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Autore: Eevaa    06/08/2019    4 recensioni
• Dopo otto lunghi anni dall'ultima battaglia contro Thanos, Peter trova finalmente il coraggio e il modo di mettere a posto le cose. Tuttavia riuscirà a sistemare anche il conflittuale rapporto con se stesso? •
Peter aprì gli occhi nuovamente, serrando la mandibola più forte. Non avrebbe mai dimenticato, non lo aveva mai fatto.
E, proprio per quel motivo, realizzò solo in quel momento come avrebbe dovuto agire.
Non aveva mai potuto farlo per se stesso, ma ora l'avrebbe fatto per Lei.

[TonyxPeter] [Spoiler!Endgame] [Spoiler!Far From Home]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Morgan Stark, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro. 
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà della Marvel.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

 
 

HIGH
HOPES



CAPITOLO 2 - IT TAKES ME BACK TO WHEN WE STARTED
 
 
•••
 
 
 
Il silenzio che si era susseguito alla domanda di Tony Stark era penetrato nelle ossa, quasi come il rumore delle unghie sulla lavagna. Fastidioso e insopportabile. Quando siamo? - aveva chiesto.
Peter, con la lingua tra i denti, non era riuscito nemmeno a guardarlo negli occhi. Gli stessi occhi che aveva cercato per otto anni, occhi nei quali aveva sperato di potersi perdere in un senso di tranquillità e pace che tanto aveva agognato.
Di quella pace nemmeno l'ombra. Solo smarrimento e sensi di colpa.
Non fare nulla che io farei. E soprattutto non fare nulla che io non farei.
Temeva davvero di aver combinato un disastro a perseguire la decisione di riportarlo indietro. Era andato tutto come previsto, non era successo nulla di grave, ma aveva il terrore che Tony l'avrebbe odiato. Che Tony non volesse affatto trovarsi lì, nel futuro. E la conferma era stata il tono aspro e intimidatorio con il quale aveva posto quell'interrogativo.
«Qualcuno risponda alla mia cazzo di domanda» ripeté Stark. Si sollevò con il busto per sedersi meglio e supplicò con gli occhi Banner o Strange di prendere la situazione in mano e dargli spiegazioni, dato che Peter sembrava tanto sconvolto da non riuscire nemmeno a parlare.
I due dottori non risposero e, al contrario, attesero che fosse Peter stesso a chiarire la situazione. Sapevano che avrebbe dovuto trovare le forze per farlo, era l'unico in quella stanza in grado di far ragionare quell'egocentrico di Tony Stark. Il dottor Strange lo sapeva bene: l'aveva visto su Titano. Ironman aveva quel brutto vizio di parlare sopra agli altri, a tutti, tuttavia con Peter non sempre aveva avuto l'ultima parola.
«Che anno è? Che fine ha fatto Thanos?» insistette Tony, cercando con occhi disperati qualche indizio che gli facesse intuire dove si trovassero. Quello era senza dubbio un laboratorio scientifico - forse di Banner - ma non se lo ricordava affatto strutturato in quel modo.
«Noi... noi abbiamo vinto la guerra, signor Stark. Thanos è morto» rispose finalmente Peter, una volta trovato il coraggio di iniziare quella conversazione che non aveva mai pensato di poter affrontare.
Abbiamo vinto, signor Stark.
Rabbrividì. Cretino lui! Aveva a lungo ponderato il modo di riportare Tony in vita ma non aveva mai, mai pensato a cosa dirgli per giustificare la sua azione. Si era sempre immaginato di abbracciarlo, di raccontargli tutto ciò che era successo in quegli anni davanti ad una tazza fumante di cioccolata calda, sorridendo e scordandosi di tutto il dolore. Cretino.
«Cristo, Pete! Vuoi deciderti a raccontarmi le cose come stanno o ti devo cacciar fuori le parole di bocca?!» lo spronò Tony, nel maldestro tentativo di mantenere una calma che era evidente non facesse parte del suo attuale stato d'animo.
Se solo fosse facile, pensò Peter. E se lo avesse odiato?
«Siamo nel 2031. Sono passati otto anni dalla guerra. È stato lei a uccidere Thanos, lei ha preso il Guanto dell'Infinito e ha schioccato le dita» spiegò, il cuore dolorante al solo ricordo di quella scena.
Io sono Ironman.
«Non ricordo di averlo fatto!» si intromise Tony, sottecchi, guardandosi poi le mani. Erano integre, a parte qualche contusione.
«Perché è morto! Lei è morto! In questa linea temporale lei si è sacrificato per noi» gracchiò Peter con voce rotta, e fu diffcile ignorare il pizzicore agli angoli degli occhi. «Quello che abbiamo fatto è stato tornare indietro nel tempo a prenderla, così che evitasse di sacrificarsi».
Tony strabuzzò gli occhi. Avevano viaggiato nel Regno Quantico, di nuovo! Avevano creato una nuova linea temporale. Non poteva credere alle proprie orecchie!
