto quello che era successo.
Adesso comprendevi perché Valentine si fosse allontanato dicendo queste parole, che adesso si riaffacciarono nella tua mente. Era un avvertimento. Aveva cercato di dirti che cosa stavano facendo i suoi commilitoni e tu non l’avevi capito, occupato come eri.
Adesso cominciavi a capire che lui stesso aveva cercato di indurti a essere più forte fin da subito. Il suo comportamento era quello di un maestro nei confronti dell’allievo. Ma tu non l’avevi riconosciuto perché non avevi mai avuto bisogno di maestri.
Ora più che mai avevi bisogno di parlare con qualcuno che potesse aiutarti. Una persona che poteva veramente aiutarti. La freddezza e la ferocia della ragazza era spaventosa persino per te. Se fosse stata un ragazzo non avresti esitato a rimetterla in riga. Ma qualcosa te lo aveva impedito. Un piccolo grumo di oscurità dentro di te che ti sforzavi di combattere. Lo stesso che ti diceva che lei avesse ragione, anche se non ne condividevi il metodo. Né il piano che aveva, perché significava che si sarebbe messa in pericolo da sola. E lei non era abile quanto voi nella lotta. Le sue tecniche non l’avrebbero sostenuta in eterno e lo sapevate tutti.
Ti tornò in mente lo Specter dai capelli color lino.
Già. C’era un’altra persona cui potevi rivolgerti in questo frangente. Anche solo per chiedergli scusa. Per questo andasti a cercarlo.
Una volta dentro l’accampamento però, fu più difficile di quanto pensasti. Nessuno sapeva dove fosse andato. Avevi quasi perso le speranze quando sentisti un movimento alle tue spalle. Ti girasti e lo vedesti. Ecco perché nessuno sapeva dove fosse, era rimasto alle vostre spalle tutto il tempo. Valentine ricambiò il tuo sguardo, restando vicino alla palizzata. Sembrava chiederti se finalmente tu avessi realizzato. E tu, annuisti. «Avevi ragione, scusami». Ammettesti contrito.
«Non importa, sapevo che avevi bisogno di sbatterci la testa prima di capirlo».
«Sono così testardo?» Chiedesti lasciando che ti affiancasse.
«Temo proprio di sì».
«Dove alloggi, adesso?»
«Assieme agli Skeleton della legione del Cocito». Rispose il ragazzo al tuo fianco.
«Ti andrebbe una birra? Per scusarmi». Pronunciasti impacciato. Non eri abituato a chiedere scusa. A Hyoga non l’avevi mai chieste a Milo neanche. Ma almeno adesso, con Valentine, volevi veramente scusarti nel modo giusto. Lo Specter esitò. «Non fare quella faccia, offro io». Dicesti e lo Specter si rilassò: «D’accordo».  

«Alla fine hai capito che cosa intendevo dire?» Ti chiese a un tratto, mentre sorseggiavate la birra, appoggiati di schiena al tavolo della mensa e le gambe accavallate.
«Sì».
«Mi dispiace».
«Anche a me».
«Sappi comunque che non abbiamo avuto altra scelta». Si scusò. Se non altro, lui non approvava e, questo ti rassicurava. «La bionda come l’ha presa?» Non gli era mai rimasto impresso il nome di Astrid. 
Gli raccontasti del vostro litigio e lui restò di stucco. «Non saprei dire se avessi dovuto aspettarmelo oppure no. So solo che questo complica moltissimo la situazione». Commentò soltanto lui prima di tracannare un altro sorso.
Avresti voluto chiedergli se gli avesse dato fastidio il fatto che avessi parlato senza pensare che lui appartenesse alle nere schiere. Tuttavia non lo facesti. Valentine sembrava non essersene neanche accorto. Oppure non gliene importava proprio niente. Ad ogni modo andava bene così, con le scuse eri veramente negato.
Restaste a parlare del più e del meno finché entrambi non vi addormentaste al tavolo.  
A svegliarti fu il torcicollo e la scomodità della posizione in cui ti eri assopito. Se avevi sognato, non lo ricordavi. Alla fine avevate parlato tutta la notte, tra un sorso e l’altro. Non eri ancora abituato al sapore dell’alcolico, ma cominciava a piacerti la rossa. E ora ti sentivi annebbiato al punto giusto da non capire niente, finché non ti misero in mano un bicchiere pieno di un liquido rosso in cui riconoscesti, vodka, sale, pepe, uova e succo di pomodoro e… un sedano che ti solleticò la faccia, prima che tu prendessi e lo mangiasti. Fatto sta che fosti di nuovo in piedi e, pronto per capire che cosa stesse succedendo.  Eri talmente stanco che neanche ti eri accorto dell’arrivo dei cuochi.
«Uh, conosco questo cocktail». Mugolasti.
«Già, è ottimo in queste situazioni». Commentò il tuo amico bevendo avidamente il suo. Al resto avrebbe pensato il tempo. Quello che vi serviva davvero era un antidolorifico. Anche Valentine era un concentrato di acciacchi e dolori, soprattutto perché aveva dormito con la Surplice indosso. Avesti un’immensa pietà per lui al pensiero di tutte le piaghe che doveva avere sotto alla corazza.
«Ma voi Specter non ve la togliete mai?» Perché ora che ci pensavi, salvo quando Fianna lo medicò e quando dormiva con voi, erano giorni che non lo vedevi senza. 
E poi, quando arrivarono i primi avventori alla spicciolata, comprendesti che non sarebbe stato un giorno come gli altri. Il campo era sempre in fermento. Ma stavolta sembrava che qualcosa avesse infiammato gli animi dei presenti, ma che dico, di tutto l’accampamento.
Molti Specter discutevano animatamente tra loro, tra il rifiuto e il basito e, altri, presto cominciarono a protestare. Alcuni annunciarono che si sarebbero recati al Padiglione della Giudecca e avrebbero cercarono di chiedere udienza alla Luogotenente.
Persino i Marine con le loro schiere di Cavalieri Sirene e Tritoni che arrivarono erano allibiti.
«Ma che sta succedendo?» Chiedesti a Valentine.
«Non ne ho idea…»
A rispondervi però fu un cuoco: «Come, non lo sapete? Lady Pandora ha inviato una lettera a Don Avido, dice che vuole incontrarlo e discutere con lui».
Strabuzzasti gli occhi mentre Valentine eruppe in un: «Che cosa?» Facesti per porre delle domande quando ti sentisti chiamare alle spalle e ti girasti. Un gruppo di Cavalieri-Sirena ti si avvicinò trafelato e ti assediò con una raffica di domande. «Perché voi Gold siete tra quelli che, più di tutti hanno combattuto contro Pandora e le truppe di Hades».
«Non so moltissimo, quello che so viene dagli insegnamenti del mio anziano maestro». E anche da ciò che aveva appreso Hyoga. Per esempio era grazie a lui che avevi imparato il koliso, l’avevi osservato mentre si allenava. Eppure, parlando con queste persone che si erano accomodate a semicerchio attorno a te, scopristi che anche quello che sapevi non era poco.  Per quanto questa nuova versione di Pandora, adesso ti era chiaro perché avesse chiesto udienza proprio a te. 
Appena ne sapesti un po’ di più, anche tu ti mettesti a disquisire sull’argomento.
Qualcuno ti riferì anche che Astrid, fu vista uscire arrabbiata nera dalla tenda della Giudecca. E come darle torto, anche tu ti saresti infervorato se qualcuno cui tenevi avesse fatto una stronzata del genere. Appena lo pensasti i tuoi occhi cercarono la figura dell’Arpia. Ora non restava che attendere, perché dubitavate moltissimo che Lady Pandora si sarebbe mossa con solo uno sparuto drappello a farle da scorta.
E, così fu.
Lei si mosse portando buona parte di voi, tra cui anche te e le legioni Celtiche. Riconoscesti anche alcuni mostri della Notte. Cercasti con gli occhi anche l’Azone, ma non lo vedesti da nessuna parte.
Mentre marciavate ti rendesti conto che Astrid ti aveva affiancato. L’abito pulito sotto l’armatura. L’avresti riconosciuta tra tutti, per quanto si discostava dagli altri Specter e da qualsiasi altro guerriero presente.
Ti scoccò un’occhiata e tu la salutasti con un cenno del capo che fu ricambiato.
Poi, insieme vi recaste al luogo adibito per lo scontro: ossia la piana tra il Flegetonte e la Quinta Prigione.    
Come da programma, tu, Valentine, Aliena e gli altri guardiani dei Fiumi Inferi si fermarono sulle collinette. Alcuni Specter e Skeleton vi imitarono per dare l’impressione che voleste assistere. E, presto, vi ritrovaste circondati dal vociare, mentre tutti gli altri fecero da cordone di sicurezza per voialtri che, a un cenno di Pandora avrebbero evocato la potenza del loro Fiume.
In un certo senso ti sembrava di essere finito alla prima del Teatro della Scala. Ma questa volta non sarebbe finita con degli applausi.
Per vostra fortuna i vostri avversari non se ne accorsero e presero possesso di almeno metà dello spiazzo. Come poveracci che non possono permettersi il prezzo del balconcino e devono accontentarsi della platea.
Non pensavi, tuttavia che fossero così numerosi. Don Avido aveva schierato tutte le sue forze per questo sold out. Il messaggio era chiaro: questa per voi sarebbe stata la disfatta. Raramente le battaglie dell’esercito meno folto vengono vinte.
«Quanti sono?» Chiedesti a Valentine.
«Troppi». Rispose in tono lugubre.
Poi, presero a urlarvi insulti. Ma, grazie alla conformazione del paesaggio, quelle voci risultarono come amplificate.
Al tuo fianco Valentine strinse i pugni, fremendo di rabbia. Anche tu facesti una gran fatica per trattenerti. Avevi un buon autocontrollo, questo è vero, ma avevi anche voglia di chiudere quelle boccacce.
Un dux bellorum vi si affiancò e mormorò, adirato: «Che rabbia, credono che siamo dei codardi».
«Non m’importa, che lo pensino pure», suggerì Valentine, parimenti offeso, «poi assaggeranno tutta la furia dell’Arpia». Dichiarò e il Celta annuì. 
Solo in questo momento ti accorgesti di aver perso di vista Astrid. La cercasti con lo sguardo ma era come scomparsa. Anche Valentine non aveva idea di dove fosse. «Probabilmente avrà raggiunto il battaglione di Aiacos». Ipotizzò.  
Lady Pandora si staccò dalla testa del gruppo e si diresse a metà del campo, dove Don Avido la raggiunse. «Non ho intenzione di negoziare con voi». Annunciò la donna dalla lunghissima chioma corvina a capo delle Armate Infere, andando dritto al sodo.
«Peccato, speravo in una trattativa amichevole». Fece il Black Saint di Ara con un tono dispiaciuto che andò a contrastare il mezzo sorriso sarcastico che curvava la sua bocca. Ma questo lo capisti solo dal suo tono di voce. Quello che potevi vedere bene, era la Black Cloth di Ara che splendeva su tutto quel beige polveroso della pianura.
«E non sono neanche così stupida da prendermi una freccia nel cuore. La risolviamo con una lotta in singolar tenzone: il campione degli Inferi contro quello dei Morti». Aggiunse Lady Pandora determinata.
«Interessante, non mi era mai capitata una simile proposta prima d’ora. Ci sto». 
«Molto bene, allora io schiero in campo Rhadamantys della Viverna, Giudice Infernale della Caina». Chiamò la donna girandosi verso di voi, alzando al cielo il tridente di Hades.
Dalle vostre fila si levarono grida d’incoraggiamento, applausi e colpi di lance su scudi e Surplici per il campione che si staccò dalla bolgia e raggiunse la Signora. Nemmeno una volta si girò a guardarvi.
Anche tu non potesti fare a meno di tifare per la Viverna che si affiancò alla Luogotenente degli Inferi. La quale tornò a fronteggiare l’avversario.
Don Avido tacque a lungo prima di parlare: «Bene, io scelgo Gateguard di Aries, Custode della Casa del Montone Bianco!»
E, dalla parte dei Black Saints, si levò un’ovazione ancora più grande di quella che accompagnò la discesa in campo di Rhadamantys. Era come se più che a un gladiatore stessero applaudendo all’entrata in scena di una leggenda.
Un giovane dai capelli rossi a caschetto con indosso la Gold Cloth di Aries si staccò dal gruppo, raggiungendo il Black Saint. Il suo passo cadenzato trasmetteva orgoglio, come se fosse consapevole delle sue capacità e ne andasse fiero.  
Assottigliasti gli occhi. Non ricordavi di averlo visto durante l’ultimo scontro, ma ricordavi molto bene che un Gold avesse dato parecchio filo da torcere durante l’attacco a sorpresa.
Non era un lemuriano e questo ti aveva sorpreso, dal momento che eri abituato ai lemuriani come Custodi della Prima.  
Il giovane uomo incrociò le braccia al petto e alzò il mento, guardando il suo sfidante dall’alto in basso, come se valesse meno di zero. Anche dalla piccola altura da cui ti trovavi riuscivi a vederlo perfettamente. Una posa così arrogante non si trovava spesso ma si riconosceva subito. 
Intanto che Rhadamantys arretrò e piantò la punta di un’ala nel terreno e tracciò il cerchio in cui si sarebbe svolta la sfida. Poi, quando finì entrò all’interno e lo scontro iniziò. I  due contendenti cominciarono a camminare in cerchio senza staccarsi gli occhi di dosso. I muscoli tesi sotto le armature, pronti a scattare in qualsiasi momento. Sembravano due leoni pronti a sbranarsi.
Poi scattarono.      
Il rumore dei loro colpi riecheggiò per tutta la vallata.


«Oh, i vostri colpi sono inutili, Rhadamantys della Viverna, preparatevi a morire!» Urlò, prima di accoltellarlo con la daga deicida, ma Rhadamantys chiuse le mani attorno alla lama, fermandola.
Il Black Saint cercò di spingerla più a fondo, ma era come cercare di affondare un coltello nella roccia, tanto la presa della Viverna era salda.
Non potesti fare a meno di ammirarlo.
«Hai dimenticato una cosa, don Avido, negli Inferi, siamo noi i Signori!» E il Black Saint sgranò gli occhi, soprattutto quando si rese conto di non poter più contrastare la forza di Rhadamantys che, con un ringhio si rialzò e lo sbalzò indietro di sei metri.
Il Saint però riacquistò subito l’equilibrio.   

«É un trappola! Ci hanno teso una trappola!» Urlò Minos.

«Gateguard!» Chiamò il Saint e il predecessore di Mur si fece nuovamente avanti. Alzò le braccia al cielo, caricando il Cosmo per scagliare l’Elevazione di Forza, che raggiunse la volta Celeste Infera per ricadere su di voi sottoforma di meteore dorate. Istintivamente arretraste di un passo e vi abbassaste. Tu cercasti di fermarli. Congelasti rapidamente gli atomi assieme a Isaac che ti imitò e anche a Aiacos che lanciò le Fredde Lance del Loto Bianco sfruttando l’acqua da voi congelata. Senza troppo successo.
Dannazione, eri ancora troppo inesperto nell’uso dell’acqua per riuscire a fare alcunché soprattutto quando: «Blue impulse!» Sentiste gridare e un fiotto di Cosmo blu, un attacco di Bluegrad andò a colpire la vostra barriera minandone pericolosamente la stabilità.
Isaac si scagliò addosso al soldato ma Aiacos e Minos lo richiamarono agli ordini.
Il Marine del Kraken si bloccò immediatamente. Mosse la testa di lato in una smorfia di disappunto e obbedì ma si tenne comunque pronto a usare il Cosmo per fare qualcosa. Così come gli altri Specter e fantasmi che lanciavano ingiurie agli avversari. Intanto che lo Specter di Cetus manovrava l’acqua per andare a creare per voi un nuovo strato che congelasti nuovamente.
«Mantenete le posizioni! Mantenete le posizioni!» Ordinò di nuovo Minos.
Inutile, i vostri scudi non servirono a niente e vi ritrovaste a schivare quanti colpi più possibile.     

«Ci si rivede, Aquarius del XX secolo». Ti salutò Don Avido sorridendo mellifluo.
«Cosa…?»
«Sei finito nella mia trappola, hai dimenticato che anch’io, come a suo tempo Hakurei, sono capace di usare la tecnica dell’Altare? Queste fiamme nere succhiano la tua forza!»
L’uomo si avvicinò a te e ti costrinse ad alzare la testa afferrandotela con la mano: «Adesso dimmi dov’è lei!» Capisti immediatamente a chi si riferisse. E, anche se avevi smesso di collaborare con lei, non significava che non l’avresti protetta lo stesso.
«Non te lo dirò mai». Dichiarasti determinato. Avresti preferito morire definitivamente piuttosto che metterla in pericolo. 
«Come preferisci, tanto non mi servi a niente, disertore». Il sorriso malefico del tuo avversario si ampliò e alzò una mano. Sgranasti gli occhi per l’orrore riconoscendo la spada che brandiva: era la spada benedetta con il sangue e le preghiere di Atena! Fece per calarla quando improvvisamente dalle nebbie si propagò una luminescenza dorata che si rifletté sul suo volto.
L’uomo l’alzò e guardò oltre la tua testa con occhi bramosi.
«Eccola!» Esultò mollandoti a terra. Tu atterrasti sul fianco e ti girasti. Dal polverone vedesti innalzarsi sempre di più un’enorme luce dorata. Un Cosmo d’Oro? Avevi già visto qualcosa di simile prima. Ma non ti ricordavi dove.
Tutti si fermarono e si girarono a guardarla spaventati. Poi la luce s’innalzò rivelando una testa crestata d’uccello che si scosse. Il becco che si apriva e si chiudeva lanciando grida mute e le ali immense che si sollevarono.
Spalancasti gli occhi, ricordando finalmente dove l’avevi già visto e ti rialzasti sui gomiti: «Astrid». Bisbigliasti mentre Valentine ti portava via da lì.
Dritto sotto le zampe del rapace il cui fulcro era proprio la giovane. Gli Specter, i Marine e i Celti si radunarono tutti sotto alle sue grandi ali, un momento prima che gli avversari lanciassero il loro attacco.
Il rapace ricadde su sé stesso trasformandosi in un’enorme cupola di luce che vi protesse e andaste a rinforzare, soprattutto quando un’orda di Saint delle Costellazioni Estinte vi si avventassero addosso.
La cupola li respinse e scomparve. Voi tutti partiste immediatamente al contrattacco. 
Un Black Saint balzò sopra le vostre fila e si lanciò contro Astrid urlando qualcosa di incomprensibile, ma tu fosti più veloce e ti parasti davanti alla giovane e li respingesti con dei colpi sferrati alla velocità della luce. Nessuno di loro, fortunatamente era provvisto del Settimo Senso. «Camus!» Esclamò sorpresa e tu la guardasti da sopra una spalla prima di ammonirla di non distrarsi. «Pensavo che…»
«Non è il momento, Astrid! Concentrati!» Lei obbedì, anche se stanca. Dannazione. Non era abituata a bruciare tanto Cosmo. 
«Forza, stai andando bene». La incoraggiasti, guardandola negli occhi. Finché sareste rimasti in piedi, non sarebbe mai finita. Afferrasti la sua mano e lasciasti che ti aiutasse a rimetterti in piedi. Pensavi che non avreste mai combattuto insieme ma ti sbagliavi. Astrid quasi crollò svenuta. La sorreggesti e ti passasti un suo braccio attorno alle spalle. «Forza, ce la possiamo fare», l’incoraggiasti sostenendola.
La sua fronte era imperlata di sudore.
La barriera non avrebbe retto ancora a lungo. «É inutile, dammi un momento». Ti supplicò.
Improvvisamente la voce di Rhadamantys risuonò per tutto il perimetro: «Voi ascoltate, ascoltatemi tutti!» E tutti gli occhi furono puntati su di lui, persino i vostri. «Non è finita. É questo il coraggio degli Specter? É questo il coraggio delle schiere della Resistenza? Dei guardiani degli Inferi, dei popoli antichi e delle schiere che hanno difeso i Santuari? É tutto qui? Vi arrendete già? E’ così che servite il Sommo Signore degli Inferi? È vero, loro sono più forti, loro sono più feroci, ma sono solo tagliaborse e tagliagole! Loro non sono guerrieri, noi invece sì! Abbiamo combattuto gli uni contro gli altri per secoli, ma adesso siamo qui, siamo coperti di ferite, ma siamo ancora vivi e, non abbiamo ancora finito di lottare! Finché i nostri cuori continueranno a battere e la nostra volontà di servire gli Dèi infiammerà le nostre anime, niente sarà perduto. Anche a costo di tramutarci noi stessi in ombre, non ci arrenderemo! Ognuno di noi ha la capacità di conquistare il mondo e renderlo suo schiavo e ha più potere di quanto immagina! Anche il più debole di noi può fare qualcosa per rovesciare le sorti di questa guerra. Siamo gli unici che possono fermarli e li fermeremo! Per ogni colpo ricevuto, noi ci rialzeremo! Non abbiamo ancora giocato tutte le nostre carte e non saranno due ferite così a ucciderci! Siamo veterani di Guerra anche noi, sappiamo come combattere, abbiamo assi nelle maniche e allora usiamoli! I Black Saint e i loro alleati si credono forti solo perché hanno una spada, ma noi lo siamo di più perché non abbiamo mai avuto bisogno di spade! Non ci serve la daga deicida! Noi abbiamo gli Inferi, noi abbiamo i Mari, noi abbiamo gli Dèi del Sonno, della Morte, della Giustizia, dei Sogni, le creature della Notte, la magia, il Cosmo e abbiamo la Luce Ombrosa! Scatenate il vostro Cosmo senza timore!» Urlò.
«Gli Inferi sono dalla nostra parte, non ci serve altro!» Ululò a sua volta Aiacos, dandogli manforte.
Tutti alzarono le braccia al cielo, gridando come un sol uomo.
Di nuovo carichi e combattivi. Persino Lady Pandora alzò in aria il suo tridente, urlando a sua volta. 
«Scatenatevi!» Ruggì Rhadamantys a squarciagola alzando a sua volta le mani, prima di levarsi in volo. Subito imitato da tutti coloro che erano dotati di ali e della capacità di levitare mentre tu e Astrid vi facevate in quattro per impedire l’avanzata dei nemici.
«Era ora!» Sbottò lei lanciando una piccola sfera nera che materializzò tra le dita addosso a un Black Saint che si avvicinò troppo.
«Ritiratevi, avete già fatto abbastanza». Vi ordinò Violate di Behemoth affiancandovi prima di abbattere un gruppo di Saint con la Brutal Real. Imitata da molti altri Specter, mentre voi guardiani dei Fiumi Infernali, arretraste nelle retrovie, dove attendeste il segnale per entrare in azione. 
   
Astrid
Camus e io stavamo ritirandoci più velocemente che potevamo. Ma era difficile muoversi con la vista sfocata a causa della velocità e la paura e la terra che tremava a causa degli attacchi e il rumore delle esplosioni e avversari e pezzi di terra che volavano dappertutto. A un certo punto

«No! Fermi!» Urlai e cercai di scagliarmi addosso ai nemici. Ne dovevo prendere almeno uno! Uno soltanto.
Fui fermata da un guerriero che, con un colpo ben assestato mi fece cadere bocconi. Poi mi prese per i capelli e mi tenne ferma, strappandomi un gemito di dolore. «Ben fatto, Francisca». Commentò qualcuno.
Il loro trionfo durò poco che materializzai il falcione di Cosmo e, mi rivoltai come una biscia, attaccandoli. Era colpa loro che stava succedendo tutto questo.
Il sangue mi andò alla testa e la mia rabbia divampò come un fuoco. Così forte da fare male pure a me. Non avevo mai provato niente del genere: «Bastardi! É colpa vostra! È colpa vostra se quei bambini sono morti!» Urlai menando fendenti che i miei avversari scansarono senza scomporsi.
«Di che cosa stai parlando?» Chiese uno di loro mentre cercavo di attaccarli.  
L’ex Gold Saint di Taurus, decisamente più piccolo del suo successore, mi guardò sbalordito un momento, poi mi attaccò. «Great Horn!» Esclamò e liberò il suo Cosmo.
Io urlai cercando di ripararmi dietro il falcione, finendo così con lo scoprire che il suo attacco mi passò attraverso. E lo stupore andò ad aggiungersi alla sorpresa, smorzandola un po’, come una goccia di bianco su una tinta rossa.
«Non è possibile!» Esclamò l’uomo, vedendomi ancora illesa. «Indossi una stola delle Ninfe Stigie!» Urlò poi, riconoscendo la stola che mi ero drappeggiata attorno al busto.
Ma davvero?
Se pensava che questo mi avrebbe sbalordita, non aveva fatto i conti con il mio sangue freddo. In un momento la lucidità tornò in me congelando come ghiaccio tutto quanto, permettendomi di incanalare la rabbia e usarla. Finalmente pronta per attuare una strategia.
Rialzai la lama e mi lanciai all’attacco senza timore, adesso che potevo attraversare i suoi colpi quanto mi pareva. “Non dargli tregua”, ripetei a me stessa per tutto il tempo che combattemmo. E, anche se l’Armatura del Toro lo proteggeva interamente, aveva ancora piccolissimi pezzi di pelle scoperta su cui colpire. Tutto si aspettò, infatti, fuorché lo colpissi alle cosce e sotto la spalla, infilando la lama sotto le protezioni degli spallacci e tirassi, di modo che potessi spezzare la sua Cloth. «Cosa?» Esclamò sempre più sorpreso, soprattutto quando alzai il falcione e lo colpii alla testa, tagliando il suo elmo in due. Rivelando la sua cascata di capelli scuri. Sembrava quasi più giovane di me, ma, nonostante ciò, non mi lasciai incantare. Saltai indietro usando il suo corpo come punto d’appoggio e mi spostai il falcione dietro la schiena, tendendo una mano verso di lui, le dita aperte a gruppi di due, rivelando la stella nera che lo avrebbe reso cibo le Lacrime. Poi, alzai le sopracciglia un paio di volte e gli feci cenno d’avvicinarsi, invitandolo ad attaccare. E lui non si lasciò certo pregare. Ben presto riuscii a sopraffarlo: aveva un modo diretto di combattere, troppo, senza tracce di slealtà a minare il suo operato. Ma non mi fu permesso di prenderlo a causa di una delle Lacrime, che lo afferrò. Solo in un secondo momento mi resi conto di avergli infilato la stella nera in corpo, mandando in fumo il mio stesso piano. Maledizione! Pensai mentre il poveraccio subiva il tocco incandescente della Lacrima, strillando a perdifiato, mentre dalla sua persona si levava un odore di bruciato.  
Gli volsi le spalle (a fatica, ho sempre un cuore) e me ne andai ma la strada mi fu sbarrata da un muro di fiamme dorate. «Dove credi di andare?» Mi chiese la voce del Cavaliere d’Oro dell’Ariete. Mi girai di scatto e gli lanciai una stella nera, ma lui la schivò scartando di lato. Sgranai gli occhi: non avevo contato che potessero evitarle!
Lui mi guardò, più altezzoso di Camus: «Ancora non capisco perché ci tieni tanto a sfidarci, donna, non potresti semplicemente restartene lì zitta e buona?» Mi chiese don Avido, guardandomi infastidito. Non risposi, se non trapassandolo con un’occhiataccia, digrignando i denti in perfetto stile Rhadamantys.  
L’uomo alto e muscoloso con i capelli a caschetto rossi mi guardò disprezzo: «Non posso credere che gli Inferi siano arrivati ad assoggettare persino una donna, per di più senza un’Armatura e un Cosmo degni di nota». Commentò.
«Assoggettato sarai tu!» Ribattei ricambiando la sua occhiata con una fiammeggiante, attraverso la frangia. L’uomo spalancò gli occhi un momento, per lo stupore, come se avessi toccato un tasto dolente, prima di assottigliarli di nuovo e replicare: «Lo sono già stato e non voglio esserlo mai più». Mi sollevò il mento e mi squadrò per un momento, come se cercasse qualcosa nel mio sguardo, prima di lasciarmi andare e volgermi le spalle con totale disinteresse.
Avevo sentito delle voci che volevano che un predecessore di Kiki fosse stato assoggettato ad Hades a causa del predecessore dello Specter della Farfalla. Che fosse quest’uomo dallo sguardo bruciante di vendetta?  «Ci si rivede, Specter della Farfalla». Salutò il Cavaliere di Aries con voce incolore nel vedere le Fairy volteggiare attorno a noi.
«Myu!» Esclamai sorpresa, mentre lo Specter volteggiava sopra di noi, battendo le grandi ali, le fairy tutte attorno a lui. «Tornatene nel tuo girone Gateguard». Gli ordinò.
«Con piacere, ma tu verrai con me! Force Soar!» Urlò e gli scagliò il proprio attacco che, comunque, andò a infrangersi senza problemi sul palmo teso di Myu della Farfalla. L’uomo fece un piccolo scatto indietro come a dire: “Accidenti, l’ha parato!” Lo Specter gli sorrise beffardo: «Ancora non hai imparato la lezione dopo tutti questi secoli, Gateguard di Aries? Noi Specter siamo superiori a dei semplici spiriti».    
L’orgoglioso predecessore di Kiki fece per attaccare nuovamente, con una freddezza e una lucidità allarmanti, ma prima che potesse fare qualcosa, una lastra di ghiaccio gli bloccò le gambe, costringendolo a fermarsi: «Che cosa? Chi diavolo si azzarda a fermare un Gold Saint?»
«Camus!» Urlai io all’indirizzo del mio collega, che stava correndo verso di noi e, ripresi a lottare con più forza per liberarmi dalla presa del fantasma. «E, mollami!» Ringhiai e, me ne liberai con una testata ben assestata al suo costato scoperto. Nello stesso momento allargai le braccia di scatto, approfittando della presa che si allentò.
«Scappa, Astrid!» Urlò di rimando quando fu abbastanza vicino e con uno slancio, preparò uno dei suoi attacchi di ghiaccio. Non me lo feci ripetere due volte e obbedii, più rapida che mai mentre si abbatteva addosso al mio aguzzino con lo stesso fragore e potenza di una bomba. A causa dell’onda d’urto che si generò fui sbalzata di parecchi metri in avanti e inciampai e ruzzolai giù dalla china, fermandomi sul ghiaino. Le orecchie che fischiavano e il terreno che, sotto la mia pelle ferita, continuava a tremare.
Gemetti di dolore.  
Improvvisamente vidi come in un flash, due mani dalle unghie curate sollevare un libro dalla copertina nera che, quando aprii, capii essere un album da disegno. Poi, vidi un paio di labbra scure e carnose aprirsi e prendere fiato, prima che la voce femminile  che le apparteneva, cominciasse a intonare una poesia:
«Conobbi dei cavalieri, molto tempo fa.
Uomini valorosi, combattevano per la gloria
collezionando sempre la vittoria.
Le loro  ali erano stendardo,
gli occhi di speranza e distruzione lanciavano il dardo.
Sotto al lor potere riunirono ogni fazione.
Nessuno poteva eguagliarli o superarli.
Tutti li amavano.
L’inno squillava per loro»
.
E questi erano i Saint.
«Tutti li amavano, questo l’ho detto,
persino una bambina, seduta sul suo letto
.
Ero io quella bambina».
Dicemmo insieme. Era vero. Io avevo deciso di seguire queste orme perché li ammiravo. Che figura ci facevo se mi lasciavo sconfiggere a questo modo dall’ansia e dalla paura? Quello che avevo detto a Camus erano solo belle parole e basta? Lui mi aveva urlato di andarmene e io l’avevo ascoltato. Ma se me ne fossi andata per davvero, me ne sarei pentita per tutta la vita. Ma al diavolo, chi se ne importava! Perciò cercai di rialzarmi più rapidamente che potei. Se fossi stata un po’più lucida avrei anche usato la Dark Resurrection, ma in quel momento l’idea non mi sfiorò neanche.
«Catturatela!» Urlò il Black Saint e, prima che potessi fare qualcosa, fui raggiunta e, delle mani rudi mi afferrarono per le braccia, strappandomi dal mio stato di shock. «Che cosa fate? Lasciatemi!» Urlai cercando di divincolarmi, ma senza successo, che mi ritrovai trascinata davanti a don Avido in un dejà-vu che non ero affatto decisa a rivivere.  
«Bè? Niente ammonimenti, niente discorsi da Saint? Niente di niente?» Mi schernì il Black Saint con un sorriso malefico stampato in faccia. «Non ho niente da dire a persone come voi!» Sbraitai rabbiosa, facendogli sgranare gli occhi. Gli smielati discorsi da redenzione non facevano per me, questi morti erano morti e tali dovevano restare. Il fatto che la Guerra fosse colpa loro non me li rendeva affatto simpatici o affidabili. Io non avevo nel cuore la pietà di Seiya e degli altri che, con il tempo avrei imparato a conoscere. Io ero dell’idea che se le persone vogliono ascoltarti, allora ti ascoltano. Avevo già provato questa strada e Luco aveva perso la vita per salvarmi.
«Che fanciulla incredibile e, dire che non si sarebbe detto, guardandovi in faccia. Le donne di solito amano sperticarsi in amabili discorsi sul bene e sul male, sul perché facciamo questo, implorano. Tu invece no».
«Aggiornati, brutto stronzo, c’è un motivo se io sono la leader dei Black Saint e tu no!» Sbraitai di nuovo e, sprigionai il mio Cosmo che divampò con una violenta fiammata, liberandomi dalla presa del mio carceriere e mi scagliai addosso al Black Saint, che sogghignando, mi lasciò fare. Quale fu la sua sorpresa quando lo afferrai per il bavero della giacca e tirai verso di me con tutta la forza che avevo. A quel punto cominciò a reagire e cercò di colpirmi, ma vidi arrivare il colpo e lo schivai abbassandomi, solo per prendermi una ginocchiata nello stomaco. Gemetti di dolore e, replicai rialzandomi di colpo, cercando di colpirlo con un pugno nel naso. «Tu la leader dei Black Saint? Vorrai scherzare, spero!» Mi schernì a sua volta, evitando il colpo un’altra volta.
«Non sottovalutarmi, ragazzina ingenua, i Black Saint non seguono nessuno, se non i propri interessi!» Fece, schivando ancora il mio colpo.
«Anch’io!» Ruggii e materializzai di nuovo il falcione di Cosmo e gli balzai nuovamente addosso.    
«Quanto sei patetica». Commentò il Black Saint. Poi, persi i sensi.  

Più che il dolore a svegliarmi, stavolta fu l’olfatto. Odore di pittura di pittura per la precisione. Ecco che cosa mi svegliò. Solo dopo mi accorsi anche che la sofferenza era reale.
Presi in mano la piuma bianca e, questa si sciolse come plastica fusa tra le mie mani. Mi portai le dita al naso e annusai: non c’erano dubbi, erano queste piume la fonte. Poi mi accorsi che un po’tutto qui, sapeva di pittura.
«Dove sono? Che posto è questo?»
«Rilassati, non ho intenzione di farti del male». Mi rispose la voce in tono pacato.
Una risata sarcastica mi uscì spontanea: «Certo, dicono tutti così» “nei film, poi succede il finimondo”. Pensai, pronta a materializzare la mia arma. «Anche quando Neji, Anna e Saoirse sono morti ho sentito quest’odore, perciò smettila di usare questa voce, non m’incanti, tu non sei il vero Aquarius, rispondi alla mia domanda, chi sei?»
«Ma cosa dici, Astrid?»
«Se sei lui dimmi qual è il mio colore preferito». Lo sfidai, pregando che non lo sapesse. Mentre io sapevo quello di Camus. La voce tacque ed io ebbi la conferma di quanto pensato. «L’unica persona che ci tiene davvero ad aiutarti». Ribatté con la sua vera voce, totalmente diversa da quella del mio amico. Questa era più roca e frusciante, aveva degli accenti strani nel suo greco che non riconoscevo affatto. Come se appartenesse a un’etnia diversa.
La luce delle mie mani divampò, rivelando la luminescenza violacea tipica degli Specter. Ma questo non mi rassicurò affatto. «Ah, sì?» Tergiversai guardandomi attorno. «Allora sai anche dirmi dove mi hanno portato e che posto è questo?»
«Certamente, questo è il Palazzo della Giudecca, la dimora del Signor Hades, il Dio dei Morti». 
«Buono a sapersi, se è così perché non sono in una cella?» Perché dalla luce questo mi sembrava un salone di una galleria d’arte più che una cella.
Perché?

 

«Prima vedrai attraverso le lenti e, quando il tuo potere si sarà risvegliato completamente, potrai vedere anche senza il loro ausilio».
«Fatti vedere, ne ho abbastanza di parlare con il muro! Rispondi alle mie domande: chi sei? Che cosa vuoi? Fatti vedere!» Ordinai. Tutto tacque. Cercando di tenere a bada la paura mi girai guardinga, guardandomi attorno, i pugni stretti che illuminavano la via.
Il mio interlocutore si sciolse in una squillante risata divertita: «Vuoi vedermi? Allora guardami». Seguii la direzione della voce e mi ritrovai a osservare un trentaduenne giapponese di bell’aspetto in marsina nera, pantaloni neri e un cappello a cilindro che gli copriva i capelli castani che gli stavano dritti in testa e sulla nuca come spilli. La barba di pochi giorni gli incorniciava la bocca curva in un sorriso smagliante che rivelava una chiostra di denti affilati. Totalmente in contrasto con la sua tenuta bohemien. Solo dopo mi accorsi che anche i suoi occhi non erano normali, bensì di un giallo miele che, nell’insieme andarono ad aumentare l’inquietudine che mi trasmise. Non era la prima persona con gli occhi gialli che incontravo, io stessa li avevo, però lui era diverso. Era come guardare negli occhi un demone. Ed io non potei non sgranare i miei e non fare un passo indietro per il terrore istintivo che mi incuse.
Per non parlare delle strane ali che uscivano dalla sua schiena, era come se un pittore pazzo gliel’avesse schizzate sulla schiena e poi si fosse dimenticato di dare loro un aspetto decente. Erano informi, quasi nebulose come frutto di pennellate aggrovigliate. Il che
Rinfoderò le nebulose ali nere e si portò una mano alla tuba. «Ciao, Astrid-chan». 
«Chi sei tu?» Chiesi, pronta a scappare via nonostante le membra tremanti. Avevo la sensazione di essere caduta dalla padella alla brace.  
«Oh, che maleducato, permettimi di presentarmi, io sono Yoma di Mephistophele, Stella dell’Avanguardia Celeste, per servirti». Il tutto in un tono talmente scherzoso che mi fece dubitare della sua sanità mentale. Quasi quasi era meglio la Viverna, almeno quello era stabile di mente e, inquietante in un modo più normale non così. Non sapevo neanche definire il tipo di inquietudine che quest’individuo mi suscitava. Era qualcosa che andava al di là dello sguardo demoniaco, era qualcosa che mi gelava il sangue. 
Uno Specter! Allora poteva aiutarmi! E glielo dissi, ma lui negò asserendo che non poteva, che non era compito suo agire. Che salvatore scrauso che mi ritrovavo.
«Come sai il mio nome?» Riuscii a dire, cercando di tenergli testa e di controllarmi, prima che un attacco di ansia mi paralizzasse. No, non potevo offrirgli il fianco.
«É naturale, nel corso della Storia hanno fatto di tutto per cancellarmi. Sei famosa, mia giovane amica, il tuo nome e l’eco delle tue gesta si è sparso per tutti i regni dell’Oltretomba e oltre ancora; non c’è nessuno che non conosca il tuo nome».

Avrei dovuto sentirmi lusingata? No, perché questa notizia non mi fece per niente piacere, intanto avrei preferito essere famosa per altro, non per le Lacrime e, poi, altri regni dell’Oltretomba? Aspetta, questo significava che esistevano anche… No, oh, no! “Questa non ci voleva, no…” Pensai sgomenta: significava solo altri guai in vista. «Che cosa vuoi da me?»
Improvvisamente scomparve e sentii una brezzolina sul fianco destro. Poi la sua voce mi arrivò dietro le spalle, strappandomi un sussulto: «Come, cosa voglio? Mi pare logico, cara. Mh, dovresti mangiare di più, sei pelle e ossa e non c’è niente da stringere». Commentò cingendomi da dietro e palpandomi un seno a più riprese.
Strabuzzai gli occhi esclamando immediatamente: «Ehi! Lasciami, maiale!» Cercai di divincolarmi ma lo Specter rise divertito, come se ci godesse da morire e volesse misurare il mio grado di sopportazione. Allora cambiai tattica ricorrendo al caro vecchio “Combatti il fuoco con il fuoco”. Anche se, in questo caso era rischioso. Spostai una mano avanti a me, le dita ancora lucenti dei colori della sua Stella. Improvvisamente la vidi comparire davanti a me e chiusi le dita su di essa. Nello stesso momento, spostai l’altra dietro la schiena con qualche difficoltà. Era un trucchetto che avevo appreso da una ragazza quando andavo al liceo. Ma se allora mi fece impressione, adesso non più. Ero stata molto fortunata, perché Yoma apparteneva alla categoria dei balordi che tendono ad aggredire persone indifese e gracili. Era stato un grosso sbaglio da pare sua, non solo perché ci separavano solo pochi centimetri d’altezza.   
Lo Specter si zittì e saltò via un secondo dopo. Poi commentai, dandomi l’aria di una che la sa molto lunga: «Mh, hai ragione, anche qui devo dire che non c’è molto da stringere». Mi girai per fronteggiarlo e lo ritrovai mezzo voltato di lato, a fissarmi con occhi sgranati e le guance purpuree e le mani a coppa sugli attributi.
Approfittando di questo momento lo avvisai, più minacciosa di quanto volessi: «Non ti avvicinare o ti disintegro. Se mi conosci bene come dici, allora sai anche che cosa posso fare. Non ti conviene farmi gridare». Per sottolineare le mie parole aprii il pugno, rivelando così il mio bottino: la sua stella Malefica fluttuante a pochi centimetri dal mio palmo. Il secondo era ovvio che lo stesse dicendo per rabbonirmi.
Yoma scoppiò in una risata sguaiata e alzò le mani in segno di resa: «Che ragazza ardimentosa! Non ti facevo così combattiva, non come la cara Pandora, che ci metteva sempre un’eternità per liberarsi di me».
Trasalii. Cosa aveva fatto quel maiale? «Che cosa hai fatto a mia zia?» Sbottai arrabbiandomi.
«Niente, niente, tranquilla». Mi rassicurò ghignando divertito, muovendo le mani come se volesse calmare una belva feroce. Ma io continuai a guardarlo biecamente. Mi appuntai di parlarne con la zia. Se le aveva fatto qualcosa, Hades si sarebbe giocato questo Specter; mi giurai mentre Yoma cercava di darsi un contegno.
In verità mi aspettavo che si facesse una risata e che facesse altri apprezzamenti per la mia audacia. Invece aveva reagito esattamente come lo stronzo che conobbe una mia ex compagna di liceo, che si tolse di dosso a questo modo. Anche se lei ebbe il coraggio di palparlo in mezzo a una strada, d’estate e, in pieno giorno. Dopo che lui l’aveva stretta a sé e l’aveva presa per i fondelli sulla sua mancanza di coraggio.  
Assottigliai lo sguardo: «Che cosa vuoi da me, Yoma? Immagino che la tua non sia solo una visita di cortesia».
«Potresti restituirmi la mia Stella? Non mi piace molto vederla nelle tue mani?» Domandò invece lui.
Mi faceva una paura del diavolo, ma non potevo permettere che l’avesse vinta.
«Mi credi così ingenua? Se questa è l’unica cosa che può fermarti allora non me ne priverò così facilmente».
La mia minaccia non sembrò neanche tangerlo perché si limitò a sorridere di nuovo: «Oh, già, giusto. Vediamo se riesco a riprendermela così: Rewind» Tese l’indice verso di me e, cominciò a muoverlo in senso antiorario. Improvvisamente sentii una forza immensa cominciare a strapparmi di mano, attimo dopo attimo, la Stella Malefica. Strabuzzai gli occhi e cercai di riafferrarla ma improvvisamente vidi me stessa balzarmi addosso. Mi ritrassi trattenendo il fiato rumorosamente e, la me stessa si mise dove mi trovavo originariamente. Il pugno lucente chiuso.
Si raddrizzò per fronteggiare lo Specter.
Mentre la Stella si riavvicinava sempre più al suo legittimo proprietario, mi resi conto che il mio doppio si muoveva come se, qualcuno, avesse effettivamente pigiato il tasto del REWIND.
Infatti la vidi balzare di nuovo tra le sue braccia e lottare per liberarsi dalla sua presa, prima di scomparire e la Stella Malefica tornare in possesso del mio avversario.
Poi anch’essa sparì. 

