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Autore: GiakoXD    01/08/2019    0 recensioni
"Le lacrime iniziarono a scendere lungo le guance della ragazza, raccogliendosi sotto il mento. Paralizzata dal terrore, non riusciva a muoversi. Fissava sgomenta la fessura del mostro, quella a forma di ghigno, che ora iniziava ad allargarsi spaventosamente fino a che la faccia di quell’abominio non arrivò a metà del petto, somigliando ora ad una buia fornace dalle zanne sbeccate.
Non vide quindi la figura che arrivò con un potente balzo dal fondo del vicolo fino a quando la superò, gettandosi in avanti. Con un ampio fendente di qualcosa che teneva in pugno questa mozzò di netto uno dei lunghi arti artigliati della bestia, che volò tracciando un ampio arco in aria. Un denso liquido scuro schizzò lungo una parete, sull’acciottolato e sul cappotto della ragazza che indietreggiò spasmodicamente fino a sbattere contro il muro alle sue spalle"
E se i witcher non fossero una finzione ma fossero realtà, se non fossero una casta scomparsa nel basso medioevo, ma esistessero ancora oggi? Cosa succederebbe se una studentessa universitaria venisse salvata da uno strego? E se nemmeno lei fosse una normale ragazza?
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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All’interno della palestra regnava il silenzio più assoluto, si poteva quasi sentire il rosicchiare di un tarlo nascosto sulle travi del soffitto. 
Fabio e Hamidi, ancora a terra, esaminavano la ragazza con cautela. Non usavano muoversi. Le botte appena ricevute bruciavano e li rendevano sospettosi.  
Anatolij, l’unico in piedi, l’unico graziato dalla furia che si era appena abbattuta su di loro, tentava di dare un senso all’accaduto riesaminando la scena mentalmente.  
La ragazza, ancora inginocchiata a terra, fissava un graffio nel parquet appena oltre le sue gambe. 
 
Il primo a rompere il silenzio fu il ragazzo brasiliano. Di nuovo. <
Katherina alzò lo sguardo su di lui e i tre streghi sussultarono. Ma ormai la tempesta era passata. Non c’era più traccia della potenza incontrollata che aveva animato la ragazza fino a pochi istanti prima.  
I medaglioni ora pendevano immobili al collo dei ragazzi, a silenziosa conferma. 
Gli streghi la videro afflosciarsi e sussultare in preda ai singhiozzi, e senza pensare le si fecero intorno; se prima era sembrava una pantera letale ora ricordava più un pulcino indifeso. Cercava anche lei di dare un senso all’accaduto. 
<< Io…io ero agitatissima…prima che iniziasse, intendo…avevo tachicardia e nervi tesissimi…e quando mi sei saltato addosso, Fabio…ero talmente nervosa che ho pensato solo che dovevo difendermi…>> la sua voce tremolava ed era quasi un sussurro. 
<< …e hai perso il controllo? Eri cosciente o non ricordi nulla?>> 
<< sono sempre rimasta cosciente solo… un Potere dentro di me voleva aiutarmi. Mi ha messo in disparte per difendermi, penso…>>  
<< un Potere? >> 
<< si…non ha capito che stavi scherzando, non l’ha capito subito>> 
Kat scuoteva la testa sconsolata. Faticava a raccogliere le idee e ad esporle chiaramente. Come si poteva descrivere qualcosa accaduto nella propria mente? Qualcosa di talmente strano e repentino che non aveva mai provato prima? 
Descrisse le sensazioni meglio che poteva. Qualcosa nella sua mente si era risvegliata per proteggerla, inizialmente. Qualcosa di esageratamente potente. Poi anche questa entità si era accorta dello sbaglio, nessuno era in pericolo di vita, e aveva iniziato ad irradiare una sensazione di divertimento. “visto che l’avevano svegliata adesso l’avrebbero fatta svagare un po’”. L’aveva come scostata ed aveva assunto il controllo, senza forzarla. Gentilmente. Su questa cosa Katherina era assolutamente certa, non era un’entità malvagia, non aveva l’intenzione di ferire gli streghi, solo di sfidarli. << Come se a forza di rimanere tanto sopita e relegata ora volesse divertirsi un po’, capite? Tipo qualcuno che è rimasto seduto in panchina per quasi tutta la partita a guardare, e ora tocca a lui e può sgranchirsi un po’>>. La sua voce era stridula. Alzò la testa verso di loro, stava ancora singhiozzando. <>. Era un’affermazione, anche se sembrava più una supplica. 
Hamidi le si sedette accanto e le toccò un braccio. << No, non lo era >> 
<< Se lo fosse stata ci avrebbe fatto a pezzi senza neanche scomporsi…>> Anatolij, sempre pragmatico, intercettò lo sguardo di fuoco dello strego africano e si affrettò ad aggiungere: << No, non sei pericolosa >>. 
<< E io ho imparato che la prossima volta ci penserò due volte prima di farti qualche dispetto!>> Fabio le porse una mano e la aiutò ad alzarsi. Sembrava che Katherina avesse le gambe di gelatina. 
<< Ah sì, Fabio, a questo proposito… che cavolo volevi fare prima di essere sbattuto come un tappeto?>> le domandò Hamidi. 
<<…niente…una cretinata…>>. Se avesse potuto arrossire, a quest’ora probabilmente avrebbe avuto il volto di una rara tinta violacea. Almeno un lato positivo nelle mutazioni c’era. 
<< direi che è ora di andare da Viktor, di nuovo…>> la ragazza si era leggermente ripresa e sospirò rassegnata. <
Gli altri tre non sapevano cosa risponderle. In effetti, se lo stavano chiedendo anche loro. Poi fecero strada. 
Mentre Kat li seguiva assorta, la sua mente tentava di mettere a fuoco un particolare. C’era un nome, il Potere lo aveva usato per presentarsi. Ma più cercava di concentrarsi più le sfuggiva.  
 
