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Autore: evil 65    06/08/2019    24 recensioni
Due anni sono passati dalla guerra contro Thanos.
Peter Parker e Carol Danvers sono ormai diventati buoni amici, alternando la loro vita da supereroi a rari momenti di vita quotidiana in cui si limitano ad apprezzare l’uno la compagnia dell’altra, come farebbero con qualsiasi altro membro degli Avengers.
Tuttavia, Peter vuole di più…anche se sa che non dovrebbe.
A peggiorare le cose, un misterioso serial killer dotato di poteri fugge da un carcere di massima sicurezza, cominciando a seminare morte e distruzione in tutta New York…
( Sequel della one-shot " You Got Something For Me, Peter Parker ? " )
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Danvers/Captain Marvel, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Lemon, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avengers Assemble'
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Ecco un nuovissimo capitolo!
Inizialmente questa storia doveva solo essere una fan fiction romantica, interamente basata sul rapporto tra Peter e Carol. E mentre tale tema rimarrà comunque il fulcro centrale degli eventi, ho deciso di renderla una superhero story a tutti gli effetti.
Per tale motivo, ho passato le ultime settimane a immaginarmi una trama che farà da sfondo alla parte romantica, con un antagonista che minaccerà non solo il rapporto tra i nostri beniamini…ma anche le loro vite. Dopotutto, un eroe è poca cosa senza un degno cattivo a bilanciare il tutto. E io do sempre MOLTA importanza ai villain, in tutti i miei lavori.
Tali eventi si collegheranno, in seguito, alla long di cui questa storia è un prequel, “ Avengers : The King Of Terror”.
Con questo detto, vi auguro una buona lettura e spero davvero di ricevere i vostri commenti! Ci tengo molto a far sembrare lo sviluppo della relazione tra Peter e Carol più realistico possibile ;)


 
Can You Feel It ?
 
Peter Parker, alias Spiderman, prese la rincorsa e saltò oltre il cornicione delle Stark Industries. Fatto questo, iniziò a volteggiare sopra gli edifici del Centro Città.
Dal campanile con l’orologio al tribunale, dai tetti dei condomini di lusso a quelli delle case popolari. E senza nemmeno accorgersene, quasi come se avesse aperto gli occhi all’improvviso, si ritrovò nel suo quartiere.
Fu investito da una cacofonia di suoni e rumori, ben diversa dal sottofondo sommesso di Times Square. Lo stridore dei freni degli autobus. Lo strombazzare dei taxi. Ragazzi che gridavano sotto i canestri da basket. Musica diffusa dalle radio e mescolata ai rumori della città stessa.
Peter si appollaiò sul tetto di un supermarket e cominciò ad analizzare l’area circostante.
Poco più in basso vi era un gruppo di ragazzini che scendevano da un autobus : una macchia di colori vivaci e capelli a cresta che li facevano sembrare più grandi.
 Peter li vide camminare lungo il marciapiede, ridendo e scherzando, finchè non arrivarono all’angolo. Appena giunti in fondo alla strada, ammutolirono tutti quanti, mentre passavano accanto a un gruppo di ragazzi più grandi, uno dei quali disse qualcosa.
Bzzzzzzzzz. Il senso di ragno prese a vibrare nella testa del vigilante.
I ragazzini più piccoli non indugiarono né affrontarono la minaccia. Semplicemente, si separarono, allontanandosi ognuno in una direzione diversa. Uno solo dei ragazzi più grandi si staccò dalla sua cricca per lanciarsi all’inseguimento, e prese di mira il più agghindato dei pischelli. Quello con il ciuffo di capelli biondi.
Peter balzò sul palazzo successivo, e da lì su quello dopo ancora, seguendo dall’alto la caccia. Il ragazzo correva come un razzo sul marciapiede, saltando a tratti sulla strada per evitare la folla, zigzagando da un isolato all’altro, con il delinquente che lo seguiva a distanza ravvicinata.
Poi il ragazzino con le mecche svoltò bruscamente a sinistra del viale e si precipitò giù per una strada meno battuta. Forse la via dove abitava, pensò Peter, continuando a osservarlo dall’alto.
Non avendo più ostacoli di fronte, l’inseguitore allungò il passo e lo raggiunse. Lo afferrò per le spalle, poi, per non dare nell’occhio, lo cinse con un braccio, stringendolo in una morsa apparentemente fraterna.
Il ragazzino non fiatò, né chiamò aiuto.
