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Autore: piccina    06/08/2019    2 recensioni
"Non era mai stato un padre tradizionale, ma a quel figlio voleva bene e sentiva che in questo momento aveva bisogno di lui"
Brian alle prese con la difficile adolescenza di Gus fa i conti con il suo essere padre. Justin è al suo fianco.
Idealmente circa una decina di anni dopo la 5X13
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Gus Kinney, Justin Taylor, Lindsay 'Linz' Peterson, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Forse pensavate (speravate) che non andassi avanti, invece eccomi qui con un nuovo capitolo. Non mi mancano le idee, ma il tempo. Alla prossima.

Con Susan erano tornati anche alcuni tratti del carattere di Brian che Justin aveva visto affievolirsi negli anni, a favore di una quotidianità più serena, senza le contraddizioni tipiche del marito. Non era solo Susan sulle montagne russe, a volte ci si sentiva anche lui, meno avvezzo di un tempo a gestire le virate di umore e comportamento di Brian. Non che non lo capisse, era stato travolto dalla sua scelta omertosa, i fantasmi sopiti, ma mai del tutto vinti, tornavano a fargli visita. A tratti Justin aveva paura. Una bomba li aveva riuniti tanti anni prima, adesso si sentiva come se una nuova esplosione fosse in agguato e lui non potesse fare altro che attenderla, sperando di essere fortunati, anche questa volta.
E la bomba era arrivata.   
Aveva lanciato il cappotto sul divano prima ancora che Brian avesse finito di tirare il portellone che faceva da porta al loft. Le dita erano corse veloci ad allentare il nodo della cravatta e utilizzando il tacco della destra si stava sfilando la prima scarpa: nera, stringata e scomodissima. Detestava la divisa da marito che gli toccava indossare quando accompagnava Brian a eventi ufficiali.
Fosse stato per lui con il giorno del matrimonio si sarebbe conclusa la sua storia con la cravatta e invece gli toccava, in alcuni periodi anche più volte al mese. I dolori del matrimonio, lo prendeva in giro Brian mentre lo vedeva stringersi il nodo neppure fosse quello scorsoio.
“Trenta secondi e sembra esplosa la bomba atomica…” aveva considerando Brian seguendo la scia di indumenti lasciata dal marito, ormai non se lo ricordava più il suo loft immacolato, intonso e ordinatissimo. Si trattava di ere geologiche prima che un ragazzino biondo gli invadesse la casa e la vita. Nel raggiungerlo aveva acchiappato le scarpe per portarle in camera, in entrata, una qua e una là, proprio no.
“Devo disdire il contratto di affitto e ricordami di dire a Ethan se vuole subentrare”
Non era chiaro se fosse arrivato prima il tonfo delle scarpe sul pavimento, il bruciore alla guancia o il baluginare all’occhio destro. Incredulo si era passato le dita sullo zigomo e strofinato l’occhio con il dorso della mano. Sul serio gli aveva tirato uno schiaffo?
“Non voglio mai più sentire quel cazzo di nome in casa mia. Ti è chiaro Justin? Mai più!”
Aveva sgranato gli occhi “Mi schiaffeggi, casa tua, dai ordini … sei impazzito?”
Brian manco lo considerava. “Lo odio. Odio il suo nome, odio la sua esistenza, odio quello che finisci per fare ogni volta che c’è fra i coglioni quel musicista di merda!”
“Che minchia c’entra Et …” il nome era rimasto incompiuto perché era stato ammutolito da uno sguardo feroce. Poi Brian aveva chiuso gli occhi e i muscoli del viso erano guizzati nervosi “Non mi provocare perché non so se riesco a trattenermi, ti meno. Pronuncia ancora una volta quel nome e ti meno”
“Ok, non lo dico, ma non c’entra un cazzo lo stesso”
“Anzi! Menomale che c’era lui in questi mesi, fra il lavoro e una bambina, chissà come avresti fatto. Adesso invece ti devi accontentare di me, che sfiga”
“Cristo santo Brian, ma cosa stai dicendo?”
