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Autore: Diana LaFenice    07/08/2019    0 recensioni
«Sapevi che esistono ben più di ottantotto costellazioni, nella volta celeste? Alcune sono scomparse, altre esistono già, alcune sono visibili a occhio nudo e altre ancora devono ancora nascere. Invece, alcune sono talmente lontane che non possono essere viste neanche con il telescopio più potente del mondo. Io le conosco tutte, io le vedo e le sento tutte. Eccole, sono proprio qui, davanti a me, le sento sulla punta delle dita».
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Cacciatore di Serpenti



 

Death Mask
Le informazioni che avevate raccolto non vi piacevano. A te meno di tutti, già eri il Cavaliere d’Oro più debole, sapere che il Guardiano della Casa di Marte era a piede libero non ti faceva piacere. Ancora meno apprendere dell’esistenza della figlia del suddetto Guardiano e tutto quello che era successo. La storia delle sue tecniche e poteri aveva fatto tremare i polsi a Milo. Per quel poco che ti era mai fregato, non ricordavi di averlo mai visto così pallido e spaventato. Aveva raggiunto lo stesso grado di pallore di Astrid.
Era come durante l’invasione dei Senza Volto scappati dalla Quarta.

Stavi passeggiando per gli Inferi, vicino all’accampamento celtico. Gli Specter vi avevano lasciati liberi di gironzolare, soprattutto tu, che, in quanto Saint del Cancro, eri quasi utile. Soprattutto per stanare eventuali Black Saint o anime fuggiasche. Non te l’aveva chiesto nessuno, in realtà, però ti annoiavi tanto al punto di accontentarti anche di questo. «Che rogna. Non c’è neanche un bar dove svagarsi!» Esclamasti dopo un lungo verso di stizza. Quasi rimpiangevi la compagnia di Cherie. Che avevi lasciato con il tuo maestro.
«Se ti annoi tanto, allora potresti fare quattro chiacchiere con me». Propose una profonda voce maschile in alto a destra, di poco più squillante di quella di Shura. Ti immobilizzasti di colpo per lo spavento, spalancando di poco gli occhi. Sollevasti la testa nella direzione da cui era piovuta quella proposta e lo vedesti.

Appollaiato sulla roccia, seduto a gambe accavallate, c’era un giovane. Era più vecchio di te di pochi anni, probabilmente era sui ventotto. Sorprendentemente era più esile di te ma al tempo stesso aveva il fisico più sviluppato di quello di Camus, che spesso avevi canzonato tra te, chiamandolo elfo.
Aveva la pelle abbronzata e una bella faccia ovale molto espressiva. Era un tipo che sorrideva spesso, lo vedevi dalle fossette e da come s’increspavano i suoi tratti. Anche se il suo sorriso smagliante era il garbato sorriso di un predatore che non lascia scampo alle sue vittime. E si divertisse a farne scempio.
Tipi così li odiavi. Almeno tu avevi la decenza di finirli in fretta e senza spargimenti di sangue.
Non eri mai stato religioso e non avevi mai creduto alle stronzate sul Bene e il Male che ti propinavano in Chiesa da bambini. Ma a vedere costui, non avesti alcun dubbio a classificarlo come folle e maligno.
Poveraccio, stava mettendosi nei guai a venire a rompere le scatole a te.   
Purtroppo, a causa dell’altezza, non riuscisti a vederne gli occhi. Gli scompigliati capelli castani scuri gettavano un’ombra sugli occhi e ai lati dei medesimi. Non avresti saputo dire però se fossero scompigliati di loro o se usasse il gel. Anche tu lo usavi, però non così. Quella pettinatura, conferiva alla sua faccia la bizzarra forma di un cuore spigoloso, affilando ancor più quei tratti. Il mento era piatto, come se a quel cuore avessero tagliato la sua punta. Se si fosse lasciato crescere un pizzetto, probabilmente ci sarebbe somigliato ancor di più. Le guance erano scavate.  
Tuttavia a stupirti e confonderti ancora di più, furono il suo abbigliamento e l’arma di piatto sulle sue gambe. Indossava un candido gilet senza maniche lungo fino alle ginocchia bordato d’oro e pantaloni larghi e bianchi con stivali marroni. Tutto quel bianco faceva contrasto con la pelle più scura. Al collo era drappeggiata una sciarpa candida e vaporosa come una nuvola. Anzi, a dirla tutta, sembrava così morbida che sembrava indossare veramente una nuvola. I lembi lunghi ricadevano sulle sue spalle, facevano il giro sulla schiena, per ritornare ai lati della roccia, accanto ai bordi del gilet. Non portava una maglia e tu avevi la visuale del suo fisico allenato. Alle braccia portava dei bracciali d’oro di foggia antico egizia e un sottile braccialetto al polso sinistro. Con la mano sinistra si sosteneva la testa. La sua fronte era cinta da una sottile tenia dorata che attenuava l’oscurità della sua frangia. Guardando il posto non ti saresti affatto sorpreso se fosse un guerriero a sua volta.
A suggerirti che fosse un guerriero, fu la sua arma, adagiata sulle sue gambe accavallate celate dai larghi, comodi pantaloni infilati negli stivali marroni alti al ginocchio. Lui si accorse del tuo turbamento e ti chiese, inarcando le sopracciglia in una smorfia di falso stupore: «Ti è già passata la voglia di chiacchierare? Non mi chiedi chi sono?» Continuò. 
Ti voltasti completamente verso di lui, sicché foste faccia a faccia. Ignorasti la sensazione che ti gridava di arretrare e scappare via. Non saresti stato un Saint se l’avessi fatto, ma saresti stato umano. E questo tendevi a dimenticartelo abbastanza spesso. «Perché, dovrei averne? Ma sarebbe meglio che tu scendessi prima di farmi venire un torcicollo». Avevi fatto del tuo meglio per trattenere la tua linguaccia, anche se avresti voluto investirlo con una vagonata di insulti. Eppure il tuo istinto ti suggeriva di cercare di essere il più rispettoso possibile. E non era per via dell’arma.
«Hai ragione, in effetti è vero, è piuttosto scomodo per te parlarmi così». Ammise e scese dalla roccia con un balzo. «Così va meglio, no?» Dèi, quanto avresti voluto strappargli via quel sorriso idiota.
Sorridesti a tua volta, falso come un serpente: «Decisamente». Così potesti appurare l’effettiva grandezza della sua arma e che i pantaloni erano tenuti su da una fascia d’oro che faceva il paio con i gioielli e la tenia.  
Solo allora, a un metro e mezzo di distanza, ti accorgesti che i suoi occhi avevano un taglio trapezoidale e che il suo sguardo era ancora più perfido di quello che pensavi. Le sue sopracciglia dritte erano inclinate verso il basso. Nonostante il dolce castano chiaro che virava sul giallo, come certi alcolici che ti piacevano, delle iridi. Una parte di te tirò un sospiro di sollievo: dovevi esserti immaginato chissà che. Al confronto, persino il vero colore delle tue iridi era più inquietante. Eppure l’impressione di essere squadrato da una belva feroce non diminuì. Sembrava il tipo di persona capace di ridere a crepapelle mentre fa una strage. E, questo, tu non l’avevi mai fatto. Avevi riso, ma non per le tue gesta, bensì per la vittoria, ti eri vantato, ma solo per incutere timore. Come quando incontrasti Elda di Cassiopea o Shiryu di Dragon per la prima volta. Assassino sì, sadico pure, folle anche, ma non così. Questo sconosciuto era su un livello superiore che non ci tenevi per niente a raggiungere. Quelli erano gli occhi di un mostro, qualcosa di inumano infilato in un corpo umano.
Il suo fascino era maligno, completamente diverso dal tuo. Il suo era una trappola per le vittime.
Il tuo corpo l’aveva capito prima di te, mandandoti tutti quei segnali di pericolo che stavi ignorando.
Ma se tu cercasti di ignorarli, non sfuggirono al tuo interlocutore, che adesso sorrideva affilato.   «Bell’alabarda». Ti complimentasti, mentre osservavi il gingillo. Non era un’arma qualsiasi.. Era un’alabarda montata su un manico nero che gli arrivava all’altezza della gola, senza contare l’affilato zaffiro romboidale, lungo trenta centimetri, fissato al manico da due anelli d’oro, che faceva da pomolo. La parte metallica cominciava dalla gola in poi dell’uomo. Lì, fissati da due anelli uno sopra l’latro, il manico era rivestito d’oro. Trenta centimetri più sopra, c’era l’attaccatura dell’alabarda. Questa ricordava molto una lancia medievale, con due code affilate e la punta allungata come certe punte natalizie che avevi visto a giro.    
Ai lati della punta, come se partissero proprio dalle code, si aprivano le due lame dell’alabarda. Venti centimetri più su, altre due punte tendevano verso l’alto aprendosi a V.
Le lame erano asimmetriche, nonostante che condividessero la stessa ampiezza dell’attaccatura, e una delle due era più corta dell’altra. Ma non per questo meno affilata.
L’ascia principale era molto più grande e lunga di quella secondaria e dava l’idea di essere sbilanciata. L’altra era più piccola, probabilmente gli arrivava all’altezza del ginocchio. Entrambe le lame erano decorate con uno zaffiro rotondo da cui si dipanavano quattro fili d’oro che, a coppie di due, rifinivano i bordi e i due più interni. Come rette parallele distanti otto centimetri l’una dall’altra, si riunivano agli esterni, chiudendoli in una L leggermente ricurva. Sulle punte delle lame dolcemente incurvate come ventagli, erano fissati due zaffiri tagliati a goccia.     
Intuivi che non era un’arma normale. Forse era come le spade dei gladiatori di Miss Tomoe. Eppure era bellissima. Non avevi mai visto prima un’arma così. Forse era preziosa quanto le vostre Cloth.
Il nuovo arrivato ignorò il complimento e ti rassicurò, con voce melliflua: «Rilassati, non intendo farti niente di male». Ma tu non ti fidasti. Perché avresti dovuto? Non eri mica nato ieri.
Parlava in greco antico, ma la sua voce tradiva un accento diverso da quelli che conoscevi.   
«Chi sei? Perché ti sei fatto tutta questa strada per venire a parlare con me?» Chiedesti, cercando di non sbottare.
«Il mio nome è LaFerain e vengo dall’Inferno». Si presentò, ma a te questa presentazione disse poco o niente. A essere brutalmente onesti, non l’avevi mai sentito nominare. Avevi affrontato di peggio e, malgrado tutto, questo non sembrava neanche un granché. Probabilmente era il classico tipo tutto fumo e niente arrosto che cerca di fare la voce grossa. «Tu invece sei Death Mask del Cancro». Continuò senza darti il tempo di parlare.
“Ma bene, il diavolo ha fatto i compiti. Questo rende lo scontro ancora più interessante”, pensasti. Ma anche tu avevi fatto i compiti. Qualcosa sulla superstizione popolare e dai film sugli esorcisti e sul diavolo avevi appreso.
Tornasti a coprirlo degli insulti che la tua bocca taceva, piegata nel ghigno orgoglioso che ostentavi. Se possibile, il suo si ampliò ancora di più.
Non riuscivi a classificare questa specie di essere. Era un demone, ma era completamente diverso da quelli che avevi affrontato quando avevi risolto il casino dei Senza Volto. «Ah, non c’è bisogno di essere tanto formali, Death Mask, io leggo nella tua anima, sono perfettamente capace di sentire tutto ciò che provi e pensi».  
Meglio, non era nelle tue corde essere rispettoso. Se avessi potuto metterti le mani in tasca l’avresti fatto, sfortunatamente la Cloth te lo impediva. E tu, non avevi affatto paura dell’Inferno, c’eri già stato. «Quand’è così, che cazzo vuole un sudicio demone da me? Perché ti sei scomodato tanto per raggiungere gli Inferi quando ti sarebbe bastato venirmi a trovare molto prima, come l’altra feccia della tua razza?» Domandasti, completamente a tuo agio.
Il suo volto sarebbe stato benissimo tra quelli della Quarta. Non avevi mai avuto un demone a ornare quelle pareti. Era da un po’ che non lo facevi, chissà se ne eri ancora in grado?
Amore quanto ti pare, redento quanto vuoi, ma la tua vera natura non si poteva cambiare. Tu eri stato forgiato dall’odio e dalla disperazione. Non avevi bisogno di essere amato da tutti, alcuni potevano tranquillamente odiarti, ti facilitavano solo il compito di ucciderli. 
Ti erano sempre stati qui gli arroganti e questo diavoletto qua aveva tanto bisogno di essere rimesso in riga. A vederlo non sembrava tanto potente. Il tuo dito sarebbe stato più che sufficiente per rimandarlo a casa dal Suo sovrano. Ma non potevate permettervi anche una Guerra Sacra contro l’Inferno di Lucifero.
Mentre immaginavi i modi più cruenti per ammazzarlo ti parve di avere a che fare con un tuo simile e ciò te lo rese ancora più odioso. Soprattutto quando sorrise di nuovo, soddisfatto. Avresti voluto leggergli nel pensiero ma non ti interessava abbassarti al suo livello.
Lui esultò, pienamente soddisfatto: «Ah, sì, sì, sì! Sì! Finalmente! Questo è il vero Death Mask! Il potente, letale, spietato Death Mask!» Fece spalancando le braccia un momento, per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi. A parte quella che reggeva l’alabarda. «Devo dirtelo preferisco l’onestà all’ipocrisia, anche se, a quanto ho capito, tu sei anche questo!» Ti punzecchiò facendoti sentire sgradevolmente più marcio del normale.
Ti accigliasti. «Bada a come parli». Lo minacciasti, offeso. 
«D’accordo, lo terrò a mente, non c’è bisogno di scaldarsi tanto». Scherzò, fingendo uno spavento che non provava per nulla.
Questa conversazione stava cominciando a infastidirti e anche parecchio: «Non amo tergiversare, vuota il sacco, che cosa vuoi da me?»
«Volevo solo conoscerti».
«Perché? Che cosa ci guadagni?» “A parte un biglietto di sola andata per l’arredamento della Quarta?”
Lui smise di sorridere e si avvicinò di un passo per sussurrarti: «La faccia di quello che ha ammazzato i demoni che stavano cercando di scappare dall’Inferno quattro anni fa».
«Ah, quelli, non c’è di che».
«Non ho mai detto che ti volevo ringraziare». Puntualizzò l’altro, trapassandoti con lo sguardo, arretrando di un passo, restituendoti il tuo spazio vitale. Un minaccioso lampo giallo illuminò i suoi occhi per un istante. Ti guardò a lungo, poi scosse leggermente il capo e smise di sorridere. Il suo volto si oscurò e sibilò di nuovo, serio: «Se non fossi sotto la protezione di Asia te l’avrei già fatta pagare per la tua intromissione».
«Asia? Non conosco nessuno con questo nome e…» Ti interrompesti di colpo: in realtà sì, c’era qualcuno che conoscevi. Camus aveva nominato una certa Asia, la scribacchina dietro la quale si era perso Shaka. No, dai, non poteva essere! Cioè, quante probabilità c’erano che si stesse riferendo alla stessa persona? Però se la conosceva o era uno dei suoi nemici oppure era… Lo guardasti sconvolto, tutta la baldanza finora dimostrata andò a farsi benedire, neanche fosse passata la papera artica. Il tuo sorriso cancellato.
«Vedo che hai capito; non pensavo che ci saresti arrivato così presto». Commentò l’altro, con aria compiaciuta. A quel punto fu il tuo turno di arretrare di un passo, mentre LaFerain - giusto? - continuava: «Sì, sono l’Azone al servizio di Lucifero e per colpa tua l’Inferno è nei guai con l’Inferno Giapponese».
Ti riprendesti per ribattere: «E allora? Avevano sconfinato nel mio territorio, a me non me ne importa da dove provengano, li faccio fuori lo stesso».
«E i casini diplomatici li lasci a noi, vero? Dopo tutta la fatica che ho fatto per venire a cercarti? Sai quanta fatica ho fatto per convincere i miei colleghi a incontrarti? Ah, ma stavolta non andrà così, caro mio. Non te la farò passare liscia». Dichiarò. Il sorriso completamente scomparso.             
«Provaci. Azone o no, non esiterò a staccarti le mani e farti a pezzi».
Lui alzò le sopracciglia un momento e annuì, curvando gli angoli della bocca in un sorriso ironico. «Come se i tuoi colpi potessero qualcosa contro di me. Non ti preoccupare, non ho intenzione di farti alcunché; non mi è permesso, anche se lo vorrei davvero, tu non hai idea di quanto lo vorrei. Ma mi accontento di guardarti e basta». Poi sollevò l’indice della mano libera, mosse un dito e sentisti un bruciore diffondersi a macchia d’olio sul tuo bicipite destro. Istintivamente te lo premesti con l’altra mano e gemesti di dolore. Non avevi mai provato niente di simile, neanche in Sicilia.
Boccheggiasti per la sofferenza, gli occhi colmi di lacrime, mentre l’altro rideva malvagio.
Ti scopristi il braccio con mano tremante e vedesti un tatuaggio a forma di leone rampante coronato. Poi guardasti lui. Non ti eri accorto di essere caduto in ginocchio a causa del dolore: «Che minchia mi hai fatto? Che diavolo è questa roba? Che cazzo vuoi? Toglimelo immediatamente o ti spacco la faccia!»
«Quello è il mio marchio, scusa, ma i tre graffi satanici per me sono demodé, mi piacciono di più le cose elaborate. Quando lo sentirai bruciare significa che avrò bisogno di te e tu verrai da me, perché soltanto io posso spegnerlo e togliertelo. Più lo ignorerai, più ti farà male e scaverà nelle tue carni, se cercherai di toglierlo sappi che danneggerai solo la tua pelle e ti scaverai nel tuo stesso braccio».
«Tu, maledetto! Schifoso bastardo! Avevi detto che non potevi toccarmi, che sono sotto la protezione di Lady Asia!» Urlasti, scosso dalla rabbia, che non avevi mai sentito divampare come in questo momento.
Lui continuò a oscillare la testa su e giù e fece, in tono carezzevole: «Oh, sì, a cose normali non posso toccarti fisicamente né interferire con la tua storia e quella del Santuario, peccato che non siano circostanze normali e che Asia mi abbia dato il permesso. Tranquillo, non voglio ucciderti, ci servi vivo» disse in tono lugubre «e lei non mi perdonerebbe mai se uno di noi ti ammazzasse.» dopodiché si avvicinò e ti dette un buffetto amichevole sulla guancia; «Risparmia le energie, mio focoso Gold Saint, ne avrai bisogno». Ti suggerì in tono più basso, chinandosi leggermente, «LaFerain, bastardo…» Ringhiasti con voce fremente per la rabbia. Mai odiato tanto qualcuno come adesso in vita tua.
Si raddrizzò, rise sguaiato e si dissolse senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio. «LaFerain!» Ruggisti e le rocce circostanti ti restituirono l’eco del tuo urlo. «Death Mask!»
Sussultasti e girasti la testa sopra una spalla. Dietro di te c’era Milo che ti guardava con due occhi grandi così. Probabilmente era venuto a cercarti.
«Se ci tieni alla tua vita, vattene». Lo minacciasti. Ma lui non si lasciò impressionare. Tu non avresti mai ammazzato uno dei tuoi colleghi Gold. O almeno, il pensiero non ti aveva mai sfiorato. Si avvicinò: «Ma non dire stupidaggini, ti ho cercato dappertutto». Ti porse la mano per aiutarti a rialzarti, ma tu la scostasti con un gesto sgarbato e facesti da te. Milo non se la prese, ti conosceva abbastanza per roteare gli occhi al cielo e ignorarti, come tutti al Santuario. La tua perfidia era leggendaria, sì come la tua cattiveria. «Va bene, ce la fai ad alzarti?»
«Sì, sì».
«So già che non me lo dirai però te lo chiedo lo stesso, perché hai urlato?» Con sua grande sorpresa, invece, glielo raccontasti. Lui ti ascoltò e poi, quando guardò il braccio, ti fece notare che non c’era niente sul tuo braccio. Guardasti la tua pelle e restasti stupito tu stesso. Te lo toccasti: «É impossibile, ti giuro che mi ha marchiato, ti giuro!» Sentisti la risata malefica di LaFerain risuonare tra le rocce.
«Ti credo». Disse con tua grande sorpresa. Lo guardasti. «Non sei il tipo che si mette a raccontare balle per essere compatito, tu non vuoi la compassione. E devi essere veramente spaventato se mi hai raccontato tutto». Costatò.
«Sì, spaventato, sì…» Facesti. Sembravi impazzito di colpo. Sarà perché ne avevi subite di ogni in questi anni o che quello là ti aveva distrutto? No, era impossibile, non poteva riuscirci. E non te ne eri neanche accorto. Era questa la cosa grave, come era possibile che tu, provvisto di poteri telepatici, non fossi riuscito ad accorgertene? Ti portasti una mano alla fronte e le tue dita incontrarono il tuo elmo a maschera. «Torniamo dagli altri».
«Vai avanti tu, ti raggiungo tra poco».
«Non se ne parla neanche. So che non ci siamo quasi mai parlati prima oltre i Chrysos Synaigen, però credo che sia il caso di raccontare agli altri qualsiasi cosa ti sia successa. Se è un attacco nemico o uno scherzo di pessimo gusto lo devono sapere».
«Perché, vuoi sbattermi in prima pagina su Gazzi Inferno, la Gazzetta degli Inferi?»
«Ovvio che no, ma se sono dei nemici dobbiamo elaborare una strategia, non lasceremmo mai un nostro compagno d’arme nei guai e tu sei uno di noi, che ti piaccia  o no». Dichiarò Milo, facendo sfoggio di tutto il suo carisma. E tu in questo momento, per la prima volta, capisti come si dovesse essere sentita Astrid i primi tempi al Santuario. Lei era stata la seconda persona dopo Helena che avevi compatito, ma non avresti mai pensato di arrivare a compatire te stesso. Camus l’aveva anche detto che le battaglie che combattono gli Azoni sono di un livello inaccessibile per i Saints. E, se c’era una cosa che Astrid ti aveva insegnato (riconoscesti) era che non faceva male abbassarsi a chiedere aiuto, ogni tanto. Anche se ciò significava mettere da parte il tuo smisurato orgoglio
«Sì, scusami, hai ragione. Torniamo dagli altri». Ti sforzasti di dire e di essere un minimo cortese. Dopotutto si stava scomodando per te, un minimo di cortesia gliela dovevi. Un minimo.
E, soprattutto, questo non era un nemico che potevi affrontare da solo.
«Maledetto sia il mio orgoglio». Borbottasti tergendoti il sudore dalla faccia con mano tremante.
Odiavi ammetterlo, ma dovevi parlarne con i tuoi commilitoni. Appena avresti riacquistato un minimo di padronanza di te stesso, s’intende.