«Come hai fatto? Che cos’era quella forza? Cosa…? Perché il mio döppelganger?» Farfugliai spaventata: non avevo mai avuto a che fare con un potere simile. Tuttavia conoscevo la storia del döppelganger e, non potevo non esserne spaventata.
L’uomo spolverò il capello a cilindro prima di indossarlo nuovamente e sorridere: «Non ho evocato alcun döppelganger, come lo chiami tu. Quello che hai visto è il potere del Tempo. Come immagino avrai capito, posso manipolare il Tempo a mio piacimento». Spiegò rimettendosi l’orologio a cipolla in tasca.
Strabuzzai gli occhi: uno Specter con i poteri del Tempo? Ossignori, questo andava di parecchio oltre le mie possibilità, un potere del genere lo metteva al riparo da ogni mio attacco, persino dalle Lacrime di Kalì. Di tutti gli avversari che mi si erano parati davanti, questo era il più pericoloso, senza ombra di dubbio. 
«Sorprendente, nevvero? Non dirmi di no, il tuo stupore è più che evidente». Mi schernì divertito, cacciandosi le mani in tasca. Ora capivo perché gli orologi e il tempo si fermassero sempre in prossimità dell’Albero degli Inferi. Non era il campo magnetico dovuto alle rocce come credevamo, era lui che fermava il Tempo, lasciandoci in quell’atmosfera sospesa e trasognata tipica del mondo onirico. La stessa che rivedevo anche qui.
«Che cosa vuoi da me?» Reiterai, cercando di non far tremare la voce.
«Te l’ho detto, volevo conoscerti e informarti che il tuo piano è una gran perdita di tempo; non potrai mai salvare quei bambini, alla fine l’Albero li prenderà tutti, volenti o nolenti».
«Molto gentile da parte tua, mi domando a cosa ti serva dirmelo. Hai forse paura che riuscirò a fargli prendere i fantasmi invece di Raki e Tokaki?»
«No, l’Albero non accetterà mai delle prede come quelle che le offrirai tu. Anche se potesse, rischi di distruggere gli Inferi e allora sì che don Avido e i suoi l’avranno veramente vinta».
«Non c’è un’altra soluzione? Non puoi chiedermi di far sì che le cose seguano il loro corso, è troppo crudele, non posso e non voglio permetterlo, meritano di vivere, non di morire».
Lo Specter mi guardò pensieroso, prendendosi il mento tra pollice e indice. Ridusse gli occhi a fessure. Così in ombra a causa della tesa del cappello a cilindro, sembrarono ancor più predatori di quanto non apparissero: «Una soluzione ci sarebbe, la Stella Malefica dell’Ascensione Celeste, ossia la Driade, deve tornare tra le nostre fila». Decretò alla fine.
«Le mie capacità non bastano?» Chiesi infastidita.
«Permettimi di scusarmi se te lo dico così, cara ragazza; significa che le tue capacità sono quasi vicine allo zero. Oh, sì, non nego che tu sia potente, intelligente e coraggiosa, tuttavia non basta. Se ci vuole così poco per vanificare uno dei tuoi colpi più forti - perché lo è, no? - allora, è perfettamente inutile».
Distolsi lo sguardo, colpevole. «Luco della Driade è morto». Rilevai, ancora con i sensi di colpa per averlo lasciato lì.
«Lo so. Ma la sua Stella è ancora da qualche parte e, sicuramente sta aspettando di incarnarsi in un nuovo proprietario che abbia il suo stesso sangue o un Cosmo abbastanza forte da riuscire a contenerla nella sua anima». Fece, calcando volutamente l’accento sulla seconda scelta. E io lo capii immediatamente: «Cosa?» Esclamai.
«Non lo sapevi, ragazza? Le nostre Surplici sono incastonate nelle nostre anime, noi rinasciamo nei nostri stessi discendenti e, non hai tempo a sufficienza per trovarlo». Mi rivelò.
«Allora cosa vuoi che faccia? Che io mi offra volontaria come vittima sacrificale per l’altare degli Specter?»
Il giapponese sorrise mellifluo e ripeté quanto avevo già capito: «È semplice, diventa tu il nuovo Specter della Driade».
«Cosa? Io? Ma io non sono una…»
«Lo so che non hai legami di sangue con Luco, ma è la soluzione più sensata da prendere. Inoltre, quando un ramo si estingue, le Stelle se ne trovano un altro e con quella famiglia restano. Potrebbe arrivare il giorno in cui quella misera armatura che ricopre le tue membra non basterà più e, tu, anche se Luce Ombrosa, morirai. Capisci che sei ancora soggetta alle leggi dei mortali, non puoi sempre contare sulle tue tecniche per salvarti la pelle, come io non posso contare sempre sul Tempo per fare altrettanto. Sì, so anche questo e allora? Io sono la reincarnazione del Titano dell’Attimo Kairos, il fratello minore di Khronos».
Il mio cuore dette un colpo più forte per la paura mentre strabuzzavo di nuovo gli occhi. Ecco perché era così potente! Un Titano! Come diavolo si sconfiggeva un Titano? «E cosa vuoi che faccia se lo divento?» Tergiversai, cercando istintivamente una via di fuga.
«Niente, tu diventalo e basta».
Lo guardai di traverso: «E tu che cosa ci guadagni?»
«Perché pensi che io voglia guadagnarci qualcosa?» “Mah, non saprei, mi fai vedere questo, non fai che calcare l’accento su Luce Ombrosa, mi stai ricattando, non m’ispiri fiducia, dimmi un po’tu”, pensai sarcastica. Sollevai il volto per poterlo meglio trafiggere con lo sguardo e ribattere: «Sento puzza di ricatto da un chilometro di distanza, non mi freghi, lo sento che vuoi qualcosa in cambio, quelli come te non possono muoversi così senza un piano». Almeno lo speravo. Temevo che costui fosse un’imprevedibile che avrebbe potuto dare lezioni a Death Mask.
«Molto acuta. Sì, ci hai preso, la mia intenzione iniziale era proprio questa, infatti. Anche se mi hai interrotto: tu diventa lo Specter della Driade ed io vi aiuterò a sconfiggere don Avido e quel suo esercito di incapaci, dopotutto hai visto anche tu che cosa sono capace, no? Immagina cosa potrei fare su larga scala».
«Abbiamo già gli Dèi Gemelli e dei Sogni, cosa ce ne facciamo anche di te?» Che anche se non sembrava con gli Specter avevo parlato ed ero venuta a conoscenza delle forze alleate.
«Bel tentativo Astrid-chan, ma non hai tenuto conto di un piccolo particolare: anche tu sei necessaria per questa guerra, che cosa succederebbe se ti accadesse qualcosa? Diciamo un incidente? No, non vale con te. Che ne diresti se potessi rivedere la tua adorata madre?» Propose, trovando un punto ben più appetibile per me.
Ebbi un tuffo al cuore. Sgranai gli occhi e rialzai la testa di scatto. Quando continuò capii che aveva ampliato il suo sorriso: «Oh, adesso ho la tua attenzione».
«Tu potresti davvero far… rivivere mia madre?» Chiesi dopo una lieve esitazione e la mia coscienza che sbraitava che era la cosa peggiore che avessi mai potuto fare. Lo sapevo anche da me che era come stringere un patto col diavolo, ma volevo sapere se era possibile, solo questo. Lo Specter addolcì il tono di voce: «Ma certo, Astrid-chan, certo che posso». Era una trappola, era palese che fosse una trappola. Però… strinsi il pugno e mi volsi verso di lui: «E se ti proponessi una soluzione alternativa?»
«E quale?» Chiese confuso, smettendo di sorridere.
«Se riportassi in vita lo Specter della Driade? In quanto Luce Ombrosa ci dovrei riuscire, andrebbe bene lo stesso?» Lo guardai e lo vidi rivolgermi un’occhiata perplessa. Non seppe bene con che cosa ribattere. A quanto pare non aveva mai pensato che potessi trovare una soluzione alternativa al suo ricatto. «Mi dispiace, cara ragazza, ma non credo che sia possibile».
«Perché no? Dopotutto mi basta solo ridisegnare quella stella e anche lui torna in vita, non è un potere molto simile al tuo?»
«Non so. Per quanto possa essere efficace le Stelle Malefiche sono molto diverse dalle anime dei comuni mortali».
«Ma sono sempre Stelle, no?»
«Non è così semplice, Astrid e, poi, le stelle che tu ricrei non sono che una pallida eco di ciò che furono un tempo e, anch’esse sono destinate a spegnersi». Il mio cuore dette un altro colpo: “No, questo significa che…” Death Mask, Aphrodite e tutti quelli che avevo al Santuario erano ancora… No. Non era possibile. «Cosa ne sai tu? Che garanzia ho che non mi stai mentendo?»
«Non sto mentendo, ti pare che possa mentire in una situazione di estremo pericolo come questa?»
«Non saprei, la gente sarebbe disposta a fare qualunque cosa pur di sopravvivere».
«Giusto, ma noi non siamo la gente, noi siamo Specter, siamo dotati di Cosmo, tutti coloro che lo hanno sono destinati all’estinzione totale, credi che a me faccia piacere l’idea, nonostante tutto?»
«Provamelo».
«Farò di meglio, ti farò vedere direttamente». Poi, spiccò un balzo e balzò in groppa a un Pegaso candido come la neve che si abbassò di quota per permettermi di salire. Yoma, appeso al suo collo come se fosse un lampione, invece che il collo di un cavallo, mi tese la mano: «Prego, madamigella». Scherzò invitandomi a salire. Io lo guardai diffidente prima di decidere di accettare l’invito e salire in groppa all’animale che puzzava di pittura: «Non si scioglierà mentre siamo in volo, vero?»
«No, mia cara, non lo farà se non lo voglio io». Mi garantì.
«Non pensavo che il Tempo avesse anche il potere di creare le cose». Borbottai tra me e me e lo vidi serrare di colpo la bocca mentre mi sistemavo all’amazzone e mi aggrappavo all’animale come meglio potevo, prima che prendesse il decollo e mi ritrovassi sbalzata indietro per lo slancio. I grifoni erano più docili sotto questo punto di vista. Mi aggrappai alla criniera dell’animale con tutte le mie forze mentre il vento mi sventagliava i capelli e m’impediva di tenere la bocca chiusa e gli occhi aperti. Quest’affare sembrava un jet! Ma questo voleva anche dire che… No! Il colpo di frusta un’altra volta no!  
Ma non successe perché Yoma mi tenne la testa ferma. «Piaciuto il volo?» Sogghignò divertito. Se fossi stata meno scombussolata avrei anche risposto per le rime coprendolo di insulti, reincarnazione di un Titano o no che fosse.
«Sì.» balbettai ancora tremante e sconvolta per la velocità. Preferivo i grifoni, sinceramente, preferivo i grifoni
«Perché mi hai portato qui? Cosa ci facciamo?» Domandai scrutando le nuvole attorno a noi.
«Ci terrei che tu vedessi una cosa, guarda in basso».
«Cosa ne so che non te ne approfitterai per buttarmi di sotto? Non so mica volare, io!» Sbraitai.
«Non gridare! Sta calma, voglio solo che tu guardi sotto di noi».
Azzardai una sbirciatina, pronta a girare la testa di scatto verso Yoma. Però non riuscii a scorgere niente di rilevante: «Non vedo niente».
«Ci credo, da quest’altezza è praticamente impossibile per gli occhi umani, prova a cercare le stelle della costellazione di qualcuno». M’istruì. Eseguii e, con mia grande sorpresa, mi ritrovai a osservare, in mezzo a tutte le fiammelle violacee qui e là di Specter appostati, anche una costellazione d’oro. Acuii lo sguardo e mi accorsi che non era quella di Camus, bensì, spalancai gli occhi di scatto per lo stupore: «Death Mask!» Il solo sapere che un mio amico era qui mi accese di gioia e speranza. Non ero mai stata più felice di vederlo. Era qui, poco sotto di me
Salvo poi rabbuiarmi subito. Che cosa ci faceva qui? Che io sapessi era molto lontano dal suo parco giochi, come amava chiamarlo lui. «Anche lui combatte assieme a noi», m’informò lo Specter di Mephistophele ed io lo guardai. Vedendo la sua Stella Malefica splendere dentro il suo costato. Non avevo mai osservato la Stella Malefica di uno Specter prima, mi ero sempre limitata a ridisegnargliela, non mi ero mai domandata dove andasse quando sparisse. Adesso cominciavo a capire che cosa intendesse dire, riferendosi alla sua complessità. La Stella dentro di lui era come un altro organo collegato al resto del suo Cosmo tramite una serie di filamenti non troppo dissimili da delle coronarie e da dei capillari. Mi ricordò molto la mostra di corpi umani che vidi quattro anni fa con la scuola. Ora, se possibile, era anche peggio, perché gli stavo facendo l’ecografia con i miei stessi occhi a causa del fatto che la Stella gli era interna. Battei le palpebre e la mia vista tornò normale: «Cosa ci fa lui qui? Gli è successo qualcosa?» Chiesi preoccupata anticipandolo prima che avesse occasione di aprire bocca. Assassino o no, anche la sua vita era importante per me. Era forse venuto a salvarmi? No, non era possibile, pensai riacquistando la lucidità, lui era sparito prima che venissi trasportata qui, non poteva sapere che c’ero anch’io. Almeno così credevo.   
«Non gli è successo niente, ancora». Mi rassicurò e mi raccontò che cosa facesse negli Inferi, mettendomi a conoscenza della manovra orchestrata dalla zia per riconquistare gli Inferi. Il fatto che fosse riuscito a sopravvivere dopo la sconfitta e che continuasse a lottare ancora con la sua divisione, però era rinfrancante.
«Hai notato anche tu in che condizioni sono le sue stelle? Capisci, mia cara? Se hanno fatto in modo che nascessi tu non è stato certo per animare una festa di bambini con trucchetti di magia».
Poi ce ne tornammo alla foresta e, una volta a terra mi aiutò a scendere da cavallo. «Come faccio a sapere che non mi stai mentendo? Potrebbe essere come anche non essere!»
«Certo che sei testarda, eh? Una prova sola non ti basta?»
«No, se a produrla sei tu e, poi, perché mi hai riportato nel Castello di Don Avido se potevi salvarmi?»
«Perché mi andava così, altrimenti non c’è gusto. Ti ho portato qui per farti capire quello che intendo, guarda nell’accampamento, se hai salvato qualcuno a questo modo, allora dovrebbero essere nelle stesse condizioni del tuo amico. Quando avrai capito perché ti dico che è impossibile che tu possa riportarli in vita, allora verrai da me a supplicarmi di aiutarti». Sogghignò di nuovo, con la certezza di avere il coltello dalla parte del manico. «Non ho bisogno del tuo aiuto, Yoma. Anzi, ti dirò di più, ti dimostrerò che sarò capace anche di combattere e di salvare quei bambini!» Dichiarai convinta.
«Lo vedremo; ma ricordati sempre qual è il tuo compito e non perderlo mai di vista».
«Lo so bene cosa devo fare». Ridisegnare la Volta Celeste non si scordava così facilmente. Eppure, le mie parole sortirono solo l’effetto di farlo sorridere beffardo: «Bene, vedo che hai centrato il nocciolo della questione: questo è il motivo per cui le tue resurrezioni sono incomplete,  
«Allora questa volta farò in modo che non si spenga. Piuttosto, perché è proprio necessario che torni lo Specter della Driade?» Domandai.

«Tu hai una buona capacità di astrazione, no? Perché non la usi per capire come mai insisto tanto su questo tasto? Chissà che tu non possa trovare qualcosa di interessante, oppure no.» mi sfidò.
«Cosa posso fare io? L’ultima volta che l’ho usata è stato per capire come liberare un tizio dalla gabbia astrale e togliere il sigillo ai miei ricordi».
«E ti sembra poco?»
Bè, in effetti no, non era proprio poco. Ma qui non si stava parlando di risvegliare un ricordo e un potere. Era un altro paio di maniche. «Credo che se ci sia una persona che può effettivamente fare qualcosa, quella sei tu, anche se l’unica strada che hai è quella di porti delle domande e, dammi retta, per come ti ho fatto vedere ogni cosa, dovresti riuscire a capire come uscire da qui». Fece il mio interlocutore continuando a guardarmi da sopra una spalla con la coda dell’occhio. L’occhio dorato che gli vedevo fu illuminato da un lampo d’astuzia, prima che scomparisse, volandosene via come l’acrobata che era su quel pegaso bianco. Lasciandosi dietro me e i miei insulti gridati a gran voce.
Smisi di sbraitare dopo un quarto d’ora buono per cercare una via d’uscita. Che cosa aveva voluto dire quel pazzo con la sua ultima uscita? Ad ogni modo non avevo tempo per pensarci, dovevo uscire da qui. E forse un modo c’era. Non avevo solo palpato Yoma quando ero caduta da cavallo, ma gli avevo infilato le mani in tasca e gli avevo fregato l’orologio, sperando che fosse con quello che controllava il suo Cosmo.
Il problema era che per quanto fosse intrisa di Cosmo, non riuscivo a capire come funzionasse un orologio a cipolla. Ero abituata a quelli da polso o del cellulare, ma questo no.
In mio soccorso giunse una voce femminile, la stessa della poesia: “Non qui”. Sollevai la testa di scatto e mi guardai intorno con due occhi grandi così: «Chi ha parlato?»
“Non usarlo qui”, ribadì la voce e, non so perché, ma mi venne istintivo ascoltarla, nonostante il suo buffo accento che non riuscii a identificare. “I tuoi amici ti stanno già cercando adesso, quello che devi fare è trovare la sala della Meridiana e bruciare il tuo Cosmo. Non c’è tempo per le spiegazioni, fidati di me”.
«Ma io non so dove sia».
“Segui i dipinti” rispose la voce e io mi guardai di nuovo intorno: «I dipinti?» Quegli angeli in 3D che svolazzavano tutti attorno a noi erano dipinti? Riconobbi il tratto, questo era dello stesso artista sconosciuto che aveva dipinto il Pegaso. Che Yoma si fosse dato alla pittura?
Smisi di pensarci e feci come aveva detto la voce, non prima di aver materializzato il mio falcione di Cosmo d’Oro.

Il palazzo era veramente ampio, anche se il nero e le ombre la facevan da padrone, tuttavia non mancavano i colori. Neanche la penombra era riuscita a offuscare i colori degli angeli dipinti e delle nuvole e l’azzurro del cielo su cui si libravano. Chissà quanti anni ci aveva messo Yoma per fare tutto questo, io non ci sarei riuscita in neanche tutta una vita. Aveva avuto degli aiuti? Probabilmente sì. Solo i grandi artisti impiegano poco tempo per realizzare opere di queste proporzioni. Era un peccato che stessero negli Inferi, le avrei portate volentieri alla luce del sole ed esposte da qualche parte.  
Non c’erano finestre e le luci delle fiaccole rendevano il tutto ancora più inquietante ma al tempo stesso anche un po’medievale, precipitando il contrasto tra le pitture e l’ambiente circostante.
Sebbene non ci fosse nessuno, ebbi spesso avevo la sensazione di essere spiata. Più volte ebbi l’impressione che quegli angeli mi seguissero con lo sguardo.
Mi girai e vidi numerosi quadri di foggia rococò appesi alle pareti. Non riconobbi l’artista ma mi ritrovai a pensare che fosse molto dotato. C’era persino una copia del Santuario di Atena su una tela dodici per sette. Non avevo mai visto niente del genere, prima d’ora. Neanche la patina del tempo era riuscita a cancellare il tocco del pittore. E poi un ritratto a grandezza naturale della stessa Atena in stile rococò.
Restai sbalordita da come la Dea non fosse cambiata per niente in tutti questi secoli. Ma anche dalla giovinezza dei suoi tratti. Non l’avevo mai vista da giovane prima d’ora, anche se questa non era proprio Lady Isabel. Ma non riuscivo a capire dove fosse la sua chioma, era come se ci fosse rimasta solo un’ombra al posto dei capelli lisci.
Questo posto faceva impressione. Nonostante l’immensa meraviglia e il rispetto di queste opere, non potevo impedirmi di spaventarmi. C’era troppo silenzio, come se il palazzo fosse disabitato.
Così, senza che me ne accorgessi neanche, cominciai a cantare tra me e me la colonna sonora dei Pokémon per rassicurarmi. Mi sentii una stupida, eppure mi sentii meglio.
Le mie luci illuminavano il mio cammino, contribuendo a scacciare la paura, ma non l’urgenza.
Seguendo i dipinti e continuando a cantare arrivai al centro esatto del padiglione.
Lì sentii la voce di Myu. «Astrid».
«Myu! Mi senti? Sono qui, Myu!» Urlai e lui mi sentì perché urlò il mio nome ancora più forte. Bruciai il Cosmo come mi aveva detto di fare la voce e mi sentii prendere per i fianchi da delle mani invisibili. Chiusi gli occhi e chiamai il suo nome ad alta voce. Poi l’aria attorno a me cambiò e le mie orecchie furono invase dal rumore della battaglia e – quando li riaprii – circondata da un fittissimo sciame di farfalle.
Non avevo mai visto lo Specter della farfalla all’opera prima d’ora e ne rimasi sbalordita. Sembrava Silente mentre evocava l’Ardemonio per scacciare gli Inferi. Le farfalle volavano compatte attorno a noi disegnando ampi cerchi attorno alla sua persona e, a ogni giro della spirale, si allargavano sempre di più.
Seguendo i cenni dello Specter che fluttuava a mezz’aria, investivano tutte le anime nemiche che gli capitavano a tiro. Adesso cominciavo ad avere una vaga idea di come avesse fatto a salvare buona parte dei nostri durante l’assalto. Poi lo Specter mi vide e mi lanciò un messaggio telepatico come mi strappò un gemito di dolore e sorpresa: “Ti ho riportato qui come mi hanno ordinato, adesso scappa!”
Gli indirizzai un pensiero di ringraziamento, certa che mi avesse udita e obbedii senza farmelo ripetere due volte. Passai sotto lo sciame chinando la schiena e, quando fui di nuovo in mezzo alla battaglia materializzai il falcione di Cosmo per farmi largo tra i nemici e i combattenti.
Improvvisamente inciampai e caddi a terra. Una marea di fiamme nere si sollevò improvvisamente davanti a me e la riconobbi come la tecnica di Ara.
«Dove pensavi di scappare?» Mi chiese retorico don Avido avanzando verso di me.
Mi girai e vidi che la mia caviglia sinistra era stata imprigionata da una catena nera. Cercai di liberarmene ma appena la toccai le mie mani furono immobilizzate da dei fusti di rose. Senza che me ne rendessi conto, mi ritrovai inginocchio con le braccia dietro la schiena.
Cercai di divincolarmi ma non ci riuscii. Non riuscii neanche a bruciare il mio Cosmo. Anzi, lo sentii diminuire pericolosamente. E anche così non mi ci voleva un genio per capire che cosa mi stessero facendo. Se perdevo le forze io la Resistenza crollava. «Devo ammetterlo, ci hai fatto penare, ragazza». Ammise il Black Saint dopo avermi squadrato a lungo. Il mozzicone del sigaro tra i denti si arrossò quando fece un tiro. Poi chiamò alcuni sgherri: «Gateguard, Sommo Itia, Francisca, portatela via».            
«É inutile, don Avido!» Gli urlai di rimando mentre i tre si adoperavano. «Gli Specter combattono da decadi contro di te, non otterrai niente portandomi via!»
«Sì, invece, la resa immediata della luogotenente degli Inferi». Ribatté l’uomo e io sussultai.
«Ti sbagli! A Lady Pandora non importa un fico secco di me!»
«Se lo dici tu, signori, fate in modo che perda tutta la sua forza e portatela via».
Cercai di ribellarmi, ma i miei tentativi li fecero solo ridere.
Presto sentii l’energia venirmi meno e persi i sensi.
Quando aprii gli occhi ero immersa nel buio e lì sentii le risa si scherno di Neera e di tutti coloro che mi avevano ostacolato. Vidi i loro volti sfilare davanti a me uno per uno e, trovai la forza di guardarli in faccia e ribattere, lasciando che i bagliori si materializzassero attorno alla mia persona, strattonando le catene di Cosmo rinforzate dalle rose velenose di chissà quale Saint del passato.
E cercai i miei occhi fisici per poterli riaprire. E mi ritrovai di fronte a un ricordo di mia madre che mi insegnava quello che sapeva sui flussi energetici. «Vedi, Astrid, se tu sei capace di rilasciare energia, sei anche capace di riprendertela, è come se fosse una parte del tuo corpo, come una mano, quando l’allunghi».
«E come si fa?»
«Immagina di vederla e poi ritraila».
L’immagine scomparve e io strabuzzai gli occhi nella realtà. Ma nella foga della battaglia i tre non se ne accorsero neanche. Aveva ragione, era così. Invece che assecondare la tecnica di don Avido cominciai a riprendermi la mia energia. Perciò, cominciai a pensare: “Torna indietro! Torna indietro! Indietro!” Sempre più forte, come se le mie parole avessero potuto effettivamente bloccarla. Per usare la magia però bisognava crederci e io ci credevo. Dopo tutte le prove ricevute era impossibile per me non crederci. Bruciai il mio Cosmo e i tre si fermarono di colpo. 
Aprii bocca e mormorai «Dark resurrection», che andò a incrementare la mia volontà. Io non ero solo corpo, ero anche mente e spirito e Cosmo. Se immaginavo questa perdita di Cosmo come sangue che sgorga da una ferita aperta allora potevo oppormi. E fu così che feci.
Ma le voci che mi schernivano non se ne andarono.
In quel momento non m’importava niente della realtà circostante, quindi non so come reagirono i tre e se lo fecero. So solo che improvvisamente risentii la voce femminile della poesia riprendere a declamare:
«È vero, non sono un guerriero,
non sono addestrata, non sono un soldato. L’inno non suona per me».

“No, io non mi arrendo così! Io non sono impotente!” Ciò detto strinsi i pugni e l’aria attorno a me cominciò a ribollire, facendo tremare le catene e le rose mentre il mio Cosmo tornava a me e con esso la mia forza.  
Con uno sforzo mi alzai in piedi, ritrovandomi con le mani dietro la schiena e i piedi imprigionati, stupendoli: «No, è impossibile, non dovrebbe essere capace di alzarsi! Dovrebbe essere immobilizzata!» Esclamò un uomo alto due metri abbigliato nella Gold Cloth di Libra. Tuttavia la sua stazza non mi spaventò mentre accumulavo di nuovo il mio Cosmo e le fiamme di Black Ara si spegnevano.
«Ma ci sono altri campi dove tu pecchi e io prevalgo.
Ci sono cose che tu non puoi fare mentre io lo faccio
.
Ci sono magie che ti sono precluse e a me si sottomettono
».
E, appena lo pensai mossi le braccia e divaricai le gambe verso l’esterno, spezzando le catene che m’imprigionavano con un grido. Nello stesso momento liberai il mio Cosmo alla sua piena potenza e l’onda d’urto sbalzò via da me i pezzi di ferro, le rose, i miei carcerieri e spense le fiamme. Poi, con la Dark Resurrection mi guarii le ferite e uscii dal cerchio. «E ci sono sogni che non puoi sfiorare
mentre io posso abbracciare e realizzare
.
In quanto a ricchezza c’è molto più di quanto io mostri
».
E, con questo, rivoltai la tecnica contro di lui, sfruttando le immagini e il potere che il Creato mi stava prestando per riuscire a incrinare la presa dei Saint del passato su di me. 
Mossi una mano avanti e con un due dita, feci il cenno di bussare. E le catene che circondavano la mia persona s’incrinarono. Ripetei il gesto e caddero nuovamente in pezzi, come pure il velo di nebbia che era stato steso sui miei occhi, appena ci passai una mano luminosa davanti.
«Altro da me che neppure io conosco ancora».
Tutte cose che don Avido e i suoi sgherri sembravano aver dimenticato. Il Black Saint arretrò spaventato nel costatare che la sua tecnica stava andando in frantumi e, che né lui né i suoi sgherri erano capaci di contenermi.
Per me, queste catene non erano niente che non potessi spezzare. Mi rivolsi direttamente a don Avido, anche se non poteva sentirmi. Due facce della stessa medaglia che all’apparenza han fatto la scelta opposta, anche se io non avevo mai voluto questo potere, c’ero nata e basta. Ma come intenti erano diametralmente opposti e come scelte ancora di più.
Don Avido, che si era allontanato solo di pochi metri, mi guardò stupefatto mentre avanzavo. «Non può essere, nessuno era mai riuscito a vanificare la mia tecnica!»
Ma io non ascoltavo.
Gonfiando il mio Cosmo ripensai a tutte le cose che quella notte nel Giardino della Sesta entrarono in sintonia con me. E, per la prima volta sentii la terra, il cielo, l’acqua, Tutto, cantare. Mi resi conto solo in seguito, che ero io quella che stava cantando una melodia senza testo e apparentemente senza senso. Mi limitavo solo a cavalcare l’onda delle mie emozioni e a cantare in mezzo alla battaglia.
 «Per me canta tutto l’Universo. 
Sarai quello che vuoi tuttavia sono più forte»
.
Ed era proprio a loro che stavo attingendo per riprendermi ciò che mi era stato tolto.
«Io sono una Gigante Rossa, tu non sei niente, chi sei?»
Piano piano, spostando le persone con delicatezza e schivando i Black Saint e tutti gli altri avversari, oltrepassai le fila degli Specter e tornai al centro dell’arena improvvisata. La gonna e i capelli agitati dal vento del Cosmo che mi volteggiava dolcemente attorno.
«Per ora taccio, mi fingo a dir tanto una stellina, ma un giorno ti risponderò».
Improvvisamente la strada mi fu sbarrata da un Saint. «Allora non ti arrendi mai, eh?» Esclamò di nuovo Dune del Cammello e mi si scagliò addosso. Ancora una volta rilasciai il mio Cosmo e lo spazzai via il Saint della costellazione estinta. 
Era questa la differenza tra don Avido e me: io combattevo, io avevo smesso di scappare da un pezzo. 
«E anche se sono fragile, anche se sono un microcosmo
al tuo confronto; neppure tu mi puoi eguagliare
».  
Se qualcuno non mi chiamò, non lo sentii, in compenso, vidi le Lacrime di Kalì.
Strinsi i pugni un momento per darmi coraggio. Poi andai loro incontro senza timore alcuno, mentre la mia energia cresceva sempre più ad ogni mio passo e respiro, salendo come un’onda di marea. Il mio Cosmo che sfumava fino a raggiungere le tonalità più pure del bianco. Adorno di brilli fosforescenti danzava come l’aurora boreale attorno alla mia persona. Non mi era mai sembrato così bello. E tutte le Lacrime ne furono immediatamente calamitate.
«Perché io sono ciò che ti circonda».
Non era un Cosmo oscuro come avevano temuto la prima volta che m’avevano visto, era diverso da quello degli Specter. Ma era diverso anche da quello dei Saint. Non somigliava nemmeno a quello della Dea.
Lasciai che si espandesse sempre di più, mentre avanzavo, con Victory nelle orecchie, cantata dal Cosmo intero.
«Ciò che cresce e cresce ancora»,
Davanti a me vedevo solo come sarebbe andata a finire, ma non avevo paura. Avevo smesso di nascondermi. In essa erano contenute la magia e il Cosmo ma al tempo stesso non erano nessuna delle due. Non era né positivo né negativo. Né ostile ma neanche benevolo. Era soltanto questo, era. E, al tempo stesso era molto di più. Ma le sensazioni che donava erano le stesse che dava la notte stellata e in contemporanea anche la notte più buia. E, i cinque sensi erano gli unici con cui potevano captarlo, perché il sesto, il settimo e l’ottavo senso non lo recepivano nemmeno: era come se non esistesse. Eppure ero qui e non me ne sarei andata mai più.
«Sbagliando e arricchendosi».
Perché nessuno lo aveva mai percepito? Che non fosse così sviluppato? Poteva darsi ma se la spiegazione fosse stata ancora più semplice, talmente semplice da essere assurda? Ovvero, se fosse stato così grande da non essere percepito neanche dagli Dèi? Come era possibile che una semplice comune mortale fosse capace di tanto?
Improvvisamente mi accorsi del fiume di lava e fiamme davanti a me e mi fermai.
Allo stesso modo mi comparve davanti la figura di un uomo possente, dalla chioma ancora più folta e lunga di quella di Saga e Kanon. Era a torso nudo che camminava nella lava. Poi accanto a me sentii qualcuno sussultare. Volsi la testa in quella dimensione e vidi un ragazzino tedesco giapponese di quattordici anni dai capelli castano scuro e gli occhi scuri. A differenza dell’uomo indossava anche la cloth di Pegasus: «Controlla il tuo Cosmo se non vuoi finire bruciato». Fece di nuovo al Saint di Pegasus.
“Queste persone mi sembra di conoscerle” pensai mentre nella mia mente rimbombava una eco dei loro nomi.  
Poi, li seguii a mia volta, camminando nella lava, come avevo visto fare a loro e, con mia grande sorpresa, non ne risentii minimamente. Neanche il caldo sentivo più. Era solo più denso rispetto a un comune fiume limaccioso. E, in breve, lo superai.
Appena superato quel fiume anche i due scomparvero e io sollevai di nuovo gli occhi al cielo.
«Cambiando continuamente e ricreandosi».
Non sentivo più i Cosmi di chi ci circondava. Era come se esistessimo solo io e le Lacrime di Kalì e avessimo tagliato fuori tutti gli altri. Ora che ci pensavo, a parte comportarsi da squali, non avevano teso nessuna imboscata come avevano ipotizzato i Saint. Per la prima volta, mi venne da domandarmi: e se fosse stato tutto un caso? D’altronde avevamo appurato che non attaccavano mai, salvo per estinguere il Cosmo di qualcuno. Ma allora quello che era accaduto nella grotta? No, se avesse voluto attaccarmi non si sarebbe ritratta a questo modo. Eppure, ogni volta che gridavo arrivavano in massa. Perché solo quando gridavo io? Perché tanta solerzia? Dove erano dirette prima? Perché, se avevano una meta, hanno deviato dal percorso per venire da me? Chi ero io per loro? «Chi sono io per voi?» Chiesi a mezza voce e, nel mentre che lo dicevo, ebbi la sensazione di saperlo già. “Io sono la Luce Ombrosa”.
Adesso queste due parole avevano un senso logico per me. Finalmente realizzavo appieno che cosa significasse. Fu come se mi si fosse aperto un mondo.
Loro venivano attirate dalle mie grida quando ero in pericolo. Sapevano riconoscere quando ero in pericolo e quando no. Mi conoscevano. E accorrevano non per farmi a pezzi, bensì per aiutarmi.  Ma allora, perché avevano attaccato anche gli altri? No, non si poteva chiamare attacco il loro fluttuare flemmatico, quasi gentile, oserei dire, se non glielo comandavo io, che ero sulla loro lunghezza d’onda. Loro avevano attaccato, perché gli altri gli avevano sbarrato la strada, ecco la verità. Loro avevano sempre voluto aiutarmi e salvarmi, altrimenti non si sarebbero limitate a togliermi il germoglio di Eris dal petto, mi avrebbero fatta a pezzi da tempo. Se davvero mi avessero temuto come avevo presagito, avrebbero cercato di uccidermi quella volta.
No, queste Creature mi amavano, ecco la verità.
E, in quel momento sentii i loro sentimenti forti e chiari. Questi esseri provavano amore nei miei confronti, come se io fossi… no, ero in sintonia con loro ed ero parte di loro. Anch’io con le mani potevo distruggere, il mio potere era concentrato proprio tra le dita, come loro. Io potevo chiedergli di andarsene e le chiamavo a me inconsciamente, come inconsciamente avrei chiamato mia madre in una situazione disperata. 
Trattenni il fiato rumorosamente guardandomi intorno per lo stupore. Mi amavano e io non l’avevo capito. 
Per la prima volta percepii anche loro e i Cosmi, la vita di Tutto, mentre ero dentro questo vortice. Allora era questo che significava essere Il Cosmo. Spalancai la bocca per lo stupore, mentre percepivo la ricchezza, la vita, che mi circondava anche qui.
Le Lacrime mi stavano cercando, perché ero anche parte di loro. Ero stata io a chiamarle, allora tanto valeva affrontarle una volta per tutte. Per questo accelerai il passo e mi portai in un punto abbastanza spazioso per poter urlare che ero qui, che le avevo sentite e che non mi sarei mai più nascosta.
Il cuore che mi batteva all’impazzata tra le costole mentre con il Cosmo mi aprivo la strada tra le fiamme. Poi mossi le braccia e camminai
«Sono la vita e sono la morte
sono l’anima d’Universo infinito.
Chi sei, mi chiedi ancora
».
Feci un respiro profondo e strinsi i pugni prima di alzare la testa verso il cielo e guardarle direttamente, mentre lasciavo che il Cosmo si espandesse completamente, andando veramente a cancellare tutto ciò che ci circondava. Sostituendolo con i bagliori e la luminescenza dei Cosmi altrui, che, per la prima volta risplendettero come piccoli Universi a sé stanti nel Multiverso. Se urlarono, se si spaventarono, non me ne accorsi e non li sentii. Sapevo che tutti mi sentivano e mi vedevano, ma era come sentirli da molto lontano, come se le loro voci fossero attutite dal rumore e non per via della musica. In un certo senso era come se fosse l’occhio di un ciclone che diventava sempre più fitto e affollato. Ma non m’importava. Adesso chiedere scusa era più importante. Quello che era accaduto in città con Death Mask e Aphrodite, nell’aereo, nella grotta, era stato tutto un malinteso. Non mi temevano come pensavo. La verità era che mi amavano, che aspettavano soltanto un mio cenno per avvicinarsi a me e accogliermi come vecchi amici. Rinnovando un giuramento vecchio di secoli, mi toccavano come se fossi per loro la persona più preziosa al mondo. Adesso la mia attenzione era tutta per le Lacrime di Kalì che avevo ingiustamente temuto. Anelavo il loro perdono, mi resi conto.   
E, loro mi sentirono. Si precipitarono in massa da me come un nugolo di zanzare si scaglia su una fonte luminosa.
Probabilmente agli occhi di tutti dovevo apparire come la vergine sacrificale. Ma il mio atteggiamento non era quello. Non avrei mai sorriso così gioiosamente. Sarebbe andato tutto bene, me lo sentivo. Per questo pensai: “Eccomi, sono qui. Io non scappo più, sono qui”.
Le quali tesero le mani grigie e artigliate verso di me non contratte, ma come se avessero dovuto prendermi in braccio.
Rallentarono e, senza smettere di fluttuare, si avvicinarono e, a turno si posero davanti a me. Qualcuna di loro girò la mano per sfiorarmi la guancia con il dorso. Altre invece mi incorniciarono il volto tra le palme. Il loro calore non mi diceva niente, al mio tatto erano comune mani umane e fresche. Anch’io tesi le mie verso di loro, lasciando che le loro dita s’intrecciassero alle mie, che mi carezzassero dolcemente le braccia e i polsi, lasciandomi coccolare. Lasciando che tutti loro cancellassero il mio dolore, che riaccendessero la speranza in me. Un lieve tocco a testa e poi scivolavano via, riunendosi al mucchio che volteggiava attorno a me.
«Io sono il Sistema Solare».
Girai su me stessa per non trascurare nessuna di loro e accettare di stringere quelle mani, riconoscendo a ognuno il loro tocco. Sentendole diverse pur essendo tutte uguali come un esercito di cloni. 
Le Creature passavano accanto ai membri dei due schieramenti ignorandoli, tutti, tanto erano concentrate su di me, attirate dalle mie emozioni, dalla festa che si stava svolgendo. Perché questa era veramente una festa, la mia.
Poi mi fermai di nuovo e, girai i palmi verso l’esterno. Loro allargarono il cerchio, permettendomi di respirare, restando tuttavia vigili, attenti e premurosi. Come se un filo invisibile mi legasse a loro.  Dopodiché, lentamente, li alzai verso di loro, come se avessi potuto raggiungerli. Anche se da una parte mi sovvenne alla mente Atena omaggiata a questo modo da tutti i Saint, non era la stessa situazione. Io non ero una Dea e non ero una regina: io ero solo Astrid. Sentii allargarsi il sorriso sul mio volto e dal mio petto sgorgò una risata di gioia.   
I capelli e il vestito smossi dallo spostamento delle masse d’aria delle Lacrime, dando l’impressione che dovessi sollevarmi dolcemente in volo con loro da un momento all’altro.
Alzai le braccia al cielo e loro seguirono il mio movimento, alzandosi di quota fuori e attraverso il mio Cosmo senza assorbirlo e senza bruciarmi, compatibili come se fossimo, no, eravamo davvero della stessa sostanza. Il quale s’innalzò ancor più come una fiamma. Poi, lo aprii come se il mio Cosmo fosse un ventaglio, si chiuse partendo dal basso fino a raggiungere l’alto assumendo la forma di una colonna nera, grigia, argentea e bianca. E, le Lacrime di Kalì discesero dolcemente dal cielo e s’infilarono nella colonna, imitate da quelle che erano rimaste fuori, le quali la risalirono per tutta la sua lunghezza  e calando in picchiata su di me, lasciando sospesa tra le mie mani una scintilla nera, prima riprendere quota e andarsene, sfilando accanto ai membri degli scaglionamenti, come tutto era iniziato. Ma con la silenziosa, speranzosa promessa che ci saremmo rivisti presto.
Le varie scintille si unirono alla prima fino a formare una sfera nera che lanciò un brillio violetto. Seguendo il movimento delle mie mani, discese dolcemente fino all’altezza del mio petto e avvicinai i palmi fino a formare una coppa con cui riceverla, mentre il mio Cosmo si affievoliva dolcemente fino a scomparire. Così le Lacrime di Kalì se ne andarono. Le seguii con lo sguardo, commossa di aver compreso, di averle ritrovate e, grata del dono. 
Mi accorsi appena che i capelli e le vesti smisero di muoversi. Con questo dono tra le mani tornai alla realtà e scoprii che i Black Saint si erano arresi.

Osservai i fiori davanti a me. Ancora non ci credevo. Camus e gli altri mi avevano raccontato decine di volte che cosa fosse successo eppure stentavo ancora a crederci. Non pensavo che i Black Saint, di fronte al miracolo che avevo compiuto si sarebbero arresi tutti e avessero lasciato che gli Specter riconquistassero subito i territori perduti. Anche ora stavano lavorando a questo, mentre io, su esortazione di Aiacos e di Camus mi godevo un po’di meritato riposo. Non ero rimasta ferita nello scontro, ma ne ero uscita abbastanza provata. Ad ogni modo Aiacos mi aveva dato qualche giorno di riposo mentre riconquistavano definitivamente gli Inferi. Dicevano che il Flegetonte si era destato improvvisamente e aveva rotto gli argini, che io c’ero finita dentro ma che il mio Cosmo mi aveva salvato. Che il mio Cosmo aveva colto la lava e l’aveva sollevata in un turbine di Creature, fiamme talmente alto, da spazzare via anche le fiamme quando si era dissolto. Io neanche me ne ero accorta, tanto ero presa dalle Creature. A volte mi veniva da chiamarle ancora così. 
Da quando avevo scoperto la natura del mio legame con le Lacrime di Kalì, gli Specter mi guardavano diversamente.
Non potevano immaginare che per me questa scoperta aveva significato molto più di quanto sembrasse. Sotto al loro tocco mi ero sentita consolare. Era stato come essere circondata dall’amore dei miei parenti e, al tempo stesso riunirmi con una parte di me. Significava che non avevano mai avuto intenzione di uccidermi, che avevano sempre e solo cercato di raggiungermi e aiutarmi e che non mi avevano mai temuto. Era per questo che rispettavano il mio volere di tenersi lontane dalle battaglie sebbene io fossi Viva. Non era per via del mio legame con gli Inferi come avevo pensato guardando la zia, era perché ero io. E soltanto io. E, come lo squalo di una vecchia storia del mio libro delle medie, mi avevano omaggiato di un dono. Guardai il tesoro che mi avevano dato: una sfera nera lucida e grande quanto il mio palmo. Capivo che fosse di un materiale prezioso, ma non riuscivo a capire quale. Sapevo solo che, se cercavo di guardarlo più da vicino, riuscivo a intravederci le stelle e le galassie come se sfogliassi uno dei moderni atlanti astronomici. Al tempo stesso, avevo quasi la sensazione di guardarci attraverso, come se fosse fatta di vetro. Tuttavia se mi allontanavo la sfera tornava nera e perfetta e non riuscivo più a scorgere i brillii. 
Non sapevo che cosa significasse né a cosa servisse, ma qualcosa mi diceva che dovevo tenerla con me. Oltre ad avere la sensazione che tenessi in mano un pezzo di Universo. Ma forse stavo facendomi dei voli pindarici allucinanti e basta. Eppure, da quando io e loro ci eravamo ritrovate, non mi sentivo più così sola e impotente come prima. Sentivo la forza rinascere dentro di me come lingue di fuoco dorato. Persino la questione della Magnolia degli Inferi mi sembrava facilmente risolvibile.  
In quel momento sentii un rumore di passi avvicinarsi. Mi volsi nella loro direzione e vidi arrivare Camus. Il quale mi sorrise: «Ciao».
Ricambiai. «Siete già tornati?» Chiese poi. Era paradossale, ma da quando avevo rubato l’orologio di Yoma era più facile che perdessi la cognizione del tempo. E non era una cosa che giovava molto alle nostre truppe. «Sì, da un paio d’ore, mi avevano detto che ti avrei trovato qui». Adesso Camus passava molto tempo con Valentine al Cocito a rimettere in ordine la Prigione di Ghiaccio. 

«Sei riuscita a capire cosa sia questa sfera?» Mi chiese, tra l’incuriosito e un tentativo di fare conversazione.
«Non ancora».
«Secondo te serve a qualcosa?»
«Non credo, ma non mi sembra un soprammobile». Ammisi, guardando il dono delle Lacrime. Se non fosse stato per la scarsella che mi avevano fornito, avrei perso l’uso di una mano quasi sicuramente. «Pensi che possa essere un’arma?» Continuò pensieroso e incuriosito, nel tentativo di smuovermi.
«Non ne sono sicuro, tu cosa pensi che sia?»
«Non ne ho idea, ma stavo ripensando a quello che è successo quando è partita tutta questa storia».
«Ossia?»
«Cioè che tutto è cominciato con una serie di buchi neri e, poi sono cominciate a comparire le Lacrime di Kalì, oh, ancora mi sembra assurdo che avessero fatto tutto questo solo per portarmi un regalo».
Camus non disse niente, ma da come mi guardava, sembrava darmi ragione.
«Che cosa hai provato?» Mi chiese incuriosito. E io glielo raccontai, lasciandolo sbigottito. Così partì la sua seconda serie di congetture sulle Lacrime. Che secondo lui erano le anime dei nostri cari che erano venute a cercarci. Ma non poteva essere, perché non avevo riconosciuto nessun viso sotto quei mantelli. Non c’erano volti. Per quanto inquietante fosse la cosa, da loro avevo sentito provenire emozioni. Le avevo sentite connesse alla Natura, proprio come me. Per questo scartai platealmente quest’ipotesi. 

«No, io credo che la loro comparsa abbia a che fare con i buchi neri. Sai, non sono solo fenomeni astronomici. Nessuno ha la più pallida idea di cosa siano davvero. Per esempio, per mio padre sono tutto ciò che resta di una stella, una deformazione nel tessuto spazio-temporale che risucchia tutto ciò che orbita al suo interno, uccidendolo. Per mia madre sono la porta dimensionale attraverso cui gli spiriti giungono da un mondo all’altro. Personalmente continuo a preferire la teoria per la quale dall’altra parte dei buchi neri ci siano le fontane di luce. Io credo che vengano da lì».
«Sì, ma cosa c’è allora al di là?»
«Non lo so ancora». Ma qualcosa mi diceva che, se avrei continuato questa strada, lo avrei scoperto. 
Chissà se come in molte storie, la verità stava nel mezzo alle opinioni dei miei. Forse potevo davvero scoprirlo visto che c’ero finita dentro ed ero approdata in un altro mondo, nonostante il metodo poco ortodosso. Se ci penso, mi veniva ancora da imprecare; tuttavia era grazie a loro che ero ancora viva. Non potevo andarmene senza ricambiare il favore, ora che sapevo che era di me che avevano bisogno.
Il mio compagno d’arme mi domandò come mi sentissi e, per la prima volta trovai la forza di rispondere al vero senso di quella domanda. Soffrivo ancora - gli dissi - però ogni volta che mi guardavo attorno, come in questo momento «Penso che non posso lasciarmi sconfiggere così, anche se siamo circondati dalla distruzione più totale. Sono arrivata a un punto in cui la fuga mi ha stancata e allora mi sono detta, voltati e combatti. Io ho deciso di combattere per sopravvivere agli Inferi di Hades, svelare i misteri sulla scomparsa delle stelle e quello che mi circonda. Perché se c’è qualcuno che può effettivamente fare qualcosa, quella sono io, anche se non sono un Cavaliere». 

«Ancora». Mi fece notare.
«Ancora». Confermai facendogli eco.
Non avevo mai raccontato a nessuno di come mi fossi salvata da quello strano posto. Però mi bruciava ancora non aver ricevuto alcun aiuto concreto oltre la voce e Yoma. «E come va con tua zia?» Mi domandò a un tratto distogliendomi dai miei pensieri.
«Non abbiamo ancora parlato». Risposi.
«Pensi che ci parlerai?»
«Non lo so, un giorno, forse». Sbuffai e appoggiai la schiena al tronco dell’albero frondoso. La verità era che non mi andava di parlare con la zia. Mi aveva molto deluso con il suo comportamento nelle ultime settimane. Anche questa stupida idea di mandare la lettera a don Avido. Le era andata molto bene. Non potevamo rischiare un’altra volta, che poi, grazie a Castalia sapevo che cosa fosse successo nell’Ottantasei. Me lo aveva raccontato quando vivevo insieme a lei.
A differenza di Lady Isabel la zia aveva solo me e Rhadamantys disposti a combattere per lei e non ci sarebbe stato niente per toglierle un’eventuale freccia dal cuore. Ma che cos’era una freccia quando nel cuore ci stava la lama di un pugnale? La stessa che adesso si stava facendo strada nel mio, anche se emotivamente parlando.
Mi sentivo tradita da lei. Scoprirla la Sacerdotessa di Hades, sapere quello che ero. Era inevitabile domandarmi se tutto ciò che avesse fatto per me fosse una messinscena o no. Le persone sono capaci di mentire per anni. Avevo trovato un nuovo affetto, questo è vero, però mi mancava quello vecchio e non ero sicura di volermi accontentare di una bugia. Il discorso del “Anche se quello è stato un periodo molto felice, che ho cominciato a sperare che quella fosse la realtà” era troppo dolorosa da pensare.
«Ehi, ti sei rabbuiata improvvisamente, che hai?» Domandò Camus.
Mi spostai la falda a tendina dalla parte dell’orecchio libero: «Niente, è solo che ho paura». Era così, nonostante tutto avevo paura. Stavo toccando con mano gli orrori della guerra e non solo. Anche se era una guerra diversa da quelle che conoscevo, questa mi spaventava davvero, perché c’ero in mezzo. E io ero troppo codarda per salvarmi la vita con la fuga. Un sorriso nervoso curvò le mie labbra: «Sono stata spedita qui contro la mia volontà, sono stata catturata e non sono stata salvata, ho dovuto fare da sola. Perché nessuno mi ha aiutato? Perché sono finita qui?» Myu, la voce, Yoma avevano fatto solo una piccola parte, avevo dovuto pensarci io a tutto il resto. Ero stanca di essere forte. Volevo concedermi un po’di debolezza e fragilità.
Anche lui che mi era stato tanto accanto, perché non mi aveva aiutato? Io contavo su di lui per liberarmi dai tre sgherri di Don Avido. Dov’era in quel momento
«Forse perché non ce ne era bisogno». Ipotizzò Camus e io lo guardai a occhi sgranati: «Tu sei forte, non hai bisogno di essere salvata, te la puoi cavare benissimo anche da sola». 
“Tu credi davvero che io lo sia?” Pensai, confusa. Forse non si era reso conto della vaga ambiguità del suo discorso; se da un lato mi elogiava, dall’altro se ne lavava allegramente le mani.
«Il chakra di Minato Uzumaki scorre potente in te». Lo canzonai sarcastica. Mi ricordavo perfettamente di quella puntata di Naruto in cui il dodicenne Minato diceva la stessa cosa a Kushina. Il Guardiano del Cocito mi guardò perplesso: «Chi?»
«Un anime molto famoso». A volte questi Saint mi strappavano un sorrisetto divertito. Grandi e grossi com’erano e sembravano provenire da un’altra epoca tanto poco sapevano del nostro mondo. Non che fosse necessario essere un nerd, ma almeno per parlare di qualcosa di diverso, prendersi un po’in giro, fare i cosplay. A loro sarebbero venuti benissimo, gli sarebbe bastato andare in giro con la Cloth e avrebbero fatto invidia a tutte le parate a tema del Lucca Comics. 
«Non l’ho mai visto». Si scusò, negli occhi ancora il vuoto.
«Dovresti, non è mica male».
Proprio in quel momento sentimmo un rumore di passi. Ci sporgemmo a guardare in quella direzione: era uno Skeleton e aveva tutta l’aria di cercare qualcuno. A un certo punto ci vide e ci venne incontro. Ci salutò entrambi con un inchino e si raddrizzò. «Nobile Astrid, la Somma Pandora vuole vedervi». Annunciò il nuovo arrivato.
Al solo sentire il nome della zia, quel poco di buon umore ritrovato se ne andò. «Adesso sono stanca, torna all’accampamento e porgi le mie scuse alla Somma Sacerdotessa». Ribattei congedandolo. Lo Skeleton obbedì.
Camus lo accompagnò con lo sguardo e, solo quando l’altro scomparve alla vista mi guardò. Ma non disse niente. Anche se intuivo perfettamente che cosa avesse potuto dirmi. Non avevo voglia di parlare con lei. Non adesso.

