Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: viola_capuleti    07/08/2019    0 recensioni
Raven ha sempre avuto la certezza di essere una ragazza normale, nonostante la famiglia ristretta alla madre Elen e l'amico di famiglia Andrea che non la lasciano mai sola, i numerosi traslochi e la vistosa cicatrice che ha sul petto.
Ma tutto cambierà quando un misterioso uomo comparirà davanti a casa sua, insieme ad un particolare trio di ragazzi, proprio quando sua mamma dovrà andarsene di casa per lavoro e un misterioso coniglio albino le farà compagnia nei suoi sogni per avvertirla di un pericolo.
Scoprirà ben presto di far parte di una relatà ben più grande di quanto avrebbe mai potuto immaginare...
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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CAPITOLO 7
Risposte in dirittura d'arrivo


-Stai bene? -.
Si girò, frastornata, sia perché le sembrava di avere mal di testa, sia perché aveva di nuovo quel peso invisibile sulla cicatrice.
Il coniglio albino mosse un orecchio, leccandosi un labbro con un rapido movimento della linguetta rosa, ripetendo la domanda con cautela.
Raven si concesse una rapida occhiata attorno, notando che non si trovava in nessun luogo particolare. Sembrava di camminare su una lastra di vetro galleggiante in un cielo stellato, con nebulose dai colori accesi che sembravano pennellate sullo sfondo.
Poi registrò nuovamente la presenza del coniglietto, capendo che si stava rivolgendo a lei.
-Tu! – esclamò puntandogli un dito contro, mentre la cicatrice veniva percorsa da una scossa che le fece stringere le spalle –Tu centri con quello che mi è successo vero? M’hai avvertita su quei cani del cazzo, sapevi che avrebbero cercato di farmi la pelle! -.
Non aveva fatto neanche un passo verso di lui, ma il coniglio si precipitò comunque in una breve fuga dandole le spalle per un attimo, per poi tornare a voltarsi verso di lei accucciandosi a terra in una palla di pelo candida in cui spiccavano due occhietti dalle pupille dilatate.
-Ti ho avvertita, ti ho anche detto dove saresti stata al sicuro. – disse cautamente il coniglio dopo qualche attimo di silenzio in cui Raven decise di non allarmarlo oltremodo, se voleva avere delle risposte –Per cui… dovresti capire che ti sono amico. -.
Dovette ammettere a se stessa che, in effetti, chi ti avverte di un pericolo non può che essere dalla tua parte. Oppure poteva cercare di fartelo solo credere.
-Può darsi. – ammise, assumendo una posa più rilassata, smettendo di puntagli un dito contro come se avesse voluto fulminarlo con un gesto della mano –Allora, se mi sei amico, puoi anche dirmi come facevi a saperlo. -.
-Oh… - fece il coniglio, titubante.
I suoi occhi saettarono a destra e sinistra, alla ricerca di una risposta. Raven non avrebbe potuto chiedere di meglio: con un salto, si buttò pancia a terra verso l’animale, riuscendo ad afferrarlo per le orecchie.
Il coniglio squittì spaventato, irrigidendosi tra le sue mani, il naso che si dilatava velocemente. La ragazza si mise in ginocchio in modo da sollevarlo da terra, cosa che gli fece raccogliere gli arti davanti al corpo.
-Dimmi come fai a saperlo e forse non ti farò del male. – minacciò lei.
Avrebbe voluto farlo con quell’arrogante di Milord, ma purtroppo non sembrava essere vulnerabile come questo qua. Forse poteva ottenere più risposte di quelle che avrebbe mai ricevuto da Milord e i suoi amici a ben pensarci.
-Per la cronaca mi stai già facendo male. – fece il coniglio –Essere preso per le orecchie fa più male di quanto ricordassi…non ho detto che non avrei risposto alle tue domande, stavo valutando cosa dire. Potresti mettermi giù? -.
-Te la darai a gambe appena ti metterò giù? -.
-No. Mi piace stare qui. -.