«Stavolta non possiamo tornare nel mondo dei Vivi portando con noi solo delle notizie». Fece Milo quando fosti tutti riuniti attorno al braciere, quella sera. Avevate deciso di darvi appuntamento in ciò che restava dell’accampamento celtico. «Dobbiamo studiare una strategia».
«Per quanto io faccia fatica ad ammetterlo, temo che tu abbia ragione». Ti accodasti tu. In queste ore ti eri calmato un po’. Lo Scorpione se la cavava bene come ansiolitico, anche se aveva dovuto capire di non starti troppo addosso, se no qui ci avrebbe messo le tende in pianta stabile. Si era limitato a restare in disparte e a venire a trovarti ogni due ore finché non era venuto il momento di riunirsi a cena. Fortuna che andavate avanti con il cibo importato dal mondo dei Vivi. A proposito, non ti era passato per la mente di indagare su quel LaFerain. Ad ogni modo, non potevi lanciarti allo sbaraglio contro un avversario del genere. Attaccare e basta non sarebbe stato sufficiente a garantirti la vittoria. Dovevi agire d’astuzia, stavolta. In quel momento ti mancò Aphrodite. Lui sì che sapeva sempre escogitare una buona strategia.
Ma ora che ne avevi parlato, un’ombra di terrore era calata anche sul volto di Camus. Che vi aveva rivelato di essere stato avvicinato anche lui da un Azone. Quello di Hades. Il protettore degli Specter.
«Anche tu?» Chiedesti, senza nascondere il tuo stupore.
«Sì». Confermò. La situazione vi ricordò moltissimo Asgard. Tutti e tre ricordavate benissimo quella battaglia. Ora non era molto diverso. «Se solo Shaka fosse qui probabilmente ci direbbe altro». Borbottò Camus accomodandosi contro la roccia. La ciotola messa da parte accanto a lui. Tu avevi lo stomaco chiuso, non avevi proprio toccato cibo. Facesti una pernacchia: «Sì, certo, come no, prima che quello si svegli la Guerra Sacra sarà già cominciata, ammesso e non concesso che ci sarà una guerra». Aggiungesti. Sapevi anche tu della sbandata dell’altero Cavaliere di Virgo. Tutti tranne Shun, che, in questo preciso momento, vi ascoltava senza dire niente. Ti aveva dato un’occhiata e aveva decretato che stavi bene. Camus poi aveva spiegato a Milo quali poteri potessero usare gli Azoni. Probabilmente ti aveva intrappolato dentro una tasca temporale. Lì dentro potevano fare il bello e il cattivo tempo, ma quando ne uscivano, era come se non fosse successo niente. Ed era ancora più tremendo di vedere le cicatrici e le eventuali ferite deturpare le tue membra. Sapevi cosa era successo, ma non avevi le prove per dimostrarlo e il fatto di essere sotto la protezione di quella mocciosa scribacchina ti scocciava assai. Ancora di più sapendo che aveva permesso a quel tale di ridurti così. Ma che cazzo voleva quella lì da te? Aveva scatenato pure un altro Azone per cambiarti? Ma che è sta fissa di voler cambiare le persone? Tu eri così punto e basta, non sapevi di che fartene di redimerti. Anche se avresti nascosto con tutte le tue forze questo tuo lato a Helena. Non volevi che lei lo venisse a sapere. Astrid… Bè, Astrid lo sapeva già, questo ti facilitava le cose.
Avevate preferito non coinvolgerla in queste riunioni. Meno ne sapeva, più probabilità c’erano che non si ficcasse nei guai. 
«Non ti credere, anche se ha perso la testa per Lady Asia, riesce ancora a porsi delle domande e ne ha poste di parecchio interessanti». Ve le riferì tutte e voi non sapeste come rispondere. Non vi eravate mai posti queste domande, neanche avevate mai paventato una possibilità come questa. Avevate appreso le varie nozioni (quelle poche cui avevate avuto accesso voi che aveste un maestro, ossia tu Aphrodite, Aiolos, Saga, Kanon e Shura) con la stessa inerzia con cui ci si sveglia la mattina. Tuttavia la lampadina non vi si era accesa lo stesso. Almeno a voi tre, non avresti saputo dire di Saga. Aiolos… Sì vabbè, lasciamo perdere. Per come erano andati i fatti, il ragazzo non se ne sarebbe accorto neanche se gli avessero sbattuto la verità in faccia.
Ti sorprendeva piuttosto come avesse fatto il Santone del Santuario a scoprire tutto ciò. Non ricordavi che avesse altri hobby come la lettura, oltre la meditazione. Non aveva neanche un telefono per comunicare con voi e, finora, non si era neanche degnato di condividere con voi le informazioni che stava raccogliendo.  Che fosse per amore o per proteggere Lady Asia o la Divina Atena, non c’era dubbio che restare all’oscuro di tutto vi metteva in difficoltà. «Hai già provato a raggiungere Shaka con la telepatia?» Chiedesti a Camus. In quanto stanti sullo stesso piano, aveva più probabilità di te di comunicare con lui.
«No, ma anche se fosse, non riesco a percepire il suo Cosmo. È come se fossero scomparsi». Spiegò Camus. «Una dimensione parallela?» Ipotizzò Milo.
«No, ormai due mondi si sono uniti». Fece Shun, che aveva ereditato anche la capacità di Shaka di guardare tra le dimensioni e i mondi un tempo scrutati dal suo predecessore. «Credo che abbiano entrambi azzerato il loro Cosmo». Era la più probabile.
«Con il poco che abbiamo adesso però non saremmo capaci di creare una strategia vincente e i numeri giocano a nostro sfavore su tutti i fronti».
«Se coinvolgessimo Astrid forse…» Iniziò Shun ma voi tre lo zittiste in coro con un secco: «Non dirlo neanche!» Poi vi guardaste stupiti. Se fosse stato meno buio avresti giurato che Camus fosse anche arrossito. L’imbarazzo era palese sulla sua faccia. Mentre Milo era confuso. Non si aspettava che anche voi reagiste così. Inarcasti un sopracciglio senza nascondergli il suo fastidio, come a dire: “Embè? Hai finito di guardare?”
«Astrid non deve sapere che cosa sta succedendo». Fece poi Milo, che decise di riprendere il filo del discorso. «Noi siamo Saint esperti, combattiamo da tutta una vita, siamo guerrieri, lei no, non ha neppure la Cloth ed è un miracolo che sia riuscita a sopravvivere finora agli Inferi e alla Guerra Santa. Almeno lei. È già un grande risultato anche il fatto che sia riuscita a salvare anche Raki». Ah, già, c’era anche quel problema degli apprendisti scomparsi da riferire nel rapporto. Che rogna.
«E come la mettiamo con l’Albero?» Chiese Shun meditabondo. Aveva appreso anche lui della distruzione del Mala di Shaka. La vostra arma più potente contro gli Specter non esisteva più. Per le prossime Guerre Sacre come avrebbero fatto? Gli leggevi questo tormento in faccia, ma a te non importava, dovevate concentrarvi sul presente.
Camus scrollò le spalle. «Ormai non c’è più niente da fare. Gli Specter non sono stupidi, lo sorvegliano a vista». Rispose. Dopo la Guerra Sacra del Millesettecento non si sarebbero lasciati ingannare o imprigionare una seconda volta. Anche il Mala di Shaka era ormai irrecuperabile. Lo avevano requisito gli Specter. E già lì dove tu gli avevi dato dell’imbecille per non averci pensato, Shun e Milo l’avevano difeso. Era ridotto in fin di vita, che cosa importava il Mala in quel momento? Non avevano tutti i torti però
«A questo punto credo che dovremmo continuare a mantenere la corrispondenza, potrei trovare qualcosa di interessante negli archivi».

«Buona idea, anche noi faremo un salto negli archivi e controlleremo». Decretò Milo parlando anche per te e Shun. Il quale annuì, tu lo imitasti per riflesso. A te non te ne fregava una beata mazza di questa storia, volevi solo liberarti di LaFerain e di qualsiasi cosa ti avesse fatto. 

 

Non avevi riposto per niente fiducia nei vostri accompagnatori Specter. Vi eravate radunati in tempo per le nove di mattina. Appena dopo colazione, darvi una sistemata e di riunirvi nell’accampamento.
Isaac e la piccola peste che ti ricordava in un modo disgustoso Cherie, che stava appresso a Camus, non c’erano. Meno male. Non avresti sopportato la visione di un’altra ragazzina petulante. Come neanche degli Specter, come Valentine, che aveva già fatto ritorno al Cocito. Ti era già bastato ritrovare la tua ex compagna d’addestramento e il tuo maestro, che se ne erano già andati appena mezz’ora prima.
Raki e Astrid arrivarono accompagnate dai tre Giudici Infernali. Per tutto il tempo ti domandasti perché mai Aiacos continuasse a fissarvi in cagnesco a questo modo. Astrid era palesemente a disagio dal comportamento del Garuda. Mentre Raki sembrava ignorare tutti e tre come se si fosse talmente abituata alla loro presenza, da non trovarli più invasivi e ingombranti.
Il tuo sguardo si soffermò sul Garuda. Era la prima volta che lo vedevi dal vivo al di là della festa. Ma ti venne solo voglia di ignorarlo. Non avevi voglia di azzuffarti di prima mattina. Non te ne fregava niente di una persona del suo calibro. «Lady Pandora desidera che scortiamo Lady Astrid fino alla Bocca degli Inferi». Spiegò Minos del Grifone, il quale camminava dietro ad Astrid. La quale aveva smesso i pezzi della sua armatura e i gioielli ed era solo con il vestito nero e il polso sinistro fasciato.
Tu alzasti le spalle come a dire che non te ne importò niente. Avevi già salutato DeathToll e Cherie un’ora prima e loro erano tornati alle loro Prigioni. Anche agli altri non importò granché.
Ma anche gli altri due Specter non erano immuni al tuo poco interesse. Il più feroce sembrava proprio Rhadamantys della Viverna, riconoscibilissimo dalla Surplice e dall’elmo a forma di testa di drago. Stava alla sinistra di Astrid, mentre Aiacos era alla sua destra, il canuto del Grifone chiudeva la fila.

Avevi capito che era una persona importante per gli Inferi, ma non pensavi fino a questo punto. Addirittura da meritarsi l’appellativo di Lady. Vederla vestita di nero fu come una sorta di deja-vu per te. La prima volta che l’avevi incontrata era vestita di nero e anche la notte in cui l’avevi salvata era vestita con quel colore. Ma il vestito a là Madonna in Like a Prayer faceva tutt’un altro effetto su di lei. Anche a guardarla bene qualcosa in lei era cambiato. Non solo i capelli erano ricresciuti e adesso superavano il seno di cinque centimetri, ma i suoi occhi erano più feroci, più simili a quelli di voi Gold Saint. Paradossalmente sembrava più allenata dell’ultima volta che l’avevi vista, ma anche più malinconica e pacata. Uno strano misto che non avevi mai visto prima addosso a lei. Era come se avesse raggiunto una nuova dimensione dell’esistenza. Coi nervi a fior di pelle che doveva avere, non si sarebbe più lasciata cogliere di sorpresa e avrebbe reagito ancor più prontamente. «Non ti porti dietro la tua armatura?» Chiedesti, notando che il suo bagaglio era un semplice zaino. Appeso alla cintura di cuoio in vita, c’era un sacchetto di stoffa rotondo. Probabilmente dei soldi. Astrid non faceva niente per niente.
Un mezzo sorriso increspò la tua bocca nel ricordarti anche questo.
«No, non ne ho più bisogno, l’ho lasciata alla zia». Milo rabbrividì leggermente. Non era ancora abituato a considerare Astrid sotto questa luce. Dal canto suo sia Raki, sia la bionda lo ignorarono.
Tu invece contraesti la bocca in una smorfia divertita. Trovavi abbastanza ironico il fatto che la tua protetta fosse la nipote della Sacerdotessa che, decadi fa vi riportò in vita parlando di benevolenza e misericordia. In cambio della testa di Atena neanche stesse parlando della testa di Medusa. Col senno di poi la sedicenne Pandora sembrava una novella Polidette. Il patrigno di Perseo.
Che ironia. E adesso vi affidava di nuovo Astrid.
A che gioco stava giocando Hades? Non eri stupido, lo vedevi benissimo che gatta ci covava. Probabilmente era il suo modo per consolidare la vostra alleanza e tenervi d’occhio. D’altronde voi avevate messo tra le sue fila due Saint, perché lei non avrebbe dovuto collocare una spia tra le vostre? E chi meglio di lei poteva fungere da spia, dietro tutta la facciata.
Credere alla sincerità di Pandora sarebbe stato come credere alla bontà di un aspide velenoso. Anche se lo metti davanti al focolare per riscaldarlo, questo cercherà di morderti lo stesso. Su una cosa eri sicuro, Astrid non si sarebbe mai piegata alla volontà della zia e, se era sopravvissuta tanto non era solo per merito di Camus.
Se la memoria non t’ingannava, e non t’ingannava davvero, dietro a quel bel faccino, c’era una stronza dalla forza di mille cavalli. E Camus, in queste quattro sere ve l’aveva anche confermato. Per di più, stando qui non poteva che essere peggiorata. Perciò non c’era pericolo alcuno. I problemi sarebbero sorti qualora avessero voluto impiegarla in battaglia. Grazie a lei avreste potuto respingere finalmente il problema delle Creature e debellarlo finalmente.
Adesso era tutto nelle mani di Atena. Solo Lei aveva la facoltà di convincere quella giovane ribelle a unirsi alla vostra causa.
Ovvio che l’idea non ti faceva piacere, ma sapevi che era meglio lasciarla combattere piuttosto che segregarla. Ve ne aveva dato prova più volte, no? E voi Saint eravate rincoglioniti dalle botte, ma non troppo da comprendere i vostri sbagli. E con Astrid non avreste sbagliato più. Il suo potere e il suo Cosmo erano qualcosa di straordinario. E se persino tu, ex assetato di potere, arrivavi a concepirlo, chissà quanto doveva essere duro il sacrificio di Pandora e Hades.
Scoccasti un’occhiata a Camus, che ricambiò e, in quel momento, comprendesti che eravate giunti alla stessa conclusione.     

Poi vi metteste in marcia verso il Regno dei Vivi, lasciandovi alle spalle gli Inferi, nel silenzio quasi più totale, quasi spettrale.
Rhadamantys e gli altri due Giudici Infernali vi scortarono verso il Regno dei Vivi.
Mentre superavate le varie Prigioni, vi rendeste conto che gli Specter stavano facendo un buon lavoro di ricostruzione. Anche tu, da quando avevi restituito ad Hades l’anima dello Specter che avevi portato con te tutto il tempo. L’uomo infilato nella sua Surplice ti scoccò un cenno di saluto che tu ricambiasti con un’occhiata da sopra la spalla, prima di tornare a guardare dritto davanti a te.

Anche Caronte vi salutò, quando sbarcaste sulla riva opposta, dove si stavano di nuovo radunando gli spiriti e, la tua Armata Brancaleone, stava smantellando tutto. Ti guardasti attorno alla ricerca del Drago Rosso, ma quello era sparito.
Soprattutto Astrid, con un lezioso, untuoso: «Milady». Quando l’aiutò a scendere porgendole la mano.
«Caronte». Ricambiò la giovane. Se fosse stata un’altra probabilmente l’avrebbe affogata con le sue stesse mani. Così erano gli Inferi.
Infine risaliste la Bocca degli Inferi tramite la scala a chiocciola. La stessa che usaste voi ex Specter durante la Guerra Sacra, per uscire da lì. 
Una volta sulla sommità del cratere, fu il momento dei saluti. Astrid salutò i tre con un cenno del capo che fu ricambiata rispettivamente dalla Viverna e dal Grifone con un’occhiata sprezzante e un ghigno sadico. Una smorfia che solo in questo ti rammentò LaFerain. Istintivamente ti portasti una mano al braccio marchiato. «É stato un piacere combattere insieme a te e non vedo l’ora di affrontarvi di nuovo». Minacciò velatamente Minos.
Shun restò impassibile e silenzioso tanto a lungo che per un po’ avevate pure dimenticato la vostra presenza.
«Lo so, prima o poi riuscirò a prendermi la mia giustizia».
«Sempre che i miei fili non arrivino prima».
«Chissà, Grifone, chissà».
«Anche se sei l’eroina degli Inferi non dimenticarti piuttosto il prezzo della tua libertà». Le ricordò invece la Viverna. Tu, Shun e Milo vi accigliaste. Invece Camus restò perfettamente impassibile, tutt’al più, credesti di vederlo guardare Astrid con uno sguardo vagamente intimorito. Ma forse fu solo la tua impressione.«Ho fatto una promessa e la manterrò». Ribadì lei con voce secca.
Guardaste Camus in cerca di spiegazioni, ma lui non vi degnò di uno sguardo. I suoi occhi rossi erano fissi su Astrid.
Rhadamantys ridusse gli occhi a fessure e le strinse la mano con forza come se avesse voluto fratturargliela. «Non giocare con il fuoco, ragazzina». Sibilò prima di voltarle le spalle e rituffarsi nella Bocca dell’Ade, seguito da Minos che, prima, la guardò da sopra una spalla: «Ci vediamo, bambolina». Probabilmente, da sotto quella frangia da cagnolino, le aveva pure strizzato l’occhio. 
Eppure a reagire fu Raki. Vedesti chiaramente le sue spalle irrigidirsi, come se avesse percepito i suoi pensieri. 
Salutaste Camus che vi aveva accompagnato fino a qui. Disse a tutti e tre la stessa cosa nell’orecchio: «Aiutatela». Ma ciò non fece che aumentare i vostri dubbi e le vostre domande. Qualsiasi cosa fosse successa, doveva essere grave se si apriva tanto a darvi questo messaggio criptato. Comunque annuiste tutti e tre. Poi lasciaste che lui e Astrid si abbracciassero a lungo. Un po’ troppo per i tuoi gusti.
«Ehi!» Esclamasti disgustato per svegliarli mentre Milo tossicchiò, divertito. Shun si limitò a sorridere, le guance rosate. Difficile dirlo a causa della penombra e dei colori fosforescenti dei fuochi fatui. E i due parvero svegliarsi. Sciolsero l’abbraccio. Le loro mani ricaddero lungo i rispettivi fianchi. Poi Camus salutò anche Raki. Fu l’unico dei vostri accompagnatori a calcolarla. Raki ricambiò. Ma non ridiscese nella Bocca dell’Ade. Volse invece la testa verso l’ultimo Giudice Infernale. E fu allora, che vi accorgeste che era rimasto qualcun altro.

Aiacos si era attardato ancora un po’. Il nepalese non sembrava per niente intenzionato a dirle qualcosa. Guardò la tua amica e disse: «Datemi la mano, principessa». “E adesso cosa vuole, questo?” Pensasti al limite della pazienza. Milo riuscì a trasformare una risatina divertita in un colpo di tosse.
Lei, esitando, obbedì, ma si vedeva che al minimo sgarro sarebbe stata pronta a ritirarla. Più la guardavi più avevi la certezza che non fosse la stessa Astrid che ricordavi. Anche se in quel momento ti dava la schiena.
Le dita del nepalese raggiunsero le sue e, con delicatezza gliele girò di modo che il palmo fosse rivolto verso il cielo. Lo vedesti da come mosse il braccio. Vi adagiò qualcosa con l’altra mano. Poi la lasciò andare. Lei si avvicinò la mano al corpo e ne osservò il palmo, confusa. Che cosa le aveva dato? Non facesti in tempo a chiederglielo che lei alzò la testa di scatto e disse, stupita: «Ma questo…»
«Ci tenevo a restituirvelo, consideratelo un ringraziamento per ciò che avete compiuto per noi e le nostre scuse». Spiegò Aiacos continuando a guardarla.
Lei lasciò ricadere la mano chiusa a pugno lungo il fianco, poi annuì: «Grazie».
«Ricordate, principessa; dovunque voi siate, se avrete bisogno, io correrò da voi». Promise poi lo Specter, inchinandosi, portandosi una mano al cuore. Il suo gesto costrinse Camus ad allontanarsi per non essere colpito dalle sue ali. Era la tua impressione o aveva appena formulato un giuramento? Lui? Anche Astrid sembrava pensarla come te, almeno lo credevi.  
«Ok». Replicò, incerta su cosa dire prima che il moro raddrizzasse la schiena, girasse sui tacchi e si tuffasse a sua volta nella Bocca dell’Ade. Lasciandovi soli con Camus.
«Che cosa ti ha dato?» Le chiedesti quando anche lei dette le spalle al cratere e all’amico di Milo.
«Niente». Mentì. Ma era palese che avesse mentito. Qualsiasi cosa fosse dovevi accertarti che non fosse niente di pericoloso. «Sei sicura? Dalla faccia non si direbbe».
Lei aprì la mano e ti mostrò ciò che le aveva dato il nepalese. Inarcasti un sopracciglio e la guardasti come a dire: “Embé, tutto qui?” E lei vi spiegò che era quello che le aveva strappato la notte dell’aggressione. «Che bel ricordo!» Esclamò ironico Milo, prima di suggerirle di buttarlo appena possibile. Anche Shun le domandò se le fosse proprio necessario. La bionda non rispose.
Tu neanche te ne eri accorto che quella sera gli avesse strappato un bottone. Tutta questa manfrina per uno stupido bottone. Bah, Specter. «Non me ne parlare». Replicò Astrid roteando gli occhi.
«Ma poi la tua vendetta su di loro l’hai avuta?» Chiedesti, perché, conoscendola, non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione di fargliela pagare. «Oh, sì, anche se non è stata soddisfacente come credevo. Bè, siamo rimasti qui anche troppo, che ne dite di andarcene?» Approvaste tutti quanti. Così, teletrasportasti tutti quanti alla Quarta, ricomparendo proprio nel corridoio di passaggio.
Non era troppo diverso dalla Bocca dell’Ade, al massimo l’aria era più pulita.
Eppure le due si gettarono in ginocchio e baciarono in terra. Soprattutto Astrid. Era come se tornando qui si fosse liberata di un grosso peso.
«Bè? Che diavolo ci facciamo impalati, qui? Dobbiamo andare alla Tredicesima». Possibile che dormissero tutti quanti questa mattina? E tu perché non ti univi a loro? Non mentirmi, lo sappiamo entrambi che non era la voglia di assolvere il tuo dovere. “Stai zitta!” Mi sibilasti.
«Dammi solo cinque minuti». Ribatté la giovane con voce sollevata, raddrizzando la schiena, gli occhi chiusi. Raki riacquistò una parvenza di contegno. «Mi è mancata l’aria di questo mondo».
«Magari la sentiresti meglio se uscissi di qui». Le facesti notare e lei riaprì gli occhi. «Sì, giusto, hai ragione».
Si rialzò e fece un respiro profondo. La salita fu qualcosa di memorabile. Quei pochi che erano nelle Dodici Case vi vennero incontro per sapere come fosse andata. Prime tra tutte Paradox e Integra alla terza. Che scambiarono qualche convenevole con Astrid. A parte Paradox che abbracciò la giovane come se fosse stata sua sorella. «Anch’io sono contenta di rivederti, Paradox», sorrise Astrid ricambiando la stretta. Integra la informò che da quando era sparita avevano dato la caccia a eventuali complici di Neera. «Davvero?» Chiese Astrid staccandosi dall’abbraccio della gemella maggiore. Quest’ultima confermò: «Sì, ne abbiamo catturati due, ma non hanno ancora parlato».
«Bene, almeno li avete presi, che è già tanto. Continueremo dopo, ora devo salire alla Tredicesima».   

«Sì», «D’accordo», dissero le due poi vi lasciarono passare.
Ma non andaste lontano che trovaste Lancelot con Mur. Probabilmente tutto questo schiamazzare li aveva fatti uscire fuori dagli appartamenti privati. Se il tuo coinquilino si aprì in un’espressione di folle felicità, Mur fu più contenuto e si limitò a salutare l’allieva del suo allievo e Astrid.
«Che gioia saperti viva, Raki». Fece posandole una mano sulla testa quando il loro abbraccio si sciolse. «Il tuo maestro sarà felicissimo di saperlo quando glielo dirò».
«Dov’è?»
«È in arena a supervisionare il conferimento di una Cloth, ma non preoccuparti, dovrebbe arrivare tra poco. Anche il Venerabile Shion sarà lieto di rivederti. Ed è un piacere rivedere anche te, Astrid». Fece poi, guardando la giovane in nero. Ma non avresti saputo dire quanto fosse sincero, dopo tutte le cose che ti avevano riferito Milo e Shun sulle gesta di Astrid, prima che sparisse negli Inferi. Comunque il lemuriano le tese la mano. Lei la strinse con la propria e la scosse una volta: «Anche per me, Mur. Sono felice di essere di nuovo qui, Lancelot». Disse, in tono più duro, spostando lo sguardo su di lui. 
Gli occhi brillanti del Lost Saint se possibile, illuminarono ancor più il suo volto. «Astrid, è una bella, bellissima cosa che ti sia di nuovo qui, oh, dopo passa da me, ho delle cose da raccontarti. Cose molto importanti». Voleva essere di nuovo legato alla colonna?
«É la mia impressione o sembri più pazzo dell’ultima volta che ti ho visto, Lancelot?» Vederlo così su di giri era preoccupante. Lui sorrise, garbato e reclinò il capo indietro, la sua ciocca quasi gli andò dietro la spalla. Si pose le mani sui fianchi e rispose, con l’aria di chi sa tutto. «Oh, lo saresti anche tu se sapessi quello che so io».
«Che cosa sta dicendo?» Domandasti e Milo rispose, rubando le parole di bocca a Mur: «Sembra che abbia delle informazioni molto importanti su Odysseus di Ophiuchus. Asserisce di aver fatto il doppiogioco tutto il tempo che ci ha traditi. Shura non ha rilevato bugie in lui e neanch’io». Aggiunse.
«Stai attento, lo sai che è addestrato per resistere agli attacchi mentali».  Fece Milo avanzando di un passo.
«Mi ha lasciato vedere tutto quanto».   
«Se è così allora dopo verrò anche da te». Promise Astrid. «Sì, vieni, per favore». Poi si fece da parte per lasciarvi uscire.
Astrid e Raki non erano più abituate al chiarore del giorno. Infatti, soprattutto Astrid, gemettero di dolore e si prese il volto tra le mani. «La luce, è troppo forte!» Gemette lei quando Shun le chiese che cosa succedesse. «Anche a me fa male!» Milo al fianco di Raki, tirò un sospiro di sollievo. Tu invece non ti scomponesti, c’eri abituato. Agli altri due invece era andata bene, i loro occhi non erano ancora messi tanto male da non sopportarla. Gli sarebbe bastato battere le palpebre per un po’ e sarebbe andato bene. Le due ragazze si aggrapparono a Shun e a Milo e riprendeste la salita. Alla Quinta a salutarvi fu Aiolia. Non era cambiato molto, aveva solo la barba più lunga di qualche giorno. Ma il sollievo che animava i suoi occhi verdi era inequivocabile. Il quale, con gran sorpresa della ragazza, disse si essere contento di rivederla. «Mia sorella sarà felice di saperlo».
Lei fece un sorriso stiracchiato mentre si stringevano la mano. «Grazie, Aiolia». Ma solo questo, poi salutò Raki più calorosamente. Poi passò a voi tre, soffermandosi in particolare su Shun: «Mi dovete delle spiegazioni».
«Aiolia, io…» Fece il fratellastro di Seiya abbassando lo sguardo, vergognoso. Milo fece un passo avanti istintivamente, pronto a proteggere il Custode della Sesta. «Lo so, me lo dirai con calma dopo, se vorrai potrai venire anche tu, Artropode».
«Ovviamente, Gattaccio».   
Anche Shiryu e Ryuho furono felici di rivedere le due e Shun. «Dove sono Hyoga e Seiya?» Chiese Shun. «Sono ancora in missione, non sappiamo quando torneranno».
«Non preoccuparti, se la caveranno benissimo». 
Attraversaste l’Ottava nel Silenzio più totale, a parte quando a un tratto, Milo si rivolse direttamente ad Astrid: «Sei consapevole che adesso dovrai comunque andare a Milos?» La guardò da sopra una spalla mentre attraversavate il corridoio di passaggio.
Anche tu la guardasti.
«Naturalmente». Ribatté dopo qualche minuto di silenzio. «Sempre meglio che marcire a Capo Sounion, ancora grazie, Piattola, per essere riuscito a fargli cambiare idea».
«Figurati». Rispose lui, ignorando il soprannome che fece ridacchiare Raki, ma suonò più come un “mi dispiace”. Avevano fatto del loro meglio. Desti una pacca sulla spalla alla tua amica, che ti guardò e ti fece un sorriso mesto.
Shura non era alla Decima, probabilmente era da qualche parte a Rodorio. E Aphrodite invece abbracciò Astrid e la spupazzò come se fosse il suo giocattolo preferito che aveva perso da tempo.   
Riusciste a liberarvi di lui con la promessa che lei avrebbe passato la giornata insieme a lui. E Milo parve cogliere un altro senso in queste parole. Probabilmente era legato al piano che avevano e al ricatto di Odysseus. Saggia decisione, la Casa di Aphrodite era la seconda tra le più sicure di tutto il Santuario dopo quella di Atena. Saggia decisione.  
Arrivaste finalmente alla Tredicesima Casa e faceste rapporto ad Atena in persona, che era assisa sul trono. Kanon si ergeva fieramente al suo fianco, le vesti nere bordate di rosso e i gioielli sacerdotali appesi al collo. L’elmo del Gran Sacerdote posato sul capo e il volto libero dalla maschera.

