Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Segui la storia  |       
Autore: Ellie_x3    04/08/2019    2 recensioni
A volte a Chuuya mancava qualcuno che gli tenesse compagnia senza essere...beh, Dazai.

La stessa persona che aveva “sbadatamente” dato fuoco al suo armadio e che gli hackerava la carta di credito ogni due giorni e che a volte camminava per casa nel cuore della notte, i piedi scalzi e l’espressione vuota, in preda ai fantasmi dell’inquietudine.
Convivere con quell'idiota era un lavoro a tempo pieno.
Tuttavia, più spesso di quanto volesse ammettere, si era chiesto come avesse fatto a sopravvivere in quattro anni di separazione.
[Dazai Happiness Week 2019]
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Vantablack
 


Essere Nakahara Chuuya significava navigare in un oceano di sofferenza, mal di testa costante e superlavoro, con l’odore nauseante delle corsie d’ospedale, del sangue e della polvere da sparo costantemente sui vestiti come una seconda pelle.
Se non era all’ospedale a trovare i propri sottoposti, allora era per fare da babysitter a quel deficiente del proprio ex-partner — partner, Chuuya. Sii padrone delle pessime scelte che hai fatto nella tua vita —che si era fatto crivellare, accoltellare o lanciare da un ponte a seconda dell’occasione.
Chuuya non l’avrebbe mai ammesso, ma ogni volta che sul display del cellulare appariva un’email da Dazai con una stanza d’ospedale, il cuore gli faceva una capriola in petto.

From: Mackerel
Hatrackkkk vienimi a salvare! Kunikida-kun mi sta facendo la predica (ΩДΩ)

Ah, sì. Stanza A37, terzo piano. Ho sbagliato un po’ i calcoli, ma tutto sotto controllo~ (人·∀·)

 

Tutto sotto controllo implicava che lo spreco di bende non era morto — non ancora —, ma nulla di più. A causa della sua ossessione nel farsi catturare e nello strisciare alle spalle del nemico da solo, Dazai si era fratturato praticamente qualsiasi osso e aveva sofferto qualsiasi genere di contusione. Era una sfortuna che nessuna abilità potesse rimetterlo in sesto in fretta, perché l’ospedale lo metteva di buon umore, e non c’era niente di più fastidiosamente irritante che Dazai di buon umore.

 


- - -

 

“Oh. Ma tu non sei quello... Ah, sì, mr fancy hat!”
Chuuya giurò di sentire la temperatura abbassarsi di svariati gradi quando superò la porta, come se il suo ingresso avesse portato l’inverno nonostante le finestre aperte e la brezza primaverile. Yokohama profumava, invasa da boccioli che si schiudevano sotto un sole gentile, e nevicavano petali rosa. Yokohama era in guerra, come sempre.
Quando non viveva con lui, Dazai era solitamente in terapia intensiva. Idiota com’era, impossibilitato ad essere curato da Yosano-san, Dazai era praticamente l’unico a visitare regolarmente l’ospedale.
Quando lo vide, Chuuya soppresse un sussulto. Le lunghe membra bendate dell'ex-partner facevano capolino dalle lenzuola bianche e, disteso su un lettino che odorava di chimico, la pelle nivea spiccava da sotto la vestaglia confondendosi con il bianco delle bende-
Attorno al suo letto erano raccolti Kunikida, che non gli staccava gli occhi di dosso, ed Edogawa. Lanciandosi un’occhiata attorno, Chuuya si accostò al letto Dazai; sentiva il peso dell’odio che aveva risvegliato, anche perché era almeno in parte causa della Port Mafia se Dazai si trovava in ospedale. L’idea per un attimo gli fece considerare di guardare Dazai e dirgli che era preoccupato, chiedergli come stesse, se potesse fare qualcosa.
Prima che potesse parlare, Dazai sogghignò.
“Sei in ritardo.”

Ho sbagliato, credevo fossi in obitorio,” il suo volto si aprí in un ghigno gemello. “Peccato che tu sia ancora qui.”
“Quanto sei rumoroso, Chibikko. Non vedi che siamo in un ospedale?”
Era stanco e Chuuya lo sentiva in ogni sfumatura della voce di Dazai — la stessa che gli rispondeva quando Chuuya doveva alzarsi e quell’idiota gli si accoccolava contro la schiena in cerca di calore. Per un momento, l’idea che Dazai potesse davvero morire lo colpí con forza da fargli sentire il pavimento tremare sotto i piedi.
Lentamente si tese verso l’altro. Gli occhi castani erano velati, il ghigno già scomparso.
“Vedi di non morire, kuso Dazai.”
Con un suono soffocato Dazai scosse la testa.
“Chibi non aveva promesso di trovarmi una bella donna?"
“Sono serio, cretino.”
Un nuovo sorriso pigro, portato via dal sonno.
“Farò del mio meglio, partner.”