 
Viktor sedeva alla pesante scrivania di mogano, immerso in vecchi e polverosi documenti. Cercava contatti e informazioni sullo strego Gabriel e sulla Scuola del Gatto di Friburgo. Telefonando alla scuola, aveva appreso che Gabriel non era più da loro, era stato trasferito tempo fa, lo strego dall’altro capo della cornetta non sapeva dove, ma avrebbe chiesto.  
Allora Viktor aveva riesumato vecchi scatoloni, diari e rubriche telefoniche.  Aveva recuperato vecchi contatti e aveva fatto parecchie telefonate. Alcuni dei suoi vecchi colleghi non sapevano nulla, altri erano morti.  
Gli occhi lacrimavano, e quelle lacrime, che gli rendevano lucidi gli occhi dietro le spesse lenti degli occhiali, non erano dovute solo alla polvere. Anche i ricordi erano accumulati dentro quegli scatoloni, insieme ai numeri di telefono. 
Poi lo strego aveva riesumato dei vecchi articoli di giornale e aveva iniziato a leggerli con la testa poggiata sui gomiti. 
 
Sentì arrivare i ragazzi ancora prima che svoltassero l’angolo, benché la porta dello studio fosse chiusa. Finì il paragrafo mentre la porta si apriva e alzò gli occhi al di sopra degli occhiali. 
 
Il vecchio strego ebbe una strana sensazione di déjà-vu.  
La processione entrò in silenzio, con le facce spente. Chiudeva la fila Katherina, talmente ingobbita e con il viso talmente chino che sembrava potesse sprofondare nel vecchio parquet ad ogni passo. C’era indubbiamente qualcosa che non andava, lo lesse negli occhi dei suoi tre allievi. Però sembrava qualcosa di già accaduto e non ancora in corso. Viktor si tolse gli occhiali dal naso e si preparò al racconto.  
 