«Bentornati a casa, miei Gold Saint e bentornate anche voi, Astrid di Ophiuchus e Raki di Aries, siamo felici di sapervi vive e di nuovo tra noi». Vi salutò la Dea mentre voi tutti vi inginocchiavate, pugno a terra, al Suo cospetto.  
«Dea Atena», «Mia Signora». Replicarono in tono sommesso e rispettoso.
«Ben fatto Scorpio, hai portato a termine il tuo compito egregiamente». Continuò la Dea e Milo chinò il capo rispettoso. Poi passò a voi due rimanenti: «Sono certa che sia stato un viaggio doloroso per te Shun, sono felice di vederti più sereno e Cavaliere di Cancer, spero che tu abbia buone nuove su cui ragguagliarmi». 
Milo parlò per tutti voi: «Naturalmente, Divina, ma non ci sono solo buone nuove. Mi dispiace di essere foriero di brutte notizie, ma temo si stia preparando qualcosa di grosso e di terribile».
«Di che cosa stai parlando, Scorpio?» Chiese Kanon mentre la Dea assisa sul trono si accigliò, preoccupata.
Così gli raccontaste tutto ciò che era avvenuto, omettendo la tua aggressione da parte dell’Azone che asseriva di venire dall’Inferno. «Azoni? Chi sono gli Azoni?»  Chiese Kanon confuso. Nessuno di voi li aveva mai sentiti nominare, prima. Anche la Dea si dimostrò angosciata. Soprattutto quando Milo menzionò i Guardiani delle Case degli Astri.
La Divina parve impallidire ancor di più quando glieli nominaste, soprattutto il Drago Rosso e Lady Asia, oltre alle informazioni che Camus aveva riferito: «Qualsiasi cosa stiano macchinando questi nuovi nemici dobbiamo essere pronti. Non possiamo permettere che assaltino il Santuario una terza volta».
«É una fortuna che Shaka si sia unito a lei, così potrà attingere a quante più informazioni possibili per la nostra causa». Asserì Kanon quando passaste a Shaka, omettendo il dettaglio cruciale del suo innamoramento. Ora come ora non erano gli Inferi a preoccuparvi di più. Gli Azoni costituivano una minaccia ancora più grande. La Dea stessa mormorò, stupita: «Credevo che fossero estinti».
Kanon la guardò e domandò: «Li conoscete, mia Signora?»
La Divina fece cenno di sì col capo: «Sono i figli della Dea Norrena Saga della Storia e della Poesia e di suo marito Khronos, il Titano del Tempo».
«Marito? Ma il Titano del Tempo non era sposato con sua sorella Rea?» Chiese Astrid perplessa.
«Certo, ma ci sono delle leggende secondarie poco note che vogliono che, dopo che Zeus spodestò Khronos, lui sia stato cacciato e abbia vagato a lungo per il mondo e trovò rifugio presso il Pantheon Norreno, che lo assistette e gli diede una nuova casa. Addirittura, per sugellare la loro alleanza con i Titani, una di loro, la Dea Saga lo sposò. Dalla loro unione nacquero dei figli fortissimi, Dèi capaci di manipolare il tempo come il padre, ma che si occupavano della storia come la madre. In sostanza loro trascrivono tutto ciò che accade nei vari Santuari e nei Pantheon. La Dea Saga, per incrementare il suo potere e per ricordare a tutti che la vera sovrana della Terra era lei, mise uno dei suoi figli al servizio di ogni Dio o Dea dei vari Pantheon sparsi in tutto il mondo. Credevamo che fossero scomparsi nell’anno Mille». Raccontò con un tremito nella voce.
Ma se lei era spaventata, per voi fu molto più destabilizzante apprendere che esisteva un’altra Dea che deteneva il potere e l’egemonia sulla Terra oltre Atena. Una Sovrana Nascosta. Era questa la cosa peggiore.
Avevate già affrontato i Titani, non eravate certi che, dopo questa sareste sopravvissuti a un’altra Titanomachia, non contro tanti Dèi con i poteri del Tempo. Il Keraunos di Aiolia stavolta non vi avrebbe salvati.
«Questo significa che sono un vero e proprio esercito!» Esclamò Kanon allibito mentre Milo intervenne: «Mia Signora, finora sono comparsi solo due Azoni, quello di Hades e la vostra».
«E anche quello di Lucifero». Aggiungesti senza dire altro.
«La situazione è molto più grave di quanto pensassimo. Convocate immediatamente il Chrysos Synaigen». Decretò Kanon.   

«É successa anche un’altra cosa negli Inferi». Intervenne Astrid e la vostra attenzione fu ricatturata di nuovo. Si tolse lo zaino che portava in spalla e ne estrasse un involto che srotolò davanti alla Dea e a Kanon: «Le Creature mi hanno dato questa».  Fece mostrandone il contenuto.
Il gemello di Saga e la Divina si sporsero verso di lei, non senza nascondere la loro curiosità e il loro stupore: perché mai le Creature avrebbero dovuto regalarle un oggetto simile? Che cos’era davvero? Cosa simboleggiava?
Ti sporgesti anche tu per vedere e scopristi che era una sfera nera grande quanto la mano della bionda. «Non ho mai visto nulla del genere, prima d’ora». Commentò Kanon mentre la Dea si alzava dal trono, scendeva i gradini della pedana e si inginocchiava di fronte a lei: «Posso?» Chiese. Astrid la depose con delicatezza nelle sue mani a coppa e la Dea se la portò davanti al volto.
«State attenta, mia Signora, potrebbe essere un’arma». L’avvisò Kanon, rinvenendosi, ma la Dea non l’ascoltò.
Voi due osservaste la Dea con trepidazione, mentre studiava la sfera. Non ti era mai passato per la mente di chiederti che cosa mai dovesse pensare, ma adesso te lo chiedevi e non riuscivi a darti una risposta. «Secondo voi che cos’è, Mia Signora?» Chiese Astrid.
«Non ne ho idea, temo che questo lo possa sapere solo tu». Rispose la Dea, poi le restituì la sfera. «Conto su di te per scoprire che cosa sia». Ordinò. Astrid chinò il capo: «Sarà fatto, mia Dea».

Poi gli occhi della Bianca Fanciulla si addolcirono: «Dovete essere stanche per il lungo viaggio, andate a riposare».

Stavate scendendo le scale quando foste raggiunti da un trafelato Kiki. Raki lo riconobbe all’istante e le si illuminarono gli occhi: «Maestro!» Urlò, gioiosa.
«Raki!» Chiamò di rimando il giovane lemuriano, felice e incredulo. Le lacrime inumidivano già i suoi occhi. La ragazzina si separò dal fianco di Astrid e corse a gettargli le braccia al collo. Le frasi che si scambiarono in seguito ti ricordarono molto quelle di Hyoga e Natasha dopo che la salvaste dall’influsso degli Inferi, quattro anni prima. Solo che i due lemuriani avevano le lacrime agli occhi. Raki piangeva proprio apertamente. «Maestro!» Singhiozzò, felice.
«Raki! Non ci credo, Raki!» Sorrideva. Quei due sprizzavano una gioia talmente intensa da far male. Al tuo fianco anche Astrid e Shun sorridevano commossi. «Maestro, mi siete mancato, maestro!» Disse la ragazzina, continuando a stringersi a lui. «Non ci pensare, adesso sei qui, è tutto finito, va tutto bene, sei qui, Raki!» La discostò un momento per guardarla e sollevarla in aria come quando era ancora bambina. Non che fosse molto diverso, adesso, Raki era piuttosto bassa anche per essere nella pubertà. Forse era di poco più bassa della Dea. «Sono così felice di saperti viva, Raki!»
«É stata Astrid, lei mi ha salvato!» Fece la quattordicenne, volgendo il capo verso la tua protetta, che finora se ne era rimasta in disparte a osservare la scena.  Kiki seguì il suo sguardo e trattenne il fiato rumorosamente. Potevi solo immaginare che gli si fosse fermato il cuore per un istante. «Astrid» esalò a mezza voce, per lo stupore. Era come se avesse avuto paura di farla svanire se avesse parlato a voce un po’più alta.
A proposito, ma tu che ci facevi ancora qui? «Ciao, Kiki». Rispose la bionda, sorridendogli apertamente.
«Guarda un po’chi abbiamo trovato negli Inferi. Ci crederesti che la nostra Astrid è diventata l’eroina della Guerra Santa?» Scherzò Milo, ma il rosso non lo calcolò neanche di striscio. 
Il lemuriano si staccò dall’allieva e si avvicinò ad Astrid senza staccarle gli occhi di dosso neanche un momento. «Astrid… Non ci posso credere, sei viva!» Ecco, adesso cominciasti a sentirti di troppo. Ti scostasti di qualche passo per concedere ai due un po’di privacy. Non eri abituato a tanta dolcezza tutta in una volta. Eri uno duro, tu. Eppure, avresti tanto voluto che qualcuno ti abbracciasse allo stesso modo, che qualcuno ti accogliesse così.
Poi Kiki abbracciò Astrid e la ragazza, dopo un sussulto iniziale, si ammorbidì e ricambiò. E per te questo fu decisamente troppo. Se fossi rimasto un minuto di più ti sarebbe venuto il diabete. Cominciasti a scendere le scale. Non avevi fatto che dodici scalini che fosti costretto a fermarti nuovamente. «Death Mask», ti richiamò Kiki e tu ti girasti sulle scale per guardarlo: «Grazie anche a te, per avermele riportate entrambe». Disse, grato. Se tu fossi stato più infantile lo avresti preso in giro senza pietà, perché con quell’ “avermele”, l’avevano capito anche i muri che amava Astrid. Invece dovesti reprimere un moto di gelosia.
Anche da lì riuscisti a vedere Astrid girare la testa di scatto verso di lui e guardarlo stupita.
Emettesti un grugnito di risposta che poteva suonare tanto come un “dovere” come un “ma và al diavolo”. «La prossima volta sta più attento, perché non sarò così gentile; se dovesse finire nei guai e in pericolo un’altra volta, verrò personalmente a prenderti a calci». Ribattesti in tono burbero.
Lui sorrise, come se avesse preso per modo di dire la tua raccomandazione paterna. 
Poi fosti superato da un piccolo tornado colorato, seguito a pochi passi di distanza da un divertito Shura.
Ah, Yoshino doveva aver saputo.

 

Shura

Il ritorno di Astrid era stato accolto bene soltanto da quei pochi che la conoscevano e l’apprezzavano. Il resto dei suoi detrattori e di Rodorio invece no. Secondo i superstiziosi questo era foriero di sventure. Ma si guardavano bene dal dirlo, adesso che la Dea aveva dichiarato che la giovane fosse graziata.
Tu avevi una miriade di motivi per non essere contento. Primo tra tutti il fatto che Ionia avrebbe ripreso a condurre i suoi esperimenti su di lei. Questo non lo potevi sopportare. Come t’intimoriva l’idea che dovesse affrontare Odysseus. Nessuno di voi aveva avuto ragione su di lui, era impossibile che ci riuscisse lei.
Anche se la ragazza in nero che avevi visto in arena quel pomeriggio era riuscita a tenere testa a uno dei suoi diffamatori con una facilità strabilianti (per una come lei, ovvio) era evidente che non avesse speranze.
 Il ricongiungimento di Yoshino e Astrid fu una cosa commovente, davvero. Peccato che non potesti restare per godertelo fino in fondo, che doveste partecipare all’assemblea straordinaria indetta dal Gran Sacerdote. Tu e Saga pensavate che avesse a che fare con Odysseus, invece, con vostra grande sorpresa, non fu così. Fu strano per tutti voi sentire Saga appellarsi alla fratellanza dei Saint invece del fratello. Iniziò la riunione dicendo che anche se non sempre eravate tutti sulla stessa lunghezza d’onda e che eravate molto poco uniti, non vi avrebbero chiamati tutti se non fosse stata una vera emergenza. Peccato che Hyoga e Seiya non avevano potuto rispondere perché ancora in missione. 
L’emergenza di cui parlaste non aveva niente a che vedere con Odysseus. Per fortuna che stavolta l’avevate scoperta in tempo. Ma erano una scoperta e una fortuna vane, considerando quanto apprendeste subito dopo tutti voi. Ossia dell’esistenza degli Dèi Azoni e del loro incredibile potere. In particolare di quella di cui avevano raccolto più informazioni, una certa Dea Asia. «La conosco». Si lasciò sfuggire Aphrodite e voi tutti lo guardaste spaventati. «L’ho incontrata mentre ero in missione in Thailandia qualche mese fa. Ho avuto un assaggio dei suoi poteri e del suo Cosmo, non ho mai visto niente di simile».
«Anch’io la conosco», disse Aldebaran e voi tutti lo guardaste sorpreso: «A gennaio, prima dell’imboscata di Eris, i Silver Saint Castalia dell’Aquila e Shaina di Ophiucus, furono incaricate di recuperare le ClothStone che si trovavano in un museo. La missione prima era stata affidata al giovane Bronze Saint di Apus però lui fallì e tornò al Santuario con entrambe le gambe rotte». Si fermò. Tutti voi annuiste, chi più chi meno ne aveva sentito parlare. Il vostro compagno continuò: «Il ragazzo riferì che il ladro era un uomo che poi cambiò aspetto in un drago e che, mentre stava per affrontarlo, comparve dal niente questa ragazza che gli spezzò le gambe con pochi colpi mirati. Dice di non averla neanche vista muoversi e che poi calmò il drago, che nel frattempo aveva appiccato l’incendio al museo di Rio de Janeiro. In seguito quando altre ClothStone furono individuate, la missione fu assegnata alle nostre valorose compagne d’armi, ma anche loro furono sconfitte con una facilità quasi estrema dalla loro avversaria. La stessa che aveva spezzato le gambe al nostro commilitone. Con loro però, inspiegabilmente e per fortuna, ci andò molto più leggera, gli unici a pagare per quell’incontro furono i Black Saint, stando al rapporto sembravano conoscersi».    
«L’avevi già riferito alla Divina?» Volle sapere Aiolia e Aldebaran scosse il capo e spiegò che la consorte aveva fatto rapporto prima di lui. Questo andò a spiegare perché una missione tanto semplice fu poi affidata ad Aphrodite. Poi continuò: «Questo significa soltanto che gli Azoni hanno in mente qualcosa da molto più tempo di quanto pensiamo e che hanno intenzione di servirsi dei Guardiani per riuscire a sconfiggere definitivamente la Dea e riportare la Dea della Storia e della Poesia e il suo Consorte sul trono della Terra. Dobbiamo impedirglielo a tutti i costi».
«Credete che ci siano loro dietro la comparsa delle Creature?» Chiese Aldebaran.
«É possibile». 
«Un momento, ma quando siamo rinati in questa dimensione non li abbiamo visti». Fece Kiki.
«Gli Azoni sono sempre gli stessi per tutte le dimensioni, anche se questa dimensione ospita ben tre Dee Atena, c’è sempre una e una soltanto Azona a lei assegnata». Rispose Kanon in tono lugubre, che si era fatto riferire quante più informazioni possibili su di loro dalla Divina, che adesso si era ritirata nelle loro stanze. Sapevi già che secondo lui Yoshino e Tomoe andavano considerate alla stregua di due cellule figlie nate dalla medesima cellula madre che si era divisa in due per l’intervento dell’Aiolos del Mondo Perduto. In un certo senso era ironico, c’era una sorta di rimando alla maledizione più famosa della Dea, quella di Medusa. Una sorta di macabro parallelismo e, al tempo stesso, una sorta di legge del karma.
Ma non erano solo questo. Erano molto di più di questo. E tu lo sapevi che eri il miglior amico e il Saint più fedele di Yoshino.  Quindi sapere che Lady Asia poteva attentare anche alla sua vita era angosciante. Ancora di più apprendere, grazie a Milo e a Death Mask, che questa Dea non esitava a usare le sue tecniche e i suoi poteri se necessario. E, grazie ad Aphrodite, che era anche furba e spietata.
Questo era tutto un altro genere di avversario con cui misurarsi e non era neanche certo che ne sareste usciti vittoriosi. Non era la prima volta che vi sareste lanciati in guerra, ma non così, con il rischio centuplicato all’ennesima potenza. Forse sareste sopravvissuti tutti se aveste potuto usare le armi di Libra. Avevi sentito dire che i Saint raggiungevano la potenza di un Dio se brandivano un’arma. Tuttavia, se questi Azoni erano tanto potenti dubitavi che sarebbe potuto bastare. Un conto poi, come evidenziò Aphrodite, era misurarsi con un umano, un altro con degli Dèi che non si sarebbero fatti ammazzare tanto facilmente. Comunque la si girava, Aphrodite continuava ad avere ragione: restavate comunque in svantaggio.
Aiolia balzò in piedi: «Quindi significa che lei, che la Dea Asia, conosce già tutto di noi? Le nostre mosse e le nostre strategie? Tutte quelle che potremmo anche attuare?»
«Sì». Confermò Milo.  
Anche se nessuno di voi parlò, la domanda aleggiò lo stesso sulle vostre teste come un avvoltoio che vola in cerchio sulla carcassa. “Come possiamo affrontare dei nemici del genere?” E stavolta, neanche gli zucconi del Santuario ebbero la prontezza di spirito di traslarla sul piano uditivo per mezzo delle loro bocche. 

