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Autore: fumoemiele    03/08/2019    16 recensioni
Emily si era sempre sentita sola, spesso insicura; aveva ammirato il suo riflesso nell’acqua del lago e l’aveva visto sfocato e incerto, ma era rimasta ferma e ancorata al terriccio.
Solo in seguito aveva capito che Noah, specchiandosi, sarebbe affogato nell’acqua per raggiungere se stesso.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Legami da filo spinato
 
 
 

 
Era proprio così: anche le cose tristi passavano, anche i dolori, le disperazioni, come le gioie, impallidivano, perdevano la loro profondità e il loro valore, finché veniva un momento in cui non ci si poteva più ricordare cos'era stato a far tanto male. Anche i dolori sfiorivano ed appassivano.
 [Hermann Hesse]


1 - Amore

Emily aveva i capelli rossi come l’amore e come il sangue.
Perché entrambi fossero rossi non l’aveva capito; non ancora.
Quanto ai suoi fili sottili e sempre raccolti, però, poteva affermare con sicurezza di aver preso quel colore da suo padre e di esserne felice. Era l’unica cosa che le era rimasta, di lui, oltre ai ricordi cancellati dalle lancette e dal loro solito ticchettio.
Emily si era sempre sentita sola, spesso insicura, aveva ammirato il suo riflesso nell’acqua del lago e l’aveva visto sfocato e incerto, ma era rimasta ferma e ancorata al terriccio. Solo in seguito aveva capito che Noah, specchiandosi, sarebbe affogato nell’acqua per raggiungere se stesso. O avrebbe affogato Emily per non perderla. 

L’insicurezza non era mai andata via. La solitudine, però, a un certo punto l’aveva abbandonata ed era stata sostituita dal rosso dell’amore.
Era iniziato con un mazzo di rose dello stesso colore. Noah le aveva sorriso e le aveva chiesto di trascorrere la vita insieme – non subito, ma relativamente presto.
Emily l’aveva trovato strano, al principio. Era stato un tornado di emozioni e l’aveva scombussolata senza lasciarle la possibilità di pensare e di respirare. In apnea si era innamorata di Noah e della sua dolcezza, delle sue promesse, dei suoi discorsi pieni di miele e privi di male.
La notte del loro primo anniversario avevano guardato le stelle. Lui le aveva detto che sarebbero rimasti insieme per sempre perché intorno alle dita avevano legato lo stesso filo rosso. Probabilmente quello stesso filo l’aveva annodato con destrezza e impegno un marinaio perché niente sarebbe stato capace di distruggerlo e lasciar dissolvere quei sentimenti.

Fu solo un istante quello in cui quel legame si trasformò. Noah le aveva legato i polsi con del filo spinato, non più rosso, bucandole la pelle e facendo sgorgare il sangue coagulato.
L’amore era stato forte, ma in quei giorni a Emily parve non essere mai esistito, sembrò quasi un’allucinazione malvagia e di quelle che lasciano un senso profondo di smarrimento e troppo dolore.
Noah si era trasformato in una bestia pari al diavolo stesso, forse tentato da una qualche forza perfida e assetata di amore tossico.
Era diventato tutto verde e radioattivo. Il rosso si era dileguato e quei sentimenti erano mutati.
L’autostima di Emily, che sembrava essersi risollevata, grazie a lui, in quei giorni crollò sul suolo, schiantandosi e disintegrandosi in cocci taglienti.
La noia l’aveva consumato a lungo, Noah, forse per questo aveva sentito il bisogno di qualcosa di più intenso, di una scarica elettrica ma mai letale.
Solo allora era iniziata la manipolazione, la svalutazione, la seconda fase del piano malvagio.
Ed era iniziata quando Emily si era tinta le labbra di rosso per andare a lavoro. Quando era tornata a casa, Noah aveva spinto la sua testa nell'acqua della vasca da bagno. Più e più volte. Le aveva fatto promettere che non si sarebbe più fatta bella per gli altri. 



