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Autore: Red Owl    08/08/2019    0 recensioni
Agnese e Caterina non si incontreranno mai, perché le dividono quasi cent'anni di storia. Eppure hanno qualcosa che le accomuna: qualcosa celato nei boschi che circondano il paesino di San Giorgio della Valle, dove entrambe sono cresciute. C'è un segreto antico, nascosto tra i castagni e le vecchie mura di un paesino della montagna lombarda: Agnese ha scelto di dimenticarlo, Caterina, forse, non l'ha mai conosciuto. Verrà però un giorno in cui entrambe dovranno fare i conti con il passato, quando un nemico subdolo e ingannatore verrà a bussare alla loro porta, alla ricerca di qualcosa che soltanto loro possono dargli.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Oggi

«Oddio, un'altra canzone di 'sto tizio?»

Erano ormai tre settimane che Michael e Caterina facevano insieme la strada da Bergamo alle rispettive abitazioni e ancora Caterina non si era abituata alla musica che il ragazzo sparava a tutto volume all'interno dell'abitacolo della sua Golf.

«Miyavi non si tocca!» la rimbeccò lui. « È un classico!»

«Un classico? È imbarazzante, dai!» si lamentò la ragazza, guardando con astio l'autoradio.

Michael le scoccò un'occhiata di sufficienza con la coda dell'occhio. «Senza offesa, eh, ma non ho nessuna intenzione di farmi dare lezioni di musica da una che ascolta i... come diavolo si chiamavano quei mentecatti che mi hai fatto sentire l'altro giorno?»

«Suppongo tu ti stia riferendo ai Nanowar» ribatté lei con sussiego. «Ho solo un paio di canzoni salvate, e comunque sono un ottimo gruppo satirico. E non ascolto mica solo loro: i miei gusti sono estremamente variegati. Il problema è che le mie orecchie si ribellano al suono di certe cinesate

«Al di là del fatto che Miyavi è giapponese e non cinese, francamente i tuoi gusti musicali non mi sembrano poi così variegati: mi risulta che spazi dall'industrial metal al folk metal, con certe coraggiose puntate fino all'epic metal» la provocò il giovane. «Un po' monotono, non trovi?»

«E il raggaeton? Quello dove lo lasciamo?»

«Ah, giusto» sospirò Michael. «Non dimentichiamoci del raggaeton. Devi essere un po' bipolare, bella mia.»

Davanti a quell'affermazione, la ragazza si limitò a scuotere la testa e a sorridere divertita, guardando fuori dal finestrino. Le scuole erano ormai finite e buona parte delle famiglie con bambini piccoli avevano lasciato la città, fuggendo verso il mare lontano per sfruttare appieno le lunghe giornate di giugno. Chi, come Caterina, si apprestava a rinunciare alla vacanza al mare per il secondo anno consecutivo, poteva se non altro consolarsi nel trovare le strade molto meno trafficate del solito.

Dieci minuti più tardi, Michael imboccò la via secondaria che conduceva al gruppo di villette a schiera in cui la giovane viveva con i propri genitori. Fermandosi di fronte al vecchio cancello un po' scrostato, il ragazzo spense il motore e si voltò verso Caterina. «Allora ci sentiamo domenica sera?» le chiese. «Così mi dici che giorni pensi di essere a Bergamo e vediamo se riusciamo a organizzare di fare la strada insieme almeno qualche volta.»

La ragazza annuì. «Va bene, però ti pago la benzina: non mi va di andare sempre a scrocco.» Sapeva che, in attesa di terminare il master che stava seguendo, Michael stava cercando di trovare un impiego o uno stage retribuito. Sosteneva tutti i colloqui a cui riusciva ad avere accesso, ma fino a quel momento la fortuna non era stata dalla sua parte e il ragazzo non navigava certo nell'oro.

Lui sventolò una mano in aria. «Va be', poi vediamo. Tanto io a Bergamo ci devo andare comunque.»