La riunione si protrasse fino a tardo pomeriggio. Riusciste pure a parlare di Odysseus. Stavate proprio occupandovi di lui in questo momento. All’improvviso un domestico, lo stesso che aveva portato dentro mappe e tavolo poco prima entrò. Fece una riverenza e annunciò che la Gold Saint di Ophiuchus era in attesa fuori della porta e che voleva conferire urgentemente con il Gran Sacerdote.
Conoscendo Astrid era evidente che fosse venuta a conoscenza di qualcosa e non era una buona idea farla attendere. Soprattutto in una situazione cos. Kanon, continuando a tenere le mani sul tavolo disse: «Avevo intenzione di mandarla a chiamare, ma a quanto pare mi ha anticipato. Fatela entrare».
Il servo s’inchinò con un deferente: «Sì, eccellenza.» poi andò ad aprire e Astrid, ancora vestita di nero, fece il suo ingresso.  Anche lei ti si inchinò (se non altro portava rispetto, a differenza di sua madre e suo padre) e poi passò direttamente al sodo: «Volevate tenermi all’oscuro del vostro piano per Odysseus di Ophiuchus, forse?» Insinuò, ma per niente sorpresa. Accidenti, doveva aver parlato con Lancelot e doveva avergli detto quello che a voi aveva taciuto in questi giorni a causa del giuramento che aveva formulato.  
«Astrid…» Iniziò Kanon ma la giovane lo interruppe: «Non sono una bambina e non sono un’ancella!»  Non le capitava spesso che d’infuriarsi a tal punto. Ma questa sua fredda, lucida determinazione mise paura persino a te, che di sangue freddo ne avevi da vendere. Sarebbe stato meglio se si fosse infuriata e avesse battuto i palmi sul tavolo.
«Astrid, capisco che tu sia sconvolta, era pur sempre il tuo maestro e ora…»
«Non è questo il punto». Lo bloccò di nuovo. Poi palò in tono più pacato e ragionevole: «Sono già stata tradita e abbandonata da una persona che reputavo alla stregua di una figura paterna. Il punto è che io sono una Saint; non è più necessario tenermi all’oscuro di tutto. Che senso ha cercare di proteggermi se tanto sappiamo già come andrà a finire?»
«Ed è proprio per questo che ti ho fatto passare adesso, crediamo che tu possegga le carte in regola per aiutarci contro Odysseus. Se, stando alle parole di Death Mask hai un accordo con l’Oltretomba, credo che dovresti mettercene a parte. Potremmo anche collaborare». Propose e lei lo guardò stupita, dato i trascorsi dei mesi precedenti. Soppesò le sue parole e infine annunciò: «Sono lusingata dall’offerta, ma debbo a malincuore dirvi di no».
Era impazzita, forse? Voleva morire? Ma si rendeva conto di quello che diceva? La scrutasti e ti rendesti conto che i suoi occhi erano molto più lucidi di due mesi fa. I suoi, erano gli occhi di una persona sana di mente. Forse era più assennata lei di tutti voi riuniti in questa stanza.
Kanon non fece una piega, si limitò soltanto a ribattere: «Capisco, c’è forse una motivazione precisa dietro a questa scelta?» 
«No, nessuna motivazione in particolare, solo…» Prese la punta di una delle mappe con le dita.  
«Togli le mani dalla mia scrivania». Suggerì pacatamente Kanon.
«Prima vorrei che voi  rispondeste a una mia domanda, per cortesia». Completò con voce cortese, ma non per questo non suonò di meno come un ordine.  Kanon attese e lei la esplicitò: «Perché volete scendere in campo anche voi? È me che vuole e io sola posso affrontarlo, anche se ha attaccato tutto il Santuario».
«Perché questa non è solo la tua battaglia e molti altri Saint sono stati ricettacoli di nemici potentissimi. Non possiamo permettere che accada un’altra volta e Odysseus è un Redivivo. È più potente persino di noi riuniti in questa Sala. E vuole te. Non so se comprendi appieno il rischio, ma noi sì e io non oso immaginare cosa ti farà se cadrai nelle sue mani; se noi non riusciremo a impedirlo. Stavolta possiamo fermarlo, possiamo arginarlo in caso che tutto vada storto».
«Capisco».
Kanon continuò «Comprendo tutto quello che ti si agita nel cuore. So quanto sta soffrendo in questo momento, d’altronde è la persona che ti ha aiutato a crescere, capisco che sia strano per te. Come anche che pensi che non possa volere questo da te, che lui non potrebbe mai, ma a volte non sempre si fa il bene per il bene. A volte anche le buone azioni nascondono secondi fini». Cercò di spiegarle. Nonostante la calma apparente, la vedeste comunque fissare le carte con una faccia dispiaciuta. «Non è compito vostro».
«Vero, ma se è l’ultimo legame che ti lega all’Oltretomba allora non esiteremo ad aiutarti a spezzarlo». Garantì Aiolia a nome di tutti. In verità volevate vedere per quanto ancora sarebbe durata la sua maschera di contegno. Poteva sfuggire ad Aiolia, che viaggiava col paraocchi, ma non a te o a Milo o ad Aldebaran e a Kiki.
La sua maschera era quasi crollata. Lo sentivate, anzi no, lo vedevate tutti che era molto provata. Quasi sicuramente questa reazione era frutto di un forte stress accumulato nel corso di queste settimane. Kanon continuò a parlare finché lei non scoppiò in lacrime. Dapprima batté le palpebre e poi le lacrime cominciarono a rigarle il volto, inesorabili e inarrestabili. Poi le sue spalle furono scosse dai singhiozzi. Si schiacciò il viso tra le mani e pianse, inginocchiandosi di fronte al tavolo, costringendovi a sporgervi oltre esso per guardarla: «Non potete farlo, non potete, non potete.» piagnucolò in preda a una crisi.
Se da un lato vi sentiste in imbarazzo e la biasimaste, dall’altro invece la compatiste. Ne aveva passate tante, troppe, chissà quante crisi aveva affrontato o no. Non era ancora pronta per essere una guerriera a tutto tondo.
«Astrid» iniziò Death Mask avvicinandosi e le strinse la spalla sinistra con tutte le intenzioni di smuoverla e ricordarle di non fare brutte figure. Ma lei non lo ascoltò.
«Che senso ha avuto finora, allora? A cosa mi è servito non rivelarvi niente se tanto voi già…?» La sentiste mormorare, distrutta, come se fosse crollata sotto al peso degli eventi. Kiki la riportò alla realtà dicendole che eravate preoccupati per le sorti del Santuario e per le sue. Se fosse riuscita a portare a termine l’accordo preso con gli Specter sarebbe stata libera per sempre da loro. Non avrebbe più dovuto loro nulla. Che pure era riuscita a farsi valere e distinguersi anche tra loro. L’Eroina degli Inferi, la chiamavano. Mentre qui quasi tutti la disprezzavano. Non ti era difficile immaginare che fosse un cambiamento molto drastico per lei. Eppure le parole di Kiki sortirono il loro effetto.
Lei tirò su col naso, si soffiò il naso in un fazzoletto che le passaste e disse con voce lacrimosa: «Lui è il mio maestro, lui non è un mostro». E lo disse guardando in faccia Kiki. Il quale annuì dispiaciuto.
Kanon sospirò. Quel giorno si sentiva magnanimo, altrimenti avrebbe sopportato meno questi piagnistei. «Astrid, capisco che tu sia sconvolta, però…»
«Io non sono sconvolta, io sono disperata e terrorizzata. Tutto quello che ho fatto per tenervi separati non è servito a niente».
«Sappiamo che hai cercato di agire in buona fede».  
Solo a te le frasi sconnesse di Astrid parvero avere un filo logico, solo che non capivi cosa fosse. O a che si riferisse. Ti ricordava molto qualcosa, ma non capivi cosa. Non era ciò che legava Aldebaran e Yoshino. No, era qualcos’altro, simile.  
«Tu sapevi chi era? Sapevi che poteva essere pericoloso e non ci hai detto niente?» Fece Aiolia, cadendo dal pero. «Questo è alto tradimento». Esclamò inalberandosi subito. La protetta di Aphrodite e Death Mask trasalì e girò la testa di scatto verso di lui. Il suo connazionale seguì il suo sguardo continuando a starle vicino.
Ma Kanon lo rimise a cuccia e si rivolse ad Astrid. «Quello che dice Aiolia è vero: questo è un atto d’insubordinazione molto grave, meriteresti di essere punita con la morte seduta stante per i crimini commessi al Santuario, non ultimo l’omertà e la complicità. Tuttavia ti sei dimostrata estremamente leale anche nel torto pertanto soprassederemo tutti». Fulminò Aiolia con lo sguardo prima di tornare a rivolgersi a lei. «Hai ragione a dire così e anche a rifiutare il nostro appoggio, dopotutto il tuo potere potrebbe riuscire a fermarlo e non sei più la ragazza che sconfisse Neera. Dipendesse da me preferirei schierarti proprio come ultima risorsa, che come pedina iniziale, capisci? Il rischio è troppo alto, non posso farti rischiare il collo con un’azione suicida. Non dico che tu possa scendere in campo con noi, ma devi essere pronta a difenderti in caso di necessità».
«Non potete farmi questo».
«Non stiamo dicendo che te lo impediremo, vogliamo solo essere sicuri che tu possa riuscirci».
«Lo dissi anche agli Specter e lo dirò anche a voi, io rispedirò Odysseus di Ophiuchus nella tomba dove deve stare».
A questo punto Aphrodite, che era rimasto in silenzio tutto il tempo, parlò con voce gentile. Anche lui si era reso conto che i suoi discorsi erano troppo strani per essere delle semplici farneticazioni: «Cos’è che non ci stai dicendo, Astrid? É forse successo qualcosa che ignoriamo?»
A quel punto lei s’irrigidì e rispose, dopo qualche secondo di esitazione. «No; non è successo niente».
Incrociasti le braccia. «Sta mentendo». Intervenisti forse in tono più duro di quanto volessi. Ma ormai era fatta e non potevi tornare indietro per correggerti.
Trasalì e ti guardò. Ti rivolgesti direttamente a lei, continuando a tenere le braccia incrociate. «Perché stai mentendo di fronte alla Sacra Assemblea? Perché ti ostini a volerlo proteggere? Puoi ingannare gli altri, ma non puoi ingannare me». Dicesti. E gli altri tornarono a guardare lei, che sembrò quasi sollevata, mentre tu continuavi: «Mentire di fronte al Gran Sacerdote è un atto gravissimo, a cosa ti giova macchiarti di una tale onta? Oltretutto per un uomo come Odysseus?»
Lei distolse il viso rigato di lacrime da te, che la fissavi disgustato. Quelle lacrime così false, come solo quelle di una traditrice. Quasi ti faceva schifo guardarla. Persino Death Mask e Aiolia non ce la facevano. Anche se per motivi completamente differenti.
Astrid chiuse gli occhi e regolarizzò il suo respiro. Poi, proprio quando Kanon stava per dare l’ordine di portarla via, lei aprì di nuovo bocca. «Io non posso fare quello che mi chiedete, non posso.» mormorò come un disco rotto, ma con voce stranamente normale e triste.
«Perché non puoi? Per quale motivo tu non dovresti» quando incrociasti i suoi melanconici occhi dorati tacesti. Per contro un’idea balenò nella tua testa con sì tanta forza che ti fece sgranare i tuoi. L’avevi riconosciuta. Era la malinconia insita negli occhi di Death Mask, quando credeva che nessuno lo guardasse. Gli occhi di chi aveva perso la persona che amava o che sa che tra poco la perderà e cerca di fare di tutto perché ciò non avvenga. Come anche gli occhi della giovane asgardiana al momento dell’addio. Gli occhi di chi è a un passo dal dolore e al tempo stesso spera che quest’addio possa essere un arrivederci. Queste iridi erano persino più eloquenti. Ecco dove avevi visto quello sguardo. Ecco chi ti ricordava. E, a questo, persino tu ammutolisti.
Lei sorrise mesta mentre Death Mask e Shiryu comprendevano, seguiti da Saga, tutti gli altri. Infine  anche Aiolia e pure Kanon. «Astrid, tu» cominciò Death Mask, ma la voce gli morì subito in gola per lo stupore.
«Sì». Confermò con la sua, rotta e il respiro pieno di singulti. Vi raccontò tutto quello che provava per il suo maestro. Le pesava moltissimo, perché Odysseus era comunque una persona molto importante per lei. Aveva accettato l’accordo dei tre Giudici soltanto perché era stato lui a dare il via a tutto. Se non avesse istigato i tre probabilmente lei avrebbe ancora la sua vita normale. «Mi vergogno da morire per questo». Disse, ed era vero. Come poteva continuare ad amare l’uomo che le aveva fatto questo? Non capivi questo conflitto dilaniante, che si era aggiunto alla sua fragilità. Inoltre, Odysseus aveva messo in pericolo Yoshino e la Dea. Non poteva continuare a farla franca e lei non voleva rendersi complice, nonostante i suoi sentimenti che stava sforzandosi di cancellare.
La sua tenacia e la sua forza nella giustizia era tale che sorprese pure tu.
Potevi solo intuire quanto il suo cuore, come un uccellino che si dibatte furiosamente in una gabbia, stesse cercando di fuggire a questo patto. Ma non poteva trasgredire. Il tuo sguardo corse su Kiki.
Anche lui era sofferente, non si aspettava niente di tutto questo. E avesti pietà per lui, anche se non ti sfuggì il luccichio di vaga speranza che balenò in quelle iridi violette. 
Alla fine lei concluse dicendo: «Per questo dico che non potete farmi questo, che non potete». Singhiozzò. E, forse, per un misto di stupore e rispetto, nessuno di voi ebbe il coraggio di formulare quella frase.
«Cavaliere di Capricorn, accompagna l’apprendista del Gold Saint di Ophiuchus a sciacquarsi il viso». Ordinò Kanon, impietosito o forse infastidito. C’erano delle volte in cui ti era veramente difficile interpretarlo, ciononostante obbedisti.

Porgesti la mano ad Astrid per aiutarla a rialzarsi e lei l’accettò. Poi, l’accompagnasti fuori della Sala. Ti scusasti dicendo di non sapere dove fossero i bagni alla Casa di Atena, ma lei non disse niente. Fu lei a guidarti lungo i corridoi e le stanze fino al bagno, dove ci si chiuse dentro.
Quando ne uscì sembrava un po’ meno sofferente. «Credi di essere sufficientemente forte per sostenere questo compito?» T’informasti quando lei uscì. Avresti voluto concederle la sua privacy, però non ti era permesso.
«No». Ti rivelò, contraendo di nuovo il viso in una smorfia di dolore. E tu avesti un moto di pietà verso di lei. Le posasti una mano sulla spalla e la stringesti con dolcezza. Lei la coprì con la sua.

«A nome di tutti noi, ci dispiace moltissimo per tutto». Facesti. Qualcosa ti diceva che quella era l’unica occasione per esprimerglielo. Lei annuì. «Grazie, Shura».
«Siamo contenti comunque che tu sia riuscita a resistere tanto, soprattutto durante la riunione». Continuasti, impacciato. Era Milo quello bravo con le parole, non tu. «Credevamo che non ti saresti mai ripresa completamente».
«Non lo so se mi sono ancora ripresa».
«Qualsiasi cosa tu abbia in mente, noi saremo un passo indietro per aiutarti, questa notte, qualsiasi cosa succeda».
«Grazie».
Forse era meglio se l’aveste lasciata andare. Kanon non se la sarebbe presa a male se l’avessi fatto.  «Ora torna all’Ottava, è quasi ora di cena, vedrai che i domestici ti prepareranno qualcosa di buono». Non le avevi consigliato l’Ottava a caso. Dopo Death Mask e Aphrodite, la Casa di Milo era quella più sicura di tutte. Ma non perché Milo era il Cavaliere di Scorpio, bensì perché quei due erano amici. E lui ti era parso che avesse una buona influenza su di lei.
«Sì».
Non ci avreste mai creduto neanche se te l’avessero raccontato.    

«Fa quasi male vederla così distrutta». Mormorò Aiolia mentre guardava la Luna, quella sera. La sera in cui Astrid avrebbe dovuto misurarsi contro Odysseus.
«Sì, anche a me. Ascolta, Aiolia…»
«So quello che vuoi dirmi, non preoccuparti Shura, è tutto a posto, so che Aiolos, il mio vero fratello riposa in pace. L’ho rivisto e abbiamo condiviso la morte con lui per la seconda volta, va tutto bene. Dimentica quello che ti ho detto la seconda volta che siamo risorti, io non mi ricordavo cosa era successo prima; ma so che a causa mia hai dovuto sopportare dei mesi di rabbia e rancore ingiustificati e mi dispiace».
Non era proprio quello di cui volevi parlare, però andava bene lo stesso. Forse non era il caso di dirgli che avevi intenzione di aiutare Astrid, qualora fosse in difficoltà. Lo dovevi a Yoshino. Non avrebbe sopportato di perderla una seconda volta. «Aiolia io, ti ringrazio, anche se delle semplici scuse non basteranno mai per rimediare alla mia colpa».
«La stessa cosa vale per me». 
«Io non so cosa sia l’amore», confessò Aiolia, in un rarissimo slancio di fragilità, continuando a guardare quel poco che restava del cielo stellato, « so di averlo visto da vicino, ma è tutto qui. La cosa che più gli si avvicina è la venerazione per la nostra Dea, credo. Ma quando guardo Astrid lo rivedo, vedo come ama; riconosco in lei, lo stesso sguardo di Atena per tutti noi e Astrid, che però combatte al nostro fianco, ecco… vorrei essere meno arido di quello che sono». Lo immaginavi, come capivi perfettamente di chi stesse parlando in realtà.
«Sì, anch’io vorrei esserlo».
«Se c’è una persona che conosce l’amore, quella è proprio Astrid e non voglio che debba patire come noi». Disse guardandoti. A un orecchio estraneo poteva sembrare che parlasse di Aiolos. E di chi altri vuoi che avesse parlato?
Ma tu sapevi che la sua mente non era qui, che non si stava riferendo davvero alla perdita dell’unico punto in comune che avevate quando eravate bambini. Sapevi bene che la sua mente era volata via, sulle correnti artiche delle bufere di Asgard. A fare compagnia al dolore di Death Mask, che, ancora adesso, non aveva dimenticato anche lui, la ragazza che gli era morta tra le braccia. Come sapevi quanto fosse struggente il loro desiderio, alle volte, di tornare in quelle terre perennemente congelate dalla preghiera della Rappresentante di Odino. 
«Combatterai anche tu?» Ti chiese guardandoti.
«Sai che lo farò».
«Credi che questo potrebbe portare degli sconvolgimenti nel piano?»
«Parecchi. Se è legata all’Oltretomba come ci hanno riferito Shun, Milo e Death Mask, allora dobbiamo stare anche più attenti. L’hanno trasformata in una pedina nelle loro mani. Anche la missione suicida che le hanno affidato lo dimostra».
«Tu credi che lei ce la farà a portare a termine questo compito?»
«Credo di sì. Se c’è qualcuno abbastanza ostinato allora quella è lei». E lo sapevate perfettamente anche voi. Stavolta avreste dovuto lasciarla agire invece di ostacolarla. Capo Sounion e l’Isola di Milo non avrebbero mai visto Astrid. Ora come ora era più utile qui. Eppure vederla in questi termini ti faceva pena.
Improvvisamente, senza sapere bene perché, ti tornò alla mente Yoshino che ti supplicava di tornare da lei vivo e vegeto.

Astrid

Ovvio che la rivelazione li aveva sconvolti dal primo all’ultimo.

Avevo smesso di piangere da un po’, ma il sonno tardava ad arrivare. Non avevo neanche fame, per questo lasciai scorrere i minuti, limitandomi a chiudere gli occhi di tanto in tanto. Stesa sul divano. Più volte mi parve di scorgere qualcosa con la coda dell’occhio, era come se qualcosa si fosse mosso accanto a me. Silenzioso come un fantasma. Ma era solo una mia impressione data dai giochi di luce, finché poi sentii i passi degli altri Saint che percorrevano il corridoio di passaggio e seppi che la riunione era finita. Mi alzai e andai a sedermi sulla regista in terrazzo, a osservare il sole che stava tramontando e tingeva il cielo di bellissimi colori e le nuvole di rosa. Riconobbi anche del rosa, dell’arancione e del verde, oltre al giallo, in questo tramonto. Anche se era molto delicato, a me piaceva di più quando il cielo, tramontando, sembrava arcobaleno.
«Eccoti qui, oh, scusa, credevo che mi avessi sentito arrivare». Si scusò, poi  quando scattai a sedere di colpo e cercai di scorgerlo nella penombra, poi riconobbi la sua sagoma. Era solamente la Piattola che si era tolto l’armatura e indossava abiti civili per il Santuario. Ossia la maglia rossa d’allenamento e i pantaloni neri con quelle buffe scarpe allacciate ai polpacci tramite quei lacci diagonali. Non pensavo che continuasse a vestire questi colori anche in queste occasioni. Anche se sapevo che il suo guardaroba era molto più fornito di così. Mi sorpresi di me stessa: molte delle cose che sapevo di loro dal mio passato come domestica, le avevo dimenticate. Non mi ricordavo neanche più dove tenevano il sale o i piatti nelle rispettive cucine o come erano disposti i loro mobili. Mi sembrava di non riconoscere più niente qui.  
«Shura mi ha detto che eri qui.» proseguì tranquillo, affiancandomi, continuando però a guardare di fronte a sé. Mi rilassai e tornai lentamente a sedere: «Sì, spero che non sia di disturbo». Risposi.

«No, va bene, mi fa piacere che tu l’abbia ascoltato e poi sono dei mesi che non ci vediamo, sono felice di passare un po’di tempo insieme a te».
«É il tuo modo per dirmi che ti sono mancata?»
«Più che te le tue lezioni astronomia. Ho provato a sbrigliarmela da solo, ma non ci ho capito quasi nulla».
«Capisco, allora appena questa storia finirà vedremo se potremo riprendere tutto».
«Lo spero proprio, erano divertenti».

Chissà quanto sarebbe stato lieto se avesse saputo tutta la verità fino in fondo. A volte, senza volerlo, mi sembrava che lui intuisse più di quanto desse a vedere. Anche se erano solo dei casi e non ci dava tanto peso. «Sì, è vero. Pensi che riuscirai a guardare in faccia una sporca traditrice come me?» Lo provocai. Sapevo che già una volta si trovò invischiato in una situazione simile a causa di Eris e di Rigel di Orion che passò dalla sua parte per amore di Kyoko, l’ex Saintia di Equuleus. Volevo vedere quanto influenzasse il suo giudizio tutto ciò e come avrebbe reagito. Per lui era già stato uno shock vedermi al fianco di Pandora e indossare quella ferraglia che mi ostinavo a chiamare Surplice. Oltre che apprendere la verità sulla mia famiglia. Era già tanto se non aveva reagito male negli Inferi. Per quel che ne sapevo stava solo trattenendosi. 
«Certo che sì. Non è la prima volta che mi capita una cosa del genere. Con la storia di Shoko e Kyoko ci ho già fatto le ossa. L’importante è che tu sappia sempre dove punta la bussola morale». Mi rassicurò. La mia bussola morale, almeno quella, non era cambiata. Anche se era difficile capire dove avrebbe puntato in futuro. E quanto Milo potesse intuire davvero. «Come è andata a finire la riunione? Hanno protestato tanto dopo che me ne sono andata?» Chiesi poi, dopo qualche minuto di silenzio.

«No, anzi, sembravano più sollevati».
«É chiaro, l’importante è che il piano sia pronto. Potresti illuminarmi, per favore?» Esitò e capii che non era autorizzato a parlarne. In compenso mi disse che Kanon riteneva più saggio far sì che io restassi all’oscuro. La loro strategia si basava sulla mia ignoranza. Sospirai e decisi di sbottonarmi un po’di più: «Ascolta, non so voi, ma te l’ho già detto una volta e te lo ripeto ancora: io non sono né buona né cattiva, nessuno di questi due lati prevarrà mai in me. Decido io cosa sono e come comportarmi, è chiaro? E, al contrario di quello che predice il vostro oracolo, io non mi sento né cadere nei dubbi e, dunque avvicinarmi alle Tenebre, né avvolta dalla Luce più pura». Questa era la conclusione cui ero giunta dopo aver appreso cosa ci fosse in me, mentre ero nei Campi Elisi.

Mi guardò sconvolto. «Non senti niente?»

«No. Mi sento normale, ma non diversa». Almeno qualcosa, ma quanto sarebbe durata ancora? Quello che sarebbe potuto succedere mi avrebbe cambiato per sempre «Cambiata, forse maturata quello sì, ok, ci sta. Ma diversa da me stessa no.» Sospirai e cambiai discorso. Mi ero stufata di pensare e ripensare a questo punto. Mi girai verso di lui sulla sedia, vergognandomi del mio parlare a ruota libera. «Sai, a proposito, dicono che le parole ci forgino e ci rendano quelli che siamo, soprattutto questi vaticini, queste intuizioni senza scampo e senza senso». Dissi dopo una pausa passata nel silenzio più totale.

«Senza senso?»

«Sì. Perché devo affidarmi alle parole di un tizio che non ho mai visto né conosciuto in vita mia, per sapere quello che devo fare della mia vita? Perché, se sto tanto bene con me stessa così come sono, devo lasciare che le parole di qualcun altro mi feriscano e mi cambino?»
«A cosa ti stai riferendo?»
«A niente in particolare, ho solo fatto una specie di bilancio di quello che mi è successo finora e mi sono accorta che la maggior parte delle cose che ricordo sono solo etichette che tutti mi hanno affibbiato, anche questa cosa del Patto, immagino che abbia cambiato di molto il vostro modo di vedermi». Ecco, forse per sommi capi e a piccoli passi sarei riuscita a rivelarglielo. Mi invogliava a dirgli tutto come quella notte nel mio osservatorio astronomico. Per il momento lui non colse il vero senso delle mie parole e andò bene così. «Stai dicendo che non credi a quello che ti è stato riferito?»

«No. Non saranno certo le parole del Grande Sacerdote e neanche quelli di tutti gli Dèi messi insieme a dirmi quello che devo fare o essere. E, poi, essere è un verbo, non un soggetto».

«Che significa?»

Le parole che dissi erano più per me che per lui. Perché mi sembrava di stare perdendomi di vista. Temevo che tutto quello che era successo potesse avermi fatto dimenticare chi ero ai miei stessi occhi. E più di tutto temevo che cambiasse il modo in cui mi giudicavo. «Che il verbo essere è qualcosa che si è qui, e ora, è solo un istante che l’attimo dopo non c’è più, e che ogni cosa è in continuo mutamento e cambiamento; cioè, ogni cosa è passeggera. Questo potere», alzai le mani a coppa e queste s’illuminarono di quella calda luce bianca e gialla mandanti quelle scintille di varie sfumature dei miei occhi; «è qui, è sempre stato con me». Ma era molto di più di questo. Ogni volta che le lasciavo risplendere così riuscivo a sentirmi di nuovo connessa alle stelle, sentivo le loro voci. 

Lasciai che il luccichio si spegnesse e riadagiai le mani in grembo.
Restammo in silenzio per un po’ a guardare le stelle, poi mi domandò, tanto per fare conversazione: «Che cosa stavi cantando, l’ultima volta che sei stata all’Undicesima?»
Alzai le spalle. «Una canzone così, non è importante».
«Potresti farmela sentire?»
Sorrisi divertita e lo guardai: «Perché?»
Alzò le spalle: «Così, mi va».
Avrei tanto voluto esaudire la sua richiesta, però non mi sentivo in vena. «Non credo che sia una buona idea, un’altra volta, va bene?»
Restò un po’deluso ma acconsentì: «D’accordo. Allora potresti rispondere tu a una mia domanda.» Annuii e lui me la sottopose, incuriosito: «Perché leggi la mano?»
«Perché… perché mi piace». Confessai senza troppi giri di parole. Ne avevo usate anche troppe  oggi per svicolare. Almeno una volta nella vita, volevo essere chiara e coincisa. Ecco la verità che c’era dietro alle mie motivazioni. Anche se c’era un Prezzo da pagare lo pagavo volentieri. Ora che ci pensavo era da molto tempo che non la leggevo più, chissà quanto dovevo essere arrugginita.  

Restammo in silenzio per un po’, beandoci della reciproca compagnia. Mi era mancato davvero in questi due mesi. Non lo avrei mai perdonato per via del mio arrivo poco ortodosso, però almeno, mi sentivo di essere un po’indulgente verso di lui. Almeno questa eccezione per stasera, la volevo fare.
Dopo un po’disse che moriva di fame e che si metteva a tavola. Si alzò ed entrò dentro, poi ricomparve sulla soglia e mi chiese se volessi mangiare qualcosa anch’io e sì, effettivamente avevo un po’fame. Preparò qualche piatto greco e un sostanzioso piatto di riso selvatico che riconobbi come una delle mie ricette e che avevo insegnato a Lythos. Disse che gli era piaciuta tanto che si era fatto dare la ricetta dalla sorella minore di Aiolia. Io fino a quel momento neanche sapevo che sapesse cucinare. Quando gli feci i miei complimenti rispose che si era fatto insegnare qualche trucco dai domestici. Lui si affidava completamente a loro solo quando era esausto. A cose normali preferiva trattarli con rispetto. Questo significava anche tenere la casa in ordine il più possibile: «Ecco perché Casa tua non è mai stata troppo difficile da pulire». Esclamai stupita. Mi raccontò che era abituato a svolgere questi lavori. Di solito in tempo di pace se ne stava sulla sua isola e conduceva una vita semplice. Non si sbottonò più di tanto ma capii che aveva trovato un modo per vivere al di fuori del Santuario, di ritagliarsi anche lui uno spazio privato.
«Quindi se non fossi stata mandata negli Inferi da Hades…»
«Sì, avresti vissuto casa mia; avevo appena finito di pagare l’affitto della mia casa solo qualche giorno prima. È un po’che non ci metto piede, non posso garantire niente sulla polvere e il suo stato, però. Temo che dovrai lavorarci su, prima di renderla di nuovo agibile». Scherzò. Quanto era buffo in quel momento. Posai il bicchiere e inghiottii in tempo, prima di strozzarmi: Sorrisi cercando di non ghignare troppo. Se fossi scoppiata a ridere adesso, quello che avrei voluto dire non avrebbe avuto più senso logico. «Lasciatelo dire: come agente immobiliare fai schifo». Scoppiammo a ridere entrambi, sguaiati come iene, divertiti.
Quando ci calmammo lui disse, senza malizia: «Certo che hai davvero dei gusti strani». Ma si capiva che voleva solo vedermi sorridere. 
«Perché?»
«Voglio dire: Odysseus? Seriamente? Come si fa a fossilizzarsi su una persona sola quando al Santuario siamo così tanti?» “E vivi?” tradussi, ma non lo dissi. Per quanto la situazione fosse tragicomica non si sentiva di affondare più di tanto il coltello nella piaga. E io lo ringraziai per questo. Mi guardò con un sopracciglio inarcato dalla perplessità. Solo dopo si accorse del tono malizioso che aveva usato. Quando faceva così era inevitabile, gli piaceva stuzzicarmi. Era veramente un bravo analizzatore, aveva capito che se faceva così gli davo molta più soddisfazione di Camus. Se lui lo aveva fulminato con gli occhi, io distoglievo proprio lo sguardo. A volte diventavo tutta un tremolio che quasi non camminavo e finivo per fare quegli strani balletti che tanto lo facevano sganasciare dalle risate. Non che avesse cominciato a parlarmi delle sue performance amatorie fuori del Grande Tempio ma quasi. Aveva scoperto che non mi lasciavo sconvolgere dall’argomento, ma anzi, ricambiavo molto volentieri buttando giù una caterva di doppi sensi che lo lasciavano di stucco ma che al tempo stesso lo mettevano a suo agio.
Questo era il fantastico rapporto che si era andato delineando con la Piattola prima che fossi trasportata negli Inferi.     
«Che ti devo dire? È così e basta e, comunque no, togliti quello che stai pensando dalla testa».
«Ma è dall’infanzia che ti piace o...?»
«No, no. Si è sviluppato dopo, prima era solo il mio maestro e sì ecco, gli volevo bene. Non dico che sia impossibile innamorarsi a sei anni ma, come dire, è successo dopo, per me». Risposi imbarazzata scrollando le spalle.
«E nel frattempo non c’è stato nessun altro?»
«Bè, sì, ovvio che qualcun altro c’è stato ma erano sempre amori non corrisposti, cotte adolescenziali, ecco». Devo ammetterlo ma io e l’amore camminavamo molte volte su binari opposti. Anche perché non mi era mai interessato più di tanto avere un ragazzo. Sì a volte mi ero trastullata con queste fantasie e anch’io avevo avuto qualche flirt. Mai niente di serio o approfondito, però mi andava bene così.
«E, cosa ti fa pensare che lui ti ricambi?»
«Non lo penso, infatti». Confessai con un pessimismo che gli fece sgranare gli occhi. Sospirai: «Sono passati tanti anni e io ero solo una bambina, probabilmente mi vede ancora così. Poi è molto triste, voglio dire, io sono viva e lui è uno spirito. Cioè, qui parliamo di necrofilia e non è che la cosa mi entusiasmi molto, se devo essere sincera, come se già non bastassero le mie crisi». Spiegai, accartocciando la spiegazione su sé stessa. Sapevo dove voleva andare a parare e anch’io sapevo che avrei dovuto parlare con Kiki. «Inoltre, Odysseus non ha motivo alcuno di ricambiare i miei sentimenti. Sono piuttosto realista, lo ammetto».
Lui si accomodò sulla sedia accanto alla mia: «Vorrei dirti che sei molto pessimista, in realtà, però, temo che tu abbia ragione; potrebbe succedere il finimondo in ogni momento». E i miei sentimenti per Odysseus potevano rappresentare un notevole impedimento. In quel momento eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Era rassicurante sapere che la Piattola mi capisse così bene e fosse dalla mia parte.