Raven decise di dargli retta, ma si tenne pronta a riafferrarlo per le orecchie nel momento in cui avrebbe cominciato a scappare.
Lo mise a terra e lui la ringraziò, arricciando il nasino. Si alzò sulle zampe posteriori e cominciò a lisciarsi le orecchie con gesti lenti e misurati. Quando decise che le sue orecchie avevano ricevuto abbastanza cure sospirò e ammise: -Sapevo che ti sarebbero venuta a cercare. -.
-Perché lo sapevi? Chi sei? -.
-Mi sembri una ragazza sveglia, saprai cosa sono. -.
Raven sbuffò: -O un demone o un mezzo demone, grazie tante. Ma non penso che fosse un’informazione di dominio pubblico quella di venirmi a prendere. -.
-No, era piuttosto riservata in effetti. – disse il coniglio –Ma non posso dirti altro. Sto già rischiando a dirti queste cose e presentarmi nei tuoi sogni… Volpe perdonami, sono un codardo. – aggiunse in un mormorio, scuotendo la testa.
Raven si sedette allungando le gambe davanti a lei, borbottando tra sé e sé: -Quelli non mi dicono niente perché sono degli stronzi, tu non mi dici niente perché sei un codardo… sono a posto. -. Rimuginò sulle sue parole e le venne un dubbio: -Di’, non puoi dirmi nulla perché sei un codardo. Vuol dire che se vengo informata da te può succederti qualcosa? -.
Il coniglio si fregò le zampette rispondendo: -Potrei essere punito, sì.
-Beh, se mai chiedessero come ho fatto a scappare da quei due non dirò che sei stato tu a dirmelo. -.
-È un pensiero molto gentile da parte tua. -.
-Non ti ho ancora ringraziato, comunque. -.
-Non c’è il caso. Volevo farlo, non avrei sopportato di vederti in mano a Regina. -.
-Che non so chi sia. – sbuffò nuovamente Raven –Sei proprio sicuro che non puoi darmi altre spiegazioni? Ormai hai spifferato già qualcosa, tanto vale continuare. -.
-Ora non posso. Sto per svegliarmi. – disse il coniglio abbassando le orecchie –E poi ho paura... Ma se vuoi… posso pensare se… aiutarti ancora. -.
-Allora se ci rivedremo nei miei sogni vorrà dire che risponderai alle mie domande? -.
-Va bene. -.
La ragazza tese una mano.
Quando raggiungeva un accordo con sua madre si stringevano sempre la mano per sigillare il patto.
Al coniglio la cosa sembrò strana o forse era solo titubante, perché guardò la mano inclinando la testa di lato. Ma poi allungò una zampetta e l’appoggiò sulle sue dita, mormorando un tremulo “va bene” in un soffio.
 
***
 
Quando si svegliò, la prima cosa che notò era che qualcuno le aveva messo delle coperte addosso durante la notte. Gliele avevano anche rimboccate, che pensiero gentile.
Appena riuscì a mettere a fuoco la stanza con gli occhi ancora appesantiti dal sonno, pescò il cellulare dalla tasca (non si era fidata a lasciarlo sul comodino, nel caso a Milord fosse venuta la brillante idea di sequestrarglielo) per controllare eventuali messaggi e chiamate, ma aveva solo qualche notifica dalle app. Provò a chiamare prima sua madre e poi Andrea, ma lei non era raggiungibile e lui invece non rispose al telefono.
-Almeno squilla. – pensò, mordendosi un labbro, non sapendo se essere sollevata o irritata.
Si alzò e casualmente guardò alla finestra, vedendo Jaguar di nuovo impegnato a piantare fiori. Da fuori camera sua sentiva suonare una chitarra. Probabilmente era Beast, di sicuro non Milord.
Camminando in punta di piedi si rimise la felpa addosso, asciutta, e prese il suo zaino per poi uscire nel corridoio.
Passò davanti alla porta da cui proveniva la musica e quasi trattenne il fiato per non farsi sentire. Sperò vivamente che la scala non scricchiolasse in alcun modo, ma non le sembrava che la sera prima scricchiolasse. In ogni caso appoggiò il piede ogni volta con lentezza, attenta al minimo rumore.