Un pettirosso si pettinava il folto piumaggio poggiato al davanzale, riscaldato dal sole.  
Viktor finì di ascoltare tutto il racconto dei quattro ragazzi senza interrompere nemmeno una volta, annotandosi mentalmente tutte le decine di domande che avrebbe voluto fare.  
Ma quando finirono di parlare, era talmente confuso da non sapere cosa dire. 
Una domanda di Fabio lo riscosse dalle elucubrazioni. <
<< Non avrebbe avuto quella velocità… un po’ di più si ma non più di voi >> l’anziano strego si passò una mano nei corti capelli grigi mentre rispondeva. Si rivolse alla ragazza. << Tu sei davvero convinta che non fosse qualcosa di malvagio? Che ti avrebbe ascoltata se avessi voluto smettere?>> 
<< Ne sono sicura, perché lo ha fatto… quando ha…ho buttato a terra Hamidi – scusa ancora, sai?>> 
<< Tranquilla…>> 
<< …ho pensato che forse poteva bastare, e si è ritirata. Un po’ a malincuore perché si stava divertendo…>> 
Kat evitò di dire tutta la verità. Evitò di raccontare che il Potere si era fermato perché lei non voleva che facesse del male a Anatolij. Evitò di dire che quel Potere dentro di sé l’aveva accontentata a malincuore perché percepiva i suoi sentimenti. 
Evitò di raccontarlo e si strinse nelle spalle minute. 
<< In effetti aveva una faccia davvero divertita mentre mi spalmava a terra senza il minimo sforzo, subito dopo avermi dato un bacio sul naso tra l’altro. Ah, mi hai baciato, pupa! >> Fabio le strizzò l’occhio, poi si girò di nuovo verso il vecchio. << Non potrebbe essere invece una avuria? >> 
<< Sarebbe un caso anomalo allora…>> 
<<…un Jinx?>> 
 
Kat ascoltava demoralizzata i quattro streghi discutere così tranquillamente ed empiricamente di possessioni e di spiriti, di mostri dal nome inquietante e di maledizioni, con tanta naturalezza che sembrava stessero scegliendo le ricette per il pranzo di Natale. Ascoltava in silenzio, mentre la sua consapevolezza del mondo cambiava: non solo i babau, non solo i fantasmi…c’erano libere per la terra talmente tante cose mostruose e sconosciute alle persone normali da poter far perdere il senno.  
Ascoltava e tormentava la catenina del medaglione da strego. 
<< forse potrebbe trattarsi di uno spirito guida, come per gli sciamani degli Indiani d’America, potrebbe essere, no? A parte il fatto che non siamo in America…>>  
<< …uno spirito falco o un lupo potrebbe spiegare la vel...>> 
<<È una donna, non è un animale >> Katherina interruppe Viktor, che la guardò in silenzio, invitandola a spiegarsi. << È una donna, e mi ha anche detto il suo nome… non l’ho raccontato prima perché sto ancora cercando di ricordare quale fosse…però è una donna >>. Aveva uno sguardo talmente sicuro che nessuno ebbe dubbi al riguardo.  
Continuarono a discutere ancora per un po’, mentre il sole raggiungeva il culmine della sua breve scalata invernale. Poi, vedendo che non giungevano a nessuna conclusione, decisero all’unanimità che uno stomaco pieno male non avrebbe fatto e chiusero la riunione alzandosi e dirigendosi verso la cucina. 
Avevano varcato la soglia quando Hamidi si girò indietro, verso Nat che si era fermato.  
<< Io devo andare dal caso sospetto, mangio qualcosa per strada. Ci vediamo stasera se tutto va bene.>> 
Gli altri annuirono e salutarono. Iniziarono i preparativi del pranzo mentre Anatolij scendeva le scale. Il ragazzo sentiva il cozzare delle pentole, poi si chiuse la porta alle spalle. 
 
 
La radio perse il segnale per la seconda volta mentre la monovolume sfrecciava lungo l’autostrada. Anatolij passò alla riproduzione della chiavetta USB con un gesto stizzito, e nell’abitacolo si diffuse una cacofonia di suoni e un’esplosione di subwoofer. Con una mezza imprecazione pigiò compulsivamente sul tasto “Avanti” fino a che non si lasciò alle spalle la playlist tamarra e francese di Hamidi, poi controllò la strada sul navigatore. La sua uscita era la prossima. 
 