«Hai già pensato a come catturarlo?» Volle sapere, tornando serio, completamente. Ecco, questo era il Gold Saint che tutti rispettavano. Abbassai lo sguardo: «Francamente no. Io e lui possiamo comunicare telepaticamente, non vorrei che potesse sentirmi. Sto facendo del mio meglio per tenere la mente silente».  La Piattola si zittì e mi fissò a lungo con compassione, poi lasciò cadere lo sguardo sul piatto davanti a me e mi consigliò caldamente di finire: «So che hai lo stomaco chiuso, ma avrai bisogno di energia se hai davvero intenzione di gettarti in battaglia». La cosa strana era che in realtà sentivo che avrei potuto mangiarmi un bisonte tutto intero. In altri momenti mi sarei chiesta se fosse normale, ma avevo già passato del tempo in uno stato come questo negli Inferi. Ormai certe paturnie come allora non le facevo più. Mangiare era un atto puramente meccanico completamente separato dai miei sentimenti.   
La mia bocca s’incurvò in un sorriso divertito mentre seguivo il suo consiglio. Inghiottii e dissi: «É buffo, sai? Sono andata avanti a zuppa di carne e verdure per due mesi che adesso non riesco quasi più a riconoscere i sapori e i piatti della cucina greca. Mi fa strano vedere qualcosa di diverso dalla zuppa».
Comunque, per ammazzare la tensione, Milo era perfetto. Per un po’, grazie a lui, riuscii pure a dimenticarmi del gravoso compito che mi spettava.

 

Stavo pensando a Le piaghe de Il principe d’Egitto della Dreamworks quando cominciò, verso le dieci di sera. E, come se fossimo in quel tempo, a farci scattare in piedi, furono i serpenti. Come in un vecchio incubo uscirono strisciando dappertutto. I loro corpi viscidi si muovevano sinuosi sul pavimento pulito. Le loro voci sibilanti chiamavano il loro padrone a gran voce.
Per la paura saltai sul divano rapida come un gatto, mentre Milo chiamò a sé la sua Scorpio che gli si dispose immediatamente sul corpo e, usando la telecinesi, spostò i serpenti per aprimi la via: «Vai, Astrid. Io non posso muovermi da qui ma tu sì, tu devi!» Mi spronò.
«Datti una mossa, Astrid, non ho fatto tutte queste scale per fare i tuoi porci comodi!» Berciò Death Mask comparendo nel corridoio aperto dalla Piattola. La sua Cloth già indosso. Entrambi esclamammo il suo nome e lui ci ignorò entrambi mentre i serpenti cercavano di lottare contro il potere di Milo. Una frazione di secondo dopo suonarono i rintocchi della Meridiana. Io e Milo stavamo attendendo pazienti. «É cominciata, andiamo. Muoviti!» Mi spronò a saltare nel corridoio e raggiungerlo proprio mentre un serpente velenoso si alzava di qualche centimetro da terra e rivelava la sua natura di cobra. Se avessi saputo che mancava così poco avrei chiamato mio padre oggi pomeriggio. Mi pentii di non averlo fatto e di non aver neanche cercato il mio cellulare. 
«Va bene!» Esclamai e saltai via, evitando per un soffio le mascelle velenose del serpente che ricadde sui suoi simili.
«Fermali più che puoi, Milo». Si raccomandò, ma suonò lo stesso come un urlo sguaiato.
«Va bene». Appena fummo fuori del salotto cominciò a tartassarli con le Quindici Punture dello Scorpione. Aveva aspettato fino a quel momento prima di cominciare ad attaccare per rispetto per me.
«Andiamo da Odysseus?» Chiesi cercando di sottrarmi alla sua presa mentre lottavo per infilarmi i sandali che si erano sfilati.
«Niente domande e sbrigati!»
«Un secondo!» Esclamai e quello emise un verso di stizza ma mi accontentò. Li rinfilai velocemente. «Hai fatto? Adesso andiamo!» Poi ricominciò a trascinarmi appena un secondo prima che finissi. Il rumore delle strida di dolore dei serpenti mi annunciava che la Piattola stava bene e mi ferì al cuore.
Tutti quei serpenti… “Oddei, Snakye, perdonami per averli lasciati alla sua mercé”. Pensai per un momento. Ma scacciai subito quel pensiero. Non era il momento di pensarci. Cercai di concentrarmi su altro. Mi aspettavo che la sua apparizione fosse una cosa più eclatante non così discreta. Lui intuì la mia titubanza e mi trapassò minaccioso con gli spettrali occhi azzurri che si ritrovava. «Per favore Astrid, non costringermi a usare le maniere forti per portarti da lui. Hai detto che hai un compito, no? Non pensare adesso al WWF, Milo ha la pelle dura, se la caverà benissimo. Pensa alla battaglia!»
«Ci sto provando». Ma la voglia di salvare quegli animali era più impellente. Death Mask intercettò i miei pensieri e mi afferrò per il braccio, bloccandomi. «Ah, non ci pensare nemmeno. Sì, devo essere pazzo a farlo e non lo sono. Spietato sì, cinico pure, ma senza cuore no e non ci tengo a vederti morire per mano di quegli animali al soldo del Cavaliere Maledetto. No grazie, stavolta passo. Non me ne frega se non mi ascolti, il tuo vero obiettivo sta dall’altra parte».
Proprio in quel momento uscimmo dall’Ottava e salimmo i gradini più velocemente che potemmo mentre lui, sempre con lo stesso sistema, allontanava i serpenti. Avremmo potuto correre alla velocità della luce, se lui mi avesse dato un passaggio, ma non lo facemmo. Più tempo per elaborare una strategia.  
«Eh, già». Ma intuii lo stesso cosa volesse dirmi. Aveva di nuovo paura di non potermi salvare. Aveva già perso Helena che amava anche non se ne era reso conto. Aveva perso la Cloth già una volta, la vita e gli amici. A me si era affezionato e lo sapevo, come sentivo cosa stesse pensando. “Hai così paura, Death Mask?” Pensai stupita. Se avesse saputo quello che avevo fatto negli Inferi alle spalle di tutti loro, dubitavo fortemente che ne avrebbe avuta altrettanta. Meno male che il mio Cosmo non era percepibile ai loro sensi, altrimenti dubitavo fortemente che mi avrebbe parlato così.
Persino gli Specter lo sapevano e mi temevano e cercarono di entrare nelle mie grazie in tutti i modi. Per la prima volta, mi fermai senza che lo desiderassi e le mie labbra si mossero da sole e gli dissi qualcosa che non capii ma che lui intese benissimo. Oh, no! Non adesso, non adesso, per pietà! «Vuoi combattere contro di me?» Chiese accogliendo la provocazione con un’occhiataccia mentre io ricacciai tutto indietro. «No, ma se non mi lascerai andare sarà anche peggio di così! Andiamo!»
E lo superai.
I serpenti che continuavano a cercare di sconfinare entro la sua barriera telecinetici. Ma non si lasciò sfuggire questo cambiamento. «Cosa era quella cosa di prima? Sei impazzita?»
«Certo che no!» Urlai di rimando e la mia voce rimbombò tra le rocce. Lui mi seguì e se ne uscì con un verso, anzi no, un ringhio: «Bene, perché non ti conviene sfidare me. Mi spieghi come pensi di riuscire a sconfiggerlo?» Chiese poi.

Avevo appurato che le costellazioni in precedenza erano dodici. Ma, avevo considerato solo quelle tropicali. Nello zodiaco siderale, esisteva una tredicesima costellazione. Una tredicesima costellazione che Castalia e Shaina conoscevano bene, a quanto sembrava. Non solo perché Shaina era la Silver Saint dell’Ofiuco. Ma perché era stata posseduta proprio lì, nello spiazzo tra le due Case dello Zodiaco. Ci avevo fatto caso fin da subito a quel posto, se devo essere onesta. Passare di lì mi ricordava troppo casa. Il che era strano.
Ma ora che sapevo la verità dovevo verificarlo. Cosa voleva lo spirito del Cavaliere d’Oro Maledetto da me? Perché aveva scelto proprio me come apprendista con tutti i bambini nati in questo mondo?
Death aveva insistito per venire con me, non si poteva mai sapere con gli spiriti, soprattutto se non avevano mai trovato la pace. Detto da colui che la pace l’aveva negata a tante persone era tutto dire, poi.
«Con il potere delle Stelle, mi sembra logico». Poi mi morsi il labbro, sperando che non avesse colto ciò che mi si agitava nel cuore.
«Sì, ma lui è un Cavaliere d’Oro mentre tu, tu non hai nemmeno il Settimo Senso!» Se ne uscì dopo aver annaspato un po’, alla ricerca di un termine che non mi sminuisse al punto da offendermi. Tacqui per non rivelargli cosa era accaduto nella Foresta dei Suicidi. Non aveva idea di quanto fosse veramente rischiosa per me questa storia. A prescindere dal mio adorato maestro o no. Non avevano idea dell’enorme scommessa, del Prezzo che tutto ciò esigeva. Questo andava al di là della mia incolumità, anche se mi avrebbe scatenato contro l’intero Santuario.  «Che tu ci creda o no, anche un potere apparentemente insignificante come il mio può essere decisivo in talune situazioni».
«Ti conviene sperare che questa sia una di quelle». Ribatté macabro.
«Grazie». Dissi sarcastica, ma mi uscì più uno squittio da topolino impaurito.
«Ti vuoi tirare indietro?»
“Sì” «No».
«Ho saputo quello che è successo con Neera. Allora era questo il vero intento degli ambasciatori di Poseidone». Disse Death mentre mi accompagnava nel luogo delle rovine del Tempio Maledetto d’Ophiuchus. «Altro che alleanza, quelli stavano cercando l’ubicazione del Tempio per rapirti! Che gran figli di…»
Lo interruppi prontamente: «No, non è esattamente così. Loro cercavano sì il Tempio Maledetto ma per impossessarsi del potere che esso cela. Il fatto che sia maledetto è perché nessuno a parte un Cavaliere o una Sacerdotessa con un potere superiore o la Dea stessa, possono contrastarlo. La radice di tutti i vostri mali parte proprio da qui. Escludendo il Cavaliere d’Ophiuchus e maledicendolo, avete portato lo squilibrio nello zodiaco e nelle dodici Case». Ecco, finalmente lo stavo mettendo a parte della mia teoria ed era meglio concentrarsi su questo che sul mio problema.
«Che vuol dire?»
«Conosci l’origine della Costellazione del Serpentario?» Gli domandai, prendendo alla larga la domanda. Death non comprese. «Sì, ma cosa c’entra?»
«C’entra perché i Cavalieri d’Ophiuchus erano insigniti di poteri curativi, erano i medici tra le costellazioni, ed erano anche quelli che una volta fungevano da collegamento tra tutti gli altri Gold, l’amicizia, la collaborazione, tutte queste cose qui, ma a un livello ancor più sentito di quello che c’è adesso. Ed erano le persone più sacre all’interno del Santuario, sacre, capisci? Quasi allo stesso livello di Atena. Ragione e Religione una di fianco all’altra, entrambe mezzo per arrivare alla verità tanto agognata dall’essere umano e alla sua medicina. Una regina guerriera per le battaglie e un sacerdote guaritore per le anime. Persino gli Specter avevano un commilitone che se ne occupava, ma perché noi no? Facendolo diventare un Cavaliere d’Argento, escludendolo dalla rosa e sigillandolo, vi siete avvelenati da soli. Per questo avete avuto così tanti problemi tra voi nel corso dei secoli mentre tra le altre fila non ce ne sono stati».
«Stai dicendo che la questione di Atena e Arles non c’entra?»
«No, solo che questa è solo una delle conseguenze di questa scelta. Il Cavaliere d’Ophiuchus avrebbe potuto contrastare quello di Gemini e guarirlo dalla sua malattia. Ma ciò non è avvenuto proprio perché non c’era più da tempo». “Tra amore e morte, vi siete privati di quello che sta in mezzo, ecco cosa avete fatto”. Pensai. «E, poi, non penso affatto che sia maledetto».
«No? E, allora cos’è?»
«Una questione di semantica».
«Semantica? Prima la psicologia, poi l’astrologia, cazzo, Astrid; parla chiaro non ci capisco più niente!» Sbottò.
«Pharmacon. La parola farmaco in greco ha due significati, medicina, ma anche veleno».
«Che cazzo stai a dire?»
«Voglio dire che sta usando il suo potere per avvelenarci, adesso ti è chiaro?» Forse c’era lui dietro tutta la storia della malattia che stava colpendo tutti i Saint. Se fossi riuscita ad averne la conferma forse avrei davvero potuto fare qualcosa per loro.   
«E, Hades?»
«Chiunque avrebbe paura della morte al punto da accettare l’offerta del Signore dell’Oltretomba, se non c’è nessuno che possa salvarlo».
«Ma lui non ha una tecnica che gli permette di essere immortale?»
«Sì, la Dark Resurrection, però anima e corpo sono due cose completamente diverse».
«É per questo che il Cavaliere cerca vendetta?»
«Anche».
«E, tu cosa vuoi fare?»
«Farlo smettere». Dovevo ricondurlo ai suoi doveri, quelli veri, non a cercare di attentare alla vita di Atena. Già, fermarlo era l’unica soluzione possibile e facendo ricorso esclusivo ai poteri delle Stelle. Non mi sentivo di usare le tecniche del Gold Saint, già quelle erano difficilissime per me da raggiungere, figuriamoci quelle... no. Non dovevo nemmeno pensarci. Quelle tecniche, per quanto fossero già più mie e più vicine, le sentivo meno normali e meno anomale di quanto avessi pensato. Non potevo usarle, anche perché non avevo idea di cosa potessi effettivamente farci.
Altrimenti avrebbero scoperto la verità su di me.
Appena prima che raggiungessi il ring dello scontro, mi fermò posandomi le mani sulle spalle e girandomi verso di sé. Mi ritrovai a guardare il suo volto preoccupato ancora piegato in quella smorfia arcigna che tanto lo caratterizzava: «Battilo quello stronzo! Appena l’hai ridotto male dammi il segnale e aprirò la Porta degli Inferi».
«Ok».
Poi ritrasse le mani e riprendemmo la nostra avanzata fianco a fianco. Gli altri Saint vicini o pronti a intervenire come concordato ed era tutto quello che sapevo. Ci fermammo al centro esatto dello spiazzo tra le due Case, proprio tra le rovine che furono teatro della mia ultima battaglia notturna. Per un momento ebbi un flash di Neera, ma poi lo scacciai.
Strinsi le mani in pugni, poi mormorai: «Mostrati, lo so che sei qui». Le mie gambe si piegarono da sole e acquisii la posizione di partenza della naginata che mi aveva insegnato. Posai una mano a terra. Chiusi gli occhi e lasciai che la mia energia uscisse dal mio palmo e formasse la forma della mia arma. Che si materializzò subito e raccolsi. Poi mi rialzai. «Mostrati, te ne prego». Continuai. Capii di esserci riuscita quando sentii il verso stupito di Death. Aprii gli occhi e alzai la testa.
Dal cielo notturno cadevano polveri biancastre, luminose come scintille e, tra esse c’erano delle squame dorate. Presi il bastone anche con l’altra mano. Il cuore mi batteva all’impazzata.
Strinsi convulsamente il bastone con una mano, prima di tenderne una verso quelle squame. Poco prima di toccare gli oggetti solidi si dissolvevano da sole. Squame di serpente, Odysseus d’Ophiuchus. Casa. Lui.
All’improvviso in mezzo a questa nevicata, la sagoma del Cavaliere maledetto fece la sua comparsa. Manifestò il proprio Cosmo e spazzò via questa nevicata illusoria. Eppure non mi spaventò e, lo percepii chiaramente. Strano, avevo più paura per me stessa che di lui. Feci un respiro profondo e chiusi gli occhi. «Ho ragione, Cavaliere? Sei sempre stato tu a chiamarmi qui, non è vero?» Domandai e li riaprii. L’uomo fece un cenno d’assenso e usando il Cosmo come mi aveva detto Yoma tempo prima, potei vederlo. «Ma non è per possedermi come con Shaina, che mi hai chiamata». Dichiarai mezzo tergiversando, mezzo per sicurezza.
Odysseus confermò: «Già, aspettavo che tu avessi compiuto progressi sufficienti per sostenere l’esame finale».
«Come immaginavo, erano tutte delle prove, fin dall’inizio. Perché sono stata scelta io per sostenerle?» Chiesi e lui mi guardò dritto negli occhi. Il mio cuore batté un colpo più profondo ed ebbi l’impressione che il mio stomaco facesse una capriola all’indietro.
«Ogni Cavaliere d’Ophiuchus, quando le stelle muoiono, deve addestrare una persona legata a esse affinché possa riportare in vita il Cosmo, è una legge sacra che ci è stata imposta dalla Madre Terra. Noi Cavalieri d’Ophiuchus siamo sempre esistiti anche prima, sebbene avessimo altri nomi, ai tempi. Noi abbiamo il compito di selezionare i Medici del Cielo. Tu sei quasi pronta, ma ti manca ancora qualcosa, cioè la forza spirituale del vero Saint d’Ophiuchus». Dunque i miei poteri allo stato attuale non bastavano e Lancelot aveva detto il vero oggi pomeriggio. «Cosa devo fare per acquisirla?» Domandai.
«Combattere contro di me, usando il tuo Potere. Credo sia superfluo dirti il resto». Ossia che avrei dovuto combattere con tutte le mie forze. Sì, era superfluo. «Non c’è altro modo?» Chiesi.
«No».
Avrei preferito una risoluzione più pacifica. Ma le mie speranze erano state vane. Tuttavia non avevo intenzione di combattere contro di lui.
Però c’era la vita della mia migliore amica in gioco. Dovevo fare qualcosa. Gli volsi le spalle e feci per andarmene. Lui allora mi attaccò usando le Onde di Guarigione ma non mi trovò impreparata come credeva. Dissolsi il falcione e materializzai subito uno dei globi fosforescenti che aprii per creare il muro di luce.  Dal mio soggiorno negli Inferi ero cambiata, se non avessi avuto i nervi a fior di pelle probabilmente non avrei mai reagito così prontamente. Tuttavia il suo colpo fu molto più forte del mio e lo infranse. Cascai a terra per l’impatto. 
«Attaccalo, attaccalo ora, prima che si riprenda!» Mi urlò Death ma non lo feci, il colpo era stato troppo forte.
Odysseus chiuse gli occhi come per non vedere questo spettacolo. «Che seccatura». Mosse il braccio e io mi rimproverai per il mio cuore tenero. Se avessi combattuto come al solito avrebbe retto, le nostre forze si sarebbero addirittura equivalse.
Mi rialzai con meno fatica di quanto si aspettasse. Il mio maestro non sembrava affatto impressionato, ma in realtà lo era eccome, solo che lo nascondeva. E io lo conoscevo bene. “Credevi che il mio soggiorno agli Inferi non mi sia servito a niente?” Avrei voluto dirgli, una delle mie solite, vuote frasi a effetto, ma non ci riuscii. Arrivai solo a guardarlo con occhi tristi, mentre dentro di me mi chiedevo “Perché?” Ero delusa, davvero delusa da lui. Non volevo ammettere che i miei compagni d’arme avessero avuto ragione fin dall’inizio. «Allora hai imparato qualcosa negli Inferi».
«Sai come si dice, no? Fai tesoro di tutte le tue esperienze». Il falcione non mi avrebbe aiutato, stavolta. Dovevo arrangiarmi in un altro modo.
«Non ti servirà a molto, non contro di me». Mi redarguì Odysseus. «Combatti contro di me, cosa aspetti? Attaccami!»
«No!»
«Sei pazza? Attaccalo!» Mi urlò a sua volta Death. Scossi il capo. «È il mio maestro, non posso!» Avevo aspettato tutti questi anni per rivederlo e adesso questo? No!
«Ah, no? Che peccato. Allora vediamo se riesco a farti cambiare idea». Ed evocò i serpenti velenosi. Subito ne fui accerchiata. «Mi dispiace, ragazzina». Sibilò Samael mentre guidava l’avanzata dei suoi simili.
Saltai sopra un masso per portarmi al sicuro da quel mare di serpi. Uno in particolare sembrò avercela con me. Era un aspide che s’innalzò sopra tutti gli altri e mi attaccò. Per lo spavento cascai all’indietro dal masso e finii addosso ai serpenti che mi si avvinghiarono addosso e strisciarono cospargendomi del loro viscidume e, alcuni di loro mi sibilarono nelle orecchie, «Mi dispiace, signorina», «Noi non vorremmo», «Ci perdoni», «Ci scusi». E, più forte di tutte, le voci dei miei amici e degli altri abitanti del Santuario: «Astrid!» In primis, Shun e Death Mask «No, Astrid!», «Lasciala, maledetto, ritira i tuoi serpenti!», persino Shura urlò il mio nome con una rabbia tale da far gelare il sangue nelle vene anche a me che ero impegnata. Quasi scivolai dal masso.
«Non li ritirerò affatto, questa è la sua prova e deve dimostrarsi in grado di superarla». Ribatté Odysseus.
«Andatevene, lasciatemi!» Cominciai a supplicare. Ma i serpenti non mi ascoltarono, anzi, morsero e strinsero più forte. A un tratto un cobra reale strisciò sul mio addome e si alzò aprendo il cappuccio, con fare minaccioso sul mio petto. Allora, con le lacrime agli occhi provai a fare una cosa che non facevo da tempo, parlare ai serpenti, come quando parlavo ancora con Snakye. Ma, adesso che il potere di rigenerarmi era attivo e, con esso anche le tecniche che mi aveva insegnato, potevo far leva su esse per annientare il dolore.
«Anesthesia». Mormorai e il mio intero corpo perse la sensibilità irrigidendosi e, questo turbò non poco sia i serpenti che lo stesso Odysseus. Considerando poi che quelli che avevano morso e assaporato il mio sangue cominciarono a stare male e a morire, potei sentirmi meglio. In quel frangente potevo muovere solo la bocca e gli occhi, ma per me era sufficiente.   
«Fermati». E, il cobra mi sentì. «Fermatevi tutti, oppure morirete avvelenati dal sangue della Gorgone che scorre dentro di me». Continuai. Gli altri serpenti mi sentirono e, alcuni si ritrassero. Il cobra, invece, portò il muso a pochi centimetri del mio volto e sibilò: «Come osi pronunciare una simile blasfemia? Solo il nobile Odysseus possiede quel sangue».
«Io sono la sua apprendista, Astrid av Stjernene, per favore, lasciami andare».
«Dammi un motivo per cui dovrei farlo».
«In nome dell’amore che provo per la vostra specie».
«La parola di un’umana non è sufficiente, solo il Sommo Odysseus ci ha sempre trattati bene, accettando tutto di noi, in cambio gli facciamo da sacri messaggeri e portiamo la sua Sacra Armatura Dorata. Tu cosa hai mai fatto per noi?».
«Il mio migliore amico era un serpente, mi è stato vicino finché non è morto, ammazzato dagli sgherri di Eris. Lo stesso serpente che ho fatto tatuare sul mio polso destro, qualche mese fa, dopo che sono riuscita a vendicarlo». Il cobra mi fissò facendo saettare la sua lingua biforcuta a continuai: «Io, grazie a quel serpente non ho più avuto paura di voi. Ma il mio sangue è letale, non voglio che qualcuno di voi muoia a causa mia, perciò ti prego, lasciami andare».
Il serpente soppesò a lungo la mia proposta e, infine dichiarò: «E sia». Poi, assieme agli altri serpenti scese dal mio corpo e io, con la Legge del Risveglio, annullai gli effetti dell’Anesthesia e potei così rialzarmi in piedi e rivolgermi alle serpi che stavano già strisciando via: «Sbrigatevi, non voglio che ci rimettiate la pelle!»
«Notevole», si complimentò il mio maestro, facendomi voltare verso di lui, «ma non abbastanza! Fantasma diabolico». E, fui investita dal colpo di Ikki. Kanon mi aveva spiegato come funzionava questo colpo. In pratica mi faceva vivere un’illusione talmente tragica che avrebbe mandato in pezzi la mia mente e la mia anima. Ma un colpo è sentirne parlare, un altro è subirlo. Cascai immediatamente a terra, in preda a una tremenda fitta di dolore alla testa. 
Rividi tutto quello che era successo dopo la scomparsa del mio maestro. L’avevo cercato tutta la notte senza trovarlo da nessuna parte. Poi, la prima parte della mia adolescenza, passata a cercare di provocare disastri per farlo uscire allo scoperto. Non avevo avuto altra scelta, ma non sapevo proprio più che fare per riaverlo con me. E, fu proprio allora, che mi accorsi dei sentimenti che provavo per lui. Ma, nonostante questo, lui se ne era andato comunque e, non sarebbe più tornato. Ma poi, più lo sconforto aumentava, più perdevo l’uso dei miei poteri che, con il tempo, sbiadirono da soli, assieme ai miei ricordi di Odysseus legati all’infanzia.
Non era il mio più grande segreto, ma meglio questo che quell’altro. Nonostante il dolore, ero riuscita a schivare la sua tecnica per quanto avessi potuto. La Dark Resurrection stava già provvedendo a rimettermi in sesto.
Nessuno doveva saperlo. Nessuno.
«Dunque è questo quello che provi per me?» Mi domandò, con voce piena di compassione.
Non mi ero sentita così sola come allora. E, la seconda, la passai a imparare l’astrologia, per sfuggire al fato che mio padre aveva scelto per me e, soprattutto, per non riaprire una vecchia ferita che non ricordavo più, neanche a livello conscio di avere.
«Astrid!» Urlò Death Mask. Appena lo sentii mormorai: «Death!» Lui mi chiamò di nuovo e io mi girai nel buio per cercarlo. «Dove sei? Non ti vedo!» Poi lo sentii di nuovo e comparve anche il suo volto e io mi ricordai a chi apparteneva quella voce. E, che questa era solo un’illusione che mi stava riducendo in pezzi. Appena lo capii mi ribellai: «No!» Urlai e mi presi la testa tra le mani. «Lasciami andare! Basta! Hai avuto da me ciò che volevi basta!»
In quel momento capii che non mi ero affatto sottratta al suo colpo e che la Dark Resurrection faticava per salvarmi. «Non puoi sottrarti al Fantasma Diabolico». Mi fece notare il Cavaliere Maledetto con voce piena di compassione. Improvvisamente, vidi la sua costellazione e le dita mi si illuminarono per cancellargliela ma Death Mask urlò di nuovo: «Non farlo! Stai ferma! Non farlo o ti ucciderai!»
Ucciderai? M’immobilizzai di colpo.
«Nessuno deve interferire con la prova altrimenti sarà tutto vano!» Sbottò Odysseus e, dal rumore che udii capii che gli puntò addosso il bastone di Asclepio a mò di minaccia. L’altro si bloccò immediatamente. 
«Lascialo stare!» Urlai io e, con uno sforzo di volontà, mi frapposi tra loro. Per un momento ritornai alla realtà. Ma l’immagine di fronte a me cambiò di nuovo. Mossi la testa da una parte all’altra per cercare di scacciarla ma non ci riuscii e mi ritrovai di nuovo nel buio.