 

Kunikida aveva il volto scarlatto mentre gli puntava una pistola dall'altra parte del corridoio, una fiamma color sangue che bruciava nel suo sguardo solitamente calmo. Due o tre infermiere erano state veloci a sparire oltre le barriere di stanze chiuse, lasciando il corridoio per l’Agenzia e Chuuya, quell’executive della Port Mafia che era stato così idiota da danzare dritto tra le fauci del lupo — della tigre? — ed era stato chiamato partner.
Con le labbra arricciate in un sorriso, Chuuya si aggiustò il cappello.
“Huh. Non c’è alcun bisogno di essere sentimentali, mr detective, me ne sto andando.”
“Credi di potertene andare così?”
“Ooh~” Echeggiava la voce di Ranpo, come a prenderlo in giro, ma Chuuya non gli lanciò che un’occhiata sbieca.
Una parte di lui temeva che potesse tirare fuori uno di quei libri orribili da un momento all’altro, un’altra era ancora infuriata perchè l’aveva lasciato a marcire in un caso irrisolvibile dopo aver messo di cattivo umore chiunque.
“Quello che ha detto Dazai—” La voce di Kunikida tremava. Onestamente, Chuuya non poteva biasimarlo. “Cosa significa?”
Chuuya si strinse nelle spalle. Il fatto che il partner di Dazai avesse evocato una pistola dal suo quadernetto delle meraviglie come un prestigiatore non implicava necessariamente che lui dovesse usare una vera abilità: non ancora, non quando sentiva il vibrare e trillare delle macchine a cui era collegato Dazai oltre la porta chiusa.
Era piuttosto sicuro che Mori-san non sarebbe stato contento di una rissa.
“Nulla.” Esitò. Era tutto un piano di quell’imbecille? “Nulla che vi riguardi.”
Un proiettile gli sfiorò una guancia e, per riflesso, l’executive si assicurò che il cappello non scivolasse a terra.
Lo sguardo di Kunikida si assottigliò, due fessure nel volto contratto dal sospetto.
Il prossimo non sarà d’avvertimento.
“Oi, Kunikida, non ho l’ordine di ucciderti; non costringermi.”
“Un ordine non porta un executive della Port Mafia al capezzale di Dazai,” fece notare Ranpo, con tranquillità. “Tuttavia, mi sembra ovvio che tu non sia qui per conto di Mori, partner.” 
“Ah, quello—”
Kunikida digrignò i denti, un sono cupo che fece venire voglia a Chuuya di scappare e lasciare che Dazai si gestisse da solo il muro di bugie che si era costruito.
“Partner è una parola pesante da lanciare nella conversazione.”
“Era drogato,” Chuuya scoccó uno sguardo a Kunikida, “cosa a cui dovreste essere abituati ormai, se la mia intel non è errata.”
E non lo era. 
“Bastardo

“Risparmiami, ti prego. Ero venuto ad assicurarmi che l'imbecille non morisse prima che lo potessi uccidere, non è davvero niente di personale.”  
Il nuovo proiettile che Kunikida gli aveva indirizzato venne fermato a mezz’aria, intrappolato dalla gravità prima di essere ridiretto contro un muro; avrebbe voluto potergli dire che lo risparmiava per rispetto di Dazai, più che di una futura alleanza, ma le parole dell’altro lo costrinsero velocemente a riconsiderare. Avrebbe davvero voluto poter rimettere Kunikida al proprio posto.
“Il giorno in cui crederò alla mafia non è ancora arrivato,” sibilò, la voce resa sottile dalla rabbia e ancor più fina del fischio del proiettile nell’aria.
Qualsiasi forma di sfiducia sembrava estranea al vocabolario del detective, pronunciata con un filo di incertezza.
“Giuro, quattr’occhi, se ci tieni tanto al titolo di babysitter della macchina spreca bende, prego. Io me ne vado.”
“Neh, mr fancy hat, aspetta un attimo.”
Ranpo lo fissava, gli occhi stretti e una linea intellegibile a solcargli la fronte. Chuuya rabbrividì istintivamente al pensiero di essere nuovamente costretto in un libro con lui, ma si fermò.
“Ho un nome.”
“Come credi di gestire la situazione, quando sarà necessario? Prendendo tutti a pugni un’altra volta?”
Naturalmente sapeva. Chuuya poteva sentire il peso dello sguardo di Kunikida su di sè, lo stupore tutto dedicato al collega, ma fronteggiare Ranpo gli faceva prudere le mani, a metà fra il desiderio di cancellare quel ghigno con il solo potere dei propri pugni e il piacevole cambiamento di avere a che fare con qualcuno che possedeva una crudeltà infantile e un Q.I. superiore alla media dell'agenzia.
“Probabilmente,” sbuffò, lanciando uno sguardo veloce nella direzione della stanza “ma finché non accade...”
Dazai valeva quello e altro.
Que serà, serà.”
Il commento di Ranpo echeggiò fra di loro, guadagnandosi un’occhiata perplessa da Kunikida oltre gli occhiali, la confusione negli occhi chiari che tradiva il fatto che se stesse seguendo una conversazione senza avere tutte le informazioni; Chuuya si chiese quanto sapesse del proprio partner Kunikida Doppo.
“Dazai è il tipo a cui piacerebbe quel motto imbecille,” replicò, scrollando le spalle e ricominciando ad allontanarsi. Prima se ne andava, meglio era.
“Tu e Dazai-kun vi conoscete molto bene, non è vero?”
“Per mia sfortuna.”
“Abbastanza da vivere insieme?”
Chuuya si immobilizzò per un istante, scoccando un’occhiata al detective da sopra la spalla.
“Il vostro presidente pensa che sia una buona soluzione,” sbottò, ignorando il suono strangolato proveniente da Kunikida, “finchè lui la pensa così, ciò che avete da dire voi non conta molto.”

Ranpo annuì ma non chiese più nulla, e Chuuya preferì non domandare come un uomo sulla strada dei trent’anni — l'asso nella manica della polizia di Yokohama, fra tutti — avesse estratto dalla tasca un Uchiwa, scartandolo abilmente e ficcandoselo in bocca come se non gli interessasse più di altro e nessun altro fosse presente e degno d’interesse.
Lo sfarfallio della luce che illuminava il profilo di Yokohama dipinto sul lecca lecca scintillò per un istante, facendolo brillare come se stesse guardando la città attraverso una goccia di poggia, fu l’ultima cosa che l’executive vide prima di voltarsi definitivamente.
Sorprendentemente, Kunikida lo lasciò andare.