“Io a casa a tenerti il letto caldo, a farmi trattare di merda e lui sapeva tutto. Lo hai fatto stare con nostra figlia e a me raccontavi cazzate. Sai le risate che si sarà fatto, per la seconda fottuta volta nella sua miserabile vita. Io sul serio non lo voglio mai più sentir nominare e non provare a fargli vedere ancora Susan”
“Ok. Non sentirai più quel nome e non lo vedrò più se questo ti fa stare meglio, ma …”
“Tu vedi chi cazzo vuoi, tanto lo faresti comunque, ma non ci provare con Susan” gli aveva ringhiato contro minaccioso.
“Tranquillo, mai più. Cambiamo strada se lo incrociamo”
“Non mi prendere per il culo”
“Non ci penso neppure, sono serio. Faccio tutto quello che vuoi, tutto quello che ti serve per trovare un po’ di pace. Brian. Ehi Brian? È tutta colpa mia, lo so benissimo. Tu odi lui, io odio me per farti stare così, per averti fatto questo, ma questo dolore passerà. Te lo prometto, Brian. Passerà, perché te lo farò passare.”
“Il nuovo mago della pioggia …”
“Vedrai”
“Ma che cazzo vuoi che veda?!” Si era slacciato l’orologio dal polso e l’aveva sbattuto senza rendersene conto contro lo spigolo del comodino. Il vetro del quadrante si era incrinato e aveva imprecato.
“Vedrò, come sempre, quel che mi vuoi far vedere. Quando si tratta di te, sono un perfetto coglione.”
Questo aveva fatto più male della sberla. Justin aveva mosso due passi all’indietro, come se cercasse di mantenere l’equilibrio.
“Ok” aveva detto tentando di articolare una frase, ma per l’ennesima volta era stato interrotto.
“E smettila di dire ok.”
Era in mezzo alla tempesta perfetta. Aspettare, non combattere le onde seguirle e sperare che la barca reggesse, poteva fare solo questo.
“ … me ne sono fatto una ragione anni fa, non ci so stare senza di te. Chi l’avrebbe mai detto che Brian Kinney sarebbe stato in balia di un biondino? – aveva schioccato la lingua - Però così è e io sono un tipo pratico, non combatto guerre che non posso vincere.”
Gli aveva preso la mano a tradimento e l’aveva strattonato verso di sé. Negli occhi un desiderio maligno.
“Vieni qui”
Il bacio era stato volgare. Justin aveva impiegato qualche secondo a reagire.
“No, così no” si era divincolato.
“Beh, adesso neanche più il sesso coniugale?”
“Io con te ci faccio l’amore e questa è cattiveria. Lasciami stare”
L’aveva di nuovo afferrato, questa volta per l’avambraccio. Justin non si era opposto, anzi gli si era fatto vicino. “È questo quello che vuoi? Farlo in questo modo per poi pentircene?”
“Di una buona scopata non mi sono mai pentito”
“Invece di menarmi preferisci questo? E allora accomodati, scopami, sfogati su di me, si tratta di questo” e aveva accennato ad abbassare i pantaloni.
Brian glieli aveva rialzati con sgarbo e si era riallacciato i bottoni della camicia “Ora decidi pure il livello minimo sindacale di tenerezza … Io me ne vado”
“È tardi, dove vai?”
“Non sono cazzi tuoi.”
  Si era lasciato cadere seduto sul materasso. Il silenzio adesso era soffocante. Solo, in quel loft, gli mancava il fiato. In parte se l’aspettava, non era credibile che una stronzata come quella che aveva fatto lui e un terremoto di quelle dimensioni passasse nelle loro vite senza grandi sussulti, ma Brian ridotto così non lo immaginava, non aveva capito. Gli faceva male il petto, risentiva le parole di Brian, non ricordava le espressioni crudeli, che forse, anzi di sicuro, si meritava, gli tornava l’eco della voce, dell’urlo o dei toni bassi carichi di un’ira trattenuta malamente che faceva tremare le sillabe come fossero pianto. E adesso chissà dov’era, nel cuore della notte, incazzato come una mina, poteva fare qualunque stronzata. Non voleva neppure pensare che non sarebbe tornato, ma la paura c’era e gli mordeva le chiappe. E se ci avesse provato, sul serio, come sa fare Brian, ma la delusione, il tradimento, fosse stato troppo grosso e adesso rimanesse solo per Susan? Lui, Justin, come avrebbe fatto?
