Oggi
«Oddio,
un'altra canzone di 'sto tizio?»
Erano
ormai tre settimane che Michael e Caterina facevano insieme la strada
da
Bergamo alle rispettive abitazioni e ancora Caterina non si era
abituata alla
musica che il ragazzo sparava a tutto volume all'interno dell'abitacolo
della
sua Golf.
«Miyavi
non si tocca!» la rimbeccò lui. «
È un classico!»
«Un
classico? È imbarazzante, dai!» si
lamentò la ragazza, guardando con astio
l'autoradio.
Michael
le scoccò un'occhiata di sufficienza con la coda
dell'occhio. «Senza offesa,
eh, ma non ho nessuna intenzione di farmi dare lezioni di musica da una
che
ascolta i... come diavolo si chiamavano quei mentecatti che mi hai
fatto
sentire l'altro giorno?»
«Suppongo
tu ti stia riferendo ai Nanowar» ribatté lei con
sussiego. «Ho solo un paio di
canzoni salvate, e comunque sono un ottimo gruppo satirico. E non
ascolto mica
solo loro: i miei gusti sono estremamente variegati. Il problema
è che le mie
orecchie si ribellano al suono di certe cinesate.»
«Al
di
là del fatto che Miyavi è giapponese
e non cinese, francamente i
tuoi gusti musicali non mi sembrano poi così variegati: mi
risulta che spazi
dall'industrial metal al folk
metal, con certe coraggiose puntate
fino all'epic metal» la
provocò il giovane. «Un po' monotono, non
trovi?»
«E
il
raggaeton? Quello dove lo lasciamo?»
«Ah,
giusto» sospirò Michael. «Non
dimentichiamoci del raggaeton. Devi essere un po'
bipolare, bella mia.»
Davanti
a quell'affermazione, la ragazza si limitò a scuotere la
testa e a sorridere
divertita, guardando fuori dal finestrino. Le scuole erano ormai finite
e buona
parte delle famiglie con bambini piccoli avevano lasciato la
città, fuggendo
verso il mare lontano per sfruttare appieno le lunghe giornate di
giugno. Chi,
come Caterina, si apprestava a rinunciare alla vacanza al mare per il
secondo
anno consecutivo, poteva se non altro consolarsi nel trovare le strade
molto
meno trafficate del solito.
Dieci
minuti più tardi, Michael imboccò la via
secondaria che conduceva al gruppo di villette
a schiera in cui la giovane viveva con i propri genitori. Fermandosi di
fronte
al vecchio cancello un po' scrostato, il ragazzo spense il motore e si
voltò
verso Caterina. «Allora ci sentiamo domenica sera?»
le chiese. «Così mi dici
che giorni pensi di essere a Bergamo e vediamo se riusciamo a
organizzare di
fare la strada insieme almeno qualche volta.»
La
ragazza annuì. «Va bene, però ti pago
la benzina: non mi va di andare sempre a
scrocco.» Sapeva che, in attesa di terminare il master
che stava seguendo,
Michael stava cercando di trovare un impiego o uno stage retribuito.
Sosteneva
tutti i colloqui a cui riusciva ad avere accesso, ma fino a quel
momento la
fortuna non era stata dalla sua parte e il ragazzo non navigava certo
nell'oro.
Lui
sventolò una mano in aria. «Va be', poi vediamo.
Tanto io a Bergamo ci devo
andare comunque.»
Non
era la prima volta che affrontavano quell'argomento e, considerato che
era
quasi ora di cena, Caterina non insistette. «Va bene, va
bene» tagliò corto,
spalancando lo sportello e ruotando sul sedile per posare i piedi a
terra. «Ti
faccio sapere qualcosa entro domenica sera, ok?» Davanti al
cenno di assenso
del giovane, la ragazza sbloccò la cintura di sicurezza e
fece per scendere
dalla Golf, quando un ripensamento improvviso la
fece voltare nuovamente
verso Michael. «Senti, ma hai qualcosa da fare, questa
sera?» gli chiese
d'impulso. «Se ti va, puoi venire con me al Dream:
c'è di nuovo una mia
amica che ci suona con il suo gruppo e io non ho molta voglia di
andarci da
sola...»
Michael
la guardò per qualche secondo in silenzio, poi scosse la
testa. «Mi spiace, ma
questa sera ho già degli impegni» disse,
telegrafico.
Caterina
si costrinse a sorridere, mascherando così la delusione.
«Oh... come non detto,
allora: restiamo per settimana prossima!» La sua voce suonava
forse un po' più
acuta del solito, ma la giovane giudicò di essere riuscita a
mantenere un tono
ragionevolmente normale.