Peter conosceva bene quel silenzio. Il silenzio di chi sa che gridare è inutile ed è contro le regole. Strillare serve solo a peggiorare la situazione. La stessa tattica che aveva utilizzato durante tutti quegli anni in cui era stato preso di mira dai bulli della propria scuola.
Fecero qualche passo, fingendo che fosse tutto normale, finchè Peter vide il ragazzo più piccolo che cominciava ad estrarre il portafoglio dalla tasca dei pantaloni.
L’arrampica-muri non perse tempo e si lanciò giù dal palazzo. Quando il ragazzino consegnò i soldi al ladro, il vigilante si trovava già alle sue spalle.
Il ragazzino sgranò gli occhi. Il ladro si girò e si trovò di fronte agli occhi bianchi della maschera da ragno. Non disse una parola. Mandò solo un grugnito e scosse la testa.
<< Faresti meglio a pensare agli affari tuoi >> intimò l’uomo, sollevando la camicia per mostrargli il calcio della pistola che portava nella cintura.
<< Questi sono affari miei>> rispose Peter.
Lui e l’avversario si fronteggiarono sul marciapiede. Il ragazzino si defilò in silenzio e salì le scale di una delle case.
Il ladro lasciò cadere il portafoglio. Allo stesso tempo, il senso di ragno di Peter cominciò a vibrare.
L’uomo estrasse la pistola carica e si preparò a sparare. Il vigilante non gli diede nemmeno il tempo di togliere la figura.
Balzò in avanti, afferrò il polso del ladro…e lo spezzò con un rapido movimento delle dita. L’urlo risultante riecheggiò per tutta la lunghezza del quartiere, seguito da un lamento disperato.
Peter diede un rapido pugno al volto dell’avversario, inchiodandolo a terra. Questi cominciò a piangere, reggendo la mano ormai inutilizzabile.
L’arrampica-muri si limitò a tirargli un paio di calci ben assestati nello stomaco.
<< Ma guardati : fai tanto il duro, ma sei solo un vigliacco >> disse scuotendo la testa, per poi saltargli addosso.
 Lo agguantò per il colletto della camicia e sollevò il pugno. Un attimo prima di abbatterlo come un martello in faccia all’avversario, Peter vide con la coda dell’occhio il ragazzino. Stava assistendo alla scena, terrorizzato. I suoi occhi erano fissi su di lui.
Peter si fermò. Si tirò su, il ladro era ormai ridotto a una larva inerme, spiaccicata sul marciapiede. L’adolescente afferrò la pistola a pochi passi da lui e la schiacciò sotto i piedi. Quindi rigirò il delinquente a terra e gli serrò le mani dietro la schiena, il polso rotto già gonfio come un pompelmo.
Il ladro lanciò un altro urlo e Peter gli immobilizzò le braccia, avvolgendole in una ragnatela.
Fatto ciò, si chinò sui piedi del ladro e gli strappò via le scarpe. Andò a consegnarle, al ragazzino, che tremava per la paura.
<< Facci quello che vuoi >> borbottò a bassa voce.
Poi si chinò a terra per ritrovarsi a un palmo dalla faccia pestata e insanguinata del malfattore.
<< Racconta a tutti quello che ti è appena capitato. E se tu, o uno qualunque di voi, dovesse riprovarci…io lo saprò. Vedi, tu non mi conosci, ma io conosco te. E ti verrò a cercare >> sibilò a bassa voce.
Mentre il ragazzino procedeva ad andarsene, Peter sparò una ragnatela a un lampione e volò via come se fosse appeso a una liana.
Lanciò ragnatele a destra e a manca, davanti e sopra di sé, lasciando che si attaccassero alle strutture che gli capitavano a tiro : pali della luce, palazzi alti, impalcature di cantieri.
Mentre fendeva l’aria, l’effetto dell’adrenalina si esaurì, costringendolo a confrontarsi col fatto che per poco non aveva ammazzato di botte un ragazzo.
“ E se lo avessi ucciso? Proprio lì, di fronte a quel ragazzino. E…e se lo avessi ucciso?”
Le lacrime gli riempirono gli occhi, ma non pianse.
Perché si sentiva in questo modo? Lo sapeva bene, in realtà, ma non voleva ammetterlo a se stesso.
Da quella notte di quasi una settimana fa, il giorno del suo diciottesimo compleanno. La notte in cui aveva rubato un bacio alla donna di cui si era innamorato.
E ora stava pagando le conseguenze di quel gesto impulsivo. Una settima era passata, e lui e Carol non si erano parlati nemmeno una volta.
Aveva provato a contattarla attraverso la rete privata dei Vendicatori…ma niente. Lei si rifiutava di rispondergli.
