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Autore: Irene Leg    05/08/2019    0 recensioni
Di ritorno da un'esperienza che ha rimesso in discussione la sua lunga storia d'amore, lo youtuber ed esperto di tecnologia Davide dovrà affrontare un improvviso cambio di identità, e il processo di costruzione di un nuovo sé indipendente dalle influenze degli altri.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Davide è appoggiato alla ringhiera interna del palazzo. Fuma piano, guardando pigramente il cortile interno. Sono le otto meno un quarto di domenica mattina. L’appartamento alla destra del loro è stato sfitto un paio di settimane, e il nuovo coinquilino si deve essere trasferito mentre Davide era via. C’è già il sole, fuori, ma le luci della casa sono ancora accese. Davide pensa che dovrebbe andare a presentarsi. Non ha alcuna voglia di parlare con i vicini, ma parte integrante del suo lavoro è urlare o quasi a una telecamera, svariate ore al giorno, e il minimo che può fare è avvisare del rumore, e capire quali siano le ore migliori per streammare. Davide pensa che la casa nelle Marche che avevano visto era una villetta monofamiliare – villetta un termine eccessivamente nobile per il piccolo edificio – dove avrebbe potuto fare tutto il rumore che voleva, e bestemmia fra sé e sé. Si avvicina alla porta e dà un colpetto al campanello. Nessuna risposta. Aspetta qualche secondo. Ancora niente. Se ne torna indietro, si appoggia alla ringhiera e riprende a fumare. Mentre espira la prima boccata la porta si apre di scatto.
“Ti sei messo in posa per impressionarmi?” chiede una voce giovane. Davide realizza di essere piegato in avanti sulla ringhiera, la nuvola di fumo ancora visibile di fronte al suo viso.
“Guarda che il protagonista da romanzo esistenziale con sigaretta e dolore sopito è passato di moda” lo provoca la voce.
“A parte che è uno svapo, ma-“ comincia l’uomo, e subito dopo si ferma, realizzando che non deve giustificarsi.
“Pensavo fossi uscita e avessi lasciato le luci accese in casa. Ti presenti sempre così?” domanda Davide, finalmente girandosi a guardare chi gli sta parlando. La vicina di casa è una donna poco più giovane dei trenta, in infradito shorts e maglietta da basket del colore dei palloni. È bionda e ha lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo. Ha gli zigomi pronunciati e le gote arrossate; sembra sudata.
“Comunque non mi sono presentato, Davide.”
“Lo so” sorride la ragazza. “Ti ho visto in tv.”
“Ah. Be’ inutile dire che tutto quello che hai visto era finto.”
“Cioè?”
“Le… le cose che sono successe.”
“Sembra lunga da raccontare, vuoi un caffè?” chiede la ragazza, indicando dentro casa sua con un sorriso. Davide esita per un secondo. “Puoi fumare anche dentro” dice la vicina, mettendosi a ridere.
“Immagino di non avere una buona scusa per rifiutarmi.”
“Esatto. Comunque mi chiamo Asia.”
“Davide. Ma forse l’ho già detto.”
 
L’appartamento è strano – l’unico modo in cui Davide riesca a descriverlo. L’ingresso è tappezzato di poster di Marina Abramovich a Bologna, primi piani delle diverse arie sbigottite dei passanti che si strisciano addosso al suo corpo nudo per poter passare. C’è un comodino di legno su cui sono poggiate le chiavi. Davide passa per un corridoio stretto, e sbirciando le stanze a destra riesce a intravedere solo un basso poggiato a uno stand a treppiede in una camera. La cucina e la sala sono una stanza unica. I mobili sono una vecchia linea Scavolini. La sala ha due divani blu che si guardano fra loro. Al posto dove normalmente sarebbe presente la televisione c’è invece un mobile di legno squadrato, come una delle casette degli orologi a cucù dei cartoni animati. Una ventina di rotoli di carta, chiusi con elastici, sono poggiati alla parete sinistra.
“Siediti pure. Mi stavi dicendo del programma?”
“Sai fa strano incontrare persone che l’hanno visto. Dal vivo, intendo.”
“Lo so bene. Anche io quando incontro qualche fan non so mai che dirgli.”
“Ah, che cosa fai?” domanda Davide. La ragazza sorride e indica i rotoli contro il muro.