Erano passati alcuni giorni da quando gli scontri erano finiti. C’erano ancora qualche fuocherello di violenza e alcune piccole ribellioni, ma niente che non si potesse sistemare.  Nel frattempo Camus era andato con Valentine e i Giudici Infernali a riconquistare i Palazzi della Antenora, della Caina e della Tolomea. Quando la bandiera degli Inferi avrebbe sventolato di nuovo sopra il Palazzo della Giudecca, allora la Guerra sarebbe stata vinta per davvero.
Gli Specter erano più allegri del solito. Una nuova luce illuminava i loro occhi e una felicità nuova animava i loro volti. L’idea che la guerra fosse agli sgoccioli li rendeva felici. Era come se la fiamma della speranza ardesse nei loro cuori. E l’avevo accesa io, questo me lo riconoscevano. Adesso molti Specter mi salutavano allegri quando mi vedevano per l’accampamento e anche i Celti e molti altri li imitavano. Io ricambiavo i saluti. Mi faceva piacere sapere di essere stata utile in qualche modo. Alcuni Specter mi chiesero addirittura di insegnargli a usare le mie tecniche. E io rifiutavo dicendo che lo facevo così, non perché avessi studiato. Ma neanche questa delusione smorzava molto l’ammirazione che provavano per me.
Da un lato era rassicurante e me la godevo, dall’altro ero consapevole che fosse solo un fenomeno del momento. Quindi cercavo di non darci troppo peso. E poi, avevo sentito dire che i Redivivi erano trascendentali, quindi molto più potenti di me. Erano loro quelli che meritavano veramente l’ammirazione delle persone. Non io, che non riuscivo neanche a proteggere le persone. Menta era ancora in coma, per dire. Però i medici sostenevano che ci fosse speranza.
Sembrava che dovesse andare tutto bene e poi accadde il fattaccio.
«Il Palazzo della Giudecca è sparito!» Urlò uno Skeleton facendo irruzione a mensa.
Il silenzio calò immediatamente sulla mensa e, noi che stavamo mangiando avemmo diverse reazioni. Alcuni di noi si immobilizzarono di colpo, altri sputarono e altri ancora si strozzarono. Qualcun altro, invece domandò se fosse uno scherzo.
Guardammo il nostro messaggero. Non lo era.
Poi la mensa si agitò e gli Specter, più o meno balzati in piedi cominciarono a discutere animatamente tra di loro.
«Come è possibile? Dov’è andato?» Chiese Isaac guardandoci smarrito mentre Raki e Tokaki cercavano di capirci qualcosa. «In he senso è sparito?» Chiedemmo io e il ragazzino in coro.
«Nel senso che non si trova più, che qualcuno l’ha spostato». Mi illuminò uno Specter vicino.
«Che cosa? É impossibile!» Che io sapessi nessuno era capace di eseguire un trucco così alla David Copperfield!
«No, se hai la forza sufficiente e il Cosmo adatto». Mi corresse Raki e noialtri la guardammo. «Credi di sapere chi possa essere stato?» Le chiesi. Lei scosse il capo, le trecce alla francese si mossero sulle sue spalle. C’eravamo tagliate i capelli qualche ora prima. Io avevo dato una spuntatina alla falda e adesso ci vedevo di nuovo bene.
«Ho un’idea». Ammise lei, titubante.
Le presi la mano e dissi: «Bene, allora vieni con me». Lei mi guardò confusa e io specificai, «Credo che sia giunto il momento di conferire con le alte cariche degli Inferi».  
Non fu facile conferire immediatamente con i Giudici Infernali dato tutto il marasma che si sollevò, ma alla fine ce la feci. «Fate combattere anche me e i ragazzini». Dissi, cercando di mostrarmi più determinata di quanto non fossi. I tre Specter mi guardarono con occhi torvi. Avevo il cuore in gola e morivo di paura ma sentivo che dovevo esserci.
«Se vogliamo riconquistare il Flegetonte, allora devo essere presente anch’io».
«Per quale motivo?»
«Credo che laggiù sia successo qualcosa che ha a che fare con me e la Giudecca». Dissi.
«Ma se tu non sai neanche come è fatta la Giudecca». Obiettò Rhadamantys. Orpheo della Lyra lì presente annuì alle parole della Viverna.
«Ah, non è quel Palazzo buio e tetro pieno di quadri e affreschi di angeli in tre D che puzza di pittura?»
«Ok, sì, la Giudecca è quella». Confermò Lady Pandora attirandosi gli sguardi confusi dei suoi sottoposti. Forse loro conoscevano solo una piccola parte. «Ma tu come lo sai?» Mi chiese poi. Così raccontai ai presenti quello che era successo nella Battaglia della Piana, tralasciando l’orologio e la voce.
«Questo è strano», rimuginò la zia pensierosa, appoggiandosi al tavolino basso. «Perché mai Don Avido avrebbe dovuto spedirti laggiù? Non ha senso, inoltre quel Palazzo è blindato».
«Pensi che non sia stata opera sua?»
«No, stando al rapporto di Aquarius la loro trappola doveva privarti delle tue forze e delle tue capacità, non traslarti altrove, un Cosmo estraneo alla faccenda ha interferito portandoti laggiù. Ma perché proprio laggiù?»
«Avete rilevato dei Cosmi estranei in quel momento?» Chiesi io e loro scossero il capo, desolati.
«No, in mezzo a quella confusione non ci abbiamo fatto caso». 
Aiacos si sedette su una sedia.
«Io sì». E fu così che gli raccontai di Yoma di Mephistophele. Se il Silver Saint presente si accigliò, Lady Pandora e i tre Giudici Infernali sbiancarono, mentre mi fissarono. «Quello là è ancora vivo?» Chiese la zia e un luccichio di terrore balenò nel suo sguardo. «Sì, però l’ho rimesso in riga, non chiedermi come». Lei decise di soprassedere.  
«Era suo il Cosmo che ha interferito?»
«Sì. Adesso comincio a capire perché non mi abbia riportato subito da voi ma abbia lasciato che ci pensassi da me». Feci incrociando le braccia. Poteva avere senso.
«E se ci fosse una breccia proprio nella galleria d’arte?» Insinuò Minos, riprendendo il filo del discorso originale e noialtri lo guardammo. «Altrimenti Myu ti avrebbe localizzata molto prima».
«Può essere, lì dentro c’era un’alta concentrazione energetica».
«Dobbiamo localizzarla».    
«Posso farlo io», mi offrii. «Posso calcolare la sua esatta posizione in base alle stelle e al volo delle Creature».
«Ma qui non ci sono stelle, ragazzina».
«Ci sono sempre delle stelle. Mandatemi a chiamare i Saint dalla nostra parte che riuscite a trovare e gli Specter».
«Che vuoi fare?» Domandò incuriosito Rhadamantys.
«Una mappa dei Cieli degli Inferi e, se quello che penso è giusto, allora abbiamo un vantaggio, perché le loro conoscenze astronomiche non sono aggiornate quanto le mie». Spiegai. 
Purtroppo la zia non mi volle concedere questo aiuto, però Camus, Isaac, Raki, Fianna e Valentine sì. Quel pomeriggio dopo pranzo mi riunii con loro e gli illustrai il piano. Era molto semplice, prevedeva di usare l’archeoastronomia e un pizzico di storia e deduzione per individuarli. Il mio ragionamento era semplice. Essendo i nostri avversari provenienti dal passato, anche le loro conoscenze dovevano essere legate agli avvenimenti del passato. Quindi, considerando che pochissimi di loro mi erano sembrati di età avanzata, ci stava benissimo che, avrei potuto calcolare la posizione del Palazzo della Giudecca, sulla base della posizione delle loro costellazioni nel periodo della loro morte. Sembrava insensato, ma credevo che le costellazioni in qualche modo influissero sui loro protetti altrettanto quanto la cultura d’origine e la mentalità. Ciò voleva dire che spostandolo con loro probabilmente l’avremmo ritrovato da qualsiasi altra parte. Quindi «Se trovassimo i Saint che hanno spostato il Palazzo e io riuscissi a indebolirli a distanza, anche il Palazzo tornerebbe nelle nostre mani. Ma l’archeoastronomia mi serve per evitare che sprofondi in uno dei Fiumi Infernali». Spiegai. 
«Pensi di poter calcolare le loro posizioni in base alle stelle?» Tradusse Camus.
«Sì».
«Ma conosci la mappa del cielo?» Mi chiese Valentine.
«A memoria e quella che ci serve non sta in cielo, sta qui dentro». Feci picchiettandomi la tempia. Avrei dovuto coinvolgere anche Myu, forse, ma anche Raki andava bene con i suoi poteri telepatici e telecinetici. 
L'archeoastronomia è una combinazione di studi astronomici e archeologici; rappresenta la conoscenza e comprensione che gli antichi abitanti della terra avevano dei fenomeni celesti, di come li hanno utilizzati ed interpretati e quale ruolo la "realtà" dei movimenti della volta celeste ha svolto all'interno delle loro culture. In questo caso, avevo anche Raki, che poteva darmi delucidazioni sulle credenze del suo popolo. Visto che Don Avido era un lemuriano. Sempre sperando che non fosse finito nelle grinfie di un Saint di Gemini. Allora sì che sarebbe stato problematico trovarlo. In questo caso sarebbe stato un mix tra calcoli matematici e quanto di più simile potevo esercitare con l’astrologia. Sembrava funzionare piuttosto bene con i Saint. Lo studioso e docente britannico Clive Ruggles sostiene che è fuorviante considerare l'archeoastronomia come la semplice raffigurazione dell'antica astronomia, in quanto l'astronomia d'epoca moderna è intesa come una disciplina prettamente scientifica, mentre l'archeoastronomia considera in maniera riccamente simbolica le interpretazioni culturali dei più svariati fenomeni celesti, presenti in moltissime culture antiche. Questa disciplina è spesso gemellata con l'etnoastronomia, ossia lo studio antropologia dell'osservazione del cielo nelle società cosiddette primitive contemporanee (una prospettiva per l'interpretazione delle culture indigene). L'archeoastronomia si avvale anche dell'uso di documentazioni storiche (utilizzandone le fonti scritte per valutare la pratica astronomica del passato più remoto), precedenti l'origine della moderna disciplina astronomica, per studiare antichi eventi astronomici ed è pertanto strettamente associata con l’astronomia storica. Per favorire una migliore comprensione della documentazione storica l'archeoastronomia fa uso infine anche delle conoscenze astronomiche attuali. Ma il motivo principale per cui volessi usarla è che utilizza una varietà di metodi per rinvenire le prove di pratiche del passato, tra cui archeologia, antropologia, astronomia stessa, storia, come quella sei Saint, statistica e calcolo delle probabilità. E io avevo fatto tanti esercizi quando ancora studiavo. Mi ricordavo ancora come si faceva, visto che dando ripetizioni di aritmetica e algebra le avevo rispolverate.
Poiché tali metodologie sono differenti tra loro e l'uso dei dati provenienti da tali fonti può essere interpretato in maniera diversa, la loro integrazione all'interno di un'argomentazione coerente è stata per molto tempo una delle più grandi difficoltà da sciogliere per gli archeoastronomi. L'archeoastronomia contempla anche nicchie complementari all'interno dell’ archeologia dei paesaggi e mi poteva tornare utile in caso fossi riuscita a comunicare con la Terra. e dell' archeologia cognitiva. Le prove materiali assunte e la loro connessione con il cielo può rivelare come un paesaggio più vasto possa venir integrato nelle convinzioni inerenti al paganesimo circa i cicli della natura, così come accade ad esempio per l'astrologia Maya ed il suo intimo rapporto con l'agricoltura. Altri esempi che hanno riunito ed integrato le idee di cognizione del paesaggio circostante comprendono gli studi riguardanti l'ordine cosmico che è incorporato nelle direzioni delle vie di comunicazione e nell'erezione dei più disparati tipi d'insediamento. Può essere applicata a tutte le culture e a tutte le epoche. I significati derivanti dall'attenta osservazione del cielo possono variare da cultura a cultura; vi sono tuttavia metodi scientifici che possono essere applicati trasversalmente all'interno delle culture in sede di esame delle antiche credenze ed attraverso i quali si può giungere a certe interpretazioni archeo-astronomiche. È forse la necessità di bilanciare gli aspetti sociali e scientifici dell'archeoastronomia che ha portato il succitato Clive Ruggles a descriverla come "uno dei campi di lavoro accademico di più alta e fine qualità da una parte, ma la cui speculazione incontrollata può facilmente confinare con la follia dall'altra parte".  Io non ero il suo creatore e ammetto di essermi fermata, ma la mia era una mente duttile e malleabile. Potevo tranquillamente piegarla per affrontare questo campo.
Vero che affonda le sue radici nel Millesettecento, per essere precisi tre anni prima della Guerra Sacra del Periodo Illuminista, però era anche vero, che nessuno dei nostri avversari avesse la laurea e le mie conoscenze. 
Ci eravamo radunati in uno spiazzo e Fianna aveva chiamato per noi alcuni dei maggiori esperti deceduti dell’archeoastronomia che avrebbero potuto aiutarci. Ossia un archeologo, un antropologo, uno storico, una storica della scienza, uno storico della religione, qualche astronomo, degli artisti, dei letterati e dei religiosi.
Adesso i loro spiriti attendevano pazientemente che cominciassi.
Li avvisai di quello che avrei fatto e poi dissi a Camus e Isaac di cominciare. Maestro e allievo annuirono, poi crearono la grande cupola di ghiaccio che avrebbe contenuto il mio Cosmo e gli avrebbe dato una forma sferica. Espansi il mio Cosmo stando attenta a non rompere la cupola, nella cupola di ghiaccio creata da Camus. Tutti loro trasalirono nel sentirsi inglobati nel mio Cosmo e circondati dai globi fosforescenti che lo popolavano. Chiesi se stessero tutti bene e confermarono. Poi, mostrai loro la forma attuale della mappa celeste.
Gli astronomi del passato m’indicarono i punti dove si trovavano le costellazioni estinte, non senza qualche difficoltà, ma ci riuscirono. E le disegnai con le dita illuminate. Camus e Raki sgranarono gli occhi: «Non credevo che avessimo tutti questi soldati tra di noi, in passato!» Mormorò il primo. 
Poi Camus, che aveva partecipato a buona parte delle battaglie, mi disse quali soldati erano caduti per i Saint e Black Saint e li cancellai.
«Perché hai chiesto il mio aiuto?» Domandò Valentine a quel punto. «Ora lo vedrai. Indicami dove si trovano tutti gli Specter». Risposi modificando la luce delle mie mani. Lo Specter eseguì perplesso e io mi spostai a seconda di dove si trovavano. Ce ne erano molti sparsi per l’accampamento, ma tanti altri erano sparpagliati in giro a gruppi, loro con le loro truppe. Poi chiesi ad Isaac di descrivermi il comportamento dei Black Saint e dei loro alleati. Visto che aveva militato tra le loro fila, qualcosa doveva essere riuscito a capire. Il ragazzo mi guardò stupito prima di fare mente locale e raccontarmi: «Non sono un gruppo omogeneo come siamo noi. Tutti fanno capo a don Avido. I suoi secondi in comando sono i Black Saint di Eracle, della Balena e del Corvo, ma più di lì non gli importa niente. I Saint però rispondevano, ho notato, a due gemelli lemuriani, uno indossava la cloth di Cancer e l’altro di Ara».
«Hai visto se c’erano alcuni capaci di attacchi mentali?»
«Sì. Di solito però tendevano a tenersi in disparte rispetto a tutti gli altri». Perfetto. Feci cenno a Raki di avvicinarsi e la ragazzina obbedì, guardandomi titubante. «Ho bisogno che tu localizzi i predecessori di Death Mask. So che ce la puoi fare, questa camera dovrebbe amplificare le tue capacità».M’inventai e lei annuì. Poi si pose al mio fianco e si concentrò. «Li sento, sono qui». E c’indicò un punto in basso in prossimità di alcune stelle e Valentine obiettò: «Ma lì c’è la guarnigione dei Vivi che ci dà una mano».
«Eppure lo sento, è lì».
«Ma è un lemuriano?»
«No, però portava anche lui la cloth di Cancer».
«Lascia perdere tutti quelli che non sono lemuriani e continua a cercare, Raki». La incoraggiai e lei chiuse gli occhi per concentrarsi meglio. Dopo un po’esultò: «Trovati!» Ma la nostra felicità durò poco che lei cadde in ginocchio gemendo. «Raki!»
«Si sono accorti di noi! Mi dispiace, Astrid, non avevo pensato che…»
«Ritraiti immediatamente!» Lei obbedì e Fianna s’adoperò per portarla via. Ci avrebbe detto le informazioni più tardi. Per quanto fossi preoccupata, dovevamo continuare. Grazie all’aiuto delle persone che avevo riunito riuscimmo a calcolare le loro mosse. Con un margine di errore di poco inferiore al quindici per cento della perfezione. Anche se erano molto accurate, potevamo elaborare strategie per ogni cosa. Il bello era che essendo tutti loro abituati a ragionare per singoli, potevamo stilare anche strategie contro una persona soltanto. Ma per evitare sprechi prendemmo in considerazione un gruppo.
Tesi le mani che si illuminarono d’oro e afferrai il Cosmo del lemuriano con la punta di due dita. Avvertii una lieve resistenza, ma niente di che. Mi bastava tirare leggermente indietro la mano per riportare il Cosmo dov’era.
«Si è bloccato!» Esclamò Valentine guardandomi. Era evidente che si riferisse al fuori, anche se mi guardava sbalordito. «L’hai preso per davvero!» Specificò di fronte alle occhiate esterrefatte dei nostri compagni. «Bene, riesci a localizzarlo?» Gli chiesi. E lui annuì dicendo: «E non solo lui, anche tutti gli altri!» Si trovavano nei pressi delle rive sud Orientali del Flegetonte al confine con l’Inferno. Non potevano oltrepassare il confine, altrimenti avrebbero scatenato una guerra con il Regno limitrofo.
Isaac fremette; si vedeva che voleva correre ad avvisare gli altri, «Bene, dobbiamo catturarlo al più presto». Fece per realizzare quanto detto, ma Camus lo fermò posandogli la mano sulla spalla. Mi guardò esitando un secondo prima che scuotesse il capo: «Qualcuno deve tenere in piedi la cupola.» spiegò e il suo allievo si rilassò. «Avete ragione, maestro».
«Per quanto ancora puoi trattenerlo?» Mi chiese Valentine.
«Credo per sempre, ma sarebbe meglio che qualcuno lo vada a prendere».
«Non puoi trascinarlo fino a qui?»
«Non ci avevo pensato». Ammisi e, così feci. Valentine e tutte le persone che avevano la facoltà di percepire i Cosmi mi fecero la telecronaca in diretta. Nel frattempo anche Raki si era ripresa. «Tutto a posto?» Le domandai, sinceramente angosciata per lei. La bambina annuì: «Mi fa un po’male la testa». Annuii e le scompigliai la frangetta.
Quando fu dentro l’accampamento abbassarono la cupola e io potei finalmente liberare il Cosmo, ma, sorprendentemente, non persi la capacità di afferrare il Cosmo. Il piano aveva subito una leggera modifica, tramite questo Saint avremmo scoperto sì dove si trovavano, ma ci saremmo tenuti le informazioni e i nostri calcoli come riserva.
Ci recammo al centro dell’accampamento e trovammo i nostri lì che circondavano il Cavaliere del Cancro del Millesettecento. Aveva lunghi capelli di un azzurrino talmente pallido da sembrare d’argento, Lisci. L’elmo a maschera d’oro incorniciava il volto pallido e le sopracciglia ovali. Ma i suoi occhi erano verde oliva. Si guardava attorno spaventato mentre i nostri lo sovrastavano. Abbassai gli occhi sul terreno. Evidenti i tentativi che stava facendo per scappare.
Aveva lottato a lungo prima che il terrore prendesse il sopravvento. Mi avevano detto Camus e Isaac. Non sembrava il tipo che si spaventa tanto facilmente.
«Fermi, lasciatelo stare! Questo lo prendiamo noi!» Esclamò Valentine e gli Specter lo lasciarono passare. Il secondo Guardiano del Cocito lo afferrò per un braccio e, dopo avergli sibilato qualcosa, lo trascinò in piedi. «E ora andiamo dalla Somma Pandora», incurante delle sue proteste e delle domande da lui urlate. «Stai zitto o dico a lei di scatenare le Creature». Lo minacciò Valentine indicandomi con un cenno del capo. E il Gold Saint di Cancer del passato s’immobilizzò di colpo e si zittì. Mi fissò. Io sostenni il suo sguardo per tutto il tempo che fu davanti a me, poi Valentine lo trascinò via, aiutato da un altro Specter che chiamò. A quel punto il contatto visivo s’interruppe.
Tuttavia io, Camus, Isaac e Fianna li seguimmo. I nostri aiutanti dietro di noi.
I due Specter trascinarono l’uomo al Padiglione della Giudecca dopo avergli bendato gli occhi. Una precauzione abbastanza vana, ma se non altro rassicurante.
Costrinsero il Gold Saint del passato a sedersi davanti a Lady Pandora e i tre Giudici Infernali riuniti nel Padiglione. I quattro rimasero abbastanza perplessi nel vederci ma quando seppero Lady Pandora ci elogiò. Intanto l’altro Specter gli tolse la benda dagli occhi e il prigioniero batté le palpebre e prese a guardarsi intorno.
«Come avete fatto a catturarlo?» Ci chiese Aiacos guardandomi.
Sollevai le dita illuminate d’oro e alzai le spalle. «Non me lo chiedere, non so neanch’io di preciso». Risposi mentre il nostro prigioniero ci guardava da sopra una spalla. I lunghi capelli che spazzavano per terra. Ma i nostri superiori richiamarono la sua attenzione. Scoprimmo che si chiamava Sage e che combatté nella Guerra Sacra del Millesettecento in veste di Pontefice e, in quella del Millecinquecento come Cavaliere del Cancro, di cui portava le Vestigia. Detti un colpetto al braccio di Camus, che mi guardò e gli sussurrai all’orecchio: «Perché anche loro indossano delle Armature? Non dovrebbero indossarle solo i vostri successori?» Ma ora che ci pensavo anche Camus indossava la sua quando combatteva, se la toglieva solo quando non toccava a lui.
«Lo sai che non ne ho idea?» Mi rispose lui con l’aria di uno che non ci avesse mai pensato. Mi accontentai di questa risposta. Probabilmente doveva essere rimasta sui loro corpi e sulle loro anime una sorta di traccia del Cavaliere che furono. E si manifestava così.
Non assistemmo all’intero interrogatorio, a un certo punto ce ne andammo. Quando Valentine e l’altro Specter uscirono dalla tenda trascinandosi dietro Sage. Mi faceva strano poter associare un nome a un volto oltre Don Avido. Avevo già sentito altri nomi, tuttavia nella foga della battaglia non avevo capito quali appartenessero a chi. A parte Gateguard, s’intende.
Mi faceva anche strano incontrare qualcun altro della Quarta Casa che non fosse Lancelot o Sirrah (di cui avevo sentito parlare, più che altro) o Death Mask. Mi ero fatta l’idea che i Custodi della Casa del Cancro fossero tutti spostati e psicopatici. Invece Sage, così, a vista, mi dava una sensazione molto diversa, solo malinconia, equilibrio saggezza. Sembrava più in sé lui di molti altri che avevo visto al Santuario. Anche se era impossibile che, appartenendo al passato, non potesse avere qualche problema. Mi destabilizzò anche vedere un lemuriano indossare le Sacre Vestigia del Cancro. Cioè, davo per scontato che qualcun altro avesse indossato quelle Vesti, però un conto è darlo per scontato, un conto è vederlo davvero.
Ormai associavo quella cloth a Death Mask, per questo faceva così strano. Era così anche per tutti gli altri?  
Camus si scusò con noi asserendo di dover fare qualcosa ma non mi ricordo cosa, visto che ascoltai solo con un orecchio e poi me lo dimenticai. I miei pensieri vertevano tutti su Sage e sulla grande incongruenza che era.
A forza di pensarci comunque arrivai all’ora di cena. Tokaki aveva intenzione di passare un po’ di tempo con Isaac per una “serata tra uomini”, così aveva detto lui. Così mi ritrovai con Raki e Fianna a mensa. Fianna m’ignorava e Raki invece mi tartassava di domande su quello che avevamo fatto nella cupola poco prima. Mi domandai se per caso avesse un deficit dell’attenzione o se stesse usando la mia stessa tattica: quella della finta scema.
Considerando tutto, che stava appresso a Camus e che combatteva con lui da ben prima che arrivassi io, votai per la seconda.
Raki sembrava essersi ripresa, mi chiese pure che cosa volessi fare con quello che avevo fatto. Perciò le rispiegai che cosa intendessi fare con l’archeoastronomia: «É semplice, basandomi sulle costellazioni del passato, posso risalire alle loro credenze e alla loro mentalità, da lì posso provare, se non a indovinare, almeno a intuire le loro prossime mosse e intercettarli, come hai già visto fare oggi».
«Ah, non sapevo che si potesse fare».
«Diciamo che è un po’un azzardo ed è una strada molto lunga e tortuosa, ci sono un sacco di variabili da tenere in considerazione, però credo che dovremmo provarci». Spiegai mentre mi portavo un bicchiere alla bocca.
Raki giocherellò con il cibo con fare pensieroso: «Pensi che potrebbe aiutarci?» Domandò riferendosi al lemuriano del passato. Alzò gli occhi dalla ciotola per guardarmi. 
«Chi?» Chiesi, non capendo bene a cosa si riferisse.
«Quello che abbiamo fatto».
«Ah, pensavo ti riferissi a Sage». Feci dopo aver bevuto un sorso. La ragazzina mi guardò stupita e con un accenno di malizia: «Te lo sei ricordato subito».
«Ha un nome abbastanza strano, per forza». Alzai le spalle ripensando al suo significato. «Ad ogni modo lo spero, non mi fido di quello che potrebbe uscire dalla bocca di quell’uomo, ex Pontefice o no che sia. Non dimentichiamoci che stava dall’altra parte della barricata, per quanto possa essere forte, non credo che il Black Saint di Ara sia così potente da riuscire ad assoggettare l’ex Patriarca del Santuario». A forza di stare in mezzo a dei soldati stavo facendomi qualche esperienza. E Kanon era un esempio abbastanza calzante di forza per essere un umano. «Ci stavo pensando anch’io», ammise lei, anche se a malincuore. Forse per lei era persino più doloroso che per altri. Quello è una testimonianza del suo passato, delle sue origini. Erano leggende.
Feci per dirle qualcosa, ma fui interrotta dallo sbuffo e dal rumore di una persona che si siede di botto sulla panca accanto a me. Mi volsi e per poco non detti una smusata su un’ala della sua dannatissima Surplice. «Aiacos!» Esclamai. Poi mi calmai. Che cosa ci faceva qui? Di solito i tre Giudici Infernali si tenevano alla larga da queste zone. Come se considerassero feccia le proprie armate. Anche se c’era da ammettere che Aiacos era un tipo abbastanza strano e imprevedibile.  «Come è andata?» Se lui era qui significava che avevano finito. Sì, però la sua presenza era comunque incongrua con la tavolata e non solo, aveva gettato l’intera mensa nella confusione. Non come quando Pandora spedì la lettera, ma come quando un popolare di certe sit-com americane si accomoda al tavolo dei nerd.    
«Abbastanza bene, tuttavia è un osso duro». Rispose mentre io progettavo di tagliargli di colpo le belle ali di cui andava tanto fiero, visto che si era preso metà della panca, spingendomi sul bordo. E che, a seconda di come si muovevo poteva farmi molto male. Tanto lo sapevamo tutti che era monco. Invece gli chiesi perché fosse qui. Lui, dopo avermi guardato stranito, come se avesse realizzato solo in quel momento dove si trovasse, batté le palpebre. E poi disse: «Giusto. Ha detto che vuole parlare con te».
Noi due sgranammo gli occhi. Ah, quindi il motivo per cui si era accomodato era un atto di prepotenza bello e buono, una roba da… No, un attimo, perché diavolo era qui? Perché non aveva scomodato Violate? Ma in quel momento non ci pensai. «Con me?» Domandai perplessa. E lui annuì, poi si alzò (rischiando di centrarmi un’altra volta ma lo evitai) e mi fece cenno di seguirlo.
Il mio primo istinto fu di protestare, ma il suo cipiglio severo e folle mi zittì. Perciò obbedii.  Cercai istintivamente gli occhi di Raki e lei alzò le spalle perplessa. «D’accordo, arrivo, tienimi la zuppa in caldo». Mi raccomandai con la mia allieva, che annuì.
Mi alzai e mi pulii le mani sulla gonna e lo seguii. Mentre camminavamo mi sovvenne che Sage fosse un lemuriano. Probabilmente aveva le stesse capacità di Raki, Kiki e Mur. E io non ero tipo da lasciarmi fregare troppe volte, perciò, usai lo stesso trucchetto che avevo usato per depistare Kiki la notte del mio salvataggio e trasferimento agli Inferi. La canzone che scelsi fu A mhuirnin o dei Clannad e mi concentrai su quella fino a offuscare tutti i possibili pensieri.  
Mi feci scortare dallo Specter alla gabbia dove tenevano Sage. Non ero mai stata prima nella zona dei prigionieri. Questa parte di accampamento non l’avevo neanche ancora visitata. Mi ero immaginata chissà che e invece era stato sistemato dentro una buca abbastanza larga perché potesse starci seduto con le gambe piegate, legato a un palo con gli altri prigionieri Black Saint che avevamo fatto nell’ultima battaglia. Le mani bloccate da due nastri larghi una decina di centimetri ciascuno. Non erano comuni nastri, non bastava così poco per fermare uno spirito.
Sage ci sentì arrivare e si alzò. La buca era stata scavata perché potesse stare su solo dall’ombelico in poi. Altra precauzione inutile, ma a quanto pare necessaria. «Luce Ombrosa». Salutò trattenendo a stento l’entusiasmo della voce. Era un’emozione talmente incongrua per quel volto che mi accigliai. «Sommo Sage. Volevate vedermi?» Gli chiesi, tenendomi a distanza di sicurezza dal prigioniero. Non sembrava volermi attaccare ma non si poteva mai sapere. «Sì». Confermò. «Tu sei veramente la Luce Ombrosa, non è così?»
«Così pare e voi siete l’ex Cavaliere di Cancer…» sciorinai tutti i suoi titoli e i suoi occhi si allargarono. Gli feci pure la riverenza come a dirgli che gli riconoscevo l’autorità che gli spettava. «Non m’aspettavo che ti saresti inchinata».
«Siete pur sempre un Venerabile del Santuario, vi porto semplicemente il rispetto che vi meritate». Risposi e lui parve soddisfatto di sentire queste parole. «Non pensavo che ti avrei incontrato, credevo che quelli come te fossero solo delle Leggende».
«Le Leggende hanno un fondo di verità». Commentai. Nonostante fosse effettivamente un Venerabile questa conversazione mi suonava vuota. Lui osservò la mia armatura. «Non credevo tuttavia, che saresti nata tra gli Specter».
«Chi vi dice che io lo sia?» Domandai incrociando le braccia al petto e alzando il mento. Lui mi guardò confuso, aggrottando le sopracciglia ovali scure. «Non…» Iniziò e io scossi la testa in cenno di diniego, che poi rimarcai anche a voce.
«Hai ragione, quegli occhi sono troppo buoni per essere quelli di una Specter. Sei per caso una Saintia?» Chiese.
Mi lasciai scivolare di dosso il complimento come quando lavoravo al Kazablanc. «A dir la verità sarei l’attuale leader dei Black Saint del XXI secolo». Se avessi continuato a ripeterlo un altro po’avrei finito per crederci anch’io. L’importante era che lo credesse lui. Sembrò crederci perché mi guardò sbalordito. Ma non credo per la potenza del gruppo di cui mi facevo leader. Per niente. Sapevo perfettamente che erano piuttosto scarsi, a voler essere gentili.  
«Allora perché combatti con gli Specter?» Chiese incuriosito.
«Mi pagano». Inventai ironica, giusto per dare un tocco di originalità a questa conversazione sciapita. Ma per essere un lemuriano ci restò parecchio di sasso per non cogliere la bugia. E poi ero curiosa di vedere che cosa mi avrebbe detto. Ma lui tacque. «M’aspettavo che mi avreste fatto qualcosa». Buttai lì tanto per spezzare il silenzio che era caduto su di noi come una cappa.
«Tipo cosa?»
«Non so, qualcosa».
«Non posso, non tanto perché sei una Luce Ombrosa, mi tieni in scacco e sono prigioniero. Se volessi potrei liberarmi, ma perché ho un codice d’onore».
«Io dell’onore non so di che farmene». Risposi alzando le spalle. Perché mi veniva da alzarle continuamente? «Perché mi volevate vedere?»
«Volevo capire perché combattessi dalla loro parte». Rispose accennando allo Specter di guardia alle mie spalle. «E perché ve lo dovrei dire? Mi dispiace, signore, però decido io da che parte stare».
«Questo mi sembra giusto, ma non combatti anche tu in nome di Atena?»
«Io combatto in nome delle stelle, in questa battaglia ci sono solo finita in mezzo e non per mia spontanea volontà». Ribattei trattenendo un moto di rabbia. «Delle Guerre Sacre che state montando non m’importa un fico secco, voglio solo che questa storia finisca al più presto».
«Lo vogliamo tutti».
Gli rigirai la sua stessa domanda: «Allora perché combattete?»
«Per sconfiggere definitivamente il Dio dei Morti nemico della Dea e interrompere le sue crudeltà. Se possiamo dare il nostro contributo, così faremo, per il Bene che la Dea rappresenta».
«Ma senza le sue crudeltà voi non servite a niente, no?» Gli feci notare. Per me questa visione manichea della vita era superata.
«No, c’è sempre un nemico da sconfiggere, puoi biasimarci se cerchiamo di riprenderci la libertà che ci spetta?»
«No, però neanche posso appoggiarvi. Il ciclo della Vita e della Morte serve, non si può interrompere. Hades serve, gli Specter servono, gli Inferi stessi sono necessari per mandarlo avanti. Senza di esso neanche la Dea tornerebbe in vita».
«Lei sì, ne è estranea e non è una vera morte la sua. Non stiamo combattendo contro la Vita e la Morte, stiamo combattendo contro gli Inferi». Spiegò in tono che avrebbe voluto essere rassicurante, ma che su di me non ebbe effetto. Non credevo neanche a una sola delle sue parole. Aver vissuto in Italia e bestemmiare sul Parlamento italiano e il governo aveva i suoi vantaggi.
«Siete sicuro di essere un Saint?» Gli domandai.
Lui chinò il capo e si fissò le mani. Almeno supposi che si fissasse le mani. «Sì. Capisco bene il tuo turbamento, lo provai anch’io anni fa, quando il Sommo Itia cadde vittima delle Fairy degli Inferi e si ribellò all’egemonia della Nobile Sendai». Probabilmente il nome dell’Atena di quell’epoca. Lo ringraziai mentalmente per la lezione di storia.
«Capisco. Immagino che siate abbastanza deluso». Feci poi addolcendo un po’il tono della voce e la mia espressione. Almeno questo non stava cercando di farmi niente, per ora, potevo provare a mostrarmi un po’più cordiale.
Il Sommo sembrò stupirsi moltissimo delle mie parole. Mi guardò proprio come se gli avessi letto nel pensiero. «Non l’avrei mai messa in questi termini, però non posso negare di esserlo.» ammise.
«Mi dispiace, ma non posso farci niente». Mi scusai.
«Capisco».
«Posso andare adesso?» Chiesi, sempre in tono mite.
«Sì, certo, non ti trattengo oltre».
Lo salutai con un’altra riverenza e poi mi allontanai camminando all’indietro finché non raggiunsi Aiacos. Solo allora mi voltai. Lui mi chiese che cosa avesse voluto dirmi e io alzai le spalle e glielo dissi: «Credo conoscermi. Mi è parso che non sapesse bene neanche lui che dirmi». Non credo che avesse provato a leggermi nella mente, ma non si poteva mai sapere. Lo Specter annuì e poi mi congedò. Tornai a mensa e finii di cenare.

L’indomani dopo colazione e gli allenamenti (che facevo in compagnia di Raki e Tokaki tanto per fare qualcosa e per tenerli d’occhio) Aiacos mi convocò direttamente al padiglione della Antenora. Il Padiglione non era molto diverso da quello di Rhadamantys era solo un po’più simile alla cabina di una nave che avevo visto in alcuni film.
Si vedeva che questo era l’ammiraglio delle flotte degli Inferi. Ma mi venne anche da domandarmi dove avesse trovato tutto questo, considerando che avevamo perso l’accampamento principale.
Quando spostai lo sguardo sulla scrivania davanti a me (più un tavolino) vidi che ero già stata preceduta da Violate. La quale aggrottò la fronte.  
Salutai i due e, Aiacos mi disse di accomodarmi. Mi sedetti su una sedia e lì, il Garuda mi annunciò che le ricerche fatte utilizzando l’archeoastronomia avevano permesso la ricattura di buona parte dei fuggiaschi. Consentì (e mi parve sincero, ma era presto per dirlo con certezza) che non se lo sarebbe mai aspettato. Poi andò al nocciolo della questione e, si vedeva che non gli piaceva.  Il mio colloquio con il Venerabile Sage aveva dato i suoi frutti: «Il prigioniero ha detto che ci aiuterà, ma a una condizione, che anche tu sia presente».
Non mi interessò sapere come l’avessero convinto. Ma se riusciva ancora a parlare, significava che non l’avevano torturato troppo.
Il Garuda mi guardò solenne in attesa che dicessi qualcosa. Quando si accorse che stavo aspettando che lui continuasse, inspirò e indagò: «Che cosa significavano quelle parole?»
«Non lo so, credo che volesse dimostrarmi qualcosa». In realtà la seconda parte del discorso doveva restare tra me e me, ma preferii comunicargliela. In questo momento sentivo che era più giusto che anche lui sapesse. Non credo fosse sua abitudine confidarsi con le sue Ali. Ma se stava facendo un’eccezione alla regola, significava che era davvero importante. «Comprenderete che è un rischio ancor più grande da quando avete rivelato il vostro pieno potere?» Indagò di nuovo assottigliando gli occhi folli.
«Naturalmente». Ribattei accavallando le gambe e incrociando le braccia. Non ero stupida.
«Dipendesse da me vi lancerei in battaglia e vi lascerei libera di agire come meglio credete, ma Lady Pandora…» cercò le parole giuste per salvarsi la faccia davanti alla sua Prima Ala, «non credo sia d’accordo». Raccolse i fogli sparsi sulla scrivania con un gesto nervoso. Dal canto mio mi rigirai nervosamente la Sfera delle Lacrime e asserii col capo.
«Cosa ti hanno dato le Creature?» Chiese poi. Gli risposi, ma  istintivamente le mie dita strinsero l’oggetto con più forza. Chissà perché nella mia testa mi veniva da pensarla con la maiuscola..
«Potrei vedere, principessa?» Chiese, sforzandosi di essere gentile. Tesi il braccio verso di lui, ma non la lasciai andare. Lui non mi toccò neanche e si limitò a osservarla incuriosito. «Sembra dello stesso materiale delle Surplici». Lasciò che ritraessi il braccio.
«Non saprei. Mi sembra più delicata di una Surplice». Non era ossidiana, come peso mi ricordava più le uova di alabastro di Volterra. «Comunque la tua intenzione sarebbe quella di farmi lottare?» Chiesi tornando a guardarlo in faccia. Lui mi restituì uno sguardo confuso e io aggiunsi: «Allora fatemi lottare, me e i ragazzini». I due Specter mi guardarono incerti. «Ho le Creature e poi potrei esservi utile con le mie capacità e Myu potrebbe essere ancora più al sicuro». Come se loro non avessero già il pieno del controllo del loro Cosmo. Ero consapevole che con questo avrei sicuramente messo in pericolo Raki e Tokaki, ma non sarei stata da sola e così avrei potuto tenerli d’occhio e proteggerli meglio. Piuttosto che lasciare che la Magnolia degli Inferi li richiamasse di nuovo a sé.
«Myu della Farfalla? Cosa c’entra?»
«Io so a cosa serve davvero quello Specter». Inventai, eppure fu come se avessi appena rivelato di conoscere un codice segreto importantissimo. Se Violate inarcò un sopracciglio perplessa, Aiacos sorrise divertito: «Sapete cosa? Sto cominciando a rivalutarvi, principessa; siete più intelligente di quanto sembriate». Fece allegro agitandomi l’indice davanti, come a dire “questa mi piace”. Ignorai l’occhiataccia di Violate e storsi la bocca nel sentirmi apostrofare così. Quasi quasi preferivo gli sbraiti di Rhadamantys. Almeno non leccava spudoratamente come questo. «Sono davvero felice che voi siate la mia Seconda Ala.» mi elogiò subito dopo. A queste parole la sua Prima Ala lo guardò stupefatta ma non disse niente. Eppure vidi il suo sistema di idee crollare alle sue spalle.  
Poi  incrociò le braccia muscolose sfregiate dalle innumerevoli cicatrici e mi scoccò uno sguardo astioso che mi fece pensare: “Guarda che ha deciso tutto da solo, io il posto non te lo rubo”. Ma quella bruta doveva essere incapace di decifrare gli sguardi perché non ammorbidì il suo neanche per un attimo.
Il Garuda invece rifletté. Inspirai e dissi: «Io sono stata dentro la Giudecca e potrei guidarvi almeno fino a un certo punto, se Myu e Raki riuscissero a teletrasportarci al suo interno dalla galleria d’arte. É ovvio che non possiamo passare dall’ingresso principale e che è probabile che il Palazzo sia circondato da una barriera. Potreste prendere due piccioni con una fava se io venissi con voi: il Venerabile nel tentativo di redimermi» e calcai volutamente la voce su questa parola, oltre che disegnare le virgolette con le dita della mano libera L’unica cosa che avrei voluto, era che la voce mi tremasse meno e che il mio cuore battesse meno forte; «potrebbe mostrarci la strada e io potrei usare le Creature per risolvere il problema». Né Menta, né Camus né io avevamo mai confidato a chicchessia delle Lacrime di Kalì, non ci era mai passato per la mente di condividere queste informazioni. Ma da quando i Black Saints si erano arresi, ci aveva pensato Rune. Questo aveva visto un accrescimento esponenziale della mia popolarità e aveva dato il via a un nuovo culto da parte dei Celti, che mi voleva come veicolo della Dea. Come romanzo di Marion Zimmer Bradley volle che Boadicea fu a sua volta nei secoli passati. 
Nonostante questo a nessuno saltò mai in mente di chiamarle Lacrime. Credo per via della forza dell’abitudine. Anch’io alle volte le chiamavo ancora Creature. «É rischioso». Mi avvisò il Garuda.
«E quando mai si è visto il Garuda monco?» Gli domandai in tono blando. Con soggetti come lui era meglio puntare sull’orgoglio. Infatti lui mi guardò di nuovo, punto sul vivo. «Hai detto che sono la tua seconda ala, no? Allora lasciami fare il mio lavoro di sollevarti nel cielo». Feci alzando l’indice a indicare il soffitto del padiglione. Visto che credeva che io fossi la sua Ala, tanto valeva approfittarne.
Eppure, tentennò lo stesso: «Non so se Lady Pandora…»
«E da quando hai bisogno dell’approvazione di Lady Pandora per fare qualcosa?» Lo interruppi.
«Da quando è la mia superiore e voi siete sua nipote». Ribatté velocemente con voce secca, come se si fosse stufato di questo gioco.
«Bè, io non rispondo agli ordini di mia zia, sono maggiorenne da un po’e poi dovresti averlo capito che è molto difficile uccidermi». Gli feci notare piccata, anche se avevo l’idea di aver volato troppo in alto con l’ultima parte del discorso. Difficile non era sinonimo di impossibile e sapevamo tutti che persino lo Specter più debole avrebbe potuto farmi il culo in un corpo a corpo. Se non avessi avuto l’Ichor e le tecniche del mio caro maestro, probabilmente sarei morta da un pezzo. E di questo ero perfettamente consapevole. A volte avrei voluto guardarmi allo specchio per vedere tutte le mie cicatrici. Per fortuna che non ce ne erano molti qui e nessuno a grandezza naturale. «Davvero ti lanceresti in battaglia per farmi divertire?»
«Certo». Mentii. In realtà avevo solo fatto coincidere i miei interessi con i suoi. Potremmo chiamarla solo coordinazione e anticipazione. «L’ho già fatto tante volte, mi sembra». Garantii.
«Non sembrava». “Ahia, il folle non è stupido”. Pensai mordendomi l’interno delle guance e cercando di dare al mio volto un’espressione più incredula che spaventata.
«Va bene, adesso puoi andare, sei congedata. Anche tu Violate, seguila, siete le mie ali, è necessario che andiate d’accordo».
Avrei voluto chiedere altro ma mi morsi la lingua, feci una riverenza e dissi: «Come desiderate». Poi me ne andai, seguita dalla Behemoth. La mora fremeva di rabbia e il suo sguardo mi bruciava sulla pelle manco avesse avuto lo sguardo laser di Superman. Con un brivido di terrore mi domandai se stesse sviluppando una nuova tecnica.
Ma lo sentivo perfettamente che mi odiava. A dispetto degli ordini del suo padrone, la donna che camminava poco più indietro di me avrebbe voluto incenerirmi. Forse massacrarmi di botte, pascersi nel mio sangue e urlarmi che il suo Re era solo suo e che io non avevo alcun diritto di portarglielo via.  Mi fermai a metà dell’accampamento e lei m’imitò.
Lasciai che le mie dita si illuminassero dei colori dei Cosmi degli Specter: Poi, continuando a voltarle le spalle, raccolsi il mio coraggio e dissi: «Non credere che non sappia quello che stai pensando, Violate». Se mi fossi girata probabilmente il mio corpo avrebbe cominciato a tremare e, l’ansia crescente (che stavo cercando di combattere da quando Aiacos mi aveva chiamato) mi avrebbe sopraffatto. «Non ho alcuna intenzione di metterti in ombra o di sottrarti il tuo prezioso Re. Non mi legherei mai all’uomo che ha cercato di ammazzarmi». Le rivelai.
«Però lo vorresti uccidere». Costatò con voce profonda. Femminile, ma profonda. Violate parlava sempre molto poco. Ma quando lo faceva metteva i brividi.
«Certo, ma non lo farò, non mi basterebbe. La mia più grande vendetta sarebbe vederlo marcire dietro le sbarre di una prigione dopo un processo. Se solo fossimo ancora delle persone normali».
«Sei una stronza». Sibilò livorosa, anche se ebbi l’impressione che avrebbe potuto dire di peggio. Come se non sapessi che se fosse successo lo sarebbe andata a salvare. Era palese che amasse Aiacos alla follia, anche se non era ricambiata. 
«Mai negato di esserlo». Ma sapevamo entrambe che se fossi stata priva di Cosmo e di poteri non mi avrebbe mai voluta per sé come Seconda Ala. Ma era l’unico dei Tre Giudici Infernali a lasciarmi la libertà che desideravo e che avesse riconosciuto la mia utilità fin da subito, nonostante i trascorsi. Essere vicino a uno di quei tre poteva tornarmi utile per sapere le loro mosse. Non avevo intenzione di tradirli, volevo solo sapere.
E poi, questa vicinanza era un legame a doppio taglio. Aiacos riceveva ancora più forza e prestigio dalle mie capacità e io ricevevo rispetto e protezione dagli altri due Giganti. In quanto facente parte delle sue armate, né la Viverna né il Grifone potevano toccarmi con un dito o ordinarmi qualcosa che non volessi. Il rapporto tra i tre Giganti, per quanto labile fosse era abbastanza importante per il corretto funzionamento dell’esercito degli Specter. E, per quanto odiassi tutti e tre, gli Inferi erano più importanti dei nostri problemi personali. «Posso chiederti una cosa?» Chiese la mora, sorprendendomi. Non avrei mai pensato che mi avrebbe posto una domanda. Sperai che non fosse sulle sue questioni di cuore perché mi ero già espressa: «Dimmi pure».
«Di chi eri apprendista?»
«Del Cavaliere di Gemini». Risposi rifacendomi alle voci che giravano su di me nell’accampamento e che nessuno dei miei amici aveva smentito. Credo che avessero voluto proteggermi. E poi per familiarità di tecniche poteva anche sembrare.
«Non sembrava lo stile di Gemini». Costatò.
«Perché, ci hai combattuto?» Le domandai sentendo il cuore battermi rapidamente in petto per la paura.
«No».
«Ecco». Poi ripresi a camminare. Solo quando arrivai alla tenda infermeria dove Menta era ancora ricoverata, mi accorsi che aveva smesso di seguirmi da un pezzo.   
Preparare Camus e i ragazzini fu un po’ più complicato di quanto mi aspettassi. Anche se Raki e Tokaki si dimostrarono entusiasti di scendere in campo. Mi sarei aspettata un netto rifiuto da parte di Camus ma lui si limitò a sospirare e accordarsi con noi. «Vero che saranno esposti a un pericolo maggiore, ma è da tutta una vita che si addestrano. Sono anche sopravvissuti giorni interi prima che li trovassimo noi, non ho dubbi che se la sapranno cavare benissimo». Quando diceva così mi metteva persino più paura degli Specter. Perché era pur sempre di bambini che stavamo parlando. Già accettavo a malapena che degli adulti combattessero; ma dei bambini proprio no. Poi, Con una scusa ci lasciò soli. Io lo accompagnai con lo sguardo finché non mi ricordai delle parole di Milo a proposito della loro infanzia e lo seguii. 
«Se tu potessi, faresti in modo che non combattessero, vero?» Gli chiesi a bruciapelo. Il rosso mi guardò e annuì. Poi prese un respiro profondo e si tolse un pelucco dalla larga maglia nera.  «Però non abbiamo altra scelta. Possiamo solo sperare che, portandoli con noi diminuisca il rischio che l’Albero li attragga a sé. Ma non ci giurerei troppo, c’è un’alta probabilità che invece li chiami proprio in quel momento».
Non lessi frecciatine nel suo tono né nelle sue emozioni. Era troppo maturo per lanciarmene e aveva accettato la mia decisione. «Sono contenta che tu abbia fiducia in loro».
«Certo che mi fido, non sono così indifesi. Avrei voluto essere forte almeno la metà di loro alla loro età».
«Ma tu alla loro età hai combattuto contro i Titani».
«Combattere fisicamente è un conto. Mi sto riferendo alla loro forza mentale. Non sono sicuro neanch’io che avrei resistito tanto quanto loro con una minaccia simile. Non sento la voce dell’albero, non so quanto sia forte, ma se persino dei ragazzini con un Cosmo sviluppato come loro soccombono, non oso immaginare me al suo posto».
Lo guardai sbalordita: non pensavo che fosse così insicuro e fragile dietro quella freddezza. Proprio vero che la Cloth non faceva il Cavaliere. Mi venne istintivo posargli una mano sul braccio e lui si arrestò. Mi guardò confuso. «Sono sicura che avresti combattuto». Gli sorrisi sentendomi le guance in fiamme.
Le sue restarono eburnee, ma i suoi occhi rossi si ammorbidirono, lasciando intravedere per la prima volta la loro tristezza. Per un momento la patina di brina che li ammantava si sciolse, rivelandomi tutta la bellezza delle emozioni che quello sguardo mi trasmetteva. Tutto il ghiaccio della sua persona mi sembrò diventare acqua che scorre. «Non lo so. Ho commesso così tanti errori nella mia vita…» Il suo sguardo si fece vacuo e capii che stava pensando a qualcosa che lo turbava.
Io sorrisi e gli dissi: «Perché sei umano». E quelle parole lo riportarono alla realtà, solo che mi guardò come se gli avessi appena fatto la rivelazione del secolo. Non mi sembrò di aver detto niente di così eclatante, ma per lui probabilmente era così.
Tolsi la mano dal suo braccio e la intrecciai con l’altra davanti alle cosce. Solo allora lui parve rinvenirsi dal suo stato d’incantamento e disse: «Astrid io, volevo chiederti scusa».
«Per cosa?»
«Per essermi comportato come un macaco e per averti respinto quella sera, alla festa». Fece arrossendo, girandosi completamente verso di me. «Mi dispiace sinceramente. Ti devo raccontare una cosa, ma…» Non seppi che cosa mi dovesse raccontare perché cambiò idea: «Niente, non è ancora il momento, fa conto che non ti abbia detto niente».
«Ok, sapevo che eri misterioso, ma ora anche strano no». Sdrammatizzai ridendo e cercando di calmare il cuore che mi batteva più forte. Lui inarcò un sopracciglio. «Misterioso?» Ripeté.
«Bè, sì. Non è che parli moltissimo e che tu sia molto espressivo. Non sai la fatica che faccio tutte le volte per decifrare le tue espressioni». Spiegai sentendomi arrossire ancor di più. 
«Ah, basta così poco per essere misteriosi?» Fece stupito cacciandosi le mani in tasca.
«Oh, sì, pensa che le versioni originali dei bad boys erano solo ragazzi taciturni che stavano sulle loro con un’aura di carisma e mistero che li avvolgeva. Alcuni non sorridono quasi mai, un po’come te». Mi sentivo sempre più cretina a parlargli così e lui mi guardava come se fossi stata una cretina.
«Non è un’offesa, è un complimento».
«Grazie, lo apprezzo molto, però non lo faccio apposta, sono fatto così».
«Anche loro».
«Loro nascono così dalla penna degli autori, noi no».
Non sembrò molto convinto: «Non so. Vero che i personaggi dei libri sono imitazioni della realtà, però è anche vero che in un certo senso anche noi siamo personaggi protagonisti della nostra storia personale».
«Ma se è così significa che il nostro destino è già predeterminato, che non abbiamo libertà di scelta alcuna e che non possiamo neanche ribellarci alla volontà dell’autore». Commentò sconsolato riprendendo a camminare e io lo affiancai. «E se così fosse chi è l’autore? Perché ci vuole così male? Dove sta la differenza tra noi e le persone vere?»
«Perché, non ti senti vero?»
«Sì che mi ci sento, però mi domando se siamo protagonisti di un libro, come faccia il nostro sangue a essere rosso».
Scoppiai in una risatina: «A parte che il mio è d’oro, ma credo di aver capito. I cattolici dicono che tutto fa parte del progetto di Dio, del Suo Disegno. Io penso che in realtà faccia parte di una storia. Per me gli Dèi non sono solo artisti, ma sono anche scrittori, con cui condividiamo la penna; siamo responsabili tutti della Storia che stiamo scrivendo». Lo sguardo di Camus  si fece pensieroso e io presi fiato e continuai: «Non credo che ci voglia male, semplicemente credo che in realtà ci lasci più libertà di scelta di quanto crediamo di avere. Lo so perché anch’io scrivevo storie e alcuni personaggi si muovevano e agivano già come fossero una cosa a sé stante da me. Io dovevo solo limitarmi a riportare le loro azioni. A mio parere sono i più realistici e i migliori; di loro devi modificare poche cose. E se noi siamo i personaggi delle nostre storie, direi che abbiamo molta libertà di scelta, il limite sta solo nella nostra testa, il nostro ostacolo più grande siamo noi stessi. Capisci quello che sto dicendo?»
Un sorriso curvò la sua bocca. Abbassò il capo: «Credo di sì».
«E poi, buona parte delle nostre decisioni le abbiamo prese da noi, no?»
«Sì».
«Allora va bene così».
«Mi sento un tale cretino per averle prese».
«Tutti si sentono dei cretini per aver preso le decisioni di cui ci si pente; non ci si può fare niente. Solo che non potevamo saperlo». E io la pensavo veramente così. Il ragazzo dai capelli rossi che mi camminava accanto mi guardò stupito: «Anche tu?» Sembrava che si fosse reso conto solo in quel momento che anch’io avevo qualcosa di cui mi ero pentita. Mi parve di scorgere una parvenza di speranza in quelle iridi normalmente gelide. 
Feci spallucce e sorrisi: «Certo, ma ormai le abbiamo prese, possiamo solo sperare di non prenderne troppe in futuro».
Tornò a guardare davanti a sé: «Se quello che dici è vero significa che anche gli Dèi crescono insieme a noi». Commentò, poi pensieroso. «Che c’è un po’ di essere umano negli Dèi e che negli esseri umani c’è un po’di Divino. Ma tutte quelle persone cui succede qualcosa di brutto allora? Anche quello fa parte degli scritti Divini?»
«No, quelle credo che siano solo disgrazie, non credo che gli Dèi siano così sadici e malvagi da fare del male a questo modo alle persone». E lo sapevo perché anch’io avevo riversato su alcuni personaggi le mie frustrazioni e la mia cattiveria in passato, soprattutto da adolescente. «Per quelli di carta e inchiostro a volte sono fantasie erotiche pornografiche e altre vero e proprio sadismo e sessismo. Gli Dèi non sono sessisti, razzisti o maschilisti; almeno su questo sono sicura e, almeno in questo, dovremmo imparare a prendere esempio».
Camus ci rifletté e alla fine disse: «Discorso interessante. Adesso devo andare dai Celti, spero che potremo riprendere la nostra discussione anche in futuro».
«Lo spero anch’io».