L'uomo
parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma poi cambiò idea e
distolse
rapidamente lo sguardo, spostando gli occhi sul pannello elettronico
posto
dietro il volante, dove l'orologio digitale segnava le 18:45.
«Perfetto» si
limitò a dire.
La
ragazza ebbe l'impressione che Michael avesse tutto d'un tratto fretta
di
andarsene. L'improvvisa freddezza del giovane e il suo atteggiamento
quasi
sfuggente le lasciarono in bocca un retrogusto amaro,
ma si impose di far finta di nulla. Con un
ultimo cenno di saluto, girò sui tacchi e chiuse la portiera
con un tonfo
secco, avvertendo subito dopo il rombo del motore che veniva rimesso in
moto e
il lieve stridio degli pneumatici sull'asfalto.
Mentre
frugava all'interno della tracolla alla ricerca delle chiavi di casa,
Caterina
si mordicchiò pensosamente le labbra. Be', non
è stato carino, si disse,
un po' delusa dal modo in cui Michael aveva reagito alla sua proposta. Ha
tutti i diritti di avere già dei programmi per la serata, ci
mancherebbe, però
avrebbe potuto essere un po' meno sintetico, nel rifiutare.
Per
quanto si sforzasse di non dare troppo peso alla cosa, aveva la netta
sensazione che Michael avesse volutamente evitato di fornirle ulteriori
spiegazioni circa quello che aveva intenzione di fare, quella sera. Mi
ha
semplicemente detto che aveva “altri impegni”,
senza specificare quali fossero...
praticamente è come se mi avesse detto di farmi i fatti miei
e di non essere
troppo appiccicosa!
Superato
con qualche difficoltà il vecchio cancello dalla serratura
difettosa, la
ragazza raggiunse la porta d'ingresso e aprì anche quella,
venendo immediatamente
investita dal profumo invitante delle patate al forno che sua madre
aveva
deciso di cucinare per cena. «Ciao!»
urlò, annunciando il proprio ritorno.
Dalla
cucina, situata al di là della sala da pranzo che si apriva
alla sinistra della
ragazza, giunse la voce della signora Elena. «Venti minuti ed
è pronto» la
informò, a mo' di saluto. «Stasera c'è
la
riunione di condominio e questa volta ci spedisco il papà:
si mangia presto!»
Con
un pensiero di compassione rivolto al povero genitore, Caterina
calciò le
scarpe da ginnastica in direzione della scarpiera e, a piedi nudi,
risalì la
scala di granito che conduceva al piano superiore e, quindi, alla sua
camera da
letto. Liberandosi di jeans e maglietta per indossare un vestitino
scolorito e
un po' sformato, ma comunque leggero e meravigliosamente comodo, la
ragazza si
avvicinò alla finestra, osservando distrattamente il piccolo
giardino che sua
madre coltivava con tanta cura.
Va
be', si consolò, tornando a pensare alla fuga di
Michael, affari suoi: è
lui quello che ha fatto la figura del maleducato, non certo io. E,
comunque,
magari non è sceso nei particolari perché deve
fare qualcosa di imbarazzante e
non gli andava di parlarmene...
Subito
dopo, però, un'ombra scura attraversò la sua
mente. O magari deve vedersi
con qualcuna e ha pensato bene di non dirmelo. Il semplice
pensiero fu
sufficiente per farle contrarre sgradevolmente lo stomaco. Inspirando a
fondo,
Caterina cercò di allentare la morsa amara della gelosia. Ma
tanto, a me,
cosa me ne frega? Può uscire con chi gli pare, non mi deve
certo delle
spiegazioni.
Razionalmente
sapeva che era così: tra lei e Michael non c'era proprio
nulla, se non, forse,
un'amicizia ancora un po' traballante. Nessuno dei due aveva espresso
interesse
nei confronti dell'altro, se si escludevano un paio di episodi in cui
Michael
aveva scherzosamente flirtato con lei. E lei, dal canto suo, lo trovava
indubbiamente carino e anche divertente, ma si era ripromessa di non
lasciarsi
sfuggire le cose di mano e di mantenere le giuste distanze tra se
stessa e il
giovane.
Eppure...
eppure, se solo si azzardava a pensare a una donna sconosciuta che
rideva alle
battute del ragazzo, che si avvicinava a lui, gli toccava i capelli
scuri e
lucenti e si lasciava stringere dalle sue braccia forti, sentiva
un'ondata di
nausea sollevarsi dallo stomaco e mozzarle il fiato, serrandole la gola
in una
morsa di rabbia corrosiva.