Quando arrivò alla fine della scala quasi le scappò un sospiro di sollievo: fino a quel momento tutto bene. Milord non sembrava in casa.
Adesso doveva raggiungere la porta e andarsene di corsa. Il cancello non sembrava difficile da scalare, bastava non infilzarsi in qualche punta mentre lo scavalcava.
-Raven? -.
Si fermò con il piede a mezz’aria.
-Raven? Sei tu in corridoio? – chiese Matisse, dalla cucina –Sei sveglia finalmente! Pensavo che avresti dormito fino a mezzogiorno. Stavo giusto per mandare Jaguar a vedere come stavi. Vieni di qua, vieni. -.
E adesso? Non poteva mettersi a correre, né tantomeno cercare di fare la finta tonta e sperare che non venisse a controllare il perché nessuno le rispondesse. Come diavolo aveva fatto a sentirla poi? Aveva fatto talmente piano!
Digrignando i denti per la frustrazione, posò lo zaino in corridoio e andò da Matisse.
La ragazzina aveva indossato lo stesso grembiulino del giorno prima ma teneva i capelli legati in modo diverso, in un’elaborata acconciatura con una treccia che le girava attorno alla testa a circondare uno chignon.
Era di nuovo intenta a cucinare, affettando cipolle dalla buccia viola in listelle sottili.
-Eccoti qui. – le sorrise la ragazzina vedendola entrare –Dormi proprio come un sasso, Beast è da ore che suona. Stavi scendendo per fare colazione, vero? -.
-Veramente… -.
-Dev’essere così. – la interruppe Matisse in un modo che Raven non seppe dire se casuale o se sapesse in qualche modo che stava cercando di andarsene alla chetichella –Non hai mangiato niente da ieri, neanche quello che ti abbiamo lasciato in camera. È tardi per chiamarla colazione, ma consideralo un brunch: ti abbiamo lasciato qualcosina nel caso ti fossi svegliata prima di pranzo. -.
-Oh, non c’è il caso, io… - mise le mani avanti la ragazza ma un brontolio sordo dello stomaco la tradì.
Effettivamente aveva una fame boia.
Matisse le prese le mani tra le sue e la trascinò alla penisola della cucina dicendo: -Abbiamo deciso di tenerci leggeri, dato che abbiamo ospiti a pranzo, ma è stata una faticaccia lasciarti qualcosa per me: Jaguar non la smetteva di fare man bassa di pancetta, Beast di strafogarsi di marmellata. Non ho mai distribuito tante cucchiaiate sulle dita come stamattina. Forse è per questo che nessuno mi sta aiutando a preparare pranzo. -.
Mentre parlava le servì un piatto di pancake ai mirtilli freddi, accompagnati da sciroppo e marmellata a parte, bacon tiepido, succo di frutta e un bicchiere di latte.
Raven stava per direqualcosa di acido, come un “non puoi comprarmi con il cibo, carina” ma non riuscì a dire niente quando la vide fare un cenno d’incoraggiamento con la mano, accompagnato dal solito sorriso gentile che lei e suo fratello sembravano avere perennemente sul viso.
-Sta solo cercando di essere gentile. – pensò iniziando a mangiare in silenzio –Dev’essere abituata a prendersi cura di tutto… l’unica ragazza in un gruppo di maschi. -.
Matisse riprese ad affettare e Raven si trovò a riempirsi la bocca di forchettate di pancake con sciroppo d’acero mentre osservava la rapidità e la precisione con il quale usava il coltello.
-Sembri quasi pericolosa. – osservò dopo poco, quando finalmente lei mise da parte l’attrezzo.
L’angelo sembrò per un attimo spersa, poi commentò con leggero imbarazzo: -Oh, no no. Sono i miei fratelli quelli che potrebbero usarlo in modo pericoloso. Io posso davvero solo limitarmi alla cucina. Avrei voluto imparare, ma Milord non ha voluto. -.