Mi aspettai che alla fine Aiacos non ci avrebbe chiamati e invece sì. Subito dopo cena ci dirigemmo al Padiglione della Caina e lì trovammo i tre Giudici Infernali ad attenderci.
A precederci c’erano già Camus e Valentine, Violate e un tizio canuto che non avevo mai visto prima. Valentine e Camus ci salutarono, Violante arricciò il labbro superiore in un ringhio e Rune ci scrutò altezzoso. «Ecco, questa è la Luce Ombrosa e la seconda in comando di Aiacos». Mi presentò Minos, ghignando come se il collega avesse fatto un pessimo affare nello scegliermi. E chissà, forse era vero.
«Hai dei begli occhi, Astrid Micheila av Stjernene».
«Grazie». Ed ecco che cominciò a starmi sulle palle. Così a pelle. C’era qualcosa in lui che mi infastidiva. Forse l’evidente puzza al naso o l’espressione apparentemente calma e con gli occhi chiusi? No, non era cieco. Li riconoscevo al volo i ciechi.
«Rune di Barlog». Si presentò completando una domanda che non era stata mai posta. Per me era Pico de Paperis punto e basta.
«Non era una domanda». Ribattei sprezzante e lo Specter mi guardò come a dire: “Stai zitta sei fastidiosa”. Che avesse l’emicrania o che fosse stronzo? Eppure da quello che ci aveva raccontato… com’era che si chiamava… Cloe l’amica di Menta, era lo stesso che aveva preservato il segreto sulle Luci Ombrose. «Adesso che i Black Saint si sono arresi è potuto uscire dal tribunale e affidare tutto ai miei sottoposti. E’ anche grazie al suo contributo che siamo qui a parlare oggi». Spiegò Minos continuando a ghignare.
«Credo che io e te dovremo parlare». Dissi a Rune. Anche se mi stava antipatico a pelle, avevo comunque dei quesiti da porgli a proposito della distruzione degli archivi del Millecinquecento.  E poi mi era parso di capire che non si schiodasse quasi mai dal suo posto. E se lo faceva non andava quasi mai più in là della Valle del Vento Nero. Doveva essere proprio un’occasione più che speciale se Minos l’aveva sollevato momentaneamente dai suoi incarichi. «Se ci sarà occasione». Ribatté quest’ultimo aprendo leggermente i suoi occhi dorati.
«Naturalmente». Poi mi accorsi del libro che teneva sottobraccio e gli chiesi cosa fosse: «Il libro dei morti».
«Ah, quindi ci sono anch’io?»
«Tutti i Vivi sono qui».  “E chi giudicherà il giudice quando sarà il suo turno di schiattare?” Pensai, ma me lo tenni per me.
Minos ci richiamò: «Ora che le presentazioni sono terminati vi pregherei di cominciare la riunione». La riconquista del Flegetonte sarebbe stata attuata da un gruppo di soldati scelti. C’eravamo io, Camus e i ragazzi, i Guardiani del Flegetonte, i secondi in comando dei Giudici Infernali e Sage di Cancer.
I tre Giganti Infernali ci spiegarono la loro mossa. Avrebbero mandato noi in avanscoperta e li avremmo dovuto trovare il passaggio per il Castello degli Inferi.
«Secondo il qui presente Sage esiste questo passaggio per gli Inferi che hanno celato sulle rive del Flegetonte. Voi lo dovrete trovare».
«Scusate ma sa di imboscata». Obiettai attirandomi gli sguardi di tutti.
Minos fece un sorriso sardonico: «L’avevamo intuito anche da soli, grazie, ma non ho dubbi che con le vostre capacità riuscirete nell’impresa. Naturalmente anche noi verremo con voi, ci terremo in disparte finché non avrete trovato il passaggio e noi non l’avremo attraversato».
Fu strano per me incontrare Rune di Barlog per la prima volta. Non immaginavo che fosse così simile a Mu, salvo i capelli bianchi e le sopracciglia normali e la puzza sotto al naso. Il Pico de Paperis degli Inferi era anche armato di una frusta. Il Pico de Paperis degli Inferi, altrimenti detto: «Della Stella del Cielo Eccellente», era fastidioso come un riccio nelle mutande. Non avrei mai creduto di dirlo, ma per la prima volta sperimentavo sulla mie pelle la veridicità di queste parole.
A fine riunione, una volta concordato con tutto, Rhadamantys ci chiese: «Tutto chiaro?» Guardandoci negli occhi uno per uno. Soffermandosi in particolar modo su di me. Non senza una qual certa minaccia, oserei dire.
Poi, demmo il via all’operazione.

Ci dirigemmo prima noi secondi in comando. Dato che ci saremmo dovuti muovere alla spicciolata, i primi furono Camus e Valentine con Sage. Poi andò Violate. Io e i ragazzini ci dirigemmo alle scuderie prendemmo un grifone e volammo laggiù. I Celti erano riusciti a salvarne alcuni dalla distruzione dell’accampamento.
A Tokaki fece impressione sistemarsi dietro di me e aggrapparsi alla mia vita per non cadere, mentre Raki no. Credo che a lei questo volo piacque. Io quasi mi ero dimenticata quanto fosse bello volare con queste cavalcature.
Atterrammo dietro un’altura e poi, scivolando silenziosamente tra i massi della piana dell’ultima battaglia, ci dirigemmo verso le rive. Stando al piano ognuno di noi si sarebbe recato in diversi punti strategici e poi ci saremmo riuniti nei pressi della Diga. Era una costruzione che avevano edificato i Black Saint nel tentativo di contenere il Flegetonte e usare l’energia geotermica che produceva, come nuova fonte di sostentamento. Ne ero venuta a conoscenza solo poche ore fa, ma mi sembrava ancora impossibile che avessero fatto una cosa del genere. Ecco da dove si era originata questa piana! Era il letto del fiume originale. Santo Cielo, ma quanto era grosso il Flegetonte?
Saperlo non mi aiutava a stare tranquilla. Era solo per via di Raki e Tokaki che non davo di matto. A dirla tutta i ragazzini sembravano più preparati di me per queste situazioni. E non mi sorprendeva più di tanto: erano addestrati per questo. Avevo solo da imparare da solo.
Anche se buona parte dei Black Saint e dei loro alleati si erano arresi, una piccola cellula continuava ancora a imperversare ed eravamo più che sicuri che, se le congetture erano giuste, avessero collocato il passaggio per la Giudecca da queste parti. Visto che la Diga era protetta con le unghie e coi denti. Anche le Bestie della Notte avevano avuto non poche difficoltà a sgominarli. Anche se di loro erano sopravvissuti pochissimi, erano riusciti a darci questo piccolo margine di tempo per agire prima che i nemici tornassero.
Ora, sperai che Sage possedesse effettivamente le chiavi per accedere alla Giudecca.
«Eccoli!» Esclamò Raki indicando davanti a me. Guardai nella direzione indicata, ignorando l’ammonimento di Tokaki sulla distrazione e li vidi anch’io.
Li raggiungemmo e il gruppo ci accolse con qualche domanda e alcuni sguardi: «Avete incontrato gli altri?», «Ci sono stati problemi?»
«No, tutto tranquillo».
Aspettammo che arrivassero anche i restanti del gruppo, ossia Rune e Violate. Poi aspettammo.
Passò il tempo, troppo tempo. 
«Ci dev’essere qualcosa che non va». Fece Rune a un certo punto, guardando preoccupato la Diga. «Stando al piano avrebbero dovuto far saltare in aria la Diga come diversivo, perché ci mettono tanto?» Chiese sporgendosi leggermente oltre il nostro nascondiglio.
Guardai Raki preoccupata: «Raki, tu senti qualcosa?»
La ragazzina scosse il capo: «No, è come se qualcosa bloccasse le mie facoltà, non riesco a percepire i pensieri».
«Merda!» Sibilò Valentine mentre Camus si accigliò ancora di più.
«Sono stati intercettati?» Domandò Violate.
«É possibile, ma non temete, Death Mask saprà cavarsela». Ci garantì Camus e a me il cuore dette un colpo più profondo per la sorpresa: Death Mask? Guardai Camus sbalordita e feci per chiedergli di ripetere quando sentimmo un botto.
Noi che eravamo rimasti indietro ci sporgemmo dal nostro nascondiglio e vedemmo lampi di luce verde e rossi balenare sulla Diga e l’eco dei colpi e di risa sguaiate. «Che succede?»
«Non lo so! C’è qualcosa che mi blocca!» Esclamò Raki.
Io e Camus guardammo Sage. Il quale ricambiò il nostro sguardo con calma, impassibile. L’aria di chi aveva il coltello dalla parte del manico. Era lui che stava bloccandola. Camus fece per colpirlo ma l’ex Pontefice saltò via con uno scatto che non gli avrei mai fatto proprio.
«Camus!» Urlai.
«É stata opera tua, non è così?» Urlai io. Ma l’uomo non rispose. Non gli interessò. Perché? Perché tutto questo disinteresse? Un soldato di solito non ragiona così. Anche il Grande Sacerdote era sempre molto attento. Non avevo visto nessun Saint agire così, tranne quelli che avevano qualcuno su cui contare.
E in quel momento capii. Tesi il falcione verso Raki e spinsi leggermente la punta verso la sommità del suo capo. L’aria sopra la sua testa si ruppe con uno schianto, come se qualcosa di invisibile l’avesse tenuta in scacco fino a quel momento. Accidenti, come avevamo fatto a non accorgercene?
E il peggio era che era reale, colpendola avevo sentito chiaramente qualcosa di solido scivolare via.
Raki crollò in ginocchio e respirò forte.
«Raki!»
«Sto bene, io sento di nuovo tutto!»
No, aspetta, la presa su di lei non poteva essere così forte. A meno che non fossero… «Non fossero in due!» E, per la prima volta guardai alle nostre spalle e lì, per la prima volta, lo vidi. Il gemello di Sage. 
E io sgranai gli occhi nel trovarmi di fronte una copia sputata di Sage con i capelli legati e la Silver Cloth di Ara indosso. «Fratello!» Chiamò Sage. L’uomo spostò lo sguardo sul gemello con la Gold Cloth che stava affrontando Camus e poi guardò di nuovo noi due. Ma a differenza di don Avido, che sembrava così prodigo di parole, lui non disse niente.
«Stai indietro e continua a bruciare il Cosmo, Raki. Tokaki, pensa tu a proteggerla». Gli ordinai materializzando il falcione di Cosmo. 
Il ragazzino alle mie spalle obbedì.
Il lemuriano continuò a fissarmi incuriosito. Ancor di più quando tesi l’arma verso di lui.
Poi, mi ritrovai sollevata in aria senza sapere come. «Astrid!» Urlò Raki, spaventata in coro con  Tokaki. «Tu credi seriamente di poter combinare qualcosa?» Mi chiese il gemello di Sage.
«Lasciami subito andare!» Urlai a squarciagola espandendo il mio Cosmo con sì tanta forza che lui mollò la presa e io cascai a terra.
Poi sentimmo il boato. Ci girammo a guardare verso la Diga e la vedemmo crollare. Il fiume di lava fuoriuscì con una violenza che non gli facevo sua. La botta di calore e l’onda d’urto ci stordirono.
Ci rinvenimmo quel tanto che bastò per scappare via.  
Ma il gemello di Sage ci inseguì.
Così restai indietro ad affrontarlo.
«Vuoi combattere contro di me?»
«Sì!»
«Astrid!» Mi chiamò Raki.
«Andate!» Urlai. Dovevo catturarlo, almeno lui. 
«E sia».
Non potevo fare a meno di avere paura. Una paura folle nel vedere il Flegetonte destarsi in tutta la sua potenza. Capii immediatamente che questo fiume infero non mi avrebbe mai ascoltato. Che neanche le Lacrime di Kalì avrebbero potuto niente contro la lava incandescente.
Ma prima che potessi chiamarle qualcuno mi afferrò e mi spostò. «Death Mask?» Esclamai stupita.
«Che cazzo ci fai qui, imbecille?» Sbottò lui adirato quando mi riconobbe.
«Io? Che cazzo ci fai tu qui!» Sbottai a mia volta, per le rime.
«Non è il momento!» Esclamò con un basso ringhio facendomi scendere. Ah, loro dovevano essere la squadra di riserva che sarebbe entrata in azione nel momento in cui ci fossimo fatti scoprire.
«Non è il momento signorina». Ci redarguì pacatamente un tizio con una sgargiante parrucca rossa in testa che ci passò accanto per respingere alcune fiammate con un colpo dal nome lungo come un treno.
«Scappa!»
«E voi?»
«Noi sopravvivremo!»
«Death Mask!»  
«Fa come ti ho detto!» Poi saltò via.
Col cazzo che avrei cercato di fare l’eroina. Seguii il suo consiglio. Avevo già avuto fortuna con la lava una volta, non ne avrei avuta una seconda. Improvvisamente non so cosa successe, ma fu afferrata alla vita e fui scagliata via. Riuscivo solo a vedere Sage che se la filava con il suo gemello e io che non riuscivo ad afferrarli. No, non poteva finire così, dovevo scoprire dove andavano, perciò arrestai la caduta bruciando il mio Cosmo e, con il falcione, che conficcai nel terreno, evitai di cadere in uno strapiombo. Con quello mi rialzai e inseguii i due. Erano molto più veloci di me e a un certo punto a causa del caldo quasi mi sentii svenire e li persi di vista.
A quel punto sarei voluta tornare indietro, ma quando mi guardai intorno mi accorsi che ero su un picco di ciò che restava della diga, mentre il Flegetonte si impossessava di nuovo del suo immenso letto.
E fu allora che vidi poco più in basso Rhadamantys che cercò di tirarsi su mentre la roccia sotto di lui franava. Nelle sue azioni e nei suoi occhi lessi la paura. Poi si accorse che stavo cercando di tirarlo su e riacquistò la sua espressione bestiale: «Lasciami andare, idiota!» Urlò cercando di scacciare la mia mano sudata dalla sua Surplice rovente. Anche i pezzi della mia erano caldi e mi ferivano, ma non potevo perdermi in sottigliezze. Non con una vita da salvare, anche se avrei voluto vederlo morire. Alla zia era necessario.  
«Col cazzo!» Strillai a mia volta.
Con uno sforzo sovrumano aiutai uno sbalordito Rhadamantys a issarsi sulla roccia. Appena un attimo prima che la lava inghiottisse la roccia sottostante. Poi quando si girò verso di me gli puntai il pugnale sotto il mento, laddove la Surplice non lo rivestiva. Non avevo mica scordato come ragionassero.
«Che cosa?» Esclamò sorpreso, prima di scoccarmi un’occhiata piena di rabbia. L’occhiata di una viverna incavolata. Una parte di me considerò di star giocando col fuoco, ma non glielo diedi a vedere, con uno sforzo non da poco. «Ora fammi qualche scherzetto e ti trapasso la testa, intesi?» Lo minacciai. Lo Specter sgranò gli occhi gialli tendenti al verde chiaro: «Sei pazza! Non farai mai una cosa del genere, la tua mente non può sopportare oltre, Gemini».
«Posso, invece. Se è per difendere me stessa!» Ribattei risoluta continuando a sostenere quello sguardo. «E poi io non sono il Cavaliere di Gemini, io sono l’apprendista del Cavaliere d’Oro Odysseus di Ophiuchus!» Sbottai esasperata, rivelandogli finalmente la verità.
Lo Specter mi guardò sconcertato. «Odysseus di Ophiuchus…» Ripeté sgranando ancor più gli occhi, la rabbia definitivamente annientata dallo stupore.
«Esatto, quindi ti conviene fare il bravo, altrimenti ti ammazzo io». Ridissi per sicurezza, mentre mi gustavo questa sensazione di potere datami dalla posizione in cui ci trovavamo. La sua attenzione era tutta su di me e, decisi che l’avrei sfruttata. Solo con il senno di poi mi resi conto della stupidità delle mie parole. Però non gli detti il tempo di fiatare che continuai: «Ora, tu sai che io sono stata mandata qui per salvarvi, sai che Pandora è la mia madrina, sai che ho, cioè, sono la Luce Ombrosa che controlla le Creature, sai che ho questi poteri e sai anche che se lo desiderassi potrei estinguervi tutti in un colpo solo, fregandomene altamente di quello che potrebbe succedere con Pandora, Hades e il mondo; perciò, resta nei ranghi, chiaro?» Ribadii per sicurezza, senza staccare gli occhi dai suoi neanche per un secondo.
Sebbene avesse considerato di spintonarmi giù dal pinnacolo, lo Specter non ebbe altra scelta che obbedire.
Tolsi il pugnale dalla sua gola e lo tirai su completamente. «D’accordo, signorina, adesso cosa facciamo?» Chiese. Un’idea, mi serviva un’idea e alla svelta. Avevo solo i poteri della Luce Ombrosa su cui fare affidamento. «L’unica sarebbe volare». Dissi io. L’altro mi guardò e disse: «Mi hanno rotto un’ala». Ed effettivamente l’ala sinistra era stata spezzata. Accidenti.
«Te la aggiusto io, ma tu vola!» Poi mi aggrappai a lui e, con i miei poteri, riuscii a ricreare le punte dell’ala lesa.
Per la prima volta mi resi conto che quelle ali potevano davvero essere molto di più che semplici decorazioni. Rhadamantys mi strinse a sé di lato, piegò le ginocchia e volò dandosi lo slancio un attimo prima che un’onda di fiamme e lava sommergesse il nostro scoglio.
Ma proprio allora il Flegetonte si destò e una figura umana di lava e fiamme ci vide e cercò di acchiapparci. Rhadamantys mi lanciò via e poi, con l’aiuto di Valentine e Camus, che evocarono il Cocito, affrontò il Flegetonte.
Urlai a squarciagola. Improvvisamente la mia parabola ascendente si arrestò e mi ritrovai sospesa a mezz’aria. “Presa!” Esclamò la voce della mia allieva nella mia testa.
«Raki!» Esclamai girandomi verso di lei, che era in piedi su una roccia accanto al nostro grifone. Tutti gli altri erano insieme a lei. Non ero più stata più felice di sentirla e di vederla.  Nel frattempo il freddo del Cocito si scontrava con le fiamme sollevando delle coltri di vapore talmente dense da impedire la visuale.
La ragazzina sorrise e, mi posò con gentilezza su un picco vicino.   
Tutti gli altri ci corsero incontro. «Dov’è Rhadamantys?»
«É rimasto indietro!» Corsi verso il bordo del crepaccio e lo vidi svenuto su una distesa di ghiaccio, accanto a Valentine che cercava di trascinarlo via. Il ghiaccio si scioglieva sempre più velocemente. Anche Valentine era ferito e non riusciva a bruciare il Cosmo. Come se non bastasse, le Creature stavano già volteggiando attorno agli Spiriti del Cocito e del Flegetonte che erano impegnati in un serrato corpo a corpo che scuoteva la terra e il cielo. «Sbrigati, Valentine!» Urlò Rune.
«Pazzo! Se brucia il suo Cosmo le Creature smetteranno di volteggiare e lo ammazzeranno!» Urlai.
«Non possiamo raggiungerlo! Non ci sente!»
Però potevo volare. Saltai in groppa al grifone e, con un colpo di talloni lo spinsi in volo. Poi, lo feci scendere verso i due. Valentine sistemò Rhadamantys davanti a me sulla groppa dell’animale e lui si lasciò afferrare dalle zampe rapaci dell’animale per volare via appena in tempo. Ma eravamo troppo pesanti.
Lanciai un filo di energia verso Minos, agganciandomi così alla sua stella. Ma non avevo calcolato la velocità delle correnti che i due Spiriti avrebbero generato. Perciò lanciai altri fili, non senza difficoltà finché non riuscii a creare un vero e proprio cavo.
Fummo strattonati verso le rocce e per poco non ci impattammo. Fortuna che i ragazzi ci soccorsero prima grazie ai poteri telecinetici di Raki e, facendo leva sulla loro forza e sui loro Cosmi, riuscirono a tirarci su.
Mi sentivo come se mi si stessero staccando le braccia. Perciò lanciai altri fili che, intrecciandosi al primo crearono una corda, che, assicurò saldamente alla mia presa. E non riuscii a trattenere il grido di dolore che uscì dalla mia bocca. Le Creature si accostarono a noi e il Grifone sgroppò. Non so come riuscimmo a non farci disarcionare mentre cercava di allontanarle.
Raki ci tirò su più rapidamente e ci posò sulla terra.
Valentine balzò via un attimo prima che il Grifone potesse toccare terra. Invece io e Rhadamantys fummo sbalzati via. Se qualcuno si appressò a me chiamandomi ripetutamente, «Astrid, Astrid! Stai bene?» qualcun altro fece lo stesso con la Viverna. Non so chi. Ero troppo dolorante per saperlo. E, presto, persi i sensi. 

Quando rinvenni mi ritrovai a fissare il soffitto della tenda ospedaliera. Poi sentii tutto il resto. Per un momento ebbi un terribile dejà-vu che mancò poco mi procurasse una crisi. A impedirmelo ci pensò quella graziosa voce che il mio connazionale si ritrovava: «Oh, era ora che ti svegliassi! Così posso cantartele come meriti!» Sbottò facendomi sussultare. Lo guardai istintivamente. Indossava la Gold Cloth di Cancer ed era incazzato nero. Non l’avevo mai visto così adirato prima. 
«Death Mask!» E poi la mia voce si ruppe in un gemito di dolore che mi fece versare delle lacrime. Solo in quel momento percepii anche il bruciore terribilmente famigliare sulla pelle. Mi tornò in mente tutto e sussultai. Mi guardai.
«Mi spieghi che cazzo ci fai tu qui? Dovresti essere al sicuro al Santuario! Come ci sei arrivata? Perché?» Mi urlò fregandosi altamente del fatto che fossimo dentro la tenda ospedaliera e che i medici e le Velate stessero arrivando. Uno di loro lo rimproverò mentre una Velata mi risospinse tra i cuscini e mi fece l’elenco delle ferite riportate. Peccato solo che non capii quasi niente a causa dell’inveire di Death e del dottore che cercò di mandarlo fuori. Capii solo che a causa delle esalazioni del magma e delle sostanze disciolte ero rimasta intossicata per un po’ e a salvarmi era stata la Dark Resurrection.
Allontanai l’infermiera e, in quel momento mi resi conto che i pezzi della mia Surplice mi erano stati tolti. Poi, feci leva sul mio Cosmo e le ferite furono cancellate, sia nel fisico che nella mente. Quest’ultima soprattutto grazie all’Anesthesia.
Ringraziai la Velata per tutto e le dissi di prendere l’occorrente per togliermi le bende. La Velata eseguì. Poi, mentre mi liberava, richiamai Death, il quale sgranò gli occhi. Solo dopo realizzò che stavo di nuovo bene, proprio come nuova: «Ma tu fino a un momento fa non eri ferita?» 
«Il bello di saper usare la Dark Resurrection». Spiegai alzando le spalle. Mi sorpresi di me stessa. La vecchia me non si sarebbe mai comportata così tranquillamente di fronte a lui.
Ma ora le crisi erano ben lontane.
Poi lo guardai: «Non te l’hanno detto? Alla fine avevo ragione io, al Santuario».
«Ragione su cosa?»
«C’era davvero qualcuno che mi parlava ed era il mio maestro».
«Maestro? Aspetta, che cosa vuol dire? Che minchia stai dicendo?» E glielo confessai. Ci restò di sasso. Sulle prime pensò che lo stessi prendendo in giro e sghignazzò: «No, dai è impossibile, mi stai prendendo per il culo, è chiaro. Cioè, tu… no, dai è assurdo, non puoi essere…» Farfugliò, la bocca curva in un sorriso, pronto a sparare una risata sguaiata delle sue.
«Una Saint?» Domandai e lui smise di ridere per guardarmi allibito. Batté le palpebre e mi guardò dritto negli occhi. Si avvicinò di un passo e scrutò a fondo nei miei. Io sostenni i suoi senza problemi. Non mi facevano più paura quelle iridi blu spettrali. Avevo visto occhi più spaventosi qui. «No, aspetta, stai dicendo sul serio? Cioè, tu sei davvero una Saint?»
Sorrisi.
Lui si ritrasse e si raddrizzò continuando a guardarmi come se non mi riconoscesse. «No, non è possibile».
«Mi sembrava fosse chiaro che non ero così indifesa, Death». Dissi mentre crollava di nuovo a sedere sulla sedia accanto alla mia branda. Si tolse l’elmo a maschera e si passò una mano tra i capelli che avevano bisogno di una spuntata. «No, dai, è pazzesco; ma quindi tu sei il Gold Saint di Ophiuchus?»
«Così sembrerebbe». Ribattei. Fu veramente strano, ma anche piacevole, per una volta, ritrovarmi a bisticciare di nuovo con lui. Sapeva di casa. Mi era mancato, anche se stavamo parlando di un tipo poco raccomandabile.
Certo, non mi sentivo per nulla al sicuro ad averlo vicino. Non mi ispirava fiducia, né mai l’avrebbe fatto. Però era pur sempre un barlume del Regno dei Vivi, proprio come me e Raki. La sua presenza mi diceva che ero più vicina a casa di quanto pensassi. Anche se ormai mi trovavo abbastanza a mio agio, qui.
Death Mask guardò altrove senza vedere niente, perso nelle sue elucubrazioni. «E al Santuario? Cosa ne pensano?» Chiese infine, guardandomi di nuovo. Capii che se arrivava a formulare una domanda del genere significava che era veramente sconvolto. Lui di solito se ne infischiava allegramente di ciò che pensavano Lady Isabel e il Sommo Kanon. 
«Non l’hanno presa molto bene, ma se ne sono fatti una ragione. Se vuoi posso raccontarti tutto».
«Sì, credo che sia il caso».  
Mi feci passare un bicchiere d’acqua che avevo una sete tremenda e poi gli raccontai ogni cosa, da quando lui era partito a quando avevo affrontato e sconfitto Neera. E poi, tutto quello che era successo dopo che qualcuno mi aveva salvato la vita teletrasportandomi qui. Lo shock più grande per lui, fu apprendere che Lady Pandora fosse la mia parente più stretta. Lì veramente volle sapere ogni cosa.
«Ecco perché tua madre quando mi apparve si portò dietro gli Specter». Rimuginò a mezza voce mentre io carezzavo la mano di Menta. Nel frattempo mi ero cambiata. Mi avevano dato un vestito nuovo che mi lasciava scoperte le spalle e una gamba, ma mi sentivo nuda senza la mia Surplice. Menta non si era ancora risvegliata, ma secondo i medici era stabile e, questo era già tanto.
Poi chiesi a Death che cosa era successo quando avevo perso i sensi.   
Mi raccontò che avevano rianimato Rhadamantys, che si era ripreso immediatamente. Stranamente, visto che persino Camus ci aveva messo tre giorni per riprendersi. Così mi avevano detto e, mi aveva fatto visita tutti i giorni che aveva potuto. Questa suo gesto mi scaldò le guance.
Io mi ero svegliata il giorno dopo la sua dimissione. Ma lui non era venuto, aveva da fare con gli altri, aveva detto Death.
Gli chiesi anche degli altri, se fossero riusciti a portare a termine il piano e lui disse di sì e che non dovevo preoccuparmi.
Comunque Death si sforzò di recuperare per me i dettagli (dopo una supplica) e lui mi disse: «Quando si è rinvenuto ti ha guardato come a dirti, Mi hai salvato, nonostante quella brutta faccia che si ritrova. Ma non ti ha attaccato. Ti ha dato le spalle e ha ordinato che ti curassero».
Annuii stringendomi nelle spalle: «Ora dov’è?»
«E che ne so, mica sono la sua balia!» Sbottò guadagnandosi delle occhiatacce dai medici e dai pazienti. 
«Comunque non ti credere, il fatto che mi abbia risparmiato non significa niente». Ribattei io, spostandomi i capelli sulla spalla. E il mio compagno commentò, accorgendosene solo in quel momento: «Ti sono ricresciuti». Io annuii, adesso mi arrivavano cinque centimetri più in basso del seno. Poi si rinvenne e riprese il filo del discorso. «Adesso me lo dici che cosa cazzo ci fai qui?» Sbottò il mio connazionale adirato. Comunque se ero sopravvissuta al Flegetonte adesso potevo affrontare Pandora.

«Abbiamo riconquistato il Flegetonte grazie a te». Si complimentò la mia madrina, poi un’ombra passò sul suo volto. E parlò in tono più preoccupato e ansioso, nonostante la voce sottile. «Non puoi neanche immaginare quanta paura abbia avuto quando ho scoperto che tu eri presente».  Avevo chiesto udienza da lei nell’immediato, appena dopo colazione e dopo essermi sorbita gli interminabili rimbrotti di Death. Più che colazione merenda strappata a viva forza dalle cucine, ma dettagli.
La zia me l’aveva concessa subito, come se non avesse aspettato altro per .
«Dovrebbe essere un rapporto per la mia condotta?»
«No, dovrebbe essere una ramanzina».
La guardai senza capire, anche se il mio cuore osò sperare. «Una ramanzina?»
«Certo, per cosa credevi che ti avessi interdetto l’accesso al Fiume, per sport?» Domandò e, in questa domanda ritrovai un po’del sarcasmo di mia madre.
«Credevo che fosse perché vi servivo». Confessai.
Lei sgranò gli occhi viola e, nelle sue iridi lessi lo stupore e il dolore. «Come puoi pensare che io ti sacrifichi così?» Domandò spaventata, cercando di non far tremare la voce. «Non capisci che per me sei più importante della mia stessa vita?»
«Perché sono la Luce Ombrosa».
«No, questo non è vero». Sussurrò scuotendo il capo. Poi colmò la distanza tra di noi e mi incorniciò la faccia tra le mani. E mi fu impossibile non percepire il suo dolore. Ed era straziante. Mi sentii improvvisamente fragile, come se i pezzi della mia surplice fossero il mio esoscheletro e senza di essa fossi gelatina. Una lacrima le scivolò sulla guancia: «Come ti viene in mente una simile stupidaggine?»  
«Non ne voglio parlare».
«Perché?»
«Non ne voglio parlare, tutto qui, non c’è un perché».
«Dimmelo, Astrid, che cosa c’è? Perché dubiti di me a tal punto?» Era sempre da lei che andavo quando litigavo con la mamma da piccola. Era suo il letto in cui mi infilavo quando avevo gli incubi. Da che avevo memoria lei c’era sempre stata per me. Assieme a Rhadamantys e più di lui.
Sentii gli occhi riempirmisi di lacrime e, quando parlai, del discorso che mi ero preparata, riuscii solo a esalare: «C’entra, c’entra tutto». Feci un respiro tremolante e battei le palpebre. Ero sull’orlo del pianto anch’io, mentre mi rendevo conto che forse avevo preso una cantonata. Ma non volevo fidarmi troppo della mia speranza e del mio cuore. Avevo troppa paura di sbagliarmi. «È perché io sono…»
«No. Non posso cancellare quello che sei stata e che sei ancora e che sarai per tutti questi secoli. Hai compiuto tante nefandezze, le tue mani sono sporche di sangue come le mie. E non si toglierà mai, proprio come per me. Sto cercando di evitarti perché ti voglio ancora bene. In questi giorni ho scoperto molte cose su di me e ho paura, perché a causa di tutto io… Io…» Singhiozzai. Mi sforzai di continuare: «Mi aggrappo ancora ostinatamente all’idea che tu mi voglia bene perché sono io. E mi fa ancora più male che se mi avessero spezzato il cuore. Altrimenti dovrò pensare che per te io non sia altro che la Luce Ombrosa, lo strumento che il Divino Hades vi ha mandato come arma di risoluzione e che tutto quello che è successo finora, la nostra famiglia, il bene che ci siamo volute, altro non fosse che un sogno crudele».  
A quelle parole mi guardò inorridita e scosse il capo: «No, no, questo no Astrid. Non ho mai pensato questo, non ti ho mai visto così. Ogni cosa che ho fatto da quando sei nata a ora è stato per te e solo per te. É per permettere a te di vivere una vita felice che io ho sacrificato la mia riprendendo il mio ruolo di Sacerdotessa. A darmi la forza di rialzarmi sconfitta dopo sconfitta eri tu. Mi dicevo: Non posso mollare, non posso, io sono l’unica che può fermarli e li fermerò, per la mia bambina. Anche se questo mi teneva lontana da te non m’importava, perché quando alzavo gli occhi al cielo sapevo che tu eri viva ed eri sotto lo stesso cielo, che forse in quello stesso momento lo stavi guardando. Che mi avresti telefonato o mandato un messaggio. Anche se non ci siamo viste per quasi dieci anni, tua madre mi ha sempre parlato di te, mi ha sempre detto tutto».
«Zia…»
«L’unico motivo per cui vivo, per cui combatto e sono qui adesso, non è Hades, sei solo tu». Poi sollevò i suoi occhi viola pieni di lacrime di dolore su di me ed ebbi voglia di abbracciarla. Sentii finalmente la faglia immaginaria che si era aperta tra di noi, richiudersi. Istintivamente volli avvicinarmi di nuovo a lei anche fisicamente. Non pensavo che sarebbe arrivata a tanto per me. Non pensavo che ci fossero tante persone a proteggermi a prescindere, solo perché ero io e non perché ero la Luce Ombrosa. «Zia… Io, io non immaginavo». Cercai di scusarmi, anche se le parole mi sembrarono vuote e inutili.
«Come ci siamo ridotte a volerci così male, Astrid?» Pianse lei.
«Non lo so».
«Perdonami, piccola mia, perdonami, non era mia intenzione allontanarmi».
«Credevo fosse per via del tuo ruolo, di Hades…»
«Lo so, può sembrare, ma non è così. Anche a me riesce ancora difficile immaginare che tu possa essere diventata e metterti così in pericolo, è colpa mia, non dovevo dirti di lasciarmi, quel giorno».
«Zia, per favore, lo so che anche tu sei sconvolta e so che anche tu, come me, non mi riconosci. Ma io sono sempre stata così, è solo che ve l’ho nascosto finora». La zia mi guardò stupita e domandò: «Tu sapevi già di avere tutto questo potere? Questo Cosmo?»
«Sì, certo che lo sapevo».
«Perché non me l’hai detto prima?» Chiese mettendomi le mani sulle spalle.
«Perché non mi fidavo».
Le sue mani abbandonarono le mie spalle e distolse lo sguardo. «E non ti fidi tuttora».
«No». Ammisi, sincera.
La zia si allontanò e si accasciò sullo scranno, provata da tutto il dolore e la stanchezza. Si portò una mano alla fronte. «Oh, e dire che avevo sperato di tenerti al sicuro. Invece, prima tua madre e adesso te, mi sembra che tu stia andando in un luogo dove io non possa più raggiungerti. Non dovrei sentirti così lontana eppure è proprio così che ti sento. Questo dolore avrebbe dovuto unirci non dividerci».
«Io…»
«Io vorrei che tu guardassi oltre la Sacerdotessa degli Specter». M’implorò. Scossi il capo e dissi: «Sto cercando di farlo, credimi. Ma non è tenendomi lontana da te che la risolveremo».
«Non puoi chiedermi di farti rischiare tanto». Sussurrò orripilata, gli occhi ancora sgranati. Se possibile mi parve che avesse perso quel poco di colore che aveva.
Le presi i polsi e tolsi dolcemente le sue mani dal mio volto. Poi, spostai la presa sulle sue mani e dissi: «Non lo sto chiedendo. Considerala la costatazione di un fatto. Ho già perso la mamma, non lascerò che mi portino via anche te; devi solo darmi del tempo per riconoscerti anche così. Non so come ti vedono gli altri, ma per me, tu sei sempre la mia tata, la mia madrina e la mia cara zia».  Quel vecchio trombone di Sage non conosceva tutte le sfaccettature delle vicenda. Vidi i suoi occhi viola riempirsi di lacrime e poi, la Sacerdotessa degli Inferi mi strinse a sé. «Bambina mia, mio tesoro. Mi dispiace, mi dispiace tanto per tutto. Perdonami per averti lasciata sola, perdonami». E, in quel momento seppi che era ancora la mia cara adorata zia. Ricambiai la stretta sorridendo. L’abbraccio tra noi si sciolse lentamente. 
«Cosa c’è?» Domandò lei, accorgendosi del mio turbamento. «Menta…» Iniziai angosciata. Ero preoccupata per lei. Il suo sguardo si ammorbidì e mi carezzò la guancia. Poi mi spostò una ciocca dietro l’orecchio e sorrise: «Capisco, va da lei».
La guardai preoccupata. Una parte di me era già corsa via, ma l’altra restava lì insieme a lei. E i miei piedi sembravano incollati al terreno. «Ma tu?»
«Io ti aspetterò. Va da lei».  
«D’accordo. A dopo». 
Non feci che tre passi fuori dalla tenda quando mi sentii afferrare per un braccio e trascinare di lato.
Solo dopo riconobbi le ali della Surplice di Rhadamantys. «Rhadamantys?» Esclamai esterrefatta prima di cercare di liberarmi, ma lui non mollò la presa neanche un attimo.
Lui mi trascinò nel Padiglione dell’Antenora dove erano riuniti anche gli altri due Giudici. I quali quando ci videro si alzarono dalle sedie. Rhadamantys mi strinse entrambe le braccia e inchiodò lo sguardo al mio: «Cosa significa quello che hai detto sulla roccia?»
«Quello che ho detto, sono veramente l’apprendista del Cavaliere d’Oro di Ophiuchus!» Esclamai liberandomi con uno strattone. Pensavo che mi avrebbe riacciuffato e invece: «Espandi il tuo Cosmo». Ordinò.
«Perché?»
«Tu fallo». Eseguii continuando a scrutarli guardinga e Minos sibilò una trafila di ingiurie mentre Aiacos, che si era nuovamente seduto, balzò in piedi ed esclamò, inferocito: «Come pensavo, siamo stati raggirati».
«Quel farabutto!» Ringhiò Minos.
Strabuzzai gli occhi e smisi di bruciare il Cosmo. “E questa che diavolo di reazione è?”: «Cosa? Aspettate, mi sono persa, che cosa sta succedendo? Che cosa state dicendo?» Chiesi confusa.
A rispondermi però fu il Grifone: «Quando ti abbiamo aggredita non eravamo in noi, ci hanno fatto il lavaggio del cervello e ci hanno usati per tenere in piedi gli Inferi. Per il resto del tempo eravamo imprigionati e separati dal nostro Signore, ci usavano come tre pilastri per il nuovo regno dei Black Saint. Ma ricordiamo chiaramente che qualcuno ci ha raggiunto, ci ha lanciato il Fantasma Diabolico e ci ha spedito contro di te, poi ci ha rinchiuso di nuovo nelle nostre prigioni». Raccontò.
«Tutto quello che riuscivamo a ricordare era che dovevamo ammazzare te e che era stato un Gold Saint a mandarci sulla Terra. Perciò quando nella tua città abbiamo avvertito i Cosmi di Cancer e Pisces, abbiamo pensato che fosse stato uno di loro». Spiegò Rhadamantys.
«Cosa? Ma quei due come potevano trovarsi negli Inferi? E, soprattutto, come potevano utilizzare quella tecnica? Sono pochissimi al Santuario che ne conoscono l’esecuzione e posso garantirvi che Death Mask e Aphrodite non sono tra questi!» Esclamai allibita. «Solo perché siamo sulla stessa barca non significa che collaborerò con voi». Dissi, intuendo dove volessero andare a parare.
«Non siamo qui per proporti un’alleanza. Ma solo per trovare una conferma ai nostri sospetti, di te non ci importa niente». Ribatté la Viverna in tono aspro e sprezzante. «Capisci, adesso, la nostra rabbia? Siamo stati usati tutti e quattro». Ringhiò.   
«Se è così come avete fatto a uscirne?»
«L’estinzione per mano delle Creature ha annullato gli effetti del Fantasma Diabolico e, quando siamo rinvenuti, tu ci avevi appena riportato in vita. Al resto hanno pensato Lady Pandora e i medici degli Inferi in questi mesi». Concluse Minos. «Adesso crediamo che il mandante fosse in realtà Odysseus di Ophiuchus».
A quel punto strabuzzai gli occhi e sbottai: «É assurdo! Perché il mio maestro avrebbe avuto bisogno di farmi una cosa simile?»
«Non ne ho idea».
«Perché dovrei credervi?» Replicai sospettosa. «Potevate rinvenirvi prima».
«Prima avevamo altro di più importante cui pensare». Disse Aiacos. “Capisco… Adesso che erano semi liberi erano anche liberi di cominciare a pensarci”. Mi sembrò abbastanza logico e, mi sorprese come fossero riusciti a mettere da parte questo fastidio per la Guerra. Ma ormai avevo imparato a conoscerli, sapevo quanto fossero orgogliosi e tenessero al loro onore. Quasi più che alla loro stessa vita. Per loro essere usati a questo modo doveva essere ancora più umiliante che essere preda dei Black Saint. Per me era sconcertante pensare che Odysseus si fosse schierato dalla parte di Don Avido. E che avesse usato anche me per infiltrarsi nel Santuario. Già, il Santuario! Non ci avevo più pensato da quando ero qui! Accidenti. Chissà cosa era successo in queste settimane che ero rimasta bloccata qui.
«Siete davvero sicuri che non sia stato qualcun altro?» Indagai, giusto per sicurezza.
«Impossibile, le anime di coloro che combattemmo due secoli fa si sono già reincarnate e, attualmente sono i Cavalieri d’Oro».
«Odysseus di Ophiuchus non ha ricevuto il permesso di reincarnarsi». Aggiunse il Giudice canuto.
«Ma se è così come ha fatto a rinascere?» Domandai.
«Non è detto che sia rinato». Osservò Aiacos pensieroso, ma non meno incavolato. I due colleghi capirono immediatamente, io no: «Che cosa intendi?» Chiesi sedendomi a mia volta su una sedia.
«Potrebbe darsi che sia evaso dal suo girone, memore di quella volta che risorse per permetterci di conquistare il Santuario e ammazzare Atena prima della Guerra, ricordate?» Io non avevo la più pallida idea di cosa parlassero. Ma Aiacos sì, lo capii dal modo in cui annuì. 
«Perché, lui dove stava?» Domandai sentendo un dolore al cuore, come lo strappo di una ferita. Non ci volevo credere.
«Non sono affari che ti riguardano». “Aridaje”.
«Invece sì, visto che ha cercato di ammazzarmi e mi ha usato tanto quanto voi!» Sbottò inferocita. L’avevi già vista arrabbiarsi, ma ora non pensavi che potesse covare tanta rabbia anche nei confronti del suo maestro. Era perché eri anche tu un maestro che non capivi. Ma tu a differenza di Odysseus non avevi mai usato Isaac e Hyoga a questo modo.  «Ditemi cosa è successo». Comandò, anche se da come le uscì sembrò una preghiera.
«Non sono affari che ti riguardano». Ripeté il moro, ottenendo di farmi accigliare ancor di più: «L’ultima persona che mi disse così fece un grosso errore, adesso voglio sapere la verità».
«Va bene. Lui era sepolto nelle profondità del Cocito. Aveva non solo peccato di tentato Deicidio, ma anche di aver sottratto un’anima agli Inferi, facendola risorgere. La sua pena consisteva nel rinascere e vivere una lunghissima vita immortale. Ma quando morì la seconda volta lo imprigionammo. Da allora restò imprigionato nel Fiume di ghiaccio». Sussultai portandomi una mano alla bocca. Non era possibile. Il mio maestro non poteva… Ma allora perché non si era rivelato subito? Poi ricordai quello che avevo fatto con le carte. Sì, aveva senso.  
Le parole mi uscirono di getto prima che potessi controllarle. «Forse posso aiutarvi».
I tre mi guardarono stupiti. «Anch’io voglio vederci chiaro, voi non potrete mettere piede nel Santuario, ma io sì. Posso fare qualcosa con Odysseus e, posso agire direttamente senza tutti i problemi che avreste voi tra incidenti burocratici e diplomazia». Spiegai.
«Anche rispedirlo agli Inferi?» Domandò Minos interessato, con voce melliflua. Come se avesse voluto testare fino in fondo la mia lealtà. Perché, anche se non lo avevo detto a Death, io restavo lo stesso la Seconda Ala di Aiacos. 
Sgranai gli occhi per un momento, come se mi avessero dato un pizzicotto a tradimento. Non avevo considerato questo particolare. Però, era anche vero che io e lui non saremmo mai potuti stare insieme. Né come maestro e allieva né come altro. Lui era molto più vecchio di me, oltre l’immaginabile. Era una cosa disgustosa e, oltretutto era pure morto. Mentre io ero viva. No, io non potevo amare un morto. Volergli bene sì, amarlo platonicamente pure, però no. Non sarei mai diventata quella poveraccia di Bella Swan. E poi aveva minacciato Yoshino e i suoi genitori, non solo la Divina Atena.
No, non potevo permettere che continuasse a imperversare per il Santuario. Lo dovevo fermare.
Per questo fu una decisione abbastanza sofferta per me, ammettere che questi tre avevano ragione «A questo punto temo di sì». Ammisi, anche se mi fece male dirlo. Se era persino più pericoloso di quanto immaginassi, allora era giusto che tornasse qui. E li avrei aiutati, non prima di essere riuscita a strappargli la verità su ogni cosa.
Se mi aspettavo dei commenti per la serie: “Sei rivoltante” e “Come fai a venderti così facilmente? É pur sempre il tuo maestro”, mi sbagliai. Gli Specter non erano come i Saint, non ne avevano la mentalità neanche a pagarli. I tre si limitarono a sorridere e Aiacos ad avvicinarsi a me, cingermi le spalle con un braccio e a vantarsi. «Questa è la mia Seconda Ala». Sorrise affilato e fiero. Perché se Violate per lui era l’equivalente dei vecchi programmi della WWE, io ero l’equivalente delle tragedie. Ma da parte sua valse come un assenso, perché aggiunse: «D’accordo, affido tutto a voi, principessa, rispediteci quel fuggiasco».
«Aiacos…» Sibilò Rhadamantys per niente contento. Ma il collega sorrise a sfotterlo e aggiunse: «L’Ala è mia e risponde ai miei ordini, dico bene?»
A queste parole neanche lui seppe come ribattere. «Ma non ti da fastidio che io sia la Luce Ombrosa, un’apprendista Saint dell’Ophiuchus eccetera eccetera?» Gli domandai.
«No, in realtà no».

Camus

Adesso che a voi si erano riuniti il resto della guarnigione e avevate scoperto l’ubicazione del passaggio, potevate affrontare Don Avido. Mentre Death Mask e gli altri avevano distrutto la diga liberando il Flegetonte, Violate, Rune, Aiacos, Minos, Rhadamantys e Valentine avevano cercato. E avevano trovato. 
Poi, però, avevi perso il controllo del Fiume e avevi scoperto una sconcertante verità: se lo evocavi al pieno della sua potenza, ti sopraffaceva. E ti rendeva suo schiavo.
Ti eri svegliato tre giorni dopo il salvataggio. Ti sentivi le ossa a pezzi, parti del corpo che non immaginavi davvero potessero dolerti e un martello pneumatico sul cervello.
Poi erano stati i medici, Fianna, Isaac e Valentine a dirti dove ti trovavi e cosa stava succedendo.  In questi tre giorni avevi fatto mente locale e messo insieme la storia.
A salvarti era stato Valentine con il Greed The live. Non solo aveva tagliato il ghiaccio, ma aveva anche impedito al Cosmo con cui ti eri fuso, di prendere il sopravvento su di te. “Allora se ne è accorto!” Pensasti grato mentre mangiavi il cibo che ti aveva portato.
Poi aveva salvato il suo padrone. Conoscendo i loro trascorsi eri stato felice per lui; gli aveva finalmente dimostrato di potergli essere utile. Salvo scoprire che lui lo fosse già.
E tu, avevi guardato il tuo compagno incuriosito. «Cos’è questa storia?» E lui ti aveva raccontato degli avvenimenti della Guerra Sacra del Millesettecento. E di come avesse tentato di salvare Rhadamantys. Però aveva aggiunto un inquietante: «A volte, se ci penso, mi sembra di guardare un film, cioè, quello non sono io, è solo un tizio che mi somiglia. Ma quando guardo il Nobile Rhadamantys qualcosa mi dice che quella Viverna è ancora qui, che è sopravvissuta alla sua morte».
«Ed è un male?»
«Non lo so. Non mi ha mai detto come è morto; quello che so è che a causa dell’Ichor di Hades è diventato quello che conosciamo ora». Ammise scoccando un’occhiata fuori della tenda medica. Rabbrividisti di terrore. Non ti capitava spesso, ma succedeva. Se quello che voleva dire corrispondeva alla verità, avevate a che fare con un vero e proprio robot invincibile e incapace di altri sentimenti oltre la fedeltà al suo Signore. Le emozioni che provava erano solo collegate alla sua immensa, cieca, devozione, sconfinante nell’ossessione.
Neanche voi Gold eravate mai stati così assoggettati alla Vostra Dea a questo modo. Vero che per Lei avreste dato la vita, ma avreste comunque mantenuto una certa autonomia mentale e sentimentale. Adesso comprendevi fino in fondo quanto potesse essere pericoloso un tipo come Rhadamantys.
Guardasti l’Arpia che si era allontanata dal letto di Astrid e stava spostando la seggiola pieghevole accanto al tuo. Solo allora ti spaventasti e ti rizzasti a sedere di scatto. L’Arpia ti rimise giù spingendoti la spalla in basso. «Sta tranquillo, sta solo dormendo».
«Ma è ustionata!»
«Sì, ma si riprenderà. Uno dei medici ha già attivato le sue stelle del recupero». Spiegò e tu ti eri tranquillizzato un po’. 
«Come ci è finita qui?» Avevi domandato e lui te lo raccontò. Non avresti mai pensato che Astrid avrebbe salvato anche colui che odiava più di ogni altro. Ma era evidente che non l’avesse fatto per amicizia. Non aveva motivo di salvare uno dei suoi aggressori. Anche se si approfittava molto di Aiacos, c’era da dire.
Le riconoscesti una dose di stronzaggine che non ti piacque molto. Sapevi che fosse stronza, ma non immaginavi anche opportunista. Era di una naturalezza sconvolgente il modo in cui si rapportava a voi e quello con cui si rapportava con Aiacos e i suoi colleghi. Dov’era che finiva la sua stronzaggine e mostrava il suo vero volto?
Forse tu l’avevi visto. Se davvero fosse stata una stronza egoista fatta e finita non avrebbe mai creato quel piccolo cimitero per i bambini morti. Né avrebbe mai cercato vendetta o pianto per sua madre. A te l’aveva mostrato, ecco la verità.  
Cercasti di ricordare casi simili all’interno del Santuario, però prima che ci riuscissi, Valentine, seduto accanto a te, continuò: «C’è stato un periodo in cui si contenne». Eri felice di sapere che Astrid si fosse salvata. Aveva cercato di inseguire i gemelli. Che grande errore. Quando avevi evocato lo Spirito del Cocito non pensavi che sarebbe stato così sfiancante. La quantità di Cosmo che avevi impiegato aveva seriamente messo a dura prova le tue capacità fisiche. Ancora peggio che nella tasca temporale di Lady Asia.
Anche se ormai eri trascendente eri comunque uno Spirito Vivente. E come tale ne risentivi. Ma non pensavi che in questo lasso di tempo le tue forze fossero calate a tal punto. Né che il Flegetonte potesse essere così forte. Ora capivi perché persino i suoi Guardiani lo temevano.