«Bah!»
esclamò, disgustata dalle proprie reazioni. Al
diavolo Michael: non aveva
certo intenzione di lasciarsi rovinare l'estate – o anche
solo la serata – da
lui. In fin dei conti, l'incontro con il giovane era stato
provvidenziale, dal
momento che due giorni prima aveva finalmente superato l'esame di
marketing:
con un diciannove che trasudava compassione, ma l'aveva comunque
passato e
doveva ammettere che, senza l'aiuto del ragazzo, non ce l'avrebbe
fatta. È
brutto da dire, ma adesso non mi serve più: se inizia ad
avere atteggiamenti
strani, ognuno va per la sua strada e tanti saluti.
Caterina
annuì decisa, soddisfatta della propria decisione, e
recuperò un elastico dal
comodino, legandosi i capelli ramati in una coda alta. E non
sentì per niente
la fitta acuta che le trapassò il petto da parte a parte.
***
Quando
quella sera arrivò al Dream, Alessandra
era già seduta a un tavolino un
po' in disparte e la stava aspettando in compagnia di Francesca, una
ragazza
mora che Caterina conosceva dai tempi del liceo, e una biondina amica
di
Alessandra di cui non riusciva a ricordare il nome.
Quando
la vide avvicinarsi a loro, Francesca si alzò in piedi e le
si fece incontro
per accoglierla. «Cate!» esclamò,
gettandole le braccia al collo e stordendola
con il suo intenso profumo agrumato. «Sarà almeno
un anno che non ci vediamo!
Come va?»
«Non
male» borbottò Caterina. «Ho finalmente
passato l'ultimo esame che mi mancava.
Adesso devo solo scrivere la tesi e poi ho finito, se Dio
vuole.»
Francesca
ridacchiò, guardandola con i suoi splendidi occhi verdi
pesantemente truccati.
A vederla, non si sarebbe mai detto che fosse infermiera in un reparto
di
pediatria, ma, a dispetto del look appariscente che amava sfoggiare,
era una
ragazza estremamente dolce. «Cavolo, è un vero
peccato che tu non sia venuta a
cena: avremmo potuto chiacchierare un po' prima che iniziasse il
concerto... senza
contare che qui fanno dei panini spettacolari!»
Caterina
si strinse nelle spalle. «Lo so. Però pranzo con
un panino praticamente tutti i
giorni: per cena preferisco mangiare qualcosa di un po' più
consistente.» Così
dicendo, la giovane si avvicinò al tavolo alla ricerca di un
posto in cui
sedersi e subito la ragazza bionda si addossò al muro,
liberando un po' di
spazio sulla panchina di plastica bianca ricoperta da un sottile
cuscino viola.
«Voi
due vi siete già conosciute, vero?» chiese
Alessandra, facendo danzare lo
sguardo tra le sue due amiche.
Caterina
annuì un po' incerta. «Sì, ci siamo
viste un paio di volte... Silvia, giusto?»
«Sara»
la corresse la ragazza bionda, sistemandosi gli occhiali che le erano
scivolati
lungo il naso.
«Ah.
Giusto. Sara.» Caterina le rivolse uno sguardo dispiaciuto.
Non aveva una buona
memoria per i nomi, soprattutto se appartenevano a persone verso le
quali non
nutriva un grande interesse.
Alessandra
si schiarì la voce, disperdendo rapidamente la vaga
sensazione di imbarazzo che
era calata attorno al tavolo. «Suppongo che tu non sia
riuscita a convincere
Halima a venire con noi, eh?» chiese, guardandosi attorno.
Caterina
le rivolse un sorriso sarcastico. «Ovviamente no»
confermò. «Non ho nemmeno
insistito più di tanto, a dire il vero: sai che a lei queste
cose non
piacciono.»
«Già»
sbuffò Alessandra, con espressione cupa. «Non si
fa mai viva. L'ultima volta
che l'ho vista era ancora inverno.»
Caterina
le lanciò uno sguardo scettico. «Be', non si
può dire che sia proprio tutta
colpa di Halima: se tu ti degnassi di mettere piede in
università, una volta
ogni tanto, ti potrebbe perfino capitare di incrociarla.»
Alessandra
sbuffò alzando gli occhi al cielo e Sara nascose un sorriso
dietro le mani.
«Ahi, ahi, tasto dolente» ridacchiò.