Non era la prima volta che affrontavano quell'argomento e, considerato che era quasi ora di cena, Caterina non insistette. «Va bene, va bene» tagliò corto, spalancando lo sportello e ruotando sul sedile per posare i piedi a terra. «Ti faccio sapere qualcosa entro domenica sera, ok?» Davanti al cenno di assenso del giovane, la ragazza sbloccò la cintura di sicurezza e fece per scendere dalla Golf, quando un ripensamento improvviso la fece voltare nuovamente verso Michael. «Senti, ma hai qualcosa da fare, questa sera?» gli chiese d'impulso. «Se ti va, puoi venire con me al Dream: c'è di nuovo una mia amica che ci suona con il suo gruppo e io non ho molta voglia di andarci da sola...»

Michael la guardò per qualche secondo in silenzio, poi scosse la testa. «Mi spiace, ma questa sera ho già degli impegni» disse, telegrafico.

Caterina si costrinse a sorridere, mascherando così la delusione. «Oh... come non detto, allora: restiamo per settimana prossima!» La sua voce suonava forse un po' più acuta del solito, ma la giovane giudicò di essere riuscita a mantenere un tono ragionevolmente normale.

L'uomo parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma poi cambiò idea e distolse rapidamente lo sguardo, spostando gli occhi sul pannello elettronico posto dietro il volante, dove l'orologio digitale segnava le 18:45. «Perfetto» si limitò a dire.

La ragazza ebbe l'impressione che Michael avesse tutto d'un tratto fretta di andarsene. L'improvvisa freddezza del giovane e il suo atteggiamento quasi sfuggente le lasciarono in bocca un retrogusto amaro,  ma si impose di far finta di nulla. Con un ultimo cenno di saluto, girò sui tacchi e chiuse la portiera con un tonfo secco, avvertendo subito dopo il rombo del motore che veniva rimesso in moto e il lieve stridio degli pneumatici sull'asfalto.

Mentre frugava all'interno della tracolla alla ricerca delle chiavi di casa, Caterina si mordicchiò pensosamente le labbra. Be', non è stato carino, si disse, un po' delusa dal modo in cui Michael aveva reagito alla sua proposta. Ha tutti i diritti di avere già dei programmi per la serata, ci mancherebbe, però avrebbe potuto essere un po' meno sintetico, nel rifiutare.

Per quanto si sforzasse di non dare troppo peso alla cosa, aveva la netta sensazione che Michael avesse volutamente evitato di fornirle ulteriori spiegazioni circa quello che aveva intenzione di fare, quella sera. Mi ha semplicemente detto che aveva “altri impegni”, senza specificare quali fossero... praticamente è come se mi avesse detto di farmi i fatti miei e di non essere troppo appiccicosa!

Superato con qualche difficoltà il vecchio cancello dalla serratura difettosa, la ragazza raggiunse la porta d'ingresso e aprì anche quella, venendo immediatamente investita dal profumo invitante delle patate al forno che sua madre aveva deciso di cucinare per cena. «Ciao!» urlò, annunciando il proprio ritorno.

Dalla cucina, situata al di là della sala da pranzo che si apriva alla sinistra della ragazza, giunse la voce della signora Elena. «Venti minuti ed è pronto»  la informò, a mo' di saluto. «Stasera c'è la riunione di condominio e questa volta ci spedisco il papà: si mangia presto!»

Con un pensiero di compassione rivolto al povero genitore, Caterina calciò le scarpe da ginnastica in direzione della scarpiera e, a piedi nudi, risalì la scala di granito che conduceva al piano superiore e, quindi, alla sua camera da letto. Liberandosi di jeans e maglietta per indossare un vestitino scolorito e un po' sformato, ma comunque leggero e meravigliosamente comodo, la ragazza si avvicinò alla finestra, osservando distrattamente il piccolo giardino che sua madre coltivava con tanta cura.

Va be', si consolò, tornando a pensare alla fuga di Michael, affari suoi: è lui quello che ha fatto la figura del maleducato, non certo io. E, comunque, magari non è sceso nei particolari perché deve fare qualcosa di imbarazzante e non gli andava di parlarmene...