Eri appena stato dimesso ed eri appena tornato all’accampamento celtico. Astrid, Valentine, Isaac e Fianna erano radunati alla tua tenda e sembravano discutere animatamente di qualcosa. La prima a scorgerti fu Fianna, che sgranò gli occhi e ti corse incontro. Ti gettò le braccia al collo e tu ricambiasti la stretta, contento di questa accoglienza.
Presto foste raggiunti anche dagli altri che vi si assieparono intorno e ti salutarono, chi stringendoti la mano, chi delle pacche sulle spalle e chi brevi abbracci fraterni e chi con un cenno del capo. Non eri mai stato meglio accolto come adesso.
Poi, quando i saluti e gli abbracci finirono, domandasti che cosa stessero facendo e Valentine spiegò che da adesso in poi si sarebbero occupati loro della Giudecca. Avevano trovato il Palazzo e adesso stavano organizzando la spedizione. Però stava anche cercando di convincere Astrid a non partecipare. Dopotutto lei era preziosa per Lady pandora e anche per Aiacos. Il quale già aveva poco gradito gli interventi della sua Seconda Ala, ma adesso preferiva se ne restasse al sicuro.
«Ammetterai che non hanno tutti i torti». Cercasti di farla ragionare tu nel pomeriggio che andaste a dare l’acqua al mughetto infero.
«Sì, però non posso sopportare l’idea che la zia…»
«Tua zia sa difendersi benissimo, posso garantirtelo io stesso». Dicesti, ma lei non dette cenno di averti ascoltato. Sembrava che ci fosse qualcosa che la turbasse. «Qualcosa non va?» Le domandasti.
«Sage sembrava volermi dimostrare qualcosa, sono quasi sicura che stia aspettandomi da qualche parte». Rispose Astrid dopo aver versato l’acqua sul mughetto. Si strinse la ciotola di legno al petto.
«Non ho il talento di Milo nel giudicare le persone, non ti so dire se sia effettivamente così o no». Ti scusasti.
«Io so solo che devo tentare».
«Tentare che cosa?» Chiedesti cadendo dalle nubi e quando lei ti guardò incerta e intimorita tu strabuzzasti gli occhi. «No, Astrid, gli ordini sono ordini, non puoi trasgredire».
«Ma non posso neanche lasciare mia zia da sola. Ti prego, Camus, ho già perso mia madre…» Nel dirlo gli occhi le si riempirono di lacrime. Batté le palpebre per liberarli e i lucciconi debordarono sulle sue guance. Girò il volto e se le asciugò con il dorso della mano. «Potrei andare io, se ti fa sentire più tranquilla». Ti offristi.
«Apprezzo la tua gentilezza, ma no. Già una volta un Gold fece lo stesso con mia madre e non è riuscito a proteggerla». Spiegò cercando di non offenderti troppo. Anche se t’infastidirono i sottintesi, non te la sentisti di costringerla a fare ciò che non si sentiva. Né di lasciarla andare da sola. Sentivi inoltre che sarebbe potuta arrivare a travestirsi pur di riuscire nell’impresa. Se le fosse andata male, avrebbe causato molti più problemi di quelli che immaginava. Sospirasti. Non avevi altra scelta: «Allora verrò con te». Dichiarasti.
Lei ti guardò stupita.
La sua idea era quella di seguirli. «E poi? Cosa pensi di fare?» Le chiedesti mentre vi avviavate verso il Flegetonte dopo aver recuperato la tua Gold Cloth. Fortunatamente che c’eri tu con lei, perché la paura le aveva ottenebrato il cervello, al punto da non riuscire a creare una strategia decente.  
Tu avevi elaborato il piano. Cinque secondi dopo la partenza dei pezzi grossi degli Inferi, eravate andati a recuperare la tua Aquarius ed eravate andati via con la scusa di fare un giro. Al sicuro nella foresta l’avevi indossata ed eravate andati avanti.
Avevate risalito il ruscello ed eravate entrati nel bosco. Da lì, stavate scendendo le montagne che arginavano il fiume di lava, tenendovi abbastanza alla larga per evitare di soccombere ai suoi miasmi e al suo calore. Peccato che tu dovesti per forza avvicinarti. Era scaduto l’effetto dell’ultima bevuta. E, ti eri portato la coppa dell’Azone apposta, oltre che una borraccia di acqua del Mondo dei Vivi per Astrid. La ragazza non aveva ancora la vostra resistenza e molte volte si era dovuta fermare per bere. Fortuna che molti ci avevano creduto quando avevate detto che vi sareste allontanati per un allenamento in solitaria. 
Spiegasti a grandi linee ad Astrid che cosa fosse e perché dovesti farlo, onde evitare che lei si preoccupasse. Poi ti spostasti i capelli dietro la schiena e immergesti il calice nelle fiamme e bevesti. Astrid ti guardò stupefatta: «É questa la medicina che prendevi per evitare di diventare un tutt’uno con il ghiaccio?» Chiese quando finisti e nascondesti il calice abbastanza lontano da lì. L’avresti recuperato in un secondo momento.
«Sì, ma non te la consiglio, fa venire ancora più sete di prima».
«Ma non ti lega a questi luoghi?» Chiese confusa.
«No, è l’unica cosa commestibile che gli spiriti possono sperare di trovare fin dai tempi più antichi». Tutti gli eroi del mito che discesero negli Inferi se ne dissetarono. Poi incrociasti le braccia al petto: «Come pensi di trovare la strada?» Domandasti guardandola e lei sfoderò dallo zaino un orologio a cipolla. «Ecco come». E ti spiegò che quell’oggetto era un’arma, cosa fosse in grado di fare e a chi appartenesse. Tu non l’avevi mai sentito nominare prima, ma non l’interrompesti.
«Ho visto fare questo a Yoma la prima volta che ci siamo incontrati, chissà, magari ci riesco anch’io». Poi azionò l’orologio e lo fece andare indietro di quattro giorni. Il paesaggio attorno a voi evaporò rapidamente, sollevandosi come le sabbie del deserto africano nel bel mezzo delle tempeste.
E arrivaste al momento fatidico. Astrid fermò il tempo e poi lo fece andare avanti lentamente. Vedeste così i due gemelli scappare.
«Seguiamoli». Disse e corse dietro di loro. Anche se nella realtà si muovevano alla velocità della luce, ci doveva essere comunque un modo per bloccarli. Corresti insieme a lei e vedeste i gemelli superare una roccia e scomparire in un portale che era mimetizzato alla perfezione con la roccia, come l’entrata per il Mondo Perduto di Viaggio al Centro della Terra di Jules Verne. Non avevi mai letto il libro, però avevi visto il film con Natasha nel breve periodo che vivesti con Hyoga e la tua nipotina. Ma la versione del Millenovecentosessantotto era quella che ti piaceva di più.  
Poi, alzaste gli occhi al cielo e vedeste librarsi la Giudecca sopra le loro teste. L’avevate trovata.
Risaliste la cima della montagna e lì, la ragazza riavviò l’orologio e tornarono a quattro giorni dopo. Entrambi sbatteste le palpebre nel sentire i miasmi e le ventate di calore che si levavano dal fiume di lava e fiamme.
Quindi il vero passaggio… Astrid sgranò gli occhi e raggiunse una piana tra le rocce. «Il passaggio è qui». Ti guardò. «Era qui che mi avevano imprigionato ed ero finita nella Giudecca».
«Dunque i gemelli non erano i veri custodi del passaggio», fece Astrid, poi ti guardò spaventata: «Dobbiamo avvisarli!»
«Non andrete da nessuna parte». Vi fermò una voce maschile volitiva. Vi giraste di scatto nella direzione della voce e vedeste Sage di Cancer. Astrid materializzò il suo falcione di Cosmo. 
«Purtroppo possiamo solo percepire il Palazzo ma il passaggio lo può aprire solo lo Specter che ci aveva sostenuti fino al giorno della comparsa della Luce Ombrosa». Rivelò un’altra voce alla vostra sinistra. Scattaste in quella direzione e vedeste Hakurei dell’Altare accennando ad Astrid. Avevi saputo dagli Specter che si chiamasse così.
«Cosa? Uno Specter?»
«Lo Specter di Mephistophele, colui che scatenò la Guerra Sacra del Millesettecentoquarantatré per pura noia, manipolando tutti noi come burattini». Specificò il sostituto del Patriarca. Potevate immaginare quanto odiassero quell’uomo. Anche tu sapevi cosa significasse essere manovrati. La rabbia che si prova quando lo si scopre, il fatto che per questi non si è altro che oggetti è rovente come fiamma di fornace. Non che ci si debba aspettare altro ma almeno un po’di umanità. No.
Lei ti spiegò la sua teoria cercando di ricostruire i fatti. Secondo lei era possibile che quel giorno fosse incappata in uno dei portali.
Era un po’ confusa, ammise, perché si era svolto tutto così velocemente che i ricordi si erano accavallati tra loro. Tu annuisti perché non sapesti cosa dire, di sicuro non ci pensavi, non avevi di questi problemi.
Però poteva comunque fare qualcosa. Dette qualche altro giro all’orologio e vi ritrovaste dento la Giudecca, circondati da angeli in 3D a mezz’aria. Non avevi mai visto prima una cosa del genere, né sentito così forte l’odore della pittura. Non avevi frequentato molte pinacoteche di recente. Ma sicuramente avrebbero avuto un odore migliore di questa. L’odore della pittura era forte e intenso quanto le rose di certi giardini durante la calura estiva certi giorni di luglio; che tu ne prendi una e ti sembra di annusare la coscia di una ballerina dell’opera. I colori leggermente sbiaditi erano come quelle rose che sembravano cavolfiori tanto erano rotonde.
Ma gli angeli lì dipinti avevano qualcosa di inquietante, era come se si muovessero per davvero. Erano il pallido ricordo di una guerra di cui tu non avevi neanche immaginato il potere e lo spavento. Ma di cui adesso avevi una vaga idea. Non avevi mai preso in considerazione la forza di Hades se riusciva persino a usare l’arte per mettervi in difficoltà e dichiararvi guerra.
Eppure la luce che cadeva dal soffitto e illuminava gli angeli era naturale e chiara. Abbassando lo sguardo vedesti tele su tele ammassate ai piedi delle pareti, mentre altre ancora erano state appese. «Dove siamo?»
«Nel padiglione della galleria d’arte». Spiegò Astrid. Poi ti fece cenno di seguirla. «Non so di preciso dove andiamo». Precisò a un certo punto, dopo aver specificato di aver soprannominato così questi posti. «Però possiamo provare a esplorare, magari per botta di fortuna possiamo incappare nella sala del Trono, altrimenti ci toccano le Tre Porte».
Arrivaste a una rampa di scale e cominciaste a scenderle. «Le Tre Porte? Cosa sono?»
«Me ne ha parlato Aiacos in questi giorni, quando mi ha raccontato delle sue gesta durante la Guerra Sacra per vantarsi; sono le Porte delle tre sale prima della Sala del Trono dove Hades concede udienza agli Specter. Ti giuro, quando non comanda e tartassa è talmente egocentrico che l’ho ribattezzato Sua Maestà. E se glielo dicessi sono quasi sicura che lo prenderebbe per un complimento!»
«Non ti distrarre». L’ammonisti mentre scivolavate tra i corridoi, cercando di non toccare gli angeli di Hades. Non avevi tempo per ammirare le sue opere d’arte, volevi solo andare avanti e… «Che ci fate voi qui?» Sbottò la voce di Rhadamantys. Poi la sua persona comparve verso la fine della rampa.
«Come siete entrati?»
«Lunga storia». Rispose Astrid nascondendo di nuovo l’orologio sotto ai vestiti. Lo portava legato al collo tramite una sottile catenella. Fortuna che era abbastanza piccolo da non darle fastidio sotto la corazza.  «Avete già trovato le porte?» Chiese poi, prima che la Viverna dicesse altro.
«Tu come…»
«Aiacos chiacchiera». Tagliò corto Astrid.
La Viverna la guardò torvo e poi replicò: «Sì, siamo appena alla prima».
«Meglio così».
«Adesso che ci fate qui?» La ragazza glielo disse e la Viverna le intimò di andarsene. Ma lei s’impuntò: «Non posso! Non posso lasciare la zia da sola adesso». Quelle parole dovettero smuovere qualcosa dentro quell’uomo, perché dopo qualche secondo di silenzio glielo concesse.
E così anche voi vi uniste alla comitiva.
Lady Pandora non fu per niente entusiasta della vostra presenza, soprattutto quella di Astrid. Ma non ci poté fare niente e si arrese alla presenza della nipote. «Starò nelle retrovie». Promise per convincerla.
«Va bene, purché tu scappi se va male, ok?»
«Ok». Mentì Astrid. E tu lo sapevi perché l’avevi vista tenere le dita incrociate dietro la schiena tutto il tempo. Però te lo tenesti per te.
 I quattro sembravano sapere perfettamente dove andare. Però porte era riduttivo, erano enormi portoni alti sei metri e larga tre. Almeno fu questo che deducesti quando foste davanti alla Prima, che Pandora chiamò Porta dei Ricordi. “Che nome suggestivo”, pensasti.  La Porta era incastonata tra due colonne di granito nero in stile dorico sormontate da due statue di grifoni che vi guardavano. I becchi a uncino e acuminati sembravano risplendere minacciosi nella penombra, sì come gli occhi di gemme. I due erano accovacciati e se la zampa destra era protesa a specchio sulla colonna, come se stessero per darsi lo slancio e scendere giù. La cosa più inquietante era che ti sembrava di riconoscere lo stile, come se le avesse scolpite la stessa mano che aveva dipinto quegli angeli.
Staccasti gli occhi dalle due statue e guardasti la porta proprio mentre Minos del Grifone si faceva avanti e poggiava le mani sulle maniglie. Il lucido legno d’ebano era impreziosito di intarsi floreali come certe decorazioni delle cattedrali gotiche color bronzo dorato. Le grandi maniglie erano due grifoni ad ali spalancate colti nell’attimo di saltarsi addosso.  
La porta, a dispetto dell’apparenza massiccia non oppose resistenza, anzi, si aprì con estrema facilità.
E varcaste la soglia della prima sala buia e spoglia. Era come se Hades avesse traslocato altrove perché neanche i corridoi della Casa di Atena erano così spogli e disadorni. Era come se nessuno ci vivesse da secoli, nonostante l’aria pulita che respiravate.
Vedevate solo un ampio salone vuoto pieno di specchi che sembrava preso pari pari dalla galleria degli Specchi di Versailles. Persino le decorazioni erano le stesse. Persino le stesse porte e gli stessi specchi che, specchiandosi gli uni negli altri, davano una strana sensazione di cadere nel vuoto. Avevi una vaga idea delle ricchezze dell’Oltretomba che i vari regni commerciavano tra loro, però non immaginavi che fosse così. Era come entrare in un duomo che aveva subito numerosi restauri nel corso del tempo, adattandosi di volta in volta ai vari stili. E il risultato era un bizzarro collage di più epoche.
Comunque risplendeva una fioca penombra. Questo posto, avevi già appurato, era strano. Anche se non c’erano candele e le tenebre cadevano leggere come un velo, senza opprimere, ci vedevate benissimo. Non avresti saputo dire se ci fossero lampadari, non riuscivi a vederli. Non si poteva negare però che al Signore degli Inferi non piacesse l’arte.
«E la notte cade come un telo
a smorzare gli occhi ed i televisori
e tu dietro un vetro guardi fuori
». Recitò Astrid a mezza voce mentre lasciava vagare lo sguardo smarrito sulla sala, dimentica momentaneamente della missione. Ti ritrovasti a oscillare la testa su e giù, d’accordo con lei.  
Arrivati a metà sala vi fermaste di botto.
Lady Pandora sembrava imbambolata. Tremava leggermente. La tua compagna d’arme la chiamò incerta sporgendosi verso di lei da dietro l’ala della Viverna. La quale fissò a sua volta la sua Signora, mentre Aiacos fece la spola tra voi due con lo sguardo e Minos vi fece cenno di andarvene.
Ma il portone dietro di voi si richiuse da solo, impedendovi la ritirata effettiva. Non avevate altra scelta che andare avanti, peccato che la strada era sbarrata da una donna e due uomini che riconoscesti come i gemelli Sage e Hakurei.
«Lo immaginavo che don Avido avrebbe posto delle guardie nelle sale». Ringhiò la Viverna, mentre Aiacos si scrocchiò le dita nonostante la Surplice. «Meglio per noi, ci sarà da divertirsi».
«Sì, tante belle marionette con cui giocare». Sogghignò il Grifone.
Ma l’unica che non si muoveva e parlava era la luogotenente degli Inferi.
Astrid si portò accanto a lei e la chiamò preoccupata: «Zia?»
Proprio in quel momento Sage parlò: «Benvenuti Specter e Saint» aggiunse dopo aver visto anche tu e Astrid, «vi stavamo aspettando».
«Cosa fate qui?»
«Noi siamo i guardiani delle Porte della Giudecca; se volete passare oltre dovrete sconfiggerci».
«Bè, non vedo che problema ci sia». Sogghignò Aiacos.
«Non credete che sarà così facile». Li avvisò Hakurei, poi i due scomparvero oltre la porta. Lasciandovi soli con la donna.
Non era molto alta, ma aveva lunghissimi capelli scuri e lisci lunghi fino alla vita. Sembrava di appena un anno più grande di Astrid. Aveva gli occhi scuri e la pelle candida risaltava a causa del nero della Surplice. Però in un modo più spettrale e non come un raggio di luce imprigionato nelle tenebre come Astrid.
Il suo volto tranquillo esibiva un dolce sorriso accogliente. Non sembrava neanche una Specter, era troppo dolce per esserlo. Ma la sua Surplice era strana. Non avevi mai visto prima una cloth del genere. Non riuscivi proprio a capire che cosa fosse. Il suo elmo era un diadema che le cingeva la fronte e le teneva fermi i capelli. Al centro spiccava una gemma esagonale. E, dietro le ciocche laterali della frangia più lunghe, s’innalzavano tre penne appuntite in una sorta di piccola cresta. Ci mettesti un po’ a capire che non era come l’elmo della cloth del Cigno, bensì a maschera come quello di Death Mask, solo più discreto. Il blocco centrale evidenziava le sue forme ma lasciava scoperte il collo, le braccia e le gambe. Ma scendeva affilato all’altezza del pube, lasciando scoperti i fianchi nudi e rotondi. Dietro la sua schiena si allungavano le quattro punte della coda. Mentre le cosce erano protette da dei cosciali che sembravano costituiti da diversi scudi che coprivano la gamba lateralmente. Mentre le ginocchiere erano due piastre romboidali appuntite che s’incastravano perfettamente con quelle dei parastinchi. Le scarpe da guerra invece recavano un primo e un secondo dito ornamentale che simulava gli artigli del rapace notturno da lei rappresentato. I bracciali della sua Surplice erano due incredibili, grandi ali con spunzoni dall’aria affilata che tendevano verso le mani. Se quelle ali erano gli scudi della guerriera non osavi immaginare che tecniche potesse disporre. Gli spallacci della sua Surplice erano affilati e tendevano verso l’alto. Ci mettesti un po’ per capire che le placche disposte a quel modo simulavano penne e scaglie.
Neanche le vostre cloth erano così accurate. Forse neanche… Sgranasti gli occhi: una God Gold Cloth. Quella donna non indossava una semplice Surplice!
«Perché fate quella faccia nobile Aquarius? Sembra quasi che abbiate visto un demonio». Sorrise ancora dolcemente la vostra avversaria. Poi tese le braccia verso Pandora e continuò: «E tu, piccola Pandora, quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo viste».
Pandora tremò. 
«Perdonami per allora, non era mia intenzione ferirti, dovevo solo fare in modo che mio figlio Tenma conquistasse la God Cloth di Pegasus». Continuò la donna. «Davvero, credimi, era tutta una recita, ti ho già perdonato per tutto, era solo un equivoco, siamo state manipolate entrambe, allora. E poi tu eri solo una bambina, adesso l’ho capito. Vieni qui, Pandora». La invitò.   
«No! Non lasciarti ingannare! Sono qui!» Urlò Astrid al suo fianco, angosciata. Ma la corvina non dette segno di averla udita. «Partita?» Domandò invece strabuzzando gli occhi. Voi la guardaste con un grosso punto interrogativo stampato in faccia e il timore crescente. Chi?
Come se fosse attratta da una forza misteriosa, la Sacerdotessa degli Inferi rispose e si mosse verso di lei.
«Vedo che la volta precedente non ti è bastato». Sorrise la donna mora. E fece per avvicinarsi, sorridente: «Ma non preoccuparti, vieni con me, poniamo fine a tutto».
«No, no, no! Non lo fare, non ascoltarla! Sta mentendo!» Cercò di richiamarla Astrid angosciata nel vedere la luogotenente di Hades così fragile. Sembrava imbambolata. Neanche la riconoscevate.
La giovane donna dai capelli mori sorrise affabile alla Luogotenente di Hades. Ma laddove la sorella terrena del Dio dell’Oltretomba non percepiva il pericolo, la nipote lo sentiva e lo vedeva tutto. «No! Non lasciarti ingannare!» E con un grido bruciò il suo Cosmo e si lanciò in soccorso della parente. I tre Specter cercarono di fermarla, ma non ci riuscirono. Mentre dribblava gli Specter Astrid urlò: «Non ascoltarla! Quella donna non ti vuole bene! Pensa alla mamma! Pensa ad Aida! Ricordati di Aida, di mia madre! Lei ti voleva bene per davvero, non questa donna!»
Poi superò la zia e si frappose tra lei e la guardiana. Da dove ti trovavi non riuscisti a vedere, ma riuscisti a vedere che aveva spento il suo Cosmo.
«Non so chi tu sia e cosa voglia da lei, ma se non ti allontani ti ammazzo!» Minacciò Astrid a Partita. La quale domandò: «Interessante, questo non è successo l’altra volta, chi sei?»
E Astrid cominciò a parlare in tedesco. Fortuna che tu eri poliglotta. Ma non ti aspettasti che quella lingua tanto dolce potesse assumere tonalità così secche: «Quella che ti aprirà il culo se ti azzardi a toccarla anche solo con un dito!»
La donna le lanciò uno sguardo compassionevole: «Ha irretito anche te, non è così?»
«Andate avanti». Suggeristi ai tre che ti guardarono interdetti.
«Ma sei matto?»
«Fatelo, ci pensiamo noi a Lady Pandora».
«Va bene, ve l’affidiamo, Cavaliere di Aquarius, ma se muore, non avremo pietà». E i tre Specter passarono accanto a Partita, che li lasciò passare tranquillamente. Ancora una volta però, le porte si richiusero dietro di loro. «Si riapriranno soltanto quando mi avrete sconfitto». Vi informò la donna.
«Che cosa le hai fatto?»
«Io niente, credo che sia in preda ai ricordi. Presto si dimenticherà di tutto e di lei non resterà neanche la memoria del nome».
Astrid le lanciò un insulto e attaccò a parlare alla Signora degli Specter in tedesco: «Ehi, ehi, guardami. Non puoi avermi dimenticato. Non puoi aver dimenticato me e la mamma. Ricordi il profumo dei tigli nel giardino della tua villa? Io sì. I picnic che facevamo sotto quegli alberi e la torta alle albicocche che preparavate? Me la davate sempre con un bicchiere di latte e quelle volte facevamo finta di essere tre fate sovrane del bosco. Fingevamo che fosse magico e giocavamo a far finta che ci fossero i folletti e le fate nel giardino. Ricordo il profumo della lavanda e il tuo vestito lillà. Ricordi qual era il tuo fiore preferito? Erano i girasoli, ricordi quando mi raccontasti la favola su quel fiore? E quando per il tuo compleanno ti regalai quegli orecchini a forma di girasoli che ti feci alle elementari? Li portavi sempre! Ma erano venuti male e sembravano dei soli. Io non ne ero felice ma tu li indossasti lo stesso, ti piacevano davvero. Ricordi come mi chiamavi? Mi chiamavi raggio di sole! Non puoi averlo dimenticato!»
«É inutile, la Sacerdotessa di Hades non conosce niente di quello che dici, il suo cuore è nero come la pece e ai suoi occhi ogni cosa è grigia. La Porta dei Ricordi, riporta alla luce il vero sé delle persone e Pandora è una donna senza luce».
«Ti sbagli! Stai zitta!» Esclamò di nuovo in greco Astrid e Partita richiuse la bocca. Poi tornò a rivolgersi alla zia. «Hai ancora quegli orecchini e lo so! Sono da qualche parte, li custodisci come un tesoro perché te li ho fatti io! Ricordati come mi chiamavi! Ricordati di me!» E quando le strinse le braccia con le mani, la donna rinvenne. «Sonnenstrahl. Mi chiamavi Sonnenstrahl! Dicevi che dovunque fossi andata ti avrei sempre protetto. Anche se ero solo una bambina. Ma adesso sono adulta anch’io! Adesso posso farlo! Posso essere veramente il tuo raggio di sole! Non puoi avermi dimenticato così facilmente dopo tutti gli anni che abbiamo passato insieme! Non so quanto tempo avessi passato con lei, ma lei è venuta da te con un secondo fine! Io no! Non puoi cancellare l’affetto che ci lega, che ti ha legato a mia madre, che ti spinge a combattere per me e a portare di nuovo il nero per una che neppure conosci davvero! Hai già dimenticato Aida Foscavalle?»
«Molto toccante. Ma adesso basta». E attaccò. Ma si fermò immediatamente. Pandora le aveva puntato al collo il tridente di Hades. «Non ti azzardare a toccare la mia figlioccia, Partita!» Sibilò malevola e di nuovo in sé.
Partita mosse la testa di lato come se avesse un tic. Poi, sempre con quella dolce espressione malinconica, commentò: «Peccato, c’ero quasi riuscita».
Però la colpì lo stesso. Astrid parò il colpo con il proprio bracciale e vacillò, gemendo di dolore. Ma Pandora alle sue spalle fu colpita lo stesso. Astrid sentì la zia espirare di colpo con quel gemito di dolore. Si volse leggermente e la vide cadere bocconi, gli occhi strabuzzati e il fianco insanguinato.
La bionda osservò la scena a occhi sgranati, come se non capisse bene che cosa stesse succedendo.
Poi la donna svenne.
A quel punto anche tu scattasti.
«Zia!» Urlò Astrid con ancora più forza e si gettò in ginocchio accanto al corpo della parente e la girò supina. Ti liberasti del tuo carceriere per correre in soccorso delle due. «Astrid, Milady!» Chiamasti gettandoti in ginocchio accanto a Pandora. Astrid le teneva la mano e cercava di svegliarla con l’altra: «Zia! Zia! Rispondimi, zia! Ti prego, svegliati!» Ma la Sacerdotessa non dette segno di ripresa. Con gran sorpresa della donna con indosso la cloth del Gufo. «Zia?» Domandò, guardandola perplessa, ma nessuno di voi gli rispose.
«É stato più facile del previsto». Commentò la voce maschile, ma, proprio in quel momento, la fiamma di Cosmo di Astrid si riaccese, ardendo con più forza e rabbia di prima. Con tanta forza che i suoi capelli si sollevarono e le vesti ondeggiarono. Le lacrime di dolore e furia le scivolavano sulle guance.
La chiamasti a più riprese alzando la voce. Sembrava diventata sorda ai tuoi richiami.  La ragazza inginocchiata al fianco sinistro della ferita materializzò il suo falcione e, facendo leva sul medesimo, lentamente si rialzò e si girò verso la guerriera. Le membra frementi per la rabbia.  
«Vuoi sfidarmi tu invece sua? Accomodati, non avrei mai pensato che quella donna potesse essere capace di veri legami famigliari e sentimenti.» chiese lei.
Avrebbe anche potuto dirle una cosa come: “Come puoi stare accanto a quella donna? Non sai chi è? Eppure dovresti sapere che Pandora è colei che libera il male nel mondo. La donna che da sempre detiene il comando dell'armata infernale al fianco del suo Re”. Ma le sue parole non avrebbero sortito ugualmente alcun effetto. Era talmente infuriata che neanche li ascoltava.
Proprio allora Pandora gemette di dolore.
«È viva!» Sussurrasti, poi, a voce più alta: «Astrid! É tutto a posto, è viva!» La rassicurasti tu sollevato e animato dalla speranza. Lei ti guardò angosciata da sopra una spalla ma si fece coraggio e annuì. Fece un respiro profondo e le membra smisero di tremare. Anche il suo Cosmo si ammansì un poco, ma non si spense. Anzi, prese a ribollire.
Dopodiché girò di nuovo la faccia verso Partita. Quest’ultima sgranò gli occhi per un momento. Se fosse stata meno coraggiosa, probabilmente sarebbe anche arretrata di qualche passo. Potevi solo immaginare che espressione terribile dovesse avere la tua amica.
Ma quando parlò, passò di nuovo al greco. «Io non so se questa Pandora sia la stessa di cui parli, la donna che conosco io è una persona buona e gentile, è la roccia che per molto tempo ha impedito a mia madre di andare alla deriva. É una donna forte che ha fatto degli errori gravissimi, lo riconosco. Ma il male ha sempre fatto parte di questo mondo, non importa il colore delle tue vestigia, sotto quale bandiera militi e per quali Dèi combatti, tanto si finisce sempre per avere le mani sporche di sangue e morti sulla coscienza. Ciò che conta sono le intenzioni, sono quelle che determinano il nostro ago della bilancia. Non so cosa abbia fatto né chi fosse prima di noi. Ma so che quella Pandora non esiste più. So cosa è adesso ed io non ho intenzione di tradire la mia famiglia». Ciò detto tese il falcione di Cosmo d’Oro verso di lei. L’arma sembrò sfavillare ancora più intensamente nelle sue mani. Come se fosse ricolma di energia, non solo fatta di energia.  
Partita non disse nulla, si limitò a sgranare gli occhi di fronte a quell’arma.  
«Io non sono ancora una Saint e non sono neanche una Specter. Io sono ancora io e non saranno vuoti discorsi manichei a farmi cambiare idea». Sbottò Astrid incazzata nera. Veramente, non avresti mai pensato di usare questa parola, ma era proprio così. Non esisteva una maniera più fine per spiegarlo. 
«Non sai cosa stai facendo, lei è pericolosa».
«Anch’io».
«Come fai a crederle? Non vedi che ti sta manipolando?»
«No, lei non lo farebbe mai. Non sono così manipolabile e se lo faccio è perché vedo un tornaconto personale anche per me. Io credo nelle lacrime che ho visto rigarle il volto, ho visto la luce in lei che non si è mai spenta. Io credo in questa vita e credo nel suo amore. Io credo in lei con tutta me stessa. E ora te lo dimostrerò. In guardia, Sage di Cancer».
Lo Specter del Garuda e quello di Minos l’affiancarono - minacciosi: «Non una parola di più».  
Ma la bionda rifiutò il loro aiuto. «No, devo farlo da sola. Andate».
«Ma…»
«É una faccenda tra me e loro, andate, gli Inferi sono più importanti di me». Ribadì.
I tre obbedirono. Minos ringhiò «Va bene! Ehi, tu, prenditi cura di Lady Pandora!» Ti sbraitò guardandoti da sopra una spalla e tu annuisti. Si vedeva che gli pesava lasciare la sorella terrena del suo Signore qui. Aiacos fece un verso di stizza: gli sarebbe piaciuto restare a guardare, ma capiva perfettamente la necessità. Minos invece non disse nulla.
«Astrid…» Mormorò Pandora mentre tu le raffreddavi le ferite. «No, Astrid, non combattere contro di loro, sono troppo forti… No… Lasciami».
«State tranquilla, se la sta cavando alla grande…» La rassicurasti, che con un occhio controllavi lei e con l’altro sua nipote.
«No. Non posso… Non deve… Non la mia bambina…» Continuò a farneticare la mora ferita. Prendesti il tuo mantello e lo stracciasti per farne delle bende con cui le fasciasti la ferita.
Mentre le prestavi soccorso capisti. Non avresti mai immaginato che quella donna dalla faccia pulita e dolce potesse essere tanto meschina.
«Partita, non toccarla, non te lo permetto, lei non… non deve!» E tu sgranasti gli occhi. Se Partita in precedenza doveva essere stata una persona tanto importante per Pandora, non fu altro che una falsa amicizia da parte della donna con la Cloth della Civetta. Avevi sentito dire che la Divina Atena fosse accompagnata spesso da una civetta. Non avresti mai pensato che la sua civetta fosse una donna con una Cloth. Era un essere sovrannaturale, probabilmente non era neanche umana come potevate esserlo voi tre.
Pandora sembrò perdere i sensi e tu la rinvenisti battendole una mano sulla guancia. «Milady, mia Signora». La chiamasti e la donna riaprì gli occhi purpurei e ti guardò. «Raccontatemi tutto, fatemi sapere cosa succede. Proteggerò io Astrid, ma per favore, ditemelo».
Lei tossì un paio di volte prima di prendere fiato e raccontarti la sua storia. La voce inframmentizzata dai gemiti di dolore e le ferite. Purtroppo non eri ancora capace di annichilire il dolore, potevi solo disinfettare le ferite. Così venisti a sapere che Partita era la sua migliore amica nella vita precedente. Anche se a separarle c’erano sedici anni di differenza. Infatti la ragazza contro cui combatteva Astrid era già adulta, sposata e incinta del suo primo figlio. Eppure questo non aveva impedito alla bambina di stringere amicizia.
All’epoca la madre di Tenma di Pegasus lavorava per la famiglia di Pandora come cameriera, ma lei non l’aveva mai considerata inferiore. Le voleva molto bene, andò pure a trovare la neo famigliola quando Partita dette alla luce suo figlio. Fu in quel momento che la piccola rivelò a Partita e a Yoma della gravidanza di sua madre. Speravano che da grandi lei, Tenma e il fratellino minore in arrivo avrebbero potuto giocare tutti insieme.
Ti commosse e ti stupì questa dolcezza da parte della Sacerdotessa di Hades.
Tutto cambiò la sera di Natale dello stesso anno, quando il fratello minore neonato di Pandora sparì appena la loro madre entrò in travaglio. Lei morì di quel parto che non ci fu. La colpa ricadde su Partita e alla bambina apparvero gli Dèi Gemelli, Hypnos e Thanatos. Le dissero che doveva ritrovarlo e le consegnarono il Tridente simbolo del comando degli Specter.
Gemette per il dolore e tu le tamponasti la ferita al fianco mentre Astrid continuava a fronteggiare i nemici.
«Astrid…»
«Continuate, vi prego continuate».
La donna obbedì, anche se a malincuore. «Quando rividi Partita stavo salendo le Case degli Astri per…» Sibilò tra i denti, «Per uccidere Alone. Quel maledetto traditore aveva soggiogato la coscienza di Hades e ci stava sacrificando tutti quanti per il suo diletto personale, credeva di poterci salvare uccidendoci tutti. Era pazzo. Yoma di Mephistophele per fermarmi risvegliò i miei ricordi e chiamò Partita dal passato. Quando la vidi capii che le volevo ancora bene. Non avevo mai voluto ucciderla, volevo solo sapere perché l’avesse fatto. Se era stata lei. Lei mi fece credere che non fosse successo niente, mi abbracciò e mi colpì a tradimento, per poco non mi uccise. Poi, mi prese in giro chiedendomi di poter combattere, concedetemi il permesso, disse. Ti prego, salva Astrid, salvala. É tutto ciò che ho, non posso permettere che Partita me la porti via. Quella donna è vendicativa, se la scambiasse per una Specter… No, non posso restare ferma un minuto di più». Cercò di rialzarsi ma tu la sospingesti di nuovo a terra con delicatezza. Non era ancora il momento di alzarsi. 
Arrivavi a capire il desiderio di Pandora, il dolore da lei provato per l’inganno che aveva subito fin da subito. Ma ora la situazione era molto diversa rispetto a due secoli fa. Yoma di Mephistophele l’aveva riportata indietro anima e corpo. Qui Pandora stava seriamente rischiando di morire. In qualche modo Partita era riuscita ad andare oltre i pezzi della sua Surplice.
Proprio allora sentisti la voce della messaggera di Atena schernire la giovane bionda che si era avvicinata e l’aveva respinta di nuovo. Astrid atterrò sul sedere ma si rialzò.
«Tu credi davvero che questo sia sufficiente? Credi che quella donna ti voglia bene solo perché sei la sua bambina? Bè, ti dimostrerò che è solo un’opportunista manipolatrice!» Dichiarò Partita prima di indicarla con lo stesso dito con cui, avevi scoperto aveva fermato tutti gli attacchi della ragazza e, comandare: «Mostrami la tua anima!»
Astrid s’immobilizzò di colpo trattenendo il fiato rumorosamente. Voi due urlaste il suo nome ma invece di uscire dal suo corpo, tutto attorno a voi prese a tremare, ogni cosa. Persino i vostri corpi e i vostri spiriti, era come se qualcosa cercasse di uscire dai vostri corpi, dalle pareti, dalle Sacre Armature, persino.
Poi ogni cosa attorno a voi divenne nera e miriadi di bagliori fosforescenti presero a volteggiare attorno ad Astrid, di cui distinguevi appena la figura umana solo perché illuminata a tratti sui contorni di oro e di violetto. I vestiti e i pezzi di Surplice erano quasi trasparenti. Sembrava che la ragazza fosse fatta di energia e cristallo. Non avevi mai visto una cosa del genere. Non era normale. Non sembrava neanche umana.
Perché stava rispondendo il suo Cosmo? Perché non rispondeva il suo spirito? Sembrava che non avesse neanche… Sgranasti gli occhi nel costatarlo mentre cercavi di proteggere la Signora degli Inferi, che gridava come una dannata. Al tempo stesso cercavi di resistere al dolore. Neanche quando eri morto la prima volta avevi sofferto come ora.
Cosa diavolo stava succedendo?
«Basta, fermati!» Articolasti il tuo grido informe, continuando a sforzarti di sorreggere Pandora, ormai più morta che viva. La quale gemeva tra le tue braccia come se la stessero ferendo a morte e si aggrappava a te come se tu avessi potuto salvarla.
Anche a te sembrò di morire un’altra volta e avesti paura. Un cieco, ancestrale terrore che neanche sapevi descrivere.
Terrore dolore e grida che condividevate con Partita. Non riuscivi a girare la testa e a guardarla, ma eri sicuro che fosse  ridotta come voi.
Cercasti di sforzarti per guardare Astrid e, con un immane sforzo di volontà ci riuscisti. 
Astrid, che avrebbe dovuto essere un corpo immobile, si mosse.
Non per via degli spasimi ma proprio perché sì. Si stava muovendo veramente, come se fosse abituata a questa sua condizione. Poi tese un braccio verso la sua avversaria, in una posa elegante che non le conoscevi. Nel farlo il nero si dissolse e tutto smise di tremare. Il dolore scomparve e vi lasciò ansimanti e bocconi. Pandora perse i sensi, mentre tu ti sforzasti di restare sveglio.
Tornasti a guardare la ragazza. 
Al posto del nero adesso c’era tutto l’universo nella sua magnificenza, con le sue nebulose colorate, le sue luci scintillanti e le sue zone d’ombra. Se riuscivi ancora a distinguerla era solo perché i suoi tratti continuavano a essere illuminati vagamente d’oro e di viola. Spalancasti gli occhi nel rammentare il sogno della donna cosmica. Improvvisamente ebbe un senso.
Poi, dalla sua persona crebbero delle penne sulla testa, la schiena, le braccia e sulle cosce. Sulle braccia e sulla schiena s’allungarono a formare delle grandi ali e una coda di rapace con timoniere molto simili alle piume della coda del pavone.  Ogni piuma risplendeva come se fosse fatta di un materiale prezioso. Dal polpaccio in giù le sue gambe si munirono di scaglie e dal suo tallone crebbe un altro dito da rapace.
Come se non bastasse, per la prima volta percepisti la sua energia a un livello così profondo che ti stupisti ancor di più. La sentivi oltre le tue ossa, direttamente nella tua anima.
Era in voi ed era attorno a voi. Densa come la nebbia, impalpabile come l’aria. Per la prima volta capisti cosa significasse avere a che fare con una vera emanazione del Cosmo. E capisti appieno le parole di Clio, la Velata. Lei non ha un Cosmo.  Non aveva sbagliato, ma era incompleta. Lei non aveva solo il Cosmo, lei era il Cosmo.
E capisti anche perché quando lo bruciava non lo sentivate: era così grande da non poter essere percepito. Come se un batterio cercasse di percepire un elefante con le sue sole forze. 
Partita la guardò sconcertata, come se si fosse resa conto di aver commesso un gravissimo errore.
Spalancò le grandi ali e con un colpo si sollevò a mezz’aria. Poi urlò e dalla sua bocca uscì il verso stridulo e penetrante di un rapace. Eppure così amplificato che lo sentiste risuonare nel profondo dell’anima.
L’ex amica di Pandora cercò di arretrare, atterrita mentre i bagliori si disponevano attorno alle ali della vostra amica come a sparare un colpo.
“No!” Pensasti. Posasti a terra Pandora e corresti a frapporti tra le due, braccia spalancate.
Il rapace astrale si fermò sgranando gli occhi. «No, basta, Astrid, basta!» Urlasti. Ma lei non dette cenno di averti udito.
Se avevi sperato che qualcosa di lei ti fosse rimasto, ti sbagliavi. E per poco non arretrasti. Neanche sembrava più lei, sembrava un ibrido tra questo rapace e un essere umano. Ammesso che ci fosse mai stato qualcosa di umano in lei.
Sembrava indossare una maschera di luce all’altezza degli occhi e le sue labbra erano bianche, ma i suoi occhi continuavano a rifulgere di stelle. Neanche si vedevano più le iridi e le pupille. Dal naso si allungava un becco a uncino affilato come quello delle statue dei grifoni.
A completare il quadro, il resto della sua faccia continuava a recare i colori dell’Universo. Proprio come i suoi capelli, che fluttuavano attorno alla sua testa come se la giovane fosse immersa in una piscina. Era come guardare una statuetta di cristallo.
La corona di piume che si allungava sulla sua testa dava la bizzarra idea di un’aureola. Scendendo scopristi che aveva le piume anche sul petto e poi, seguendo le linee delle costole, scendevano sui fianchi con una dolce curva, lasciando scoperto l’addome fino al bacino. Da lì in poi le piume si allargavano di nuovo dal pube fino alle ginocchia, come calzoni. 
Le zampe davanti, pur conservando le curve delle gambe femminili, recavano dettagli di quelle dei rapaci.
Astrid batté le lai e fu allora che vedesti che della sua vecchia forma restava la parte superiore delle ali, i pollici e gli indici. In effetti le braccia non si erano arcuate come nelle ali degli uccelli.
Tuttavia le remiganti, le setole e le altre piume crescevano direttamente dalla sua carne.
Eppure, nonostante tutto non avesti paura.
Sentivi di poterti fidare di lei. Non aveva importanza per te quale fosse il vero aspetto della sua anima. Neanche che fosse la Luce Ombrosa. Non importava nemmeno se fosse identica al suo Cosmo, lei era sempre lei. E questo non sarebbe mai cambiato. «Va tutto bene, calmati».
Astrid ti si avvicinò, allungando il collo verso di te.
Ti girò intorno, fluttuando con grazia, incuriosita, proprio come nel sogno, mentre il manto dei colori dell’universo si muoveva assieme a lei. A un certo punto ti sorrise e la maschera scivolò via dai suoi lineamenti, rivelando il candore della sua pelle, il candore delle perle dei denti, e i colori luminosi dei suoi occhi e dei suoi capelli. Non l’avresti mai detto, ma non pensavi che ti sarebbero mancati. Soprattutto gli occhi.
Era proprio come nel tuo sogno. “Un sogno premonitore”, pensasti.
Poi, così come la sua anima era stata tirata fuori, fu risucchiata dentro il suo corpo e tutto tornò alla normalità. A parte qualche calcinaccio e granello di polvere che piovve dal soffitto.
Astrid crollò in ginocchio e tu la sorreggesti prima che cadesse. Peccato che dette una testata sul pettorale della tua cloth. Sgranasti gli occhi e la scostasti per verificare che non se la fosse spaccata a causa della caduta. Qualcuno al posto tuo sarebbe morto dalle risate. Peccato che non ci fosse assolutamente nulla da ridere. La giovane gemette di dolore. «Astrid! Astrid! Tutto bene?»
«Sì, sì, mi gira la testa perché?» Chiese lei posandosi una mano sulla parte lesa.
«Niente». Mentisti e girasti la faccia verso Partita alle tue spalle, che era svenuta. Poi riportasti la testa dritta e la guardasti: «Ce la fai a camminare?»
«Sì, credo di sì. La zia?» Chiese cercandola con lo sguardo e la trovò ancora sdraiata a terra.
«Sta bene, è solo svenuta». La rincuorasti e lei annuì, poi si separò da te. Andasti a raccogliere Pandora da terra. La quale, quando fu tra le tue braccia mugolò e riprese conoscenza. «Aquarius…»
«Ce l’ha fatta».
«Grazie…» mormorò prima di richiudere gli occhi.
Ma ancora una volta il passaggio vi fu sbarrato. Partita si riprese dallo shock e si frappose di nuovo fra voi.
La zia di Astrid riaprì gli occhi, confusa.
«Devo ammetterlo, non avrei mai pensato che la Luce Ombrosa fosse così forte, ma non mi avete ancora sconfitto». Commentò divertita.  Astrid si mise davanti a voi per difendervi.
La moglie di Yoma le si avvicinò. «No, fermati Partita!» Urlò Pandora in coro con te.
«E io non avrei mai pensato che tu fossi così stupida». Replicò Astrid sorridendo.
La donna la guardò confusa, fermandosi di botto: «Che vorresti dire?». Per tutta risposta la bionda alzò un braccio e urlò: «A me, Civetta!» E la Cloth di Partita si scompose e si rimpicciolì per volare sull’avambraccio di  Astrid, che si era raddrizzata. Sembrava il negativo di Atena.
La donna, spoglia della sua Cloth la guardò interdetta. Anche voi. Non sapevate aveste questo potere sulle cloth. «Ma come… Quando?»
«Tu non sei una Specter come hai cercato di farmi credere tutto il tempo. All’inizio non capivo bene che cosa fosse la tua Armatura. Perché a forza di lavorare per resuscitare gli Specter ho imparato a riconoscere le loro Surplici e, grazie alle feste sono anche riuscita a vedere tutte le Surplici o quasi nella loro forma totemica. Non avrei mai detto che mi sarebbe tornato utile, però sì, lo è stato. Ci ho messo un po’ per capirlo, ma non esiste alcuno Specter della Civetta. Hades non permetterebbe mai che esistesse una Surplice simile se in tutti questi secoli non ha fatto altro che dare contro ad Atena. Quella è una Cloth, nonostante le apparenze. La Civetta è un simbolo di Atena ed io sono capace di comunicare con le cloth». Rivelò lasciandovi tutti a bocca aperta.  
«Non ho mai pensato di batterti direttamente. E no, non ti ho attaccato totalmente in preda alla rabbia e alla cieca come ti ho fatto credere. É stato molto difficile anche per me non lasciarmi sopraffare, ma mi bastava toccarti anche una volta sola per passarti una Stella Nera. Devo ammetterlo, è stato faticoso. Però ce l’ho fatta. Adesso ne hai in corpo almeno una decina. Se vuoi avere salva la vita non bruciare il tuo Cosmo o diverrai cibo per le Creature, morta o no che tu sia». Poi comandò alla Civetta di potare via Partita. La cloth obbedì. Spalancò le ali, si librò in volo, afferrò la sua proprietaria e scomparirono.
«Perché l’hai lasciata andare?» Chiese Pandora.
«Perché io non ho niente da dimostrarle». Spiegò lei, poi, tutti e tre oltrepassaste la seconda Porta. Quella dei Sospiri.
Questa era nera come la precedente, ma le colonne che la circondavano erano in stile ionico e, sopra di esse c’erano due minacciosi Garuda colti nel momento di urlare. I motivi che adornavano questa porta erano in flamboyant.  Ossia riprendevano quella corrente di gotico detta fiammeggiante. 
Se la Porta dei Ricordi si era rivelata letale, non osavi immaginare cosa potesse fare quella dei Sospiri.
E poi, che tipo di sospiro? Non esistevano solo quelli per amore, ma anche per rassegnazione, frustrazione, sollievo, ma anche di dolore. Considerando il luogo in cui vi trovavate, probabilmente dovevate pensare al peggio, come al Ponte dei Sospiri di Venezia, che, malgrado il nome poetico e romantico, in realtà non si riferisce a quello degli innamorati. Bensì a quelli emessi dai condannati a morte che lo attraversavano. E trovandovi voi negli Inferi aveva molto più senso che fosse una cosa simile. Già, ora che ci pensavi: «Scusate, Lady Pandora, come si chiama la Terza Porta?»
«Porta dell’Ignoto».
“Come supponevo”. Anche Astrid ti guardò perplessa. Queste Porte non erano collegate alla poesia e al romanticismo come suggerivano i loro nomi, ma avevano un significato molto più macabro. I morti esigevano di essere ricordati, per la morte di qualcuno si sospirava e poi, si lasciavano andare verso l’Ignoto. Perché solo chi muore può dire di sapere come sia l’Aldilà.  
«Mi domando se Aiacos e gli altri ce l’abbiano fatta, mi sembra troppo tranquillo, qui». Commentò Astrid, riprendendo a guardarsi intorno, il falcione di Cosmo d’Oro sollevato, pronta a difendersi.
Le desti ragione.
Aggiustasti la presa su Lady Pandora e anche tu ti guardasti attorno. Se era come pensavate, probabilmente il prossimo avrebbe fatto leva sui vostri sensi di colpa per la sua morte. Ma chi? 
«Dov’è Aiacos? Dove sono gli altri? Non sento più i loro Cosmi.» fece Pandora passandoti un braccio attorno alle spalle.
«Piuttosto, ma vi siete accorti che questa sala è strana?» Chiese Astrid avvicinandosi. «L’altra era decorata e adorna in un certo senso, ma questa è vuota, perché? Non sembra neanche una sala, le pareti mi sembrano troppo lisce come un vaso».
«O un’urna cineraria». La correggesti tu e le due donne sgranarono gli occhi.
«Precisamente, Camus». Disse la voce di un uomo davanti a voi. Ma con tua grande sorpresa, vedesti che il nuovo arrivato era Shaka. Lo chiamasti stupito, ma l’altro fece una smorfia confusa. «Perdonami, mi sa che ti stai confondendo con qualcun altro». Sollevò le palpebre e tu avesti l’effettiva conferma che non fosse Shaka: gli occhi si Shaka non erano scuri. Non avresti saputo dire di che colore fossero, ma non erano del consueto azzurro. Nei giorni passati insieme in viaggio, non avresti mai dimenticato delle iridi come le sue.
Tu e Astrid arretraste. «Chi sei tu? Che ne è stato di Shaka?»
«Non ne ho idea. Non lo sento più da quando ha abbandonato gli Inferi. Io sono Asmita di Virgo, Cavaliere di Atena del Millesettecento e sono qui per riprendermi il mio mala».
«Che ne hai fatto degli Specter?»
«Li abbiamo affrontati io e i Sommi Sage e  Hakurei. Vorrei piuttosto che rispondeste a una domanda: che cos’era quell’energia che si è liberata prima? Era uno di voi, ne sono sicuro, però non so come sia successo»
«Partita ha usato la tecnica sbagliata sulla persona sbagliata». Replicò Astrid e il Saint del passato la guardò. «Capisco. Cosa siete, fanciulla? Perché somigliate tanto al Cavaliere di Aquarius del XX secolo?»
«Boh? Non siamo parenti».
«Bizzarro…» Commentò con voce trasognata. Come se la vostra somiglianza lo affascinasse molto. Non ricordavi di averlo mai visto combattere durante l’ultima battaglia o quella prima dove Zaphiri di Scorpio perse la vita. Era un problema, non avevi la più pallida idea di come si comportasse il predecessore di Shaka o se fosse forte quanto lui o no. “Devo anche tenere in considerazione un altro fattore: Shaka era la reincarnazione di Buddha, se questo fosse solo un essere umano comune come me potrebbe essere più facile. Ma se non fosse così sarebbe un problema ancora più grande”. «Ce la fate a stare in piedi, Lady Pandora?» Domandasti alla donna tra le tue braccia.
«Sì, credo di sì».
«Bene». Ciò detto la facesti smontare con tutto il rispetto e la cortesia che le dovevi. Poi ti facesti avanti, con gran sorpresa di Astrid. «La Luce Ombrosa è stanca e non può combattere, se dobbiamo affrontarci allora il tuo avversario sarò io». Dato che era così forte sarebbe stato più producente se avesse combattuto per ultima, mentre tu, invece no. Il tuo cuore cominciò a pompare più rapidamente. Non dovevi lasciarti sopraffare dai sentimenti. Non dovevi, ma la verità era che morivi dalla voglia di farla pagare a Shaka per avervi suonati come tamburi quella volta. Non avevi dimenticato il dolore che avevi provato e l’umiliazione che ti aveva inflitto. Soprattutto davanti al tuo adorato allievo quando eri tornato negli Inferi. Eri convinto che se non ti avesse ferito a tal punto almeno saresti caduto in piedi e non sdraiato e impotente come allora.
Colleghi e compagni quanto ti pare, ma se ci ripensavi ti scaldavi. Era più forte di te. E il fatto che somigliasse tanto a Shaka era un buon incentivo per fargli assaggiare i tuoi colpi. Ti eri tenuto questo peso troppo a lungo. E, soprattutto non avevi mai accettato che quello scemo si fosse fatto ammazzare da voi. Davvero non aveva idea del male che ti aveva fatto. Tutte azioni necessarie, certo, ma quanto dolore e quanta ira ti avevano fatto, tu che in fondo avevi considerato i tuoi coetanei come dei fratelli. Anche se glielo avevi nascosto.
Rabbia e rancore si mescolavano dentro di te risvegliando il tuo Cosmo, che prese a ribollire.     
«Camus…» Ti chiamò Astrid.
Ti bastò un’occhiata per farla tacere e annuire. Poi tornasti a guardare il biondo davanti a te. Sembrava che non avesse bisogno di chiudere gli occhi come Shaka per controllare e accumulare il suo Cosmo. «Come desideri, Aquarius del Cocito». Ti concesse. Poi alzò una mano e mostrò il mala che, fino a poco prima stava allacciato ai fianchi di Lady Pandora: «Tuttavia questo sarà meglio che lo tenga io».
Spalancasti gli occhi esterrefatto e le due dietro di te trasalirono nel riconoscerlo. E quando l’aveva preso? Non l’avevi neanche visto muoversi. «Mi è giunta voce che state cercando di ricostituire l’Albero degli Specter, capirete bene che non posso permetterlo. Non ho fatto a caso tutta quella fatica l’altra volta per distruggerlo».
Perciò chiuse gli occhi e si mise in posizione del loto. Anche tu sentisti che stava cercando di raggiungerlo col Cosmo per distruggerlo. In quanto padrone dell’Ottavo Senso lo poteva fare, ma anche tu avevi qualche trucco. Se Virgo non usava il Khan per proteggersi era scoperto. Lo potevi almeno danneggiare fisicamente. Perciò lo congelasti. Ed erigesti una cupola di ghiaccio attorno all’Albero. 
Il biondo fece una smorfia ma non si lasciò distrarre che, stavolta, sferrò il Khan. E tu congelasti gli atomi per creare uno scudo dietro cui le due potessero ripararsi. L’impatto fu tremendo lo stesso. Ma lo scudo fece il suo dovere. Dopo esserti accertato che le due stessero bene tornasti ad affrontare il vostro nemico. Un’altra cosa che ti fu chiara era che Asmita non era un tipo molto loquace. Bene, neanche tu avevi tanta voglia di perderti in inutili chiacchiere.
«Sembra che tu sia all’altezza della situazione, ma vediamo come te la cavi con questa». Agitò il suo mala e improvvisamente le membra ti si fecero più pesanti. Vacillasti e crollasti bocconi. Astrid dietro di te gridò, mentre tu osservavi con sgomento i bracciali della tua Cloth annerirsi e affilarsi, riprendendo i colori della tua vecchia Surplice. In quel momento ti tornò in mente l’Azone canuto che ti aveva dato quel calice e comprendesti le sue parole.
«Ecco la tua vera natura Specter di Aquarius. Mi dispiace, ma la tua corsa finisce qui, proprio come quella della Viverna». Ma prima che avesse il tempo di agitare la sua corona, tu lo anticipasti congelandogli la mano. L’uomo, scottato lasciò andare il rosario che cadde a terra. 
«Non credere che ti sarà così facile catturarmi! E poi, questa non è la mia vera natura. Io sono nato Saint di Atena e tale rimango!» Bruciasti il tuo Cosmo con tutte le tue forze finché non sentisti la Surplice cambiare forma e materiale sulle tue membra. Improvvisamente sentisti l’energia crescere di botto, volgesti la testa alle tue spalle e vedesti Astrid che stava disegnando le stelle della tua costellazioni con le sue mani lucenti e che, stava togliendo da te il velo nero che Virgo vi aveva posto. Solo allora il tuo Cosmo e la tua Aquarius cambiarono davvero tornando del colore e delle fattezze originali. Poi la giovane lo fece sparire. Non immaginavi che avesse anche questi poteri, ma se era così: “Astrid…” Pensasti.
Poi tornasti a rivolgerti ad Asmita.  «Sembra che tu sappia già come comportarti, Aquarius del XX secolo». Costatò vagamente sorpreso. Anche lui come voi aveva un buon autocontrollo. Bene, se ti somigliava almeno un po’ caratterialmente potevi affrontarlo meglio. 
«Ho già affrontato qualcuno come te in passato, non sono tanto stupido da cadere due volte nella stessa trappola». Rispondesti. Il giovane ti attaccò e tu scansasti i tuoi colpi e rispondesti con la Diamond Dust che si scontrò con il suo Tenma Kofuku. Fu solo per miracolo che le due tecniche si equivalsero.
Per la prima volta ti accorgesti che eri molto cambiato dai tempi della Guerra Sacra. All’epoca un colpo come questo avrebbe distrutto la tua Diamond Dust. Invece eri riuscito non solo a resistere ma anche a perforare la sua tecnica e dissolverla, costringendolo a saltare via.
Il ghiaccio s’infranse sulla Porta, ma non la ruppe. Di che diavolo erano fatte queste porte?
Asmita atterrò aggraziato in piedi davanti a te e tu riportasti la tua attenzione su di lui.  
«Molto interessante». Sorrise il predecessore di Shaka notando come evitavi senza problemi i suoi colpi.
Peccato che Asmita non fosse Shaka in tutto e per tutto, perché il giovane biondo non si fece scrupolo di arrivare alle mani. E picchiava forte. Eccome se picchiava.
Riuscisti ad afferrare il mala ma anche Asmita fece lo stesso e vi ritrovaste a fare il tiro alla fune con quelle perline. Però la corona era troppo antica e delicata e non resse. Le perline volarono in tutte le direzioni.
«Con questo non potrai più imprigionare gli Specter». Esclamasti balzando via da lui. Ti detergesti un rivolo di sangue che ti colava da un angolo della bocca. Sentivi di averne la bocca piena. Accidenti. Neanche contro l’Astronauta era stato così. Lì avevi proprio sentito le energie abbandonarti, ma qui sentivi di essere fatto a pezzi fisicamente. Ma ne valeva la pena.
Asmita fece un’espressione interrogativa. «Quello che hai tu è il mala ma Astrid e Pandora hanno cercato la perlina di Rhadamantys mentre io ti distraevo». Era questo che avevi detto ad Astrid tramite il Cosmo. Era un piano rischioso, ma era il primo che eri riuscito a elaborare.
A quel punto Asmita sollevò le sopracciglia. «Cosa? Vuoi dire che i grani sono centosette?»  
«Esatto!» Poi ti girasti di lato e rivelasti Pandora e Astrid, che si stava rialzando dopo aver deposto la perlina ai piedi della zia. La quale alzò il tacco e l’abbatté sul grano, spaccandola. La perlina andò in frantumi liberando una quantità di luce ed energia che vi costrinse a ripararvi la faccia e vi sventagliò i capelli.
La Viverna si avventò addosso ad Asmita con un ruggito di rabbia. Degno della fiera di cui portava il nome.  E fu Rhadamantys, con il suo Sekishiki Meikai ha a rispedire il predecessore di Shaka nel suo girone.
E fu allora che la sala si trasformò, rivelandosi per quello che era davvero.
La luce lieve avvolgeva gli affreschi e i decori nella penombra. Scene di battaglia e il mito di Orpheo ed Euridice. O molti altri a voi ignoti che cercarono di salvare i propri cari. Riconoscesti l’Alcesti che si sacrificò per il marito Admeto quando giunse la sua ora. Oppure ancora Enea che parla con suo padre Anchise nell’Aldilà, ma anche Dante accompagnato da Virgilio prima e Beatrice poi.
Attorno a voi risplendevano frammenti di vetro a grappoli  dal soffitto che riflettevano ogni cosa lanciando lampi di luce. La pesante cappa di aria viziata era sostituita dal profumo di un dolce incenso alla lavanda e l’aria si era fatta più leggera. Non solo grazie al ghiaccio che andava sciogliendosi. Rispetto alla sala precedente, anche la struttura era molto più leggera e spoglia. Quasi come se avesse dovuto sollevarsi verso l’alto.
Rhadamantys vi guardò tutti per accertarsi che steste bene, poi, spalancò la terza Porta: quella dell’Ignoto. La sala dove vi ritrovaste era custodita da Sage e Hakurei ed era lì che erano impegnati i due Specter  rimanenti.
Fu proprio quest’ultimo ad accorgersi di voi e richiamò l’attenzione del gemello: «Fratello, eccola». Poi i due gemelli le scagliarono addosso i loro attacchi.
Ma la ragazza fu tratta via da lì da Aiacos, che l’afferrò per la collottola tipo gatto e la spostò rapidamente. «Aiacos!» Esclamò lei mentre tu colpivi i due con la Diamond Dust. Hakurei ribatté ai tuoi colpi. Per essere un Silver Saint era molto potente, non a caso la Cloth di Ara aveva scelto lui. 
«Astrid!» Urlò Pandora e corse da lei. Anche tu guardasti la scena allibito e ti distraesti. Fortuna che i Cavalieri seguivano le regole della cavalleria, perciò Hakurei non ti attaccò.
Astrid non si muoveva più. Il sigillo della Dea Atena appiccicato sulla fronte le impediva ogni movimento. Come era possibile? Quando le era stato appiccicato?
Vedeste Sage balzare via.
Pandora provò a tendere una mano verso di lei ma una scarica di energia le colpì le dita e gliele fece ritrarre con un gemito di dolore. Anche Aiacos si era scostato di colpo. Pure tu avvertivi l’energia provenire da quel talismano con l’Ichor della Dea. Non avevi mai percepito prima d’ora un’energia tanto forte come questa. Ti venne istintivo classificarla come un pericolo e indietreggiare. Era ciò che la tua persona, il tuo lato oscuro temeva. 
«Non potete toccarla». Li avvisò Sage. «Quelli sono talismani purificatori, grazie ad essi l’anima di Astrid si salverà e una Saint tornerà all’ovile».
«Bastardo, come hai potuto? Togliglielo subito!» Sbraitarono Rhadamantys e Pandora in coro, volgendosi verso di lui. Poi lo raggiunsero. Rhadamantys lo avrebbe anche afferrato per il collo ma l’ex Patriarca si era scostato in tempo.
La Viverna ringhiò mentre tu deviavi un colpo di Hakurei che era indirizzato a Pandora. Minos e Aiacos intanto lottavano per svegliare Astrid che sembrava essersi addormentata di botto.
Ma proprio allora Sage espanse il suo Cosmo e vi sventagliò tutti agli angoli della Sala.
«É tutto inutile, non riuscirete mai più a contaminarla con la vostra nefanda presenza».
Hakurei intanto usò la tecnica di Ara, l’Immolazione del Cosmo su di lei. Ma questa tecnica era diversa da quelle che conoscevate, questa sembrava più una benedizione. Non era impossibile, sugli altari si benedivano le offerte. Ma anche si purificavano. Stavano tentando un rito di purificazione in tutto e per tutto sperando che il sangue della Dea facesse effetto.
«No, siete voi che la state contaminando, non vi azzardate a toccare la mia bambina neanche con un dito, brutti mostri!» Sbraitò Pandora rimettendosi in piedi a fatica.
«Non potete esorcizzarmi». Fece la ragazza e i due gemelli si volsero verso di lei. Forse era vero che aveva dei demoni in sé, ma non erano esseri estranei a lei, erano le sue ferite e il suo dolore. Ed erano pronti a combattere insieme a lei. Poi alzò il braccio. «Perché non c’è niente da esorcizzare in me». Rispose lei, afferrando il talismano con due dita e staccandoselo dalla fronte.
Immediatamente i suoi occhi tornarono normali. Poi appallottolò il talismano e lo lanciò via alle sue spalle.
«Tu sei il male, sei tu il vero male del mondo». L’accusò Hakurei, che tra i due era il più fumino. Ma la vostra amica non si lasciò sconvolgere. Anzi, sollevò il braccio, le dita risplendenti di luce lattiginosa: «Cenere alla cenere, polvere alla polvere, torna nel passato, vecchio fossile». Sibilò muovendo il braccio con l’orologio.
Hakurei l’attaccò, ma si scontrò contro la luce e si dissolse in cenere. Lo stesso accadde al suo gemello, che era rimasto indietro. E quando Astrid lo guardò, lui sollevò le sopracciglia e commentò: «Oh, come ho fatto a non accorgermene prima? Pandora non ha liberato solo il male, stavolta ha liberato anche la Speranza. Oh, ora posso morire in pace». Poi gli occhi gli si rivoltarono indietro e, mentre cadeva all’indietro, si dissolse.
Che strano, per un momento ti era parso che il fantasma di un sorriso avesse animato la sua bocca. Solo tu vedesti la giovane nascondere nuovamente l’orologio tra le trame della veste. 
Ancora una porta e avreste potuto affrontare don Avido.
A spalancare questa, tuttavia non fu uno Specter, bensì Pandora in persona. La sala delle Udienze era buia e tetra. In un certo senso sembrava di essere dentro una catacomba. Non come la Quarta, ma una catacomba umida e fredda, in un certo senso. Qui si sentiva fortissimo il tocco degli spiriti quale tu eri. Un freddo dolce ma sottile, spoglio della secchezza di certe giornate e dell’umidità di altre. Era un freddo pulito e sottile che si percepiva appena sullo strato più esterno della pelle. 
Il pavimento era di un azzurro chiaro contrastante con il buio che cadeva dalle pareti. Anche il buio era strano, era come se fosse una vernice che era stata fatta colare giù dalle pareti. Da dove vi trovavate non si vedevano bene neanche i confini, ma si vedeva la pedana con i cinque gradini e lo scranno sopraelevato del Dio vero Signore di questo posto.
Rhadamantys accanto a voi fremette di rabbia. «Come osa insozzare con la sua presenza questa sacra Sala del Dio Hades?»
Quando anche tu guardasti meglio nella direzione in cui quegli occhi erano fissi, non potesti non trattenere il tuo stupore: don Avido era seduto sullo scranno che una volta fu del Dio dell’Oltretomba. Non faceva neanche un misero tentativo di fuga, era come se stesse dominando tutta la situazione. «Non pensavo che sareste riusciti a superare le mie guardie». Vi accolse, gelido. Un sigaro che pendeva dalle sue labbra.
«Le tue guardie, neanche la loro identità gli riconosci». Sbottò Rhadamantys disgustato mentre vi fermavate tutti in blocco.
Il Black Saint alzò le spalle e buttò fuori una nuvoletta di fumo: «E a cosa mi serve? Una volta che assumi il controllo dell’Oltretomba non importa più».
«Tu non hai il controllo sull’Oltretomba, tu l’hai perso da un pezzo». Gli ricordò Pandora. Poi mosse il tridente e ordinò: «Alzati immediatamente da quel trono, non sei degno di starci seduto! Non sei il padrone degli Inferi!»
L’uomo ignorò il suo ordine e borbottò: «Così dicono». Un sorriso malefico si allargò sulla sua faccia. Il sorriso di chi ha il coltello dalla parte del manico. O che crede di avercelo.
Lasciò avvicinare soltanto le due donne che erano con voi.
«Non m’interessano tutti gli altri, mi interessa soltanto lei». Fece allungando un dito verso Astrid. «Per quanto riguarda voi potete anche sparire».
A quel punto Pandora mollò un fendente a Don Avido che schivò abbassandosi, poi si girò verso di lei. E la spazzò via con un colpo di Cosmo mentre Astrid manifestava il suo falcione. «Difenditi!» Gli intimò.
«Non ho bisogno di armi».
«Va bene lo stesso».
La strategia di don Avido era semplice, in quanto lui riusciva a manipolare le anime. Infatti, ben presto, nonostante che indossassero una Surplice, Minos e Aiacos furono scagliati contro Astrid.
La ragazza mosse delle proteste e i due non riuscirono a opporsi. «Qualcosa ci sta controllando!»
Non poteva andare avanti così, sarebbe andata a finire male. Dovevi fare qualcosa e non ti venne niente di meglio che usare la tecnica di Tempesta nella stanza di Cerebro per far svegliare il Dottor Xavier in X-men.
Ossia, abbassare la temperatura, finché il Black Saint non fu costretto a fermarsi.
Tutti nella Sala stavano battendo i denti. «Come diavolo…» Ma non finì la frase che Pandora, tremante, gli puntò il tridente di Hades alla gola.
«Ah, e tu credi che questo misero trucchetto possa bastare a fermarmi? Stai attenta a come ti muovi, madama, rischi di tagliare il naso a qualcuno». La derise l’uomo accennando al suo timore.
«Meglio, una parte di te in meno da sopportare».
«Non credere che lei sia la sola».
Solo allora il Black Saint si ricordò della presenza di Astrid e, come già molto prima, anche tu avevi percepito la Loro. Le Creature erano qui fuori della porta, che aspettavano un cenno da parte della loro padrona.
Le due si scambiarono uno sguardo. «Insieme?» Domandò la bionda materializzando una stella nera tra l’indice e il medio.
Le Lacrime scattarono attirate dalla stella-cibo e voi vi abbassaste di colpo mentre le Lacrime si fiondavano nella stanza a gran velocità.
«Insieme!» Urlò Pandora. E infilzò Don Avido nello stesso momento in cui lei saltò.
Il nemico afferrò l’arma per il manico e lo fermò: «Credevate che bastasse questo per fermarmi?» Non fece in tempo a pronunciare l’ultima sillaba che l’altra gli piantò le mani sulla schiena e disse, con un sorriso: «Dimmelo tu se questo ti basta» poi spinse la stella nera dentro di lui e le Creature, che si erano innalzate, gli si scagliarono addosso, in picchiata. Le mani protese verso di lui.
Astrid si scostò con un balzo mentre le Creature terminavano il loro lavoro riducendolo all’impotenza. Ma il Cosmo del Black Saint, adesso percepibile, era ancora nell’aria. I tre Specter scattarono immediatamente. «É ancora vivo, quel maledetto ci è sfuggito». Ruggì Minos.
«Dobbiamo riprenderlo!» Ringhiarono Aiacos e Rhadamantys rialzandosi.
Poi lo vide a pochi metri da voi, ferito, che, gemendo, cercava di strisciare via, trascinandosi sul pavimento. Lo Specter tese le mani verso di lui e fece per usare il Cosmic Marionation ma Astrid lo fermò. «No». Posò una mano sul braccio di Minos e lo Specter la guardò con astio da sotto la folta frangia candida ma non la colpì. «Non può più nuocere a nessuno, ormai». Gli fece notare la giovane accennando al Black Saint ferito che gemeva di dolore sul pavimento scuro pochi metri più in là.
Lo Specter lo fissò per un po’ prima di abbassare il braccio e darle ragione. Ma si vedeva che gli bruciava di non poter infierire su di lui come desiderava.    
Adesso era veramente finita.
Non sapesti come successe, fatto sta che perdesti i sensi.