“Performance art.”
“Di lavoro, intendo?”
“Tu non fai lo youtuber, scusa?”
“Vedo che ti sei preparata.”
“E non ti ha insegnato a non fare mai quella domanda?”
“Point taken” risponde Davide, mettendosi a ridere. Asia ha acceso la caffettiera e messo su il caffè. Davide è sul divano destro. La ragazza si va a sedere al centro fra i due divani, dove Davide nota per la prima volta un tappetino di gomma blu scuro. Incrocia le gambe, poggia le mani sulle ginocchia e inspira profondamente, chiudendo gli occhi. Davida non sa cosa aspettarsi, mentre fissa la donna iniziare a mormorare parole in una lingua che non riconosce. Teme quasi che inizierà a galleggiare nell’aria da un momento all’altro. Da dove è seduto vede la maglietta larga di Asia afflosciarsi in avanti, e sbircia per un secondo, prima di riprendersi da solo. Asia continua a sussurrare, e il caffè sembra non prepararsi mai, senonché si interrompe a un certo punto, per chiedere a Davide cosa avesse iniziato a dire sul programma, e appena il ragazzo fa per rispondere ha già ripreso il suo bisbiglio.
“Sì… be’… avrai visto la situazione con, be’…”
“Federica?”
“Ecco. Abbiamo dovuto fingere, per la televisione, sai.”
“Sì?”
“Il bacio che hai visto nella sei era ovviamente vero, ma per il resto è stato tutto inventato.”
“Non l’avrei mai detto, sembravate avere un sacco di chimica.”
“Ma figurati, poi è sposata, ci mancherebbe altro.”
“Tu invece niente?”
Davide esita per un attimo. Asia sussurra. La caffettiera soffia piano, nella distanza.
“Scusa, era una domanda spinosa?”
“No, no… è che… è che non capisco cosa stai facendo esattamente. Preghi? Mediti? Qualcosa del genere?”
“Quindi per te non c’erano problemi?”
“Se andava bene a Federica andava bene anche a me.”
La caffettiera soffia ora più forte, e Davide se ne accorge. Si alza per spegnere i fornelli, e quando arriva alle manopole Asia l’ha raggiunto. Uno affianco all’altro si rende conto di quanto sia alta la donna: si guardano negli occhi senza dover praticamente inclinare la testa. Asia ha iridi nocciola e incisivi e canini sporgenti. Porta una linea sottile di eyeliner e ha dipinto le unghie delle mani di verde acqua. Il caffè che ha preparato viene da una busta senza scritto praticamente niente sopra. Asia sostiene che si tratti di una miscela equosolidale proveniente dal Ghana, e che tutti i profitti vanno ad aiutare le famiglie degli agricoltori.
“Me lo porta la mia amica Mel un paio di volte l’anno, quando torna da Boston” dice Asia. Davide annuisce e beve muovendo leggermente le labbra, per dare l’impressione di stare degustando. Trova che il liquido abbia un sapore pessimo.
“Ora che ci penso non mi hai detto perché avevi suonato” dice a un certo punto Asia mentre sono seduti al tavolo a bere. Davide comincia a spiegare il suo problema con i vicini.
“Ah non credo sarà un problema, anche io sono spesso rumorosa.”
“Temo che i due negativi non si cancellino a vicenda” risponde Davide mettendosi a ridere, ma sperando che la risposta venga presa sul serio.
“Be’ io faccio rumore principalmente di notte” dice Asia scoppiando a ridere a sua volta. Davide è preso in contropiede e non sa bene cosa rispondere.
“A proposito, questa sera organizziamo qualcosa qua con un paio di miei amici, vuoi unirti?”
“Io… immagino di non avere niente in contrario.”
“Sei sempre così riconoscente?”
“Scusa, non me l’aspettavo.”
Asia gli sorride.
“E quindi come ci si sente a stare in tv?” gli chiede poco dopo.
