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Autore: Duvrangrgata    01/08/2019    2 recensioni
Enea lavora come tatuatore a Milano, ma il suo cuore apparterrà sempre a Firenze, la città dove è nato e cresciuto e da cui è scappato a soli diciotto anni, lasciandosi alle spalle l’unica famiglia che conoscesse.
Una telefonata inaspettata lo metterà davanti a una scelta: restare a Milano a vivere la nuova vita che si è faticosamente costruito oppure tornare a casa, dove i fantasmi del suo passato non hanno mai smesso di aspettare il suo ritorno.
VERSIONE REVISIONATA E ALLUNGATA DI "CERTI TATUAGGI FANNO MALE ANNI DOPO CHE LI HAI FATTI, MA PER QUELLO CHE RICORDANO", pubblicata su EFP nel 2013.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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IV


 

Where there is desire

There is gonna be a flame

Where there is a flame

Someone's bound to get burned

But just because it burns

Doesn't mean you're gonna die

You've gotta get up and try, and try, and try

 

Try - Pink


 

Enea lasciò vagare lo sguardo per la Salone delle Partenze, il grande atrio della biglietteria all'interno della Stazione di Santa Maria Novella. Il marmo rosso e bianco del pavimento era percorso da migliaia di piedi, appartenenti ai numerosi passeggeri che si apprestavano a partire — o a tornare. Di fianco a lui, Yelena camminava silenziosa, un'espressione delusa e amareggiata che le lampeggiava sul viso quando pensava che Enea non potesse vederla.

Il ragazzo non poteva certo biasimarla, nemmeno lui era troppo fiero di se stesso. Qualche anno prima avrebbe negato l'evidenza, dicendosi che quella era la scelta migliore, ma la realtà era che non ne aveva più la forza. E poi, era ormai grande abbastanza da poter ammettere, almeno con se stesso, quando stava scappando.

Aveva sempre saputo di essere un codardo, soprattutto quando si trattava di affrontare i suoi stessi sentimenti — o quelli di qualcuno a cui teneva —, eppure la consapevolezza non sembrava essere abbastanza per bloccare quello strano meccanismo di difesa che tante volte lo aveva protetto, anche e soprattutto a discapito di altri.

«Sei sicuro sia la scelta giusta?»

Enea fissò con finto interesse gli altri passeggeri in attesa al binario. «Forse sì, forse no, ma dubito che importi. Ci ho provato, e non ce l'ho fatta.»

«Potresti restare comunque», propose la ragazza, appoggiandosi contro il suo fianco. Enea scosse la testa e le avvolse un braccio intorno alle spalle, accettando il suo conforto silenzioso. Si ritrovò nuovamente a pensare alla preghiera che aveva letto negli occhi di Elia al cimitero, il ricordo marchiato a fuoco nella sua testa e impossibile da cancellare. Suo fratello aveva cercato di nasconderla, ma non era un qualcosa che fosse mai stato in grado di fare, soprattutto con lui. Che fosse ancora così dopo tutto quel tempo gli stringeva il cuore in una morsa dolorosa e dolceamara.

«Ci ho provato», si ritrovò a ripetere, se per convincere Yelena o se stesso, non avrebbe saputo dirlo.

La ragazza sbuffò. «Davvero? Ci hai parlato per quanto, mezz'ora? Credi davvero che, dopo tutti questi anni, sia sufficiente?»

Enea si voltò di scatto, il braccio che scivolava dalle spalle di lei.

«Volevo provare a recuperare un rapporto e non ci sono riuscito, okay?», sbottò, stringendo le mani a pugni, «non ne vado fiero, ma non posso farci niente. Non capisci? Non posso restare in questa città, mi sento soffocare. Ogni strada, ogni edificio mi ricorda lei.»

Chiuse gli occhi, scuotendo la testa. «Devo andarmene da qui.»

Yelena gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla negli occhi. «Non è tutto qui, però, non è vero?»

Enea strinse i denti, la rabbia che gli ribolliva nelle vene. La ragazza lo fissò senza batter ciglio, l'espressione determinata e per niente impaurita. Chiunque altro, se avesse ricevuto lo sguardo che stava ora riservando a lei, sarebbe scappato a gambe legate, spaventato dalla furia che Enea sapeva di emanare, ma non Yelena. Così come Elia, anche dopo tutto quel tempo la ragazza lo conosceva bene ed era in grado di prevedere le sue reazioni e capire i suoi sentimenti, anche prima che potesse lui stesso.

In una parte remota della sua mente, Enea si chiese come sarebbero andate le cose se Yelena fosse stata con lui, quella notte al locale. Forse, se ci fosse stata, non sarebbe finito in prigione, e lui ed Elia sarebbero riusciti a mantenere un rapporto che, in realtà, aveva iniziato a deteriorarsi dal momento in cui aveva deciso di partire e suo fratello di restare.