-Fratelli… come siete diventati fratelli voi tre? – chiese di getto Raven, incuriosita –Tu sei un angelo, Jaguar e Beast dei mezzi demoni. -.
Capì che l’argomento era delicato quando vide qualcosa vacillare nell’espressione serena della ragazzina. Fu solo un attimo e forse fu solo un’impressione, ma si affrettò comunque a precisare che non era obbligata a rispondere.
Matisse scrollò le spalle e prese un pesce da un involucro di plastica, piazzandolo sullo stesso tagliere che poco prima ospitava le cipolle, ora nell’insalatiera: -Nessun problema, non è poi tanto un segreto nella nostra società quello che capita agli angeli come me. -.
Si abbassò una spalla della maglia che indossava e scoprì una voglia a macchia di vino grossa come una noce, di un vivido color porpora. Il contrasto con la pelle chiara della ragazzina era impressionante, la faceva sembrare una cosa fuori posto sul suo corpo.
Probabilmente chiunque avrebbe pensato la stessa cosa della sua cicatrice a primo impatto.
La voglia tornò ad essere coperta dalla maglia e lei cominciò a sviscerare il pesce dicendo: -Gli angeli hanno certi standard nell’apparenza e nella mentalità, non tollerano errori. Come se fossero cani da mostra, capisci? Chi nasce non rispettando lo standard o divergendo dallo standard di comportamento ed ideali è subito eliminato. La mia voglia è una delle cose che marchiano come difetto di fabbrica. Perciò… mi hanno tagliato le ali e abbandonata nel mondo umano. Lo fanno per tenersi la coscienza pulita, in qualche modo, dato che ero un’infante: poteva trovarmi un umano oppure un demone, che differenza poteva fare? Però mi ha trovato Jaguar. Meglio non poteva andarmi. -.
-È una cosa disgustosa. – disse Raven, impressionata dalla spiegazione e dalla noncuranza con la quale Matisse raccontava –Loro… eri una neonata! Quella non è stata una tua decisione, le voglie sono macchie! -.
-Gli angeli sanno essere pragmatici e svampiti allo stesso tempo. – disse Matisse trappando con le dita l’intestino al pesce, facendo una smorfia quando uno schizzo viscido macchiò il tavolo o forse per l’argomento –Credono che delle imperfezioni della pelle danneggino l’idea che si ha di qualcosa di puro ma vogliono passare per giusti e magnifici segando via le ali ad un poppante. -.
-Io la chiamerei mente perversa e ipocrita, non svampitismo. – borbottò Raven –Mi spiace aver chiesto. Non immaginavo una cosa del genere. -. Abbassò la testa, non osando guardare Matisse negli occhi.
-Acqua passata. – la rassicurò Matisse –Se non fosse stata per la voglia non avrei incontrato Jag e Beast. Anche loro non se la sono passata bene come me. -.
Pensava che gli angeli fossero creature buone, non esseri che abbandonavano i loro simili per un’assurdità come una voglia o un neo sulla pelle. Provò ad immaginarsi Matisse appena nata, piccola, con appena qualche filo biondo in testa e gli occhioni azzurri già aperti in braccio a due ipotetici genitori angeli che la cullavano dolcemente fra le braccia fino alla scoperta della voglia sulla spalla. Quindi la respingevano con durezza, dandola ad un dottore che le scopriva la schiena dove due soffici e piccole ali dalle piume bianche erano ancora troppo deboli per aprirsi, prendeva un lungo attrezzo metallico dalla lama dentata e…
Scacciò l’immagine dalla mente con decisione insieme ad un lungo brivido che le pizzicò la nuca.
Sentirono una porta sbattere al piano di sopra e si zittirono entrambe. Raven vide con la coda nell’occhio che Matisse appoggiava i polpastrelli sul manico del coltello, gli occhi fissi sull’ingresso della cucina.
Passi affrettati rimbombarono sulla scala di legno, mentre Beast urlava: -La Portatrice è sparita! Se l’è svignata! -.