Dalla mia prigione sentii urlare il mio amico della Quarta Casa. «Astrid! Liberala, bastardo!»
«Non posso, una volta scagliato il Fantasma Diabolico non si torna indietro!»
Imprecai mentalmente cercando di aiutare la Dark Resurrection, l’unica che davvero mi stesse separando dalla morte in quel momento. “Come faccio a distruggere l’illusione?” Mi domandai, cercando di non dare di matto mentre ero sottopressione. Era quello che voleva, quello che sarebbe accaduto se avessi perso il controllo. “Le illusioni svaniscono da sé appena smetti di crederci”. Mi ricordai. Ma questa coinvolgeva tutti i miei sensi. Come uscirne?
Stavolta, in soccorso, giunse la mia memoria, riportandomi il passo di una storia che avevo letto: “La verità non è qualcosa che si vede solo con gli occhi, ma è qualcosa che puoi adattare alle circostanze. Qualcosa che può catturare come una rete e trascinare qualcuno con te. Come le illusioni. Anche la verità è a doppio taglio e, alle volte, è il sollievo più grande che qualcuno possa ricevere”. Ma se la verità non poteva salvarmi allora avrei trovato l’uscita da sola, addentrandomi nelle illusioni. C’era sempre qualcosa di irreale, un punto di rottura, no? Io l’avrei trovato.
Ma dovevo muovermi. E, per farlo, feci leva sulla mia immaginazione. Scomposi questa parola risalendo alla locuzione latina da cui derivava: In me mago agire. Mi ricollegai al Mago o Eremita dei Tarocchi e da lì, l’essenza nelle mie carte giunse in mio soccorso modellando l’illusione che aveva creato a mio vantaggio.
Poi, mi trovai davanti a un muro di buio. Sollevai il pugno, che si illuminò d’oro e lo schiantai contro la lastra, mandandola in frantumi. E, con esso anche il Fantasma Diabolico che ribaltai grazie all’aiuto della Carta dei Tarocchi, inglobandoci anche Odysseus.
Aveva giocato anche troppo.
Davanti a me si formò l’immagine del mare mosso con il cielo tempestoso sullo sfondo, poi l’immagine divenne reale mano a mano che aggiungevo dettagli presi dai miei ricordi, come l’odore della salsedine o lo sciabordio delle onde e l’umidità e il bagnato.
Odysseus si guardò attorno impassibile.
Mi venne un’idea rischiosa, ma era l’unica scelta che avevo. Chi l’avrebbe mai detto che la mia ansia e la mia tempesta interiore mi sarebbero potute tornare utili se collegate al potere dei Tarocchi? Anche la mia empatia venne in mio soccorso e mi fece provare tutte le sue emozioni, tra cui anche i sentimenti che provava per me, identici ai miei. “Maestro! Ma allora tu…” Pensai sorpresa trattenendo il fiato rumorosamente. Eppure, nonostante questo, non aveva esitato ad attaccarmi in nome di un Bene superiore. Anche se di ciò si rammaricava, capii che non si sarebbe fermato finché non avrebbe raggiunto il suo scopo. Cioè, prendere la testa di Atena. E, io mi ero messa in mezzo.

Nonostante la sorpresa non mi concessi il lusso di pensarci in un ultimo lampo di lucidità. Anche se era l’uomo che amavo, stava comunque attentando alla mia vita e a quelle del Santuario.
Con uno sforzo sovrumano mi girai, dandogli le spalle e, basandomi sulle sue emozioni, ebbi la piena visuale su di lui e la sua costellazione. Costellazione che, con dita luccicanti di oro, ricreai di fronte a me e che usai come specchio per acchiapparlo. Lui se ne accorse e si bloccò.
«Che vuoi fare?» Domandò spaventato.
Chiusi il pugno e ci ritrovammo su una piattaforma petrolifera nel bel mezzo dell’oceano. Il vento che spirava attorno a noi e il cielo buio e tempestoso che non lasciava requie agli sventurati che ci cadevano dentro. Mi volsi verso di lui, che si guardava attorno, spaesato: «Che cos’è questo posto? Dove siamo? Che potere è questo?»
«Questo è il potere dei Tarocchi e permette di cambiare le sorti di chi ne ha contratto il patto. Un potere che, in cambio della tua felicità, può anche salvarti la vita. A prescindere da qualsiasi situazione tu ti trovi. Come questa, con il Fantasma Diabolico. Hai detto che questo attacco distrugge la mente, no?» Cominciai ad arretrare sempre più verso il bordo. Lui non staccò da me i suoi occhi gialli dalla pupilla verticale neanche per un secondo. Io feci altrettanto. Aprì bocca per dire qualcosa ma lo interruppi domandando, «Ma se non c’è niente, se non ci fosse già più niente da distruggere?»
Mi fermai sul bordo.
Lui mi guardò, in attesa della mia prossima mossa. Per tutta risposta congiunsi le mani all’altezza del petto come in preghiera. Abbozzai un sorriso triste e una lacrima scivolò sulla mia guancia. Poi, mi lasciai cadere all’indietro, in quel mare in tempesta. Lui non fu abbastanza veloce, ma, tramite il legame che avevo creato alle nostre costellazioni, l’impatto e quello che accadde dopo lo sentì tutto con tutta la potenza che quei pensieri erano capaci. Una potenza che io ero riuscita a combattere e controllare parzialmente con l’aiuto di cinque amici e uno psicologo. Ma lui no.

Il mio maestro chiuse gli occhi e un sorrisetto si disegnò sul suo volto. Poi, mosse una mano per disperdere le onde. Ma la mia psiche, supportata dal potere che avevo appena scatenato, si ribellò all’ordine. Anzi, aumentò ancora di più l’intensità con cui l’ansia si frapponeva tra noi, divenendo spessa come una muraglia d’acqua rombante e travolgente.
Aprì di nuovo gli occhi e provò a dissiparli sfruttando il suo potere, ma non ci riuscì.
Io mossi le braccia verso di lui e tutto ciò, che aveva assunto la forma dell’acqua, rispondendo al mio gesto, si scagliò addosso a lui. Che, si ritrovò invischiato in questo mare ribollente ad ascoltare quel groviglio di pensieri discordanti e senza senso, incubi di aggressioni, solitudine, assassini, stupri e ricordi in perenne movimento che si innalzavano e abbassavano come onde impetuose travolgendolo tutti insieme e trascinandolo in un vortice quasi impossibile da distruggere. Infine, come da rinforzo, sopraggiunsero le Ombre Volanti che andarono ad arginarlo e costringerlo alla ritirata. Mentre io continuai a precipitare a gran velocità, nei recessi più profondi di me stessa e sentivo gli effetti del colpo abbandonarmi come foglie secche che si staccano da un ramo a causa del vento. Ma non era ancora sufficiente.

L’acqua si ritrasse permettendomi il passaggio e, in breve, mi ritrovai dentro il gorgo di un maelstrom che completò la sua opera di purificazione.
Sentii chiaramente il Fantasma Diabolico, come una corona di spine lacera e già secca in più punti che si riduceva sempre di più, portato via dal vento. Tuttavia percepii anche il dolore dell’uomo che amavo, così, mossa a pietà rimossi il luccichio, di modo che lui potesse essere libero di staccarsi da me. Non doveva seguirmi dove stavo andando. Questo posto era solo mio e di nessun altro.
Il gorgo marino si aprì completamente e mi mostrò il fondo sabbioso da cui occhieggiava un antico fossile di ciò che un tempo credevo fosse solo un sogno da cui trassi una poesia.
Chiusi gli occhi richiamando a me quelle parole. Le mie labbra si aprirono e la recitai, finalmente consapevole che in realtà fosse un incantesimo: 
«Prendi, ti dono le mie piume, scaldati.
Ecco, queste sono le mie ali, vola.
Questo è il mio becco, schioccalo e mangia.
Tieni, queste sono le mie zampe, calcia!
Questa è la mia forza, usala e caccia!
»
Aprii gli occhi.
Il fossile si agitò, si staccò dal fondale e si scosse e batté le ali per liberare le ossa dai granelli di sabbia. Alzò il muso spolpato verso di me, rivelandosi per lo scheletro di un uccello rapace. Un Serpentario.

«Vieni da me!» Urlai.

Balzò in piedi, spalancò le ali scrollandosi gli ultimi granelli di dosso e, con una spinta, mi volò incontro. Poi la luce invase ogni cosa e andò a riempire le ferite del mio animo.
Quando scomparve lentamente come un flash, mi ritrovai bocconi e con il fiatone, come se avessi corso per miglia, a stringere tra le mani solide zolle di terra.
Il cuore mi batteva all’impazzata nel petto, pieno di vita. L’adrenalina ancora in circolo e i miei muscoli guizzanti, pronti a rispondere al mio volere e le lacrime che rigavano le mie guance.

«Astrid!» Esclamò la voce sollevata di Death Mask cui altre fecero eco stupite.
Deglutii e respirai dal naso, più volte. Poi, alzai gli occhi e mi ritrovai a guardare il mio maestro che mi fissava allibito. «Te l’avevo detto». Gli dissi, tra un ansito e l’altro, rialzandomi e alzando i pugni, di nuovo luminosi e pieni di energia. «Sta lontano dai miei amici!» Lo avvisai, minacciosa.
Nonostante i miei sentimenti non gli avrei mai permesso di alzare un dito su di loro. 
«Sei sopravvissuta al Fantasma diabolico?» Domandò con voce piena di sorpresa, ammirazione, sollievo e ancora scosso dall’indomabile tumulto in cui l’avevo lanciato.
I Cavalieri e civili dietro di me mormorarono sorpresi.
«Astrid!» Esclamò qualcuno e, qualcun altro aggiunse: «Che mi venga un colpo».
«Non sta scritto da nessuna parte che uccide». Ribattei, poi ripetei la mia preghiera, cercando di smorzare un po’il tono della mia voce: «Fermati adesso, non voglio combattere contro di te!»
«Peccato, perché è quello che voglio io. Gravity Destroyer!» E, la gravità si fece sentire crepando il terreno sotto di noi e atterrando tutti tranne me che piegai appena le ginocchia e alzai un braccio.
So che con quelle parole detti l’impressione di somigliare a Shun, detto anche il Cavaliere Gentile, ma non era per gentilezza che lo avevo avvisato. 
Immediatamente rividi la sua costellazione e i fili di luce che avevo creato, si fecero sentire di nuovo. Lui si piegò leggermente, come se qualcuno gli avesse dato una poderosa pacca sulla spalla. Con un respiro profondo, cominciai ad assorbirne l’energia e la luce.
«Astrid!» Urlò sofferente portandosi una mano al petto. «Lasciami!»

Le lacrime cominciarono a offuscarmi la vista. Attaccarlo mi feriva, ma lui aveva minacciato i miei amici e non poteva passarla liscia. «Solo se disfi la tecnica!» Lo ricattai. Ma lui non lo fece, allora sibilai «Bene». E, continuai, nonostante che avessi il cuore in frantumi.

Quando giunse al limite di sopportazione crollò in ginocchio ed esaudì il mio volere. Come promesso lo lasciai andare. «Adesso capisci perché non voglio combattere contro di te? Lo capisci?» Gli domandai, sforzandomi di mantenere salda la voce. 
«Sì, lo capisco». Affermò, ma ciò non lo fermò lo stesso, perché se ne liberò bruciando tutto il suo Cosmo per evocare la tecnica successiva: «Eclissi di sangue!» Improvvisamente le stelle della sua costellazione divennero rosse e s’ingrandirono a dismisura. Sì tanto che i fili che ci si erano avviluppati si strapparono e anche la sua forza aumentò. Ma la sua faccia divenne rossa e le vene sul collo gli si gonfiarono per lo sforzo. Ero atterrita e non mi venne in mente niente. 

L’unica era lasciare che smettesse e, pregare che avessi ragione. La ebbi solo per metà, perché quando represse la tecnica tornò sì normale, con il fiatone e la pelle imperlata di sudore, ma trovò abbastanza forza da lanciare la Moira.
Il vento cominciò a soffiare impetuoso da tutte le parti sollevando polvere, smuovendo le ciocche dei miei capelli e la mia gonna, costringendomi a socchiudere gli occhi.
Le nuvole sopra di noi cominciarono a lampeggiare e a roteare su loro stesse fino a formare una corrente circolare potente come un tornado ma più debole, come una tromba d’aria.
Sentii le grida dei miei amici che si chinarono. Qualche coraggioso gridò: «State giù! State giù!» mentre io socchiusi gli occhi per via del vento. 
Il portale sulla dimensione delle Moire si aprì e le catene dorate discesero dal cielo.
Presi un respiro profondo e, materializzai la luce e l’energia che avevo preso in prestito tra le mie mani. La lanciai in aria e, con un gesto, come se aprissi una pergamena, la luce si dispiegò e andò a formare una cappa protettiva su di noi.
Le catene cominciarono a picchiare violentemente sulla cupola di luce,  producendo lo stesso rumore della grandine, tentando di spezzarla.
«State tutti bene?» Urlai girando la testa prima sopra una spalla e poi sopra l’altra per verificare che fossero tutti vivi. Alcuni Cavalieri si stavano rialzando guardandosi attorno con aria smarrita mentre altri, chini sui compagni più deboli o gli apprendisti o gli allievi della Palaestra, si rialzavano o alzavano le teste per assistere a questo miracolo.  
«Sei pazza?» Mi chiese Odysseus.
«No!»
«Se la Moira non fa una vittima comincerà a uccidere indistintamente e non potrò richiudere il portale finché non avrà fatto una vittima!» Urlò.
«É l’unico modo?» Domandai alzando gli occhi alle catene che cercavano di oltrepassare senza successo la barriera. Le guardai di nuovo e deglutii a vuoto. Lui intuì quello che avevo in mente. Era una follia. Non avevo mai avuto così tanta paura anch’io. «No! Non sai quello che dici! Non sei una Dea, non puoi farlo!» Neanche lui lo era, ma non era questa parte che risposi: «Ah, no?»
«Astrid! No!» Urlò nuovamente Death Mask e subito tutti gli altri gli fecero eco.
E, sperando di aver ragione, dissolsi la barriera sopra il mio maestro e me, muovendo la mano nel senso opposto.
Le catene mi piombarono addosso. Chiusi gli occhi preparandomi al dolore che sarebbe venuto e alla morte. Poi sentii il rumore della lacerazione e del sangue che cadeva a terra. Ma non avvertii il dolore non fui trapassata. Aprii gli occhi e mi ritrovai davanti il torace del mio maestro. «Maestro!» Esclamai sconvolta «No! Maestro, no!» La catena si estrasse da sola dalla sua carne. Lui emise un gemito strozzato, mordendosi il labbro inferiore. «Astrid! Levati!», «Levati da lì è pericoloso!»
Vacillò un po’ e io lo sorressi posandogli le mani sul torace: «Maestro!» Esclamai di nuovo mentre lui chinava la schiena fino a raggiungere il mio orecchio. I suoi capelli per poco non m’inglobarono. Proprio allora Shura gridò: «È una trappola! Non ha usato davvero la Moira!»
«Sciocca». Mi sussurrò, poi aggiunse, «Dark Resurrection». Con mia grande sorpresa, spavento e sollievo, vidi la ferita richiudersi completamente e l’Armatura tornare a rivestire la sua carne intonsa. Ebbi un conato di vomito e per poco non cominciai a vedere il mondo a pallini. Poi la paura prese il sopravvento su di me e gridai: «No!» E, lo spinsi via con tutta la forza che avevo.
Nel farlo le mie mani si illuminarono e, la spinta che gli diedi, lo fece arretrare di cinque metri e cadere bocconi. Non ebbi il tempo di gioirne che con la telepatia mi scagliò di nuovo a terra e mi fece fare qualche metro in scivolata sul terreno, lateralmente, come a tracciare una linea di confine con il mio corpo, strappandomi un ululato di dolore.  
«Astrid!» Urlarono gli altri Saint mentre il portale si richiudeva sopra di noi. «Astrid! Stai bene?» Mi domandò il più vicino. Mentre un altro prese a gridarmi: «Rialzati!»
«Queste sono le Lesioni Passate». Spiegò mentre il mio corpo doleva per intero ricordando il dolore. Gridai ritrovandomi presto sdraiata in posizione fetale.
«Patetico, ho sprecato tempo per niente». Commentò Odysseus in tono piatto. Avevo perso, non sarei diventata Medico del Cielo, ma almeno i miei amici erano salvi. E, Odysseus era ancora vivo. Anche se avevo paura, tanta paura. Non volevo morire. Non per davvero.  «Maestro…» Rantolai preoccupata e sull’orlo di una crisi di lacrime. Ma, stavolta non mi avrebbe salvata.
«No», s’intromise una voce maschile, mentre il mio cuore cessava di battere. «Non è ancora la tua ora, vivi, umana, dimostrami che tu sei come l’acqua come dici sempre».
«Thanatos?» Domandai riconoscendolo.
«Non farmi cambiare idea». Mi avvisò in tono burbero, poi non parlò più, poi una luce bianca e calda mi avvolse e sentii un forte dolore all’addome, che mi strappò un grido di dolore. Eppure, quando respirai, mi sentii bene. Pensai di essere morta, ma il mio cuore era ancora al suo posto, tutto intero, che batteva all’impazzata il sangue nelle mie vene. “Non voglio morire. Non voglio morire! Non voglio morire!” E, come se quel pensiero fosse una formula magica, la ferita prese a bruciare. Cominciai a emettere gemiti di dolore e versi gutturali che cercai di soffocare mordendomi le labbra, ma invano.
Usai la Dark Resurrection ancora una volta, combinata all’Anesthesia con uno sforzo sovrumano. Quando la luce si dissolse, ero di nuovo intera e con i vestiti ridotti a brandelli ma decisamente viva. Mi rialzai sui gomiti e mi portai una mano alla ferita, scoprendo solo la pelle e i tessuti interi sotto la mia mano. Mi guardai l’addome, persino il vestito si era riparato.

Non avevo altra scelta, un’altra parte di me smaniava per combattere. Una parte che finora avevo cercato di reprimere. Stavolta la lasciai fluire libera. E, alle mie labbra salì un’altra parola che fino a quel momento non avevo ancora usato: «Hypnoterapy». Sussurrai bruciando il mio Cosmo più che potei e oltre ancora, spinta dalla necessità. Me ne aveva parlato Lancelot solo poche ore prima, ma non mi aspettavo che le rovine reagissero sì bene. 
Se Odysseus mi lesse le labbra, io lo ignorai e mi concentrai per far sì che questo potere soporifero contagiasse tutti all’interno del Santuario. Nessuno escluso, tranne noi due.
«Devo ammetterlo, sono sorpreso, non credevo che avresti trovato il modo di addormentare tutti». Si complimentò mentre mi rialzavo in piedi.

Se quel Cavaliere era maledetto, allora dovevo fare quello che avevo fatto a Shura. Forse però il mio maestro aveva assistito, oppure avevo il mio intento scritto in faccia, perché mi schernì: «Cosa credi di fare? Pensi che io sia così stupido da lasciarmi cogliere di sorpresa come il tuo amico della Decima?» Ma solo io riuscivo a sentire il sollievo mescolato all’amarezza e al dolore nelle sue parole. «Te l’ho già detto almeno una decina di volte, la stessa mossa non funziona mai due volte su un Cavaliere. Anzi, già che ci siamo, ti impartisco le ultime lezioni». Alzò il pugno in aria che s’illuminò del suo Cosmo e poi lo abbassò di colpo dicendo: «Gravity Destroyer!»
Immediatamente il terreno sotto di me cominciò a riempirsi di crepe e sollevarsi a zolle intere. Mi lasciai sfuggire un urlo di paura e sorpresa quando il mio stesso corpo si sollevò in aria da solo. 
Poi mise le mani davanti a sé e ordinò: «Armageddon». E ogni cosa intorno a me esplose addensandosi in una nube la cui onda d’urto mi spazzò via. Solo secondariamente mi accorsi che i miei compagni galleggiavano privi di sensi a mezz’aria e cercai di proteggergli opponendo la Muraglia di Luce. Tutta la forza della mossa si schiantò contro questa tecnica che, pure mi sembrò molto più debole di prima. I casi erano due, o io mi ero rafforzata, ma ne dubitavo, oppure una delle mosse che aveva usato finora, aveva consumato la maggior parte del suo Cosmo, proprio quello che mi serviva.