“È così, dunque ?” pensò il ragazzo. “ Ho davvero rovinato tutto?”
Poteva solo immaginare come si sentisse Carol, dopo ciò che era successo. Umiliata, confusa…sicuramente tradita. E lui ne era la causa.
Dio, era stato così stupido! Come diavolo gli era saltata in testa la possibilità  che una donna come lei potesse provare affetto per qualcuno come lui? Provare affetto per un ragazzino di diciotto anni che non era mai andato oltre il primo appuntamento con una compagna di scuola.
Senza rendersene conto, Peter scagliò un pugno contro il muro dell’edificio su cui era atterrato. Se ne pentì quasi subito.
Sibilò a causa del dolore, stringendosi la mano al petto.
Lentamente, quasi con esitazione, tolse il guanto della tuta e notò che le nocche avevano cominciato a sanguinare.
Rilasciò un sospiro sconfitto. Non poteva andare avanti così.
Mangiava a mala pena, a scuola era distratto, sempre arrabbiato. Anche sua zia aveva cominciato ad accorgersene.
<< Ho deciso >> sussurrò a se stesso, con determinazione ritrovata. << Andrò a parlarle domani…di persona >>.
Fece per muoversi, ma una fitta al braccio lo costrinse a fermarsi.
Forse era prima il caso di medicarsi quella mano.
 
                                                                                                                                                            * * * 
 
Peter oltrepassò la porta di casa sua. Proseguì lungo l’isolato e svoltò l’angolo verso un negozio di fiori. Davanti alle vetrine erano allineati dei secchi pieni di rose. Uno dei commessi li stava sistemando.
<< Quanto valgono? >> chiese il vigilante, attirato dalla bellezza delle piante.
<< Quindici >> sparò l’uomo.
Peter non cercò nemmeno di contrattare. Tirò dritto e addio.
Le rose erano un classico, certo, sarebbero piaciute sicuramente a Carol, ma così avrebbe speso metà della sua paghetta mensile.
La tappa successiva fu il negozio da tutto e un dollaro.
Una vecchietta gli tenne la porta aperta mentre lui faceva il suo ingresso nella stanza, piena di vassoi di carta, bomboniere, biglietti d’auguri e versioni sottomarca di praticamente qualunque cosa fosse mai stata inventata.
Peter girò di qua e di là, sbirciando ogni corridoio tra gli scaffali, prima di trovare Gladis, la donna che si occupava del posto. Era accovacciata a terra, occupata ad attaccare etichette col prezzo sui deodoranti da bagno.
<< Ehi, Gladis >>
<< Peter?>> fece lei, sembrando sorpresa di vederlo. Il che era anche comprensibile, dato che il vigilante si trovava raramente nei paraggi.
<< Che ci fai qui?>>
<< Cerco dei fiori >>
<< Fiori? >> domandò la donna, alzandosi con una smorfia.
Incrociò ambe le braccia davanti al petto.
<< Lo so che non hai ancora l’età per gli appuntamenti galanti. Mi ricordo ancora di quando tua zia mi pagava per farti da baby-sitter, e tu non facevi altro che pisciarti addosso, ininterrottamente. E adesso eccoti qui, a comprare fiori >>
<< Ho diciotto anni, Gladis, non sono così giovane. E poi i fiori non sono per una ragazza. Sono per…mia zia, ecco >>
<< Uh uh. Sarà meglio per te >> scherzò la donna. << Come sei tenero. Spero che mio figlio sarà premuroso quanto te, una volta diventato grande. Dai vieni! >>
Condusse Peter dalla parte opposta del negozio, dove erano esposti i fiori.
<< Eccoli qua>> disse indicando le schiere di verde e rosso, un autunno intero nella seconda scansia.
L’adolescente strabuzzò gli occhi.
<< Ma non avete quelli veri ? Questa è plastica >> osservò, stringendo fra le dita il petalo di stoffa di una delle rose fasulle.
<< Cocco, siamo al negozio tutti a un dollaro >> ribattè Gladis.
Il vigilante prese una rosa e l’annusò. Almeno aveva un qualche tipo di aroma sopra, che sapeva di fragola.
<< Ma giusto perché tu lo sappia…quelle costano due dollari >> aggiunse la donna,  suscitando un gemito da parte dell’arrampica-muri.
 
                                                                                                                                                            * * * 
 
A dispetto di quello che pensava la maggior parte della gente comune, meno di un quarto dei Vendicatori utilizzava la Stark Tower - base de facto della squadra - come residenza.