«Fai
proprio schifo» dichiarò serafica Francesca,
alludendo al fatto ben noto che
Alessandra si era iscritta alla laurea specialistica, ma non aveva
sostenuto
nemmeno la metà degli esami del primo anno, preferendo
dedicarsi ad attività
ben diverse dallo studio.
«Oh,
e che palle!» sbottò la ragazza riccia,
incrociando le braccia davanti al petto
generoso. «In questo periodo ho avuto un sacco da fare e mi
sono accorta che
una laurea in turismo non è fondamentale
per quello che voglio fare da
grande, ma non stressatemi: finirò questa pallosissima
università. Con i miei
tempi, ma la finirò.»
Caterina
la soppesò con lo sguardo e non credette a una sola parola
pronunciata
dall'amica, ma evitò di esternare le proprie
perplessità. «Ok, ok»
sospirò, cambiando
argomento. «Piuttosto, Matteo non c'è?»
chiese, non vedendo da nessuna parte il
fidanzato di Alessandra.
Quella
scosse il capo con aria rammaricata. «No: è andato
un paio di giorni al mare
con i suoi, nella loro casa in Liguria. Mi aveva chiesto di andare con
lui, ma
ho gentilmente rifiutato: non siamo ancora abbastanza intimi da
sentirmi in
dovere di trascorrere una vacanza con i suoceri.»
Il
tono con cui aveva pronunciato quell'ultima parola era talmente
orripilato che
le altre tre ragazze scoppiarono a ridere, poi Alessandra
puntò gli occhi scuri
in quelli di Caterina. «A proposito»,
scandì lentamente, «mi aspettavo che
portassi il tuo bello. Come mai non c'è?»
Le
guance pallide della ragazza si fecero subito scarlatte. «E
chi sarebbe “il mio
bello”?» chiese Caterina, sgranando gli occhi
nell'espressione più innocente
che le riuscisse.
Sara
incrociò educatamente le mani in grembo, mentre Francesca si
sporgeva verso di
lei con gli occhi accesi dall'interesse. «Hai un nuovo
ragazzo?»
Lanciando
ad Alessandra uno sguardo carico d'accusa, Caterina scosse con forza il
capo. «Proprio
per niente!» negò, prima di rivolgersi alla
ragazza riccia: «Se ti stai riferendo a Michael, credo di
averti detto almeno
un miliardo di volte che siamo solo amici, e forse nemmeno quello. Non
è il mio
ragazzo, non siamo mai usciti insieme nel senso che intendi tu,
né mai lo
faremo!»
Alessandra
sgranò gli occhioni da cerbiatta, esibendo un'aria offesa
che di genuino aveva
ben poco. «Oh, come ci scaldiamo facilmente!» la
punzecchiò. «Sicura che non ci
sia sotto niente?»
«Sicurissima»
confermò Caterina. Qualcosa nella sua voce doveva
però avere tradito una punta
di incertezza, perché le altre ragazze si scambiarono uno
sguardo in tralice.
«Almeno
è carino?» si informò educatamente
Francesca.
«Molto»
risposa pronta Alessandra, impedendo a Caterina di parlare per prima.
La
ragazza mora si rivolse direttamente alla giovane riccia. «Tu
l'hai visto? Ci
hai parlato? Di solito la Cate se li tiene ben nascosti, i suoi
uomini.»
«Ho
visto la sua foto su WhatsApp» sorrise Alessandra.
Rassegnata,
Caterina indovinò la richiesta di Francesca ancor prima che
la ragazza la
esprimesse ad alta voce. «Fa un po' vedere!» le
ordinò, allungando una mano
imperiosa in direzione della borsa della giovane dai capelli rossi.
«Giù
le zampe!» la rimbeccò, pur impugnando il proprio smartphone
e
sbloccandone lo schermo. «Lo tengo io, che ho ricordi poco
piacevoli
dell'ultima volta che ti ho lasciato tenere in mano un mio
cellulare.»
Francesca
ridacchiò, ricordando l'episodio in cui aveva lasciato
partire una chiamata in
direzione del ragazzo per cui Caterina aveva una cotta pazzesca, poi si
sporse
per vedere meglio la fotografia che la ragazza le stava mostrando.
«Porca
vacca, ma è un figo della Madonna!»
esclamò con aria scioccata. «Sara,
guarda!»
aggiunse poi, afferrando a due mani il polso di Caterina e obbligandola
a
orientare lo schermo del telefono in direzione della ragazza bionda.
«Sì,
è decisamente carino» osservò quella,
assai più
pacata di Francesca.