Ti svegliasti nella tua camera da letto. Finalmente dormivi in un vero letto, anche se era stato solo per medicarti le ferite che avevi riportato nello scontro con Asmita. Eppure il materasso era così morbido, rispetto ai soliti giacigli, che ti sembrava gelatina. Fossi stato più pazzo ti saresti alzato e avresti dormito sul pavimento. Anche se dubitavi che qualcuno te l’avrebbe permesso.
I medici degli Inferi e le Velate si erano occupati di voialtri. Erano passati cinque giorni che avevi trascorso tra visite mediche, cibo, bagno, visite mediche, visite di amici e riposo. Tutto nello stesso ciclo. Ma anche così ci sarebbero voluti come minimo un mese per recuperare la mobilità. Astrid veniva a trovarti tutti i giorni da quando ti eri svegliato. Anche la Nobile Pandora, quando aveva potuto alzarsi era venuta da te. E ti aveva fatto strano vederla con una camicia da notte chiara e una vestaglia dello stesso colore. Sembrava un fantasma per il contrasto con la lunga chioma corvina, adesso legata in un elegante chignon. Tra pazienti ci si fa visita a vicenda qualche volta. Soprattutto se ci si conosce.
Ma anche Fianna e gli altri ti venivano a trovare dopo i pasti, mentre gli Specter fuori della Giudecca festeggiavano. La piccola la prima volta che venne da te si arrampicava sul tuo letto e ti gettava le braccia al collo piangendo. Avesti la sensazione che si stesse colpevolizzando, però riuscisti a tranquillizzarla in tempo e a farle capire che andava tutto bene. 
Astrid era quella che sembrava stare meglio e, anche lei aveva smesso momentaneamente le vesti nere e i pezzi di Surplice in favore di un comodo abito bianco e con decorazioni e sfumature color crema, di seta. «E l’altro?»
«Ah, è un po’malconcio, se ne occuperanno le Velate, nel frattempo le dame di Lady Niniane mi hanno dato questo di ricambio». Rispose lei alzando una spalla.
Vedevi perfettamente che il rapporto tra le due si stava ricostruendo e ne fosti felice. Poi ti sovvenne alla mente un pensiero.
«Lady Pandora, potrei parlarvi un momento in privato?» Le chiedesti e la donna annuì. Astrid si alzò e vi lasciò soli. La zia di Astrid si passò le mani sulla gonna della camicia e domandò: «Di che cosa volevate parlarmi?»
«Di affari, principalmente. Adesso che la Guerra è finita credo che sia opportuno riconsiderare la mia richiesta a proposito dei Celti».
«Credevo che ve ne foste scordato».
«Non mi scordo le cose così facilmente». Ti scusasti. «I Celti hanno combattuto valorosamente, questo glielo dovete riconoscere e anche la libertà».
«Dipendesse da me non esiterei a dargliela, però questo potere non spetta a me. Spetta al Divino Hades, farò in modo che le venga recapitata non appena sarà qui, nel frattempo mi farebbe piacere se collaborassimo ancora una volta. Naturalmente per il benessere degli Inferi. Adesso c’è da ricostruire ogni cosa».
«Naturalmente».
Non ti fidavi completamente delle parole di Pandora, però ti fidavi della piccola Fianna. Forse erano le medicine, forse era il periodo, però quasi non riconoscesti la bambina senza i disegni blu e gli abiti di cuoio che usava per combattere. Neanche senza la polvere addosso. La veste di foggia  romana le stava benissimo e anche i capelli puliti e acconciati. Sembrava anche più in salute e tranquilla.
Soprattutto adesso che Viviana non era più un pericolo per lei. La piccola guerriera continuò a farti da portavoce tra te e i Celti per tutto il tempo necessario alla tua guarigione.
Fu lei a raccontarti, per esempio che alla fine un gruppo di loro aveva deciso di stabilirsi negli Inferi. Oppure, che i dux bellorum, con la benedizione delle Sacerdotesse e dei Druidi avevano arrestato e deposto Lady Viviana e l’avevano condotta di fronte a Rune di Barlog. Che si era visto costretto, assieme al suo superiore, a rispolverare i tomi risalenti al Milleduecento, per aprire un nuovo processo per la Sacerdotessa Reale di Avalon. Quella donna aveva compiuto un atto tremendo nei confronti dei suoi stessi Dèi. Probabilmente in passato riuscì a ingannare il proprio popolo con un Cosmo da Silver, al massimo; ma non avrebbe  impressionato gli Specter. Ed era l’ora che avesse ciò che meritava.
Fianna si sdraiò accanto a te e tu le carezzasti la testa con fare paterno: «Sei contenta?» Le chiedesti e lei disse di sì. Finalmente anche lei aveva la sua parte di giustizia.
Fu sempre lei, poi, a dirti che gli Specter si stavano riorganizzando e ricostruendo gli Inferi come li conoscevano prima. Il che era un bene. I Black Saint avevano portato troppi danni a questi luoghi. Anche le Creature avevano contribuito a peggiorare ogni cosa. «Vogliono che la Luce Ombrosa resti qui». Ti disse un giorno mentre il dottore ti visitava.
«Ah, sì? Perché?»
«Le Creature stanno ancora imperversando per queste terre, anche dai Regni Limitrofi giungono notizie preoccupanti: gli inferi orientali stanno scomparendo quasi completamente e non sappiamo tra quanto toccherà a noi». Ti guardò angosciata: «Tu credi che Luce Ombrosa ci salverà?»
«Non lo so». 
Nei suoi occhi leggesti la paura. «Ma tu puoi dirglielo, no?»
«Non so se mi ascolterà».
Lei si volse completamente verso di te: «Ma deve, tutti ascoltano te». Perciò fosti costretto a prometterle che avresti parlato con lei. Tanto l’indomani si sarebbero tenuti la cerimonia di liberazione ufficiale e i festeggiamenti per Hades. Presto sarebbe tornato negli Inferi. Ti venne da sbuffare. Aveva lasciato fare a voi tutto il lavoro sporco e lui se ne era rimasto beatamente in panciolle chissà dove per tutti questi anni.

La mattina seguente la Giudecca era in fermento: era arrivato il giorno in cui la bandiera degli Inferi avrebbe sventolato di nuovo sul tetto del Palazzo. In realtà la statua reggeva un tridente, ma per l’occasione era stato rimosso per la cerimonia. Dava un tocco più umano e vivido, mentre la bandiera sapeva di libertà. Dopotutto avevate vinto una guerra decennale. Anche gli ambasciatori degli Dèi della Notte erano giunti in visita per celebrare questa vittoria. Un chiaro messaggio per tutti i regni limitrofi, ossia che la Guerra Civile era finita. Tra i presenti c’erano sicuramente anche esponenti dell’Inferno, di Hel, di Plutone, di Anubis e di altri regni di cui tu ignoravi l’esistenza, ma, che in un modo o nell’altro, nel corso degli anni, vi avevano sostentato. Per esempio, era anche grazie ai commerci con il Regno di Lucifero che voi avevate candele e oli profumati, oltre che il profumo che avevi indossato per l’occasione.
Ti stavi preparando anche tu per la cerimonia. In virtù dei tuoi servigi avevi ricevuto il diritto del palco d’onore. Perciò ti eri fatto un bagno con qualche difficoltà per via delle bende e avevi lasciato che ti lavassero e ti pettinassero i capelli. «Le punte sono rovinate, mio signore, desiderate tagliarle?» Aveva chiesto una delle serve e tu avevi detto di sì. A essere onesti quell’azzurro non lo sopportavi più. Adesso i capelli non ti sfioravano più gli stinchi e ti sembravano più leggeri, anche se ti arrivavano lo stesso alle ginocchia e il volto libero della barba che finora ti aveva ombreggiato il volto. Avevi temuto che sotto la barba la tua pelle avesse perso la sua freschezza giovanile, ma non era stato così. E ciò ti fece tirare un sospiro di sollievo.
Poi avevi indossato i vestiti puliti sotto la Cloth riparata e tirata a lucido e ti eri avviato ai festeggiamenti. La Gold Cloth ti sosteneva premurosa come una vecchia amica e una madre e, al tempo stesso, ti faceva da esoscheletro. Ciò non cancellava il dolore delle ferite, ma le rendeva sopportabili.
Mentre camminavi per i corridoi del Palazzo, che era stato ripulito dai decenni di polvere e di sporcizia e stava acquisendo un nuovo, tetro splendore, incontrasti Astrid. Era di nuovo infilata nel vestito nero e indossava i pezzi della sua Surplice. La parure a orecchio di drago faceva bella mostra di sé al lato della testa. Anche lei era stata tirata a lucido. La stola delle Ninfe Stigie avvolta attorno al suo corpo come le ali delle armature egiziane dei libri di egittologia. Però sembrava turbata mentre guardava fuori della finestra. Come se stesse cercando di sforzarsi di non piangere.
Che cosa le era successo? La chiamasti e lei trasalì e si volse di colpo verso di te. Poi ti riconobbe e tirò un sospiro di sollievo. «Camus». Ti salutò e poi disse: «Hai tagliato i capelli».
Decidesti di assecondarla con qualche convenevole: «Sì, ne avevano bisogno». 
«Peccato, mi piacevano quelle punte azzurre». Commentò un po’dispiaciuta, poi tornò a darti il profilo e a guardare fuori dalla finestra bifora. «Tutto bene?» Le chiedesti.
«Non lo so».
«C’è qualche problema?» Le chiedesti ancora appoggiandoti a tua volta alla balaustra.
«Quello che è successo in quella stanza…» Cominciò, turbata. Si guardò le mani «Io… io non so cosa sia accaduto. Non so improvvisamente mi sono sentita sopraffatta da quella forza e, non era né buona né cattiva, era entrambe e nessuna delle due. Non è stato brutto, è stato… bellissimo. Mi sentivo benissimo, come se avessi già vissuto prima questa sensazione, come se fossi veramente me stessa. Ero Tutto, in tutti e in Tutto e… e…» Si arrese e cambiò discorso «Ma poi ho sentito anche il niente. Non provavo assolutamente niente, guardavo Partita e l’ho trovata una formichina insignificante che avrei potuto schiacciare. Non avevo mai provato prima qualcosa di così tanto intenso, non saprei neanche come descrivertelo, non ci sono parole per farlo. Non riuscirei a trovare dei termini coerenti tra loro e… Dèi, che cosa mi è successo?» Farfugliò anche qualcos’altro e a te fece una gran pena. Non ti piaceva proprio vederla soffrire. Le stringesti la spalla con una mano e lei si interruppe di colpo. «Non ti è successo niente di male». La rassicurasti con voce dolce. Poi abbozzasti un sorriso: «Adesso potresti vantarti di poter dire di avere tutto un universo dentro di te». Ti complimentasti ma Astrid aggrottò le sopracciglia. Poi ti guardò: «Scusa?»
Ne avevi sentito parlare una volta sola, dai filosofi dell’Oltretomba, durante la Guerra, poco prima dell’arrivo di Shaka. Non eri sicuro di averci capito molto, però sembrava una cosa carina da dire: «Sì, sai quella storia che ogni persona è un mondo a parte? Bè tu sei tutto l’Universo». Sentisti le guance scaldarsi nel dire queste parole e, improvvisamente, anche sostenere il suo sguardo incredulo ti fu estremamente difficile. “Ed è stato anche molto suggestivo”, pensasti sentendo il cuore battere più velocemente, ma lo tenesti per te. Non eri bravo a esprimerti. Eri più bravo a stendere piani. Sotto l’aspetto emotivo sentimentale eri totalmente mancante. Il termine corretto sarebbe stato sublime, perché sublime è laddove il bello e il terrificante si fondono insieme.  
Le sue labbra si curvarono in un dolce sorriso.
Ora che la guardavi bene ti accorgesti che non era mica brutta. Avevi sempre saputo che era bella, solo che te ne rendevi conto adesso. Ti venne voglia di spostarle una ciocca dietro l’orecchio e lo facesti. Stava molto meglio con i capelli lontani dal volto. «Uao, un poeta». Scherzò lei addolcendo lo sguardo mentre le sue guance si tingevano di rosso. Poi però si rabbuiò e tornò a guardare dritto di fronte a sé. Lasciasti andare le sua spalla. « Però… sono stanca di questa storia. Magari all’inizio poteva anche farmi piacere, ma ora mi sto stancando. Questa storia ha un che di morboso e non mi piace. Cioè non gira tutto attorno a me, non sono nessuno degno di nota, io sono un fallimento, non ho neanche preso la laurea, io…»
«Tu sei Astrid e basta». La interrompesti continuando a sorridere dolcemente. Anche se ti sentivi un ebete non importava. E risentisti le sensazioni di quella notte che l’avevi strappata da Myu. Tra cui anche i sensi di colpa per questa tua uscita.
Lei ti guardò come se tu le avessi fatto una rivelazione di chissà quale portata. Fece per replicare ma una Velata l’anticipò: «Lady Astrid, Lady Pandora vuole vederla». Astrid si girò a guardarla: «Sì, arrivo, continuiamo dopo, Camus, ok?» Ti domandò guardandoti negli occhi. Il suo sguardo era così speranzoso che non te la sentisti proprio di dire di no.  
«Ok». L’accompagnasti con lo sguardo; con l’inspiegabile sensazione di aver perso un’occasione che si espandeva dentro di te.
La seguisti tenendoti più indietro. Raggiungeste Lady Pandora sul terrazzo interno al cortile della Giudecca. Tu fino a questo momento neanche sapevi che la Giudecca ne avesse uno. Ma la sorpresa più grande, per voi, fu vedere alcuni dei tuoi compagni, Shun e Milo.  Quest’ultimi stavano discutendo con Pandora, la quale piegava la testa in atteggiamento deferente davanti a Shun che aveva… i capelli neri e gli occhi verdi? Aspetta, ma perché era vestito di nero così? E quel Cosmo, che fosse Hades? Era tornato? Non l’avevi mai visto in faccia prima, ma neanche ti aspettavi che avesse la faccia di Shun, l’ex Bronze Saint di Andromeda.
Poi i tre si accorsero del tuo arrivo e si volsero verso di te.
«Camus!» Ti sorrise il cicladico dai lunghi, mossi capelli biondi e violetti, ma non ti venne incontro per stringerti la mano come avrebbe fatto prima della Guerra Sacra e del tuo “tradimento”. Quella volta lui preferì sostenere Saga e volgerti completamente le spalle, anche se non sapevi perché. Non sapevi neanche chi ti avesse sostenuto, durante gli ultimi gradini. Ma eri sicuro che non fosse Milo. Ti ferì leggermente questo sorriso che, pur essendo amichevole era duro e non contagiava gli occhi. Come molti altri da quando eri tornato alla vita quattro anni prima.
La sua felicità era contenuta, molto piccola rispetto a come sarebbe potuta essere in passato. 
E poi si accorse di Astrid, che si era tenuta indietro, insieme alla guardia infera e agli Specter, che aveva già reso omaggio al loro Signore. Il volto del tuo vecchio amico si illuminò in un modo che ti fece male. «Astrid!» Esclamò, si scusò con il Dio dell’Oltretomba e la sua Sacerdotessa e colmò la distanza tra loro in poche falcate, passandoti accanto. Non riuscisti a non impedirti di seguirlo con lo sguardo e a guardarlo da sopra una spalla. Non era mai stato così sollevato e felice di vedere qualcuno. Neanche te. Ti desti dell’imbecille per l’ennesima volta. Avevi ignorato così tante volte la sua amicizia da darla per scontata. L’unico punto di contatto che avevate era Hyoga e basta. Solo che tu non avevi mai voluto veramente separarti da lui. Non sapevi neanche tu perché, abitudine, probabilmente. 
Sperasti che Astrid non facesse lo stesso errore. Poi tornasti a guardare dritto davanti a te e andasti a rendere omaggio al Signore degli Inferi, che attendeva: «I miei rispetti, Lord Hades, a nome mio e del mio compagno Shaka della Vergine, guardiano della Sesta Prigione».
«Lui è Camus di Aquarius, il Guardiano del Cocito». Ti presentò Pandora indicandoti con un cenno della mano. Il Sotterraneo Oscuro ti ordinò di raddrizzarti: «Meritate un encomio per i servigi resimi: ben fatto, Aquarius e anche Virgo, senza di lui non avremmo mai avuto il supporto delle bestie della Notte. Mi domando perché non sia qui, il mio ospite desiderava rivederlo».Commentò poi cercandolo con lo sguardo. Aveva una voce fredda e un timbro totalmente diverso. Se avesse avuto la pelle più gelida della tua non ti saresti sorpreso, ma non ci tenevi a sfiorarlo neppure per sbaglio. Bastava già la forza del suo Cosmo a rizzarti i peli sulla nuca. E quest’elogio sembrò un modo per ricordarti che non eri più solo un alleato, ma una pedina invischiata nelle sue trame. Come decadi fa. 
Ti scusasti con lui spiegandogli dell’increscioso incidente che l’aveva portato ad allontanarsi. 
La zia di Astrid prese in mano la situazione e domandò: «Vogliamo cominciare, fratello mio?» Chiese, ossequiosa. Ma a te dette solo l’impressione di essere viscida. Il volto di ShunHades restò impassibile, però assentì con un cenno del capo.
Così Pandora attirò l’attenzione di tutti: «Si comincia, date i segnali ai servi». Le Velate presenti scivolarono silenziose fuori della porta e dei musici suonarono delle trombe e dei corni. Prima che la donna potesse dire qualcosa, suo fratello divino gli disse che la cerimonia era per lei. Che se la meritava. Lei lo guardò sbalordita, poi annuì: «Grazie, sono onorata».
«Non devi, hai combattuto bene, questa festa è anche e soprattutto la tua». Lei sembrò commuoversi, poi si ricompose rapidamente e si rivolse a tutti voi Gold presenti sul terrazzo: «Spero che voi Gold Saint possiate accettare di unirvi a noi nei festeggiamenti di questa sera, come pegno per il prezioso contributo che ci avete dato. Il nostro Signore è tanto generoso da aver concesso un dono a ognuno di voi, nobili Saint che avete combattuto al nostro fianco perorando la nostra causa».
Guardasti il nemico di Atena sbalordito. Ma lui si era già tirato indietro. D’altronde era la festa della sorella, era libera di fare come desiderava.
Un dono da parte della Sacerdotessa di Hades? Questa non ve l’aspettaste proprio. Vi guardò tutti, scrutandovi con i suoi occhi violetti. Poi andò ad inchinarsi di fronte a Shun. «Mio Signore, quale onore è per me rivedervi».
 «Vieni fratello mio, sarai affamato, stavamo per metterci a mangiare». Lo invitò la Sacerdotessa indicando la Sala dei Banchetti con un ampio gesto del braccio.
Sotto di voi erano radunati tutti gli Specter nelle loro Surplici nere. Gli Skeleton e gli altri Spiriti stavano più indietro, ma sapevi che presto si sarebbero mescolati tra loro.  La statua dell’angelo sopra la Giudecca, la falsa misericordia, era stata girata verso l’interno per l’occasione. Sul terrazzo c’erano Lady Niniane, Fianna, Lady Anfitrite, Lady Pandora, i vari ambasciatori e le loro guardie, più i tre Giudici Infernali e Astrid.
Gli ambasciatori degli Dèi della Notte ti vennero subito incontro chiedendo notizie di Shaka e tu dovesti raccontare la verità, con tutta la cautela di cui eri capace. «Ci dispiace sapere questo, alla Nostra Signora non farà affatto piacere». Commentò sdegnato uno dei due. «Rincresce anche a me, ma la donna con cui il mio collega è fuggito è un’Azona».
Il solo pronunciare questa parola bastò per far sgranare gli occhi e impallidire i due: «Un’Azona? Ne siete certo?» Che reazione era mai questa? «Sì, lei stessa ha dimostrato di possedere tecniche e Cosmo legati al Tempo. Sono sicuro che fosse una Dea». Rispondesti tenendo la tua confusione solo per te. I due si scambiarono un’occhiata sconvolta prima di tornare a guardare te. «Questo è impossibile».
«Perché gli Azoni sono morti da secoli. L’ultima traccia risale all’anno Mille; già ai tempi si diceva che ci fosse stata un Apocalisse e loro si sacrificarono per permettere di vivere a tutti noi». Ti spiegò il secondo, intimorito.
«Ma se invece non fossero morti per davvero?» Ipotizzasti vagamente intimorito da questi discorsi. Perché ora che ci pensavi, anche tu avevi conosciuto un Azone, quello delle truppe di Hades. A proposito, perché non era qui? Se avevi capito bene, gli Azoni erano sempre un passo dietro di voi per riportare gli avvenimenti. Questo doveva essere un avvenimento degno di nota, no? Allora perché l’Azone di Hades non era qui? Non percepivi neanche il suo Cosmo. Non potevi esserti sbagliato: la forza e il carisma che emanava era la stessa di quella di Lady Asia. Impossibile sbagliarsi tanto. 
Non aveste tempo di discutere oltre che la cerimonia iniziò e foste costretti a prendere posto.    
Lady Pandora fece un commovente discorso in cui proclamò che questo era un giorno di festa. Che erano finalmente liberi. Temesti per lei, perché il suo discorso era un’arma a doppio taglio per come era presentato. Ma evidentemente se l’era preparato bene, perché non scadde affatto nel ridicolo o nell’offesa.
Ringraziò tutti voi per l’aiuto prezioso che le avevate dato. Si scusò anche perché sapeva quanto era doloroso per voi spiriti aver contribuito alla salvezza degli Inferi. Che gli Inferi erano crudeli e non avevano pietà per nessuno. Che avrebbero continuato a soffrire. Ma era anche vero che grazie alla vostra lotta tutti quanti sarebbero stati salvi. Volle ringraziare in particolare sua nipote Astrid, presentandola ufficialmente e la invitò a raggiungerla accanto a sé.
Applaudiste per incoraggiare la giovane, imbarazzata. Anche  la zia si girò verso la nipote, sorridendole. La bionda la raggiunse. Pandora la guardò a lungo, con orgoglio e felicità. Poi le sorrise e le porse l’asta della bandiera. «Vuoi sistemarla insieme a me?»
«Sì». Ricambiò la giovane e insieme rimisero l’asta nelle mani della statua. La bandiera di Hades prese a sventolare nella brezza infera del Cocito mentre sotto di voi gli Specter e i vostri alleati urlavano festanti lanciando coriandoli e altri materiali che non sapevi dove si fossero procurati. Intanto che le due donne, dopo essersi sorrise vicendevolmente, alzarono le loro mani intrecciate, cavalcando quest’ondata di giubilo e potere.
E anche voi non poteste fare a meno di sorridere e applaudire.