Carol era una di quelle poche eccezioni che avevano scelto di usufruire dell’ultima direttiva imposta da Tony Stark, il quale aveva specificatamente donato l’edifico al gruppo di supereroi più famoso dell’intero pianeta.
La donna, infatti, non rimaneva mai troppo a lungo sulla Terra, motivo per cui aveva sempre ritenuto l’acquisto di una casa separata una totale perdita di tempo.
Peter salì l’ascensore dell’edificio con il cuore che gli batteva a mille e il mazzo di fiori saldamente tenuto dietro la schiena.
Indossava una camicia di Jeans, con sotto una maglietta bianca, e pantaloni beige abbinati.
Era giunto in quel posto con un'unica e semplice missione in mente : riparare il suo rapporto con la persona che gli aveva rubato il cuore.
<< Più facile a dirsi che a farsi >> borbottò a se stesso, mentre le porte del macchinario si aprivano.
L’adolescente non perse tempo e cominciò a cercare l’appartamento di Carol.
I vari indirizzi a cui abitavano i vendicatori erano stati distribuiti a tutti i membri della squadra per potenziali emergenze, quindi non gli fu difficile localizzare la porta giusta.
Una volta giunto a destinazione, chiuse gli occhi e bussò.
<< Sì? >> chiese una voce inconfondibile dall’altro lato dell’uscio.
Peter prese un paio di respiri calmanti.
<< Sono…sono io >> disse con tono incerto, pur cercando in tutti i modi di non sembrare nervoso.
Per un attimo ci fu silenzio.
Poi, con suo grande sollievo, l’adolescente sentì il sistema di blocco della porta che veniva aperto.
La figura di Carol gli comparve di fronte ancora una volta. Indossava una maglietta nera senza spalle, che ne evidenziava le morbide curve femminili, pantaloni grigi attillati e un paio di guanti da kick boxyng.
<< Peter >> salutò lei, il volto adornato da un’espressione impassibile. Anche il tono di voce che aveva usato era privo di calore. Completamente freddo e distaccato.
L’arrampica-muri notò distrattamente che aveva la pelle più lucida del solito, bagnata da gocce di sudore, e, considerando il suo vestiario, arrivò alla conclusione che l’aveva interrotta durante un allenamento.
Deglutendo una seconda volta, alzò il mazzo di fiori che teneva nascosto dietro la schiena, sorprendendo la donna.
<< Sono…venuto per scusarmi >> disse con coraggio ritrovato, facendo appello ad ogni oncia di autocontrollo che aveva in corpo per non balbettare. << Posso entrare? >>
Carol passò brevemente lo sguardo da lui ai fiori. Afferrò lentamente il mazzo e lo scrutò con occhio critico.
<< Ho provato a cercarne uno vero, ma sono a corto di soldi >> aggiunse il vigilante con un piccolo sorriso, nel tentativo di sdrammatizzare un po’ la situazione.
La donna tornò a fissarlo, gli occhi ristretti in un paio di linee sottili. Poi, dopo quello che sembrò un tempo interminabile, rilasciò un sospiro e si fece da parte.
<< Entra pure >> borbottò con voce rassegnata.
Peter annuì un ringraziamento e varcò la soglia della casa.
Cominciò subito a guardarsi attorno. Come si aspettava, era un appartamento per lo più spoglio, abbastanza rustico, ma comunque ordinato, simbolo di disciplina e diligenza. Non c’era una sola cosa fuori posto.
<< Vuoi qualcosa da bere? >> gli domandò Carol, mentre riempiva una caraffa di acqua e ci metteva dentro i fiori. Certo, non ne avevano bisogno, ma dal punto di vista estetico sarebbero stati molto più piacevoli a vedersi.
Peter borbottò un semplice “No”, e procedette a sedersi sull’unico divano presente nel salotto. Affianco ad esso spiccavano un lettino da yoga e un grosso sacco da box appeso al soffitto, cosa che confermò l’ipotesi precedente del ragazzo.
La supereroina lo raggiunse poco dopo, accavallando le gambe sui cuscini e fissandolo pazientemente.
Peter cominciò a picchiettarsi le ginocchia. Era visibilmente nervoso, ma la bionda decise di non farglielo notare.
<< Allora… Tutto okay? >> le chiese dopo quasi un minuto di silenzio.
Carol non rispose. Non diede neanche alcun segno di averlo notato. Semplicemente rimase lì a fissarlo.
Inutile dire che Peter cominciò a sentirsi piuttosto a disagio.
<< Evidentemente…la nostra amicizia è troppo forte per l’amore >> offrì debolmente, con un sorriso autoironico.