Aveva smesso di fumare ai tempi di NY, però adesso aveva bisogno di una sigaretta, avrebbe preferito una canna, ma erano lontani gli anni nei quali avevano sempre una scorta di maria. Sapeva dove Brian teneva il pacchetto d’emergenza e anche se era un po’ che non venivano al loft, sperava che ci fosse. A fatica si era alzato dal letto e diretto nella zona giorno, verso la scrivania. Nel cassetto, ordinato, fra matita, stilografica, post it, un blocco e penna usb, c’era un pacchetto aperto con ancora sei o sette sigarette, infilato dentro l’accendino. La prima boccata gli aveva bruciato la gola, infiammato i polmoni, il colpo di tosse era arrivato puntuale come la prima volta che aveva fumato di nascosto nei bagni della scuola. Si era spostato davanti alla grande vetrata. I fari delle poche auto in giro a quell’ora invadevano di lampi attutiti e brevi il buio della stanza. Si era mosso per il loft senza accendere la luce, gli bastava la poca che filtrava dalla camera da letto. Conosceva quel posto come le sue tasche, era casa sua, tanto quanto di Brian e adesso era lì sperando di vederlo tornare. Una sigaretta, due, tre. Brian non era rientrato, probabilmente quella notte non l’avrebbe fatto. Aveva raccolto quel poco di coraggio che gli rimaneva, aveva spento l’ultima sigaretta e si era buttato a letto, solo che non riusciva a dormire, così dopo mezz’ora si era trovato seduto sul bordo, con le gambe fuori, i gomiti puntati sulle cosce e la testa fra le mani. Aveva un po’ freddo, ma non gli importava. 
Il brivido che l’aveva attraversato non era dovuto a quello, ma al fatto che gli era sembrato di sentire il fruscio della porta scorrevole. Nel dubbio si era cacciato sotto le coperte, non voleva farsi trovare ad aspettarlo, non voleva costringerlo a parlare. Aveva finto di dormire, sperava solo che il battito del cuore, che gli arrivava in gola, non si sentisse forte quanto a lui martellava nel petto. Steso su un fianco, gli dava la schiena. Non si sentiva un suono, solo i loro respiri, non lo vedeva, ma Brian sembrava immobile. Poi, anche se aveva cercato di non fare rumore, si era sentito il clac del cassetto. Semplicemente aveva dimenticato qualcosa e aveva aspettato di essere certo che lui dormisse, per rientrare a prenderla. Non si era mosso, ma gli scappava da piangere ed era rimasto in attesa di sentirgli riprendere la porta. Invece Brian si era soffiato il naso. Aveva preso un fottuto fazzoletto e a lui ancora un po’ veniva un infarto. Aveva avvertito chiaramente il suono della fibbia della cintura ticchettare sul parquet, si stava spogliando e doveva essere ancora turbato, se mollava tutto sul pavimento. L’aria fresca l’aveva investito, quando aveva sollevato le lenzuola dalla sua parte e poi il materasso aveva un po’ ceduto sotto il peso. Era lì, era tornato a casa, nel loro letto. Riusciva di nuovo a respirare, gli era sembrato di essere rimasto in apnea da quando era uscito.
“Ma dove cazzo vuoi che vada, stronzo?” aveva detto alla notte, dal momento che pensava lui stesse dormento, e delicatamente gli aveva passato un braccio intorno e accarezzato leggero come una piuma l’avambraccio, poi aveva sospirato.
Justin si era voltato a sorpresa.
“Ehi…”
“Ehi” aveva risposto a pochi centimetri dal naso.
“Come stai?”
Brian aveva sollevato le spalle.
“Menomale che sei tornato” aveva detto il marito, dando voce all’ansia.
“Mai pensato di non farlo”
“Ho temuto di sì, avresti delle buone ragioni. Mi dispiace così tanto Brian, ma così tanto” non si era più trattenuto, non era certo la prima volta che lo vedeva piangere e aveva stretto le braccia intorno al marito, le dita della mano erano affondate nella spalla.
Brian l’aveva sollevato un pochino sistemandoselo meglio addosso.