La musica suonata dai musicisti inferi non era male, per niente. Era delicata, scivolava tra di voi senza infastidire nessuno. Non pensavi che lo Specter della Sfinge avesse lo stesso talento musicale di Orpheo della Lyra. Lo guardasti un momento e tornasti a concentrarti sul cibo. Bè, sicuramente non aveva lo stesso viso. Lo Specter non si era ancora ripreso dal pungo rinforzato di Astrid. Aveva ancora il naso tutto storto. 
Se fosse stata una tavolata normale probabilmente l’atmosfera sarebbe stata più festosa di così. Invece gli unici che si sentivano a proprio agio erano Astrid e gli Specter a cui era più legata. In questo caso, Valentine, che non si faceva troppi problemi a chiacchierare con lei come se niente fosse e, Aiacos. Il quale ascoltava annuendo tutto ciò che la sua Seconda Ala diceva.
A volte anche Milo interveniva nel discorso, ponendo domande all’amica. Non ci credeva ancora che lei fosse riuscita a sopravvivere negli Inferi quasi tutto da sola. E a costruirsi anche una Surplice.  «Normalmente ti direi che schifo, ma  capisco perché tu l’abbia fatto». Commentò quando lei disse dove si era procurata i pezzi.
Trovasti molto carino da parte di Astrid però che cercasse di condividere con te i suoi meriti. «Non ti schernire, Camus, dopotutto c’eri anche tu con me quella volta». Ti rimproverò scherzosamente, prima di bere un sorso di vino dalla sua coppa. Stiracchiasti la bocca in un sorriso. Fece uno strano effetto cenare alla stessa tavola del Signore degli Inferi. Sapevi che Shun e Astrid erano conoscenti, ma non immaginavi che avrebbe finito per destare la curiosità del Signore dell’Oltretomba. Avevi sentito dire, ora che ci pensavi, che Shun si fosse offerto per farle da fisioterapista. Adesso avevi una vaga idea del perché. Aiolia non pensava neanche questo. Non pensavo certo che fosse l’attuale incarnazione del Signore dell’Oltretomba. Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, preda com’ero dello stupore e della confusione. 
«Qualcosa non va?» Le domandò lui, perfettamente tranquillo, guardandola di rimando.
«No, la cena è ottima. È solo che adesso capisco come mai Shun mi faceva quello strano effetto».
«Strano effetto?»
«A volte mi accorgevo della Vostra presenza, quando credevate che io non vi stessi guardando». Inventò. Ormai eri diventato abbastanza bravo da capire quando mentiva o no.
Il volto di Hades mostrò un po’di curiosità, anche se manteneva la stessa espressione di chi si era appena alzato dal letto e non è ancora del tutto sveglio. «Dunque ti eri accorta di me?» Domandò con voce seria.
Confermai: «Anche se pensavo di avere le allucinazioni». Ma non avevo paura di lui. Non più di tanto in realtà. «Dunque, è a voi che devo la vita?» Chiese poi dopo un respiro, smuovendo il cibo nel suo piatto con la forchetta. Non era cibo Infero, proveniva dalla Terra, ce lo avevano assicurato Pandora e Camus in persona. E, ve l’aveva anche provato, mangiandolo. Persino Hades aveva assicurato che era la verità. “Altrimenti questo corpo non potrebbe più tornare in superficie, sarebbe costretto a restare imprigionato negli Inferi”. Aveva detto e, non sembrava che l’idea lo stuzzicasse. Anche se non aveva ancora compreso come potesse essere viva negli Inferi. Era la stessa domanda che vi ponevate tutti  dal momento che Camus le aveva spiegato tutto sull’Ottavo Senso ed era lampante che lo avevo già risvegliato. Oppure avere un oggetto che agevolasse il passaggio da un mondo all’altro, come la vecchia collana della zia o di Raki. «Dovresti aver compreso da tempo, oramai che non fossero allucinazioni, umana». Mi apostrofò il Dio in tono secco. Non replicai, mi rimisi soltanto a mangiare. Poi inghiottì e disse: «Già, dovevo comprenderlo».
«Le vostre insicurezze mi fanno tenerezza». Commentò il Dio dell’Oltretomba, con un sorriso sprezzante.  Un sorriso ironico curvò la bocca di Astrid. Potevi solo immaginare quante frecciate gli stesse tirando in quel momento.    
Pandora si alzò in piedi e attirò l’attenzione su di sé. «E ora come promesso ecco a voi il dono».
Batté le mani e, il portone si spalancò, lasciando passare uno spirito femminile che si fermò davanti alla tavolata. «Helena». Mormorò Death Mask sbalordito nel riconoscerla. La giovane dai capelli castani legati in una coda bassa, che lo riconobbe e gli sorrise.
Ma anche tu eri sorpreso perché poco dietro di lei c’era Surt. E per Izo e DeathToll c’erano gli altri loro compagni, che avevano sorretto gli Inferi tutto il tempo. Anche Milo restò abbastanza sbalordito nel vedere Écarlate di Scorpio. Ma per lui era già una ricompensa sufficiente l’aver ritrovato Astrid, che ora era seduta accanto a lui. Ovviamente anche la parentela di Astrid con la sorella terrena del Dio dell’Oltretomba era saltata fuori, ma questo non aveva sconvolto più di tanto i tuoi compagni d’arme.
Death Mask aveva reagito come se gli avessero raccontato la barzelletta del secolo, Milo aveva semplicemente sgranato gli occhi per lo stupore e aveva chiesto se fosse vero. Però lei aveva un modo di fare talmente coinvolgente che sembrò esserselo scordato.
«Abbiamo pensato che vi avrebbe fatto piacere rivedere una vecchia conoscenza». Spiegò la zia con un sorriso. Si capiva che era il dono di benvenuto per gli ospiti.
«Ma come è possibile? Lei non dovrebbe essere nel Valhalla?» Chiosò Death Mask indicandola, con il timore che fosse solo un brutto scherzo. Ma la zia non si scompose e replicò, in tono tranquillo: «Giovane Cavaliere, non lo sapevate? Helena credeva nella Dea Atena». 
A questa rivelazione il mio conoscente tornò a guardare lo spirito della donna che amava? Ah, avevo dimenticato che si era innamorato anche lui, a ventitré anni ma si era innamorato. Chi l’avrebbe mai detto? Pensavo che quelli come lui neanche conoscessero il significato di quella parola.
«Immagino abbiate molte cose di cui parlare».
«Sì». Mormorò lui incredulo, senza staccarle le iridi lucide di lacrime di dosso. Lucide? Ti venne da inarcare le sopracciglia per la sorpresa. Ma quello era veramente Death Mask? L’uomo che conoscevi tu aveva solo il furore e la follia negli occhi.
E, quella sera vedeste tutti quanti Death Mask parlare a raffica con quella donna ordinaria. Non pensavi che un tipo grossolano come lui si innamorasse di una bellezza dimessa come quella. Non che fosse brutta, ma tu la trovasti anonima. Non aveva neanche un minuscolo difetto cui aggrapparsi per dire che te la saresti potuta ricordare.
Però in un certo senso avesti paura per lei e compassione per lui. Non avresti mai detto che un tipo pericoloso come lui potesse amare qualcuno. Anche tu avresti parlato volentieri con il tuo predecessore del Millesettecento, però non lo facesti. Non t’interessava e, neanche Mistoria sembrava interessato a dirti qualcosa.
Il pensiero ti correva più frequentemente al fatto che Death Mask si fosse innamorato e che, nonostante tutto non l’avesse ancora dimenticata. Quanti anni erano passati da allora? Trentasei? Eppure il cuore del siciliano palpitava solo per lei. E a te il cuore non palpitava per nessuno?
Al di là dell’amore paterno che provavi per Isaac e Hyoga e di ciò che provavi per la piccola Natassia, non c’era davvero nessuno che ti interessasse? Dopotutto il tuo unico giuramento era falso. “Bè, sì” mi rispondesti “qualcuno in realtà c’è”. E gli occhi ti sfuggirono su Astrid che rideva e scherzava con sua zia.
Non avevi più visto altri Guardiani delle Case degli Astri dopo il Guardiano della Casa di Plutone, di Mercurio e di Urano.
Eppure non avresti mai dimenticato Eragon. Ci restasti così quando lo vedesti unirsi alla tavolata. Il Dio degli Inferi lo salutò come suo gradito ospite e lo invitò ad accomodarsi insieme a tutti loro. La Sala era ammutolita. Ma al cenno del Dio (che era rimasto impassibile) si rianimò, anche se nell’aria continuò ad aleggiare uno stato di tensione. Il Guardiano cercò di scusarsi dicendo che non si sarebbe trattenuto a lungo, presto sarebbe dovuto ripartire e, che era giunto solo per un rapido saluto. Il che era quasi interpretabile come una minaccia a giudicare dal suo Cosmo.
«Tu non sei uno dei giovani che era insieme a mia figlia?» Chiese quest’ultimo quando ti ebbe davanti. Le sopracciglia aggrottate.
Annuisti.
«Come mai non sei con lei?» Indagò scrutandoti. Le pupille verticali si assottigliarono.  
«Abbiamo ritenuto opportuno separarci, il mio collega è rimasto con lei». Spiegasti senza scendere nei particolari. Era palese che stessi mentendo e forse lui stesso se ne accorse. Dilatò le narici come se annusasse e tu lo fissasti senza capire. Ma dove non arrivasti con la ragione arrivasti con l’istinto e ti si rizzarono i peli sulle braccia.
Perché ti stava annusando?
«Non stai mentendo», decretò alla fine. Lo guardasti sconcertato da queste parole: che cosa intendeva dire? Ma prima che tu potessi porti ulteriori quesiti che lui continuò: «Cosa le è successo?»
Proprio allora sentisti una voce chiamarti e dei passi di corsa raggiungerti: «Camus!» Ti girasti e vedesti Astrid correre verso di te: “Astrid!” Pensasti. «Eccoti, finalmente ti ho cercato dappertutto». Fece la bionda in nero, rallentando fino a fermarsi davanti a voi. La voce che andò spegnendosi sul finale quando si accorse della presenza del Guardiano. Sembrava che non credesse ai propri occhi e che ne fosse intimorita. L’uomo, o meglio l’essere, ricambiò squadrandola da capo ai piedi.
A togliersi di torno l’imbarazzo però ci pensò la stessa Astrid con una riverenza e un: «Buonasera, signore, o buongiorno. Mi scusi, ma non ho idea di che ore siano».
«Sono le dieci e mezzo di sera». Rispose quest’ultimo.
«Allora buonasera».
«Buonasera. Questa giovane non è vostra figlia, oppure mi sbaglio?» Chiese il Guardiano tornando a guardarti.
«No, non lo è».
L’essere annuì. Poi guardò Astrid e disse: «Volevo ben dire, ha un odore completamente diverso dal tuo. Tu devi essere la Luce Ombrosa, non è così?»
Astrid batté le palpebre sbalordita e le uscì un: «Sì, ma lei come fa a…»
Il Drago Rosso la interruppe: «Non sento il tuo Cosmo e ho i miei dubbi che tu lo stia trattenendo». Ribatté laconico facendole richiudere immediatamente la bocca. Poi la guardò dritta negli occhi e si complimentò: «Hai dei begli occhi».
Astrid s’impappinò: «Grazie, signore». Il Guerriero decise di ignorare il suo incartarsi. Assottigliò gli occhi. «Sei una Specter? Non riesco a capire che cosa dovrebbe rappresentare la tua Surplice.» spiegò poi, riferendosi alla sua armatura.
«No, signore, non sono una Specter, me la sono fatta da me».
«Oh, sei un fabbro?»
«No».
«Oh, peccato. Comunque ammirevole da parte tua».
«Grazie».
Astrid si sedette accanto a te. Sembrava turbata. Anche se avevi sentito tutta la conversazione, ti preoccupasti lo stesso. Quel Guardiano non emanava un’aura di positività.  
«Che succede?» Le chiedesti sporgendoti leggermente verso di lei.
La giovane smise di guardarlo e rabbrividì di terrore. «Non lo so, mi ha messo in soggezione. Era come essere guardati da un serpente». La stessa sensazione che avevi provato anche tu.  
«In senso positivo o negativo?» Chiedesti, visto che lei aveva una particolare affinità con i serpenti.
«Negativo. Ma chi era quello?» Chiese poi dopo essersi gettata un’occhiata alle spalle.
«Quello è il Guardiano della Casa di Marte. L’ho incontrato altre volte». Dicesti poi a mo’ di spiegazione.
«Della Casa di Marte? Che cosa significa? Che cos’è?»
«Non so neanch’io di preciso, fino a pochi mesi fa non ne avevo neanche sentito parlare». Spiegasti colpevole. Era colpa tua questa mancanza, visto che ti eri istruito da solo. Poi ti sporgesti verso di lei e le sussurrasti all’orecchio: «Odysseus ti ha mai parlato di loro?» Astrid non aveva detto a nessuno di essere l’allieva di Ophiuchus e non avresti tradito tu il suo segreto.
Lei ci pensò un po’su prima di scuotere il capo e chiedere: «Loro? Aspetta, vuoi dire che ce ne sono altri?»
«Se ho ben capito sì».
«Che cosa voleva da te?»
«Voleva chiedermi di sua figlia». Rispondesti incerto se parlarne o meno.
Astrid sgranò gli occhi: «Sua figlia? Perché, la conosci?» Gli faceva impressione che uno così avesse una figlia. Potevi solo provare a indovinare che cosa pensasse. Ma non assecondasti eventuali domande. Non ti piaceva parlare di lei, non ti fidavi, anzi, avresti preferito dimenticarla, visto quanto accaduto a Černobyl’; «Sì, ci ho viaggiato insieme per un po’». E ora che ci pensavi, era una buffa coincidenza il fatto che sia Astrid che l’Azona avessero in comune tre lettere del nome. Nah… era solo una coincidenza.  
«Ma se lui è così allora lei…» Cominciò la bionda, intimorita.
«No, no, lei non ha attributi dragoneschi, in realtà non gli somiglia per niente, ma li abbiamo affrontati e posso garantirti che sono potentissimi». La ragazza ti parve impallidire. Le battesti la mano sulla spalla e le dicesti di stare tranquilla e di non pensarci. La ragazza annuì. Bevesti un calice di vino per darti il coraggio di affrontare Surt, che si era accomodato accanto a te. Sembrava teso quasi quanto te. 
Avevi aspettato di aver raccolto sufficiente coraggio prima di chiedere a Surt di parlare. Il guerriero ti seguì e insieme passeggiaste fuori dalla sala dei banchetti. La musica e l’eco della festa sempre più lontani mentre un’altra, più selvaggia e rumorosa impazzava fuori delle mura della Giudecca.
Andasti dritto al punto: «Volevo chiederti scusa».
«Ti riferisci a quello che è successo ad Asgard? Non ci pensare, è tutto risolto». Ti sorrise, ma era un sorriso forzato, era come se si stesse trattenendo. Sapevi riconoscere una persona controllata come te quando la vedevi. Non era il caso di Surt, non proprio, era più un tenere la fiamma sotto controllo, come se avesse potuto imprigionarla sotto uno strato di ghiaccio. Ma tu sapevi che quella era lì e che ti avrebbe bruciato. Tanto valeva prendere il toro per le corna.
«No, non solo, anche prima, quando mi ospitasti per il mio addestramento». Era quello che più ti premeva. Il guerriero di Odino si rabbuiò e guardò davanti a sé. «Non ho mai davvero avuto occasione…» Cominciasti, ma lui ti fermò con un cenno della mano, poi ti mollò un pugno dritto in faccia.
Lo guardasti sbalordito con la faccia dolorante. Surt ti diede altri colpi accompagnandoli a un motivo: «Questo è per mia sorella, questo è per tutti gli anni di felicità che mi hai tolto, questo è perché mi hai ammazzato, questo è perché ti sei ribellato a me e, questo…» Ti afferrò per il collo e ti tirò su: «Questo è perché sei un vero scassapalle.» poi ti fece un occhio nero e ti lasciò cadere bocconi in ginocchio, dove ti colpì allo stomaco con un calcio. Per miracolo non vomitasti: «Mia sorella Simmone è morta per causa tua, ci sono state molte volte durante la Guerra Sacra in cui avrei voluto ammazzarti, ma non l’ho fatto allora né lo farò adesso. Io seguo ancora l’ardente giustizia e la giustizia vorrebbe che tu seguissi un equo processo e scontassi i tuoi anni con la giusta pena. Attenderò con ansia il giorno in cui verrai processato, probabilmente nella prossima vita. Fino ad allora mi accontenterò delle botte che ti ho lasciato. Adesso siamo pari, amico mio». Ciò detto ti lasciò lì, dolorante e ferito e se ne andò.
Malgrado tutto, riuscisti a trovare la forza di fare un piccolissimo sorriso. Prima che il dolore prendesse il sopravvento e ti facesse gemere.
Dovevi andare a medicarti altroché. Con il tuo Cosmo non era che potessi fare molto. Infatti facesti un salto alle cucine dove medicasti l’occhio nero e per il resto ci avresti pensato dopo.     
Anche se Astrid era voluta rimanere alla Giudecca con la sua parente, tu avevi preferito tornare all’accampamento. Sarà la forza dell’abitudine, però ti sentivi più a tuo agio in mezzo alle tende e ai Celti e gli altri alleati festanti che a Palazzo.  «Ehi, Camus, ti unisci a noi?» Ti chiamò Death Mask e così ti riunisti a lui e Milo che erano seduti davanti a un falò tra le rocce. Un boccale di birra per uno. Milo ti tese un altro boccale, che sicuramente si era preso per sé. Non ti dispiacque per niente questo gesto e lo ringraziasti con un cenno del capo, facendo attenzione ai rotoli di carta igienica dentro alle narici.
«Raccontaci la situazione». Fece Death Mask dopo aver bevuto un sorso di birra che gli lasciò un bel paio di baffi di schiuma biancastra. Vi sforzaste di non ridere, non si poteva mai sapere con quel permaloso.
«É semplice, in realtà, sta succedendo qualcosa, non ho idea di cosa, ma ha tutto a che fare con gli Azoni».
«Azoni? Che cosa sono?» Chiesero i due. Il siciliano si accorse dei baffi di schiuma e se li pulì.
«Hai presente Lady Asia?» Chiedesti a quest’ultimo e lui annuì, mentre Milo aggrottò ancor più le sopracciglia. «Lei è un’Azona». Confessasti e il vostro collega della Quarta strabuzzò gli occhi: Death Mask strabuzzò gli occhi. «Cosa? Mi stai a prendere per il culo? Quella mocciosa scribacchina è un’Azona?»
«Sì, e non è neanche l’unica».
«Ho sentito quello che dicevi durante il banchetto, è anche più potente di me?» Chiese il siciliano distraendosi un attimo da Helena. Voleva veramente giocare a chi ce l’ha più lungo con quello? Ma che problemi aveva quell’uomo? «È possibile». Ipotizzasti. Se tu avevi fatto una gran fatica per affrontarne uno, non osavi immaginare quanto dovessero essere potenti tutti insieme. Ti venne pure da chiederti se altri Azoni fossero figli di Guardiani, come Lady Asia e Lord Island. Se mai fosse dovuto scoppiare un conflitto tra voi e loro, non osavi immaginare la portata della strage. Sicuramente avrebbe superato di gran lunga ogni ecatombe delle Guerre Sacre finora combattute.
Persino Astrid sarebbe risultata inutile in quel frangente. Probabilmente l’avrebbero sopraffatta senza problemi. E in lei scorreva il sangue d’oro degli Dèi.
«Scusate se vi interrompo, ragazzi, ma qui c’è gente che non ne sa niente, potreste essere così cortesi da aggiornare anche me? Grazie». Fece Milo inarcando il sopracciglio e sporgendosi verso di voi e tu ti scusasti.
Insieme tu e Death Mask lo metteste al corrente di tutto. Tra grugniti, imprecazioni e spiegazioni alla fine Milo incrociò le braccia e rifletté: «Voi credete che qualcuno al Santuario conosca questa storia?» Vi chiese scrutandovi entrambi.
«No, ma qualunque cosa sia è logico che l’unica che possa saperne qualcosa possa essere solo la Dea. Ma siete sicuri che siano degli Dèi?» Indagò il siciliano.
«Sì, ho visto Lady Asia all’opera e posso garantirti che lo sono davvero, anche se non ha mai avuto bisogno di espandere il suo Cosmo». Confermasti.
«E se la figlia è così forte non oso immaginare il genitore». Commentò poi Milo, preoccupato.
«Che cosa sta succedendo?»
«Non lo so, so solo che questa storia è più fitta, intricata e oscura di quanto credessimo. Ma a voi da fastidio il fatto che Astrid…» Domandasti poi, per cambiare discorso, anche se il resto della domanda ti morì in gola.
«Un po’, se devo essere sincero». Fece Death Mask sfregandosi la nuca. «Però non più di sapere che lei è l’apprendista del Gold Saint di Ophiuchus; per la miseria! Non pensavo che quella ragazza celasse tanti segreti!» Sbottò e poi scosse il capo.
«Anche tu però non scherzi, non ci avevi detto di Helena». Lo punzecchiò Milo, cercando di dirottare la conversazione su un piano più piacevole per non rovinare l’atmosfera. Ma si capiva che era spaventato anche lui.  
«Perché, avrei dovuto?» Ribatté l’altro in tono scazzato fulminandolo con lo sguardo. Il cicladico sorrise e alzò le braccia in segno di resa. «No, era per parlare di altro se ti da fastidio».
«Non è che mi dà fastidio il fatto che la mia protetta sia la nipote di Pandora e che fosse anche l’apprendista di Odysseus; è solo che finalmente molte cose hanno senso». E ve le raccontò sulla base di ciò che raccontasti tu a proposito della tua amica. Normalmente tendevi a non condividere le informazioni con nessuno, tuttavia questa pensasti che fosse giusto lo sapessero.
«Per me non cambia niente». Decretò alla fine Milo. «Non sono le sue origini a essere importanti, è quello che è e che fa che lo è e lei è sempre Astrid. Sono contento di sapere che non soffre più di tanti attacchi di ansia come prima e che sta combattendo anche contro la tristezza».         
«Quello che mi preoccupa sono gli altri, mi avevi detto che non la vedono molto di buon occhio, giusto?» Facesti a Milo.
«No, non tutti, è riuscita a farsi molti nemici. Anche qui, se non sbaglio».
«Sì, ma se l’è cavata bene; non ha neanche avuto bisogno del mio aiuto per guadagnarsi il loro rispetto».
«Cosa ha fatto di preciso?» Domandò Death Mask. E, anche qui, tu gli raccontasti tutto ciò di cui eri stato testimone. Alla fine Death Mask e Milo ti osservavano sconcertati. Poi Milo si chiuse in sé stesso per riflettere, come durante la Guerra Sacra contro Eris, che, avevi sentito, aveva guidato lui le truppe insieme alla Divina e alle Saintia. Death Mask, invece, sembrava elucubrare qualcosa. Anche lì avesti un flashback della sua versione sedicenne nella Sala della Meridiana dello Zodiaco. 
Credevi che fosse finita qui con i doni, invece ne ricevesti un altro e assai meno terribile. Hades ti mandò a chiamare il giorno seguente, proprio mentre ti eri quasi addormentato. A causa del dolore delle nuove ferite avevi passato una notte insonne.  
Ti sistemasti alla bell’e meglio, mangiasti qualcosa e raggiungesti il Sovrano Infero e la sua Luogotenente.
Non eri mai entrato prima nella sala del Trono. Bè, in realtà sì, però non avevi fatto troppo caso ai dettagli come adesso. Né avevi mai conversato con il Dio dei Morti. Il quale adesso aveva ripreso il suo posto nell’Oltretomba con il proprio corpo mitologico. Ti chiedesti come avesse fatto, ma, soprattutto, ti sorprese vederlo inarcare il sopracciglio alla tua vista. Anche Pandora ti scrutò confusa: «Cosa vi è successo, Cavaliere?» Ti chiese Pandora sgomenta.
«Ah, niente di che, sono inciampato nelle scale ieri sera, troppo vino». Ti scusasti, ma era palese che fosse una balla. Certi vizi non li avevi ancora persi e Pandora ti scoccò un’occhiataccia. «Però stavolta hanno fatto bene, me le sono davvero meritate». Aggiungesti, per metterci una pezza. La donna si fece da parte dopo aver asserito che avrebbe mandato i suoi medici a darti un’occhiata e tu potesti inchinarti.
Faceva una strana impressione trovarsi davanti a questo giovane moro dai capelli lunghissimi che non avrà avuto più di una trentina d’anni. Anche se non eri sicuro dal momento che un leggero velo semitrasparente offuscava leggermente la sua figura già in penombra. Al suo fianco riconoscesti la sagoma di Pandora e dell’Azone che ti aveva aiutato.  
T’inchinasti al suo cospetto, rendendogli il rispetto che meritava. «Gold Saint di Aquarius». Ti salutò con una voce profonda, stavolta con un tono sorprendentemente piacevole. Non pensavi che fosse capace di dare un colore alla propria voce. «Signore».
«Mi è giunta voce dei servigi che avete reso agli Inferi e meritate un premio. Esaudirò un vostro desiderio». Fece, ignorando volutamente la tua faccia.  
Qualcosa ti diceva che questo favore ti fosse stato fatto dai due sottoposti di Hades. Chissà quanto avevano faticato per convincerlo.
Avresti potuto chiedere di tornare nel tuo corpo fisico per non sentirti in colpa nei confronti di Astrid. Il desiderio di starle accanto cresceva in te ogni giorno di più. Il fatto che tu fossi morto e lei viva era un gran peso per te. Però per quanto smaniassi, non potevi mettere a repentaglio il trattato di pace. Tu dovevi restare negli Inferi, nel Cocito. La pace sulla Terra e la sicurezza di Atena erano più importanti dei tuoi sentimenti.
Tuttavia c’era qualcun altro che potevi aiutare. Perciò sollevasti la testa e guardasti il Sovrano dell’Oltretomba: «In effetti ci sarebbe una cosa che desidero davvero».
«Ti ascolto».  
      
«Alla fine ci sei riuscito». Commentò Valentine osservando i Celti che facevano armi e bagagli.
«Sei riuscito a ridare loro la libertà».
«Sì». Non avresti mai creduto di riuscire a farcela davvero. E l’avevi ottenuta a una condizione, che Viviana restasse imprigionata finché non avesse rinunciato alle sue idee. Sapevi che quella donna non avrebbe mai rinunciato tanto era forte la sua convinzione. Non si sarebbe mai neanche abbassata a mentire. Era troppo orgogliosa anche solo per pensarci.
Ma adesso Fianna era libera.
I Celti si radunarono in mucchio. Fu come assistere a un secondo Esodo. Che tu eri comunque riuscito a vedere una copia piratata de I dieci Comandamenti. Dove molti avevano dormito, tu eri sopravvissuto. Non fu molto diverso anche adesso. La differenza era che gli Specter si erano assunti il compito di scortarli fino all’Ingresso dell’Ade.
Molti ti salutarono e ti ringraziarono. Altri ti salutarono come un fratello e pregarono di rivederti. Molti del clero erano rammaricati perché non ti eri voluto unire a loro. Anche se comprendevano perfettamente cosa ti legasse a questi luoghi.
I bambini furono quelli che ti commossero di più. Che per ringraziarti avevano intrecciato per te dei gioielli incantati fatti dei fiori che avevi avvolto nella brina perenne. Lady Niniane ti ringraziò benedicendoti per tutte le cose che avevi fatto per loro. Poi si riunì al suo seguito.
Poi i dux bellorum, che erano al comando suonarono il corno e gli spiriti partirono. Pensavi che se ne fossero andati tutti e invece no. Fianna era ancora lì. «Fianna!» Esclamasti stupito. Valentine, che era rimasto accanto a te finora e stava andandosene, si bloccò e si girò lentamente verso di voi. «Sei ancora qui? Perché?»
Non capisti. Quella era la sua gente, non aveva il minimo di senso che lei non andasse con loro. Aveva combattuto per loro tutto il tempo. Aveva cercato di aiutarti e proteggerti. Aveva fatto tutto questo per la sua famiglia. «Ma come, credevo che tu saresti voluta andare via, adesso sei libera, puoi andare con la tua famiglia». Ma lei ti guardava come a dire: “Io sono già con la mia famiglia”.
La dodicenne scosse il capo e si avvicinò a te: «Io resto con te, fratello». Ti sorrise prima di fiondarsi tra le tue braccia come la bambina che era davvero. Tu ricambiasti la stretta con un braccio e sorridesti commosso. Aveva rinunciato a una nuova vita, per restare insieme a te.
«Bene», sbuffò Valentine seccato. «A quanto pare avrò un’altra bocca da sfamare in più, che palle!»
«Dai, dillo che non ti dispiace». Lo stuzzicasti e quello ti guardò con due occhi grandi così.
«Chi sei tu? Che ne hai fatto di Camus?»
Ridesti e lui fece, guardandoti spaventato: «Non farlo mai più, sei inquietante».
Ti fu impossibile non sorridere: «Abituati». In fondo anche tu avevi un lato divertente. Non c’era niente di male a mostrarlo ogni tanto.     

Nei giorni seguenti gli Inferi affrontarono la ricostruzione e voi completaste la convalescenza. La vostra ripresa fu molto più rapida della ricostruzione, ovviamente. Per quella ci sarebbero voluti decenni, prima che tornasse al suo stato originario. Visto che Hades, con il problema delle Creature, non si sarebbe certo sprecato a darvi una mano. Come dargli torto? Quelle Creature mettevano terrore a chiunque.
E tu affrontavi le conseguenze dei vari colpi di Surt, tra cui il naso storto che un medico ti rimise a posto. Più la benda sull’occhio andato, che fece inarcare un sopracciglio ad Isaac. Ti era andata bene, tutto sommato, Hyoga portava un occhio di vetro.   
Non capivi che cosa ci facesse con voi. Sembrava anche lei convalescente. Addirittura delle bende spuntavano da sotto la vestaglia e gli orli della camicia da notte. Quando gliel’avevi fatto notare si era immobilizzata di colpo come se tu l’avessi beccata a fare qualcosa di osceno. Poi si tranquillizzò.
Fortuna che voi Saint avevate la pelle dura. Infatti, tempo pochi giorni, le tue ferite migliorarono e scomparvero. Avevi sempre beneficiato di una pelle che guariva in fretta, tempo cinque o sette giorni ed eri come nuovo, qualsiasi cosa ti succedesse. A parte le fratture e danni molto più gravi, ovviamente. Ma a quanto sembrava, il danno più grande l’aveva subito lei. Ti era giunta voce della morte di Tokaki, avvenuta durante la tua convalescenza. E, questo andò a spiegare perché anche lei fosse ricoverata in quei giorni. Ti dispiacque moltissimo saperlo. Anche tu come lei la vedesti come una sconfitta.
L’andasti a cercare. Avevi saputo, chiedendo in giro, che era tornata nell’accampamento celtico con Raki. Anche se la popolazione si era fortemente dimezzata, qualcuno era ancora lì. Le trovasti vicino al ruscello, sotto uno degli alberi dove Astrid in passato era solita riposarsi. Ma te ne restasti in disparte e ti allontanasti quando ti accorgesti che le due stavano facendo il bagno. Tante cose, ma non eri un guardone.
Ti avviasti verso l’accampamento, ma il vento che soffiò ti portò le loro parole e tu, incuriosito, ti fermasti ad ascoltare. «Dai, ti faccio io i capelli». Le propose Astrid.
«Davvero lo puoi fare?»
«Certo, non sarà come essere usciti dal parrucchiere, ma non me la cavo male». Le garantì.
«Sai, il Grande Kiki quando ero più piccola mi acconciava i capelli. Purtroppo non sapeva fare molto oltre una coda alta. Mi manca tanto, io a volte sogno che venga a salvarmi, sogno che è deluso da me perché non riesco a cavarmela da sola. Sono l’apprendista di un Cavaliere d’Oro da tutta una vita, eppure non ho ancora risvegliato il Settimo Senso. Probabilmente non ci riuscirò mai; mi sento molto, troppo impotente». Cercò d’incoraggiarla. «Ma no, ma che dici, non sei impotente anzi. Sei molto forte e sei molto resistente. Altrimenti non saresti sopravvissuta finora». Il vento cadde e tu, curioso, ti avvicinasti di soppiatto. Quel tanto che bastava perché il tuo orecchio percepisse le loro parole. Ma sempre rispettando la loro privacy.
«No, non è vero, sono un’inetta, sto cercando di essere forte, forte come te… Io ho sempre saputo che cosa provavi i primi tempi al Santuario, non pensavo che un giorno mi sarei ritrovata nella stessa situazione anch’io». 
«Sì però ho paura. Ho tanta paura.» singhiozzò Raki. Non l’avevi mai sentita così triste prima d’ora.
«Bussa sempre di notte…» Cominciò e la bambina si zittì. Da quando Tokaki era misteriosamente morto, il rapporto tra Astrid e Raki si era rafforzato. E, al tempo stesso, anche tu ti eri avvicinato a lei, ulteriormente. Non sapevate di preciso cosa fosse successo, sapevi solo che durante la Guerra Tokaki era scomparso.
Adesso la bambina si faceva acconciare i capelli da lei. Non immaginavi che l’apprendista di Odysseus avesse anche questo lato materno, che la portava a occuparsi dei giovani rimasti con solerzia. A fine canzone la piccola si strinse a lei e le domandò: «Credi che torneremo mai al Santuario?»
«Sì, Raki, vedrai che ci torneremo. Il tempo di mettere a posto le ultime cose e torneremo a casa». Promise convinta e, alzando il volto al cielo scuro, per la prima volta, ci credette davvero.
Nei giorni seguenti scopristi che ti era rimasta impressa Bella signora.
La cantava in un modo che sembrava moltissimo a un invito. E tu la vedevi davvero questa bella signora, solo che nel mare nero della notte scura, ci vedevi lei, che tendeva una mano verso di te, sorridendoti. Come quel sogno che avevi cominciato a fare da quando vi eravate spostati nuovamente. Nel tuo sogno ti vedevi nel nero del Limbo e, a un tratto una serie di lampi di luce, come delle comete, cominciavano a solcare il cielo attorno a te. E, mentre tu le seguivi con lo sguardo, meravigliato, ti girasti e vedesti il cielo tempestato dei colori dello spazio e delle sue stelle venire verso di te, rimpicciolendosi sempre più fino ad assumere una forma vagamente femminile. Quando ti passò accanto girò il volto per guardarti. Nella sua forma riconoscerti dei tratti umanoidi, come se quell’essere fosse stato trasparente. L’essere fluttuante di spazio e di stelle ti girò intorno un paio di volte e tu con lui, mentre ti accorgevi che assumeva tratti sempre più femminei e sempre più simili ai tuoi. Il suo viso di poco più in alto del tuo, proteso verso di te. A un tratto il manto variopinto arretrò lasciando liberi una pelle candida e i capelli biondi della persona, della donna che avevi davanti. Anche se solo una parte, non avevi mai visto degli occhi più affascinanti di quelli di… “Astrid!”  Pensasti sorpreso mentre la sua persona si delineava davanti a te e sorrideva divertita. Il manto che fino a quel momento l’aveva rivestita si fermò all’altezza delle clavicole e ti ritrovasti a osservare i bellissimi, dettagliati, occhi gialli della tua versione femminile.
Curvò le belle labbra né piene né sottili in un sorriso e ti strizzò l’occhio prima di sfrecciare via a gran velocità.
Eppure, nel vedere quella vera, non riuscivi proprio a perdonarle la sua omertà.
Eppure, adesso, qualcosa dentro di te, si faceva strada. E riconoscevi questa sensazione. Adesso che avevi occasione di pensarci.
Non ti sarebbe dispiaciuto provarci con Astrid. Lei era stata la prima persona ad abbracciarti in quel senso e avevi sognato molte volte di baciarla da quando la Guerra era finita. Ma se all’inizio avevi liquidato la cosa alla stregua di uno dei tanti sogni erotici che facevi, adesso ci pensavi.
Non avresti saputo dire di preciso, ripensandoci quando avevi cominciato a interessarti a lei, forse da quando l’avevi aiutata con il lutto. Non le eri rimasto accanto solo per amicizia, no. Solo che non te ne rendevi conto neanche tu.
Non facevi che ripensare a quello che avevi provato durante l’assalto alla Giudecca. Quando avevi visto Astrid combattere finalmente senza timore, ti eri sentito orgoglioso di averla come compagna d’arme. Sarebbe stata un ottimo acquisto per i Gold. Però erano anche gli unici momenti in cui lei sembrava tornare alla normalità. Spesso l’avevi vista dirigersi nella Foresta dei Suicidi. Parlando con lei ti aveva raccontato che era stato l’ultimo posto dove era stato visto Tokaki. Poi aveva detto che era tutto confuso. Aveva detto che il ragazzo aveva sentito il barlume della Stella Malefica. Tu eri talmente preso dal combattimento che non te ne eri neanche accorto. Lei si sentiva tremendamente in colpa per essersi allontanata da lui. Se non l’avesse lasciato solo, se fosse rimasta all’accampamento come gli Specter avevano ordinato, forse Tokaki sarebbe stato ancora vivo. Si colpevolizzava continuamente asserendo che fosse colpa sua se adesso era rimasta solo Raki. Ti sentivi in pena per lei. E non sopportavi le occhiatacce che il tuo collega del Cancro le lanciava. Ti sembrava quasi che l’accusasse. Quando poi il suo connazionale si accorgeva di te e che lo guardavi sbottava: «Che cazzo vuoi, Camus? Che ti guardi? C’hai qualche problema?»
E visto che tu non rispondevi, quello sbuffava, emetteva un verso di stizza e se ne andava. Era bene che un tipo del genere stesse lontano da Astrid. Non ti fidavi di lui. Non era capace di prendersi cura di nessuno, sapeva solo uccidere. 
Di lui e delle sue battute, sinceramente non ti fregava niente, lo tolleravi in virtù della Cloth indossata e del patto di fratellanza tra i Gold. Già il fatto che Death Mask si fosse innamorato (lo avevi visto chiaramente quando era apparsa Helena) ti lasciava esterrefatto. Neanche pensavi che un sicario, un assassino come lui fosse capace di amare. Era impossibile. Neanche Aphrodite lo poteva soffrire.
Ti sorprendeva però che Hyoga lo guardasse riconoscente. Questo non ti era sfuggito anni prima, durante la Guerra Sacra contro il Gran Dio Zeus. E anche tu in un certo senso, gli eri grato per aver salvato la tua dolce Natasha. Però ciò non toglieva che lui era sempre lui.
Anche se Hyoga poteva essergli riconoscente per qualcosa, tu non eri il tuo erede. Né ti interessava sapere perché. L’importante adesso era evitare che Astrid stesse a contatto con una persona così. Soprattutto ora che era emotivamente più fragile. Non che non ti fidassi, ma piuttosto che con Death Mask, assassino provetto, pazzo, cospiratore doc e avido di potere, era meglio Myu. Non avresti mai creduto di dirlo, ma persino lo Specter della Farfalla era una compagnia decisamente più raccomandabile del tuo collega.
Lo sapevi e probabilmente, anzi no, sicuramente, lo sapeva anche Astrid, impossibile che una così dimenticasse questo dettaglio. Te l’aveva detto tante volte durante questa guerra che ormai avresti saputo ridire a memoria quel discorso. Anche tu eri consapevole che fosse sequestro di persona e che Astrid gli avrebbe fatto un culo a capanna (d’accordo, caro, ti passo il termine. “Grazie, coscienza”) se avesse potuto. Come eri consapevole che tutti nel Santuario si erano macchiati del reato di complicità. Per questo ringraziavi di non essere tra loro. Almeno tu non le avevi fatto nulla di male. E questo ti fece realizzare una cosa: eri una delle poche persone di cui lei potesse fidarsi davvero. Una delle poche con cui, poteva avere un rapporto sano e reale.  
Con questa consapevolezza ti allontanasti definitivamente.

I tuoi impegni purtroppo ti portavano a parlare con i tuoi compagni e colleghi Saint soltanto la notte. Alla fine anche loro erano rimasti per permettere ad Astrid di affrontare il periodo di lutto. Almeno qualche giorno con la zia.
Milo aveva cercato di parlarci dicendole del ricatto del maestro e alla fine aveva concordato con lei che sarebbero tornati in tempo per il plenilunio. Così Milo si era rabbonito e l’aveva lasciata in pace, anche se era evidente che fosse dispiaciuto per la sua perdita. Te l’aveva raccontato lui stesso una di quelle sere.
Di giorno dovevi occuparti di faccende più importanti. Avevi appena ultimato i preparativi per il ritorno del Cocito e avevi finito di parlare con Rune di Barlog. Avevi fatto molta fatica a chiedergli il permesso di visitare l’archivio e consultarlo. Quattro ore soltanto per convincerlo ad aprire la porta e due per persuaderlo a restare al tuo fianco durante le tue ricerche. E a un certo punto avevi ringraziato il tuo addestramento, che ti aveva permesso di non dare in escandescenze, anche se c’eri vicino. Eri umano anche tu. Controllato, civile e pacato quanto vuoi, ma sempre umano eri. E in quel momento ti era veramente venuta voglia di rimettere Pico de Paperis nel suo buco e di chiudere l’entrata con una bara di ghiaccio. Non prima di avergli rifatto i connotati come si deve.
Ma ti eri saputo controllare. Anche se avevi vent’anni non eri una scimmia in preda agli ormoni e alla collera. In più sarebbe stato controproducente. Volevi sapere di più su tutto quello che stava succedendo e anche Milo, Shun e Death Mask erano dello stesso avviso. Questa situazione non piaceva neanche a loro. «Tu le puoi fare qui, noi possiamo farle direttamente al Santuario». Aveva esposto Milo, che era quello più preoccupato tra tutti. Prima le Creature, poi la Luce Ombrosa, dopo saltavano fuori gli Azoni e i veri Guardiani delle Case degli Astri. Se, come sospettavate tutti, si stava preparando una tempesta - per essere poetici - ancora più grande, dovevate essere pronti.   Shun aveva aggiunto di essere preoccupato. Non era sicuro che la Terra e il Santuario avrebbero retto una nuova Guerra Sacra. Solo in quest’anno ne avevano affrontate già due e di fila, per di più. Ad ogni modo anche lui avrebbe fatto ricerche sfruttando i poteri della sua costellazione e del suo rango. Death Mask invece disse che non gliene fregava niente, avrebbe combattuto come suo solito.
Quando Astrid ti aveva raggiunto di sua sponte, proprio nel tribunale degli Inferi, che stava riprendendo la sua vecchia funzione, c’eri rimasto di sasso. «Ciao, Camus». Ti salutò sorridendo.
«Astrid? Ciao, ma… cosa ci fai qui?»
«Avevo voglia di vederti e ti ho portato qualcosa da mangiare. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere, visto che sei molto impegnato ultimamente». Disse con un candore tale che ti ricordò la neve. Ti venne istintivo ringraziare che le ferite fossero molto migliorate in così breve tempo. «Se però non ti va, va bene lo stesso, eh? Non sentirti obbligato a pranzare con me». Aggiunse poi di fronte alla tua espressione smarrita. Ti rinvenisti: «No, con piacere, è solo che sono solo sorpreso di vederti. Pensavo che fossi con tua zia alla Giudecca».
Avresti voluto chiederle anche di Milo e Death Mask, cioè, perché non c’erano anche loro. Ma poi pensasti che la Guerra vi aveva legati moltissimo. Era normale che fosse più legata a te che ai suoi vecchi conoscenti. E poi, molto meglio così, no?
«Sì, c’ero, ma oggi le cose sembrano andare bene e anche la zia insiste col dire che ogni tanto anch’io devo uscire. Bè, se non altro, dalla Giudecca». Fece poi accennando agli Inferi con il dito della mano libera. «Sostiene che ai giovani non faccia bene chiudersi in casa».
«Tua zia ha ragione».
«Allora, dove andiamo?»
«Conosco il posto giusto». Ed era anche abbastanza vicino a dove ti trovavi tu. Non ci avevi mai mangiato prima, ed eri curioso di fare questo pic-nic improvvisato. Stavi riferendoti al campo di fiori di Orpheo della Lyra. Anche se Euridice non si trovava più lì, il campo di fiori non era sparito. Probabilmente Hades doveva essersi dimenticato di toglierlo quando aveva ricreato gli Inferi.
Ma a te non dispiaceva. Il lato ancora più bello? Non vi sareste dovuti preoccupare delle formiche.
Eri contento di passare un po’di tempo in sua compagnia. Astrid ti piaceva davvero. Era coraggiosa, ma non mancava mai di essere femminile e, per certi versi, era anche molto forte. Non aveva paura di mostrare le sue emozioni, cosa che tu dovevi ancora imparare a fare.
Aveva anche dei lati buffi che ti strappavano davvero un sorriso genuino. Come quello che albergava sulla tua faccia in questo momento, mentre scherzavate. Senza neanche accorgervene avevate anche finito di mangiare. Alla fine tra voi due si era creata davvero una bella atmosfera. E a un tratto qualcosa ti parve fosse cambiato tra voi. Era come se si stesse facendo largo qualcosa che finora era rimasto sopito. No, meglio, che era cresciuto e non ve ne eravate accorti. Anche lei sembrava stordita, in un certo senso, come te. Ti accorgesti per la prima volta che aveva gli occhi lucidi, che ti guardava con affetto e dolcezza e qualcosa di più.
Poi ti passò un frutto e tu trattenesti la sua mano nella tua, continuando a guardarla dritto negli occhi come se tu avessi potuto scavare nel suo sguardo. Fino a raggiungere la sua meravigliosa anima. Al tempo stesso col tatto assaporavi la morbidezza della sua pelle liscia e fresca tipica della vostra età.    
Il suo sguardo era un riflesso del tuo. Faceste per avvicinarvi quando: «Ho interrotto qualcosa?» Chiese Aiacos e voi due vi giraste a guardarlo trasalendo. I vostri cuori batterono veloce e le vostre guance erano rosse come i tuoi capelli (non inventare, lo sentivi anche tu) «No, stavamo solo parlando».
Con un calcolato sforzo mastodontico, tu ti rimettesti comodo sui fiori, se no anche tu saresti schizzato a sedere come lei.
«Spero di futilità». Ma la sua espressione maliziosa disse il contrario. Prendesti il frutto dalla mano di Astrid e lo mangiasti, giusto per avere una scusa a cui aggrapparti. Il Garuda non era un cretino.
«Cosa ci fai qui? Non dovresti essere con Lady Pandora?» Chiedesti. Che ormai eri talmente abituato a collaborare con i Giudici Infernali da conoscere alla perfezione le loro mosse. «Abbiamo appena finito e ho voglia di riposarmi un po’». Ma non era possibile che avesse fatto tutta questa strada solo per riposarsi. A meno che non gli piacesse il campo di fiori - poco probabile - era lì per la sua Seconda Ala. Solo in quel momento ti ricordasti che Astrid era una sua collaboratrice e che Aiacos teneva in particolar modo a lei, forse quanto a Violate. Anche se per motivi diversi.  
Se l’espressione di Astrid fosse stata traducibile in parole sarebbe suonata come un: “E quale modo migliore di venire a infastidire me, eh?” «Ti devi annoiare molto se ricerchi la mia compagnia». Scherzò lei. Aiacos inarcò le sopracciglia e assunse una faccia di finta innocenza: «Credete di essere noiosa?» Chiese con voce ridente. Si vedeva che stava trattenendosi dal non prenderla in giro. Normalmente ad Aiacos non fregava granché di quello che facevano i suoi sottoposti. Si divertiva soltanto in battaglia. Quindi, o aveva bevuto, ma non credevi, o aveva un piano o, più probabile, si stesse godendo l’espressione di Astrid e la stesse prendendo in giro tra le righe. Ma Astrid non era una ragazzina. Era una donna, perciò non abboccò. Ignorò il proprio rossore e disse: «Credo di essere nella media, pensavo ti divertissi soltanto in battaglia quando Violate combatte per deliziarti». La sua prontezza di spirito era sorprendente certe volte.
Lo Specter fece il giro e si sedette davanti a voi. Fece una strana impressione vederlo accomodarsi in mezzo ai fiori. Fu un po’come assistere all’atterraggio di un extraterrestre, o come vedere una roccia nera in mezzo a macchie di colore. In ogni caso, la sua presenza stonava persino con il paesaggio. «Ah, la guerra è un conto, la vita al di fuori di essa è un’altra. Non guardarmi così Aquarius, tutti noi bene o male siamo riusciti a ritagliarcene una». Ti rimbrottò allegramente intercettando il tuo sguardo. Non ti piacque granché averlo qui e non vedesti l’ora che se ne andasse. Sentimento condiviso dalla bionda - come scopristi gettandole una rapida occhiata
«Violate non parla?» Domandò quest’ultima, sarcastica. Restasti sbalordito nel riconoscere un barlume della persona solare che conoscevi.
Lo Specter rispose con noncuranza: «Francamente preferisco quando combatte non so se mi spiego». Eppure girava voce che la stesse rivalutando da quando l’aveva salvato dai Black Saint. Cosa avvenuta durante la riconquista del Piriflegetonte. «Volevo parlarvi, per questo vi ho cercato. Avrei potuto scomodare qualche Skeleton o Violate, ma certe cose è meglio dirle subito e di persona». Ti accigliasti confuso, mentre Astrid sembrò aver capito benissimo.
«Cosa mi devi dire?»
«Mi sono ricordato qualche dettaglio che ti potrà essere utile per rispettare il nostro accordo».
Lei sussultò come se fosse tornata alla realtà. Poi esitò un momento prima di rispondere: «Sono tutta orecchi». Di che accordo stavano parlando?
«Bene, allora è bene che sappiate che se volete catturarlo dovrete…» E di lì le raccontò tutto. Astrid restò di stucco nell’apprendere tutto questo sul conto del suo maestro. E anche tu non potesti fare a meno di stupirti. La cosa che ti sorprese di più, fu apprendere che anche Astrid non era la sola a essere sopravvissuta tanto a lungo. «Aspetta, un momento, frena. Mi stai dicendo che non sono la prima persona ad essere giunta qui senza l’ausilio dell’Ottavo Senso?» Domandò ad Aiacos mentre quest’ultimo si accomodava sui fiori del campo una volta dimora di Orpheo della Lira. Adesso l’ex Silver militava nelle vostre fila, avevi sentito dire, ma non avevi ancora avuto occasione di incontrarlo. Ancora una volta lontano dalla sua Euridice, ma, sicuramente, più sereno di prima. «A quanto pare».
«Chi c’è riuscito prima di me?» Chiese incuriosita.
«Asclepius».
Al solo udire quel nome strabuzzaste gli occhi per lo stupore: lo stesso Asclepio che conoscevate voi? Colui che creò la tecnica della resurrezione? «Asclepius? Cioè, intendi il Dio della Medicina?» Gr Domandasti guardando in faccia il Garuda alla ricerca di segni di menzogna. Anche Astrid girò la testa verso di lui, ma lo fece così velocemente che le vertebre del collo le scricchiolarono sinistramente. Ti venne istintivo pensare che alla prossima la testa le si sarebbe svitata da sola; dal canto suo Aiacos ignorò il rumore: «Sì». Sorrise, affilato come sempre.
«Conosco il mito, ma non avrei mai immaginato che fosse vero anche questo». Ammise Astrid, pensierosa.
Il nepalese sfoderò un altro sorrisetto folle, molto simile a quello della sua Prima Ala. «Ormai dovreste saperlo che tutte le leggende hanno un fondo di verità». Sembrava comunque contento di aver segnato un punto in più su Astrid.
«Me lo dimentico sempre». Commentò lei guardando dritto davanti a sé, oltre l’ala destra del Garuda. Poi abbassò lo sguardo sui fiori e si grattò la testa. I suoi occhi accesi di una nuova consapevolezza. «Se t’interessa ho saputo che militava nelle fila della Vostra amata Dea». L’informò in tono pungente lanciandoti un’occhiata obliqua che ricambiasti con una di traverso. 
«Davvero? Non lo sapevo». Mentì. Se il Garuda fiutò la bugia non lo dette a vedere, ma tu comprendesti appieno la manovra di Astrid. «Come si chiamava?» Domandò con voce esile.
«Odysseus di Ophiuchus». Rispondesti tu invece di Aiacos. Il quale ti fulminò con gli occhi per avergli rubato le parole ma si riprese in fretta per sfoderare il suo sorriso di perfido, folle, trionfo.  
«Ma il Saint d’Ophiuchus non è un Cavaliere d’Argento?» Domandò lei a quel punto in coro con lo Specter, in tono più forzato rispetto al suo. Non poteva permettere che scoprisse altri dettagli su voi Saint, spie o non spie all’interno del Grande Tempio. Il che ti fece provare un moto di gratitudine per lei.
Sorprendentemente però fu lo Specter a rispondere: «Ora, fino al XVIII secolo era un Gold Saint, forse il più importante di tutti. Dicevano che fosse la persona più sacra del Santuario».
«E ti pareva?» Commentò la ragazza, immusonita. Aveva appena scoperto che il suo maestro era un Dio. Magari fosse stato un umano, magari un Silver. Ma questo andava oltre le sue possibilità. E forse anche delle tue dal momento che se già da Vivo fu potente, figuriamoci da Redivivo. Non osasti immaginare la potenza del Cosmo di Odysseus. Però potevi indovinare quello che aveva pensato lei: per un momento, un bellissimo momento, aveva sperato di sbagliarsi.
«Dicevano?» Rilevasti tu.
«Morì molti anni prima della rinascita di Atena di quel periodo a causa delle gravi ferite che riportò per salvare due giovani da un’eruzione vulcanica. Con il proprio Cosmo evitò di essere dissolto dall’eccessivo calore, ma non riuscì a rigenerarsi a causa dell’enorme quantità di energia consumata. Dopo aver promesso ai bambini che aveva salvato che sarebbe ritornato, spirò. E, tornò veramente, ma ormai era maledetto. Nessuno sa da dove nascesse la sua maledizione». Raccontò. 
«Come hai detto che era risorto questo Gold Saint?» Domandò esitante e vagamente preoccupata.
facesti per dirglielo quando Aiacos si alzò, si scusò per l’interruzione e se ne tornò all’Antenora.      
«Che accordo hai stretto con gli Specter?» Chiedesti e lei, dopo parecchi secondi di esitazione, parecchi tentativi vani di sviare il discorso, vuotò il sacco.
Ancora una volta, quella ragazza ti aveva amareggiato. Però capivi perfettamente le sue intenzioni. Anche tu avresti fatto lo stesso se avessi potuto, tempo prima, piuttosto che batterti contro Hyoga. Tu più di ogni altro lo sapevi molto bene. Per questo non la biasimasti. «Spero solo che tu riesca nell’impresa». Le dicesti alzandoti.
«Camus io…»
«É tutto ok, va bene». La rassicurasti, rendendoti conto di essere stato più gelido del dovuto. In fondo lei aveva stretto quell’accordo per il bene della Divina Atena. Era una cosa da Saint: cioè tutti voi avreste messo da parte i vostri affetti per servirLa e proteggerLa. E glielo dicesti. «Allora perché mi sembra che tu mi stia accusando?» Ti inginocchiasti davanti a lei e la stringesti dolcemente a te, facendole poggiare la testa sulla tua spalla. Affondasti le dita tra i suoi capelli e ti beasti del suo profumo e della dolcezza di quelle membra: «Ma io non ti sto accusando». Dicesti con dolcezza. «Voglio davvero che tu ci riesca». Lei ricambiò l’abbraccio. Avresti voluto stringerla a te più a lungo, però dovevi veramente andare. Sciogliesti la stretta. «Se faccio aspettare ancora Pico de Paperis mi serviranno altre sei ore per convincerlo un’altra volta». La nipote di Pandora sorrise e annuì. Vi metteste d’accordo per rivedervi presto in questi ultimi giorni prima della sua partenza per il Regno dei Vivi.      

Eri stato sincero con Astrid. Ma adesso che la Guerra non c’era più, avevi anche il tempo per concentrarti sui tuoi sensi di colpa. Non riuscivi a toglierti dalla testa la sua espressione smarrita la sera della festa di qualche settimana prima. Né la freddezza che le avevi dimostrato quando ti aveva solo chiesto un gesto di conforto.
Ti guardasti la mano. Decisamente, il tempo agli sgoccioli non ti aiutava. Neppure a concentrarti sui libri. Non l’avresti mai detto a Rune, però era la sedicesima volta che ti incantavi sulla stessa frase, tanto eri distratto.
Quanto eri diventato gelido da ignorare persino una ragazza? La rispettavi e la stimavi, ma non riuscivi a perdonarti per non averla salvata. Forse se tu l’avessi fatto, avrebbe ritrovato un po’di forza per reagire. E anche per salvare Tokaki. Perché tu lo sapevi che stava soffrendo come un cane anche se cercava di stare su per Raki e anche per la zia.
Era evidente che fosse troppo per lei. Solo Atena sapeva quante volte l’avevi vista piangere mentre dormiva. Fino a quel momento credevi che fosse impossibile, nonostante che conoscessi anche tu la storia della Donna Scheletro. Secondo la leggenda una giovane donna cadde in acqua e restò intrappolata sotto al ghiaccio. I suoi pesci si nutrirono di lei finché del suo corpo non restò che lo scheletro. Un giorno un povero pescatore fece un foro nel ghiaccio e la pescò.
Spaventato, il giovane uomo corse via, ma lo scheletro rimase impigliato nella lenza e lo seguì, anche nel suo igloo. L’uomo restò per giorni appiattito alla parete opposta della sua dimora, sempre sotto lo sguardo dello scheletro. Una sera si addormentò e, quella sera, lo scheletro si accorse che l’uomo aveva versato una lacrima nel sonno. A volte succede, avevi sentito, che gli uomini piangano per qualche motivo mentre dormono.
Allora lo scheletro si avvicinò e bevve quella lacrima. E, da quella lacrima riacquistò la carne, gli organi, la pelle e i capelli. Sicché quando il pescatore si svegliò, vide dinanzi a sé una fanciulla.
Ma tu non avevi mai pianto quella lacrima.
Tutto quello che avevi potuto fare per lei, però, durante i turni di guardia, fu solo posarle una mano sulla sua. E ormai questo gesto era diventato una sorta di rito. Se aveva incubi non erano mai rumorosi, non si agitava, non scalciava, anzi, se ne stava perfettamente immobile. Solo l’espressione cambiava. Se erano attacchi d’ansia allora la faccenda cambiava e lì si destava e si cingeva il busto con le braccia come a tenersi ferma. Lottava la sua silenziosa battaglia contro i suoi demoni interiori. Mentre tu non sapevi cosa fare, ma qualcosa ti diceva che non volesse il tuo aiuto, per questo ti limitavi a fare il minimo indispensabile, come svegliarla se l’incubo era troppo per lei o ad aspettare che la crisi passasse. Almeno, non vomitava già più. Poi, un giorno, ti eri avvicinato a lei mentre aiutava a lavare i panni e l’avevi abbracciata. Lei ti aveva lasciato fare e aveva ricambiato. Ecco, la vostra interazione si riduceva a questo. Decidesti che ci avevi pensato anche troppo e ti mettesti finalmente al lavoro.
 