Sapeva che suonava banale e patetico, ma sortì l’effetto voluto. La facciata impassibile della donna andò in frantumi, anche se solo per un attimo.
Lei si mise a ridacchiare, prima con nervosismo, poi evidentemente sollevata. Si coprì il volto con una mano, come se volesse cancellare quella risata troppo forte e del tutto fuori luogo, ma essa continuava a uscire, sebbene soffocata dalle dita.
Peter offrì un debole sorriso, internamente felice che fosse riuscito a fare breccia nella sua corazza.
Rimasero in silenzio per un altro po’.
<< Sei arrabbiata? >> le chiese infine, a bassa voce. “ Ecco “ pensò. “ Il momento della verità”.
La donna gli lanciò una breve occhiata.
<< No. Pensavo di esserlo, ma…probabilmente stavo solo cercando di metabolizzare…bhe, tutto quello che è successo. E tu? >>
<< No, no, certo che no! >> ribattè l’altro, il volto adornato da un’espressione agitata.
Suo malgrado, Carol si ritrovò a fissarlo con aria divertita, cosa che spinse il ragazzo a prendere un paio di respiri calmanti.
<< Sono solo un po’…amareggiato, suppongo >> disse con una scrollata di spalle, ricevendo un sopracciglio inarcato da parte della bionda.
Peter affondò nello schienale del divano, quasi come se si sentisse stanco.
<< È solo che…è tutto così sconclusionato. Quella sera, in quella radura, se Happy non fosse arrivato…ancora meno di un minuto e….voglio dire, sarebbe potuto succedere >>
“ Ed eccolo. L’elefante nella stanza” pensò Carol.
<< Ti dispiace che non sia avvenuto? >> domandò curiosa, scrutandolo intensamente.
Si aspettava una negazione, magari un’arguta replica, e invece…il vigilante si limitò a inclinare la testa verso di lei, le labbra appena arricciate in un sorriso quasi rassegnato.
<< Non lo so. Voglio dire, ero ubriaco, e… >>
<< Ho bisogno di una risposta sincera, Peter >> lo interruppe la donna, accorciando la distanza che li separava.
L’adolescente arrossì d’istinto.
<< Cosa vuoi che dica? >> borbottò a bassa voce.
Carol appoggiò il gomito sullo schienale del divano, usò il braccio per sostenere la testa e lo fissò con uno sguardo colmo d’aspettative, severo ma accomodante al tempo stesso. Certe volte, Peter si chiedeva davvero come riuscisse a farlo.
<< Provi qualcosa per me? >> chiese la donna. << Qualcosa che va oltre la semplice amicizia? >>
Un silenzio inesorabile sembrò calare nelle profondità dell’appartamento. Rimasero completamente immobili, bloccati in uno stallo apparentemente infinito, dove ad accompagnarli era il semplice e ritmato suono dei loro respiri.
Dopo che quel lasso di tempo giunse al suo termine…Peter rilasciò un sospiro.
<< Credevo di poterti sfuggire, Carol >> sussurrò quasi a se stesso, come se fosse finalmente venuto a patti con una scomoda verità.
Pausa. Se si aspettava una risposta, l’avrebbe aspettata a lungo, pensò l’altra. Avrebbe dovuto capirlo da solo.
Notando il silenzio della donna, l’adolescente decise di continuare a parlare.
<< Sono sempre stato diverso dagli altri miei compagni di scuola >> ammise con un triste sorriso. << Non ho mai voluto legarmi davvero a qualcuno. Certo, ho avuto qualche cotta adolescenziale, ma alla fine erano solo questo >>
Scrollò le spalle, alzando gli occhi verso la superficie bianca e immacolata del soffitto.
<< Non c’è mai stato un solo momento in cui abbia pensato : ora deve assolutamente succedere. Io…non sono mai stato innamorato. Non ho mai voluto essere innamorato. Ma l’idea che prima o poi potesse succedere aveva il suo fascino. Ero addirittura convinto che sarebbe successo presto, lo credevo ineluttabile! >>
Detto questo, volse nuovamente lo sguardo in direzione di Carol, che lo stava ascoltando pazientemente.
 << Poi sei arrivata tu. Ti ho visto su quel campo di battaglia…eri come una stella cadente discesa dal cielo, giunta da chissà dove per scacciare via l’oscurità. E per i due anni successivi, ogni volta che t’incontravo, era come se il mondo si fermasse, come se non contasse più nulla se non il fatto che tu fossi lì con me, in quel preciso momento. Mi sentivo felice, come non lo ero mai stato con nessuno. Non capivo se fosse amore o… >>
<< Hai appena descritto i sintomi dell’amore >> sussurrò lei, interrompendo le divagazioni del vigilante.