Una volta superato l’istante di terrore e il batticuore da sospensione in aria, capii che galleggiare in aria non era tanto diverso che nuotare. Perciò cominciai a contrattaccare. Magari lui aveva formulato il giuramento di Ippocrate, ma io no, non l’avevo mai fatto. Perciò non avevo alcuna remora. Concentrai i miei globi nelle mani e le alzai in alto sopra la mia testa e glielo lanciai ma sio scontrò contro uno specchio dalla cornice elaborata che comparve dal nulla e mi restituì il colpo, potenziato. Lo schivai per un pelo. «Questo è lo Specchio Gravitazionale». Spiegò. Non mi ci volle un genio per capire che aveva concentrato il suo Cosmo per creare una superficie riflettente che facesse tipo specchio riflesso.
Maledizione! «Hai giocato anche troppo, torna giù». Ordinò e il mio corpo divenne improvvisamente pesante. Cascai a terra di sedere e lo stesso successe anche alle rocce e a tutti gli altri. Adesso, al posto delle rovine del tempio di Ophiuchus si era aperta una conca.  Capii che doveva aver annullato entrambe le tecniche.
E poi passò al Buco Nero. Un buco nero si aprì sotto i miei piedi e ci finii dentro. Sentii la sua voce raggiungermi: «Il buco nero risucchia la vittima distruggendola con l’antimateria o portandola nell’altra dimensione, comunque vada, tu non sopravvivrai».
«Lo so come funzionano i buchi neri!» Urlai mentre il dolore prendeva il sopravvento. No, non avrei mai permesso una cosa simile. Bruciai il mio Cosmo e con un grido, usai a mia volta il Gravity Destroyer per opporre la gravità alla gravità. In altre parole, concentrai i miei atomi e l’antimateria che mi componeva per impedirle di distruggermi. Con un ruggito di rabbia e dolore, ce la feci e riuscii anche a fermarmi e a contrarmi, opponendomi alla forza di gravità. «Cosa?» Lo sentii dire.
Un altro grido da fiera uscì dalla mia gola. Ritrovai le briglie dell’Hypnoterapy, e ne scagliai una a Odysseus. Non tanto per riuscire ad addormentarlo, quanto piuttosto a stordirlo, sì da allentare la sua presa quel tanto che bastasse perché potessi rialzarmi completamente e tornare indietro. Il trucco funzionò e lo sentii arretrare.
Continuando così concentrai il mio Cosmo e la gravità nella mano e distrussi la sua. Poi, espandendo completamente il mio Cosmo, distrussi anche il Buco Nero.
Riapparvi semi chinata davanti a lui e con le mani doloranti, mentre la Dark Resurrection provvedeva a sanare le mie ferite. Il fiato grosso per lo sforzo. Stavo sprecando troppa energia, maledizione. Non riuscivo neanche ad avvicinarmi come negli Inferi. Lui non era idiota come Violate o distratto come don Avido, strappargli le stelle non sarebbe bastato. Era ancora nell’altra dimensione, lo capivo perché non percepivo la sensazione del suo Cosmo. La sua presenza era la stessa di un’immagine proiettata, proprio come i fantasmi o Mordred. Non potevo neanche ricorrere alle Lacrime perché avrebbero fatto scempio di questo posto.     
Anche quello che era successo quella notte era avvenuto per prepararmi. Questa era la prova finale. Mi alzai di nuovo in piedi e misi le braccia in posizione, come avevo visto fare a Shura.
Il soprannaturale ce l’avevamo nel sangue e, la Luce Ombrosa non era legata ai Poteri delle Stelle come pensavo, ma a me, perché ero io la Luce Ombrosa, ed ero anche un’Incantatrice.
Lui decise che si era stufato. Ma anch’io.  Attaccarlo frontalmente non sarebbe bastato, non dopo la tecnica delle Lesioni Passate, no. Dovevo agire d’astuzia e c’era un solo modo per farlo.
Per la prima volta mi appellai al potere oscuro che era celato in me e che fu ben felice di rispondermi e propagarsi nel mio corpo.
Mi guardai le mani e le braccia e sentii delle linee invisibili percorrerle come guanti. Lo stesso accadde ad altre parti del mio corpo. Improvvisamente sentii la necessità di ammazzarlo e di fare un festino con le sue carni.
Un sorriso malefico si delineò sul mio volto.
Ma non adesso, dovevo incanalare quest’energia e controllarla. Il mio obiettivo era neutralizzare Odysseus. Sapevo come fare e sapevo anche cosa fare. Gli Specter stavano aspettando che portassi a termine il mio compito.  
«Ancora in piedi?» Domandò in tono di benevolo scherno come faceva quando ero bambina.
Mi scagliai contro di lui urlando come una fiera. Il corpo che agiva da solo per automatismi. Lui mi lasciò fare, ma non riuscii a toccarlo neanche per sbaglio: «Questa è l’Inavvertibilità. Ne hai già avuto un assaggio molte volte», spiegò mentre la sete di sangue cercava di obnubilarmi il cervello. Scossi il capo continuando a ringhiare piano, come una bestia ferita e intontita. Avevo una tale confusione in testa, che mi sembrava dovesse scoppiare da un momento all’altro. All’improvviso ritrovai me stessa e gridai: “Basta! Sono io che comando qui dentro!” E tutto si quietò, pronto a servirmi.
La mente schiarita e la mia bussola morale intatta.
Fu allora che mi accorsi di qualcosa che mi colava lungo il braccio sinistro. Qualcosa che pulsava leggermente. Mi guardai il braccio ferito e, con l’indice e il medio della destra, che s’illuminarono di nuovo come se avessi concentrato il mio potere lì, passai le dita sulla ferita e quella si richiuse immediatamente. Questo era uno dei poteri legati alla nostra Costellazione, mi aveva detto Camus tempo fa, derivati dal mito. Si diceva, infatti, che Asclepio avesse ricevuto in dono da Atena di cambiare il suo sangue con quello della Gorgone Medusa e, questo spiegava perché ero immune ai poteri pietrificatori del Silver Saint di Perseo, ai veleni dei serpenti e perché Odysseus avesse un diavolo per capello. E, se lo attingevo dal fianco sinistro era velenoso, ma quello del fianco destro aveva il potere di guarire qualsiasi malattia e far risorgere i morti. Ancora una volta mi tornò in mente la frase che usava ripetermi mia madre: “Tutto è collegato” e, se io, in quanto Luce Ombrosa, disponevo di questi poteri, forse era il caso di usarli.
E fu con questi pensieri che riuscii a imbrigliare definitivamente l’energia oscura che stava propagandosi nel mio corpo. Dovevo pensare, la mia salvezza stava nella mente, nella mia intelligenza. Continuare a combattere come una furia cieca non mi avrebbe giovato e cercai una soluzione mentre camminavamo in cerchio come avevo visto fare a Gateguard e a Rhadamantys. Per la prima volta capii che questa mossa serviva a studiarsi e a cogliere di sorpresa l’avversario, dovevo essere più rapida di lui.

Mi tornò in mente un sogno con i Serpentari che mi accompagnavano nel mio volo. Lo stesso cui mi ero unita nei recessi della mia anima. Poi, pensai al Sagittario. La sensazione che di solito accompagnava le mie riscoperte si fece di nuovo sentire e capii che dovevo seguire alla svelta questa pista. Sagittario, Sagitter, no, Sagittarius. Per lo zodiaco tropicale e Ophiucus, la nostra

costellazione, per lo zodiaco siderale.

Ecco l’errore.
Spalancai le braccia e di fronte a me comparvero le due meridiane con i due zodiaci.

Odysseus si limitò a osservare impassibile mentre io, muovendo le braccia le riunivo in una sola e scompariva in un’esplosione di luce e scintille che si dissolsero nell’aria. «E, quindi? Cosa stai cercando di dimostrare?»
Non lo ascoltai e continuai nel mio ragionamento. L’Ophiucus aveva anche un altro nome: Serpentarius. Il Serpentario. In Natura esisteva un predatore di serpenti. Un uccello rapace che portava lo stesso nome. Lo stesso che ero io. E, questo spiegò anche perché Saga reagì a quel modo dopo il suo svenimento: aveva visto il Sagittarius Serpentarius addosso a me. Io non ero solo il Sagittario e non ero solo il Serpentario, ero entrambi. «Tutto è collegato». Mormorai più a me stessa che a lui. E, appena lo capii, dentro di me sentii riaccendersi la luce e i miei poteri tornare a scorrermi nelle vene con la stessa potenza di un fiume in piena.
«Sei sorprendente». Si complimentò il mio maestro. «Ma è perfettamente inutile».    
«Non sottovalutare un Serpentario». Lo avvertii.
«Perché chiami così la nostra costellazione?»
«Perché esistono molti tipi di Serpentari, ma uno come me non l’hai mai visto. Infatti io non sono il “portatore di serpenti”, io sono il “cacciatore di serpenti”». Odysseus rise divertito, tenendosi la pancia: «Questa te la sei appena inventata, non esiste il cacciatore di serpenti».
«Se dici così vuol dire che non hai viaggiato abbastanza, maestro». Lo provocai calcando l’ultima parola di arroganza e disprezzo con un sorrisetto di superiorità. Non aveva mai sopportato la mancanza di rispetto e aveva sempre cercato di insegnarmi a essere rispettosa con gli adulti. Avendo avuto molti allievi, il rispetto era la cosa che desiderava di più. Le mie parole sortirono l’effetto sperato e lo vidi accigliarsi e lanciarmi uno sguardo d’avvertimento. Alzai le mani luccicanti sopra la mia testa e mossi la testa da un lato e poi dall’altro poi cominciai a muoverle imitando Shura, arricchendo la danza che mi avevano insegnato le Ninfe Stigie. Appena battei le mani A mhuirnin o cominciò a risuonare nella mia testa. E, per me, fummo di nuovo nelle Paludi Stige.
Spostai il mio peso su una gamba e spazzai il terreno con uno chassé dell’altra per portare il mio piede all’altezza del mio ginocchio sollevando uno spruzzo d’acqua. Mossi la gamba indietro e continuai a muovermi liberando la mente e incatenando lo sguardo al suo, intanto che gli alberi crescevano repentini attorno a noi innalzandosi al cielo e le Ninfe cominciavano a comparire, evanescenti come spettri, danzando. Mi unii a loro nelle danze e presto assunsi la loro stessa consistenza.
Il mio avversario aggrottò le sopracciglia, domandandosi cosa stessi facendo, mentre i serpenti, da lui di nuovo evocati, si agitavano di nuovo ai suoi piedi. Capii di essere riuscita nel mio intento quando quest’ultimo si girò a cercarmi spaesato, soprattutto quando si accorse che i colpi gli tornavano indietro come se si scontrassero contro un campo di forza. «E, questo cosa vorrebbe dire? Che diavolo di posto è?»
«Lo vedrai». Sogghignai e la mia voce si propagò per ogni dove, come sparata da decine di casse da dolby surround.
«Sei pazza se credi di fermarmi». Ma ormai vedevo queste parole per quello che erano. Una provocazione. Solo una provocazione, niente di più. Curvò le labbra in un sorrisetto divertito e mi attaccò di nuovo, ma stavolta non mi trovò impreparata. Spalancai le braccia, le portai al petto e le alzai repentinamente al cielo innalzando una barriera di Tenebre e Luce degli stessi colori del cielo notturno terrestre che si rincorrevano con quelli del cielo Infero, alternandosi quasi in un vortice di colori. “Venite da me” le chiamai.
E, le Paludi Stige, la musica e i loro abitanti si dissolsero e io tornai della mia normale consistenza.  
Seguendo i movimenti delle mie mani, le centootto stelle infere assunsero la forma di Serpentari d’oro dal cuore oscuro, che presero a svolazzare e camminare attorno a me, lasciandosi dietro una scia rossastra, purpurea e viola, dello stesso colore dei Cosmi degli Specter.
«Le centootto stelle degli Specter! Come è possibile?» Esclamò basito riconoscendole. Appena lo disse mi parve di percepire la presenza dei Tre Giudici Infernali oltre che quella delle altre ottantotto costellazioni dello zodiaco.
Per finire, il mio Cosmo comparve tutto attorno a noi, inghiottendo il paesaggio circostante e isolandoci. Adesso eravamo circondati dai bagliori fosforescenti che facevano parte della mia aura, frammentata qui e lì dai Cieli dei due Mondi. La trasformazione non fu solo esteriore. Interiormente mi sentii le membra di nuovo leggere come quando scoprii la grotta e Partita evocò la mia anima.
La mia mente si liberò di quasi tutto. Capii di stare usando uno dei poteri della Luce Ombrosa, quello che mi permise di coprire quella distanza immane dal Santuario alla spiaggia in così breve tempo.  
Il Cavaliere si fermò. «Che cos’è questo?» Domandò di nuovo, spiazzato.    
«Questa sono io». Dichiarai tranquilla, mentre i Serpentari si trasformavano in energia pura e si disponevano ai lati del mio corpo per formare un grosso paio d’ali. Aprii le braccia e sentii le piume e le remiganti come se fossero davvero parte di me. Percepivo ogni singola piuma, ogni singola setola e tutta la forza in essa contenute. Sentii il resto disporsi sulla mia schiena e sulla nuca, avvolgendomi. Creando così la cresta del Serpentario, la coda e la maschera sui miei occhi e la bocca come il becco del rapace e le sue zampe ai miei piedi. Era come essere un tutt’uno con la mia costellazione. La stessa che aveva spaventato tanto Saga e meravigliato tanto Camus.
Il mio avversario rimase interdetto, non avendo mai visto niente di simile prima d’ora. Come dargli torto? Non era un’Armatura e non era una Surplice, era solo energia. Si ricompose subito: «Credi che basti questo per fermarmi?» Mi spedì nuovamente contro i serpenti. Immediatamente dalla mia persona si separarono altrettanti Serpentari che uccisero le serpi prima di salire di quota, compiere una giravolta a mezz’aria e tornare ad essere parte dell’energia che mi permeava.

Odysseus digrignò i denti e provò con un altro attacco ma lo deviai con un semplice, lieve, gesto della mano, annullandolo e disperdendone l’energia. Il resto invece era andato a infrangersi sull’ala di energia neutra che sormontava la mia pelle. 
«Fiamma di Ade!» Urlò e me la scagliò addosso ma non ebbe alcun effetto, come poté costatare quando il fuoco si spense dopo pochi secondi, lasciandomi completamente illesa e le fiamme continuarono ad ardere piano fino a spegnersi in terra.
La trasformazione regredì facendomi tornare illesa come prima della lotta. A questo punto Odysseus sgranò gli occhi mentre con la mano spazzavo via una fiammella che era rimasta sulla mia spalla.
«Non è possibile», era la prima volta che qualcuno lo vanificava, «non è possibile! Bisogna essere un fantasma o uno Specter affinché...», sgranò gli occhi e ci arrivò, «un momento, tu… No, non puoi essere una Specter! Come fai ad averne la forza?»
«Io sono l’Acqua». Risposi enigmatica. Se Odysseus in passato con lo Specchio Gravitazionale defletteva gli attacchi nemici io, con l’analogia dell’acqua, assimilavo le caratteristiche di questi poteri e adattarmi oltre che a replicarli con tutti gli altri cui già disponevo e ricombinarli a mio piacimento.
«Che significa che sei l’acqua?»  
Lo ignorai. Era ora di farla finita. Spostai le braccia indietro, in equilibrio su una gamba sola, come un serpentario che piomba sulla preda. «Ali del Serpentario!» Esclamai e, avanzando di un passo, mossi entrambe le braccia verso di lui, come fossero le ali del suddetto rapace. E, l’energia si scagliò addosso a lui, tramutandosi in un grosso serpentario ad ali spalancate.
«Specchio Gravitazionale!» Urlò ma l’animale di energia emise il suo grido e lo mandò in frantumi, poi si trasformò in un fascio di energia luminosa.
«No! Non è possibile!» Lo sentii urlare prima che l’energia lo travolgesse con violenza e ferocia. Poi tutto fu solo un’esplosione di luce e l’onda d’urto fu così forte che fui sbalzata indietro e rotolai su me stessa per ammortizzare l’impatto. Quando scomparve mi rialzai e guardai di nuovo in direzione del Saint che giaceva riverso a terra.
Con un respiro profondo mi calmai e rimandai l’energia da dove l’avevo presa, ringraziando mentalmente i loro legittimi proprietari per l’aiuto ricevuto. Anche l’altra, che se ne tornò placida dentro la mia anima.
Avanzai fino a raggiungere il mio maestro. Giaceva supino con il cloth a pezzi. I frammenti di varia grandezza e il bastone erano sparsi tutto attorno a lui. Tuttavia era ancora cosciente e guardava il cielo con un sorriso estatico e le tempie bagnate di lacrime di dolore. Non so neppure io come facesse a non gridare come un ossesso, ma non c’erano tracce di sangue da nessuna parte.
«Le stelle sono così belle questa notte, non trovi anche tu?» Le lacrime mi rigarono il volto mentre crollavo in ginocchio per il dispiacere e il terrore.
“Perché non usava la Dark Resurrection?” Mi chiesi con una vaga sensazione di timore. Non so neanche come trovai il coraggio di parlare. «Sì, sono splendide». Lo guardai sforzandomi di trattenere le lacrime che minacciavano di sgorgare copiose dai miei occhi: «Perché hai voluto che ti attaccassi?» Domandai con le lacrime agli occhi, inginocchiandomi accanto a lui, prendendo la sua mano nella mia. Con l’altra gli carezzai il capo. Adesso non sembrava più il mio avversario, né il mio maestro, solo Odysseus. Che mi sorrise e balbettò: «Per farti acquisire i poteri del Gold Saint d’Ophiuchus; erano l’unica cosa che ti mancava. Prendili, sono tuoi». Confessò, sciogliendo la stretta per pormi la mano nella mia in un gesto simbolico. Chiusi gli occhi e altre lacrime si liberarono dalle mie ciglia, rigandomi le guance e scuotendomi il petto e le spalle in un pianto che mi sforzavo di tenere silenzioso.
«Cosa c’è?» Domandò premuroso come mi ricordavo, con le sue ultime forze. Lo guardai, le lacrime che mi rigavano le guance. Mi sentivo il cuore a pezzi. Non avrei mai voluto fargli una cosa del genere. «Perché? Perché non c’era altro modo?»
«Le regole non le ho decise io. Mi dispiace per tutto il dolore che ti ho causato». 
«Non è giusto, non può finire così». Mormorai avvicinandomi di più al suo volto perché potesse sentirmi. Se avessi parlato a voce più alta probabilmente la mia voce si sarebbe spezzata e non sarei più riuscita a fare un discorso di senso compiuto.
«Te l’ho detto no? L’esame è proprio questo e tu, l’hai appena passato». Affermò orgoglioso anche se faticava a respirare a causa delle ferite che gli avevo procurato. In effetti gli mancava parte dell’altro braccio e tutta la parte inferiore del corpo e della chioma. Però non versava sangue e gli altri pezzi di se stesso erano stati disintegrati. Neanche a livello atomico sarebbe più riuscito a ricomporsi. Ma lui non poteva più ricomporsi. Gli sollevai la parte superiore del corpo, stringendolo a me: «Ssst, ssst, non sforzarti, sei ridotto male». Gli suggerii angosciata, non sapendo che altro dire. Perché non si rigenerava? Perché? Lui capì cosa pensassi e mi carezzò i capelli con la mano libera che sollevò a fatica. «Non preoccuparti per me, va bene così, doveva andare così».
Scossi il capo: «No, non è vero».
«Astrid io sono già morto, non puoi più fare niente per me da tempo». Posò quella mano sulla guancia e io la trattenni con la mia. «Non è vero, ti prego…»
«Ho atteso per tutti questi secoli l’arrivo di un aspirante Medico del Cielo degno di ereditare il mio ruolo e, non potevo trovare miglior erede di te. Tu mi hai ricordato cosa si prova ad avere degli allievi, qualcuno che si fida di te, qualcuno di cui occuparsi. Sono contento di averti conosciuto, anche se mi duole non essere più… » Gemette di dolore e la smorfia cancellò il sorriso.
«Non parlare, ti prego, cerca di risparmiare le forze». Implorai interrompendolo. «Resta con me, ti prego, ti amo, non abbandonarmi, ti prego».
Lui sorrise di nuovo e non solo dissolse la mia tecnica invocando la Legge del Risveglio, ma «Avrei voluto essere più forte e non arrendermi mai, come te». Poi, mi cinse la nuca con le dita e mi carezzò lo zigomo con il pollice. Con uno sforzo, accostò le labbra al mio orecchio e sussurrò: «Ti nomino Medico del Cielo». Infine spirò, reclinando il capo all’indietro, fregandosene delle mie suppliche. 
Con occhi annebbiati di lacrime lo vidi dissolversi in miriadi di bagliori fosforescenti innalzarsi e sfiorarmi i lati del volto, spostandomi dolcemente le ciocche di capelli con una ventata tiepida.  

Chinai il capo ed emisi un gemito di dolore mentre le lacrime mi rigavano il volto. Ma lo rialzai subito per vedere i suoi occhi un’ultima volta prima che sparissero anch’essi in un bagliore fosforescente. Poi, anche il mio Cosmo scomparve, lasciandomi lì, sul lastricato distrutto, con le braccia lungo i fianchi e il volto rigato di lacrime.  Ancor prima che me ne rendessi conto, reclinai il capo all’indietro e liberai un grido di dolore straziante che risuonò per tutto il Santuario. Poi piansi e piansi.

 

Milo
Riapristi gli occhi con un respiro profondo e ti ritrovasti sdraiato in terra, la guancia premuta contro la pavimentazione. Ti rialzasti a sedere e ti guardasti intorno. Le guardie erano nella tua stessa situazione. «Cosa è successo?» Domandasti sulla soglia della Tredicesima Casa. Facendo mente locale ricordavi che, dopo aver liberato il passaggio ad Astrid eri corso alla Tredicesima passando per i sentieri dei servi. Non li usavi spesso e, in realtà eri solo saltato tra le rocce.
Da lì avevi percepito lo scontro tra le due forze finché non eravate crollati tutti addormentati. Era stato stranissimo. Neanche vi eravate accorti di essere scivolati nel sonno, finché non ti eri ritrovato dentro il sogno. Adesso non ricordavi che cosa avevi sognato. La prendesti come una sconfitta personale. Se non fosse stato che ne andava dell’incolumità di Lady Isabel, saresti corso a vedere. Ma la Divina aveva la precedenza.
«Mia Signora!» Esclamasti ricordandoti di lei. La raggiungesti nelle sue stanze private e la vedesti seduta sul letto, le mani intrecciate in grembo. «Mia Signora!» La tua Signora alzò lo sguardo su di te. «Milo! Stai bene?» Ignorasti la sua domanda e ti accorgesti che stava piangendo. Gliela rigirasti. Lei rispose, con voce commossa: «Un Saint è tornato a casa, dopo anni di assenza».
La guardasti confuso: «Milady, di che cosa state parlando?»
La Divina sorrise e ti congedò dicendoti: «Vai dagli altri, hanno bisogno di te».
Comprendesti che voleva restare sola. Probabilmente avrebbe chiamato Mii o Shoko o le altre, se proprio avesse voluto un po’di compagnia. Ma non la tua. Perciò non potesti fare altro che inchinarti ed eseguire il suo ordine. «Sì, Divina Atena». Poi ti raddrizzasti e uscisti dalla stanza.
Quando raggiungesti gli altri, i tuoi occhi si spalancarono da soli per lo stupore. Sul fianco della montagna, laddove una volta comparivano le rovine, adesso, c’era una depressione di una decina di metri. I resti del Tempio di Ophiuchus quasi completamente riportati alla luce.
Ti rassicurò vedere i Saint presenti nel luogo dello scontro  con i volti rigati di lacrime ma vivi e vegeti. Ma stavano piangendo? Che cosa era successo? Persino l’impassibile Shura aveva le guance rigate di lacrime silenziose. Saga, una mano sulla spalla di Shura, aveva gli occhi chiusi come se la scena fosse troppo dura per lui. Altri distoglievano lo sguardo dalla scena. Yoshino, accanto a Shura e Lancelot, non esprimeva meno disperazione. Gli altri Saint e soldati presenti, piangevano a loro volta. Shaina aveva le mani sulla bocca della maschera mentre Marin, vicino alla compagna, osservava il tutto impassibile. 
Non ci fu bisogno di parlare, né di dire alcunché. Era evidente che lì era morto qualcuno che non sarebbe tornato mai più. Aphrodite aveva le mani al volto, come se le dita avessero potuto in qualche modo arginare le lacrime.
Ti facesti largo tra di loro e salisti sul bordo del cratere. Lì ti fermasti.
Al centro esatto della depressione c’erano due Saint inginocchiati e anche così riconoscesti Astrid e Death vicino a lei. Ci doveva essere un animale ferito, non era possibile che questi versi provenissero da gola umana. Sembravano quasi il pigolio di un uccellino. Solo dopo realizzasti che era il pianto di Astrid, quando lei scoppiò a piangere a dirotto.  
Aiolia poco distante era piegato sulle ginocchia anche lui e, osservava in silenzio.
Shun, dall’altra parte, era in piedi versava lacrime mentre suo fratello maggiore gli teneva una mano sulla spalla con gli occhi lucidi di lacrime appena trattenute. 
La tristezza e la disperazione che permeava quel luogo fu così tanta che le lacrime sgorgarono da sole anche dai tuoi occhi.
Mai vittoria fu più dolorosa di questa. Astrid aveva tenuto fede al patto, anche a costo di dilaniare il suo stesso cuore. 
Mentre lei piangeva e si disperava Death Mask la prese delicatamente sottobraccio e la portò via. Quando ti passò accanto la faccia china e la piega severa della bocca la disse lunga su quello che pensava.

Shura

I funerali del Gold Saint d’Ophiucus si tennero tre giorni dopo. Anche Astrid partecipò. La vostra Dea le stette vicina per tutto il tempo. Avresti preferito vederle accanto Yoshino, ma le due Atena non potevano sfiorarsi neanche a causa dell’identica polarità dei loro Cosmi.
Yoshino le era rimasta accanto dopo e tu non te l’eri sentita di intrometterti. Aveva bisogno del sostegno e dell’affetto delle sue amiche più care. Anche Paradox, Raki e Castalia rientravano nel gruppo.
Anche ora che la cerimonia era finita da settantadue ore, avevi ancora fresche quelle immagini e il lamento delle prefiche. Anche per la vostra morte si erano lamentate a quel modo? Probabilmente sì.  
Ma la cosa che vi sorprese di più, oltre la passione che mise nel canto, fu che alcuni civili che conoscevano il brano, tra cui qualche Silver, intonò questa melodia assieme a lei.
«Ahi, ahi, il mio cuore è pesante…» Che andò ad accompagnare il lamento, prima di soppiantarlo del tutto. Un omaggio davvero molto più genuino di quello che avrebbero potuto offrirgli dei perfetti sconosciuti.
E, alla fine, senza che ve ne rendeste conto, tutti voi stavate cantando assieme a lei, cercando di stonare il meno possibile. Persino Saga, Kanon, Aphrodite, con una insospettabile voce tenorile ben accordata a quella di contro tenore di Shun, persino Milo, persino Aiolia e persino tu. Anche se più stonati che intonati, ma ci provaste, mentre le scintille della pira funeraria simbolica ascendevano al cielo buio illuminandolo di rosso. Anche le Saint rimanenti cantarono, ancora meno intonate di voi.