Con
uno strattone deciso, Caterina riprese possesso del proprio arto e
osservò a
sua volta l'immagine che riempiva il display. Alla vista del sorriso
rilassato
di Michael, qualcosa di morbido e caldo le si smosse all'altezza dello
stomaco.
«Sì, va be'» borbottò vaga,
senza però riuscire a sopprimere il sorriso
trasognato che per una frazione di secondo le piegò le
labbra.
«Un
figo della Madonna che però non ci ha degnate della sua
divina presenza»
puntualizzò Alessandra, senza lasciarsi distrarre.
«Come mai non è venuto?
Gliel'hai chiesto, almeno?»
Caterina
sbuffò e lasciò ricadere il cellulare in borsa.
«Sì, certo che gliel'ho
chiesto. Però aveva da fare e non è potuto
venire.»
La
ragazza riccia inarcò un sopracciglio curato. «E
cosa doveva fare di tanto
importante? Se la ragazza con cui ti vedi ti chiede un appuntamento, tu
scatti
sull'attenti, non le dai buca.»
Caterina
le puntò addosso uno sguardo esasperato. «Ti ho
già detto che non non ci
“vediamo”, facciamo solo la strada insieme per
ottimizzare i tempi. E non
volevo un appuntamento, gli ho semplicemente chiesto se questa sera
sarebbe
venuto al Dream, visto che sembra venirci spesso.
E, per finire, non so
cosa dovesse fare: non gliel'ho chiesto e lui non me l'ha
detto.»
«Ahi,
ahi» commentò di nuovo Sara con aria lugubre e
Caterina la trovò immediatamente
meno simpatica di quanto l'avesse trovata un istante prima.
«Speriamo
che non avesse un appuntamento galante!» rincarò
la dose Francesca, prima di
rivolgerle un sorriso furbo e tuffarsi in ciò che restava
del suo margarita.
Caterina
fece scorrere lo sguardo sulle sue amiche e fu seriamente tentata di
piantarle
in asso e tornarsene in macchina.
***
Un'ora
e mezza più tardi, Alessandra era nel pieno della sua
esibizione. Davanti al
palchetto su cui suonavano lei e il suo gruppo si era radunata una
discreta
folla e Caterina e le sue amiche dovevano starsene ben dritte sui loro
sedili,
se volevano sperare di vedere qualcosa.
«Non
so, vogliamo provare a spostarci un po' più
avanti?» chiese Francesca, scrutando
con aria critica il poco spazio disponibile davanti a loro.
Caterina
scrollò il capo. «Non
credo che cambierebbe qualcosa.
Non so come mai ci sia così tanta gente, oggi: è
sempre un posto affollato, ma
mai a questi livelli.»
«Magari piacciono»
azzardò Sara. «Se suonano spesso qui,
magari si sono guadagnati qualche fan.»
Caterina stava per replicare che
sperava proprio che fosse
così, quando un'ombra scura offuscò la luce del
faretto più vicino. Alzando lo
sguardo, la ragazza si trovò a fissare gli occhi neri di
Hasim. Porca vacca!
Pensò con il cuore che batteva a mille e uno strano tremore
nelle dita. Non
l'aveva sentito avvicinarsi e c'era qualcosa nella sua espressione che
le
causava uno spiacevole dolorino all'altezza dello stomaco.
«Oh...
ciao» lo salutò, chiedendosi se la sua voce
fosse davvero così incerta come suonava alla sue orecchie.
L'uomo
le rivolse un sorriso gentile che fece scomparire qualsiasi cosa
Caterina
avesse letto nei suoi lineamenti fino a qualche istante prima.
«Ti ho
spaventata?» le chiese.
La
giovane arrossì, rendendosi conto che il buttafuori aveva
interpretato
correttamente il suo turbamento. «No, no» si
affrettò però a rassicurarlo.
«È
solo che non ti ho sentito arrivare e non mi aspettavo nemmeno di
trovarti qui:
le ultime volte che sono venuta a sentire Alessandra non ti ho
visto.»
«Si
vede che non ero di turno» replicò semplicemente
l'uomo. «A volte faccio degli
orari un po' strani.»
Caterina
si limitò a chinare il capo in un cenno d'assenso e poi lo
fissò in silenzio,
chiedendosi quale fosse il motivo che l'aveva spinto a raggiungerla al
tavolo e
temendo in cuor suo di conoscere già la risposta. Non
essere paranoica! Si
esortò, senza però riuscire a evitare che i palmi
delle mani le si imperlassero
di un sudore nervoso.
Dopo
una manciata di secondi che alla giovane parvero infiniti, Hasim
parlò di
nuovo. «Hai un minuto?» le chiese, puntandole
addosso quei suoi occhi così
seri. «Avrei bisogno di parlarti un attimo in
privato.»