“Sentirti quel nome sulla bocca, accorgermi che avevi un pensiero per lui mi ha fatto impazzire. Non volevo colpirti, ma avrei potuto fare di peggio. Mi faccio paura”
“Ci stava.”
“Forse nel paleozoico. Ed è anche totalmente illogico - aveva scosso la testa. - Ma Cristo Justin, come hai potuto?”
“Volevo difenderti. E’ stata una grandissima idiozia, ma volevo solo proteggerti”
“Enorme”
“Smisurata”
“Non fare mai più una cosa simile”
“Mai più”
“Sarà meglio, perché come hai visto mi sono scoperto violento”
“Puoi contarci, non amo sfidare la sorte”
Mentre parlavano si erano avvicinati fino a sfiorarsi, Brian aveva strusciato il naso sulla guancia di Justin, dove si era appoggiato violento lo schiaffo. Era buio e non poteva vedere un’eventuale rossore.
“Ti fa male?”  
“Un po’” aveva risposto sorridendo, inclinando il viso. Il naso aveva lasciato il posto alle labbra. Un bacio delicato, a chiedere scusa. 
“Hai una buona tecnica”  
“Talento naturale”
E finalmente una risata aveva riempito la camera.
“Dove sei stato?”
“In giro, ho camminato su e giù per Liberty Avenue così tanto che uno mi ha chiesto quando prendo.”
“Idiota!”
“Giuro”
Era bello vederlo di nuovo cazzone.
“Non ho scopato”
“Non te l’ho chiesto”
“Allora?” gli occhi luccicavano divertiti.
“Allora cosa?”
“Quanto prendi?”
Brian era scoppiato a ridere.
“Servizio completo 500 dollari”
“Un po’ tanto”
“Ti ricordo che stai parlando di me …”
Justin gli aveva passato le dita fra i capelli e appoggiato un bacio leggero, poi un soffio sulle labbra: “Dopo ti stacco un assegno da 1000”
“Affare f…” la voce era stata risucchiata dalla bocca di Justin, la lingua era entrata senza convenevoli, lo succhiava, lo assaggiava, gli lucidava i denti e poi scappava senza farsi prendere.  Si era staccato solo un attimo, portandosi fra le labbra il suo inferiore.
“Hai un buon sapore”
“Whisky, ne ho bevuto due”
“Non è il liquore, sei tu”
Le mani erano volate sotto la maglietta bianca che Brian usava normalmente per dormire. Nel buio per sbaglio doveva aver preso una delle sue, era così attillata che sembrava una mise di Emmett. Le mani scivolavano a fatica, strette fra la pelle e il cotone, imponendo una carezza ruvida e Justin aveva incontrato capezzoli turgidi e sensibili quando era riuscito a risalire. Brian era sulla schiena, il capo abbandonato sul cuscino e gli occhi semichiusi, le mani scivolavano sulla schiena di Justin, poi rapide gli avevano sfilato la t-shirt, aveva agganciato il collo del marito, un piccolo colpo di reni e la lingua era entrata maliziosa e stuzzicante nell’orecchio, poi era scesa sul collo, umida e calda, aveva invertito le posizioni, adesso era Justin steso sulla schiena e lui scendeva verso lo sterno, giù fino all’ombelico, lo leccava e baciava, con la punta della lingua entrava ed usciva in quel piccolo pertugio che in Justin era incredibilmente sensibile. Adorava il ventre piatto e teso di Justin, adorava sentire i muscoli contrarsi sotto la sua lingua e le sue dita. La maglietta che ancora portava era diventata improvvisamente insopportabile, si era staccato un secondo per sfilarla alla velocità della luce. Justin aveva commentato con un soddisfatto: “Meglio” prima di appoggiare le mani calde sul petto del marito, poi aveva accennato a voltarsi e mettersi comodo per essere preso.
“Hai fretta Jus?”
“Un po’”
Decisamente Brian aveva invece tutta l’intenzione di prendersela comoda. La mano era arrivata veloce all’inguine, era bello, duro e un po’ storto verso sinistra, Justin tendeva al democratico anche nel cazzo. Anticonvenzionale, leggermente disordinato, caratteristico, amava sentirlo in bocca, un po’ di sbieco, adorava i piccoli scatti che tentavano di portarlo a una rettitudine che non gli apparteneva, occupandolo in posti che non si aspettava.