 

- - -

 

“Oi, Dazai. Svegliati, spreco di bende.”
Dazai Osamu, 22 anni, sin dai primi anni della propria vita era stato abituato ad essere strappato dalle braccia di Morfeo nelle maniere più bizzarre: colpi di pistola in lontananza, Elise che saltava sul suo letto chiedendogli di accompagnarla fuori dai cupi uffici della mafia, Atsushi che inciampava su qualsiasi cosa nel tentativo di arrivare in orario al lavoro e la grida di Kunikida. Sentire qualcosa di morbido atterrargli sul volto, però, era una novità. Con un ‘oof’ sommesso l’uomo rotolò su un fianco quando un secondo cuscino gli colpì il naso.
Se gli avessero chiesto come immaginava il risveglio dopo essere colpiti da un camion, avrebbe gesticolato verso sè stesso — se ne avesse avuto la forza. Se non fosse stato per la propria Abilità, avrebbe giurato che la gravità lo spingesse innaturalmente verso il centro della terra, impedendogli di alzare un solo muscolo senza sentirsi drenato di qualsiasi forza, con la testa che pulsava violentemente man mano che scivolava nella veglia.
“Chuuya è sempre più violento~” mormorò, intorpidito.
A volte, quando andava bene, più bene di quanto non meritasse, poteva ancora incontrare nei sogni il ricordo di Odasaku. 
“Non hai il diritto di dire una cosa del genere, idiota!” gli rispose Chuuya, e Dazai avrebbe negato fino alla morte che quell’abbaiare troppo rauco, troppo energico per la mattina, gli avesse incurvato le labbra in un sorriso, nonostante quel semplice gesto gli costasse uno sforzo innaturale.
“Non hai ancora imparato come si sveglia Biancaneve?”
“Hah!?”
Un terzo cuscino che gli volava addosso. Stavolta Dazai fu abbastanza pronto da schermarsi il volto con il braccio, seppur più lentamente di quanto avesse previsto.
“E poi Chuuya dovrebbe darmi tregua, è colpa sua se dopo ieri sera non ho più forz—”
“Dazai!” strillò l’altro, a corto di fiato, interrompendolo non appena fu chiaro il significato della frase. E, Dazai doveva ammettere che aveva previsto che Chuuya si sciogliesse in un ammasso di insulti e violenza fisica per pura vergogna, ma il ghigno che gli si stava pigramente dipingendo sul volto venne freddato dall’ondata di panico nella voce dell’altro.
Sbattendo gli occhi, Dazai si degnò per la prima volta di mettersi a sedere, le bende che gli premevano dolorosamente sulle braccia leggermente più gonfie del solito.
Ogni muscolo strillò contro quel gesto, pregandolo di tornare a dormire, ma non fu una protesta neanche lontanamente forte quanto quella che esplose nella sua mente nel momento in cui mise a fuoco Chuuya, il cappello, il choker nero, l’ennesimo cuscino tra le mani guantate, e qualcun altro.
Per un secondo, Dazai sgranò gli occhi prima di poter neutralizzare la punta di fastidio che gli pungeva il petto. Gli ci volle un secondo e più autocontrollo di quanto volesse ammettere per aggiustare un sorriso cortese sulle labbra, inclinando il volto verso l’ex partner.
Maledizione a Chuuya, perchè non faceva aspettare in salotto come le persone normali?
“Chuuya poteva dirmi che abbiamo un ospite,” mormorò, la voce che grondava falsa gentilezza. “Fukuzawa-dono, mi spiace per la pessima presentazione.”
“Ho cercato di svegliarti per un’ora,” sibilò Chuuya, e Dazai si disse che le sopracciglia erano aggrottate così tanto da farlo sembrare ancora più basso, ma la sfumatura di preoccupazione nella sua voce era impossibile da non cogliere.
“Oh,” mormorò.
Aveva un vago ricordo di aver aperto l’armadietto del bagno la notte prima, mentre Chuuya dormiva da ore, il respiro soffocato nel cuscino ed i piedi che di tanto in tanto calciavano le caviglie di Dazai mestamente.
Quando finalmente ne aveva avuto abbastanza del rigirarsi nel buio, dirigendosi all’armadietto dei medicinali l’uomo aveva mormorato fra sé e sé che non c’era modo di riposare altrimenti, che quella sua testa non voleva saperne di spegnersi, di rallentare, di lasciarlo in pace. Si era domandato se si meritasse una buona notte di sonno o un’eternità di pace.
Overdose di farmaci; sembra sicuramente meno dolorosa di un proiettile in mezzo agli occhi.
Dazai aveva sospirato e anche nel buio le sue dita avevano meccanicamente cercato e trovato una bottiglietta arancione, svitando il tappo e ingoiando una manciata di compresse senz’acqua.
Kunikida non mi perdonerebbe mai se non mi presentassi al lavoro domani. Sarà per un’altra volta.
Il tempo di tornare a letto, sentire il materasso scricchiolare sotto il suo peso e Chuuya che brontolava qualcosa nel dormiveglia, e tutto veniva inghiottito nella nebbia. Si era svegliato a Lupin, con un drink già versato davanti a sè, e Ango ed OdaSaku sorridevano;  notti come quella, intere ore di sonno così profondo da riportarlo indietro non erano la normalità.
Ecco perchè Fukuzawa-dono doveva essersi stancato di aspettare.
Questo doveva spiegare anche il mal di testa che lo stava divorando. 
“'Oh' un accidenti, spreco di spazio!”
“Dazai-kun.” la voce di Fukuzawa era dura, ma non priva di preoccupazione. Ne ingentiliva le consonanti, faceva sembrare meno freddi gli occhi argentei, “Come ti senti?”
“Benissimo.”
Sorriso, check; aria svagata, check.
Tuttavia Fukuzawa sollevò impercettibilmente un sopracciglio, costringendo Dazai a proseguire.
“Davvero, mi sento molto bene.”
“Atsushi-kun mi ha fatto presente che ultimamente è preoccupato per te.”
“Cosa?”
“É un ragazzo sveglio, Atsushi-kun.” offrì il presidente come unica risposta. Una manciata di parole che tagliavano come il filo di una spada — sai benissimo cosa intende — e che il detective incassò in silenzio.
Dazai posò il mento sul pugno chiuso, per il semplice fatto che sentiva la testa pesargli così tanto che temeva gli avrebbe spezzato il collo.
“Hm-m, è davvero una brava persona.”