«Avete condannato la mia epoca alla distruzione, così facendo!» soffiò Tony, realizzando cosa avrebbe potuto comportare l'essere stato salvato.
«No! Abbiamo dato il guanto a Carol, sono salvi. Sono tutti vivi! Ma lei... lei naturalmente è scomparso da quella linea temporale perché...» Peter si interruppe per pensare a cosa dire, a come dirlo, a come farlo. Qual era il modo migliore per rivelargli il reale motivo per il quale avessero deciso di viaggiare nel tempo? Forse avrebbe dovuto farglielo capire con calma, anche se non sarebbe servito a niente. «Perché volevo che tornasse tra noi, qui».
«E perché non l'avete fatto subito dopo la guerra? Perché siete venuti a prendermi dopo otto dannati anni!?» puntualizzò Tony e, lentamente, tentò di alzarsi in piedi e liberarsi dell'armatura di Ironman, staccando alcuni pezzi rotti con scatti nervosi.
Bella domanda. Non ti sfugge niente, eh - pensò Peter.
«Ho aspettato perché avevo paura delle conseguenze. Non volevo mettere in pericolo questa dimensione solo perché non riuscivo ad accettare la sua scomparsa» si mise a nudo e si alzò anch'egli per fronteggiare il suo mentore, sperando con tutto il cuore che capisse.
Ma Tony non capì. Tony era sempre stato impulsivo, carnale, specialmente quando si trattava di Peter. Si sentiva responsabile nei suoi confronti e non avrebbe mai accettato un simile colpo di testa da parte del suo protetto. 
«MA L'HAI FATTO!» abbaiò. Si avvicinò pericolosamente al viso di Peter, ringhiandogli in faccia con rabbia. «Ti immagini cosa sarebbe potuto succedere se Thanos ti avesse seguito fin qui!? TI RENDI CONTO DEL PERICOLO IN CUI TI SEI MESSO E IN CUI HAI MESSO TUTTI VOI!?»
Peter strinse i denti fino a sentirli scricchiolare. Sapeva che sarebbe successo, ma quel confronto gli fece più male che mai.
E io volevo che tu fossi migliore.
Ancora più male di quella volta.
«Mi dispiace, signor Stark... io ci ho pensato tanto, io...» balbettò, percependo le gote andare a fuoco e le mani tremare di rabbia e tristezza. «Io ho dovuto imparare a vivere in un mondo senza di lei... a resistere. Ma poi...»
«Poi cosa?! Perché non mi hai semplicemente salvato e lasciato là nella mia epoca?»
Tony continuò a fissarlo negli occhi e sostenere il suo sguardo con evidente disappunto. Sperava che in otto anni fosse cresciuto, che avesse imparato a non agire di impulso, che fosse diventato migliore di lui.
«Ora non si tratta più solo di me... l'ho dovuto fare... ho dovuto prendere questa decisione e non per il mio egoismo. Ho dovuto farlo per Morgan» Peter sputò il rospo, si liberò di quel primo peso agganciato alle proprie spalle.
E, solo all'udire quel nome, l'espressione dura sul viso di Tony mutò, e nei suoi occhi iniziò a brillare la scintilla del terrore.
«M-Morgan... Morgan sta bene, vero? Dimmi che sta bene» sussurrò con voce incerta, iniziando ad avvertire i primi sintomi di un attacco di panico.
«Sì! Sì, sta bene!» si affrettò a rispondere Peter. «Ma... ma la signora Potts... io... mi dispiace, signor Stark. Lei è... per questo ho dovuto tornare nel passato. Non volevo che Morgan rimanesse sola al mondo adesso che sua madre... non c'è più» farneticò, con una morsa attorno allo stomaco. Perché, se in quella fottuta stanza erano in tre, doveva proprio essere compito suo dargli la notizia che sua moglie fosse passata a miglior vita?
Tony fece due passi indietro e si appoggiò di nuovo con la schiena al muro per sorreggersi. Sentì le gambe tremare, sentì il proprio corpo cedere.
«Pepper è morta?» domandò con un filo di voce.
Peter quella volta non distolse lo sguardo. Lo affrontò a testa alta, sebbene gli occhi di Tony si fossero appena caricati di sensazioni terribili. 
«Mi dispiace» soffiò. Cercò un contatto che però Tony evitò come la peste, e in quel momento lesse odio puro nel suo sguardo.
Tony evitò il suo contatto e, reggendosi in piedi a malapena, si avviò furibondo verso l'uscita del laboratorio spalancando la porta con un pugno, seguito di corsa da Bruce Banner.
Peter si sentì morire, avrebbe preferito sparire piuttosto che farsi guardare in quel modo dalla persona a cui teneva più al mondo. Si sentì sbagliato, si sentì trafitto, e capì che forse aveva commesso un grave errore a portarlo lì. L'aveva fatto per una giusta causa, ma aveva finito per essere odiato. Stette per parecchi minuti a osservare il muro, ricurvo su se stesso con il cuore in frantumi e la testa pesante ma, quando percepì il dottor Strange avvicinarsi e aprire la bocca per dire qualcosa, alzò una mano per frenarlo e continuò a guardare altrove.
«Lasciami solo».

