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Autore: cristallodilunapiena    02/08/2019    3 recensioni
Hate the Sin.
Love the Sinner.
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Let’s hurt tonight!

 

 

 

<< Love, Time, Death. Let’s begin now… >>

 

 

 

 

 

 

 

When, when we came home

Worn to the bones

I told myself, "this could get rough"


And when, when I was off, which happened a lot

You came to me and said, "that's enough"

 

 

 

Stupidissimo diavolo! Perché mai, ora, doveva fare così?

Aziraphale, labbra ridotte ad un puntino prominente, cipiglio appena tremolante e braccia incrociate al petto, come ogni volta che s’irritava profondamente, s’ostinava a guardar fuori dal finestrino dell’auto da ben più d’un quarto d’ora di viaggio, ormai, senza dare il benché minimo segno di voler spiaccicare parola.

Sentì l’amico sospiragli affianco, le dita strette convulsamente al volante, quasi fosse esso la causa d’ogni male. Ma l’angelo era ben deciso a non dargli corda: l’avrebbe ignorato fino a quando non lo avrebbe scaricato davanti alla propria libreria. Anzi, non sapeva neppure la ragione per la quale, dopo essersi gridati contro per ben dieci minuti fuori dal locale, era nonostante tutto salito sulla Bentley di Crowley perché lo riaccompagnasse; avrebbe dovuto far ritorno a piedi!

Udì l’altro emettere l’ennesimo sospiro scocciato, mentre aveva pure preso a ticchettare con le unghie sullo sterzo.
No. Non avrebbe ceduto.

Tuttavia, non poté impedirsi di spiarlo con la coda dell’occhio, ruotando impercettibilmente il collo, per tentare di decifrare l’espressione celata dagli ormai iconici occhiali da sole.
La mandibola tesa, come stesse digrignando i denti, i lineamenti induriti, pietra celata da pelle tirata, e il piede pesante sull’acceleratore. Avrebbe dovuto intimargli di rallentare.

Non volgendosi direttamente nella sua direzione, questa volta mantenendo un contatto visivo con il vetro del parabrezza, aprì bocca per ammonirlo riguardo la velocità sostenuta. << Si… Si può sapere perché mai te la sei presa tanto? Si trattava d’un the con qualche dolcetto, diamine! >>

Contrariamente ad ogni precedente intenzione, gli scappò detto ciò. Proprio non ci era riuscito a starsene in silenzio. Eppure, quell’ultimo, fu l’unica risposta che ricevette in cambio.
Crowley non accennò ad emettere alcun suono, se non quello prodotto da uno sbuffo d’aria buttata fuori dalle narici, limitandosi a rigirarsi per un istante dalla sua parte, prima di tornarsene a guardare dritto davanti a sé, aumentando, se possibile, la forza con cui stringeva l’auto volante rivestito di nera pelle.

<< Ah! Fa come ti pare. >> sbottò, in conclusione, dopo un minuto in attesa che quel mutismo potesse evolvere in una simil reazione, più stizzito di prima.

Trovarono rosso al semaforo prima della curva, dietro il cui angolo era situato il negozio di Aziraphale. Il demone s’arrestò all’ultimo, quasi non paresse certo di volervisi fermare dinnanzi, ma quando il verde scattò riattivando il traffico di Londra, ci mise qualche secondo di troppo nel ripartire, tanto da essere il destinatario di qualche clacson pigiato in maniera ben poco amichevole. 
Borbottò sottovoce, qualcosa d’incomprensibile per l’angelo sul sedile del passeggero, nel mentre accostava affianco alla vetrina buia. << Capolinea. >> decretò stancamente il rosso, a manovra compiuta, degnandosi finalmente di guardarlo in faccia per la prima volta, da quando erano partiti. 

<< Molto bene. Scendo, allora. >> l’altro non celò il proprio tono seccato, nello scendere dall’automobile, senza fermarsi neppure a ricambiare l’occhiata rivoltagli. Il demone espirò nuovamente dal naso, con fare altrettanto innervosito. << Nessuno… >>

Aziraphale sospinse con forza la portiera, ma poco prima che questa sbattesse violentemente nel chiudersi, lo impedì afferrandone la parte di maniglia esterna. S’affacciò un’altra volta, sporgendo il collo, col viso all’interno dell’abitacolo. Crowley lo guardò, da dietro le lenti scure, ciondolando un poco la testa, come se vi stesse ripensandoci su, a cosa dirgli. Infine, dopo aver tentennato un attimo ancora, tornò a fissarsene la strada.

<< Tu puoi, ovviamente, accettare l’invito per prendere un the, o qualsiasi altra stramaledetta cosa, di chi diamine vuoi e ti pare… >> l’angelo mantenne le iridi celesti sull’amico, come ad esortarlo nel continuare << …Non sono affari miei e, oggi, mi sono trovato lì per caso, per un caffè. Ma… Nessuno >> il demone rafforzò per l’ennesima volta la propria stretta sulle razze sino a farsi sbiancare repentinamente le nocche   << può “tentarti con una cena al Ritz”. >> sputò, tra i denti, citando le parole dell’uomo col quale s’era visto nel pomeriggio. 

<< Crowley… >> 

<< Ci si vede in giro. >> detto ciò, l’altro, seduto al volante, chiuse malamente lo sportello della vettura, rischiando persino di tranciargli la punta del naso, con uno schiocco di dita e partì, immettendosi senza premura sulla carreggiata, sfrecciandosene via. 

Aziraphale tenne gli occhi sulla targa, finché questa non scomparve dalla propria visuale, per poi entrarsene con il cappotto sotto braccio, sospirando, in libreria. 

D’altronde, avrebbe dovuto essere a conoscenza della sua spiccata gelosia, tipica della natura demoniaca. 

Eppure non fu affatto certo, in quel momento, che il battito cardiaco accelerato e la faccia smodatamente accaldata, fossero ancora dovuti al fastidio o alla rabbia.

 

 

 

Oh I know that this love is pain

But we can't cut it from out these veins, no

 

 

 

 

 

Crowley, in seguito all’ennesima sorsata di quel vino scadente, espirò sgraziatamente dalla bocca, tentando di far fronte al sapore ben poco piacevole. 

Angelo, Angelo, Angelo… Pennuto idiota!

Barcollò sulle gambe, nel fare qualche passo incerto con quella che doveva essere la quarta bottiglia, in una mano, e si convinse a sedersi malamente sulla seggiola accanto al tavolo di quello che avrebbe potuto definirsi verosimilmente “il soggiorno”.

Quanto tempo aveva perso dietro ad Aziraphale?
Si concesse un altro sorso di quel liquido rossastro, a malincuore, non avendo di meglio da bere in casa.
Non qualche secolo, bensì la bellezza di sei mila anni!

Scrollò il capo e la testa girò con violenza.
Sei mila anni per ritrovarsi costantemente da punto a capo; con lui in quelle condizioni, almeno quattro sere alla settimana…

Se l’angelo si fosse trovato lì, in quel preciso istante, probabilmente gli avrebbe rimproverato che non gli giovava affatto ridursi in quello stato. Emise un verso sprezzante: probabilmente, a quel punto, lui lo avrebbe insultato, lui e la sua faccia tosta dietro la quale fingeva di non essere un amante dell’alcol almeno tanto quanto lui.