Aveva fatto quasi un’ora e mezza di strada, e ne aveva almeno altrettanta al ritorno, salvo deviazioni. Solitamente tutti i ragazzi facevano il possibile per evitare le uscite per i casi sospetti, principalmente perché il più delle volte finivano in un nulla di fatto. Nel caso poi in cui fosse effettivamente un evento di loro competenza era anche peggio, perché poi bisognava risolverlo, solitamente finendo in qualche posto fangoso, di notte, al freddo; solo nel migliore dei casi uno di questi tre fattori poteva mancare, ma erano situazioni da contare sulle dita di una mano.  
Anatolij però aveva preferito il male minore quel giorno. Di rimanere ad Arkham, dopo quello che era successo negli ultimi due giorni, non se ne parlava proprio.  
Distrazione.  
Quella parola gli si era formata in mente quando si era offerto volontario per quell’uscita. 
Ma non aveva fatto i conti con la solitudine dell’abitacolo di quella macchina. Della monotonia dell’autostrada. Della pioggerellina sul parabrezza. E del suono ripetitivo dei tergicristalli. 
Il tergicristallo descriveva ampi semicerchi sul parabrezza, producendo un qualcosa di simile a “t-won, t-won”, ritmici. Facevano un suono ipnotico. 
I ricordi sembravano riversarsi davanti ai suoi occhi come un fiume in piena. 
“t-won, t-won” 
Anna fermava la sua bici di fianco alla panchina dove era seduto. Sorrideva. La sua sgangherata bicicletta azzurra frenava con un lungo stridio. 
“t-won, t-won” 
Si sedeva accanto a lui, raggruppando le gambe e arrossendo nel tentativo di strattonare la gonna per coprirsi meglio le gambe nude. Erano i primi caldi estivi. Gli alberi del parco erano rigogliosi e niente poteva essere migliore di così.  
“t-won, t-won” 
L’avevano portata alla casa di cura dopo un lungo ricovero in ospedale. La vide distesa sul lettino ridotta ad un mucchietto di ossa, le guance incavate e le braccia esili. Ma più di tutto era stata l’espressione vuota che gli aveva rivolto a farlo andare in pezzi. 
“t-won, t-won” 
Katherina singhiozzava convulsamente fra le sue braccia, inerme, mentre la portava a cercare del ghiaccio per il bernoccolo che le pulsava in fronte. Le era sembrata ancora più piccola in quel momento. 
“t-won, t-won”  
Anatolij trafficò furiosamente con i pulsanti della radio, ingiustamente bistrattati. 
“t-won, t-won” 
Ma quando ci si impone di non pensare a qualcosa, purtroppo quello è l’unico pensiero che costante e risoluto si insinuerà nella mente alla prima distrazione. 
 
Non credeva ai colpi di fulmine, di quelle cosa da film d’amore per cui il mondo smette di girare per lasciare a due persone un’intensa ed imperitura storia d’amore. Ci aveva quasi creduto una volta e aveva pagato. Avevano pagato entrambi per la sua sciocca ingenuità.   
Aveva permesso ad Anna di avvicinarsi al suo mondo solo di un passo, e ora lei passava le sue giornate più lucide a pettinare una bambola, senza riconoscerlo mai quando andava a trovarla. 
Non riconosceva nemmeno i genitori, che passavano a trovarla ignari di cosa l’avesse resa una menomata mentale. 
Quindi aveva deciso di finirla con l’amore e altre stupidaggini del genere, non ne aveva bisogno. 
Non era più stato con nessun’altra, terrorizzato dall’idea di potersi riavvicinare ad una persona indifesa, fragile, diversa da lui che poteva resistere a tutto. Dopotutto, lui era uno strego, non provava emozioni. 
 