 
Davide trascorre buona parte della giornata a piegare vestiti dall’armadio di Federica e sistemarli in una valigia rettangolare di stoffa verde scuro. La donna aveva l’abitudine di ricacciare gli abiti disordinatamente nell’armadio, in sostituzione della pila sulla sedia che spesso si forma. Davide non è capace di piegare le camice; il metodo gli è stato piegato mille volte ma comunque gli escono tutte diverse: alcune con le maniche a penzoloni, altre troppo strette nella parte superiore, un paio piegate perfettamente seguite da una fila di ammassi. Una ha il colletto coperto da una manica, non si capacita nemmeno lui di come ci sia riuscito. Davide lavora lentamente, prendendosi pause più lunghe dei periodi in cui effettivamente fa qualcosa. Ordina un panino d’asporto. Si sdraia sul divano e scorre a cervello spento la home di Instagram. Una ragazza gli ha scritto che guarda sempre i suoi video e lo trova carino. Davide inizia a digitare una risposta, poi ne apre il profilo e si rende conto che non può avere più di quindici anni, e si ferma. Nell’ingresso dell’appartamento sono ammonticchiati cinque o sei pacchi Amazon, la freccia ascendente sotto il logo ripetuta uguale in tutti, come a suggerire subliminalmente l’andamento delle azioni del gruppo. Apre quello più in alto, che contiene un rasoio che si può connettere a internet, e da lì a un’applicazione del telefono, e così si possono programmare le routine di rasatura. Davide ricorda di aver accettato di sponsorizzarli perché pagavano molto bene – il prodotto è inutile, se ne rende conto – e hanno un bisogno disperato che qualcuno affermi pubblicamente il contrario. Davide prova a immaginare il copione del video brevemente, come cercherà di mascherare la superfluità della cosa. Ci prova seriamente, grattandosi il mento per migliorare la lucidità del pensiero, ma riesce a concepire solo slogan pubblicitari televisivi come “rasature irregolari? Mai più!”, e immagini di ragazze sorridenti e coi denti bianchissimi, anche se il prodotto è per uomini e i denti non c’entrano nulla. La sera arriva senza che nemmeno se ne accorga.
 
E ma quando gli aprono la porta, e Davide si è anche quasi messo in tiro, cioè ha semplicemente spiegazzato una delle sue camicie escherianamente ripiegate, e la casa è invasa da una colonna sonora di indie strumentale e uomini intenti a spiegare a donne annoiate perché Loro pt.1 sia un film decisamente migliore di Loro pt.2, non trova traccia di Asia. Per salutarla deve spalancare la porta della camera dove aveva visto il basso. Ora che ci entra la vede subito. È appoggiata di schiena contro il letto, seduta sul pavimento. Ci sono altre tre ragazze attorno a lei e stanno disponendo e rimischiando tarocchi a terra. Il soffitto è coperto di fogli di carta incollati che disegnano un pattern psichedelico; c’è una libreria piena di manuali colorati organizzati per criteri bizzarri, ognuno diverso di scaffale in scaffale, come lunghezza del titolo, causa di morte dell’autore, numero di divorzi dell’autore (vivente), se un cane muore o meno nella storia (quando gli vengono spiegati i criteri, Davide nota subito che la sezione dove andrebbero i libri con i cani morti è praticamente vuota). “Asia,” la chiama a voce alta per sovrastare la musica. La stanza puzza d’erba in modo esplicitamente non nascosto. Asia ricambia il saluto, invitandolo a prendersi da bere. Davide scavalca persone fino alla cucina, dove trova una sorta di turno di guardia attorno al frigo. Prende una birra da una delle casse ammonticchiate attorno all’elettrodomestico e torna indietro. Il liquido è caldo e sgradevole. Quando rientra la ragazza sta parlando con fare concitato; si sono aggiunti due uomini in piedi distanti. Davide si accosta a loro.
“Perché è quello il problema, no, il regionalismo. Tutto è sempre così, come si dice – è sempre tutto da sagra del paesino, no?” Asia gesticola parecchio, torcendo la mano sinistra in un modo che Davide non trova molto femminile.