E poi, dannazione, lui era un demone! Avrebbe dovuto sapere che era nella propria indole fare cose sbagliate, dannose per sé e per gli altri - “No, per gli altri non poi così tanto malvage”.

Una voce fin troppo famigliare lo canzonò nella propria testa, sogghignando in risposta alle proprie riflessioni interne.
Perfetto, ora gli si era insediato persino all’interno della mente?! O forse, era lui ad esserne talmente ossessionato da far sì che i suoi pensieri assumessero la sua voce…?

Ringhiò, al pari di un animale adirato; d’un animale ferito.
Si portò l’anello di vetro alle labbra, ma dopo qualche minuto passato con la testa tirata all’indietro, realizzò che il vino era terminato e, sul fondo della bottiglia, non ve ne rimaneva neppure una singola goccia. A quel punto strinse con una forza tale da mandarla in frantumi, tuttavia, non ancora soddisfatto, continuò a sfogarsi prendendosela con quelle in fila sul pavimento, poco distanti dalla gamba del tavolo. Sferrò un calcio, ai contenitori vuoti, gridando senza ritegno, lasciando che le schegge si spargessero come pioggia sulle mattonelle, dopo l’impatto col muro difronte. Ansimò, fissandole costellare quella stanza dell’appartamento, chiudendo le mani a pugno, per poi passarsene una fra i capelli.
Se l’alcol non era abbastanza, quella sera, sarebbe uscito a farsi un giro sulla sua adorata Bentley. 


Le strade della City erano insolitamente deserte, per quell’ora, ma certamente, anche vi fosse stato del traffico, non si sarebbe risparmiato sulla velocità dell’andatura, con cui sferzava l’asfalto bagnato.
Non aveva alcuna meta, inseguiva solo il piacere di pigiare il piede sul acceleratore e sentire il motore rombare di rimando. Eppure, quando si ritrovò a rallentare nei pressi della libreria, non poté fare a meno di scoppiare a ridere sguaiatamente, pateticamente ironico nei suoi stessi confronti; avrebbe dovuto aspettarselo.

Si fermò proprio affianco alla vetrina che faceva angolo, senza preoccuparsi nemmeno di spegnere i fari accesi. Dall’interno il buio era rischiarato da un fioco bagliore, presumibilmente proveniente da una qualche lampada da lettura dimenticata in funzione su uno degli scaffali o delle scrivanie.
Non era caduto tanto in basso neppure quando si era schierato dalla parte di Lucifero, durante la Ribellione…

Per qualche minuto, Crowley, ebbe l’impellente bisogno di uscire dall’abitacolo e sbirciare attraverso il vetro, spiaccicandoci contro la faccia. Tuttavia, nonostante la lucidità compromessa, non si mosse d’un millimetro: rimase assorto, lo sguardo apparentemente che vagava a delineare il vuoto più totale, mentre nella propria testa una scena prese forma, pian piano.
Aziraphale assopitosi durante la lettura, ad uno dei tavoli, con la testa immersa tra le pagine d’un libro datato, credendo di riuscire a far “le ore piccole”. L’indomani si sarebbe risvegliato di soprassalto, per paura di tardare coll’apertura del negozio e tutto indolenzito per la scomoda posizione nella quale si era appisolato. 

Il demone si lasciò sfuggire un sorriso, amaro quanto la bile che aveva preso a risalirgli su per le viscere. Il punto era, forse, proprio quello: il proprio tempo non lo avrebbe perso, né avrebbe voluto sprecarlo, dietro a nessun altro che non fosse quell’angelo da strapazzo…

Ripartì, con più calma, godendosi l’aria notturna entrare dal finestrino abbassato e raffreddare le goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte d’un velo sottile. 

Per toglierselo dalla testa, con un’alta percentuale di probabilità, l’unica maniera sarebbe stata quella di farsi una doccia con l’acqua santa che lui stesso, in una o due occasioni, gli aveva procurato, estinguendosi definitivamente. 

…E ad essere del tutto onesti, non dava troppo credito al fatto che sarebbe poi stato sufficiente.

 

 

 

 

 

So I'll hit the lights and you lock the doors

We ain't leaving this room 'til we bust the mold

Don't walk away, don't roll your eyes

They say love is pain, well darling, let's hurt tonight

 

 

 

 

 

<< Sì, lo voglio. >>

<< Il Signore onnipotente e misericordioso confermi il consenso che avete manifestato davanti alla Chiesa e vi ricolmi della sua benedizione. L'uomo non osi separare ciò che Dio unisce. >>
I due si scambiarono un semplice bacio a stampo che, tuttavia, lasciava trasparire l’incontenibile gioia del momento.

Aziraphale si portò il fazzolettino in stoffa bianca appena sotto l’occhio sinistro, tamponandolo un poco per la leggera commozione, prima di battere con grazia le mani insieme al resto dei presenti.

Quando aveva ricevuto l’invito, la settimana precedente, era rimasto piuttosto sorpreso dalla lieta notizia. Il postino aveva fatto scivolare la busta sotto la porta della propria libreria,  insieme a qualche volantino pubblicitario, e lui stava addirittura per gettarla col mucchio di carta colorata che recitava formule quali “Offerta imperdibile!”. Poi, prima di buttare tutto nella pattumiera, si era accorto della ceralacca rossa posta a sigillarne il contenuto. L’aveva dunque aperta trepidante, con appena una punta d’ansia per la  comunicazione che avrebbe potuto esservi riportata nella lettera, ma un sorriso gli si era allargato subito in volto nel leggere in una calligrafia particolarmente arzigogolata i nomi del Sergente Shadwell e di Madame Tracy che lo sollecitavano a partecipare al loro matrimonio, fornendogli poi tutte le indicazioni sul luogo, sulla data e sulla cerimonia.

Non si era trattenuto dall’emettere un sottile, quanto buffo squittio che gli aveva giusto imporporato le gote, mentre aveva preso a camminare avanti ed indietro per tutto il negozio.
Ed ora eccolo lì, in quella minuscola, deliziosa chiesetta, nella periferia di Londra; sulla terza panchina di sinistra. Non aveva partecipato a molte funzioni matrimoniali, benché la propria natura celeste, quindi era ogni volta eccitante ed emozionante potervi assistere; senza contare il buffet gratis che ne sarebbe conseguito, così come il nuovo completo che aveva potuto sfoggiare apposta per l’occasione!

Oltre a lui c’erano, ovviamente, Anathema con Newton, Adam e la combriccola d’amichetti, con i rispettivi genitori, più una manciata di persone delle quali non aveva idea su chi potessero essere.
Neppure metà delle panche totali erano però occupate, nonostante ce ne fossero solo cinque per lato: pareva qualcosa di intimo e “fatto in famiglia”.

Aziraphale, poco dopo che il sacerdote aveva preso a declamare la Messa, si era dunque guardato attorno, volgendo la testa in ogni direzione possibile, come alla ricerca di qualcosa…Qualcuno.