 


C'erano voluti parecchi minuti per convincere quella testa dura di Tony Stark a calmarsi e farlo desistere dallo spaccare tutto ciò che aveva trovato lungo la strada verso l'uscita. Una fortuna che Hulk fosse grosso il triplo di lui e Stark non conoscesse affatto la planimetria del nuovo quartier generale.
Bruce gli si era piazzato di fronte con le braccia aperte per bloccargli il cammino e, dopo essersi fatto urlare addosso di tutto, era riuscito a placcarlo - complici anche alle vistose ferite che gli stavano debilitando il corpo. Non sarebbe stato affatto così semplice fargli capire che aveva urgente bisogno di medicazioni, se non fosse stato per quel sanguinante squarcio a lato della testa che gli faceva annebbiare la vista a momenti alterni.
L'aveva trascinato con forza nel laboratorio del dottor Strange dopo qualche resistenza – alla quale tutti gli Avenger erano abituati – ma tutto era andato per il meglio. L'assistente di Stephen gli aveva suturato la ferita e medicato le escoriazioni e, ignorando qualsiasi suo tentativo di minimizzare la cosa, il dottore lo aveva obbligato a sottoporsi a una TAC che per fortuna non aveva evidenziato nessun danno se non un lieve trauma cranico. Gli aveva intimato di rimanere a riposo almeno qualche ora per lasciarsi monitorare e, stranamente, aveva accettato.
Il tempo necessario per l'esame diagnostico e i calmanti somministrati agirono sul suo stato di irrequietezza e sui suoi spasmi muscolari ma, ovviamente, non sulla sua emotività.
Ma, a dispetto di ciò che i due dottori si sarebbero aspettati, Stark scoppiò in un pianto disperato alternato a stati di apatia. Normale stress post-traumatico. Si sarebbero aspettati che continuasse a cercare di fuggire o inveire come lo stronzo che era sempre stato, invece si lasciò consolare dalla semplice presenza dei due amici e si lasciò raccontare ciò che era successo a Pepper, reagendo al racconto come una persona normale: disperandosi.
Raggiunse uno stato di calma e rassegnazione dopo circa tre ore, durante le quali Bruce Banner lo aveva reso partecipe di alcuni avvenimenti importanti avvenuti dopo la sua morte nel 2023, poi gli aveva spiegato e mostrato il quartier generale tramite ologrammi.
Tuttavia, non appena la voce dell'assistente vocale di laboratorio di Banner annunciò l'imminente ritorno alla base della vettura di Happy - con a bordo Morgan - la calma e la pazienza di Tony sembrarono svanire come cenere al vento. Voleva vederla, voleva incontrarla seduta stante ma, come pronosticabile, i due dottori gli sconsigliarono di ricomparire di fronte a lei come se nulla fosse. Gli ricordarono che in quell'epoca era morto da ben otto anni e fare la sua comparsa di fronte alla figlia senza la dovuta preparazione, avrebbe senz'altro comportato in lei un trauma e un grave scompenso emotivo. Sembrò accettare le condizioni, fino a che Bruce non contattò Peter per chiedergli di occuparsi della faccenda.
Tony si alzò in piedi dal lettino medico e si strappò tutte le flebo di idratazione, indispettendosi e ringhiando come un animale.
«Peter? Perché dev'essere lui a farlo?!» domandò Stark, velenoso.
«Perché in tutti questi anni è stato come un padre, per lei» spiegò Bruce, posizionandosi di fronte alla porta del laboratorio per impedirgli di uscire.
«Un padre!? È un ragazzino! E comunque mi stupisco come voi gli abbiate permesso di compiere questa sciocchezza» sputò Ironman, incrociando le braccia al petto. Peter era stato senza dubbio l'artefice di quel piano, ma era responsabilità degli adulti quella di impedirglielo.
Ma, al solo pensiero, si diede dello sciocco. Adulti? Forse si stava dimenticando che Peter non avesse più diciassette anni.
«È stata davvero una sciocchezza, Tony? Ti ha salvato la vita. Saresti morto se non fosse stato per lui. E, come vedi, non ci sono state conseguenze» asserì Hulk, senza riuscire a trattenere un sorrisetto d'orgoglio. Aveva provato a fermare Peter eccome, ma era grato di non averlo fatto. Aveva avuto ragione e, sebbene fosse stata una missione potenzialmente pericolosa, tutto era andato per il meglio. Proprio come Strange aveva previsto.
Tony ignorò quella sensazione di morsa allo stomaco. 
Peter gli aveva salvato la vita. Gli aveva davvero salvato la vita rischiando la sua. Maledetto ragazzino!
«E se ci fossero state?» 
«Non è successo! Ha fatto la cosa giusta e lo ha fatto per tua figlia. Ha seguito il suo istinto... non ti ricorda qualcuno?» chiese retorico il dottor Banner, con un sopracciglio malizioso sollevato. Da che pulpito Stark stava rimproverando il giovane Parker, sapendo che egli avrebbe fatto la stessa cosa a parti inverse!? Era stato lui a ideare il portale per viaggiare nel Regno Quantico e recuperare le Gemme dell'Infinito, per tutti gli Dei! E, a giudicare dal volto di Tony - rosso almeno tanto quanto l'armatura di Ironman - se ne era reso conto anch'egli.
«Ma-»
«Niente ma, Tony. Peter ha quasi venticinque anni, ora. Non è più un ragazzino, e ha difeso il nostro mondo con coraggio. Come avresti fatto tu» concluse Stephen Strange, per mettere la parola fine a quell'oramai inutile dibattito.
Oramai ciò che era stato fatto non avrebbe potuto essere cambiato, una nuova linea temporale era stata avviata e non c'era niente che l'avrebbe impedito. Nemmeno se Tony avesse deciso - stupidamente - di tornare nella sua epoca. Ma era certo che non l'avrebbe fatto, non dopo che aveva appreso di Pepper e di Morgan.
Con un sorriso complice - insomma, avevano appena messo a tacere quella lingua velenosa di Tony Stark! - i due dottori fecero apparire un ologramma che mostrava l'esterno dell'edificio. Telecamere di nuovissima tecnologia progettate da Peter in persona, grazie alla sua laurea in ingegneria scientifica al MIT.
E, alla vista di ciò che quelle immagini mostrarono, Tony sentì di nuovo le proprie gambe cedere. Morgan. La sua Morgan, otto anni più grande di come la ricordava, che scendeva dall'auto di Happy correndo incontro a Peter Parker, seduto sui gradini dell'edificio pronto a darle quell'incredibile notizia.