Farlo venire così, decidere quando, assaggiarlo. Avere il controllo e desiderare, inaspettatamente, di perderlo.
“Siamo a un livello abbastanza accettabile di tenerezza?”
Aveva riso e quegli amatissimi occhi azzurri brillavano allegri. La carezza era stata lieve mentre annuiva, la pacca sulla guancia secca, maschia, tipica di Justin. Il battito accelerato, forte che aveva sentito sotto il palmo, quando aveva piegato le gambe e aperto le cosce, l’aveva quasi spaventato.
“Brian …”
Era stato il suo turno di annuire e di tornare a casa.
Lo aveva preso piano, dolcemente, assicurandosi di avere tutto il tempo, lo aveva baciato, preparato e poi era scivolato in lui. Era stato dolce e si era reso conto irrimediabilmente di quanto gli fosse mancato l’abbandono di Brian in quelle settimane. Non si era sfilato, ma semplicemente appoggiato sul petto del marito, le braccia erano scivolate sotto la schiena e l’aveva abbracciato silenzioso fino a tornargli duro dentro. Brian aveva iniziato piano a farlo ondeggiare, poi non c’era più stato nulla di romantico e dolce, solo passione e caldo e sudore e parole ardite pronunciate nell’orecchio e rubate al respiro.
“Toccati Brian, fammi vedere come ti tocchi mentre ti faccio godere” e Brian si era toccato senza abbandonare un secondo i suoi occhi. Quanto era venuto con la bocca aperta e un rauco suono strozzato Justin aveva creduto di essere risucchiato e gli era esploso dentro in un orgasmo intenso e feroce.  
Dopo qualche minuto si era alzato, aveva fatto un salto in bagno e poi aveva preso una bottiglia d’acqua prima di tornare al letto dal quale Brian non si era mosso. Era rimasto sdraiato sulla schiena, le braccia incrociate dietro la nuca e gli aveva sorriso. “Buona idea, ho sete anche io” aveva allungato la mano verso la bottiglia aveva dato una lunga sorsata, per poi riconsegnarla a Justin che invece di appoggiarla aveva usato il liquido residuo per pulirgli l’addome. Solo che l’acqua era fredda di frigo e il marito aveva fatto un salto sul letto. “Mi vuoi far venire una sincope?” “Shhh zitto! Sei tutto appiccicoso, io voglio usarti come cuscino, ma mi pare evidente che sei troppo pigro per andare a pulirti” l’aveva ricacciato giù con una manata scherzosa e aveva terminato sommariamente l’opera e poi, come promesso, l’aveva usato come guanciale.
“Quando mi amavi usavi una salvietta umida e tiepida”
“Quando ti amavo, infatti, mica come adesso” gli aveva stretto le dita intorno alla coscia, Brian era suo e lui apparteneva a Brian.
Brian gli aveva preso la mano, intrecciato le dita con le sue poi aveva portato le nocche alla bocca, baciandole una a una.
“Comunque – aveva iniziato Justin inseguendo un suo pensiero – sono io che non so stare senza di te, tu ci riusciresti, io no, non credo proprio. Ho bisogno di te, non tu di me. Ho bisogno della tua intelligenza, della tua ironia, della tua stronzaggine, della tua pelle, dei tuoi occhi, del tuo profumo, di come mi guardi quando mi ami e ti sono infinitamente grato di essere ancora qua, in questo modo.”
“Ti amo, biondino, talmente tanto da ridurmi così, renditi conto della responsabilità che hai!” gli aveva scompigliato i capelli e poi con un dito sotto l’ascella gli aveva fatto il solletico e Justin si era dimenato come un’anguilla invocando pietà. Non l’aveva ottenuta subito.
Amore, sesso, gioco e risa, poi era arrivato un silenzio quieto, sdraiati a pancia in su, le dita intrecciate, lo sguardo a seguire i ghirigori delle ombre sul soffitto.
“Domani mattina hai appuntamenti?”
“No, perché?”