Si stava chiedendo se anche Crowley avesse ricevuto l’invito per il matrimonio e se, il demone, avesse accettato a parteciparvi. Perciò, ci aveva messo qualche minuto di troppo nel rendersi conto che lui, anche nel caso in cui fossero successe entrambe le cose, non avrebbe potuto comunque entrare in Chiesa ed assistere alla celebrazione.

“ Non mi piace vederti in imbarazzo… “


Scrollò il capo. A dire il vero, era da un po’ che non lo vedeva bazzicare in giro e ciò lo aveva piuttosto stranito. O meglio, nulla di nuovo nel fatto che, l’angelo, spesso si smarrisse tra gli scaffali della propria libreria e s’immergesse nelle pagine di più libri, abbandonando qualsiasi contatto col mondo esterno, finendo così anche per perdere di vista l’amico per un po’. Ma era proprio a quel punto che il demone spuntava fuori, ripescandolo ogni volta da chissà quale anfratto della propria stessa mente: non importava dove fosse, cosa stesse facendo,  o i mille altri agenti interni od esterni; Crowley riusciva sempre a trovarlo.
Invece, da più di una settimana, sembrava si fosse volatilizzato nel nulla…Che gli fosse accaduto qualcosa? Avrebbe dovuto preoccuparsi? Insomma, sapeva bene fosse in grado di cavarsela in ogni situazione e che, soprattutto, erano gli altri a doversi per lo più preoccupare di lui, piuttosto che per lui, ma la verità era anche che, seppur mai lo avrebbe ammesso ad alta voce, sentiva la mancanza di quel suo ronzargli costantemente attorno come una sorta di mosca in agguato. 

A funzione terminata s’affrettò nell’uscire, allontanandosi previdentemente dall’ingresso, onde evitare d’essere investito dalla pioggia di riso che a breve si sarebbe abbattuta sugli sposi. Si posizionò subito oltre l’angolo dell’edificio, per applaudire nuovamente all’unisono con gli altri invitati senza rischiare che i chicchi gli si infilassero tra i candidi riccioli, quando notò ad un centinaio di metri, stazionata sulla piazzola laterale di ghiaino bianco, la Bentley.
Volse le iridi al cielo, sbuffando teatralmente un sospiro, e s’avvicinò tutto impettito. << Sei venuto vestito di nero, ad un matrimonio? >> 

Il demone in questione, poggiato alla carrozzeria della propria auto, distolse lo sguardo, che pareva dietro le lenti degli occhiali vagare ben oltre l’orizzonte, mentre la soffusa luce arancio del tramonto lo illuminava nel gesto di portarsi una sigaretta già consumata per metà alle labbra, da un punto indefinito per voltarsi verso di lui. << Il nero è elegante in qualsiasi occasione. >> sbuffò fuori una nuvoletta grigiastra, senza proferire altro.
Aziraphale fece una smorfia infastidita, sventolando un poco la mano per scacciare l’odore di fumo che lo investì. << Da quando hai ripreso a fumare? >>

<< Perché, avevo smesso? >>   << Sì. Precisamente dal ’90 al ’97. >> 

L’altro, in risposta, sollevò un angolo della bocca, divertito. << Beh, i tempi cambiano… >>

L’amico, per contro, rimase un attimo interdetto, fissandolo silenziosamente, prima di schiarirsi la gola. 

<< Sei stato invitato alla festa, dunque? >>

<< No, no. Ero qui a farmi un giro, fino a quando non mi sono imbattuto in una chiesa gremita di gente ed ho deciso di ficcanasare! >> 
Il sarcasmo con il quale gli si era rivolto, gli fece storcere il naso. << Giusto… >>

Crowley sospirò, scocciato. << Ai matrimoni scorre sempre una quantità d’alcol esorbitante, gratis per giunta. Così, sai, mi sono detto “perchè non cogliere l’occasione?” ed eccomi qua. >>

Aziraphale, a quelle parole, rialzò le pupille, precedentemente incollate al suolo, e gli sorrise di rimando. Non sapeva bene il perché, ma quando aveva constatato che l’amico era lì, fuori dalla Chiesa, improvvisamente s’era rilassato. Non che prima avesse ragione alcuna per cui essere agitato o nervoso ma, effettivamente, quando Crowley era nei paraggi, o si ritrovavano a qualche evento o da qualsivoglia parte assieme, l’angelo sentiva la muscolatura delle spalle farsi molto meno tesa, sciogliersi. Quel sollievo che colpiva quando, usciti di casa, si aveva il terrore di essersi scordati qualcosa sul tavolo della cucina, magari, mentre invece, controllando, lo si trovava lì, nelle tasche o in borsa. 

<< Oh. Guarda, sono usciti. Non vai a congratularti e a commuoverti un po’, angelo? >> 

Aziraphale osservò Crowley, aspirare un’ultima volta, prima che lasciasse cadere il mozzicone a terra e lo schiacciasse sotto la suola d’una scarpa - rigorosamente nera anche quella. 
Effettuò un mal riuscito gesto di nonchalance con la mano. << Nah! Provvederò a fare i miei più sentiti auguri al party di ricevimento… >> tentò di ridacchiare, sotto l’espressione imperturbabilmente scettica del diavolo, che lo costrinse a ritornare un po’ più serio e a schiarirsi nuovamente la voce << Allora…Così…
V-vai anche tu lì…L-lì al… >>
<< Oh, per l’amor di Satana! >> L’ennesimo sospiro. << Necessiti d’un passaggio? >> 

Aziraphale s’affrettò nell’annuire ripetutamente, con un sorrisone che gli arrivò sino all’attaccatura delle orecchie. 

<< Sali. Ho voglia di bere… >> nel pronunciare tali parole, Crowley, aveva già preso posto sul sedile, impugnando il volante con decisione.

<< Scelgo io la musica! >>   << Cosa!? No! >>

Aziraphale ridacchiò, conscio che quello era un gioco già vinto in partenza.
 << L’ospite ha sempre dei privilegi. >> gongolò, con un’espressione trionfante. 

<< Tu non sei un ospite: io ti ho permesso di venire! >>

<< Mh. Hai dei CD nuovi? >> constatò, senza prestare attenzione all’obiezione dell’altro, rovistando nel porta oggetti ed esaminando le copertine degli album musicali con fare critico, seppur quel sorriso non accennasse ad abbandonare il suo viso.

<< Mi stai ascoltando!? >> Il demone mise in moto, partendo con una sgommata che sollevò parecchia polvere e che fece girare qualcuno degli invitati ma, benché tutto quanto preso dall’ispezione circa i nuovi acquisti, l’angelo non ne fu vivamente infastidito data l’abitudine, ormai, allo stile di guida dell’amico.
La Bentley, dunque, sfrecciò incontro al crepuscolo, ad un sole che stava tramontando lentamente, che infuocava tutto il paesaggio circostante e la strada dinnanzi a loro.