Peter deglutì una terza volta, cercando di nascondere il proprio nervosismo con una risata secca.
<< A dire la verità, pensavo che fosse altro. Come l’influenza. Non riuscivo più a concentrarmi sui miei studi, ero costantemente altrove con la testa, avevo la sensazione che mi mancasse la terra sotto i piedi >>
<< Così hai pensato che, prima di perdere definitivamente il controllo, era necessario verificare l’opzione uno >> finì lei, ricevendo in cambio un timido cenno da parte del compagno di squadra.
Di nuovo silenzio.
Peter alzò leggermente la testa, e con la coda dell’occhio notò che Carol lo stava ancora fissando con quell’espressione impassibile, la testa appoggiata sul palmo della mano.
<< Sei arrabbiata >> affermò, dopo quasi un minuto.
Tuttavia, con sua grande sorpresa, la donna si limitò a sospirare, lanciandogli  un sorriso stanco.
<< No,io… ti capisco >> disse con voce flebile, imitando la sua posizione e alzando gli occhi al soffitto della stanza.
Peter inarcò un sopracciglio e cominciò a scrutarla con curiosità.
<< Sei già stata con qualcuno? >> chiese a un certo punto, prima di tirarsi mentalmente una pacca sulla fronte. Era una giovane e bellissima donna nel fiore degli anni, certo che era già stata con qualcuno!
 << In questo modo, voglio dire >> corresse rapidamente.
<< Una volta >> rispose Carol. << Molto tempo fa >>
Peter deglutì ancora.
<< Il tuo, ehm…primo amore? >>
<< Mmmm >
<< Com’è successo? >> chiese con fare disinvolto, nel tentativo di non apparire troppo insistente.
Forse Carol se ne accorse, perché gli lanciò un’occhiata complice.
<< Nulla di originale, davvero. Pensavo fosse la persona giusta, poi si è rivelato un bastardo… e a me è rimasto solo il dolore >> disse con una scrollata di spalle.
Peter annuì comprensivo. A giudicare da quello che gli aveva raccontato, probabilmente stava parlando del suo ex-mentore, Yon-Rogg.
<< E poi? >> chiese con tono esitante.
Carol si porse in avanti e appoggiò il mento sulle mani. Se ne stava lì, seduta alla luce della camera, con una piccola ruga verticale tra le sopracciglia. Ed era splendida.
<< Dopo sono sempre stata io a lasciare gli altri >>
<< L’angelo vendicatore >> commentò Peter, cercando di sdrammatizzare la conversazione già molto scomoda.
La donna ridacchiò.
<< Sciocchezze. No, a volte quelli che conoscevo mi davano sui nervi. Troppo lenti, troppo carini, troppo duri di comprendonio. Altre volte sono scappata per mettermi al sicuro prima. Lo sai che sono veloce >>
<< Non costruiamoci una bella casa, perché potrebbe arrivare una tempesta e distruggerla >> disse Peter, con un astuto sorriso.
Anche Carol sollevò gli angoli della bocca. << Troppo prolisso, per me. >>
<< Può essere. Ma è così. >>
<< Sì, può essere >> affermò la donna, corrugando la fronte. << C’è anche un’altra possibilità : costruisci una casa e, prima che qualcuno la possa distruggere, distruggila tu stesso. >>
<< … >>
Entrambi rimasero in silenzio ancora una volta, accompagnati solo dalla reciproca compagnia.
Affianco a lei, il vigilante cominciò a rimuginare sulle parole della supereroina.
Dopo quasi un minuto buono, prese un respiro profondo e disse : << Sai...non credo di avere l’età per costruire una casa >>
Carol si tese di colpo, girandosi lentamente verso di lui. Peter fece lo stesso.
Sguardo contro sguardo…castano che incontra castano.
<< No, non ce l’hai >> confermò la donna, fissandolo con quell’intensità che solitamente riservava alle persone che la contraddicevano.
L’adolescente deglutì, le guance leggermente arrossate. Fu allora che si rese conto di una cosa : erano solo a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altra. Esattamente come quella sera di pochi giorni fa, in cui era riuscito a cogliere il flebile respiro della bionda. Anche ora poteva sentirlo mentre gli accarezzava le labbra.
D’istinto si porse in avanti. Tuttavia, poco prima che potesse cogliere la bocca della donna con la propria, questa inclinò la testa di lato.
<< Peter…no >> disse con tono serio.
L’arrampica-muri si ritrasse, visibilmente ferito da quell’azione.