Subito dopo, però, un'ombra scura attraversò la sua mente. O magari deve vedersi con qualcuna e ha pensato bene di non dirmelo. Il semplice pensiero fu sufficiente per farle contrarre sgradevolmente lo stomaco. Inspirando a fondo, Caterina cercò di allentare la morsa amara della gelosia. Ma tanto, a me, cosa me ne frega? Può uscire con chi gli pare, non mi deve certo delle spiegazioni.

Razionalmente sapeva che era così: tra lei e Michael non c'era proprio nulla, se non, forse, un'amicizia ancora un po' traballante. Nessuno dei due aveva espresso interesse nei confronti dell'altro, se si escludevano un paio di episodi in cui Michael aveva scherzosamente flirtato con lei. E lei, dal canto suo, lo trovava indubbiamente carino e anche divertente, ma si era ripromessa di non lasciarsi sfuggire le cose di mano e di mantenere le giuste distanze tra se stessa e il giovane.

Eppure... eppure, se solo si azzardava a pensare a una donna sconosciuta che rideva alle battute del ragazzo, che si avvicinava a lui, gli toccava i capelli scuri e lucenti e si lasciava stringere dalle sue braccia forti, sentiva un'ondata di nausea sollevarsi dallo stomaco e mozzarle il fiato, serrandole la gola in una morsa di rabbia corrosiva.

«Bah!» esclamò, disgustata dalle proprie reazioni. Al diavolo Michael: non aveva certo intenzione di lasciarsi rovinare l'estate – o anche solo la serata – da lui. In fin dei conti, l'incontro con il giovane era stato provvidenziale, dal momento che due giorni prima aveva finalmente superato l'esame di marketing: con un diciannove che trasudava compassione, ma l'aveva comunque passato e doveva ammettere che, senza l'aiuto del ragazzo, non ce l'avrebbe fatta. È brutto da dire, ma adesso non mi serve più: se inizia ad avere atteggiamenti strani, ognuno va per la sua strada e tanti saluti.

Caterina annuì decisa, soddisfatta della propria decisione, e recuperò un elastico dal comodino, legandosi i capelli ramati in una coda alta. E non sentì per niente la fitta acuta che le trapassò il petto da parte a parte.

***

Quando quella sera arrivò al Dream, Alessandra era già seduta a un tavolino un po' in disparte e la stava aspettando in compagnia di Francesca, una ragazza mora che Caterina conosceva dai tempi del liceo, e una biondina amica di Alessandra di cui non riusciva a ricordare il nome.

Quando la vide avvicinarsi a loro, Francesca si alzò in piedi e le si fece incontro per accoglierla. «Cate!» esclamò, gettandole le braccia al collo e stordendola con il suo intenso profumo agrumato. «Sarà almeno un anno che non ci vediamo! Come va?»

«Non male» borbottò Caterina. «Ho finalmente passato l'ultimo esame che mi mancava. Adesso devo solo scrivere la tesi e poi ho finito, se Dio vuole.»

Francesca ridacchiò, guardandola con i suoi splendidi occhi verdi pesantemente truccati. A vederla, non si sarebbe mai detto che fosse infermiera in un reparto di pediatria, ma, a dispetto del look appariscente che amava sfoggiare, era una ragazza estremamente dolce. «Cavolo, è un vero peccato che tu non sia venuta a cena: avremmo potuto chiacchierare un po' prima che iniziasse il concerto... senza contare che qui fanno dei panini spettacolari!»

Caterina si strinse nelle spalle. «Lo so. Però pranzo con un panino praticamente tutti i giorni: per cena preferisco mangiare qualcosa di un po' più consistente.» Così dicendo, la giovane si avvicinò al tavolo alla ricerca di un posto in cui sedersi e subito la ragazza bionda si addossò al muro, liberando un po' di spazio sulla panchina di plastica bianca ricoperta da un sottile cuscino viola.