Dalla sua angolazione Raven riuscì a vederlo scivolare sul pavimento per la fretta di raggiungere la cucina, dove senza fiato Beast andò a sbattere contro lo stipite della porta, continuando ad urlare: -Non c’è, è sparita, puf, Milord mi ammazzerà! -.
Poi notò la sua presenza.
-Ehi occhio di lince. – lo salutò con tono ironico Raven, agitando la forchetta, divertendosi a vedere come il viso del ragazzo diventasse rosso.
-Sei imbarazzante B. – sospirò Matisse alzando gli occhi al cielo.
Beast si morse un labbro e borbottò: -Questi non sono scherzi da fare. – puntandole contro un dito.
-Chi scherza? – fece Raven bevendo del succo di frutta.
Jaguar comparve alla portafinestra, togliendosi gli occhiali da sole dal naso, dicendo: -Ho sentito gridare, che succede? -.
-Niente. – risposero tutti loro in coro.
Fece uno sguardo perplesso e poi entrò, allungando subito una mano a spilluzzicare qualcosa sul tavolo, seguito subito da un rimprovero di Matisse.
-Allora solo Milord non è in casa. – osservò Raven.
-Già, è fuori a controllare che non ci siano Faoil o altri in giro a cercare di far casini. – rispose Beast –Lo avrei accompagnato se non mi avesse beccato a seguirlo. – aggiunse a denti stretti.
-Ti avevo detto di non farlo. – disse Jaguar incrociando le braccia –Non mettermi in una posizione difficile con lui non ascoltandomi. -.
-Posso essere più utile che tenere d’occhio due ragazze! – ripose lui sbattendo una mano sul ripiano che aveva davanti, facendo sobbalzare Matisse.
-Ci conosciamo da poco, ma mi permetto di dissentire. – si lasciò sfuggire Raven mettendosi una striscia di pancetta in bocca.
Beast ringhiò: -Che cosa? -.
La ragazza si girò sullo sgabello per mettersi in una posizione più comoda per evitare eventuali colpi, biascicando con la bocca piena: -Ragaffa prefiosa, non puoi favmi male. -, alzando le mani in segno di resa.
Nessuno ebbe il tempo di controbattere o sgridare, perché nell’aria si diffuse un odore sgradevole di fumo e zolfo, per cui Raven si coprì il naso e bocca con il braccio, reprimendo uno starnuto. Dalla sala da pranzo accanto entrarono nuvole di fumo grigio e a grandi passi, Milord.
Teneva le mani davanti al corpo, sollevate come un medico che si era appena messo i guanti, e a Raven quasi scappò un’imprecazione per quanto fossero rosse in confronto alla carnagione pallida che si poteva vedere sul suo viso.
-Sacre code! – esclamò Matisse facendo uno scatto verso di lui, ma il mezzo demone si ritrasse, avvicinandosi le mani al corpo, dicendo: -Ferma, non voglio scottarti di nuovo. -.
-Giusto… Beast, il secchio in lavanderia, Jaguar la bacinella sotto il lavello. Raven, in freezer ci sono delle vaschette con il ghiaccio, mettine due nella bacinella. – ordinò Matisse prendendo dei guanti da forno, indossandoli per prendere le mani di Milord tra le sue, esaminandole.
Raven ci mise un attimo prima di processare il fatto che le aveva detto di fare qualcosa. Poi si alzò e si precipitò ad obbedire, spalancando la porta del frigorifero per raggiungere il piccolo freezer all’interno, dove trovò quattro contenitori per il ghiaccio. Ne svuotò due dentro la bacinella che Jaguar stava riempiendo dentro il lavello della cucina, mentre Milord rifiutava con tono stanco che Matisse gli desse della crema.
Quando Jaguar gli porse la bacinella, il mezzo demone vi immerse le mani, che sfrigolarono come bistecche su una griglia, emettendo vapore.
-Quanti? – chiese Jaguar.