Eppure non riusciva a togliersi Katherina dalla testa; tentava di convincersi che era solo colpa della lunga astinenza, del suo corpo che reclamava attenzioni, ma in realtà sapeva che stava mentendo a sé stesso. 
Ogni volta che la sua mente divagava in quella direzione, si imponeva di pensare ad altro e cercava di convincersi che starle lontano fosse la soluzione più facile.  
Il male minore. 
Aveva funzionato a fatica, dopo l’attacco del babau, dopo che lei aveva lasciato Arkham per tornarsene alla sua normale vita da universitaria. A volte si rendeva conto di pensare a lei ma sperava che con un po’ di tempo sarebbe passato da solo. Mica si trovava in un romanzo rosa, no?! 
Ma poi lei era tornata di nuovo, ed era rimasta! 
Come faceva ad evitarla se viveva in casa sua?! Se la trovava con i biondi capelli scarmigliati al mattino e la faccia ancora arrossata? Se la sua vista sviluppata si soffermava sui suoi occhi e su quel verde così intenso o se adesso quasi tutta la casa profumava del suo shampoo al miele? 
Come faceva ad evitarla se ad ogni distrazione si scopriva a pensare a lei?! 
In più, quella mattina si era anche presentata agli allenamenti – seguendo il consiglio di quel traditore di un vecchio strego – e gli era capitata davanti proprio in uno dei momenti di maggiore debolezza, quando gli istinti mutanti che gli avevano impiantato a forza venivano risvegliati dalla fatica e dallo sforzo fisico e prendevano il sopravvento. Avrebbe voluto lanciarsi verso di lei, afferrar…no, non ci doveva pensare nemmeno per un attimo a quello che avrebbe voluto farle!  
…ma ormai la sua mente, subdola e rapida, gli aveva già proposto frammenti di immagini difficili da evitare. Senza volerlo aveva accarezzato quei pensieri con desiderio… 
Piantò le dita sul rivestimento del volante, quasi lasciandoci i segni. 
Quindi era scappato, come un coniglio. E per questo, ora gli toccava questa gita nel nebbioso polesine. Come penitenza. 
 
 
La bella giornata che si era presentata al mattino aveva lasciato il posto ad un pomeriggio lattiginoso, il cielo si era coperto e cadeva una fastidiosa pioggerellina gelida. Fra un paio d’ore sarebbe salita la nebbia, Nat avrebbe potuto scommetterlo mentre metteva la freccia e usciva dall’autostrada. 
 
L’ospedale in cui doveva andare non era molto grande, Anatolij si fece aprire il cancello secondario e seguì i cartelli per le celle mortuarie, che si trovavano sul retro. Trovò ad attenderlo un vecchio prete in abito d’ordinanza seduto in sala d’attesa. L’illuminazione era scarsa e peggiorava l’aria di malattia e morte che già regnava in quei corridoi. 
Il prete batteva il piede agitato a terra e si torturava il polsino della camicia. 
<< Don Carlo Padovan? Sono Anatolij, mi manda Padre Rossi>>. La sua voce, seppur debole, risuonò per tutta la piccola sala gonfia di lutto. 
L’uomo alzò lo sguardo, sorpreso, poi si drizzò e strinse la mano al ragazzo, con un’espressione di sollievo. “Evidentemente si aspettava un mostro a tre teste, o forse un gigante albino” considerò Anatolij acido, ricambiando la stretta. Sicuramente era la prima volta che quel prete di quel piccolo comune aveva a che fare con Padre Rossi e i suoi inquietanti gregari. Lo strego faceva quel lavoro insieme al suo mentore da quando aveva sedici anni, da quando ne aveva diciannove lo svolgeva da solo. Ormai era esperto su come comportarsi, soprattutto con i parroci inesperti di provincia. 
<< Mi racconti quello che sa. >> 
<< Beh, si chiamava Marco Narduzzo, da un anno si era trasferito in paese con la compagna…non erano sposati. Non avevano nemmeno figli. Venivano a messa a Natale e Pasqua, li conoscevo solo di vista. Alle tre di ieri notte lei non l’ha sentito rientrare in casa, ha iniziato a chiamarlo al cellulare e dopo vari tentativi a vuoto ha chiamato i carabinieri. L’hanno trovato giù per un fosso con la macchina in una stradina fuori via, stretta…>> 
<< In mezzo ai campi? >> 
<< Si, tanti campi di soia, tanti vigneti e solo una manciata di case isolate. Niente lampioni. Non so bene dove l’hanno trovato ma lungo quella strada ci sono lunghi tratti senza case… altro io non so>>. Fece una pausa sistemandosi il colletto bianco, a disagio. 
<
<< Ha fatto esattamente quello che doveva, non si preoccupi >> gli disse Anatolij con un tono comprensivo e professionale frutto di anni di esperienza. “Però spero vivamente di non aver fatto due ore di strada per un colpo di sonno al volante” aggiunse poi nella sua mente. 
 