Inoltre, Kunikida-kun e Ranpo durante la tua convalescenza di qualche tempo fa hanno avuto modo di essere aggiornati in merito alla situazione.”
“Mi sorprende che Ranpo-san non l’avesse già capito.”
Ranpo avesse semplicemente atteso che la questione venisse alla luce da sola, e Dazai lo sapeva: per quello sorrideva, per quello lasciava che la sua voce suonasse come le fusa di un gatto, pigra e affezionata.
“Entrambi hanno espresso dubbiosità riguardo il fatto che ti lasciassi vivere qui.”
Istintivamente, Dazai inarcò un sopracciglio. Cozzava con la messa in scena allegra che cercava di mantenere ma il modo in cui Chuuya aveva abbracciato il cuscino restante ed era sparito oltre la porta, lasciando all’Agenzia la privacy di cui aveva bisogno, aveva fatto crollare lo stomaco di Dazai. Per un qualche motivo, nelle mattine come quella si sentiva più sicuro se il suo cane da guardia era nella stanza.
“Tecnicamente è anche il mio appartamento,” puntualizzò.
“Appartamento che dovrebbe essere compromesso insieme agli altri che hai lasciato indietro dopo aver abbandonato la mafia.”
“Ango ha gentilmente rimesso in regola questo per me,” replicò Dazai, con una scrollata di spalle. Aveva voglia di morire, perché ogni singolo muscolo del suo corpo aveva deciso di ribellarsi? “E Chuuya non ha mai davvero smesso di viverci, quindi…”
Lo sguardo di Fukuzawa vagò nella stanza: sugli arredi neri laccati e spolverati alla perfezione, sul lampadario di cristallo e sulla testiera quasi invisibile del letto dalle lenzuola in seta borgogna, un colore così intenso da sembrare sangue. Non appariva intenzionato a vocalizzare la propria opinione riguardo la camera di Chuuya, e Dazai gliene fu grato.
Il silenzio li avvolse per un lungo momento. Infine, Fukuzawa sospirò.
“Non sono sicuro di essere in disaccordo con le proteste mosse da Kunikida-kun. Nonostante questa sembrasse una buona opzione quando ne abbiamo discusso dal punto di vista esterno è non solo difficile da accettare, ma rischia di compromettere la nostra posizione.”
“Mori-san non è un problema.”
Lo sguardo di Fukuzawa si assottigliò, una luce gelida gli induriva il volto.
“Ancora,” precisò.
“Kunikida-kun non può non aver notato che da quando Chuuya mi butta fuori di casa sono sempre in orario~”
“Inoltre, Nakahara-san ha confermato le mie preoccupazioni sulla tua salute mentale, Dazai-kun.”
Maledizione a chibikko.
“Un periodo,” rispose, gesticolando come se potesse fisicamente scacciare l’argomento.
“Se questa disposizione non andasse più bene, sei il benvenuto a tornare agli alloggi dell’Agenzia quando preferisci.”
Dazai replicò con un ‘hm’ impensierito.
Come aveva previsto, era comodo avere qualcuno che cucinasse pasti decenti e pulisse e si liberasse delle bottiglie di sakè che lui dimenticava sul tavolo, che gli sfilasse ancora il taglierino dalle mani come aveva fatto quando davvero Dazai intendeva morire, ma la mente continuava a vagare all’armadietto dei medicinali, ai coltelli in cucina.
Addormentarsi con Chuuya fra le braccia, il mento poggiato sulla sua testa, e andare al lavoro con il corpo che ancora profumava del bagnoschiuma dell’executive lo aiutava a restare a galla e allo stesso tempo lo intrappolava in un limbo. Ed era sciocco, naturalmente, perchè vivere e occasionalmente ritrovare un po’ di quotidianità con il suo chibi preferito non lo riportava in alcun modo sotto l’ala della mafia, ma era umiliante. Era umiliante aver bisogno di qualcuno che si era lasciato alle spalle e una voce insisteva chiedergli cosa stesse pianificando per il futuro, perchè vivere il momento era pericoloso.
Perchè era difficile sopprimere il broncio quando Chuuya gli annunciava con un messaggio che sarebbe uscito con dei colleghi e di non aspettarlo alzato.
Dazai non era possessivo: Dazai era entusiasta e conscio del valore di quello che aveva fra le mani. Quello sì che sembrava un passo indietro rispetto alla sua promessa e compromettersi così tanto, così spesso, senza pensare.
La consapevolezza che da azioni non pianificate non potessero che sbocciare disastri in qualcuno finiva ucciso
e non lui, mai lui lo tormentava.
“Questa disposizione va benissimo,” rispose, lasciando che la sua stessa voce lo strappasse dai pensieri e inchinandosi appena per ringraziare Fukuzawa.
L’uomo lo guardò, gli occhi stretti in fessure intellegibili nonostante Dazai fosse certo di leggerci lo stesso dubbio che attanagliava lui: per quanto sarebbe durato? E quando fosse stata l’ora, sarebbero stati in grado di usare quella particolare pedina a vantaggio dell’agenzia, o a quel punto Dazai sarebbe stato troppo debole, troppo emotivamente coinvolto per fare qualsiasi cosa?
L’idea lo fece sobbalzare, e fu grato che le lenzuola fossero abbastanza spesse e pretenziose da nascondere qualsiasi movimento.
“Dazai-kun, c’è sempre una via d’uscita, e non deve essere per forza drastica. Spero che tu non te ne stia dimenticando.”
Dazai annuì, già trascinato nella palude dei propri pensieri. A volte, gli era facile perdere di vista la soluzione e Fukuzawa lo sapeva, sapeva quanto fosse facile cadere in quella spirale dove tutto diventava enorme e buio e finiva per soffocarlo.
Tuttavia, non sembrava intenzionato a nominare i sonniferi, anche se era certo che Chuuya l’avesse informato.
Poteva giurare di sentirla ancora, la voce di Odasaku, velata di preoccupazione.