La verità era che non aveva mai perdonato Elia. Pur sapendo che non era giusto pretendere che suo fratello abbandonasse Agata a se stessa e tagliasse i rapporti con lei come aveva fatto lui, non poteva fare a meno di risentirlo per non averlo fatto. Ovviamente, suo fratello non aveva mai giustificato le azioni della madre, o condiviso le sue opinioni. Fin dall'inizio, aveva fatto tutto quello che poteva per migliorare il loro rapporto. Aveva sostenuto Enea dal primo momento e cercato di spiegare alla madre che non c'era niente di immorale nella sua omosessualità, spingendola a mettere da parte i suoi pregiudizi e semplicemente essere al fianco di suo figlio, nel bene e nel male. Elia, però, odiava i confronti, soprattutto quelli violenti. Era il tipo di persona che evitava i litigi per non ferire gli altri e che cercava sempre di fare da paciere, e probabilmente quella era l'unica ragione per cui lui e Agata non avevano finito per uccidersi a vicenda. Era anche però il motivo per cui Elia non l'aveva seguito a Milano, e anche se una parte di lui non poteva certo biasimarlo — era praticamente fuggito con in mente un piano nebuloso e in tasca qualche centinaio di euro — un'altra era arrabbiata.

Non aveva voluto chiedere al fratello di scegliere, eppure non era mai riuscito a scacciare la sensazione che Elia lo avesse fatto comunque. E che non avesse scelto lui.

La suoneria del suo cellulare lo salvò dall'ammettere tutto quello ad alta voce.

«Pronto?»

«Pronto, parlo con il signor Enea Liberti?»

Aggrottò le sopracciglia, cercando di identificare la voce sconosciuta.

«Sì, sono io. Con chi parlo?»

«Buongiorno, sono l'avvocato di Agata Liberti, la chiamo per la successione dei beni. Lei e suo fratello siete gli unici eredi in vita, quindi ho bisogno di vedervi entrambi al più presto.»

Successione dei beni? L'idea non lo aveva neanche sfiorato, visto che aveva dato per scontato che Agata avesse fatto testamento per escluderlo da qualsiasi eredità.

«Mi dispiace, ma sto lasciando la città.»

«Suo fratello mi aveva comunicato questa possibilità, signor Liberti, e mi dispiace farle rimandare la partenza, ma temo che la questione non possa attendere.»

«Senza offesa, avvocato, ma non voglio niente di quello che apparteneva alla sua cliente. Sono sicuro che Elia sarà più che disposto ad occuparsi di tutto.»

«Capisco la situazione, signore, ma legalmente ho bisogno che siate entrambi presenti. Posso ricevervi dopodomani, suo fratello ha già dato la sua disponibilità.»

Enea chiuse gli occhi, passandosi una mano sul viso. Non riusciva a pensare a niente di peggio che dover affrontare sua madre che suo fratello allo stesso tempo.

«Signor Liberti?»

«Mi dica solo dove e quando.»

 

***

 

We've taken different paths

And travelled different roads

I know we'll always end up on the same one when we're old

 

Brother – Kodaline


 

Seduto nella sala d'attesa dello studio, Enea tamburellava le dita sul bracciolo della sua poltrona, gli occhi fissi sulla parete di fronte, decorata da quadri astratti che non facevano altro che rendere la sua mente più confusa. Il chiacchiericcio delle altre persone era un rumore di sottofondo che grattava sui suoi nervi in una maniera quasi dolorosa. Trattenendosi dall'imprecare ad alta voce, si passò una mano tra i capelli, desiderando intensamente di essere nel suo studio di tatuaggi, a chilometri da Firenze, pronto a marchiare indelebilmente la pelle dell'ennesimo cliente.

Anche se cercava di ignorare la situazione, era dilaniato tra l'essere contento che Elia sarebbe stato lì con lui e l'ansia di rivederlo. Nonostante una parte di lui avesse voluto chiamarlo — aveva persino preso il suo numero dal cellulare di Yelena — non era riuscito ad andare oltre il fissare lo schermo, il pollice sospeso sopra il tasto di chiamata. Ovviamente, la sua inabilità di compiere un atto così semplice — e giustificato dal bisogno di discutere di quello che doveva aspettarsi da quel colloquio —, non aveva fatto altro che irritarlo ancora di più.

«Enea?»

Si riscosse dai suoi pensieri, incrociando un paio di occhi identici ai suoi.

«Elia.»

Suonò più come una constatazione che un saluto, ma per lo meno era riuscito a tenere fuori quella rabbia latente che aspettava solo di trovarsi davanti un bersaglio. Probabilmente perché, da qualche parte tra la telefonata, la sua rassegnazione a restare e una lunga chiacchierata con Yelena, aveva deciso che essere civile era l'unico modo per andare avanti. Ancora non sapeva se sarebbe stato in grado di recuperare un rapporto con Elia, ma non era più tanto sicuro di volerlo chiudere in una scatola insieme al resto dei brutti ricordi e gettare via la chiave, come aveva cercato di fare fino a quando non aveva ricevuto la sua telefonata.