“Tu prendi… persino la costituzione, no? Cioè cosa dice? Articolo uno: l’Italia è una repubblica fondata sul… Chi lo sa? Sarà forse un alto ideale? Sulla giustizia? Sull’eguaglianza? Sulla ricerca del senso della vita? No, lo sapete. Lo sapete tutti. È fondata sulla cosa più misera e provinciale che ci sia, il lavoro. Sturare i bagni è un lavoro. Rigirare le email è un lavoro. Fotocopiare carte d’identità è un lavoro. Fare così (Asia rotea il braccio destro, come nei cartoni animati si caricano i pugni per colpire più forte) per dirigere il traffico è un lavoro. La verità è che questo. Tutto è questo. Tutto questo è la base, no? Tutto è costruito su questo costante fare le cosette in piccolo, fare le sagre di paese a cui vai e sbadigli e mangi le tagliatelle fatte in casa, a mano, mica come all’estero, dove magari ci sono molti più ristoranti stellati, però ehi che ne sappiamo noi. Siamo fondati sul lavoro. E dove si lavora di più, con più garanzia che si lavori tutti, che nei paesini di provincia dove i lavori son sempre quelli e li fanno i figli dei figli dei figli. Questo è. Siamo fondati sul lavoro. Siamo… siamo fondati sul provincialismo. Provincialismo come piovra. Provincialismo come filmografia.” Davide ascolta senza muoversi. È appoggiato al muro con una mano. Pensa brevemente che sia strano che nessuno l’abbia riconosciuto. Poi scaccia il pensiero e torna a concentrarsi su Asia. Sente qualcosa attirarlo verso di lei, una forza magnetica e concreta. Non sembra stare improvvisando ma non sembra nemmeno stare recitando. Una via di mezzo.  
“Il provincialismo di avere ancora Totò come eroe nazionale quando al di fuori dei confini c’era Charlie Chaplin – uno monologa sull’ideologia e la giustizia e-e come organizzare la democrazia e – e l’altro si mangia gli spaghetti. I cazzo di spaghetti.”
Davide pensa che Asia sia un centro di gravità per le persone nella stanza, un buco enorme in cui tirare sentimenti e che se solo si riempisse lascerebbe scappare via, ma non si può riempire, non riesce a riempirlo. Asia sembra più rilassata, più convinta.
“E quando hai finito di vedere i classici cosa guardi poi? La televisione. E in televisione vedi provincialismo e solo provincialismo. Nemmeno merda, provincialismo. Le lezioni musicali di Berio durano dieci puntate, e Linea Verde dieci anni. Gente che fa la marchetta dei loro libri del cazzo al telegiornale. Servizi sugli alpini al bar. Servizi sulla gente in spiaggia che ha caldo. Ad Agosto.” Davide ascolta e sente soltanto una voce che parla di lui, esclusivamente di lui; del suo lavoro e dei suoi video – e ma per quanto ne parli male, malissimo, continua a parlarne dolce e innamorata. “E le mostre sono provinciali: il nostro risorgimento, il nostro rinascimento. Sempre e solo gloria passata. E le persone convinte che sapere il dialetto sia cultura. E poi le storie di Benni per glorificare la nostra realtà fatta di bar scadenti e gente che non ha mai letto un libro in vita sua. Lo sport.” La voce sta dicendo che è nata per lui. Che c’è sempre stata per lui, solo che non se ne è mai accorto. E ma che ora c’è; che ora lo guiderà, lo porterà a capire. “Fantozzi che sfotte il cinema alto; perché alla fine è… di questo si tratta, no? Chi fa il cinema alto e chi lo sfotte, senza aggiungere però nulla di suo. E tutti ad applaudire lo sfottò, convinti che fosse quello il punto. Che la trasmissione stia dicendo di essere mediocri e fare schifo al cazzo. Questo siamo. Siamo provinciali – siamo provincia. E per questo preghiamo. Non perché sia giusto. Non perché sia vero. Ma perché è assoluto. La preghiera è assoluta. È anti-provinciale.”
Davide ascolta in silenzio. La ragazza fa una pausa per bere un sorso di birra.
“Non ti facevo cattolica” le dice.
“Non lo sono, infatti” risponde Asia. Non dice altro, e Davide percepisce che sta aspettando una sua domanda successiva, per poter poi specificare cosa costituisca quell’altro. Ma non ha alcuna intenzione di darle la soddisfazione, e cambia argomento:
“Sai, è una cosa che ho sentito spesso anche io col mio lavoro. Non sai quanti commenti continuano ad arrivarmi che non facciamo altro che copiare gli americani – che voglio essere come lo youtuber x o y – e che gli dovrei dire? Dovrei voler essere come gli italiani? Ma che davvero?”