Cosa diavolo stai facendo, Dazai.

Sperò di non doversi dare una risposta troppo presto, ma i suoi calcoli e previsioni indicavano tutt’altra strada.

A volte odiava aver sempre ragione.

 

- - -

 

C’erano tante cose che a Chuuya ricordavano Dazai. Il granchio in scatola, le luci di Natale (con cui aveva cercato di impiccarsi molti anni prima, senza successo), ogni impermeabile che riusciva a cogliere con la coda dell’occhio.
Il cane della pistola che scattava all’indietro.
Chuuya alzò gli occhi al soffitto, distratto dalla familiare sensazione di una silhouette alle proprie spalle: il braccio teso, le dita strette attorno al calcio dell’arma, la plastica che si fondeva con l’acciaio, lo sguardo incolore in un unico occhio scoperto dalle bende che gli attraversavano il volto. Poteva immaginarlo, quello sguardo, anche se non lo vedeva.
Poteva quasi percorrere i momenti che non aveva visto — Dazai che era entrato senza annunciarsi, senza il solito baccano e la pantomima da coinquilini che si amavano, e aveva sapientemente tenuto le luci spente fermandosi sotto l’arco della camera da letto.
Chuuya aveva recentemente aggiunto una scrivania alla propria camera, esattamente di fronte all’entrata, perchè Dazai aveva preso possesso dello studio; mai colpo era stato più facile.
L’executive sorrise.
Aveva avuto la delicatezza di portare a casa solo lavoro d’ufficio, nessun prigioniero, e Dazai lo ringraziava puntandogli una pistola alla nuca.
“Non dirmi che non te lo aspettavi.”
Il sorriso divenne un sogghigno.
“In verità, stupido mackerel, mi aspettavo un’altra trappola. L’ultima era andata piuttosto bene.”
Il Dazai dell’Agenzia forse avrebbe riso, ma quella sera era tornato a trovarlo un fantasma.
“Una trappola non ha statisticamente le possibilità di rimuovere un executive del tuo calibro in maniera definitiva,” una risposta atona e fredda, “non quanto un proiettile abbastanza a fondo”.
“Wow. Ma allora sei intelligente.”
Dazai scosse la testa. Sarebbe potuto rimanere lì tutta la notte, e il braccio non avrebbe ceduto di un millimetro.
“Era una possibilità latente.”
Quindi hai aspettato tutto questo tempo?”
"La tregua dell’Agenzia con la Port Mafia è spezzata; Black Lizard ha attaccato Kenji-kun e Tanizaki questa mattina,” una pausa calcolata, come ogni cosa in Dazai, “non dirmi che non lo sapevi."
Chuuya scosse le spalle, sfiorando la maniglia in bronzo del primo cassetto della scrivania senza voltarsi. Dazai non gli avrebbe mai sparato alle spalle — o sì? Non ne era più certo.
“Lo avevo intuito.”
“Questo dovrebbe alzare considerevolmente le nostre probabilità di vittoria ad un costo minimo. La guerra la vince chi fa la prima mossa, dopotutto, non è così che diceva quella persona?”
“Quindi la prima mossa dell’agenzia è un assassinio.”
Poteva quasi sentire il corpo di Dazai sussultare come se fosse il proprio, nonostante non potesse vederlo, nonostante nessun altro avrebbe mai colto quell’impercettibile alzarsi e abbassarsi del suo braccio.
“Chiamalo incidente~”
“Dunque il tuo nuovo lavoro è chiamare cose con un nome cretino, mackerel? O è uccidere senza fare sapere ai tuoi compagni?”
Dazai non era tenuto a spiegare i propri piani, ma gli piaceva: oh, se gli dava soddisfazione provare di essere più intelligente, più svelto, più furbo, più spietato. Nei suoi occhi velati di scarlatto brillava una luce inumana e Chuuya ancora una volta rimpianse che i genitori di Dazai, chiunque fossero i poveri bastardi, non avessero mai investito in una buona scacchiera piuttosto che lasciarlo in pasto alla mafia.
“Non è necessario che sembri un assassinio. Grazie per la cortesia di non installare telecamere interne, chibi,” Chuuya aggrottò la fronte e strinse la penna che aveva utilizzato fino a quel momento nel pugno così forte che non si accorse nemmeno del rumore secco e dell’inchiostro che zampillava, macchiandogli le dita. “Oppure potresti farmi un favore ed attaccarmi, rendere tutto meno patetico.”
“Bastardo.”
Istintivamente, un fermacarte levitò dalla scrivania, lanciandosi contro Dazai.
Un centimetro più a destra e avrebbe centrato l’occhio che l’uomo aveva tenuto bendato per anni; un centimetro più a destra e l’ossidiana gli avrebbe sfondato il cranio. Invece l'oggetto si schiantò contro il muro come un pugno, una palla di cannone, evitando il volto.
Amare Dazai significava mirare sempre un centimetro troppo a sinistra nonostante la ragione imponesse di mettere fine alla sua fastidiosa esistenza una volta per tutte.
“Sai, Chuuya, ho sempre sognato di premere questo grilletto.”
“Dunque è così che vuoi morire?”
L’istante prima che la pallottola gli sibilasse contro, Chuuya si curvò ed aprì il cassetto su cui aveva tenuto la mano, pronto a scattare. Le sue dita inciamparono ciecamente nella fredda plastica di un’Uzi così minuta da sembrare un giocattolo per bambini, ma non c’era niente di infantile nel modo in cui si era chinato sul pavimento, un braccio poggiato sul ginocchio piegato per sostenere l’arma.
Dazai sorrise, aggiustando il tiro.
“Chibi, diventi sempre più basso~ É un’abitudine?"
“Vaffanculo, kuso Dazai.”
“Oh, ti ho fatto arrabbiare? Alcuni potrebbero dire che giocare sull’altezza di chibikko è un colpo basso, ma sicuramente Chuuya non ha un’alta opinione di me…”
Il suono dei denti dell’executive digrignati uno contro l’altro era quasi un boato, la sua presa sulla pistola tesa e scattosa. Qualora avessero sparato, Dazai era infinitamente più preciso.
Merda.
“Ultime parole, figlio di puttana?”
“É quasi romantico.” mormorò Dazai, fra sè e sè.
Per un istante, il mondo di Chuuya si tinse di rosso. Lasciò andare la pistola, come un idiota — come avrebbe fatto a quindici anni — per lanciarsi contro Dazai, un destro caricato con la potenza della gravità che sarebbe scomparsa al contatto con l’abilità di Dazai ma che, nella migliore delle ipotesi, l’avrebbe fatto volare dall’altra parte della stanza. Persino nell’aria rarefatta, Dazai riuscì a schivare saltando indietro; riuscì anche a premerlo, quel grilletto che aveva sempre desiderato, e la sensazione gelida e bollente del proiettile che gli sfiorava la spalla accese un mare di scintille bianche e roventi nella mente di Chuuya. Il dolore era sordo, era incolore, ma gli fece salire in gola un ruggito come se urlare e sporgersi in avanti di nuovo per colpire Dazai potesse fargli dimenticare che, per un momento, aveva pensato fosse finita.
Che fossero davvero qualcosa.