2 –
Svalutazione

Con una copia di “Narciso e Boccadoro” fra le mani Noah si era sollevato dal letto, lasciando cigolare le assi. Aveva lasciato che il libro cadesse sul pavimento, aperto, perdendo la pagina senza orecchie storte. Solo un tonfo sordo.
“Dov’eri?” aveva chiesto, adirato. Emily non aveva risposto ai suoi messaggi ed era rimasta da sola a pensare, a riflettere, a colpevolizzarsi per come si erano inclinate le cose fino a spezzarsi. Erano stati una cosa sola e ancora adesso Emily si sentiva quasi un’estensione dell’altro, non riusciva più a sentirsi un unico e solo individuo. Aveva pensato a lungo, Emily, e aveva sentito che nonostante la cattiveria di Noah fosse infinita e spietata, non sarebbe stata capace di amare qualcun altro. Non sarebbe stata capace di innamorarsi, senza dolore; perché la sofferenza è parte integrante di ogni relazione umana. Aiuta a crescere, aiuta a concretizzare i sentimenti e a creare i legami con il filo spinato, cancellando quello rosso con il grigio del metallo.
“Stavi con un altro, non è vero? Sei una puttana. Una schifosa puttana.”
Emily aveva pianto e aveva scosso il capo. Era stata da sola con se stessa, aveva cercato di amarsi e leccarsi le ferite, il sangue dal sapore arrugginito. Aveva spalmato una pomata sui lividi vecchi e aspettato che si formassero i nuovi, dentro nell’anima e in superficie, sulla pelle pallida e smorta.
“Fai schifo” aveva urlato. L’aveva fatto talmente tante volte che Emily aveva perso il conto, ormai.
“Non sei niente, senza di me.”
E l’aveva sentito vero. Un taglio con l’ascia, un’amputazione tragica e definitiva.

Aveva parlato del dolore con un’amica, Emily, e lei le aveva dato la forza di mettere fine a quella tragedia. Le aveva detto che le relazioni tossiche esistono ed è difficile riconoscerle, è difficile uscirne, ma si può sempre ricominciare.
Era tornata a casa, aveva preparato i bagagli.
Solo allora era arrivato Noah.
Lei si era spiegata, pacata e in lacrime, con un groppo in gola che quasi l’aveva strozzata e lasciata annegare. Aveva espresso i suoi sentimenti, aveva detto che non potevano uscire da quella storia perché era difficile, ma faceva al tempo stesso troppo male per essere mandata avanti. E allora era meglio l’assenza.
Eppure Emily non si era sentita davvero convinta di quelle parole e l’aveva lasciato soltanto per farsi pregare di restare. Aveva bisogno che lui si mettesse in ginocchio e la supplicasse di rimanere lì, di non andar via, promettendo un cambiamento difficile ma inevitabile.
Non era andata in quel modo e Noah si era arrabbiato. Aveva trovato il modo di rovesciare le carte, scombussolare il gioco in tavola, uscendone vincitore grazie a quella vena da manipolatore astuto che non sarebbe mai stato in grado di recidere.
L’aveva trascinata fino in salotto per i capelli. Le ginocchia di Emily strisciavano stridendo sul pavimento e le dite dell’altro, strette intorno ai fili rossi, strattonavano e bruciavano il cranio e il cuore.

“Tu sei felice, con me” aveva urlato Noah. Le aveva messo davanti le loro fotografie incorniciate, il cuscino con sopra stampata un’immagine di loro, sorridenti e felici nei primi mesi di zucchero.
Emily aveva scosso il capo, in lacrime. “Non più.”
Noah aveva dissolto il pugno stretto, districando le dita sottili. Si era nascosto in cucina, era tornato con un coltello – Emily aveva pensato che era quello che utilizzavano per pulire il pesce. Poi non aveva avuto più modo di tornare con la mente alla cucina e al mare e Noah le aveva tenuto la testa immobile, aveva trascinato la lama da una parte all’altra delle labbra rosso ciliegia e il sangue era vomitato fuori a fiotti dai tagli.
Emily urlava e urlava ancora, Noah rideva e rideva ancora.
E se gli occhi di Emily piangevano, le sue labbra sorridevano, piegate in modo innaturale e storto, mentre le lacrime disinfettavano le ferite e annacquavano il sangue.

Era compito di Emily quello della fase dello scarto.
Perché questo era per lei, Noah: uno scarto umano.
Non andò esattamente così.



3 – Scarto 

Noah aveva pensato che con quel sorriso fatto di cicatrici Emily non sarebbe mai più stata abbastanza attraente.
Oltretutto, Emily non era più sottomessa e piegata. Aveva continuato a ribellarsi, a tentare di staccarsi da lui, ma ogni volta che aveva abbandonato quella casa si era sentita troppo sola, incapace di ricevere nuovo amore da qualcun altro.
Era rovinato il suo viso ed era in pezzi la sua anima.
Non sarebbe mai più stata capace di amare, eppure quel sentimento malsano verso Noah non era mai riuscito a sfumare via. Era passato il dolore sulle labbra, ma non quello intorno al cuore.