«Voi due vi siete già conosciute, vero?» chiese Alessandra, facendo danzare lo sguardo tra le sue due amiche.

Caterina annuì un po' incerta. «Sì, ci siamo viste un paio di volte... Silvia, giusto?»

«Sara» la corresse la ragazza bionda, sistemandosi gli occhiali che le erano scivolati lungo il naso.

«Ah. Giusto. Sara.» Caterina le rivolse uno sguardo dispiaciuto. Non aveva una buona memoria per i nomi, soprattutto se appartenevano a persone verso le quali non nutriva un grande interesse.

Alessandra si schiarì la voce, disperdendo rapidamente la vaga sensazione di imbarazzo che era calata attorno al tavolo. «Suppongo che tu non sia riuscita a convincere Halima a venire con noi, eh?» chiese, guardandosi attorno.

Caterina le rivolse un sorriso sarcastico. «Ovviamente no» confermò. «Non ho nemmeno insistito più di tanto, a dire il vero: sai che a lei queste cose non piacciono.»

«Già» sbuffò Alessandra, con espressione cupa. «Non si fa mai viva. L'ultima volta che l'ho vista era ancora inverno.»

Caterina le lanciò uno sguardo scettico. «Be', non si può dire che sia proprio tutta colpa di Halima: se tu ti degnassi di mettere piede in università, una volta ogni tanto, ti potrebbe perfino capitare di incrociarla.»

Alessandra sbuffò alzando gli occhi al cielo e Sara nascose un sorriso dietro le mani. «Ahi, ahi, tasto dolente» ridacchiò.

«Fai proprio schifo» dichiarò serafica Francesca, alludendo al fatto ben noto che Alessandra si era iscritta alla laurea specialistica, ma non aveva sostenuto nemmeno la metà degli esami del primo anno, preferendo dedicarsi ad attività ben diverse dallo studio.

«Oh, e che palle!» sbottò la ragazza riccia, incrociando le braccia davanti al petto generoso. «In questo periodo ho avuto un sacco da fare e mi sono accorta che una laurea in turismo non è fondamentale per quello che voglio fare da grande, ma non stressatemi: finirò questa pallosissima università. Con i miei tempi, ma la finirò.»

Caterina la soppesò con lo sguardo e non credette a una sola parola pronunciata dall'amica, ma evitò di esternare le proprie perplessità. «Ok, ok» sospirò, cambiando argomento. «Piuttosto, Matteo non c'è?» chiese, non vedendo da nessuna parte il fidanzato di Alessandra.

Quella scosse il capo con aria rammaricata. «No: è andato un paio di giorni al mare con i suoi, nella loro casa in Liguria. Mi aveva chiesto di andare con lui, ma ho gentilmente rifiutato: non siamo ancora abbastanza intimi da sentirmi in dovere di trascorrere una vacanza con i suoceri

Il tono con cui aveva pronunciato quell'ultima parola era talmente orripilato che le altre tre ragazze scoppiarono a ridere, poi Alessandra puntò gli occhi scuri in quelli di Caterina. «A proposito», scandì lentamente, «mi aspettavo che portassi il tuo bello. Come mai non c'è?»

Le guance pallide della ragazza si fecero subito scarlatte. «E chi sarebbe “il mio bello”?» chiese Caterina, sgranando gli occhi nell'espressione più innocente che le riuscisse.

Sara incrociò educatamente le mani in grembo, mentre Francesca si sporgeva verso di lei con gli occhi accesi dall'interesse. «Hai un nuovo ragazzo?»

Lanciando ad Alessandra uno sguardo carico d'accusa, Caterina scosse con forza il capo. «Proprio per niente!» negò, prima di rivolgersi alla ragazza riccia: «Se ti stai riferendo a Michael, credo di averti detto almeno un miliardo di volte che siamo solo amici, e forse nemmeno quello. Non è il mio ragazzo, non siamo mai usciti insieme nel senso che intendi tu, né mai lo faremo!»