Il giorno dell’appuntamento arrivò piuttosto in fretta, anche se tu avevi vissuto questi giorni come un mese intero. In realtà non c’erano solo le foreste delle Ninfe Stige, c’erano anche altri posti negli Inferi che valeva la pena di vedere. «Vuoi farmi da guida per gli Inferi?» Ti chiese stupita e divertita. Non vedesti cosa ci fosse di male e rispondesti, pacato: «Ho pensato che potrebbe essere interessante».
«Ma non è che ci sia tutto questo bel vedere». Ribatté ragionevole. E tu rispondesti con un sorriso divertito: «In realtà qualcosa di bello c’è». Lasciandola completamente di stucco. E così l’avevi portata a vedere il prato degli asfodeli. A dir la verità era la prima volta che ti ci recavi anche tu. Avevi solo sentito parlare della sua ubicazione ed eri andato a vedere per meglio memorizzare la strada.  
E di fronte a tutti quei fiori l’avevi vista aprirsi in un’espressione di pura meraviglia. Si avvicinò esitante ai fiori e li sfiorò con le mani. Poi quando realizzò che erano veri scoppiò a ridere.
In questa zona vivevano gli eroi del passato. Ma al momento anche loro erano nell’accampamento celtico, si erano spostati dalla Valle molto tempo prima. Però voi non li avevate mai incontrati.
Avanzaste lungo il sentiero che tagliava in due quella pianura viola.
«Dissi; e d’Achille alle veloci piante
per li prati d’asfodelo vestiti
l’alma da me sen giva a lunghi passi,
lieta, che udì del figliuol suo la lode
». Recitò Astrid, ammaliata da quella distesa che sembrava una brughiera alle prime luci dell’alba appena appena nebbiosa ai suoi confini, delimitati da betulle ordinate. E tu prendendo spunto dalle opere che al Santuario il Saint della Lyra aveva aiutato a trasporre, continuasti. Ma con il libro XXIV.
«Indi ai vestiti
d’asfodelo immortale Inferni prati
giunser, dove soggiorno han degli estinti
le aeree forme, e i simulacri ignudi
.» Per la prima volta ringraziasti Orpheo della Lyra per la sua splendida trasposizione dell’Odissea se ancora adesso te la ricordavi parola per parola, scopristi.
«Non esattamente La pioggia nel Pineto, ma ci può stare», sorrise lei. Non avevi la più pallida idea di che stesse dicendo. Fortuna che gli Specter erano riusciti a preservare zone degli Inferi come queste. Niente batteva il Regno dei Vivi, però eravate in quello dei Morti, vi dovevate accontentare, purtroppo.  
Raccogliesti un fiore e glielo porgesti. Astrid lo accettò, sorridendo imbarazzata e sorpresa. Poi se lo portò al naso. Improvvisamente percepisti una coppia di Cosmi poco distante da voi. «Ecco dov’era». Esclamò una voce maschile. Lei sollevò la testa di scatto e tu ti girasti e vedesti Thanatos e Hypnos fluttuare a mezz’aria. Istintivamente ti parasti davanti ad Astrid. Era la prima volta che vedevi i Gemelli Divini. Avevi visto Apollo e Artemide, ma gli Dèi della Morte e del Sonno no. Ti sorprese molto vedere le loro Kamui, rispettivamente argentea e nera e l’altra dorata e nera. Anche se lì per lì non avevi capito chi era chi.
Astrid si era rialzata e l’aveva guardati sbalordita e confusa. Forse più di te. «Mi cercavate?» Domandò intimidita.
«Certamente, Luce Ombrosa, abbiamo visto che cosa avete fatto per gli Inferi in questo periodo e ne siamo rimasti molto colpiti e vorremmo porgervi la nostra ricompensa per i servigi che avete recato al Sommo». Spiegò in tono cordiale quello in Armatura d’Argento, che, sembrava anche quello più duro e anche carismatico dei due.
«Oh, grazie, non me l’aspettavo… Quale sarebbe?»
«Vorremmo concedervi il rarissimo privilegio di visitare i Campi Elisi». Al solo udirli anche tu restasti sconcertato. Avevi sentito dire che Hades ne avesse interdetto l’accesso agli umani, anche a quelli più meritevoli. Nessuno era abbastanza degno per metterci piede.
Astrid, che nel frattempo ti aveva affiancato, strabuzzò gli occhi. Ti guardò incerta e tu sorridesti e annuisti. Anche se avresti voluto continuare l’uscita. Non l’avresti mai privata della libertà. Se voleva visitare i Campi Elisi non avrebbe dovuto rinunciare per te.
«Accetto con gioia!» Esclamò lei. Ma è logico, cosa se ne fa una persona del campo di fiori e della valle degli Asfodeli, se può visitare l’Eliseo. Com’era che diceva Virgilio?
I Campi Elisi «conoscono un loro sole e stelle loro».
Ivi, in mezzo a prati e boschi bagnati «dal corso copioso dell’Erìdano», senza fissa dimora, le anime dei beati continuano a esercitarsi nelle attività che svolgevano in vita, la ginnastica, la cura delle armi, la danza, il canto. Meritano questo destino «il manipolo di quanti han patito ferite combattendo
per la patria, e sacerdoti puri per quanto han vissuto,
e poeti sacri che hanno cantato cose degne di Febo,
e chi ha reso più bella la vita scoprendo saperi, o comunque
si è meritato di lasciare negli altri memoria di sé»
Ancora una volta, grazie Orpheo, era lui quello che in passato si era preoccupato di darvi un’istruzione adeguata, almeno sulle opere come l’Iliade, l’Eneide e l’Odissea. Aveva fatto un lavoro magistrale con quegli spettacoli teatrali, aiutato dall’intera Rodorio. Tu sapevi di fisica solo perché te ne parlò quella dottoressa che si prese una cotta per te, ma all’epoca eri già maggiorenne. Gli studi classici non ti erano mai importati. Non eri tipo che si interessava molto alla lettura e alla letteratura. Capivi… In realtà neanche tu sapevi che cosa capivi, a parte la sopravvivenza.
Oddei, tu eri già morto prima ancora di morire. Eri solo un fantasma che non aveva niente per sé. Tu, al di là del Cosmo e dei sentimenti, eri vuoto rispetto ad Astrid. Lei era viva a tutto tondo, non solo perché era qui anima e corpo. Lei era Viva, perché aveva idee sue e pensieri suoi. Tu appena avevi dei gusti. No, forse non era più così. Ti toccasti le fasce sui tuoi avambracci che celavano i serpenti dipinti. Ora come non mai la tua ghianda cerimoniale e quei serpenti sembravano bruciare sulla tua pelle. Come ad appesantirti, ma era solo un’impressione. Ed era positiva, perché ti ricordava che non eri più così vuoto. Adesso avevi qualcosa anche tu, eri un Celta onorario, ma ti bastava? No, non ti bastava. Era ironico, ma avevi di più adesso che vivevi qui che quando eri davvero vivo.
«Però, possiamo andarci domani? Prima vorrei concludere quest’uscita». Fece la ragazza. E tu la guardasti abbastanza sorpreso. Non pensavi che sarebbe voluta rimanere con te. I due Dèi glielo concessero e le dissero come rintracciarli, poi sparirono.
«Perché?»
«Perché anche se non ho dubbi che i Campi Elisi siano splendidi, io prima voglio vedere fin dove si estende». Ti sorrise.
Avresti voluto avere la capacità di saper intrecciare i fiori, per metterle una corona tra i capelli. Il viola le sarebbe stato benissimo, forse ancor più del nero e del giallo. Peccato che non sapevi fare. I due Dèi acconsentirono.  
Dopo la vostra uscita la ragazza aveva chiamato gli Dèi Gemelli e si era fatta scortare nei Campi Elisi. Da dove non era più uscita.

Non avevi più rivisto Astrid e ora mancava giusto un giorno alla partenza.
Stavi passeggiando in vista del tuo ritorno al Cocito. Saresti stato costretto a stare laggiù per i prossimi decenni a venire, tanto valeva riempirsi gli occhi di qualcosa. Avevi già girato le Paludi delle Ninfe Stigie e anche la zona attorno all’accampamento. Adesso mancava soltanto il campo di fiori. E fu lì che ti bloccasti di colpo per la sorpresa. «Credevo che fossi nei Campi Elisi». La salutasti, felice di rivederla. Lei girò la testa verso di te e ti sorrise. Era seduta tra i fiori e sembrava un po’ più tranquilla dal vostro appuntamento. Ma era una tranquillità apparente. Oggi più che mai traspariva.  
«Oh, in realtà sì, ero lì fino a mezz’ora fa. Non è per via degli Dèi Gemelli sono simpatici. Alle ninfe che ci vivono e che potrebbero farmi compagnia non piaccio proprio; mi sento più a mio agio qui. Ormai mi sono abituata al tepore di queste lande e alla Volta di questo cielo. Il buio non mi ha mai dato fastidio, dopotutto, se non ci fosse, non potremmo vedere le stelle». Fece alzando il naso al cielo, prima di abbassarlo sui fiori su cui era seduta. Le braccia incrociate sopra le ginocchia piegate all’altezza del petto. «Lo so, è sciocco, vero?» Sorrise malinconica, mentre un piccolo refolo di vento soffiava, sollevando il profumo del campo di fiori. E tu rivivesti tutto questo come un dejà-vu. «Non mi pare». Rispondesti.
Lei t’informò con voce fragile come il vetro, lo spettro di un sorriso sul suo viso: «Il mughetto bianco sta finalmente germogliando, sai? Presto gli Specter avranno di nuovo la Stella dell’Ascensione Celeste». Eppure c’era qualcosa che non andava in quell’espressione, era come se stesse sforzandosi di essere allegra.
«Bene, mi fa piacere. Che hai fatto al polso?» Chiedesti notando la fascia candida che le cingeva la mano e il polso sinistro. Lei la guardò prima di rivolgere lo sguardo su di te e sorridere: «Niente, è solo la ricompensa che ho chiesto al Divino Hades per aver contribuito a salvare gli Inferi». “Oh, che coraggio”, pensasti. «Che cos’è?»
«Un tatuaggio, me lo sono fatto fare dal Dio dell’Oltretomba in persona, val più di una medaglia al valore, no?»  Fece alzando le spalle.
«Come hai fatto?»
«Oh, è bastato usare il cellulare di Shun e fargli vedere un tutorial, poi gli ho mostrato la foto dell’animale che volevo mi dipingesse ed ecco fatto. So anch’io cosa successe nel Millesettecento, me l’ha detto, ma stavolta non si è ripetuto perché, bè, non si può ammazzare una fotografia o un file digitale». Ridacchiò divertita.
Ti fece impressione pensare all’altero Dio dell’Oltretomba che segue pedissequamente un tutorial per tatuaggi. Sperasti che Astrid non gli avesse involontariamente suggerito l’idea per la prossima Guerra Sacra.
Restate in silenzio per un po’.
«Myu ti ha già salutato?» Chiedesti dopo, per rompere quel silenzio che era caduto tra voi.
«A Myu non cambia niente se ci sono o se me ne vado». Ribatté lei tornando a guardare in alto e, a te, dispiacque molto. Anche se era colpa tua sentivi di aver fatto bene, almeno lei era salva dall’influenza dello Specter. Però restava ancora una questione in sospeso che ti premeva. E, per questo non avevi bisogno dell’intercessione del Dio dell’Oltretomba. «Non abbiamo finito il nostro discorso, quello della festa». Facesti. Anche se temevi che avrebbe rovinato l’ultimo giorno che avreste passato insieme, volevi almeno parlarne chiaramente.
Lei capì al volo e tornò seria: «Oh, quello?» Domandò imbarazzata, spostandosi i capelli dietro la spalla sinistra, intanto che tu ti accomodavi accanto a lei. «Sei uno Spirito Vivente, lo so; Fianna me l’ha detto». T’anticipò, impedendoti di dire quello che davvero ti premeva.  
«Ma nel mio cuore al primo posto vi è la Dea». Le ricordasti in tono mesto ed era giusto che sapesse, che non avevi agito per gelosia. Anche se più piccolo di lei, sapevi quali erano le tue priorità. E, anche se lei ti attirava per il calore che era capace di smuovere dentro di te, era giusto mettere prima in chiaro le cose. Forse era meglio farlo adesso, sicché evitaste entrambi di affezionarvi l’uno all’altra. «Non credo che tu accetteresti mai il secondo o il terzo posto e, francamente, neanche io». Continuasti poi, dispiaciuto.
Lei non fece una piega, si limitò soltanto a chiudere gli occhi. Fece un respiro profondo prima di rispondere: «Lo so, però resta ugualmente una stronzata».
La guardasti stupito da cotanta blasfemia: «Perché?»
Riaprì gli occhi e volse il viso verso di te: «Perché sono due sentimenti completamente diversi. La venerazione e la devozione per la Dea sono una cosa, amare veramente una persona è un’altra. É come amare Dio per i cristiani, è ovvio che sono due tipi di amore che non potranno mai essere eguagliati e che in tempo di Guerra la Dea avrà la precedenza assoluta». Fece poi, girando di nuovo il volto verso l’inquietante volta stellata.
La guardasti sbalordito, pensavi che si sarebbe arresa subito. Non che custodisse un’intelligenza brillante a tal punto da arrivare a comprendere fino in fondo che tipo di amore potevate aspirare voi Saint. «Non dico che sono innamorata, non ancora e non penso, è troppo presto, poi non credo neanche che il mio concetto di amore sia lo stesso che hai tu».
«Non so cosa sia l’amore, ma se somiglia un po’ a quello che provo per la Dea, allora penso che mi piacerebbe provarci, un giorno.» ecco, gliel’avevi detto. Lei continuò a fissare la volta celeste come incantata.
«Pensi che ci sarebbe una speranza?» Chiedesti speranzoso e vagamente intimorito di ricevere un due di picche. Lei alzò le spalle: «Non lo so».        
«A te piacerebbe scoprirlo?» Ritentasti.
La giovane ti guardò, gli angoli della bocca curvati in un sorriso stiracchiato. «Vuoi la verità? Sì che mi piacerebbe», sorrise, davvero, poi il suo sguardo si velò di malinconia e il sorriso si spense; «ma non adesso, non ci è concesso». 
«Nessuno ha mai detto di correre». La rassicurasti tu giocherellando con un filo d’erba. Lei curvò le labbra in un sorriso e ti tese la mano, che tu stringesti nella tua. Era pur sempre un modo come un altro per iniziare. Poi decidesti che non ti bastava più e la stringesti a te di lato. Lei appoggiò la testa sulla tua spalla. «Domani mi accompagnerai in superficie?» Ti chiese guardando il cielo.
«Purtroppo non mi è concesso uscire dai confini dell’Ade, devo tornare subito al Cocito». Sospirasti dispiaciuto.  
«Mi aspetterai?» Volle sapere con voce esile, dopo un momento di esitazione.
«Sì, ma solo se mi prometti che nel frattempo vivrai la tua vita». Ed eri serio, dal momento che anche questo era un giuramento e, quando entrambi sareste stati dalla stessa parte, solo un’altra Guerra Sacra ti avrebbe impedito di conoscerla davvero. E, questa era già una grande speranza. Fintanto che lei era Viva non aveva senso imporle di non posare gli occhi su qualcun altro, era anche giusto che vivesse. Volevi per lei una vita lunga e felice. Anche se il vostro non era un addio vero e proprio era più giusto così. 
«Lo farò. Ma tu intanto cosa farai?»
«Ho un po’di lavoro da svolgere, perciò non penso che me ne starò tutto il tempo con le mani in mano ora che la Guerra è finita ed è tutto tornato alla normalità ». Avevi scoperto che potevi essere utile anche come Saint non solo come Guardiano del Cocito e come ambasciatore per i Celti che contavano su di te.
«Ti aspetterò sulle Rive dell’Acheronte». Le sussurrasti mentre la tenevi stretta a te. La sentisti sorridere contro i tuoi capelli e rispose: «Ci conto».

Aldebaran

Stava arrivando la prossima luna piena. Mancavano solo ventiquattro ore. Lady Isabel ti aveva convocato per ragguagli sull’addestramento. La Dea ti era sembrata molto preoccupata per Shaina. Ti aveva fatto piacere saperlo. Però avresti preferito, nel profondo del tuo animo, che la Dea non si crucciasse così. Per quello bastavate tu e Yoshino. Non era facile stavolta mettere da parte il tuo amore per tua moglie per essere un maestro inflessibile. Come non era facile fingere che andasse tutto bene con Yoshino. La piccola avrebbe compiuto diciotto anni di lì a poco e non era più così piccola. Continuava a incoraggiare la madre, ma si vedeva che era preoccupata anche lei.
Avrebbe voluto parlare a sua volta con la Divina, però non poteva. Diceva che il Cosmo glielo impediva. Ogni volta che saliva le scale fino alla Tredicesima, sentiva che il Cosmo la rispediva indietro. Non come quando Shura aveva dovuto combattere contro Artù, bensì come due calamite girate per lo stesso polo.
Shura passava molto tempo in compagnia di Yoshino. E si vedeva che la giovane era molto legata al suo amico. Aiolia invece preferiva restarsene in disparte dai due, come se ancora non sopportasse lo spagnolo, che aveva dimostrato tutto il suo valore nella Guerra Sacra contro il Gran Dio Zeus. Tu sapevi il prezzo che aveva pagato per riuscirci. Anche se le cicatrici non si vedevano più, sapevate tutti che a volte soffriva ancora per il dolore alle braccia e che si svegliasse di soprassalto la notte, credendo di averle perse di nuovo.
Il prezzo da pagare per opporsi a Zeus e sopravvivere. Per puro miracolo eravate riusciti a salvare anche Aiolia, quella volta.
Gliele avevano riattaccate con l’Ichor giusto in tempo e poi era andato a salvare Yoshino, che stava per cadere nella trappola della gemella Tomoe.
Nonostante il legame che univa i due, anche Shura stava faticando moltissimo per tenere a bada Yoshino.
E al plenilunio mancava così poco. Era il sedici di luglio e la Grecia non ti era mai sembrata così calda come adesso. La tua mente, come se i due argomenti fossero collegati, dirottò su un altro tema. Forse avevano ragione tutti quegli attivisti allarmisti che lanciavano allerte in tutto il mondo. Ti aveva anche colpito quella ragazzina svedese che aveva deciso di fare lo sciopero del clima a soli sedici anni. Su una cosa concordavi con lei: la vostra casa era in fiamme. Ma non solo per l’emergenza climatica. Se avesse visto anche lei la devastazione che si lasciavano dietro le Creature, se avesse visto tutti questi profughi, avrebbe capito che l’emergenza era su tutti i livelli.
Ma il livello su cui la combattevate voi era totalmente differente dal suo.
Che cosa era successo a Seiya e a Hyoga per tardare tanto?
Guardasti il tuo giardino, tra le colonne degli appartamenti privati del tuo Tempio. Shaina era in bagno a farsi una doccia.    
Anche lì ti sentivi in colpa. La tua consorte era rimasta molto provata dallo scontro con Odysseus, probabilmente non si era neanche ripresa. Ma i ragazzi che avevate visto erano misteriosamente scomparsi. Li avevi cercati insieme a Yoshino, che era rimasta sconvolta quanto te, quando gliel’avevi raccontato. Ma non li avevate trovati da nessuna parte. Anche alla Palaestra non li riconoscevano. L’unico indizio che avevate di loro erano i messaggi del gruppo social sul telefono, che non erano ancora stati cancellati. Avevate provato a contattarli in chat privata, ma nessuno di loro aveva risposto, neanche visualizzato. Neanche i loro Cosmi avevate rilevato. Era come se fossero scomparsi completamente. O come se non fossero mai esistiti, come dei fantasmi. E questo inquietava entrambi. Fortunatamente Yoshino era molto forte e non era andata in crisi come Astrid. Lei sopportava tutto con una forza e uno stoicismo che una qualsiasi ragazza normale non avrebbe mai avuto. Anche Shura discuteva con voi di questo argomento, ma non riusciva davvero a cavare un ragno dal buco.
Da dove erano saltati fuori quei due che avevano sostituito il Saint di Orion, di Aquarius e di Sagitter? Ti erano sembrati molto giovani. Più dei tuoi commilitoni, appena appena nell’età di Yoshino. Se esisteva già una nuova generazione, voi a cosa servivate qui? Servivate per proteggere Yoshino e per te era molto di più di quanto sperassi.
Tuttavia questi apprendisti avevano un’energia diversa, era la parola giusta per definirla. Non eri neanche riuscito a riconoscere questi Cosmi, ma avevi intuito che fossero molto potenti. Se addirittura due di loro sostituivano dei Gold significava che una nuova generazione era già arrivata. La vostra presenza era solo un intoppo. Eravate come dei camion ingombranti che ingolfano il traffico. Tutti voi, anche Paradox e tutti gli altri. Che stavano cominciando ad accusare i segni della consunzione delle Creature. Alcuni allievi della Palaestra erano morti così. In questi mesi avevate imparato a riconoscerla e, avevate compreso che le Creature esercitavano il loro potere anche senza bisogno di avvicinarsi. E non avevate trovato niente con cui difendervi. Anche altri Saint della vecchia guardia erano morti e, le cloth erano scomparse. Questa scoperta in particolare aveva spaventato tutto il Santuario. Neera doveva avere un complice o qualcuno che svolgesse il lavoro al posto suo. Anche Kanon si era inalberato e aveva stretto ancor più la sorveglianza. Era un miracolo che foste riusciti a non mandare in panico la popolazione di Rodorio. A volte capitava qualche episodio di isteria, ma per fortuna la presenza e il Cosmo della Dea bastavano a calmare e rassicurare gli animi. Ma nessuno di voi era sicuro che sarebbe bastato a lungo.
La fazione dei no odiava ammetterlo, ma aveva bisogno di Astrid. Anche Milo ci stava mettendo un’eternità per recuperarla. Cosa diavolo stava succedendo negli Inferi per tardare tanto? La Guerra non era ancora finita o lei non riusciva a trovare l’uscita?  
Il più impaziente tra voi era proprio Aiolia, mentre, a sorpresa, Milo, quando era sottopressione, sapeva controllarsi molto meglio. Forse girare tanto intorno a Camus doveva avergli lasciato qualcosa. Oppure, Milo sapeva come comportarsi. Tra tutti era quello che si impegnava di più per dimostrare di essere all’altezza della sua Armatura. Ancora più di prima. Soprattutto da quando era stata indossata da Sonia.  
Quella sera voi Gold avevate fatto una riunione strategica per decidere il piano di emergenza. Una riunione strategica sotto le stelle della Sesta, o almeno, ciò che restava delle stelle. Anche quelle stavano scomparendo repentinamente, non solo le costellazioni. Voi stessi cercavate di attingere più energia che potevate dal vostro Cosmo. Era l’unica soluzione che avevate trovato per contrastare questa debolezza.   
La vostra punta, lo sapevate anche voi, era piuttosto debole. E il massimo delle sue tecniche, praticamente era un defibrillatore in confronto a tutte le tecniche in possesso di Odysseus e quelle che poteva sfoderare. Come se non bastasse, Lancelot era ancora con lui.
Forse se l’aveste aiutata tutti voi, qualcosa in più saresti riuscito a fare. Maledisti te stesso per non essere riuscito ad apprendere qualche trucco illusorio in più, che pure non ti aveva salvato da Sorrento. Li avevi completamente accantonati e ora sentivi di aver fatto male.  
«Probabilmente con lo scettro, la Dea sarebbe anche più potente di Odysseus. Lei sa come combatte, lo ha già affrontato». Disse Shiryu. Ed era già qualcosa su cui basarsi.
Saga, in forma di civetta, smise di giocherellare con un sassolino e vi guardò come se lo aveste distolto dai suoi pensieri. Da quando si era purificato aveva ripreso la sua forma animale. Però sembrava molto più tranquillo di prima. «Tu non credi che voglia davvero ritrovare Astrid, eh?» Chiese Shura, appoggiato alla colonna diroccata. Le braccia e le gambe incrociate.

«Già. Non mi posso fidare di quell’uomo, ci tiene tutti in scacco e sapere che Astrid è viva e che appena tornata potrebbe cadere nelle sue mani… no. Non lo posso sopportare». Rispose Aiolia. Sembrava destabilizzato senza l’altro capoccione dello zodiaco. «Perché Milo e Shun ci mettono tanto?» Chiese retorico.
Shura, seduto poco più in basso lo guardò. Anche Shiryu, accomodato accanto a lui sollevò gli occhi ciechi sul vostro compagno del Leone.
«Abbi fiducia, Aiolia, andrà tutto bene». Lo rassicurò il padre di Ryuho di Dragon.
«Ma io ho fiducia in voi». Rispose Aiolia. Ed era noto che fu il primo di voi a riporre fiducia. A te mancava Seiya. Quel ragazzino turbolento ti stava simpatico. Anche adesso che era cresciuto ti dispiaceva non averlo ancora intorno. I loro Cosmi non erano rintracciabili.
«Possiamo solo sperare che sia andato tutto per il verso giusto». 
«Smettetela di essere così pessimisti», vi redarguì Saga, «Siamo Gold Saint, abbiamo affrontato minacce peggiori e, vedrete che riusciremo a compiere il nostro dovere anche stavolta».
Improvvisamente la Meridiana si illuminò e dodici rintocchi suonarono nel Santuario. Scattaste in piedi tutti quanti. «Cosa? Com’è possibile?», «Un’imboscata?», «Ai posti! Tutti ai vostri posti!» Tuonò Saga riprendendo la sua forma umana con un lampo di luce. Un altro lampo e cloth di Gemini già indosso. Scattaste tutti immediatamente. Nel frattempo, grazie a Kiki capiste che si trattava di Lancelot e Odysseus. Quei bastardi non avevano rispettato le loro condizioni. Accidenti, ve lo sareste dovuto aspettare.  
Ma stavolta eravate pronti. In men che non si dica chiudeste la trappola che avevate forgiato con i vostri Cosmi addosso a loro. L’altra volta non avevate avuto piena occasione di sfruttare questo incantesimo lemuriano, ma adesso sì. Addirittura, in questo lasso di tempo, l’avevate pure perfezionato.

“Sì! L’abbiamo preso!”

“Ma allora funziona davvero! Come hai fatto? Dove hai trovato il tempo di perfezionare questa tecnica?” Domandò Aiolia a Kiki, che osservava tutto grazie alla telepatia.
“Mi sono ricordato dell’impresa delle Saintia al Santuario di Eris; solo che non potevo istillarci il potere purificatore della Dea della Luna, perciò ci ho istillato tutte le cose positive che conosco, il mio sangue e, le due Dee l’hanno benedetto con il proprio Cosmo e il proprio Ichor”. Spiegò il giovane Ariete senza staccare gli occhi dal nemico.

L’unica che non esultò fu Shaina, accanto a te, con indosso maschera e cloth. «No, non l’hai preso».
«Che vuoi dire?» Domandasti e la Sacerdotessa-Guerriero, continuando a guardare nella direzione in cui era scomparso il suo predecessore, si portò una mano alla spalla sinistra e la strinse come se, avesse potuto tenere insieme le sue carni. «Lo sento, è ancora vivo».
“É ancora vivo?”, “Com’è possibile?”, “Eppure avrei giurato di averlo colpito”.
«L’avete solo ferito». Ti illuminò Shaina, che accanto a te percepiva tutto tramite il Cosmo. Poi abbandonò la Seconda a grandi balzi, incurante dei tuoi richiami.
Avresti voluto seguirla ma i tuoi compagni ti costrinsero a mantenere la posizione. Così dovesti assistere da lontano, tramite il Cosmo, alla battaglia di Shaina. Lancelot l’aveva affrontata per primo. Dapprima la tua consorte aveva avuto non pochi problemi ad avvicinarsi anche soltanto a Lancelot.
Il quale aveva sorriso dei suoi tentativi e li aveva giudicati patetici. Per quanto avesse provato ad addestrarsi non sarebbe mai riuscita ad avvicinarsi. Anche il suo Thunder Claw non si avvicinava neppure di striscio al volto del Lost Saint.
Ma presto smise di ridere. Per ogni volta che Shaina veniva spedita al tappeto, altrettante si rialzava. Il suo comportamento, a un certo punto, non era più normale. Così almeno lo giudicaste tutti voi. Era ferita ma continuava a rialzarsi con la stessa verve della prima caduta. Neppure Shura, che tante volte si era rialzato, aveva mai conservato lo stesso slancio e lo stesso ardore.
Persino Odysseus, che osservava in disparte, era rimasto colpito.
Voi tutti vi aspettavate, soprattutto da Shiryu in su, che avrebbe ripreso la scalata. Ma il Gold Saint Maledetto non lo fece. Perché? Spirito di cavalleria, forse? Da un lato sperasti che fosse così, dall’altro, sperasti che fosse per via della trappola che gli impediva il passaggio.
Però il Cosmo di Shaina stava diventando sempre più flebile e le Creature si stavano avvicinando. Lo sapevi perché qualcuno urlò: «Le Creature! Arrivano!» Soffocaste un’imprecazione, non ci voleva.
E il Cosmo di Shaina era… Stringesti i pugni. “No, Aldebaran, resta fermo!” Ti ammonì Kiki telepaticamente.
Facile a dirsi per lui. “Capisco quello che provi, ma mantieni la posizione!” Digrignasti i denti e cercasti di ignorare (visto che reprimere non funzionava) il tuo istinto. Volevi correre in suo soccorso.
“Aldebaran!” Ti richiamò Kiki allarmato. E alla fine tu urlasti. «Io non ce la faccio a stare a guardare mentre Shaina soccombe!» E anche tu abbandonasti la posizione, costringendo tutti gli altri Gold a seguirti. Ma a te non importò quasi niente delle loro parole, commenti e ammonimenti. Non potevi permettere che Shaina morisse e non eri sicuro che Odysseus avrebbe rispettato il giuramento di Ippocrate.
Per questo corresti, più rapido che mai da lei e, con un Greath Horn, spazzasti via Lancelot. Il quale si rialzò dalle rocce e rise sguaiato, mentre il sangue gli colava sul mento. «Accidenti, che colpo! Ma non dovresti intrometterti nel bel mezzo di uno scontro, che dirà la Divina Atena se lo scoprisse?»
«Dirà che sono arrivato in aiuto di una mia compagna d’arme!» Ribattesti tu, incrociando le braccia. «Prenditela con qualcuno in grado di affrontarti, Lancelot».
«E quel qualcuno saresti tu? D’accordo, se insisti, ma ti avverto, stavolta non ci saranno scocciatori a interrompere la nostra lotta».
Non replicasti neanche. Semmai ti accigliasti ancor di più. Lancelot attaccò con il Sekishiki Meikai Ha e vi ritrovaste alla Bocca dell’Ade. Il Parco Giochi di Death Mask. Non c’eri mai finito prima ma non vedevi l’ora di andartene da lì. Quel posto era agghiacciante.
Lancelot comparve sopra una collinetta, circondato da una marea di fuochi fatui. Improvvisamente ti mancò il fiato e crollasti in ginocchio. Ti portasti una mano alla gola come se fosse stato sufficiente per liberare le vie respiratorie. Lancelot rise: «In questo posto tu soccombi e io sopravvivo! Qui sono io che ho potere, non tu! Ma non preoccuparti, sarò clemente con te, ti concederò una morte rapida e indolore. Onda infernale dello Tsei She Ke!» Urlò, ma il colpo non arrivò.  
Mentre boccheggiavi vedesti il colpo scontrarsi contro una barriera e dissolversi.
«No! Adesso basta così!» Urlò una voce maschile. Lancelot non aveva fatto i conti senza l’oste. Probabilmente uno degli Specter.
«E voi chi siete?» Chiese Lancelot nel vedere questo civile. Anche tu eri sorpreso, eri sicuro che solo i Saint del Cancro e gli Specter potessero sopravvivere a questi luoghi. Che stava succedendo?
«Io sono un negromante, uno dei tanti dell’Armata di Death Mask del Cancro». Fece il ragazzo facendo sgranare gli occhi a entrambi, persino quello ferito di Lancelot. «Negromante? No, è uno scherzo».
Ma aveva risvegliato l’Ottavo Senso per riuscirci? Tu stesso avevi dei problemi a stare qui, ma loro? Loro neanche avevano il tuo Cosmo o la tua Cloth. Ti preoccupasti soprattutto per gli anziani.
Ma lo studente era serio. Schioccò le dita e i fuochi fatui che, finora avevano combattuto per il tuo avversario si fermarono. Quello sapeva usare la magia? Al suo fianco comparvero dei nonni con il deambulatore e il respiratore. No, dai, avevi sicuramente preso una botta in testa. «Non potete venire qui a sconvolgere gli inferi dopo quello che abbiamo fatto!» Sbottò.
Lancelot scoppiò a ridere, sguaiato.
«Vi rimanderemo da dove siete venuti». Dichiarò il ragazzo, convinto, mentre tutti loro concentravano i loro poteri. «Ma prego, fate pure!» Li invitò Lancelot aprendo le braccia, per dimostrare loro non potevano niente contro di lui. E l’onda di energia vi investì. E vi ritrovaste bocconi al punto di partenza al Santuario. Con grande sorpresa del tuo avversario.
«Toglietevi!» Urlò la voce di Shura ed entrambi trasaliste. Ti girasti a guardare e vedesti tua moglie.
Cingeva il collo di Shura con un braccio e sembrava svenuta. La chiamasti e lei mosse la testa verso di te. «Aldebaran!» Shaina cercò di raggiungerlo ma vacillò e Shura la sorresse. Ti rialzasti e corresti al loro fianco.
Proprio allora ti accorgesti di un altro Cosmo in avvicinamento: il Venerabile Shion.
«Arretrate immediatamente». E voi tre obbediste.
«Shion». Salutò Odysseus, pacato. «Allora non hai ancora imparato niente?» Domandò con un mezzo sorriso di scherno. «Al contrario, maestro, ho imparato molte cose in questi anni».
«E pensi che basteranno contro di me?»
«Non lo so, so soltanto che non mi arrenderò tanto facilmente».
«Se ne sei convinto tu, allora va bene».    
Il Venerabile alzò le braccia al cielo per lanciare il suo attacco più potente: «Questo andrà a rafforzare l’incantesimo di luce!» Esclamò il Venerabile prima di lanciare lo Starlight Extintion assieme allo spirito di luce a forma di Serpentario. Contrariamente a quanto vi aspettaste, però, la tecnica fu incanalata dal talismano e andò effettivamente a rinforzare le maglie della rete che avevate creato tempo prima, adesso riunite grazie ai fermagli e ai disegni realizzati dal più giovane Aries, costringendo Lancelot ad arretrare. Poi ti passò Shaina per avere entrambe le braccia libere.
«Ah, volete regolare i conti, mio re?» Lo canzonò Lancelot a gran voce mentre vi allontanavate.
«No, per me la cosa può finire anche qui. Sono qui per aiutare i miei amici». Dichiarò Shura. Lancelot arricciò il labbro insoddisfatto. Mosse la testa di lato e poi rise: «Bè, mio re, chi sono io per mettervi contro di voi? Fate pure, se è questo che volete».
«A che gioco stai giocando, Lancelot?»
«Io a nessuno, semmai siete voi che siete saltati alle conclusioni sbagliate».
«Cosa significa?» Chiese Shura ma la tua voce sovrastò la sua, ma solo perché era più grave: «Che significano queste parole? Ti aspetti che ci crediamo? Dovrai passare sul mio cadavere prima di torcere un capello a Yoshino».
«Non farei mai una cosa del genere. Io sono un servitore fedele di Miss Yoshino e Miss Tomoe».    
«Sta dicendo la verità». Decretò Shura e tu lo guardasti sbalordito. Shura era accigliato. Non si fidava di Lancelot. Ma lui sapeva riconoscere le bugie quando le sentiva, non avevi motivo di non fidarti del suo giudizio.

«Cosa significa? Che sta dicendo?»

Ma non aveste il tempo di dirglielo che a quel punto, anche la Dea comparve accanto a voi. Arma

La Dea chiamò a sé uno scettro con quattro ali e proclamare: «Odysseus, sei stato tra i Vivi troppo a lungo, mi piange il cuore vedere che la tua anima non ha ancora trovato il riposo che si merita». Impugnò lo scettro e, alzando la voce, lo puntò verso di lui: «Torna alla tua tomba!» Prima di scagliargli i fulmini di Nike anche se il Tredicesimo Cavaliere li evitò tutti.
Quando i fulmini cessarono, Odysseus aprì di nuovo gli occhi e sorrise: «Mi costringete a usare le mie tecniche, Signora». Materializzò il bastone di Asclepio e lo piantò in terra

«Pensi veramente che una cosa del genere possa sconfiggermi?» Domandò beffardo Lancelot.
La proiezione nel Cosmo di Kiki si limitò ad assottigliare ancor di più gli occhi. «Credi seriamente di potermi sconfiggere così?»
“Non lo credo, lo penso.” Ribatté il giovane, sicuro delle proprie possibilità, facendo spalancare gli occhi a Lancelot per la sorpresa. Poi il Gold Saint dell’altra dimensione scoppiò a ridere sguaiatamente.
“Ora!” Esclamò Kiki nelle vostre menti.
E, tutti i possessori di un talismano alzarono in aria il proprio ciondolo. Lo capisti da come miriadi di luci dorate balenarono su Rodorio e sul Grande Tempio e attorno a voi.
A quel punto ti strappasti il monile dal collo e alzasti in aria il ciondolo che ti aveva dato Kiki e in esso infondesti il tuo Cosmo. L’oggettino tra le tue dita risplendette come un sole e poi, la luce assunse la forma di un grosso uccello rapace dalle zampe lunghe che, aprì il becco e agitò le ali prima di scagliarsi addosso a Odysseus. Il quale ben presto si ritrovò a cercare di proteggersi la testa con le mani nonostante l’Armatura. 
Poi Kiki spalancò le braccia e urlò: «Starlight Extintion!» rilasciando una quantità spropositata di Cosmo che colpì in pieno il maestro della giovane defunta. 

«Che prodigio è mai questo? Supera in potenza persino l’Atena Exclamation!» Esclamò Odysseus sgranando gli occhi, per la prima volta stupito e sconcertato, rialzandosi da terra. Ma non era ancora finita perché tutti i Cosmi che fin lì si erano manifestati in forma totemica di uccello segretario, si unirono allo Starlight Extintion del Custode della Prima Casa, aumentando esponenzialmente la potenza del colpo. “Questo è lo Zodiaco Clamation”, rispose Kiki, che, finora, levitando grazie alla telecinesi, aveva tenuto le braccia in alto, per abbassarle di colpo su Odysseus nel proferire le ultime parole e, lo Spirito Guerriero risplendette di luce ancora più fulgida prima di gettarsi addosso al Cavaliere Maledetto.
In quel momento comprendesti il vero piano di Kiki: non sarebbe stata Astrid a sconfiggere Odysseus, ma sarebbe stato lui.

Il tredicesimo Cavaliere curvò la bocca in un mezzo sorriso sarcastico prima di utilizzare le: «Onde di Guarigione!»
«Eh, no, non ti lascerò scappare! Glorious Horn!» Urlasti partendo al contrattacco. Tendesti repentinamente le mani verso di lui, come a spingerlo indietro e, gli scagliasti il tuo colpo, riducendolo in polvere, salvo poi scoprire che aveva evitato il tuo colpo. Ma la distrazione fu sufficiente perché udiste lo stridio assordante da uccello rapace che prese la forma di una figura femminile con attributi rapaci. Una cresta di penne dietro la testa, braccia e ali che erano un tutt’uno come un’arpia, una coda e piume che s’innalzava alta sopra tutti voi sfruttando il vostro Cosmo e il potere delle vostre Cloth.  
Ma anche di fronte a questo miracolo, Odysseus non arretrò. Dietro di lui si sollevò la figura di un Ophiuchus molto simile al Buddha Naga armato di bastone che si scagliò addosso al vostro. «Credete forse di spaventarmi con un trucco del Continente Mu? Pensate forse che io non conosca la leggenda delle Forze Contrapposte?» Domandò e la voce di Kiki risuonò tutt’attorno a voi come se fosse il Cosmo stesso a parlare: “Non importa cosa credete o no, ma non vi permetteremo di avanzare oltre! Nessuno lo permetterà!” Poi, tutti insieme guidati dal carisma e la volontà del giovane Ariete, uniste i vostri Cosmi e i vostri attacchi in una versione tutta nuova dello Zodiaco Clamation di Regulus di Leo. E Odysseus sarà anche stato potente quanto gli pareva, però niente avrebbe potuto contro tutto il Santuario, non solo i Cavalieri d’Oro. Stavolta gli avreste dimostrato che, nonostante tutto ciò che rappresentava e paventava, se voi tutti decidevate di combattere come un sol uomo, non avrebbe avuto scampo.
Lo Spirito Guerriero spalancò la bocca in un grido muto. 
Odysseus neanche la guardò, sicuro che ne sarebbe uscito vincitore con la sola imposizione del suo bastone, ma si sbagliò.
Perché Atena infuse anche il proprio Cosmo nella Creatura Dorata evocata da Kiki e dagli altri Lemuriani. Costringendo così Odysseus a strabuzzare gli occhi e guardare la Dea che, sulle scale della Nona, puntava contro di lui il bastone con le quattro ali. Come a indicare allo Spirito la via.
I due Spiriti si incontrarono e cominciarono a lottare senza esclusione di colpi. Ogni colpo sferrato provocava un lampo di luce e uno spostamento d’aria che spazzava via la polvere, sventagliava vesti e chiome e costringeva a socchiudere gli occhi. 
E, ben presto, Odysseus si ritrovò in seria difficoltà.
«Com’è possibile? Quello non è lo scettro di Nike eppure il mio potere sta venendo meno!» Così, mentre Odysseus cercava di opporgli tutte le tecniche che conosceva, Shaina trovò la forza di rialzarsi e rispondere, seppure con voce stentorea a causa delle ferite. 

«Non hai capito, Odysseus, Atena non ha mai riposto ogni sua speranza nello Scettro di Nike!» Esclamò Shaina rialzandosi, tenendosi la spalla ferita con una mano. Barcollò un momento ma ritrovò subito la stabilità: «É sempre stato su di noi che la Divina ha fatto affidamento e io combatterò, finché avrò solo un alito di vita in corpo!» Dichiarò tua moglie, tendendo le mani verso di lui. Il Cosmo d’Argento ribollente di nuova energia.
Odysseus osservò questo miracolo vagamente stupito e, si ritrovò ad arretrare per non essere colpito dai raggi di luce della barriera. «Non scappare, Odysseus!» Urlò Shaina, che si era ripresa un po’, prima di gettarsi di nuovo all’attacco con il Thunder Claw, unendolo allo Zodiaco Clamation del Santuario. E, con un grido, artigli sguainati, si lanciò addosso al suo predecessore.   

Proprio in quel momento ti accorgesti delle Creature che si lanciavano in caduta libera sul Santuario. Le mani grigie e artigliate tese verso di voi. Istintivamente voi tutti vi riparaste alzando le braccia. Almeno quelli che poterono, altri urlarono e gridarono abbandonando la posizione. Improvvisamente attorno a voi si sollevò un refolo di vento che andò a contrapporsi alla corrente fredda smossa dagli esseri. Non ebbero neanche il tempo di toccarvi che si arrestarono di colpo, come spaventate.
Che cosa stava succedendo? Che fosse merito dello Zodiaco Clamation? Ti domandasti, salvo poi risponderti che era impossibile, dal momento che era fatto di Cosmo. I vostri Cosmi erano  la ragione principale per cui loro vi braccavano.  

Una figura atterrò accanto a te e tu volgesti il capo verso il nuovo arrivato che, con la sua sola presenza, allontanò da te ben tre Creature: «Sirrah!» Esclamasti riconoscendo quella chioma color salmone.
Lui ti sorrise: «Terrò io a bada le Creature! Voi combattete!» Esclamò, prima di saltare tra le rocce e scomparire alla velocità della luce, lasciando dietro di sé una scia come di un fulmine dorato.  

“Forza, concentrate tutte le vostre preghiere sullo Spirito!” Vi spronò Kiki e voi tutti obbediste. Un fenomeno simile l’avevate già riscontrato ad Asgard, ma allora il fulcro di tanta speranza eravate voi dodici. Adesso faceva un po’strano non esserlo e non sentire soltanto la speranza, ma anche il coraggio e la sete di vittoria.
La vostra energia crebbe fino a sopraffare l’attacco di Odysseus. Lo Spirito e Shaina infransero la presa del Naga e travolse Odysseus con un lampo di luce che vi costrinse a chiudere gli occhi.
Quando li riapristi, il Cosmo di Odysseus era scomparso e Shaina era in ginocchio che ansimava rumorosamente, provata per lo sforzo. La Silver Cloth ridotta a pezzi per lo sforzo.
La chiamasti e la raggiungesti appena prima che svenisse. Anche se non aveva raggiunto il Settimo Senso, i suoi sforzi erano encomiabili.
“La forza del Santuario mi ha sorpreso molto, per cui voglio fare una cosa per voi”, disse Odysseus, “Userò le Onde di Guarigione su di voi, sicché al prossimo scontro potrete combattere al massimo delle vostre potenzialità”.

«Perché lo fai?» Urlasti al Saint e, ti parve di percepire il suo sorriso, prima di risponderti, ad alta voce: «Perché sono un medico, ed è mio dovere curare le persone». Spiegò prima di scomparire di nuovo, lasciando qui Lancelot.

 

Hyoga

Tu non avevi avuto la stessa fortuna di Seiya. A dir la verità non avevi neanche idea se il rito avesse funzionato o meno e, da quanto tempo fossi lì.
Avevi solo brancolato nel buio per un tempo che ti era parso infinito, con l’unica compagnia della tua voce. Era come se la Cloth di Sagitter e del Cigno si rifiutassero di parlarti. «Ho forse sbagliato qualcosa nel procedimento?» Ti interrogasti. Era la terza volta che te lo chiedevi. Ripassasti tutti i punti. Eppure li avevi osservati quasi alla lettera. Forse non ti eri concentrato abbastanza? “Non è questo il problema” disse all’improvviso una voce, che sembrava quella di un Dio. Una voce così potente che ti immobilizzasti di colpo.


«Che cosa hai sognato?» Ti domandò una giovane bionda con gli occhi azzurri che riconoscesti come la giovane Natassia di Bluegrad.
«Principessa Natassia?» Esclamasti sorpreso riconoscendola.
«Cavaliere del Cigno, che sorpresa rivedervi qui». Sorrise lei. Non l’avevi mai vista sorridere prima. Quindi se lei era qui c’era anche Yakov? Ti guardasti attorno e lo cercasti con lo sguardo ma non lo trovasti.
La principessa di Bluegrad si scusò dicendo che non c’era tempo e ti portò rapidamente dal tuo secondo accompagnatore.  
«Signor Degel, eccolo, ve l’ho portato!» Esclamò la giovane e il Gold Saint di Aquarius si girò verso di te. E tu restasti di stucco nel vederlo. Se non fosse stato per gli occhiali e il colore verdognolo della sua chioma, avresti giurato che fosse Camus. Ma come era possibile? Era un trucco? Chi era costui? Tu ricordavi di Mistoria di Aquarius, eppure anche questo era un tuo predecessore. Non ti eri mai particolarmente informato sui tuoi predecessori, perché la conquista della Cloth che un tempo fu del tuo maestro era stata improvvisa. E, dopo avevi maturato la decisione che non t’importava a chi fosse appartenuta prima di te, adesso eri tu il Gold Saint di Aquarius.
«Ben fatto, Lady Natassia».
«Chi sei tu?»
«Io sono Degel di Aquarius, Cavaliere di Atena del Millesettecento». Si presentò.
Facesti la spola con lo sguardo tra l’uno e l’altra, poi dicesti: «No, mi state prendendo in giro tutti e due, non può essere».
«Perché dite questo?»
«Perché il Cavaliere di Aquarius del Millesettecento è Mistoria di Aquarius, non ho mai sentito parlare di voi da nessuna parte. Che fine ha fatto il Gold Saint che conosco io?».
«Non ho idea di cosa stiate parlando, giovane Aquarius, non ho mai sentito parlare di questo Mistoria da nessuna parte. Non so bene neanch’io perché mi trovi qui. L’ultima cosa che mi ricordo era che stavo leggendo un libro. Tuttavia non saprei dire se mi sia addormentato o no, perché quando mi sono svegliato, mi sono trovato in compagnia della principessa di Bluegrad del XX secolo e di una giovane dai capelli neri che si è separata da noi».
«Separata? E dove è andata?» Chiedesti.
«Ha detto che ce ne era un altro e che doveva cercare Pegasus».
«Perché? Vuole forse fargli del male?»
«No, non sembrava. Ad ogni modo non possiamo raggiungerla».
«Cosa? Perché?»
«Non possiamo percepire il suo Cosmo e, non credo che ci sia concesso di deviare dal percorso». 
Ma che avevano in comune queste persone? Il tuo predecessore e forse precedente incarnazione del tuo maestro, sembrava essere legato in qualche modo a Bluegrad come te. Ma la terza persona di cui parlavano che legame aveva con Seiya?
«Perché vi angustiate tanto per il Primo Cavaliere della Dea?» Chiese poi, incuriosito l’Aquarius dai capelli verdi.
«Perché siamo partiti insieme, non vorrei che gli fosse successo qualcosa». Rispondesti. Il tuo predecessore annuì. «Comprendo, ma dovreste avere più fiducia nel Saint di Pegasus, i portatori di quella Cloth sono famosi per la loro forza e la loro resistenza. Sono sicuro che se la saprà cavare benissimo anche da solo». Cercò di rassicurarti e tu replicasti il suo cenno, sperando che avesse ragione. “Sì, in fondo Seiya non è uno sprovveduto” pensasti.
«Comunque sia non è prudente restare qui, dobbiamo trovare una via d’uscita e al più presto».
«Aspettate, io sono venuto qui per cercare una cosa che ha perso Atena, la Bronze Saint di Horologium mi ha ingannato?» Domandasti.
«Non credo, è più probabile che si sia sbagliata». Ribatté il giovane. Poi ti invitò a venire con lui. «Visto che siamo qui, non ci resta che aiutarvi ad andarvene». Disse e tu, decidesti di seguirlo. Non ti fidavi di lui, però ti fidavi di cosa sarebbe successo se lui avesse deciso di tradirti.  

   
 
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