L’uomo gli fece strada fino ad un ufficio dove un infermiere stava compilando degli incartamenti. Dopo un breve colloquio e la consegna dei permessi, lo strego e il prete furono condotti alla camera mortuaria. L’aria era impregnata dell’odore di detergenti per pavimenti e di disinfettante, ma all’olfatto sviluppato dello strego non sfuggì il leggero lezzo di formaldeide e di sangue vecchio che li accompagnava.  
Ad aspettarli davanti alla sala delle autopsie c’era un uomo con un grosso giubbotto invernale, che si presentò come il medico legale che aveva contattato il prete. Il suo turno era finito, ma aveva pensato di tornare per parlare con chi avrebbe, forse, visitato meglio il corpo.  
Se pensò che quello sbarbatello di meno di trent’anni non potesse competere con i suoi venticinque anni di esperienza nella medicina legale, non lo diede a vedere. 
 
Raccontò allo strego dei risultati delle analisi, del livello spaventosamente alto di adrenalina, talmente alto che forse ci si poteva anche morire, con quel valore, e di come le braccia non potessero essere in quella posizione allo scoppio dell’airbag, perché, diavolo, o si fa in tempo a metterle davanti alla faccia o le mani rimangono chiuse sul volante: non ha senso che fossero entrambe lungo i fianchi, giusto? O almeno, questa era l’opinione del medico che di incidenti stradali, purtroppo, ne aveva visti parecchi. 
Anatolij ascoltava in silenzio e annuiva di tanto in tanto, mentre mentalmente metteva a fuoco il possibile colpevole. 
<< La ringrazio per essere tornato apposta per parlarmi, ora dovreste aspettarmi entrambi qui >> disse rivolgendosi ai due uomini, poi vedendo che indugiavano aggiunse: << sui documenti che vi ho consegnato c’è il permesso di rimanere da solo con la vittima, non ci vorranno più di cinque minuti>>. Questo sembrò convincerli e venne lasciato entrare nella camera mortuaria, dove il corpo era già stato preparato sul tavolo, coperto con il lenzuolo. 
 
Già sollevando lo spesso telo bianco Anatolij capì di non essere davanti ad un falso allarme. Il medaglione vibrava, anche se debolmente.  
Il cadavere non aveva la cucitura a Y delle autopsie, evidentemente si pensava ad un semplice incidente causato dall’alcool o dalla stanchezza. Tutto il corpo, dal busto in su, aveva ematomi bluastri causati dallo schianto e dall’airbag. 
Ma non era quello che lo strego cercava. Il ragazzo si concentrò sul volto dell’uomo, le sue pupille feline si restrinsero per cogliere anche il minimo particolare sotto la luce intensa delle lampade. Dopo aver preso dei guanti dal tavolo, esaminò anche gli occhi, sollevando le palpebre. Controllò anche sulla nuca girando lentamente la testa semi-irrigidita e scostando i capelli biondo chiaro con i polpastrelli. 
Anatolij si aspettava di trovare dei piccoli segni sul collo, nascosti sotto le tumefazioni o sul cuoio capelluto, ma stranamente non vedeva nulla di anomalo che poteva dargli qualche indizio. Sembrava un normalissimo incidente d’auto.  
Ma il medaglione vibrava e non mentiva, anche se i residui del soprannaturale se ne stavano andando. 
Fu l’apparente assenza di segni che gli fece formulare una teoria. Si tolse i guanti e uscì, chiudendosi la porta alle spalle. 
 