 


Se c'era una cosa su cui tutti erano d'accordo era che la piccola Morgan Stark – oramai dodicenne – avesse preso la testardaggine di suo padre, la sua grinta, l'intelligenza, la sua sfacciataggine, il colore degli occhi e dei capelli. Ma da Pepper aveva preso l'incredibile bellezza, la dolcezza, il sorriso e la forza d'animo.
Erano passati pochi giorni dalla morte di sua madre, ma stava facendo di tutto per dimostrare a se stessa e agli altri di non farsi abbattere. Non aveva saltato più di due giorni di scuola, studiava, nel tempo libero adorava suonare la chitarra elettrica e componeva musica rock per distrarsi. Quel giorno, dopo la scuola, era stata con Happy in centro a Manhattan per comprare un nuovo pedale distorsore che, era convinta, sarebbe piaciuto tanto a Rhodey. Era il suo primo grande fan.
Scese dall'auto con il sacchetto di Sam Ash nella mano destra e corse in direzione dell'ingresso, dove un pensieroso Peter l'accolse con un sorriso e una luce negli occhi ben diversa dalla solita. E, per altro, non era da lui sostare a lungo all'ingresso della T.S.M.A.F: era più tipo da starsene sul tetto a contemplare l'infinito e oltre.
«Zio Peter, che ci fai qui fuori?» domandò Morgan, fronteggiandolo con il suo consueto entusiasmo. I suoi capelli castani lisci e lunghi fino alle spalle vibrarono al vento e le sferzarono sul volto.
«Ciao, Morgan. C-come è andata oggi?»
Peter si alzò dai gradini ma quasi faticò a mantenere l'equilibrio. I suoi sensi erano talmente tanto assopiti dall'ansia da non riuscire nemmeno a sostenere la posizione eretta con dignità. E la signorina Stark se ne accorse eccome! Non le poteva nascondere niente, a quella maledetta furba.
Lei alzò un sopracciglio, poi parlò. «Che hai?»
«Niente... niente, Morgan» asserì Peter, poi scompigliò i capelli castani con una mano. Nonostante fossero passati anni e anni, non aveva ancora imparato a tenerli a posto. Erano ribelli, fin troppo lunghi e mossi sui lati.
«Non mentirmi, Parker» insistette lei, dopo aver fatto schioccare la lingua.
Quando lo chiamava per cognome significava solo una cosa: stava per perdere la pazienza.
«È che... c'è una sorpresa per te» confessò Peter, abbassando lo sguardo fino alle All Star nere della ragazza.
«Oh no!» sbuffò lei, con gli occhi al cielo. «L'ultima volta che mi avete preparato una sorpresa è stato al mio undicesimo compleanno, ed è stato imbarazzante!»
Peter rise al solo pensiero.


«Oh sì, lo è stato eccome. Ma non è stata colpa mia, dai! Lo sai che zio Thor è sempre eccessivo con le sorprese» puntualizzò Peter, prendendo Morgan per un braccio e invitandola a seguirlo per le scale, fin dentro all'ingresso.
«No, no per nulla eccessivo, sul serio. Presentarsi davanti alla mia scuola con tanto di palloncini cantando stonato "tanti auguri a te" è stato davvero sobrio» scherzò la ragazza, imitando il tono basso e roco del figlio di Odino.
Tony, con lo sguardo fisso sull'ologramma raffigurante i due ragazzi, deglutì affamato d'aria. Morgan era così bella, bellissima. Spiritosa, allegra. Sentì gli occhi pizzicare e fece davvero, davvero fatica a non lasciarsi andare di nuovo al pianto. Questo Bruce lo capì e, posandogli una mano sulla spalla, cercò di infondergli la forza sufficiente per farcela.