 

 

 

 

When, when you came home

Worn to the bones

I told myself, "this could be rough"

Oh, I know you're feeling insane

Tell me something that I can explain, oh

 

 

 

 

 

 

Crowley ricordava perfettamente il momento in cui era caduto, quando aveva scelto di seguire Lucifero - il quale ai tempi era ben diverso da allora -, come fosse ieri.

Quello di cui aveva memorie indistinte, immagini sfocate e confuse al pari di flash sporadici, era il periodo antecedente: ali bianche, sensibilità diversa…

Forse, lui - un tipo come lui -, era stato proprio “progettato”, previsto per divenire un demone; non aveva la giusta prescrizione per essere un angelo.
Si portò il bicchiere alle labbra, seccando l’ultimo sorso d’un liquido ambrato, seduto scomposto sullo sgabello al bancone del bar improvvisato, in modo tale che potesse tenere sott’occhio tutta quanta la sala adibita. 

Era tutto cominciato con una semplice, “innocua” domanda; una supposizione. Poi, ne erano conseguite altre, fino a che la sua mente non era stata sopraffatta da quei quesiti che non gli davano pace, intossicandolo al pari d’un subdolo veleno: più ci si chiedeva, più se ne voleva sapere…

Tutto questo fino a quando non aveva cominciato a mettere in discussione l’operato dei propri fratelli, facendoli sospettare di lui e, senza che neppure gli fosse dato il tempo necessario di rendersene conto, era stato cacciato dal Paradiso. Era precipitato. E le sue ali, in una muta dolorosa come poche cose ricordava gli avessero fatto provare tanto male nella sua esistenza millenaria, erano virate da grigio sempre più plumbeo sino al nero che le contraddistingueva ancor ora. 

Era davvero quello il Male supremo? Farsi domande, mettere in discussione l’operato Superiore, era l’unica cosa che veniva considerata oltremodo imperdonabile? Infrangere qualcuna delle stupide regole o imposizioni era peggio che rifiutarsi di eseguire l’ordine che gli intimava d’uccidere? 

<< Un altro, grazie… >> un tipo imbellettato in uno smoking bianco e con un orribile farfallino nero, dall’altra parte della lastra orizzontale in marmo, allungò la mano verso la bottiglia di Bourbon << Pieno, fino all’orlo. >> precisò.

Lui aveva bisogno di sapere, di capire, di domandarsi; non poteva semplicemente sottostare per “credo” o cieca  “fede” e, probabilmente, nei secoli era per tale ragione ch’era andato allontanandosi anche dal Signore Oscuro, sempre più sull’onda della tirannia, molto più lontano dal peccato del quale era stato accusato all’inizio: voler essere sullo stesso livello di Dio perché desideroso di possedere la medesima conoscenza, coscienza.
Ma, oramai, non poteva far altro che rientrare sotto l’etichetta di “diavolo”, poiché non vi era nessun altro posto, per lui, che non fosse l’Inferno; nessun luogo che lo avrebbe accolto. Ma il potere, quello, non era mai rientrato fra le proprie mire. Lo lasciava volentieri a megalomani come, appunto, il “suo Capo” o quello di Aziraphale.

Ingurgitò tutto d’un fiato il quinto rifornimento, sbattendo rumorosamente il fondo del Glencairn sul bancone, in modo tale che l’uomo che lo aveva servito qualche minuto fa, afferrasse che avrebbe dovuto nuovamente versargliene dell’altro.

Dal primo momento in cui aveva conosciuto quell’angelo, nell’istante in cui si erano incontrati, scambiandosi non più di qualche parola, aveva scorto qualcosa, nei suoi occhi. Quel qualcosa che pareva proprio la simil scintilla ch’aveva condotto lui stesso a chiedersi tanto.
Conoscendolo meglio, poi, aveva compreso però quale fosse la sostanziale differenza tra loro due: Aziraphale aveva un terrore folle di deludere gli altri, un bisogno quasi spasmodico di compiacere chiunque e che ciò che compiva fosse riconosciuto. Per questo Crowley sapeva che mai avrebbe potuto ribellarsi.

Lui, al contrario, non s’aspettava alcun riconoscimento, né tanto meno avrebbe fatto qualcosa per qualcuno: non aveva chiesto lui di esser creato, anzi! Ogni sua singola azione era dettata da ciò che a lui sembrava giusto o scorretto, quello che secondo lui andava fatto nella concatenazione delle singole circostanze, e non di certo perché gli fosse detto “bravo” o “cattivo”!

Aziraphale, invece, confidava davvero nel fatto che se gli si diceva che qualcosa fosse sbagliata, rompere tale divieto, fosse inammissibile: quelle rare volte in cui lo aveva visto far ciò, alcune anche a causa sua, s’era sentito in colpa per decenni se non più, ed aveva profondamente temuto per l’amico.
Quindi, alla fin fine, era sollevato, quasi contento - grato, che quell’angelo da strapazzo rimanesse tale, senza rischiare un’Eternità di sofferenza nel rinnegare il cielo, come lui aveva fatto. 

Magari era proprio per quello che leggeva: poteva permettersi nei libri tutti quei quesiti, diventare tutto ciò che avrebbe voluto, per un po’, senza ripercussioni sulla realtà…

Crowley, per contro, tentava alle volte di affogare tutte quelle domande, quei buchi neri che aveva riguardo al Mistero dell’Esistenza, nell’alcol, senza alcun ritegno: infondo, ancor prima di lasciarsi andare al vuoto dietro di lui su quel dirupo, immaginava fosse molto più facile non interrogarsi affatto, considerato che non sarebbe giunto comunque da nessuna parte, a nessun punto d’arrivo, e che sarebbe stata una costante, bruciante dannazione auto-inflitta; una tormentata ricerca senza fine né scopo, eppure nella quale ci trovava un minimo di senso… Per questo, per questo era un demone.

Ingollò il settimo bicchiere di Bourbon e lasciò uscire un fiotto d’aria dalla bocca, richiedendone un ottavo, senza proferir parola. Da dietro le lenti, però, vide qualcuno sullo sgabello sederglisi difronte, ed una zaffata di colonia profumata gli investì le narici, coprendo l’odore pungente del distillato. 

<< Non starai esagerando un pochino? Siamo qui da poco più d’un ora e tu non hai fatto altro che startene qua seduto a scolarti…quello. >>

Ignorando la faccia accaldata e le viscere borbottanti - e non di certo per l’alcol ingerito -, l’altro sbuffò
<< Che fai, mi controlli ora? >> fece scontrare il fondo del bicchiere in vetro contro il marmo, per richiamare l’attenzione dell’uomo: evidentemente quel buonannulla non doveva aver recepito il messaggio!