Due teste si alzarono nella sua direzione. 
<< Ha finito?>> 
<< Sì…dovreste ripetermi un attimo il nome della vittima, per favore>>  
Anatolij tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e digitò su Facebook “Marco Narduzzo”, sotto gli sguardi interrogativi del medico legale e del parroco.  
<< Se i suoi familiari non sono ancora venuti a vedere il corpo, vi chiederei di tingergli i capelli, se è possibile. Anche per non causare choc e domande inutili>>.  
Il medico legale sbiancò guardando la foto che la vittima aveva fatto e caricato online appena il giorno prima, e si affrettò ad annuire. Cercò di dire qualcosa, ma la voce gli usciva stridula: <>  
Anatolij gli rivolse un sorriso acido, tirato. Uno di quei sorrisi che, aveva imparato, chiudevano la conversazione e ricacciavano indietro le domande. I suoi occhi giallo scuro lampeggiavano, la voce era gelida. << Mi creda, è meglio per voi non sapere niente. Vi ringrazio per la collaborazione e farò in modo che non capiti ancora. Arrivederci>>. 
Lo strego stava chiudendosi la porta alle spalle quando sentì il medico crollare sulla sedia, imprecare e spiegare al parroco, che non aveva visto il corpo, che “qualunque cosa fosse stata, gli aveva sbiancato i capelli dalla paura”. 
 
 
Anatolij aspettava, ad occhi chiusi, inginocchiato in mezzo all’erba congelata. Come aveva previsto, si era alzata la nebbia e la temperatura era scesa parecchio rispetto alla giornata. Ma le pozioni funzionavano e lo strego era per il momento immune al freddo. Meditava e aspettava la sua preda, la spada d’argento al suo fianco. 
 
Era uscito dall’ospedale che era praticamente buio, le corte giornate di febbraio tardavano ad allungarsi. Si era fermato in un negozio di giocattoli e aveva comprato una bambola, che aveva prudentemente nascosto nel baule. Poi si era diretto al distretto dei Carabinieri che avevano rinvenuto il corpo ed esaminato l’auto della vittima, e aveva chiesto di essere portato sul luogo del presunto incidente. I permessi che aveva con sé vennero fotocopiati e controllati, ma non venne sollevata nemmeno un’obiezione. Anatolij non smetteva mai di meravigliarsi del potere che aveva Padre Rossi e tutta la Chiesa. 
 
Via delle Paludi era effettivamente un terreno di caccia perfetto per le creature sovrannaturali. Il tratto dove l’auto si era schiantata era lontano da abitazioni e capannoni, proprio come aveva detto il parroco, ed era circondato unicamente da campi ora brulli e congelati, e vigneti. La nebbia si alzava lattiginosa e inquietante dai fossi. 
Il brigadiere gli indicò l’albero dalla corteggia sbeccata contro cui era finita l’auto e insieme conclusero che non c’era traccia di frenata sulla carreggiata. Questo confermò allo strego il fatto che la vittima fosse già morta nel momento dello schianto, ma si tenne la considerazione per sé. 
Per non destare sospetti, Anatolij fece alcune foto del sito e si inginocchiò in alcuni punti come per controllare qualcosa. Poi ringraziò il carabiniere della disponibilità e salì in auto.  
Si fermò in un bar poco lontano per mangiare qualcosa, poi dopo un’oretta tornò sul luogo dell’attacco e infilò la monovolume dietro ad un canneto, nascondendola più possibile. Erano circa le dieci. 
Ricordava la pagina del bestiario a memoria, ma si fece mandare lo stesso una foto sul cellulare da Hamidi, per sicurezza. 
Il freddo era intenso e umido e il ragazzo rabbrividì più di una volta mentre si sfilava giaccone e felpa e indossava gambesone e armatura. Il tintinnio delle cinghie risuonava nel silenzio come uno scampanellio di campane. Il fatto che quella zona fosse l’unica in cui la temperatura scendeva sotto lo zero e dove la rugiada ghiacciava formando un manto bianco, confermava ancora una volta che era il posto giusto. L’erba ricoperta di brina crepitava sotto i piedi. 
Anatolij finì di allacciarsi gli anfibi, stringendoli più del dovuto, poi aprì il bagagliaio e iniziò a rovistare tra le ampolle e i vasetti, alitandosi sulle dita per riscaldarle. 
 