Una pausa di due giorni era stata la più lunga che era riuscita a concedersi. Poi era tornata, ancora, e a quel punto era stato Noah a scacciarla via.
Emily l’aveva pregato di perdonarla. Si era sentita sbagliata, a un certo punto; si era sentita colpevole e aveva implorato il perdono. È più facile soffrire insieme, che da soli in una stanza buia.
Noah aveva affermato di aver sentito troppo dolore per dimenticarlo, per passarci sopra. Le aveva detto che lei tirava fuori il suo lato peggiore.
L’aveva cacciata dalla sua vita e Emily si era sentita sola e abbandonata. E aveva creduto davvero di essere lei la causa di quei mali.

Soffrì tanto. Annegò nelle lacrime più e più volte, urlò per la disperazione fino a non poterne più. Tentò di ricominciare senza successo. I giorni era bui e vuoti, senza di lui.

Un mese dopo tornò a casa dell’altro, suonò il campanello con insistenza.
Noah aprì con l’aria stanca. Erano le tre di notte. Sbadigliò quando se la trovò davanti.
“Che cosa cazzo vuoi da me, a quest’ora?”
“Mi manchi tanto” aveva risposto Emily, la voce strozzata da un pianto che non riusciva a fermare.
Solo allora era comparsa a fianco a Noah un’altra donna. I capelli biondi e scompigliati dal sesso e dal sonno stavano giù a stento.
“Che succede, amore? Chi è?”
Emily avrebbe voluto urlare, spaccare ogni oggetto e strappare ogni foto.
Restò in silenzio, ingoiò la rabbia e tornò a casa.
Si disse che era finita davvero, che era finita per sempre.
Il dolore tornò a tormentarla.
Torna sempre.



4 – Accettazione

La dipendenza affettiva è letale come qualsiasi altra ossessione. L’assenza di Noah era pari all’astinenza da una droga qualunque. In aggiunta, però, c’era la gelosia. Un taglio che le aveva diviso in due parti il cuore, allontanando i ventricoli e lasciandolo pulsare in agonia e con inerzia, con il bisogno di spegnersi.
Si era chiesta a lungo che cosa avesse, la bionda, che a lei mancava.
I capelli d’oro, forse?
Una maggiore capacità d’amare?
Emily non lo sapeva, ma qualche nuova consapevolezza si era fatta strada dentro di lei.
Un bisogno dilaniante di viscere e organi calpestati.

Quella notte raggiunse casa di Noah, ancora, ma bussò stringendo nell’altra mano una mazza. Aspettò che la porta di legno si aprisse, poi lo colpì con tutta la forza che aveva in corpo, con tutto il rancore seppellito troppo a lungo nel tempo, lasciandogli un livido che non avrebbe avuto il tempo di formarsi sulla fronte.
La bionda non c’era ed era meglio così.
Charlotte era il suo nome. Emily l’aveva scoperto controllando con maniacale attenzione il profilo Facebook del suo amore malato. Il no-contact era più complicato di quanto sostenesse la sua psicologa, che non riusciva a tirarla fuori da quella storia.
Richiuse la porta. Trascinò Noah per i piedi, con sforzo e con fretta, lo sistemò su una sedia. Si rovistò nella borsa, tirò fuori una fune e gliela attorcigliò intorno come un marinaio astuto, annodandola fino a impedirgli qualsiasi movimento del busto e della gambe. Non era filo spinato, ma se la sarebbe fatta bastare.
Aspettò che si svegliasse. Gli calò giù i pantaloni e i boxer grigi e che presto si sarebbero macchiati di rosso. Osservò solo per un istante il cazzo afflosciato. Pensò con cattiveria che non era mai riuscita a farla godere sul serio e che era stata stupida, fottutamente stupida. Pensò che non le erano mai piaciuti gli schiaffi durante ogni coito. Pensò che non le era mai andato bene sentirsi debole, umiliata e non le era mai piaciuto farsi torturare per provocare un sadico piacere nell’altro. Ma l’aveva accettato. Aveva accettato ogni difetto, di lui, ogni demone e ogni comportamento oscuro.
Avrebbe dovuto compiere quella vendetta molto prima che sopraggiungesse quella lenta agonia.
Avrebbe dovuto farlo prima che arrivasse l’amore. Perché quando arriva è difficile, è quasi impossibile allontanarlo. Ed è solo la prima fase. Quando capisci di essertici catapultato dentro è un casino, non puoi più tornare indietro.