Aziraphale, in tutta risposta, roteò gli occhi al cielo, sospirando scocciato, ma tentò nuovamente di scollarlo dal di lì << Al buffet ci sono un sacco di prelibatezze. Dovresti seriamente assaggiarne qualcuna e magari… Magari mettere qualcosa nello stomaco! >> 

<< Hai già fatto il pieno di tutte quante? >> ridacchiò Crowley, di rimando, riconoscente che quei tre cubetti di ghiaccio galleggiassero finalmente in qualcosa che non fosse aria. L’angelo gli scoccò un’occhiataccia, che gli fece portare una mano dietro il capo, leggermente risentito. << Oh, ma dai, “mamma”! Non mi pare che anche tu sia proprio a secco, a giudicare dalle guance e dal naso cremisi. >>

L’altro boccheggiò un poco, alzando un indice in segno d’obiezione << Beh, potrei aver bevuto una o due flûte di Champagne, ed uno o due bicchieri di punch alcolico alla frutta… >> acconsentì << …e, forse, anche uno o due di quei cocktail deliziosi…Ma. Io, per lo meno, ho intervallato con del cibo, perciò l’effetto viene notevolmente ridotto. >> protestò, terminando la propria tesi con l’espressione in viso di chi era incontestabile. 

Crowley scoppiò in una risata che indignò l’amico difronte, battendo i piedi a terra, quasi fosse la battuta più divertente che avesse udito negli ultimi cent’anni. << Certo, certo…Come vuoi. >> scandì, tra le risa.

Aziraphale, sbuffò sonoramente, incrociando le braccia al petto ed imbronciandosi oltremodo e l’amico  fu costretto ad annacquare il pensiero che in quel modo fosse davvero adorabile con il nono bicchiere di Bourbon.

<< Allora, visto che hai terminato anche quello, ce lo vieni, adesso, a fare un giro con me,
fuori in giardino? >>
L’altro lo fissò, un secondo interdetto, non certo d’aver sentito bene, per poi alzare, tentennante e non troppo lucido, il didietro dall’imbottitura bordeaux dello sgabello.


In seguito alla celebrazione, erano tutti quanti stati invitati a raggiungere una villa poco distante da dove si era svolto il matrimonio, a quanto pareva completamente affittata per l’occasione. L’edificio era mastodontico, in puro stile vittoriano, illuminato quasi a giorno da dei faretti bianchi posti all’esterno, e con tanto di piccolo parco privato, interno agli alti cancelli in ghisa. 

Dentro alle mura, nelle sale al pian terreno, erano stati adibiti un angolo bar e un buffet come pochi ne aveva visti in giro - perlomeno dai tempi di Luigi XIV con la sua corte di Versailles; infine una sorta di pista da ballo, connotata da luci soffuse, che s’estendeva fino alla parte di giardino sul retro, sotto una veranda montata per l’occasione.

Dopo i festeggiamenti, inoltre, a quanto ne sapeva ed aveva orecchiato nel corso della serata, lui, l’amico, Anathema, Newton e pochi altri sarebbero stati esortati, da partecipazione, a fermarsi a dormire lì durante la notte, nelle stanze appositamente destinate a ciò, al piano superiore.

Fuori, nella parte di prato anteriore all’abitazione, c’era maggiore oscurità e, sopratutto, meno caos per i gusti di Crowley. Così, non prima d’essersi procurato una bottiglia di birra, era lì che aveva seguito Aziraphel per una passeggiatina, per poi sedersi lontani dalla confusione generale, in mezzo all’erba fresca, tagliata di recente.

<< Questo è proprio un bel posto. >>   << Bah! Immaginavo che ad uno come te non sarebbe non potuto piacere… >> commentò il demone, concedendosi un sorso. 

<< A quelli come te, invece, possono piacere solo cimiteri e castelli lugubri o gotici? >> lo schernì ironicamente, guardandolo di traverso con un ghigno che, ad un angelo, non avrebbe dovuto confarsi tanto. << Tsk! Non sfottermi, angelo… Non ho detto non sia un bel posto, ma solo che era chiaro che ad uno come te sarebbe piaciuto! >> Crowley alzò le mani al cielo, in segno di resa, per poi portarsi l’anello in vetro alle labbra ed attingervi.

L’altro sorrise, divertito, espirando dal naso. << D’accordo, d’accordo. Ma quello che intendevo era: guarda che cielo… Le stelle, da qui, risplendono che è una meraviglia. >> allargò la curva delle labbra, rivolgendo le iridi cerulee all’insù. 

<< Già. Già, è vero. >> Crowley poggiò il contenitore vuoto solo per metà al proprio fianco, e si sdraiò  fra i  soffici steli, con le gambe piegate. Aziraphale lo seguì a ruota, un minuto dopo, sospirando allietato. 

Complice l’alcol, senza che se ne rendesse neppure conto, erano entrambi stesi a ridere di quei discorsi sconclusionati; di delfini, balene e Kraken. Senza che ci fosse nessun ruolo da rivestire a bussare alla porta, come fossero semplicemente loro due in quel preciso istante.

Crowley guardava l’angelo con le lacrime agli angoli degli occhi, tenersi qualche volta la pancia dalle troppe risate, e rideva anche lui di rimando: adorava svuotarsi la testa a quel modo e riempirsi le pupille…

E cosa gliene importava del Paradiso se poteva permettersi momenti tali?!

 Nel voltare la testa, appena, nella direzione di Aziraphle, trovò quest’ultimo intento a scrutarlo in silenzio, un dolce sorriso dipinto in volto, le guance arrossate per quanto bevuto, le iridi accentuate da uno strano luccichio. Il fiato caldo dell’angelo gli solleticava il naso e Crowley non fu in grado di far altro se non scandagliarlo di rimando, immobile ed estasiato. 

Poi, poi fece l’errore di far cadere il proprio sguardo sulle labbra dell’amico, distese, quasi fossero in posa, appena dischiuse nel mostrare uno scorcio di dentatura nivea. 

Sporse impercettibilmente il collo in avanti, accorciando la distanza di quello che era uno scarseggiante millimetro, chiedendosi come sarebbe stato baciarlo in quell’attimo preciso, poggiare le labbra su quelle 

di lui e

Aziraphale non parve accorgersi di tutto quello che gli vorticava in testa; non parve accorgersi di niente. O, presumibilmente, s’erano trovati talmente tanto spesso in determinate situazioni, così vicini, uno accanto all’altro, che non ci vide assolutamente qualcosa di strano, perché non sembrava ci fosse proprio niente di strano. No, non c’era nulla di strano…

Eppure, Crowley, non riusciva ad estraniarsi dalla domanda che lo faceva fantasticare su cosa sarebbe potuto accadere se lo avesse baciato, se avesse annullato il piccolo spazio tra le loro bocche. Lo avrebbe respinto? Avrebbe ricambiato per pentirsene subito dopo? Gli avrebbe messo una mano dietro la nuca, fra i capelli? 

E nel mentre, inconsciamente, il mento gli tremolava nel tentare di trattenerlo al massimo delle proprie possibilità: due o tre centimetri al massimo e gli avrebbe sfiorato la punta del naso…

Avrebbe potuto semplicemente baciarlo, in un’occasione come quella? Avvicinarvisi con fasulla nonchalance ed umettargli le labbra con una passata di lingua, prima di schiacciare le proprie contro quelle dell’altro?
Se lui non avesse dovuto ricambiare, se tutto quello provato fosse sbagliato - come solito -, cosa ne sarebbe stato della loro amicizia? Lo avrebbe perso? Sarebbe andato tutto in fumo… E poi?