Alessandra sgranò gli occhioni da cerbiatta, esibendo un'aria offesa che di genuino aveva ben poco. «Oh, come ci scaldiamo facilmente!» la punzecchiò. «Sicura che non ci sia sotto niente?»

«Sicurissima» confermò Caterina. Qualcosa nella sua voce doveva però avere tradito una punta di incertezza, perché le altre ragazze si scambiarono uno sguardo in tralice.

«Almeno è carino?» si informò educatamente Francesca.

«Molto» risposa pronta Alessandra, impedendo a Caterina di parlare per prima.

La ragazza mora si rivolse direttamente alla giovane riccia. «Tu l'hai visto? Ci hai parlato? Di solito la Cate se li tiene ben nascosti, i suoi uomini.»

«Ho visto la sua foto su WhatsApp» sorrise Alessandra.

Rassegnata, Caterina indovinò la richiesta di Francesca ancor prima che la ragazza la esprimesse ad alta voce. «Fa un po' vedere!» le ordinò, allungando una mano imperiosa in direzione della borsa della giovane dai capelli rossi.

«Giù le zampe!» la rimbeccò, pur impugnando il proprio smartphone e sbloccandone lo schermo. «Lo tengo io, che ho ricordi poco piacevoli dell'ultima volta che ti ho lasciato tenere in mano un mio cellulare.»

Francesca ridacchiò, ricordando l'episodio in cui aveva lasciato partire una chiamata in direzione del ragazzo per cui Caterina aveva una cotta pazzesca, poi si sporse per vedere meglio la fotografia che la ragazza le stava mostrando. «Porca vacca, ma è un figo della Madonna!» esclamò con aria scioccata. «Sara, guarda!» aggiunse poi, afferrando a due mani il polso di Caterina e obbligandola a orientare lo schermo del telefono in direzione della ragazza bionda.

«Sì, è decisamente carino» osservò quella, assai più pacata di Francesca.

Con uno strattone deciso, Caterina riprese possesso del proprio arto e osservò a sua volta l'immagine che riempiva il display. Alla vista del sorriso rilassato di Michael, qualcosa di morbido e caldo le si smosse all'altezza dello stomaco. «Sì, va be'» borbottò vaga, senza però riuscire a sopprimere il sorriso trasognato che per una frazione di secondo le piegò le labbra.

«Un figo della Madonna che però non ci ha degnate della sua divina presenza» puntualizzò Alessandra, senza lasciarsi distrarre. «Come mai non è venuto? Gliel'hai chiesto, almeno?»

Caterina sbuffò e lasciò ricadere il cellulare in borsa. «Sì, certo che gliel'ho chiesto. Però aveva da fare e non è potuto venire.»

La ragazza riccia inarcò un sopracciglio curato. «E cosa doveva fare di tanto importante? Se la ragazza con cui ti vedi ti chiede un appuntamento, tu scatti sull'attenti, non le dai buca.»

Caterina le puntò addosso uno sguardo esasperato. «Ti ho già detto che non non ci “vediamo”, facciamo solo la strada insieme per ottimizzare i tempi. E non volevo un appuntamento, gli ho semplicemente chiesto se questa sera sarebbe venuto al Dream, visto che sembra venirci spesso. E, per finire, non so cosa dovesse fare: non gliel'ho chiesto e lui non me l'ha detto.»

«Ahi, ahi» commentò di nuovo Sara con aria lugubre e Caterina la trovò immediatamente meno simpatica di quanto l'avesse trovata un istante prima.

«Speriamo che non avesse un appuntamento galante!» rincarò la dose Francesca, prima di rivolgerle un sorriso furbo e tuffarsi in ciò che restava del suo margarita.

Caterina fece scorrere lo sguardo sulle sue amiche e fu seriamente tentata di piantarle in asso e tornarsene in macchina.

***

Un'ora e mezza più tardi, Alessandra era nel pieno della sua esibizione. Davanti al palchetto su cui suonavano lei e il suo gruppo si era radunata una discreta folla e Caterina e le sue amiche dovevano starsene ben dritte sui loro sedili, se volevano sperare di vedere qualcosa.