Caterina
sentì il sangue defluirle dal volto, mentre il mondo si
faceva per un attimo
distante e ovattato. Perché voleva parlarle in privato?
Francesca,
che aveva seguito tutto lo scambio con estrema attenzione, si
rabbuiò. «Ma vi
conoscete?» chiese con voce brusca, prima di puntare i suoi
occhi verdi e
affilati in quelli dell'uomo. «Perché vuoi
portarla via? Non vedi che sta
seguendo il concerto? Se devi dirle qualcosa, puoi dirglielo
qui!»
Pur
intuendo che la ragazza voleva semplicemente metterla al riparo da
eventuali brutte
esperienze, il tono con cui Francesca si era rivolta a Hasim fece
arrossire di
vergogna Caterina. Per nulla turbato dalle parole della giovane,
però, l'uomo
si limitò ad annuire. «Sì, ci
conosciamo» la informò, prima di rivolgere la
propria attenzione alla ragazza dai capelli rossi.
«Caterina?»
Lei
esitò. Avrebbe potuto rifiutarsi di seguirlo. Avrebbe potuto
dire che Francesca
aveva ragione, che lei era venuta lì per sostenere
Alessandra e che, se proprio
avesse voluto parlarle, avrebbe potuto farlo dopo, quando l'esibizione
della
sua amica sarebbe finita. O magari addirittura un altro giorno, tanto
che
fretta c'era? C'era però qualcosa, nella
profondità del suo animo, in quel
punto recondito che spesso arrivava a sfiorare, ma mai ad afferrare del
tutto,
che le ordinava di alzarsi e di seguire il buttafuori ovunque lui
avesse voluto
portarla. Era una voce che le chiedeva di fidarsi, di non avere paura,
di
ascoltarlo. Ma a chi appartenevano quelle parole?
Combattuta,
Caterina tamburellò brevemente con le dita sul tavolo, poi
si rassegnò ad
alzarsi. «Va bene» concesse in un sussurro.
«Però facciamo in fretta: non
voglio che Alessandra si accorga che sono sparita.»
Con
un cenno d'assenso e senza dire una parola, Hasim le fece segno di
seguirlo
attraverso il locale e la scortò sino alla porta d'ingresso.
Anziché uscire nel
parcheggio, però, fece scattare la serratura di una
porticina bianca e quasi
invisibile che si apriva nella parete e conduceva a una sorta di
minuscolo
spogliatoio. Non c'era praticamente nulla, lì, fatta
eccezione per una singola
sedia e un paio di carrelli porta abiti dai quali pendevano poche paia
di
pantaloni e qualche maglietta, forse i vestiti che i membri dello staff
indossavano prima di infilarsi nelle loro divise. Era un locale
piccolissimo e
Hasim sembrava riempirlo tutto con la sua presenza.
«Cosa
volevi dirmi?» chiese in fretta Caterina, resistendo a stento
alla tentazione
di portarsi una mano alla gola e allentare la semplice stringa di
caucciù che
la cingeva. Anche il modesto ciondolo che portava appeso a quella
corda, una
piccola chiave nera che aveva sin dall'infanzia, le pareva adesso
troppo
pesante: era come se Hasim avesse assorbito tutto l'ossigeno
disponibile e ora
lei si sentiva debole, boccheggiante.
L'uomo
si appoggiò alla parete più vicina e per un
istante sembrò quasi a disagio. «So
che probabilmente dovrei farmi i fatti miei, ma Alessandra mi ha detto
che stai
vedendo un ragazzo.»
Sebbene
avesse già intuito che l'uomo sarebbe andato a parare
proprio lì, quella domanda
così personale la lasciò
comunque senza
parole. Senza curarsi di specificare per l'ennesima volta nel giro di
poche ore
che lei non si stava vedendo proprio con nessuno, Caterina si
sforzò di
assumere un'espressione fredda e adulta. «E...?»
Hasim
increspò la fronte, ma gli angoli della sua bocca si
piegarono
impercettibilmente verso l'alto, come se trovasse divertente il
cipiglio della
ragazza. Poi si fece di nuovo serio. «Mi ha detto che
è lo stesso tipo del
parcheggio. Da quanto tempo lo stai vedendo?»
Caterina
fu sul punto di giustificarsi, ma di punto in bianco qualcosa
scattò nella sua
testa. La ragazza raddrizzò la schiena e si rese conto di
non essere poi tanto
più bassa dell'uomo che le stava davanti e quella
consapevolezza le diede una
nuova forza. «Da un po'» ammise con voce sicura.