Ma qualunque cosa avesse creduto Dazai aveva ragione, e chiunque fosse morto quella notte avrebbe permesso all’altro di portare a casa una pedina che avrebbe mosso l’ago della bilancia che gestiva Yokohama, forse ribaltando le sorti dell’organizzazione o forse aiutando la vittoria definitiva. Qualunque cosa lo animasse — rabbia, derisione, una mal sopportazione covata negli anni e tramutatasi in passione a dispetto di Chuuya — caricò il pugno dell’executive come se dovesse distruggere la città intera.
Con un’espressione incolore, Dazai premette di nuovo il grilletto.
Bastardo. 
Sei sempre stato un ragazzino viziato, un mostro, un—
Stringendo gli occhi, Chuuya riuscì a bloccare il proiettile e reindirizzarlo, la luce rossa di Per il Dolore Corrotto che pulsava e schiacciava la capsula bronzea a terra, e non sentì nulla quando le sue nocche colpirono il volto di Dazai. Non c’era niente se non il potere che scemava, lasciando agire la pura forza bruta.
Per un istante, lo vide sbarrare gli occhi — cosa c’è, credevi non l’avrei fatto, kuso Dazai?— poi il silenzio della sera fu spezzato dal tonfo del corpo che veniva spinto contro il muro del corridoio. Non che fosse abbastanza per bloccare quel bastardo che sembrava immortale, ma Chuuya notò la presa sulla pistola che si ammorbidiva e l’arma che volava dall’altra parte della stanza, fuori portata.
Ignorò la stretta allo stomaco, sollevando il mento con fierezza.
“Chi è il cane adesso?”
Mosse un passo in avanti.
Dazai sogghignava e lo guardava dal basso, asciugandosi un rivolo di sangue dalle labbra con il dorso della mano.
Hai usato Corruzione credendo in me? Sono così commosso che potrei piangere.
Un altro passo; una nuova sensazione piacevole, come se anche a terra Dazai tenesse il suo petto nel proprio pugno.
Chuuya deglutì a fatica.
“Quanta violenza. Cosa direbbe O’nee-San?” il ghigno di Dazai si distese in una mezzaluna spietata, “dopotutto, sei sempre stato la sorellina preferita.”
Doveva avergli urlato di stare zitto, che era un bastardo. Chuuya non ricordava, ricordava solo rosso e bianco e che si era lanciato di nuovo contro l’ex partner con tutta la propria forza.
Dazai si era trascinato in piedi puntellandosi contro il muro, barcollando leggermente. L'aveva atteso e aveva sorriso come ad invitarlo.
Un istante troppo tardi, Chuuya ricordò.
Dazai voleva morire ma non lì, non con lui fra le braccia, e aveva trovato nel suo nuovo protetto una ragione per cui vivere ancora un po’. Accecato dall'illusione di normalità, Chuuya era stato così idiota da lasciare il proprio coltello in casa, con la scusa che se avessero voluto accoltellarsi durante un litigio avrebbero usato quelli da cucina.
L'executive sentì la punta gelida premergli contro il fianco sinistro e si immobilizzò con il braccio libero di Dazai gli cingeva la vita, tenendolo gentilmente appoggiato alla lama a sufficienza da mozzargli il respiro ma senza ferirlo.
“Sorpresa.”
“Quando—?”
“Tieni sempre il tuo coltello nella giacca.”
Chuuya strinse gli occhi, puntandoli contro Dazai.
“Bastardo.”
“Questo e molto altro,” replicò lui, con un sorriso. Giocava sporco, ma l’aveva sempre fatto. “Ora, ti direi di lasciare Yokohama fino alla fine della guerra, dirti ‘vattene, chibi, trova un altro padrone’, ma non posso rischiare. Cosa farei se tornassi con Mori-san? No, non ho altra scelta.”
“Hai finito di giustificarti, spreco di bende?”
“Come potrei uccidere Chuu~ ya senza una spiegazione?”
Chuuya sobbalzò. Una brutta idea. E Dazai, bastardo, lo sapeva, sapeva che quell’attimo di tensione gli avrebbe permesso di affondare un po’ più a fondo il coltello, abbastanza da strappare la stoffa e pungere l’addome.
Senza sapere come replicare, l’executive socchiuse le labbra; avrebbe inveito, ma venne interrotto dallo squillo di due cellulari gemelli. Dazai, da ragazzina idiota che era, aveva proposto modelli uguali quando avevano quindici anni.
Per un istante che sembrò durare un’eternità, i due si fissarono.
“É—”
Mori-san aveva una suoneria particolare, così come Fukuzawa. Erano le stesse abitudini a renderli un team formidabile, ma in quel momento Dazai lo scrutava con le sopracciglia aggrottate.
“É un colpo troppo fortunato per fartelo sfuggire, spreco di bende. Non farmi vergognare di essere stato il tuo partner.”
Dazai si rabbuiò. Doveva aver immaginato che la chiamata simultanea potesse voler dire qualcosa di importante, ma sembrava indeciso; Chuuya odiò l’esitazione nella sua voce, il leggero tremare delle dita dell'altro, la presa sul suo fianco che cedeva impercettibilmente.
“Stai a cuccia?”
“Te lo scordi, mackerel.”
Approfittando di quell’attimo l’executive si lanciò all’indietro, scivolando con uno scatto fuori dalla portata di Dazai. Lo sentì masticare un’imprecazione, ma qualsiasi cosa volesse dire o fare fu inghiottita dall’esplosione dei vetri che li circondavano e dalla luce dorata che aveva invaso le stanze altrimenti buie.
Istintivamente, Chuuya cercò lo sguardo di Dazai. Vedere l'ex partner che si schermava il volto dai pezzi di vetro, con i capelli mossi indietro dall’esplosione e l’impermeabile che gli svolazzava alle spalle era surreale, sembrava solo l’ennesima missione insieme.
“Non vi si può lasciare soli due minuti, voi due.” si lamentò una voce femminile, abbastanza conosciuta perchè Chuuya sollevasse lo sguardo con la mascella a terra.
Fu Dazai a rispondere per primo, cercando conferma nel bagliore accecante.
“Kouyou-san?"
“Sei una vergogna. Attaccare nella notte come un ladro, Osamu, e fare rissa come bambini… Mi meraviglio di voi, entrambi.”
Golden Demon si era ritirato alle spalle di Kouyou, un’aureola che si ergeva a partire dall’acconciatura della donna e il cui movimento del capo faceva muovere cascate di pettini dorati.
Chuuya deglutì a fatica.
“O’nee-san, che sta
?”
“La tregua è di nuovo in atto. Cielo, chissà cosa combinano quei due; comunque sia, Natsume-dono li ha fermati e voi non siete più autorizzati ad ammazzarvi,” lo sguardo affilato di Kouyou vagò su di lui, e le labbra si strinsero nel momento in cui i suoi occhi sfiorarono la figura accucciata di Dazai. Sentendo una scarica di vergogna, Chuuya abbassò lo sguardo. “Mori-san vuole vederti, Chuuya. Osamu, ugualmente, non credo che i tuoi superiori saranno contenti di te.”
Rimettendosi in piedi e abbozzando al contempo un inchino appena accennato, Dazai annuì.
“Come se non fossero abituati ai rischi,” commentò. 
Nessuno rispondeva a Kouyou; tuttavia, proteggendo l’agenzia, Dazai proteggeva Kyouka. Era difficile comprendere esattamente il punto in cui l’amore per la giovane protetta superasse quello per la propria stessa esistenza; Kyouka era la figlia che nella mafia non aveva mai potuto avere, un'orfana con il suo stesso demone.
Forse era per quello che la donna chinò il capo con un sospiro pesante.
“Il tuo ragazzo-tigre, Osamu—