«Non c'è da ridere, zio Peter! Dimmi che non è una sorpresa del genere». Morgan incrociò le braccia al petto e nascose così il logo della sua maglia bianca degli ACDC. Uno dei suoi gruppi preferiti. Antiquato, lo definivano i suoi compagni di scuola, ma a lei non importava proprio niente.
«No, pulce. Niente di imbarazzante, promesso» sussurrò Parker camminando lento verso il piano superiore della base, piano dove sapeva si trovasse il laboratorio medico del dottor Strange e quindi... e quindi Tony Stark.
«Ehi... hai gli occhi lucidi. Sei sicuro di stare bene?» domandò Morgan. Frenò suo zio per un braccio, costringendolo a guardarla. Peter non aveva ancora avuto il coraggio di farlo, non da quand'era arrivata. Era certa che ci fosse qualcosa sotto, qualcosa di molto grosso.
E non aveva certo tutti i torti a crederlo. Ma come avrebbe fatto Peter a dirglielo? Come agire per non farle prendere un colpo? Ok, il suo cuore giovane avrebbe senz'altro retto, ma prepararla un pochino sarebbe stata di gran lunga un'idea migliore.
Peter le poggiò entrambe le mani sulle spalle. «Morgan, mi devi promettere che non darai di matto».
Il volto di lei si illuminò. «È un'armatura? Oh, porca vacca! Zio Pete, mi hai costruito un'armatura!?» trillò, iniziando a saltellare sul posto come una molla.
Era il suo sogno da quando era bambina avere una tuta simile a quella di sua madre, di Rhodey e di suo padre, ma magari più leggera e dinamica come quella di Spiderman. Aveva anche steso qualche progetto, ma tutti le avevano categoricamente negato la costruzione fino a data da destinarsi.
«No, no, no, frena, signorina. Niente armatura!» intervenne Peter. L'entusiasmo scemò dal viso minuto della ragazzina, ma ripresero subito a camminare fino a quando si trovarono a pochi passi dal laboratorio. «Ma è molto di più. Senti... so che potrà sembrarti strano, che forse non crederai ai tuoi occhi. Ma c'è... c'è qualcosa che devi vedere. Ed è reale, lo giuro».
«Zio... zio Pete» balbettò lei, al limite dall'essere spaventata.
Non l'aveva mai visto così. Nei suoi occhi brillava una luce strana, intensa, ed era certa che avesse pianto. Non riuscì a comprendere, non aveva proprio la minima idea di cosa potesse rendere uno dei supereroi più forti di tutta la Terra così vulnerabile, non riuscì proprio a immaginarselo... fino a che il rumore di una porta scorrevole la fece voltare. E anche la sua testa, in quel momento, iniziò a vorticare.
Tony non era riuscito a resistere, non a saperla così vicina. Non dopo aver capito che c'era una sola porta a separarli. Aveva scansato Bruce ed era uscito, trovandosela a pochi metri di distanza. Non era riuscito nemmeno a trattenere quelle lacrime che aveva cacciato indietro fino a quel momento.
Morgan lo guardò con occhi strabuzzati e si appoggiò con una mano al braccio muscoloso di Peter. Guardò prima quell'uomo di fronte a sé, poi suo zio che, annuendo lentamente, le diede la conferma che fosse tutto vero.
Suo padre era lì.
«P-papà...» balbettò lei, le ciglia nere che sfarfallarono nell'incredulità di potersi specchiare negli stessi occhi che si erano spenti otto anni prima.
«Maguna...» soffiò lui, appellandosi a sua figlia con quel tenero soprannome senza significato. Fece un passo in avanti proprio nel momento in cui lei prese la rincorsa per fiondarsi tra le sue braccia.
«PAPÀ!»
La strinse. La strinse così forte che non riuscì quasi a dosare la sua potenza, e ringraziò il cielo di non essere un supereroe con poteri fisici. La sentì singhiozzare contro il suo petto proprio come aveva fatto Peter poche ore prima e annusò il profumo dei suoi capelli che sapevano di fresco e di lavanda. Non era cambiata. A malapena un paio di giorni prima l'aveva baciata sulla testa e le aveva augurato la buona notte che era solo una bambina, e invece per lei erano passati otto anni. Poteva solo immaginare che strazio dovesse essere stato per attenderlo per tutto quel tempo, piangere la sua morte, vivere senza di lui.
Ma ora era lì. Era lì per lei e avrebbe tanto voluto non staccarsi più da quell'abbraccio. Tony pianse contro la sua testa e poi sollevò lo sguardo, cercando finalmente gli occhi di colui che l'aveva portato lì. Guardò Peter ed egli rispose al suo sguardo per pochi secondi, poi se ne andò.
Tony tornò a immergersi in quella testa profumata di lavanda e ci versò dentro altre lacrime fino a quando, chissà dopo quanto tempo, i due si staccarono.
«Ma come... com'è possibile? No, aspetta, non lo voglio sapere ora!» cinguettò Morgan asciugandosi gli occhi e stringendosi ancora, un'altra volta a lui per pochi secondi, per poi voltarsi. «Grazie. Grazie, zio Peter, è stata la sorpresa più be... ma dov'è?»
Lo sguardo di Morgan si accigliò e scrutò attorno con curiosità. Altro che armatura! Quello sì che era stato un regalo!
«Lo zio ha bisogno di riposare, ora. Ha faticato tanto per portare indietro tuo padre, Morgan. Lo ringrazierai stasera» disse Bruce, dandole una pacca sulla spalla, poi fece l'occhiolino a Tony. «Ora tu e questo ragazzone dovete raccontarvi un sacco di cose!»
Morgan guardò Strange e Banner allontanarsi con un sorriso che da anni non dipingeva i loro volti e poi, radiosa, tornò a incatenare gli occhi a quelli di suo padre. Le sorrise e lei lo prese per mano.
Da dove cominciare, se non mostrandogli come aveva sistemato bene tutta la sua collezione di dischi in cameretta?