«Ma a te cosa importa, scusa?
In effetti, non sono davvero affari tuoi.»
Hasim
incrociò le braccia e a Caterina parve ancora più
grosso del solito. «Non sono
affari miei, ma tu mi sembri una brava ragazza. Sono invece piuttosto
certo che
quello lì non sia affatto una brava
persona, quindi non mi piace saperti
in giro con lui. Se finissi nei guai, mi sentirei in colpa.»
Quella
risposta la mise in allarme, ma la giovane si rifiutò di
lasciarsi intimidire.
«Come fai a dire che non è una brava
persona?» lo interrogò. «Lo
conosci?»
Quando l'uomo rimase in silenzio per un istante di troppo, la ragazza
ripartì
all'attacco. «No, perché anche l'ultima volta che
ci siamo incontrati ho avuto
l'impressione che tu mi stessi mettendo in guardia nei suoi confronti:
questa
cosa è ridicola. O sai qualcosa di concreto sul suo conto,
oppure ti devo
chiedere di lasciarmi stare. Michael è soltanto un amico,
una persona gentile
che mi ha aiutato in una situazione difficile: non mi sono dimenticata
del modo
in cui si è comportato quella sera nel parcheggio, ma non mi sento di
condannarlo solo per questo.
Può capitare a tutti di sbagliare.»
«E
cosa avrebbe fatto, per aiutarti?» indagò Hasim.
Lei
si strinse nelle spalle. «Ha
scoperto per caso che ero
nei guai con un esame di marketing e si è offerto di
aiutarmi: mi ha prestato i
suoi appunti e grazie a lui sono riuscita a passarlo.»
L'uomo
si lasciò sfuggire un fischio stizzito. «Che
figlio di puttana!» ringhiò.
«Come,
scusa?» sibilò Caterina, scandalizzata.
Hasim
scosse con foga il capo, come se stesse cercando le parole migliori per
spiegarsi. «Ascoltami, Caterina: quell'uomo è
furbo. Non è quello che credi tu.
Devi smetterla di frequentarlo. Giragli al largo e, se lui continua a
cercarti,
vieni subito da me.»
La
giovane lo guardò con gli occhi sgranati, senza riuscire a
credere alle proprie
orecchie. «Ma tu sei pazzo» mormorò. Poi
riprese, più forte: «Se credi di
riuscire a farmi paura con queste mezze frasi, ti sbagli di grosso. Se
sai qualcosa
su di lui, se sai che è un criminale o un pazzo drogato,
dimmelo e basta. Se
invece non puoi fare altro che illazioni sul suo conto, allora non ho
altro da
dirti. Sappi, però, che tra voi due
quello più pericoloso in questo momento mi
sembri tu.»
Hasim
parve accusare il colpo e si premette per un istante una mano sugli
occhi, come
per calmarsi e riordinare le idee. «Va bene»,
sospirò poi, «va bene. Mi sono
lasciato prendere la mano, scusami. Non avrei dovuto.»
Caterina si strinse le
braccia attorno al busto e aspettò che continuasse.
«Purtroppo, non posso
ancora accusare di nulla il tuo amico. Però io li conosco,
quelli come lui: ne
ho visti tanti, di... sbandati del suo genere. Portano solo guai,
Caterina.
Tanti, tanti guai. È per questo che ti chiedo di stare
attenta a quello che
fai.»
La
ragazza soppesò per qualche secondo le sue parole, poi
sciolse il nodo delle
braccia e assunse una posa più rilassata.
«D'accordo» disse, dopo qualche altro
istante di silenzio. «Starò in guardia e al primo
segnale che mi faccia pensare
che ci sia qualcosa che non va lo allontanerò da me. Ma se
dovessi scoprire
che... che è un maniaco, che so io, o che ha in casa una
scorta di cocaina,
allora avvertirò la polizia. Non te. Spero che tu
capisca.»
Hasim
la guardò con un'espressione strana, quasi malinconica, ma
poi annuì. «Capisco»
mormorò.
Seguendo
la traiettoria dei suoi occhi neri, Caterina ebbe l'impressione che
questi
fossero puntanti sui suoi seni, ma poi si rese conto che l'uomo stava
osservando il pendente a forma di chiave che portava appeso al collo.
Per
qualche ragione, quella consapevolezza la fece sussultare e la ragazza
si
affrettò a far scivolare il ciondolo all'interno della
scollatura del vestito
che indossava e che la copriva fino alle clavicole. Hasim
incontrò subito i
suoi occhi, ma lei si affrettò a dargli le spalle.