“Atsushi?” la incalzò, assottigliando gli occhi. Il tono si era fatto gelido, protettivo, ma la donna annuì elegantemente aggiustandosi le maniche del kimono rosso.
Ha protetto Kyouka-chan. Porgigli i miei ringraziamenti.”
“Vero, vero! É un proprio un bravo allievo, non è cosììì~?”
“Ma voi due… Voi due siete sempre i soliti. Avete intenzione di sistemare questa casa, ora? Chuuya, cosa intendi fare?”
Non ci pensò nemmeno un istante e sbuffò, mettendosi in piedi. Prima di potersi fermare a riflettere sulle implicazioni di quella sera si stava spolverando i pantaloni scuri con gesti frettolosi.
“O’nee-san, accomodati, ti prego. Vado a prendere del vino,” lanciò uno sguardo all'ex partner, all'escoriazione che gli tagliava il labbro. “Tu, spreco di bende. Vieni a darmi una mano.”
Con un sorriso, Dazai si aggrappò al braccio di Chuuya.
“Aaah, chibikko mi vuole ancora! Su allora, fai il bravo cane e portaci da bere.”
“Vaffanculo, approfittatore! E fai piano, mi hai sparato.”
“E tu mi hai quasi slogato la mascella, ma non è di questo che si nutre il nostro amore? Oi, Chuu~ya, questa è violenza domestica! Ah, O’nee-san, prego, prego. Chuuya è una pessima moglie, se la casa è un disastro ti prego di considerarla interamente colpa sua.”
“Cosa?! Kuso Dazai, non dire stronzate!”
“Non sei una brava massaia, chibikko.”
“Non sono la tua massaia e non sono tua moglie, bastardo,” urlò Chuuya, scrollando il braccio con veemenza, ma Dazai doveva avere delle maledette ventose su quelle bende, “e stammi lontano!”
Nel mostrare alla donna la strada per il salotto, seguito dai passi quieti di Kouyou e dal chiacchiericcio ossessivo di Dazai, Chuuya giurò di vederla passarsi una mano sul viso, sconfitta dal loro comportamento.
Con le guance in fiamme, l'executive si augurò che la terra si potesse aprire per inghiottirlo una volta per tutte.