Notando questo, Carol si portò una mano al volto, rilasciando un sospiro al limite tra lo sconforto e la rassegnazione.
<< Tutto questo…è solo una fase temporanea >> affermò con tono paziente. << Sei semplicemente attratto da me, questo è tutto. E non è una brutta cosa! Per una persona della tua età è normale, e… >>
<< Ti sbagli >> ribattè freddamente l’altro, stringendo ambe le palpebre degli occhi. Un’azione che lo fece sembrare molto più maturo.
Il cuore di Carol cominciò a battere più forte.
<< Per favore, non rendere questa cosa più complicata di quanto non sia già. Hai diciotto anni, Peter. Diciotto! Dovresti pensare alla scuola, rincorrere le ragazzine della tua età… >>
<<  Ferma, lo so cosa stai pensando >> la interruppe l’altro.
Lei deglutì, mentre il ragazzo prese a fissarla con un sorriso ironico.
 << È giovane, ha voglia di cazzeggiare, di raccontarlo agli amici…ma non è così >> disse con tono di fatto, porgendo la mano destra in avanti e accarezzandole il volto con le dita. La donna chiuse gli occhi…ma non si ritrasse al contatto. E quella semplice azione fu sufficiente a risollevare l’animo del vigilante.
<<  Tu mi piaci >> continuò, mettendo in quelle parole tutto l’affetto che provava in quel preciso istante. << Veramente… come non mi è mai piaciuto nessuno. E non hai idea di quanto sia stato difficile dire una cosa del genere, perché sinceramente sono terrorizzato >>
Suo malgrado, Carol arricciò le labbra in un triste sorriso, afferrando dolcemente la mano del compagno di squadra.
<< Perché tutto ha a che fare con la paura >> disse con voce flebile, aprendo gli occhi e tornando a fissarlo. << La paura di essere soli, la paura che accada qualcosa senza essere interpellati. Ma la peggiore di tutte è la paura di scegliere e sbagliare. Si desidera qualcuno che conosci appena, lo si vuole ad ogni costo. Ma puoi ottenerlo solo se prendi anche tutta la sua vita. E da qui, beh..nasce l'incertezza... >>
<< Perché potrebbe rivelarsi un errore >> concluse Peter.
Lei annuì. E, inconsapevolmente, entrambi si ritrovarono a specchiarsi l’uno negli occhi dell’altra, incapaci di distogliere lo sguardo.
<< …Io ti accetterei >> disse infine Peter, interrompendo la quiete di quel momento.
Carol sorrise. Un sorriso triste, ma genuino al tempo stesso. Quasi di sollievo.
<< So che lo faresti. E gli altri? >> chiese con tono vagamente ironico.
Il vigilante si avvicinò a lei. Erano a pochi millimetri l’uno dall’altra.
<< Non m’importa >> sussurrò sul volto della donna, gli occhi adornati da un luccichio determinato quanto risoluto.
Carol gli accarezzò il mento con la mano destra.
<< Ragazzo sciocco >> borbottò a bassa voce.
E poi, si porse in avanti, intrappolando Peter in un bacio affamato.
Da principio lui non rispose. Non poteva! Forzò il suo cervello a comprendere quello che era successo, che questa volta era stata proprio lei a cominciare tutto.
Quando arrivò a quella consapevolezza, chiuse gli occhi e strinse a sé la figura della donna, assaporando ogni secondo di quel contatto.
Si sciolsero lentamente l’uno dall’altra, contrariati, come se i loro corpi non avessero ancora compreso quello che i loro cervelli avevano già pattuito da tempo.
Lui vide negli occhi della bionda la stessa domanda che probabilmente Carol stava leggendo nei suoi : “ Vuoi farlo davvero?”
“ Sì” fu la risposta che attraversò la mente di entrambi.
La donna porse la testa in avanti ancora una volta, afferrando la testa dell’adolescente con una mano  e usando l’altra per tirarlo verso di lei.
Peter sentì qualcosa di caldo risvegliarsi dentro di sé. Tutti i suoi sensi erano stimolati. Sentì l’odore dei suoi capelli, e le sue labbra gustarono il sapore leggermente salato della pelle…solo che ora non erano più seduti. Si erano sdraiati.
Le mani di Peter si fecero strada sotto la maglietta di Carol, accarezzandole i fianchi e cominciando a salire verso l’alto.
La donna sussultò, bloccandosi come un cervo catturato dai fari.