Bevesti un sorso di birra, tornando al presente. Un presente ancora più amaro di quanto odiassi ammettere. Vi eravate sbagliati su tutta la linea. Alla fine Lancelot vi aveva raccontato tutto. il Gold Saint d’Ophiuchus non aveva mai avuto intenzione di attaccare nuovamente il Santuario e attentare alla vita di Atena, voleva solo aiutare la sua amata allieva. Sapeva che, se ve l’avesse detto non ci avreste mai creduto, per questo era ricorso a questo trucco. Come sapeva perfettamente che l’unico modo per farle conquistare rapidamente il Settimo Senso fosse di combattere. Lui aveva scoperto tutto questo prima di tutti e aveva fatto in modo di proteggere Astrid dalle insidie di Ionia insieme a te. Non ti aveva detto come, però.
Anche il suo tradimento era tutta una recita che avevano orchestrato per testare i poteri di Astrid. Avrebbero preferito che usasse subito le tecniche del Gold Saint invece che tutti i poteri di cui disponeva tranne quello. Ma alla fine era andata bene lo stesso. E gli Specter avevano riavuto il loro fuggiasco.  Ma, ci tenne a sottolineare, che lui non aveva mai cercato di attentare alla vite della sua adorata allieva scagliandole contro quei tre. Lui cercò di fermarli, senza riuscirci e andò come andò.
Amata.
Fin da quando lei mise piede al Santuario, lui aveva agito solo nel suo interesse. Dovevate aspettarvelo che tra i due ci fosse un collegamento; soltanto il Gold Saint d’Ophiuchus era capace di guarire qualsiasi tipo di ferita e malattia. Anche quelle mentali. E, ne avevate avuto una dimostrazione indiretta. Ma pur sempre una dimostrazione.
Scuotesti il capo: Astrid non era questo, dovevate smettere di chiamarla così. Lei adesso aveva i poteri del Tredicesimo Gold Saint ma non era e non sarebbe mai diventata una Saint. La Sacra Vestigia  era rimasta assieme al suo legittimo possessore. E, anche se fosse avvenuto il passaggio di proprietà, Astrid non l’avrebbe mai voluta. Né quella, né il nome. Inoltre le mancava la preparazione specifica per essere davvero una di voi. Non era una Saint, non era una Sacerdotessa-Guerriero e non era una Saintia, era soltanto una ragazza investita di un potere più grande di lei.
Prima di venire qui aveva tutto quello che voi avevate sempre desiderato. Adesso si ritrovava a vivere il vostro stesso dolore.
La cosa più spiazzante sul maestro di Astrid, era che non avreste mai pensato che, più che dalla vendetta, fosse mosso dal desiderio di completare la formazione della sua apprendista. Come avevano fatto il vecchio Izo con te e Camus con Hyoga e il mentore di Aphrodite. Non avresti mai immaginato che lo stesso sarebbe accaduto anche a lei. Non c’era mai stato un altro Gold Saint d’Ophiuchus dopo quello Maledetto, non potevate immaginare che l’unico sistema fosse questo. Ma, se ci fosse stato un modo, avresti cercato di asciugare le lacrime della ragazza che piangeva sei Case più giù della tua.
Un’altra vittima di queste assurde regole senza senso atte solo a fortificarvi. Eppure, nonostante tutta la vostra tempra, piangevate ancora per un fratello, un amico, un maestro caduto o per un gesto di generosità, gentilezza o di misericordia. Tutto questo ti fece tornare in mente quel giorno orribile. Il tuo maestro non avrebbe mai potuto gioire con te della tua investitura, in compenso, ti era apparso per sostenerti quando eri stato perso e ti aveva aiutato a risollevarti.
Avresti voluto essere più forte per poter aiutare Astrid a superarlo. Avresti voluto dirle che sarebbe passata, ma come poteva passare facilmente se il rapporto che legava quei due, era intriso di sentimenti che non erano mai potuti fiorire, ed essere vissuti completamente? Sentimenti che nel vostro mondo erano così rari da essere preziosi? Cosa si diceva in questi casi? «Mi dispiace» era troppo poco, troppo riduttivo. Forse Death Mask poteva davvero rendersi più utile di chiunque altro, considerando che aveva vissuto lo stesso dolore.
«A cosa pensi?» Ti domandò Saga, accovacciato sul tavolo, di nuovo nella sua forma animale. I tre topolini sul suo capo gli fecero eco, come al solito.
«Ad Astrid, avremmo dovuto immaginarlo». Adesso molte cose ti erano chiare, compreso il comportamento di Lancelot. Odysseus non aveva mai voluto davvero la testa di Atena. Né fare di Astrid il nuovo contenitore per la sua anima. Stando agli scritti che ti erano tornati in mente era lui che si occupava dei bambini del Santuario, era lui che li accudiva, che li istruiva e li proteggeva. Per questo era considerato come una sorta di padre dagli ex Cavalieri d’Oro che lo conobbero. Tu avevi pensato che l’avesse fatto solo per dovere, ma, se per anni e oltre si era occupato di allevare i futuri Saint senza stancarsi mai, doveva essere spinto da una motivazione più potente del giuramento di Ippocrate, del dovere e dell’amore verso Atena. Era l’amore paterno che provava per quei bambini a spronarlo. Lo stesso che, anche da risorto, l’aveva spinto a occuparsi anche di Astrid, dopo averla cercata tanto a lungo.      
«Non ne sapevamo niente, lo sai, è inutile crucciarsi. Hades non ce lo riporterà indietro». Tentò di ricordarti Saga. In queste ultime parole sentisti l’eco di una vaga speranza.
La verità era che Odysseus non era incluso nel pacchetto resurrezioni, né mai lo sarebbe stato. Anche al tuo amico pesava la tristezza di Astrid. Ironico, vero? Voi, che inizialmente foste i suoi principali oppositori, dispiaciuti per lei. Ma perché non avreste dovuto esserlo?
Ti alzasti da tavola spingendo la sedia indietro.
«Dove vai?» Ti chiese il tuo compagno seguendoti con lo sguardo.
«Scendo». Dichiarasti laconico e, lui comprese.

Ti ritrovasti sulla soglia della Quarta Casa a osservare il frontone del Tempio di Cancer, indeciso se chiamare Death o se entrare e basta. A risolverti l’indecisione ci pensò il tuo stesso collega comparendo sull’uscio. «Shura! Cosa ci fai qui, impalato sulla mia soglia?»
«Sono venuto a trovare Astrid, è in Casa?»
Il siciliano ti sembrò parecchio stanco, quando ti rispose: «Sì, è qui, entra». E, ti fece cenno di seguirlo. Durante il tragitto ti accorgesti che si respirava un’aria di lutto e tristezza più dolce e delicata del solito, come una camera mortuaria piena di fiori. Ma non ancora così satura dell’odore che si poteva respirare in quei luoghi. Non era l’aria da villa spettrale diroccata che creava di solito Death. Questa era la tristezza di un amico che soffre assieme a un altro. La Casa sembrava solo essersi adeguata.
In salotto trovaste Lancelot, il quale ti indirizzò un cenno del capo e ti avvisò che lei era molto giù di morale. Sembrava che il lutto della ragazza avesse portato una specie di tregua tra i due Cavalieri del Cancro.
Death Mask si fermò davanti a una porta chiusa dei suoi appartamenti privati che non avevi mai visto e bussò: «Posso entrare, Astrid?» Domandò.
Una voce flebile vi rispose affermativamente dall’altra parte e Death aprì la porta. «Come stai?» Le chiese in tono gentile, quasi mite, entrando. Tu lo seguisti, restando due passi indietro, incorniciato sulla soglia.
La ragazza alzò il capo per guardarlo con occhi vacui e pieni di tristezza e disperazione. Era seduta sul letto, abbracciava un cuscino e indossava una camicia da notte che sicuramente qualcuno le aveva portato dalla Tredicesima. Nel complesso era il ritratto della devastazione. Quella vista bastò come risposta alla domanda di Death Mask. «Hai una visita». Disse soltanto, indicandoti, impacciato. Non se la cavava affatto con questo genere di cose. A essere onesti fino in fondo non sapevi neanche tu ci sapevi fare.
Lei volse lo sguardo verso di te, restando in silenzio. Dal canto tuo ti accorgesti che i suoi occhi sembravano scrutarti dal fondo di un precipizio dal quale non riusciva a risalire. Un po’ come quello de Il silenzio degli innocenti. Solo che tu, dal tuo, non eri mai completamente risalito.
«Vi lascio soli». Disse di nuovo il tuo collega e poi uscì, lasciando la porta aperta.
Lo accompagnasti con lo sguardo e poi, quando scomparve oltre la soglia, tornasti a guardare lei.
«Volevo solo dirti che so come ti senti, credimi, lo so meglio di quanto immagini».

Il suo sguardo si animò di diffidenza: «Cosa ne sai?» Domandò in tono stanco come se avesse già dovuto sorbirsi questa solfa infinite volte. La voce rotta e impastata, come se fino a quel momento non avesse fatto altro che piangere e basta, come confermavano gli occhi gonfi e arrossati. Ora che ci facevi caso la sua pelle era tirata, come se non mangiasse da giorni e, i suoi capelli erano annodati e spettinati. Chissà se sarebbero diventati come quelli di Odysseus?
“Credimi, lo so meglio di quanto immagini” pensasti rammaricato, prima di confidarle che: «Anch’io ho perso il mio maestro, per diventare il Santo del Capricorno». Appena lo dicesti avesti la certezza che forse potevi aiutarla a superare almeno in parte il suo dolore. E, per i tuoi standard era già tanto. «É successo nello stesso modo in cui è successo a te, anche se io all’epoca ero ancora un bambino». Lei ti guardò stupefatta e richiuse la bocca che aveva aperto. Tu continuasti: «Tra i Saint è una cosa non sempre comune, ma presente. Anche Aphrodite ha perso il proprio mentore per ricevere l’investitura di Cavaliere dei Pesci così come Hyoga per risvegliare il Settimo Senso, quindi, come vedi, non sei sola. Non posso parlare per tutti gli altri, ma posso raccontarti la mia esperienza, se può farti stare meglio».
La ragazza si limitò a fissarti e, tu, prendesti il suo silenzio per un assenso.   
Prendesti la sedia vicina alla finestra, la spostasti di fronte al letto e ti accomodasti dopo averle chiesto il permesso. Lei annuì.
Ti sedesti a schiena curva, di modo che i vostri occhi fossero quasi alla stessa altezza, i gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate di fronte a lei. Facesti un respiro profondo, cercando le parole giuste per raccontarglielo senza spaventarla. Non era facile perché questo non l’avevi mai confidato a nessuno. Neanche ai tuoi migliori amici, neanche ad Aiolos o ad Aiolia. L’unico che lo sapeva era Saga di Gemini, perché lui si presentò in modo troppo repentino per essere arrivato lì dopo. Lui aveva visto per forza, lui sapeva, ma si era tenuto in disparte, portando silenziosamente insieme a te il peso della morte di Izo. Non eri stupido, certe cose ci arrivavi a capirle. «Me lo ricordo ancora con chiarezza, ero appena tornato in Giappone dopo il mio addestramento in Spagna. Il maestro Izo era un samurai e viveva secondo il codice morale della sua gente, il bushido. Quel giorno si accorse che ero in preda ai dubbi per via del fatto che, sebbene avessi terminato l’addestramento, non mi sentissi sicuro. Mi sembrava di non essere affatto migliorato, temevo pure di non aver affatto ereditato Excalibur. L’avrei ottenuta solo una volta che sarei diventato Cavaliere a tutti gli effetti. Avevo completato il mio addestramento con successo ma la mia investitura non l’avevo ancora ricevuta. Lui per tutta risposta, dopo che mangiammo della zuppa di cavoli, mi portò in un campo e lì, mi spiegò che una volta che avrei imparato a padroneggiare la tecnica niente e nessuno avrebbe mai potuto tagliarmi. Poi mi sfidò dicendo che se non l’avessi tagliato, lui mi avrebbe ucciso. Non scherzava come pensavo inizialmente. Anch’io ho provato a farlo ragionare ma alla fine, per difendermi, lo tagliai, usando la Sacra Spada Excalibur».
La ragazza non disse niente e tu, sospirasti. Poi, i suoi occhi cominciarono a versare lacrime. Aprì bocca e le uscì un singhiozzo: «Mi dispiace, io non pensavo…» Si deterse il viso con il dorso della mano ma non servì a niente. E, tu, per la prima volta in vita tua, ti apristi completamente: «Io non piansi quando mi resi conto di quello che era appena successo e cosa avessi fatto. Ma ricordo che fu allora che il mio sguardo perse tutta la sua innocenza e divenne tagliente come la lama di una spada, la stessa che ti inquieta così tanto. Il resto lo persi a poco a poco. Un anno dopo, Arles mi incaricò di giustiziare Aiolos di Sagitter che aveva rapito la neonata Atena. Sulla strada del ritorno mi imbattei nella Silver Saint Mayura del Pavone, che stava fuggendo anche lei dal Santuario con due bambine, le figlie di Olivia, l’allora leader delle Saintia. Con il senno di poi penso che quello fosse il modo del Fato per punirmi di non aver creduto al mio compagno. Proprio come mi aveva urlato Mayura. Ma io non l’ascoltai. Avrei dovuto darle retta; quando mi resi conto di quello che era successo Aiolia aveva perso suo fratello e io avevo ucciso un altro innocente». Sospirasti. «A volte penso che se quella volta, quel giorno in Giappone, se io avessi pianto invece di trattenermi, forse molte cose non sarebbero mai successe. E, poi, scoprii di non essere più in grado di farlo, i miei occhi si erano asciutti e il mio cuore si era inaridito. La prima volta che piansi di nuovo per il dolore della perdita di qualcuno, fu quando io, Death Mask, Aphrodite, Saga e il Venerabile Shion, fummo resuscitati come Specter per guidare l’esercito di Hades da Atena al Santuario e Shaka lasciò questo mondo per colpa nostra, per fermarci. Tutto questo per dirti che fai bene a piangere e disperarti, le tue lacrime non sono un segno di debolezza, anzi, dimostrano quanto sei forte in questo momento. Tu hai trovato il coraggio di piangere il tuo maestro perché hai capito le sue motivazioni, mentre io no. E, ora per Izo è tardi e io non posso più piangere per lui». La bocca ti si chiuse da sola.
L’amica di Death Mask e Aphrodite ti fissò a lungo, impietosita. Poi allungò le dita e ti prese una mano tra le sue, con delicatezza e la girò, rivolgendo il palmo verso di sè. «Che cosa fai?» Le domandasti un po’confuso, ma non la ritraesti. In un bisbiglio ti sentisti rispondere: «Permettimi di aiutarti a piangere di nuovo, mostrami il tuo passato».
«Vuoi leggermi la mano?» Domandasti abbassando a tua volta la voce.
«Sì». Mormorò in un soffio e le sue iridi recuperarono parte della determinazione che le conoscevi. Non sapevi se ne fosse davvero in grado di far sgorgare quelle lacrime. Ma pensasti che forse non le avrebbe fatto male provare; anche se ciò l’avrebbe portata ad assistere a molti altri omicidi e rivivere un’altra volta lo stesso dolore. Già lei era spaventata da voi, da tutti voi, anche se fingeva spavalderia, non volevi darle un buon pretesto per temervi davvero. «Non è una bella storia». L’avvisasti contrito per quello che avrebbe potuto trovare. E, appena lo dicesti realizzasti che la sua fosse una pessima idea. Stava soffrendo già per questo, come avrebbe fatto a sopportare anche il tuo dolore?
«Non importa, lascia che ti aiuti». Continuò avvicinandosi al bordo del letto, per stare più comoda. E, dal momento che era quello che desiderava e, che quelle parole riaccesero in te la speranza di piangere per quella vecchia ferita, di sentirti debole per un po’, accettasti. «Viaggia con me». Ti invitò con voce dolce, prima di girare dolcemente la tua mano e di cominciare a leggere. Grazie agli allenamenti aveva capito qual era la mano che usavi di meno, per questo la trovò senza errori.
Death ti aveva raccontato della sua esperienza con Astrid. Eri pronto a subire un trattamento analogo, invece, nella sua vividezza fu molto lieve e delicato, come una canzone d’amore d’altri tempi portata dal vento. Fu come passare una serata seduti su una terrazza di un vecchio appartamento e sorseggiare un bicchiere di brandy intriso di ricordi. A ricordare degli anni che non sarebbero tornati più.
Fu davvero come viaggiare indietro nel tempo, trasportato dalle sue parole. Quando leggeva la mano cambiava totalmente registro, parlando come un libro stampato. Forse il migliore che avesti mai letto e, ti pentisti dell’enorme paradosso che fosse, perché era orale e non scritto e, tu non avevi nient’altro che la tua memoria per immagazzinare quella voce e quelle parole. I ricordi affiorarono nella tua mente, grazie alle descrizioni precise della sua voce malinconica. Che, nella tua mente, prendeva la forma di dolci petali viola e soffi di vento. E, in un certo senso, ti parve di essere preso dolcemente per mano e ricondotto indietro, nei meandri del tuo carattere, della tua persona e dei tuoi ricordi.
Lei ebbe accesso a tutto di te, dalla tua data di nascita al tuo vero nome, alla tua infanzia solitaria, l’addestramento, Izo, quel giorno. Avevi dimenticato che un tempo la tua chioma era stata castana e non bruna e i tuoi occhi avevano un taglio più dolce, erano più grandi e risplendevano d’innocenza. Rivedere il vecchio Izo andò a intaccare quella barriera tra te e la tua tristezza.
Poi, fece la sua comparsa Saga e la chiromante ti confermò quello che pensavi sulla sua presenza. E, che fu colpa di quella vicinanza che tu non potesti piangere.
Poi la Notte degli Inganni, la discesa di Aiolos per le Dodici Case, con in braccio la neonata. La Shadow Arrow, la freccia segreta che aveva il potere di immobilizzare le persone tramite le ombre, che il Sagittario usò per inchiodare la tua e quella di Aphrodite. Ma che tu tagliasti e, non potendo credere a quello che vedevi, le tue orecchie si erano fatte sorde alle sue parole e avevi deciso di aiutarlo a suicidarsi per non infangare l’onore del Sagittario. Avresti dovuto capirlo allora, quando la neonata Atena ti fermò usando il suo Cosmo, evocando lo scettro di Nike sottoforma di statuetta della Dea della Vittoria che, quella notte, strinse nelle sue paffute manine.
Ma vi eravate liberati dall’influsso della Dea e, tu, Death Mask e Aphrodite eravate tornati al suo inseguimento. Al ponte sospeso Death aveva provato a fermarlo tempestandolo di colpi e Aphrodite di rose, tu avevi tagliato il ponte. E, ti eri sentito male due volte perché avevi creduto di aver ammazzato anche la Vostra neonata Dea. Tagliando così, assieme a quel ponte, ogni legame definitivo che aveste mai avuto con Atena. Sì, spesso passandoci avevi preso a vedere così quel ponte che tu stesso avevi tagliato. Avevi pianto, quando eri tornato in te, che cosa avevi fatto? E, poi, Arles ti aveva spedito sulle tracce di Aiolos un’altra volta, quando aveva saputo che era sopravvissuto.
Ricordasti quello che avevi fatto a Mayura nel tentativo di fermarla e metterla alla prova. La sua risposta e, quello che avevi fatto per proteggere Aiolia in seguito per via dei sensi di colpa, diventando la sua ombra, in linea con il tuo carattere schivo, complesso e ombroso. Di come, a sedici anni, a forza di sospetti e osservazioni sul Gran Sacerdote, scopristi la verità e facesti la stupidaggine di parlarne direttamente con Arles che ti lanciò il Genro Mao Ken e ti assoggettò in parte al tuo volere, tranne il tuo demone. Il quale si ribellò per un po’, riuscendo persino a spaventarlo, anche se inutilmente. Poi andò avanti fino alla Titanomachia, dove aiutasti Aiolia più di una volta e vi salvaste la vita a vicenda. E, dove ricevesti l’Ichor di Ceo. E, poi, la Scalata delle Dodici Case dove avesti la conferma di essere stato imbrogliato e, il dolore che, fino a quel giorno ti eri sforzato di sostenere ti piombò addosso come un macigno, schiacciandoti, mentre Shiryu, innalzandosi grazie alla Pienezza del Dragone, ti portava con sé nello spazio. Non avevi resistito alla vergogna e, prima di lasciare la troposfera eri riuscito a rispedirlo indietro dandogli sia la tua corazza sia Excalibur. L’Ichor del Titano aveva solo contribuito a ritardare la tua morte.
Poi, i fatti della Guerra Sacra contro Hades. Il piano di Shion, il desiderio struggente di correre da Atena e rinnovare il giuramento di fedeltà nonostante la vostra nuova condizione. Le lacrime di sangue che solcavano il vostro viso e che solo Mur aveva visto ma aveva scambiato per allucinazioni. La lotta contro i Cavalieri d’Oro superstiti che vi aveva ferito come poche cose al mondo. Le lacrime che sapevano di fiele e amarezza per Shaka, il tuo corpo che tornava a essere polvere quando i primi raggi del sole vi sfiorarono. E l’ultimo sorriso che lanciasti a Shiryu, prima che cominciaste a bruciare il vostro Cosmo e a concentrare tutta la luce del sole nella freccia di Aiolos. L’esplosione di luce e l’oblio che vi venne incontro assieme alla paura.  

Dopodiché, il cielo plumbeo di Asgard. La tua ricerca di Aiolia e oltre, fino ai fatti dei Senza Volto a ora. Come una costante rivide assieme a te il tuo demone e, mentre tu, ogni volta che lo nominava ti eri sentito schiacciato dalla colpa, proprio qui lei ti sorprese: «Quello non è un demone».
Sollevasti gli occhi stupiti su di lei, mentre i ricordi continuavano a fluire attorno a voi, assumendo di nuovo la forma della foresta di bambù. Lei continuò: «Fa paura, lo so, ma questo perché quella è la forza dentro di te. La forza che ti riveste della Surplice d’Oro e che ti fa diventare puro istinto. Una creatura a metà tra questo e l’altro mondo, proprio come il Capricorno che è a metà tra la Terra e l’Acqua. Ma non è un mostro, è una scintilla divina. Quella è la tua vitalità, la tua ira per le ingiustizie che hai subito, sono tutte le lacrime che non hai versato e la forza del Dio delle Foreste che rivive in te, Shura. La Decima Casa anticamente era denominata Medium Coeli. Sai cosa significa? É il mezzogiorno, la Vita, il momento del giorno al massimo del suo apice eppure a un passo della sua decadenza. Il massimo della forza e prossimo a calare al tempo stesso. Proprio come te, nato sotto il segno di Pan, il Dio delle Foreste, la forza selvaggia della Natura. Rappresenta la realizzazione professionale che si avrà, la fuga dal nido di origine, il successo, l'indipendenza, i riconoscimenti che avremo o non avremo, l'ambizione e la decisione ad inseguire determinati obiettivi, la forza di abbattere gli ostacoli. In pratica la libertà, quella che non chiede scusa e che è. Quella è la forza del Dio Pan, il figlio di Ermes ed è anche la tua umanità. Quella scintilla è una parte di te ed è una forza che nessuno può controllare, se non tu. Gemini non fece altro che tirarla allo scoperto. Non è da temere perché tu non hai mai fatto del male a nessuno. Sei sempre riuscito a fermarti ogni volta che rischiavi di trasformarti. Se tu riuscissi a incanalarla non avresti più paura di cadere. Tu non puoi cadere, non puoi spezzarti per davvero, ma puoi piegarti e puoi piangere, perché sei un essere umano e, questa realtà non cambierà mai, per quanto tu affili il tuo corpo, la tua anima resta umana. Non c’è alcun demone dentro di te, Shura». Disse sfiorandoti il viso con una carezza e tu, alzando lo sguardo tornasti al presente, ritrovandoti ad annegare in due profondi, bellissimi, espressivi, pozzi dorati scintillanti. «Perciò piangi, Shura, piangi. Excalibur non si spezzerà mai per questo. Piangi per Izo e per Aiolos, per te stesso, se vuoi». Sussurrò posandoti la mano con cui prima ti aveva carezzato sulla guancia in un gesto colmo di dolcezza. I vostri respiri molto vicini, quasi che steste per baciarvi.  
La barriera che con quella lettura aveva incrinato, si riempì di crepe, mentre lo sguardo di quella ragazza straordinaria completava l’opera. E, il dolore riuscì finalmente a trovare la via per uscire. Via che, per tanto tempo gli avevi bloccato. Qualcosa ti pizzicò gli angoli degli occhi. Battesti le palpebre per scacciare quella sensazione di fastidio e, con tuo grande stupore, sentisti la prima di una lunga serie di lacrime rotolare sulla tua guancia scavata. A cui subito ne seguirono altre e altre ancora, di riflesso a quelle che solcavano il volto della giovane davanti al tuo. Le vostre fronti ancora in contatto.  
Ti togliesti gli occhiali e chiudesti gli occhi, il petto scosso dai singulti.

   
 
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