«Se non c'è altro, io me ne
vado» annunciò.
Senza
lasciargli il tempo di replicare, la ragazza raggiunse la porta e la
varcò
quasi correndo, dirigendosi a grandi passi verso il tavolo a cui aveva
lasciato
Sara e Francesca. Quanto tempo è passato? Si
chiese, scoprendosi
incapace di calcolare quanto a lungo l'avesse tenuta impegnata la
conversazione
surreale che aveva appena avuto con Hasim.
Gli
occhi allarmati di Francesca le fecero capire che dovevano essere
passati ben
più di una manciata di minuti. «Cate, è
tutto a posto?» le chiese la giovane,
con tono allarmato.
Caterina
annuì e tornò a sedersi accanto a Sara,
gettandosi dietro alle spalle i lunghi
capelli ramati e respirando profondamente nel tentativo di scacciare
quella
sensazione pesante e appiccicosa che il confronto con il buttafuori le
aveva
lasciato addosso. «È tutto a posto»
confermò, senza riuscire a nascondere la
sfumatura tagliente che le deformò la voce.
«Quando finisce di cantare, però,
devo dire due paroline ad Alessandra: la deve smettere di andarsene in
giro a
raccontare i fatti miei al primo che passa!»
Le
altre due ragazze le lanciarono un'occhiata confusa e lei si
sentì in dovere di
spiegare. «Ha raccontato a quel tipo che è venuto
a cercarmi che sto
frequentando Michael e, a quanto pare, a Hasim questa cosa non piace.
Deve aver
avuto da ridire con lui, in passato, o qualcosa del genere: sta di
fatto che mi
sono beccata una mezza scenata.»
Francesca
parve sconvolta. «Ma stai scherzando?»
sbottò. «Ma non esiste proprio! Vai a
dirlo al... vai a dirlo al padrone di questo posto! Quello
lì non deve
permettersi di fare queste cose!»
Caterina
sventolò una mano come per allontanare un pensiero
sgradevole. «Ma no, non ce n'è
bisogno» esalò, sentendosi già stanca.
«Hasim non è cattivo e penso che sia
seriamente preoccupato per me: il fatto è che non ne ha
motivo, perché Michael
è sempre stato gentile e, comunque, io so badare a me
stessa. Però vorrei che
l'Ale si desse una regolata e badasse un po' di più ai fatti
suoi.»
Francesca
e Sara borbottarono il proprio assenso, ma Caterina fu distratta dal
ronzio del
cellulare. Controllando le notifiche, non riuscì a reprimere
un sorriso
sarcastico. Ah! Lupus in fabula, pensò,
stupendosi della coincidenza.
Michael le aveva appena scritto e la ragazza represse un brivido al
pensiero di
quello che sarebbe potuto accadere se, invece di darle buca, il ragazzo
avesse
accettato di accompagnarla al Dream. Ci
mancava solo di assistere a
una scazzottata, pensò, senza osare nemmeno
immaginare come sarebbe emerso
Michael da uno scontro diretto con il ben più imponente
Hasim.
Meno
male che non è venuto, a 'sto punto,
ragionò la giovane. E poi, se mi ha
scritto a quest'ora, significa che non era in compagnia di una tipa!
Con
una punta di trepidazione, Caterina scorse rapidamente il corposo
messaggio che
il ragazzo le aveva inviato. “Sei ancora al Dream?
Scusa se non sono venuto,
oggi, ma avevo la testa altrove. Visto però che si
è tutto risolto per il
meglio (poi ti spiego), che ne dici di una gita fuori porta, domani?
Con un
paio di amici abbiamo
organizzato una
grigliata sul lago in zona Lecco... ti va di venire? Non devi prendere
la
macchina, guido io.”
La
ragazza sfiorò più volte lo schermo, indecisa su
cosa rispondere. Fino a poche
ore prima non avrebbe avuto dubbi, ma adesso? Doveva prendere sul serio
gli
avvertimenti di Hasim? Il volto sorridente di Michael la fissava da un
angolino
dello schermo e la giovane provò un impeto di ribellione.
“Sicuro,
ci vengo volentieri! Che cosa devo portare?”
Senza
darsi la possibilità di ripensarci, Caterina
inviò il messaggio e provò
immediatamente un gran senso di sollievo e di ritrovata
normalità.
E
'fanculo anche a Hasim, pensò, rivolgendo un
invisibile dito medio all'uomo
che, ne era certa, la stava ancora tenendo d'occhio da lontano.