<< Peter, aspetta… >>
La bocca del ragazzo fu sulla sua, come se volesse obbligarla al silenzio. Si rilassò, e per un attimo pensò che stava semplicemente seguendo gli ordini impartiti dal suo corpo, che era stanca a causa dell’allenamento, ed era disposta a lasciarlo fare, piuttosto che fare a sua volta. E con una certa vergogna, le venne anche in mente che questo serviva a diminuire un po’ la sua colpa.
“ Non ho potuto aiutarlo”, si sentì dire. È stato lui a fare tutto.
Ma dopo quello che sembrò un tempo interminabile…anche la sua bocca cominciò a muoversi contro quella del ragazzo, facendo scattare la lingua tra le morbide labbra.
Poi, la donna cominciò ad armeggiare con la chiusura dei pantaloni, che caddero a terra. Allo stesso tempo, Peter tirò in alto il tessuto della maglietta, e lei alzò le braccia per facilitargli il compito.
L’adolescente alzò lo sguardo…e si bloccò. Carol era sopra di lui, con la pelle scoperta e madida di sudore, luccicante sotto il flebile raggio di sole che, passando dalla finestra del salotto, illuminava la stanza.
Era bellissima. Come un’opera d’arte, fu lo scontatissimo paragone che gli venne in mente.
Come se lo avesse letto nel pensiero, la donna sorrise. Con le mani ancora tra i suoi capelli, lo baciò sulla fronte, sugli occhi, sulla punta del naso.
Lui gemette, mentre la donna muoveva le labbra dietro il suo orecchio, il suo collo. Al contempo, cominciò a sbottonargli la camicia. Pensò di fermarsi ,sapendo che quello che stavano facendo sarebbe stato mal visto agli occhi della squadra,ma non se ne preoccupò oltre.
Ormai i vestiti erano spariti. E anche la biancheria era sparita.
Con gli occhi chiusi, Peter sentì Carol prendergli la testa fra le braccia, e qualcosa di morbido contro il suo viso. Con distaccata sorpresa, capì dalla posizione che si trattava di uno dei suoi seni, e che aveva un capezzolo eretto contro le labbra.
Carol gemette sommessa e cominciò a dondolarsi lievemente avanti e indietro. Con la punta delle dita che gli sfiorava il mento e il collo.
Peter si rilassò, felice di non dover fare nulla, di lasciare che fosse lei a portare a termine il tutto. Quando lei gli si spostava tra le braccia, non opponeva resistenza, lasciandole dove lei le appoggiava.
Non fece nulla, e quando reagì, per l’eccitazione del momento, fu solo perché non potè più trattenersi.
Entrò dentro di  lei, e cominciò a muoversi lentamente.
Fu la sensazione più bella che avesse mai provato. Si sentì scivolare, come se le sue dita avessero lasciato l’orlo di un precipizio fatto di dura realtà, per poter cadere…cadere…attraverso morbide nubi di pura beatitudine, fino all’oceano del piacere, dalle lunghe onde.
Lei  gli strinse la testa tra le mani, assecondando ogni suo movimento con i fianchi .
<< Oddio, Peter >> sospirò tra i gemiti, mentre il suo corpo cominciò a illuminarsi di un debole bagliore dorato.
<< Carol… >> sussurrò l’altro,infilandole le dite tra i capelli e spingendole la testa all’indietro, fino a scoprire il collo.
La donna sembrava instancabile, e lui non voleva che lei si fermasse. A parte l’intensità dell’atto sessuale, provava ancora la stessa sensazione di poco prima : la completa felicità di un bambino totalmente passivo.
Poi, Carol si tese, gemendo e scivolando all’angolo del divano, contraendosi contro di lui.
Peter provò a resistere ancora un po’, ma le sue urla si unirono a quelle di lei, mentre entrambi raggiungevano l’orgasmo .
La donna gli  cadde addosso, abbracciandolo  per la vita e stringendolo a sè.
Peter non potè reagire, ma in fondo non desiderava altro che restare con la testa appoggiata nell’incavo della sua spalla, con il braccio steso sul suo petto, lasciando che lei gli accarezzasse i capelli.
Sorrisero entrambi, guardandosi negli occhi un’ultima volta, incapaci di credere a quello che era appena successo.
Appena un minuto dopo, entrambi sprofondarono nel sonno.
 
 
Com’era? Spero bello!
Nel prossimo capitolo, Carol e Peter dovranno venire a patti con ciò che è successo e trovare un modo per affrontare le possibili conseguenze.
Inoltre, incontreremo il villain della storia. Si tratta di uno dei miei cattivi preferiti di Spiderman, così come uno dei più crudeli e pericolosi.
Vediamo se indovinate chi è…
  
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