 


Il tramonto di quel piccolo scorcio sulla penisola Kings Point Park era una delle meraviglie dello stato di New York, a detta di Peter, e c'era un solo luogo per ammirarlo in tutta la sua magnificenza e splendore.
Sul tetto al settimo piano della T.S.M.A.F vi era una piccola scala a pioli che conduceva a una sorta di torre di vedetta, un luogo in cui era solito far vagare la sua mente verso dimensioni sconosciute, sogni reconditi e fantasie. Si perdeva in quelle nuvole, nel rosso di quel tramonto e nel mare irrequieto in lontananza.
Ma, ora che il sogno proibito più ricorrente che lo teneva ancorato a quel posto da otto anni si era avverato, il suo cuore non era mai stato così pesante. Era lì, appollaiato sulla balaustra in muretto con le gambe a penzoloni da chissà quante ore. Aveva visto aerei passare sopra la propria testa, le nuvole cambiare forma e dimensione, la luna comparire velata nel cielo ancora azzurro e poi l'orizzonte tingersi dello stesso rosso fuoco delle sue guance. Pioveva, su quelle guance, ma non dal cielo. Si lasciò accarezzare il volto dal vento per farsi asciugare tutte le lacrime e lasciò che l'imbrunire si riflettesse nei suoi occhi castani.
Non sapeva quante ore fossero passate. Non aveva fatto niente, se non tenere gli occhi fissi all'orizzonte e respirare l'aria frizzante di fine settembre, fino a che un brivido percorse la propria pelle.
I suoi sensi di ragno - acuti e sensibili all'ambiente circostante - avevano captato ciò che stesse succedendo prima che Peter potesse avvertire dei passi lenti e incerti provenienti dalla scala a pioli.
Sapeva chi fosse, una morsa gli strinse lo stomaco fino a provocargli la nausea. Dopo chissà quante ore, chiuse gli occhi per un tempo più lungo di un millesimo di secondo. Inspirò con il naso un profumo diverso dalla brezza marina. E, quando finalmente riaprì gli occhi, trovò Tony seduto al suo fianco intento anch'egli a contemplare l'orizzonte. Sembrava un miraggio.
La sua espressione era seria, ma non più contratta. Cosa doveva aspettarsi da lui? Un'altra ramanzina sul fatto che avesse compiuto una sciocchezza e avesse messo in pericolo tutti? Non ebbe il coraggio di guardarlo a lungo, di incrociare quegli occhi che poche ore prima l'avevano ucciso per quanto odio ci avesse messo dentro. No, non potrei sopportarlo ancora.
Stettero in silenzio per un po', un silenzio carico e denso di emozioni che nessuno dei due avrebbe mai avuto il coraggio di esternare. Poi, così come era logico che accadesse, fu Peter a far scoppiare quella bolla di sapone.
«Allora... le piace il nuovo quartier generale?» 
Tony sorrise e si guardò intorno, battendo con una mano sul marmo del parapetto. «Oh sì, moltissimo. Sembra quasi che l'abbia progettato io». 
Doveva ammetterlo: era stato fatto veramente un ottimo lavoro, sia in architettura che in tecnologia. E, sarebbe stato pronto a scommetterci, c'era senza dubbio lo zampino di Peter.
«Beh, diciamo che mi sono rifatto a molti dei suoi progetti per idearla. Ma è tutto dichiarato! Giuro di non aver violato nessun copyright» si apprestò a esplicare Peter.
Perché "l'ho realizzata per lei" sembrava troppo azzardato da dire.
Stark sorrise sghembo e orgoglioso. E come avrebbe potuto non esserlo? In otto anni le cose erano cambiate, ma era davvero un sollievo che persone come quel ragazzino avessero lottato con le unghie e con i denti per garantire al mondo un futuro migliore. Da quel che aveva potuto vedere, era un mondo ben più pacifico di come l'aveva lasciato. Si sentì un po' inutile, solo per qualche secondo. Avevano tutti svolto un ottimo lavoro anche senza di lui, e questo erodeva il suo ego smisurato. Aveva però sempre pensato che, se mai avesse dovuto chiudere baracca e burattini, Spiderman sarebbe stato senza dubbio un ottimo sostituto. Ma nel suo mondo Spiderman era scomparso da cinque anni, perciò non aveva affatto avuto l'idea di abituarsene per davvero. Nonostante tutto, però, non poteva che essere fiero di lui. Di Peter.
Così, emergendo da quella bolla di pensieri deliranti, finalmente trovò il coraggio di parlare al ragazzo faccia a faccia, mettendo da parte il proprio orgoglio e la propria indole egocentrica da maestro so tutto io.