«Non so, vogliamo provare a spostarci un po' più avanti?» chiese Francesca, scrutando con aria critica il poco spazio disponibile davanti a loro.

Caterina scrollò il capo. «Non credo che cambierebbe qualcosa. Non so come mai ci sia così tanta gente, oggi: è sempre un posto affollato, ma mai a questi livelli.»

«Magari piacciono» azzardò Sara. «Se suonano spesso qui, magari si sono guadagnati qualche fan.»

Caterina stava per replicare che sperava proprio che fosse così, quando un'ombra scura offuscò la luce del faretto più vicino. Alzando lo sguardo, la ragazza si trovò a fissare gli occhi neri di Hasim. Porca vacca! Pensò con il cuore che batteva a mille e uno strano tremore nelle dita. Non l'aveva sentito avvicinarsi e c'era qualcosa nella sua espressione che le causava uno spiacevole dolorino all'altezza dello stomaco.

«Oh... ciao» lo salutò, chiedendosi se la sua voce fosse davvero così incerta come suonava alla sue orecchie.

L'uomo le rivolse un sorriso gentile che fece scomparire qualsiasi cosa Caterina avesse letto nei suoi lineamenti fino a qualche istante prima. «Ti ho spaventata?» le chiese.

La giovane arrossì, rendendosi conto che il buttafuori aveva interpretato correttamente il suo turbamento. «No, no» si affrettò però a rassicurarlo. «È solo che non ti ho sentito arrivare e non mi aspettavo nemmeno di trovarti qui: le ultime volte che sono venuta a sentire Alessandra non ti ho visto.»

«Si vede che non ero di turno» replicò semplicemente l'uomo. «A volte faccio degli orari un po' strani.»

Caterina si limitò a chinare il capo in un cenno d'assenso e poi lo fissò in silenzio, chiedendosi quale fosse il motivo che l'aveva spinto a raggiungerla al tavolo e temendo in cuor suo di conoscere già la risposta. Non essere paranoica! Si esortò, senza però riuscire a evitare che i palmi delle mani le si imperlassero di un sudore nervoso.

Dopo una manciata di secondi che alla giovane parvero infiniti, Hasim parlò di nuovo. «Hai un minuto?» le chiese, puntandole addosso quei suoi occhi così seri. «Avrei bisogno di parlarti un attimo in privato.»

Caterina sentì il sangue defluirle dal volto, mentre il mondo si faceva per un attimo distante e ovattato. Perché voleva parlarle in privato?

Francesca, che aveva seguito tutto lo scambio con estrema attenzione, si rabbuiò. «Ma vi conoscete?» chiese con voce brusca, prima di puntare i suoi occhi verdi e affilati in quelli dell'uomo. «Perché vuoi portarla via? Non vedi che sta seguendo il concerto? Se devi dirle qualcosa, puoi dirglielo qui!»

Pur intuendo che la ragazza voleva semplicemente metterla al riparo da eventuali brutte esperienze, il tono con cui Francesca si era rivolta a Hasim fece arrossire di vergogna Caterina. Per nulla turbato dalle parole della giovane, però, l'uomo si limitò ad annuire. «Sì, ci conosciamo» la informò, prima di rivolgere la propria attenzione alla ragazza dai capelli rossi. «Caterina?»

Lei esitò. Avrebbe potuto rifiutarsi di seguirlo. Avrebbe potuto dire che Francesca aveva ragione, che lei era venuta lì per sostenere Alessandra e che, se proprio avesse voluto parlarle, avrebbe potuto farlo dopo, quando l'esibizione della sua amica sarebbe finita. O magari addirittura un altro giorno, tanto che fretta c'era? C'era però qualcosa, nella profondità del suo animo, in quel punto recondito che spesso arrivava a sfiorare, ma mai ad afferrare del tutto, che le ordinava di alzarsi e di seguire il buttafuori ovunque lui avesse voluto portarla. Era una voce che le chiedeva di fidarsi, di non avere paura, di ascoltarlo. Ma a chi appartenevano quelle parole?