“Allora scrivi un messaggio a Cynthia che arrivi nel pomeriggio, io lo mando a Naty per dirle che fino a mezzogiorno Susy è ancora faccenda sua - Brian l’aveva guardato interrogativo e il marito aveva continuato – Fra uno schiaffo, una passeggiata adescatrice, la mia disperazione e il tuo ritorno, fra l’amore e il solletico si sono fatte le cinque del mattino. Io devo dormire qualche ora o non sopravvivrò a Susy e tu pure devi riposarti o chissà cosa mi combini”
“E pensare che un tempo facevi 1500 al test d’ingresso”
L’idea gli era sembrata buona perché aveva afferrato il cellulare dal comodino e già stava componendo il messaggio.
Stava quasi per addormentarsi quando l’aveva sentito alzarsi.
“Che hai? Dove vai?” gli aveva chiesto allungando il braccio sul materasso, per toccarlo.
“Mi continua a colare il culo e mi dà fastidio” era stata la prosaica risposta.
Justin aveva sghignazzato a bassa voce, il romanticismo di Brian non conosceva limiti. 
L’aveva destato l’aroma del caffè e un lontano rumoreggiare di stoviglie. Si era stiracchiato e poi aveva allungato la mano verso l’orologio poggiato sul comodino: undici e venti, non male! Brian doveva averlo sentito andare in bagno perché se lo era trovato sorridente sul primo dei tre gradini che portavano alla camera rialzata. Era già parzialmente vestito, pantaloni grigi dalla piega impeccabile, cintura nera di fine vitello coordinata alle scarpe inglesi stringate. La camicia bianca aveva le maniche sbottonate e non indossava ancora la cravatta.
“Hai fame? Io ho già iniziato, sono quasi in ritardo, ma non ho avuto il coraggio di svegliarti”
Si era passato la mano fra i capelli e stropicciato gli occhi.
“Hai cucinato?” Il tono era fra lo stupefatto e il preoccupato.
“Ti ringrazio per la fiducia, ma no. Ho solo preparato il caffè, il resto arriva dalla brasserie all’angolo. Se si vuole accomodare, Signor Taylor, il brunch è servito”
Era stato un bel risveglio quella mattina, mentre finiva con calma di consumare il pasto e Brian terminava di vestirsi, gli erano passate davanti le immagini di altri risvegli, di altre mattine e molte colazioni. Era lì, in quella casa allora sconosciuta che, ragazzino, una notte aveva seguito un figo sballato e si era compiuto il loro destino. Fra quelle mura c’era stato tutto: sesso, paura, amore, rabbia, risa e pianto, silenzio, allegria, solitudine, cattiveria e perdono e poi di nuovo amore in un rincorrersi inesausto che è la loro vita. Nelle piccole scalfitture sul piano di cottura, che prima della sua venuta era perfetto, intonso e mai utilizzato, nei segni sbiaditi del gancio della TV a parete che Brian cambiava a ogni nuovo apparecchio, nella scrivania più grande che avevano comprato per poterci lavorare entrambi e che turbava l’armonia stabilita dall’arredatore, ma che a loro era sembrata perfetta, nei segni sul parquet, nelle macchie di vino che non erano mai andate via del tutto, ma solo loro conoscevano nascoste dal tappeto, lì c’erano loro. Non era mai stato contento come in quel momento di aver convinto Brian a non vendere il loft.
“Che c’è?” gli aveva chiesto il marito passandogli a fianco, pronto ad uscire.
“Niente – gli aveva sorriso – pensavo a quanta vita c’è fra queste mura a quanta vita ho io con te, mi sembra di essere tuo da che ho memoria. Esistevo prima di te?”
“Esistevi, esistevi – gli aveva risposto, abbracciandolo alle spalle e appoggiando il mento su di lui – eri un dannatissimo ragazzino, intelligente, rompicoglioni, caparbio e incapace di accettare un no come risposta, allegro e pieno d’amore e di rispetto, capace di darlo e di pretenderlo. Esistevi, esisti ed esiterai sempre, mi hai dato contorni che non sapevo di avere, mi hai disegnato meglio di quel che ero perché sei un fottutissimo, faticoso e adorabile genio”
  
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