Non avrebbe retto un rifiuto, nonostante non ricevesse altro da millenni, non ce l’avrebbe fatta senza Aziraphale… Però quelle labbra, quelle dannate labbra, rilassate in un sorriso, erano così invitanti che parevano chiamarlo, sussurragli!

Come… Cosa sarebbe accaduto, se… Aveva il permesso di… Un secondo ancora e sarebbe impazzito, avrebbe dato di matto… Erano proprio

S’alzò di scatto, si sistemò a sedere, afferrando la birra, ormai riscaldatasi, da dove l’aveva abbandonata, incurante. La scolò in poco meno d’una sorsata e s’erse in piedi, avvertendo una vertigine sorprenderlo, barcollò appena, e lo stomaco gli si rivoltò per qualche minuto, mentre tutto girava. 

 

Aziraphale lo rendeva un individuo migliore, voleva esserlo dinnanzi a lui e per lui…

 

Gli allungò una mano, attendendo l’amico gliel’afferrasse, ancora mezzo supino intento a guardarlo leggermente stranito da quella movenza repentina. << Andiamo dentro? Ho un po’ di freddo… >>
No, non poteva rovinare tutto così, in poco meno d’un istante; non se lo sarebbe mai permesso: seimila anni gettati al vento!

 

…Per questo s’era sentito tremendamente sbagliato quando aveva pensato di poterlo deturpare, contaminare poggiando le proprie marce labbra sulle sue: si sarebbe trattato di intaccare qualcosa di estremamente quanto inestimabilmente puro con qualcos'altro ch’era putrido come lui.


L’angelo afferrò l’arto teso e tornò a poggiare i piedi a terra, come l’amico, annuendo e seguendolo in direzione dell’ingresso della villa, in mezzo ai festeggiamenti. 

 

“ Io sono un Angelo, tu un Demone… “

 

 

 

 

 

I'll hit the lights and you lock the doors

Tell me all of the things that you couldn't before

Don't walk away, don't roll your eyes

They say love is pain, well darling, let's hurt tonight

If this love is pain, well darling, let's hurt, oh tonight

 

 

 

 

 

 

Aziraphale spalancò la porta della propria stanza da letto, sorridendo al corridoio deserto. Inspirò profondamente, per poi richiudersi l’asse di legno alle spalle, darvi un giro di chiave, ed infilare quest’ultima nella tasca della giacca, così da restituirla a Madame Tracy. 

S’era alzato di buone lena, senza quel fastidioso mal di testa che lo colpiva di sovente quando alzava un po’ il gomito, egregiamente vestito e pulito; avrebbe sorseggiato una tazza di the caldo, usufruendo della colazione offertagli, salutato e ringraziato il Sergente Shadwell e sua moglie, per poi andarsene. 

Beh, sempre Crowley si fosse già svegliato, viste le pessime condizioni nelle quali versava la notte prima, l’ultima volta che l’aveva intravisto…

Pregò perché così fosse e scese i gradini che lo condussero sino al salone, dove non pareva esserci ancora nessuno. Si guardò intorno, fino a quando non udì una risata femminile, una voce squillante, quanto divertita. 

Seguì quel suono, fino alla portafinestra spalancata, dalla quale le tende bianche si gonfiavano verso l’interno, mosse da una leggera brezza primaverile. 

S’affacciò, celato dalla stoffa intonsa, e vide in uno dei tavolini della sera prima, sotto il fine gazebo, Anathema spiluccare una brioche e ridere di gusto. Strizzò le palpebre, mettendo allora a fuoco chi le stava seduto scompostamente difronte: Crowley, con una tazza di caffè fumante fra le dita, a giudicare dall’aroma che aleggiava nell’ambiente circostante. 

<< Ah, sta zitta! Non ero poi così tanto ubriaco, ieri sera… >> lo vide portarsi il bordo della tazza alle labbra,  mentre l’altra scoppiava in un’altra sonora risata. << Stai scherzando, vero!? Eri pa-te-ti-co. >> mollò la brioche nel piattino vuoto sopra il tavolo, portandosi una mano a strofinarsi un occhio e l’altra se la poggiò sull’addome. << Hai persino invitato Aziraphale a ballare e quando lui ha rifiutato, per poi scatenarsi in pista qualche minuto dopo con uno sconosciuto, hai letteralmente fatto fuori qualsiasi cosa ci fosse d’alcolico al bar! >>   << Beh… >> 

Anathema rise ancor più forte, se possibile. << Aspetta, aspetta! Come se non bastasse, dopo che lui se n’era andato di sopra, tu ti sei messo a cantare a squarciagola in mezzo al soggiorno ed, infine, hai vomitato addosso, a getto, a Newton! >>  << Uh! Mi odierà a vita, d’ora in poi… >> ridacchiò, sorseggiando il caffè.

<< Ci puoi scommettere! Ciò che è avvenuto antecedentemente, lo risparmio alla tua dignità, ma nel caso d’un po’ di sano masochismo, sai dove trovare me e i miei video testimonial. >> ammiccò, la ragazza, mettendosi in bocca un altro pezzetto minuscolo di cibo. 

Durante i due mesi trascorsi dalla sventata Apocalisse, Crowley ed Anathema avevano, in qualche modo, legato: Aziraphale sapeva che ogni tanto si trovavano per un caffè, o un giretto, durante i quali chiacchieravano parecchio. Parevano andar particolarmente d’accordo, al contrario di quanto si sarebbe potuto mai aspettare. Se qualcuno glielo avesse anticipato prima gli avrebbe, sicuramente, riso in faccia come lei, ora, stava facendo in faccia a Crowley. Eppure, eppure eccoli lì, quasi fossero amici di vecchia data.

Qualche tempo fa, aveva provato a parlargliene, durante uno dei loro…una delle loro uscite.
<< Non dico di non essere felice per il vostro…Inusuale feeling, ma, vedi, noi siamo creature celesti…Cioè, nel tuo caso…Beh, diciamo ultraterrene e… >>

<< Aziraphale, di che parli? Arriva al punto. >> aveva sbottato, sorreggendosi la fronte con un palmo. 

<< Della…Strega! Non è proprio consentito, permesso insomma, il nostro fraternizzare con gli umani… O meglio, non circa i rapporti…intimi. Dovremmo limitarci alle nostre mansioni, ai nostri compiti verso di loro, ma…Senza invischiarci troppo, ecco. >> l’angelo, nonostante gli occhiali, poté sondare senza fatica alcuna l’espressione noncurante del diavolo, che inarcò addirittura un sopracciglio. << Non fa bene a loro, soprattutto! >> s’affrettò ad aggiungere, allora.

Inutile dire che, ovviamente, Crowley aveva fatto di testa propria, infischiandosene di regole, consigli e quant’altro, perseverando nell’incontrare, di sovente, la mortale.

Aziraphale era lieto che l’amico avesse trovato qualcuno con cui passare del tempo, però tutt’ora non riusciva a spiegarsi quell’anomala morsa di bruciore alla bocca dello stomaco ogni qualvolta li vedeva assieme…Tipo, oh Cielo, adesso!