Il rumore di Dazai che rovistava nelle mensole alla ricerca dei calici, in qualunque altro momento, sarebbe stata un’abitudine: un sottofondo conosciuto, il tintinnare del vetro e il suo respiro calmo nonostante stesse inveendo mentalmente contro l’intera mensola. Ma non quel giorno.
“Oi, bastardo."
Dazai ridacchió, un soffio di vento nel silenzio. Con O’nee-San nel loro salotto non c’era garanzia che la conversazione non fosse origliata, eppure quelle parole erano bloccate nella gola dell’executive e non riusciva a trattenerle.
“Non ti pare si dover essere più cortese, chibi? O non ti insegnano l’educazione alle elementari delle pecore?”
Chuuya sospiró, alzando drammaticamente gli occhi dalla bottiglia di vino.
“Hai esitato.”
“Ho esitato perché non volevo ucciderti,” replicò Dazai, con tranquillità.
“No, hai esitato perché non hai più lo stomaco. Ti farai ammazzare, Dazai.”
Non importava che avesse esitato con lui, perché era lui; nel loro mondo, nulla era per sempre e nessun amico era prezioso, nessun partner insostituibile, nessuna moglie inavvicinabile. Neppure l’Agenzia dei Detective Armati aveva il lusso di esitare.
Chuuya, dal canto suo, l’aveva lasciato fare. Voleva prendersi tempo. Dovevano combattere come se si stessero amando e amare come se fosse una guerra, e litigare come se dovesse finire sempre tutto contro un muro, con un bacio e un pugno e uno sguardo vorace e un insulto.
Quando si voltó, Dazai lo stava guardando, due bicchieri fra le dita che sporgevano dalle bende e un sorriso gentile a piegargli le labbra.
“Avevo un piano. Sapevo che la tregua sarebbe stata ristabilita, presto o tardi.”
“Il piano era di farti rompere il naso? Credevo odiassi il dolore.”
Il sorriso di Dazai tremó impercettibilmente.
“A volte schiarisce le idee.”
Chuuya lo guardó a propria volta, aggrottando la fronte. Non era semplice vivere con quel matto dell'ex partner, ma era una necessità con cui poteva venire a patti perché a volte credeva di amarlo con la stessa intensitá con cui lo infastidivano le sue macchinazioni e l’aria annoiata.
“Dunque cosa dovremmo fare ora?”
“Aspettiamo,” Dazai inclinó la testa ed il sorriso divenne luminoso, “fino a quel momento, sono felice di non aver ucciso Chuu~ya.”
Sfilandogli i bicchieri dalle mani con velocità febbrile nel tentativo di nascondere le guance bollenti, Chuuya soffocó un insulto e si voltó per versare il vino.
“Vattene da O’nee-San, vagabondo. Qui hai fatto abbastanza.”
Almeno una cosa l’aveva imparata: nonostante non si fosse mosso quando il detective si era piegato sopra la sua spalla per posargli un bacio sulla guancia, l’intonaco scrostato del salotto e una scrivania distrutta avevano cambiato qualcosa, e la casa era immersa in una luce cupa.
Fino a quel momento.
Chuuya non aveva mai realizzato, prima di quella sera, che Dazai si fosse lasciato andare ad una pantomima di convivenza perchè dava per scontato che quella cosa non sarebbe durata: una parentesi che fluttuava in un mare di altri eventi senza importanza, una bolla che stava per scoppiare.
Fanculo, nessuno riusciva a rovinare qualcosa di bello come Dazai Osamu.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: Ellie_x3