Impaziente attese. Preparò tutto l’occorrente e sperò che Charlotte non tornasse a casa.
Afferrò le loro foto, che in quel tempo erano rimaste a casa di Noah, cestinate in un cassetto mai più aperto in quei giorni. Fotografie che non erano mai state capaci di provocare una nostalgia nell’altro, un’assenza.
Le lasciò bruciare nel caminetto e pianse.
Si asciugò le lacrime e si sforzò di sospirare e sorridere.
Era quasi finita.

“Sei un verme. Uno schifoso verme.”
Era stato il suo primo insulto nei confronti dell’altro. Ne seguirono tanti altri, mentre Noah le chiedeva di calmarsi e di ragionare.
“Okay, capisco perché sei arrabbiata ma… liberami. Io ti amo, lo giuro. Ti amo da impazzire. L’ho capito solo adesso. Stavo per lasciare Charlotte, volevo tornare da te.”
Emily sorrise, sebbene il suo sguardo racchiudesse solo un profondo dolore.
“Non mi prenderai più in giro, Noah.”
Afferrò le cesoie, abbandonate sul tavolino di vetro in quell’attesa.
“C-che cosa vuoi fare?” balbettò l’altro.
Non l’aveva mai visto spaventato né l’aveva mai visto vacillare, prima, e questo le diede un’incredibile soddisfazione.
“Semplice, amore. Ti taglio il cazzo, vedremo poi come ti scoperai le prossime vigliacche.”
Aveva sorriso, Emily, l’aveva lasciato dimenarsi impazzito eppure immobile mentre si godeva il terrore nei suoi occhi e il soave suono delle sue urla. Avvicinò le due lame al membro senza staccarsi dal volto il ghigno soddisfatto. Aveva aspettato, ferma in quella posizione, per fargli sentire sempre di più il terrore, per farlo crepare di paura prima ancora che sentisse la vera sofferenza.
Sentì di esserci riuscita quando si ritrovò a indietreggiare, nauseata; Noah se l’era fatta sotto, bagnandosi i pantaloni di urina prima che di sangue.
Aspettò che finisse, ridendo - qualsiasi espressione avesse assunto il suo volto, il risultato sarebbe stato lo stesso -, poi tornò al suo posto e strinse le dita, lasciando saltare via il pezzo flaccido di carne, che rotolò sul pavimento imbrattandolo di rosso.
L’altro aveva continuato a urlare ed Emily si era seduta sul bordo del divano, l’aveva osservato spegnersi.
“Sei soltanto uno scarto umano” erano le ultime parole che Noah aveva ascoltato. Ed Emily si era sentita fiera di tutta quella cattiveria, anche se non bastava. 
Nessuno le avrebbe mai baciato le ferite. 

Morì per dissanguamento.
Emily tirò un sospiro di sollievo quando vide la vita scivolare via dai suoi occhi, sguazzare via dal corpo marcio.
Solo in seguito si rese conto di averlo perso per sempre. E  allora pianse.

Una parte di lei sapeva di aver fatto la cosa giusta. Noah avrebbe causato altro dolore, altre vittime. Altre donne sarebbero state adescate dalla sua dolcezza e avrebbero continuato la loro vita sentendo quell’amore sbagliato ad avvelenargli l’organismo, giorno dopo giorno.
Aveva salvato tante altre donne, Charlotte compresa, ma non sentì comunque quell’amore strisciare via. Rimase lì, annodato al suo stomaco, infiltrato nel suo cervello come un cancro che divora la logica.

Sapeva di dover andare via, di dover eliminare ogni prova, ma sapeva anche quanto fosse improbabile che non scoprissero quel crimine. E in realtà non le importava. Era più allettante l’idea di passare l’esistenza rinchiusa in una prigione, piuttosto che la prospettiva di una vita passata a soffrire e a sperare in un ritorno del carnefice.
Charlotte tornò a casa. La trovò di fronte al corpo morto di Noah, in lacrime.
Le venne da urlare, le venne anche da riversare il contenuto del suo stomaco sul pavimento.
Tremando prese posto vicino a lei, si portò le ginocchia sotto il mento, rannicchiandosi su se stessa.
“Grazie” esordì in un soffio.
Solo allora il dolore impallidì.

Passarono minuti, forse ore. Poi bruciarono assieme la casa degli orrori. 

 

Bene, non ho nulla da dire su questa storia, se non che credo sia sul podio dei miei scritti più angst.
Le prime tre fasi sono, per chi non lo sapesse, le fasi di una relazione con un narcisista. Il mondo è pieno di narcisisti, ma magari è meglio evitare di farli fuori come Emily. 
Abbiate pietà se trovate errori, e semmai fatemeli notare che sto pubblicando di notte e sono stanchissima. Alla prossima! :)

 
 

 

   
 
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