«Sono stato pessimo, Peter. Perdonami» mormorò Tony, in uno sbuffo di aria bollente. Alzò le iridi al cielo e pregò di non sprofondare, non lì. L'aveva trattato di merda quando Peter non aveva fatto altro che salvargli la vita e restituirlo a sua figlia oramai orfana. Per quale motivo? Solo perché aveva rischiato di combinare un disastro? No. No, non era per quello. Perché, non importava in quale mondo in quale epoca o quanti anni avesse Peter in quel momento, ma lui si sarebbe sentito sempre responsabile nei suoi confronti. E il solo pensiero che quel ragazzo, il suo protetto, avesse rischiato la sua vita per salvarlo lo aveva mandato in escandescenza.
Peter strabuzzò gli occhi. Non se lo sarebbe aspettato affatto, soprartutto perché era lui stesso il primo a non riuscire a perdonarsi. «N-no. Era sconvolto e... e ha ragione. Sapevo che fosse una mossa azzardata e che avrei messo in pericolo tutti» rispose afflitto, più che convinto che ci fossero un ma e un però ad attenderlo dopo quelle scuse.
«Mi hai salvato la vita. L'avrei fatto anche io» puntualizzò Stark, facendo girare i pollici delle mani appoggiate sulle proprie cosce. Il sole si era oramai tuffato nell'oceano e i loro volti si dipinsero del viola dell'imbrunire.
«Appunto, lei mi ha sempre detto di non fare nulla che lei fa-» si apprestò a ribattere Peter, interrotto però da qualcosa di inaspettato, qualcosa che aveva sempre sperato succedesse, qualcosa che l'aveva tormentato per tutto il pomeriggio.
«Taci» lo zittì Tony e, con vigore, lo trascinò verso di sé lasciandogli affondare il volto contro la propria spalla, facendo lo stesso a sua volta.
Lo abbracciò forte, fortissimo, trattenendosi a malapena di versare di nuovo lacrime troppo salate. Dio, Dio! Cinque anni prima gli era scomparso dalle braccia e si era sentito morire ogni notte, quando sognava i suoi occhi che lo supplicavano di non lasciarlo andare.
Non voglio morire signor Stark, la prego.
Tony rabbrividì e lo strinse ancora più stretto. E Peter... beh, Peter si lasciò abbracciare senza proferire più parola alcuna. Aveva sognato così tante volte che ciò accadesse e, per tutte le stelle, sembrava un sogno anche quello.
Mi dispiace, Tony...
No, no, no. Non avrebbe più dovuto pensarci. Era passato. Passato! Quel dolore faceva parte del passato. Il signor Stark era lì, lo aveva riportato a casa e, a giudicare da quanto forte lo stesse stringendo, era reale e assolutamente intenzionato a non andarsene. Si sentì stupido, sciocco come un bambino bisognoso di affetto. E si sentì ancor più cretino quando non riuscì più a trattenere le lacrime e iniziò a piangergli addosso un'altra volta. Ma, se quello era stato un pianto liberatorio e a tratti colmo di terrore, in quel momento pianse lacrime di gioia. Ce l'aveva fatta davvero.
«Mi è mancato, signor Stark. Da morire... da morire» singhiozzò Peter. Non c'era alcuna armatura a separarli. Beh, tolta la volta in cui il suo mentore stava aprendogli la portiera e lui aveva scambiato quel gesto per un abbraccio. Che imbarazzo!
«Anche tu, Bimbo Ragno» ammise Tony. A Peter e a se stesso.
Si rese però conto di quanto in realtà fosse strano appellarsi a lui ancora con quel nome ridicolo. Quel ragazzino si era ormai fatto un uomo in tutto e per tutto. Lo poteva sentire dalla consistenza dei suoi muscoli, dalla larghezza delle sue spalle. Lo poté vedere con i propri occhi quando si staccò da quell'abbraccio. Lo guardò da più vicino e si soffermò sugli zigomi e la mascella più pronunciata, da quelle guance una volta paffute ora più scavate, dal tono di voce più maturo, da quella cortissima barba che gli costellava la pelle un tempo liscia e glabra. Lo guardò e si compiacque di ciò che era diventato.
«Dio mio. Non ti vedo da cinque anni!»
«E io da otto!» rimbeccò Peter, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Un anno. Otto anni. Una vita intera. Gli sarebbe mancato sempre. Non sarebbe mai stato realmente pronto a vivere in un mondo senza Ironman.
«Ok, hai vinto tu» ridacchiò Tony, lasciandogli finalmente libere le braccia. Non era il tipo da dimostrare così tanti sentimentalismi tutti insieme, ma niente avrebbe potuto dimostrare appieno quanto grato gli fosse per avergli salvato la vita e per esserci stato per la sua Morgan.
«Grazie, Peter».