Oltretutto, nonostante il suo risentimento verso di lui, riusciva a vedere quanto quella situazione fosse difficile per il suo gemello. Anche in quel momento, seduto silenziosamente di fianco a lui, Elia aveva l'aria di un esausto che si era seduto per la prima volta in fin troppo tempo. Era stressato e addolorato e non cercava di nasconderlo. Se non lo avesse conosciuto, avrebbe pensato lo stesse facendo di proposito, magari per cercare di far leva sulla sua compassione, ma Enea sapeva che non era così. Elia era incapace di agire con un secondo fine o con malizia, era una di quelle persone fondamentalmente buone che cercava sempre di migliorare le condizioni altrui, anche a discapito di se stesso.

C'era stato un tempo, prima che quel tratto della sua personalità si ritorcesse contro entrambi, che Enea aveva ammirato questa sua capacità. Ora, gli dava solo sui nervi, principalmente perché gli rendeva difficile restare arrabbiato con suo fratello. Se fosse rimasto al fianco di Agata perché condivideva le sue idee omofobe, avercela con lui sarebbe stato più semplice, ma sapeva bene che non era stato così. La sua lealtà e bontà d'animo gli avevano impedito di lasciare la donna da sola e, logicamente, Enea capiva il suo ragionamento. Tuttavia, la donna non era stata l'unica ad aver bisogno di Elia, e quel diciottenne disperato che viveva ancora da qualche parte dentro di lui non riusciva a perdonare suo fratello per averlo lasciato da solo.

«Signori Liberti? L'avvocato Barbieri può ricevervi ora.»

La donna li scortò fino ad un ufficio, dove un uomo sulla cinquantina dall'aspetto distinto li aspettava. Dopo un veloce scambio di convenevoli, l'avvocato iniziò a parlare, lanciandosi in un discorso pieno di termini legali che fecero calare la sua attenzione ai minimi storici nei primi cinque minuti. Grazie a dio, sembrava che la puntigliosità di Elia non potesse essere cancellata dallo stress e dal lutto, perché suo fratello si premurò di ascoltare ogni sillaba e prendere appunti sul suo cellulare.

«So che siete entrambi impegnati, quindi il mio consiglio è di dare la precedenza a ciò che richiede la presenza di entrambi, come la questione sulle proprietà.»

Enea inarcò un sopracciglio. «Quale questione?»

«La signora Liberti aveva due proprietà: un appartamento a Firenze, dove suppongo viva Elia», suo fratello annuì, «e una casa sulla costa, che aveva ereditato alla morte dei suoi genitori.»

Enea sussultò, sorpreso. Non erano mai tornati alla casa dei nonni, non dopo l'estate dei loro quindici anni, e aveva sempre dato per scontato che la madre l'avesse venduta. A quanto pareva, non era così, e dall'espressione di suo fratello, neanche lui ne era stato a conoscenza.

La situazione aveva appena preso una piega inaspettata e dieci volte più complicata.

Restarono nell'ufficio per più di un'ora, cercando di sbrigare il maggior numero di pratiche possibile. Quando riemersero, fermandosi senza dire una parola a lato dell'edificio, Elia fu il primo a interrompere il silenzio.

«Non posso tornarci da solo.»

Enea sospirò, passandosi una mano tra i capelli, «Elia...»

«Senti, lo so che è tanto da chiedere, ma c'è una ragione se l'ha lasciata ad entrambi.»

«Che intendi dire?»

Elia sbuffò. «Oh, andiamo. Sapeva di essere malata da anni, credi davvero che non avrebbe fatto testamento, escludendoti, se l'avesse voluto?»

«Forse, ma se pensi che questo cambi le cose, ti sbagli di grosso.»

Il ghiaccio nella sua voce avrebbe potuto congelare l'inferno, ed Elia sussultò visibilmente, ma non si fermò.

«Lo so, e non pretendo certo che sia così, ma la decisione su cosa fare della casa spetta ad entrambi, e non possiamo prenderne una finché non vediamo in che stato è.»

Quando non rispose subito, l'altro proseguì, parlando così piano che Enea quasi non lo sentì sopra il rumore del traffico.

«Potrebbe essere la nostra ultima occasione.»

Fine della corsa.

 
 
 
 
 
 
Note
 
Eccomi qui! Finalmente Camp NaNo è finito e posso tornare a scrivere i miei progetti in corso. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che vogliate farmi sapere cosa ne pensiate.
Alla prossima e, come sempre, grazie per le recensioni!

Dru
   
 
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