Dopo neanche dieci minuti era tutto pronto, le pozioni che aveva bevuto gli acuivano i sensi e lo rendevano eccitato e bramoso di combattere. Il suo viso ora bianco come quello di un cadavere era striato da grosse vene bluastre. Le sue pupille, dilatate all’inverosimile, gli mostravano ogni più piccolo particolare intorno a lui, come fosse stato in pieno giorno, anche meglio, perché le forme e i contorni di ciò che aveva intorno avevano acquistato contorni più netti e definiti. Udiva ogni minimo sussurro e crepitio della brina; l’acqua che scorreva lenta nel fosso a dieci metri da lui era perfettamente distinguibile e il suo respiro, ora rallentato al minimo quasi lo infastidiva 
Non sentiva più il freddo, e per questo, dopo aver tracciato col salnitro un cerchio intorno a lui, dispose a terra il tappetino dell’auto e ci si inginocchiò sopra. 
Si era dimenticato della bambola. 
Con due balzi dalla velocità inumana tornò all’auto a prenderla e si risedette al suo posto ancor prima che il bagagliaio si richiudesse con uno tonfo. 
 
Lo spettro si aggirava da quelle parti, ma non era detto che si facesse vivo subito, soprattutto perché era ancora sazio dalla notte precedente. Quindi c’era bisogno di un richiamo, qualcosa che attirasse la creatura, altrimenti lo strego rischiava di doversi appostare per giorni e giorni, prima di ottenere qualcosa. 
Anatolij doveva provare qualcosa di artigianale, dal momento che non aveva con sé le erbe e i reagenti “da manuale”. Fortunatamente, i componenti essenziali per richiamare entità malvagie erano pressappoco sempre gli stessi. 
 
Il sangue era indispensabile praticamente per ogni richiamo. Sfoderò lentamente la spada e passò la lama sul palmo della mano sinistra. Avvertì una sensazione di tepore mentre il fluido scuro usciva dalla carne e gocciolava sulla bambola, macchiandone i biondi capelli. 
L’odore del sangue, anche se il suo, gli arrivava direttamente al cervello ed eccitava i nervi tesi dello strego ebbro di pozioni. Si impose si calmarsi facendo profondi respiri. Funzionò.  
Passò quindi alla componente sonora. Ad occhi chiusi intonò una ninna nanna che conosceva da bambino. Anche se in serbo, il senso della cantilena era universale. Il suo mormorio riempì l’aria densa di umidità, dalla sua bocca si formavano piccole nuvolette bianche. 
Poi riaprì gli occhi, lentamente. Doveva simulare un infanticidio ora: sempre cantando, impose entrambe le mani sulla bambola e tracciò un segno: il pupazzo intriso di sangue prese fuoco davanti alle sue ginocchia. Anatolij non terminò la ninnananna fino a che del fantoccio non rimasero che le ceneri, poi chiuse gli occhi e iniziò a meditare. 
 
Così era rimasto per circa un’ora, immobile nell’erba ammantata di brina. La spada al suo fianco. 
 
Sentì un fruscio, o forse lo percepì soltanto. L’aria divenne se possibile ancora più gelida. La nuca gli formicolava come pure il medaglione del lupo. 
Anatolij aprì gli occhi e li fissò senza scomporsi in quelli vitrei di una bambina. 
Stava in piedi a pochi metri dallo strego, con i piedini sporchi e nudi immersi nella fitta nebbia che saliva dal terreno. Non si muoveva, si limitava a fissare il ragazzo con occhi morti, i capelli le ricadevano scomposti sulla camicetta da notte lacera. Ma lo strego sapeva che quelli non erano i veri occhi dello spettro e alzò lo sguardo dietro il corpo della bambina, fino a che individuò la vera figura della creatura, semi-trasparente nell’oscurità; ondeggiava lentamente ricambiando il suo sguardo con un ghigno crudele. 
Poi, come per un accordo silenzioso, strego e wraith si saltarono alla gola.
 
   
 
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