 


Inutile dire che quel giorno, non appena si diffuse la notizia del ritorno di Tony Stark, un fermento mai visto prima si creò all'interno e nei dintorni della T.S.M.A.F. I giornalisti erano stati liquidati dai membri dello S.H.I.E.L.D dopo una brevissima conferenza stampa che confermò la notizia trapelata, ma che Stark aveva bisogno di riposare e avrebbe tenuto lui stesso un tour di conferenze nelle successive settimane.
Tutti gli Avengers ancora operativi avevano lasciato qualsiasi missione a metà per poter tornare alla base, compresi i Guardiani della Galassia, i quali rientrarono di tutta fretta dal cosmo con tre giorni di anticipo.
Antman e The Wasp furono gli unici a non riuscire a giungere in tempo al quartier generale, in quanto impegnati in un affare davvero molto importante dall'altra parte del mondo. Li avrebbero raggiunti subito il giorno dopo.
Morgan giurò di non aver mai visto tanti giornalisti tutti insieme, nemmeno all'inaugurazione della T.S.M.A.F. L'eccitazione non fu contenibile, i pianti di gioia nemmeno. Tutti erano scioccati, felici, senza parole. Ma l'apice del fermento si raggiunse all'arrivo di Thor. Beh, perché naturalmente Thor non è contenibile nemmeno in situazioni di normalità.
Spalancò la porta della sala riunioni con un rumore sordo, e tutta la gente all'interno della stanza si zittì. I due Avengers si guardarono per parecchi secondi, si squadrarono come se si vedessero per la prima volta e poi, con un urlo degno di un semi-Dio, Thor si avvicinò di corsa al vecchio amico sollevandolo da terra in un abbraccio vigoroso.
«Per fortuna ti sei rimesso in forma, panzone!» lo stuzzicò poi Tony, battendogli una mano sul ventre.
«Brutto figlio di puttana, non sei cambiato di una virgola!» ringhiò lui senza contenere un ghigno entusiasta, poi trascinò ancora una volta Stark verso di sé con delle sonore pacche sulla schiena.
«In compenso voi siete invecchiati parecchio!» constatò Tony squadrandoli uno per uno, notando ogni singolo capello bianco in più, ogni ruga, ogni meraviglioso cambiamento sui visi dei propri alleati. C'erano tutti, erano tutti lì per lui e si sentì davvero, davvero sollevato. Ogni cosa era tornata al proprio posto. Certo, non poter avere Pepper accanto in un momento così gioioso gli fece stringere il cuore, ma avrebbe dovuto essere forte almeno per quella sera - ci avrebbe pensato il giorno dopo a lasciarsi andare al dolore. 
Lì c'era Morgan. C'era Peter. C'erano tutti, tutti per lui.
C'erano tutti?
Tony inarcò un sopracciglio, dubbioso, e iniziò a squadrarsi ossessivamente intorno alla ricerca dell'unica persona della quale ancora non aveva avuto notizie.
«Ehi, ehi, ehi!» richiamò l'attenzione con un tono di voce più alto. «Ma... ma dov'è Cap?»
E, in quel momento, nella stanza calò il gelo.




 
Continua...



ANGOLO AUTRICE:
Buongiorno a tutti e bentornati qui! Come procede questo caldo agosto? Avete letto questo intenso capitolo da una spiaggia con un bel bicchiere in mano, da una fresca vetta alpina, o dal comodo divano di casa vostra? 
Io sono appena tornata dal mare e non vedevo l'ora di pubblicare, quindi eccomi qui. Bene, Tony Stark è tornato per davvero. Che poi tornato non so se sia il termine più esatto, insomma. I nostri eroi hanno preso in prestito il Tony di un'epoca passata e diciamo che per Tony è stato un lungo salto in avanti. Meglio in un altro tempo piuttosto che morto, no?! 
La sua reazione e quella di Peter sono state strane, come giusto che sia del resto. Morgan invece è stata la ragazzina più felice della Terra. Vi è piaciuto come ho scelto di caratterizzarla? Sarà senza dubbio una presenza importante in questa storia.
Non preoccupatevi: non lascerò affatto che la morte di Pepper passi inosservata per Tony, anche se dal finale di questo capitolo potrebbe sembrare. Adesso però c'è un altro quesito al quale far fronte? Dov'è l'amore mio Steve? A fine Endgame l'abbiamo visto un po' decrepito. Cosa gli sarà accaduto in questi otto anni?
Nel prossimo capitolo farò fronte a nuovi interrogativi e metterò più in luce i sentimenti e l'introspettività dei due protagonisti. Credo che pubblicherò a fine agosto! :) intanto fatemi sapere cosa ne pensate di questo secondo capitolo!
Un bacione e buone vacanze a tutti!
Eevaa
 
  
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