La fine della frase segna la rottura di un sigillo, di un divieto sociale silenzioso, e improvvisamente Davide si trova bombardato da domande sulla sua vita; come sia stato andare a Temptation Island, come sia la sua routine di tutti i giorni, come ci si senta a stare in televisione. Le ragazze si avvicinano, e i due uomini a cui si era accostato mentre ascoltava Asia fanno lentamente due passi indietro. Davide risponde a tutti meglio che gli riesca. Una ragazza bassa con tatuato sull’avambraccio una frase in elfico del Signore degli Anelli gli chiede un selfie, Davide le si avvicina e sorride con l’entusiasmo più sincero che riesca a simulare. Però mentre parla si trova in difficoltà. Non riesce a formulare pienamente, a chiarire i concetti. Una ragazza gli chiede qualcosa di collegato a un vecchio vlog che aveva fatto, in cui raccontava di come avesse installato una telecamera nascosta nella sua bicicletta per vedere che fine faceva una volta rubata. La domanda è specifica, e Davide che si è sempre vantato di avere una memoria enciclopedica per questa roba, non si ricorda. Sta pensando a quello che ha detto Asia. A come Totò gli fosse sempre piaciuto, fino a quel momento, e ma come ora non sia più così sicuro. Forse è vero che quella scena non è divertente, è misera. Davide pensa. Asia è tornata a sedere sul pavimento, ha incrociato le gambe e sta nuovamente parlando da sola a bassa voce, in quello che ora Davide capisce sia una preghiera. Davide si sente toccare sulla spalla e non se ne accorge fino al quarto o quinto tocco. Un ragazzo è entrato dal corridoio e gli sta mostrando un telefono su cui vede riflesso il suo viso in un video di qualche settimana prima. Sorride a malapena. Appena riesce a liberarsi si va a sedere affianco ad Asia.
“Quando parli di provincialismo, no, a cosa ti riferisci di preciso?” La donna risponde come alla mattina, interrompendo brevemente la preghiera per esprimersi, e riprendendo il mormorio subito dopo.
“L’attitudine al piccolo. Alle partite iva. Al rivendicare l’orto con la scusa che è preferibile alla metropoli, quando la metropoli non è mai stata un’opzione in primo luogo.”
“E secondo te questi siamo noi? È quello che ci rappresenta, dici?”
“Non è che sia una mia opinione. Devi solo guardarti attorno. Vedi discorsi basati sui principi o discorsi basati sugli orti? Gli Stati Uniti discutono se la sanità sia un diritto o un privilegio, e noi parliamo di come muovere di uno zero virgola gli scaglioni fiscali.”
“Be’ non è meglio, scusa?”
“È strutturale contro pratica. È essenziale contro temporaneo. Non c’è nessuna profonda affermazione sulla vita che venga fatta.”
“Che è come si dicono le più grandi cazzate. Cercando di dire qualcosa di profondo sulla vita, voglio dire.”
Asia apre gli occhi, e il suo sguardo è di pietà e disprezzo. Violento, più che compassionevole.
“È anche l’unico modo per dire qualcosa. Non ricordiamo i riformisti ma i rivoluzionari.”
Davide realizza di essere ancora in ginocchio, non essendosi seduto pienamente. È scomodo, ma non vuole muoversi. Sta concentrando tutte le sue energie sul trovare una buona risposta, ma non gli viene in mente nulla. Il suo viso si fa scuro, e la sua espressione vuota.
“Ero fidanzato anche io” dice all’improvviso. Asia non reagisce.
“Ero fidanzato quando c’è stata tutta la storia con… hai presente. Pensi che il provincialismo centri?”
Asia non reagisce.
“Forse credevo di essere meno provinciale facendo così? No, non ha senso. Però… Sento che sto iniziando a capire. Non sentivo niente di… di grande.” Le persone stanno iniziando a guardarlo. Parla concitato, e a un volume più alto di quello che realizza. “E- e così ho come percepito che era una relazione… provinciale? Ha senso? Una cosa piccola. Poco importante. E ho pensato – no, non l’ho pensato – però l’ho fatto – ho fatto sì che facessi qualcosa di grande. Di terribile, forse, ma di grande. Io… ti capisco.” Asia indica con la testa a una sua amica, e in pochi secondi sono usciti tutti. La stanza è vuota, salvo loro due. Asia si avvicina a Davide e gli poggia una mano sul petto. “Hai fatto il primo passo” gli dice, mentre si stacca dalla sue labbra.