Inoltre, sapeva bene che origliare le conversazioni altrui non fosse lodevole, tutt’altro, ma non poté fare a meno di rimanersene lì, impalato, dietro la tenda che sventolava, con i piedi che quasi gli si erano impietriti. 

Tuttavia, perso nelle proprie digressioni s’era lasciato sfuggire buona parte della discussione e si domandò come vi fossero mai potuti giungere, a quel punto: << Qual era quel termine, che avevate usato una volta…Inaff-… Ineffabile? >> 

Crowley annuì, senza proferir risposta, raschiando apaticamente con lo sguardo i fondi del proprio caffè. 

<< Ecco, voi due siete un duo ineffabile! Non una coppia, ufficializzata quanto meno, né semplici amici, ma qualcosa di più, molto di più; di diverso… >> 

Aziraphale storse il naso. 

<< Insomma, sì! Qualcosa d’ineffabile, che…Che non si può tentare di spiegare a parole, che forse non è nemmeno comprensibile, qualcosa d’inafferrabile… É il modo in cui voi esistete, assieme, come siete… Qualcosa fuori dal comune, di straordinario e d’ineluttabile perfino al Destino stesso! >>

<< Fantastico… >> il demone non accennò a mutare espressione, nel commentare sarcasticamente, continuando imperterrito a cercare qualcosa dentro la tazza. 

<< Okay, okay. Tentativo di consolarti numero uno, fallito. Anzi, pessimo, direi.
Ci ho provato, d’accordo?! >> nessun segno dalla parte opposta del tavolino tondo, così la strega proseguì col monologo. << Ad ogni modo, lascia che ti dica che se io ce l’ho fatta con quello sfigato del mio Newton, tu ce la puoi benissimo fare con quell’ottuso di Aziraphale! >> esclamò, determinata, poggiando una mano su quella inerte di Crowley. 

Cosa, sfigato!? Ottuso!? Non avrebbe ammesso ulteriori diffamazioni nei propri riguardi, sarebbe andato là, interrompendo quell’assurdo blaterare, sfoggiando il suo più finto sorriso per rivolgere loro il “buongiorno”.

<< Aziraphale. Buongiorno. >> prima che potesse muovere anche un solo passo, la voce pacata di Madame Tracy lo sorprese, facendolo sobbalzare, tanto da portarsi una mano al petto. La donna, in vestaglia, stringeva tra le dita una tazza di the bollente, dalla quale pendeva la linguetta in carta del filtro. Gli si era messa di fianco, puntando lo sguardo fuori, in giardino. 

<< Oh, buongiorno a lei Madame Tracy. >> sorrise sinceramente, l’angelo, non appena ebbe constatato si trattasse della donna. 

<< Hai dormito bene, questa notte? >>  << Certamente! Come un angioletto. >> ridacchiò, l’altro.
<< A proposito! Ecco qua… - Aziraphale s’infilò una mano in tasca - la chiave della mia stanza. La ringrazio di vero cuore per l’ospitalità. E, davvero, i miei più sentiti complimenti per la splendida 

funzione celebrativa! >> 

<< Sai - la donna s’interruppe con un sorso di the - molti dei presenti, ieri, mi hanno chiesto, in disparte, come mai avessimo deciso di sposarci alla nostra età… >>

L’altro, congiunse le mani dietro la schiena, in posizione d’ascolto per ciò che la donna mostrava l’intenzione di volergli raccontare. 

<< Aldilà di qualsivoglia significato religioso, o dell’idea legata all’unione dinnanzi a Dio, ciò che per me il matrimonio d’importante doveva rappresentare era il suggellare la scelta fatta… >>

La guardò confuso, non credendo d’aver recepito appieno cosa realmente stesse intendendo. Madame Tracy, gli sorrise.
<< Sai, l’amore, quello con la “A” maiuscola, non è ciò che i più credono che sia. >>
Aziraphale s’era interrogato parecchio su quel tipo di sentimento a lui tanto astruso, rappresentato nella maniera più disparata tra le pagine dei libri che divorava. Come angelo non avrebbe potuto innamorarsi, agli emissari inviati dall’Altissimo non avrebbe dovuto esser possibile; designati unicamente per provare compassione, misericordia interpretate nel loro senso più elevato e puro, per gli esseri umani. Gli sarebbe dispiaciuto innamorarsi? Si era mai innamorato? Amare qualcuno…Cosa avrebbe dovuto significare?

Non era permesso a loro, lui perché prerogativa umana, giusto? 

<< Amare non è una specie di sortilegio che colpisce di punto in bianco e per il quale si vede l’altra persona contornata da scintille e stelline; non sono le farfalle nello stomaco, essere costantemente in preda all’ebrezza, come accade nelle favole dove basta uno sguardo, mezzo sorriso, perché si abbia la certezza che quella sia la propria “anima gemella”, perché tutto, da lì in poi, sia perfetto… Mi segui? >>
<< Io…Penso di sì. >> annuì, corrucciato, tentando di mettere a fuoco un punto cieco, figurandosi tutto quello che lo aveva convinto di film e romanzi. 

<< O meglio, durante i primissimi tempi è anche così - soprattutto così. Ma quello si chiama “innamoramento” ed è una fase che non può durare per sempre. Se è “Amore”, allora, è destinato ad evolversi in qualcosa di ancor più spettacolare, indescrivibile! >> Aziraphale trattenne il respiro, per un tempo indefinito, quasi stessero per rivelargli uno dei segreti del Creato.
<< Lo stomaco in subbuglio, il batticuore, l’imporporarsi delle gote e i sorrisini ebeti, vengono sostituiti, man mano, con le occhiate cariche di una complicità indefinibile, con il conoscere a memoria senza che diventi scontato o banale, magari, uno dei tanti gesti quotidiani altrui; e, credimi giovanotto, c’è una differenza abissale tra il conoscere, tra la quotidianità, e l’abitudine!
Amore è fiducia, certezza riposta nel fatto che con l’altra persona tu non debba mai fingere d’esser qualcun altro, che in una maniera o in un’altra, ogni tua piccola sfumatura verrà accolta, troverà il proprio posto: la consapevolezza che puoi esporti in tutto e per tutto, nonché la possibilità di mettere in altre due mani ogni tuo aspetto di vita, se non quest’ultima stessa. L’altro diverrà, per te, punto di riferimento del quale non potrai fare a meno, un faro inestimabile. Amore è costruire insieme. Questo, naturalmente, non vuol dire che non saranno presenti momenti di difficoltà, correnti avverse e tempeste d’attraversare, poiché più vi è vicinanza, intimità, dimestichezza, più vi saranno scogli da superare; le battaglie di uno, diverranno quelle dell’altro e viceversa. Così funziona. 

Amore è liliale condivisione, due radici che si fondo per dar vita ad una pianta, che nuovamente si diramerà in foglie lussureggianti - e no, non sto parlando di figli o quant’altro.