-Almeno una decina. – rispose Milord, con un sospiro di sollievo, muovendo le mani in circolo a sfiorare i pezzi di ghiaccio che si scioglievano velocemente –Ratti non di Regina. La voce deve essersi sparsa in qualche modo, non proveranno una seconda volta. Se non sono stupidi. -. Rivolse un’occhiata a Raven e disse: -Ho visto lo zaino in corridoio: se ti passa un’altra volta per la mente ti metto a dormire assieme il cane oppure ti rompo le dita, scegli tu. -.
-La prossima volta starò semplicemente più attenta. – sibilò Raven.
Poi Milord notò altro. Diede una rapida occhiata alla cucina, inarcando un sopracciglio. Chiese a Matisse: -Come mai tutta questa roba? È il compleanno di uno di voi tre? -.
-Non vedo niente di male nel mangiare qualcosa di più sostanzioso. – rispose Matisse togliendosi i guanti da forno.
-Eh? – fece Beast entrando con un secchio pieno d’acqua tra le braccia –Ma non avevi detto che venivano… Ahio! -.
Matisse si lisciò il grembiule sulle gambe dopo aver dato un pestone al fratello, arrossendo.
-Mi tiro fuori. – disse dubito Jaguar dileguandosi dalla portafinestra in un lampo –Io non centro niente. -.
Calò un attimo di silenzio nel quale Raven non seppe dove andare a rifugiarsi. Milord sembrava voler strozzare Matisse, Matisse faceva finta di niente mentre integliava il pesce che aveva pulito e Beast aveva tutta l’aria di voler seguire il fratello fuori, lontano dal guaio. Il mezzo demone Lupo gli fece cenno con la testa di andarsene e lui obbedì, lasciando il secchio a terra.
Milord si raddrizzò sulla sedia e chiese: -Chi? -.
-Lo sai chi. -.
-Lei può, l’altro no. -.
-Non sei te che decidi. -.
-Ah, no? La runa di protezione di chi è? -.
-Non sono nemici. -.
-Loro… -.
-Tu credi che io non noti il fatto che non dormi? – lo interruppe Matisse sbattendo due spicchi d’aglio nella teglia, voltandosi per guardarlo in faccia –Neanche io dormo, perché anche io me la faccio sotto. -.
-Non me la faccio sotto. -.
-Beh, dovresti. – ribatté Matisse calcando la frase e facendo un gesto esasperato con le braccia –Non possiamo farcela da soli, tu non puoi farcela da solo, lei non può farcela da sola. – aggiunse indicando Raven, che per un qualche motivo si sentì in colpa. Il tono di Matisse si addolcì: -Sei meglio di così. -.
-Non provare ad intenerirmi. Puoi fregare i tuoi fratelli o qualcuno a cui piacciono le ragazzine, non me. – disse Milord a muso duro –Puoi dare consigli utili se vuoi, ma non prendere decisioni. -.
Matisse roteò gli occhi, Raven non seppe dire se per il fatto che non poteva prendere decisioni in sua vece o perché i suoi occhi dolci non avevano avuto effetto.
Alzò una mano come per dare uno schiaffo con il dorso della mano all’aria, voltandosi dall’altra parte con fare sdegnato per riprendere a cucinare, borbottando: -Sei una testa più dura di Beast oppure cieco, non so decidermi. Viene solo per parlare, tutto qui. E voglio proprio vedere se non lo lascerai entrare in casa cosa ti faranno. -.
Milord contrasse la mascella, aggrottando le sopracciglia, senza dire niente. Matisse stette stoicamente in silenzio, continuando a cucinare.
-E va bene. – si arrese Milord –Ma se tardano di un solo secondo all’appuntamento i cancelli non si aprono. -.
Matisse sorrise senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro e il mezzo demone la schizzò con l’acqua: -Non montarti la testa angelo macchiato. -.
-Mezzo demone spelacchiato. – replicò Matisse facendogli la linguaccia. Poi si rivolse a Raven: -Mi dai una mano a finire per favore? Sono sicura che sarai contenta di ricevere una visita. -.
 
   
 
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