 
Asia dice che il provincialismo è una deformazione culturale, che si rafforza negli anni formativi e si sedimenta, come il calcare. E una volta sedimentato si rende parte dell’ambiente, indistinguibile dal resto – e allora anche opere grandi appaiono in sordina, o di passaggio – appaiono cioè come sono, sì bello eh, però basta così. Smettere di pensarci appena è finita. Non lasciarsi consumare. Essere impermeabili non al consumo ma al farsi consumare. Davide la bacia a lungo nei pomeriggi di pioggia milanese. Accarezza le cosce abbronzate e cesellate di cellulite. Sente i suoi denti sporgenti mordergli le braccia mentre la avvolge da dietro e nasconde la testa fra i suoi capelli, e ne accarezza i piedi e ne palpa il seno. Sono passate tre settimane. Asia si siede sul pavimento e prega. Davide è seduto di fianco a lei. Cerca di imitarne le parole e i gesti. Quando Asia finisce dice: la preghiera è un atto di comunione. Non con il divino, quello non è importante, ma con il lato essenziale di noi stessi. Con la gravità che spinge la marea. Con i movimenti lenti e calcolati, essenziali. È una cerimonia, in contestazione attiva delle cerimonie. Perché non è rituale; non è spettacolo.
Davide annuisce e si ripete fra sé e sé alcune delle frasi. Asia dice: quando preghi, cerca di visualizzare lo spazio che è dentro di te. Cerca di trovarlo infinito. Questo non è facile. Richiederà tempo. Più si distende lo spazio dentro di te e più la realtà esterna ti sembrerà misera; più le chiacchiere da bar ti saranno insopportabili. E di conseguenza più crescerà la voglia di correggere la realtà, di aggiungere profondità. Ma non puoi. Non controlli la realtà. Nemmeno nelle parti che credi di poter modificare.
Davide annuisce e si ripete fra sé e sé alcune delle frasi. Asia dice: nella preghiera sei irrimediabilmente solo. Questa è una verità inevitabile, anche in momenti di comunione nella preghiera siamo soli. Sarai costretto a fare sì che la condizione della realtà sia solo conseguenza di quello che sei. Gli aiuti degli altri sono un’illusione temporanea. “Quindi la risposta al provincialismo è l’autarchia?” domanda Davide. Asia gli bacia spesso il collo, afferrandogli la testa con le mani e bloccandolo in un gesto che Davide trova molto poco femminile, e che lo costringe a fissare il vuoto davanti a sé finché la ragazza non è soddisfatta. È passato un mese e mezzo e Davide inizia a sentirsi emasculato dai comportamenti della donna. Asia gli blocca i polsi contro il letto usando il peso del suo corpo e sale su di lui. Mentre si divincola spinge spesso contro la sua forma naturale, facendogli male. Davide protesta, ma Asia non lo ascolta. Asia dice: parte di quello che rende possibile il rifuggire il provincialismo è individuare un’entità superiore a cui affidarsi. Un impeto da seguire fino alle conseguenze più estreme. Ma non è una soluzione definitiva, perché inevitabilmente si iniziano a infiltrare i dubbi sulla causa che stai seguendo. Deve diventare dedizione senza causa. Dedizione alla causa dell’essere devoti alla causa. Asia entra nella stanza dove Davide registra i video mentre sta lavorando e lo interrompe spesso, per pregare. Non è soddisfatta dai risultati ottenuti: Davide ora prega con lei praticamente sempre, e ripete le frasi che gli ha insegnato, ma a parte questo sembra essere rimasto uguale a se stesso. La preghiera non ha orari fissi e Davide non capisce come faccia ad azzeccare sempre un momento in cui sta facendo dell’altro. Un giorno protesta. Asia lo guarda con aria di sufficienza. Asia dice: non puoi pregare perché devi fare… quello? E indica lo schermo verde alle spalle del ragazzo e la telecamera davanti a lui. Davide stringe i pugni. Poggia il copione. “Immagino di avere cinque minuti,” dice.
   
 
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