Amore è scegliersi consapevolmente ogni giorno. Ci sono, al mondo, sicuramente migliaia di persone giuste per noi, ma ad un certo punto, per un qualcosa di inspiegabile e non assolutamente razionale, si sceglie quella persona. Non esiste l’unica, la sola, che calza a pennello da attendere. Un po’ come scegliere di amare se stessi ogni giorno: ci sono momenti nei quali vorresti estinguerti con le tue stesse mani, nei quali non ti sopporti, e desieresti semplicemente sparire, eppure ci si rimbocca le maniche, si fa un passo indietro, e si riparte, scegliendosi ancora ed ancora, innamorandosi nuovamente, se necessario, di tutte le nostre peculiarità, positive o negative che siano, perché siamo la nostra Stella Polare, la nostra unica certezza. Sono convinta che sia per questo che molti, troppi, reputino quello che si definisce “Vero Amore” tanto raro, introvabile: non hanno il coraggio, la pazienza di scegliere, bloccati nell’idea che l’Amore sia uno stato d’innamoramento immutabile, come fosse fissare ed annusare un fiore che resterà eternamente perfetto, senza dover far nulla…

Aziraphale deglutì a fatica, le fauci improvvisamente secche. Due occhi serpentini, iridi gialle che lo guardavano in quel modo inconfondibile che non avrebbe saputo etichettare ma lo faceva tremare nel profondo senza scuoterlo veramente, che mai avrebbero distolto l’attenzione da lui, nel bene e nel male, gli attraversarono la mente come un fulmine a ciel sereno, baluginandogli per qualche secondo davanti alla vista. 

<< Dato che tu sei un libraio, dovresti aver sicuramente letto il “Piccolo Principe”: bisogna sfogliarlo innumerevoli volte, prime di recepire tutto quello che vorrebbe trasmettere! A mio parere, dovrebbe essere una lettura obbligatoria nelle scuole… Lì, tra quelle pagine, è descritto l’Amore autentico. Il protagonista che, nonostante i viaggi e gli incontri con gli individui più disparati, nonostante la Volpe, sceglie di tornarsene dalla propria Rosa, perché quella è la Sua Rosa, la sua scelta, che comprende tutto quello che ha fatto, sacrificato per lei; tutto ciò che hanno vissuto insieme, i loro trascorsi… Non so se mi spiego, insomma. Ma, di certo, tu lo saprai meglio di me. >> ridacchiò, intervallando con del the, il quale ormai avrebbe dovuto essersi intiepidito. << Il tempo, ovviamente, fa poi il suo corso. C’è chi mai accetterà la scelta che ha già inconsciamente e irrimediabilmente compiuto, per paura o timore, rinnegandola sino all’ultimo; o chi, magari, neppure se ne rende conto. Ognuno ha i propri tempi per prendere coscienza di ciò, di tutto questo: c’è chi ci mette un batter d’occhio, è c’è a chi serve un’intera vita… Quando il Sergente ha realizzato tutto questo, per me e con me, durante i primi sei mesi di convivenza, gli venne talmente tanto spontaneo da disorientarlo completamente, spaventarlo, addirittura, a tratti; allora, allora si ritraeva un poco, spaesato. E, a me, toccava stanarlo e tranquillizzarlo sul fatto che fosse tutto apposto, che era la medesima sensazione per la sottoscritta. >> Ci fu una pausa, entrambi lontani nell’osservare la linea dell’orizzonte, un silenzio che mai fu tanto rarefatto.

<< Ad ogni modo - svuotò la tazza, stretta nella mano su cui troneggiava la fede - era per me importante celebrare queste nozze in rappresentanza simbolica proprio riguardo questa scelta consapevole… Scegliere d’aver scelto. >>
Fu come uno strappo netto, una secchiata d’acqua gelida che gli piombava addosso; ci mise un po’ ad avvertire il gelo dei vestiti infradiciati.
Aveva chiuso gli occhi tutto quel tempo, onde evitare di vedere ciò che già era palese? Temeva di…Di…Di cosa aveva paura, effettivamente?
Avvertì le ginocchia tremendamente molli, ma cadere sarebbe stato quasi un sollievo, all’idea che qualcuno pronto a prenderlo ci fosse.

Un punto di riferimento, compagno d’una vita, presente nei momenti peggiori, migliori; fiducia, il conoscersi a memoria ma mai abbastanza, la scusa e la ragione…

Non trovò scorcio più famigliare del demone, con quei suoi occhiali da sole perennemente indosso, che s’accendeva una sigaretta accanto alla propria auto.
Lui, Crowley…   << …Ti ha scelto. >> 

L’angelo sgranò gli occhi, voltandosi verso la donna. << Cosa? >>

<< Shadwell. Ti ha scelto come suo editore ufficiale per il libro che ha deciso di pubblicare, riguardante le proprie avventure da cacciatore di streghe. >> gli sorrise raggiante, poggiandogli la mano libera su una spalla e battendogli qualche colpetto affettuoso, un attimo prima di rientrarsene in casa. << Dice che t’invierà per posta il manoscritto, in settimana, così tu possa dargli un’occhiata il prima possibile. >> 

<< C-certo! >>

 

<< Angelo, finalmente! Che fine avevi fatto? >> Crowley fece qualche passo nella sua direzione, allargando le braccia, subito dopo essersi acceso una sigaretta nel parcheggio. Sotto gli occhiali scuri, poteva comunque intravedere l’alone di due livide occhiaie. << É da almeno un’ora che ti cerco! - sogghignò - Da quando sei tu a svegliarti dopo di me? Coraggio, voglio andarmene. Troppa…Vita sociale. >> concluse, esibendo una smorfia disgustata nell’aprirgli la portiera a lato passeggero.
Aziraphale si voltò un attimo, notando Anathema distante alzare un braccio in aria in segno di saluto, rivolto ad entrambi. Poi, fece due incerti passi avanti.
<< Io ti… >> inspirò fino a riempirsi per intero i polmoni. << …Ti scelgo. >>

<< Cosa? >> il demone lo squadrò, con un sopracciglio inarcato. 

<< Io ti ho scelto! >>
Mh. Avrebbe giurato sarebbe stato più semplice di così…

<< Si può sapere di che diavolo stai blaterando? >> l’amicò sbottò, evidentemente perplesso da tali parole.

Aziraphale sorrise, portandosi le mani intrecciate dietro la schiena e dirigendosi sornione alla Bentley, senza accennare ad alcuna spiegazione o chiarimento, sorpassando con nonchalance l’altro, ancora intento a fissarlo.
Crowley gettò la sigaretta a metà, scuotendo arrendevolmente il capo, chiudendo con un tonfo secco lo sportello e sistemandosi al posto del guidatore. Aziraphale richiamò la sua attenzione, una volta nell’abitacolo, rivolgendogli quell’espressione subdola tanto quanto divertita, e si scambiarono uno sguardo d’intesa; uno di quei loro sguardi. << Allora, andiamo da qualche parte… Mi offri qualcosa? >> 

 

 

 

 

So you hit the lights and I'll lock the doors

Let's say all of the things that we couldn't before

Won't walk away, won't roll my eyes

They say love is pain, well darling, let's hurt tonight

If this love is pain, then honey let's love tonight

 

 

 

 

 


<< …Just be sure to notice the Collateral Beauty. >>

 
  
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