Combattuta, Caterina tamburellò brevemente con le dita sul tavolo, poi si rassegnò ad alzarsi. «Va bene» concesse in un sussurro. «Però facciamo in fretta: non voglio che Alessandra si accorga che sono sparita.» 

Con un cenno d'assenso e senza dire una parola, Hasim le fece segno di seguirlo attraverso il locale e la scortò sino alla porta d'ingresso. Anziché uscire nel parcheggio, però, fece scattare la serratura di una porticina bianca e quasi invisibile che si apriva nella parete e conduceva a una sorta di minuscolo spogliatoio. Non c'era praticamente nulla, lì, fatta eccezione per una singola sedia e un paio di carrelli porta abiti dai quali pendevano poche paia di pantaloni e qualche maglietta, forse i vestiti che i membri dello staff indossavano prima di infilarsi nelle loro divise. Era un locale piccolissimo e Hasim sembrava riempirlo tutto con la sua presenza.

«Cosa volevi dirmi?» chiese in fretta Caterina, resistendo a stento alla tentazione di portarsi una mano alla gola e allentare la semplice stringa di caucciù che la cingeva. Anche il modesto ciondolo che portava appeso a quella corda, una piccola chiave nera che aveva sin dall'infanzia, le pareva adesso troppo pesante: era come se Hasim avesse assorbito tutto l'ossigeno disponibile e ora lei si sentiva debole, boccheggiante.

L'uomo si appoggiò alla parete più vicina e per un istante sembrò quasi a disagio. «So che probabilmente dovrei farmi i fatti miei, ma Alessandra mi ha detto che stai vedendo un ragazzo.»

Sebbene avesse già intuito che l'uomo sarebbe andato a parare proprio lì, quella domanda così personale la  lasciò comunque senza parole. Senza curarsi di specificare per l'ennesima volta nel giro di poche ore che lei non si stava vedendo proprio con nessuno, Caterina si sforzò di assumere un'espressione fredda e adulta. «E...?»

Hasim increspò la fronte, ma gli angoli della sua bocca si piegarono impercettibilmente verso l'alto, come se trovasse divertente il cipiglio della ragazza. Poi si fece di nuovo serio. «Mi ha detto che è lo stesso tipo del parcheggio. Da quanto tempo lo stai vedendo?»

Caterina fu sul punto di giustificarsi, ma di punto in bianco qualcosa scattò nella sua testa. La ragazza raddrizzò la schiena e si rese conto di non essere poi tanto più bassa dell'uomo che le stava davanti e quella consapevolezza le diede una nuova forza. «Da un po'» ammise con voce sicura. «Ma a te cosa importa, scusa? In effetti, non sono davvero affari tuoi.»

Hasim incrociò le braccia e a Caterina parve ancora più grosso del solito. «Non sono affari miei, ma tu mi sembri una brava ragazza. Sono invece piuttosto certo che quello lì non sia affatto una brava persona, quindi non mi piace saperti in giro con lui. Se finissi nei guai, mi sentirei in colpa.»

Quella risposta la mise in allarme, ma la giovane si rifiutò di lasciarsi intimidire. «Come fai a dire che non è una brava persona?» lo interrogò. «Lo conosci?» Quando l'uomo rimase in silenzio per un istante di troppo, la ragazza ripartì all'attacco. «No, perché anche l'ultima volta che ci siamo incontrati ho avuto l'impressione che tu mi stessi mettendo in guardia nei suoi confronti: questa cosa è ridicola. O sai qualcosa di concreto sul suo conto, oppure ti devo chiedere di lasciarmi stare. Michael è soltanto un amico, una persona gentile che mi ha aiutato in una situazione difficile: non mi sono dimenticata del modo in cui si è comportato quella sera nel parcheggio, ma  non mi sento di condannarlo solo per questo. Può capitare a tutti di sbagliare.»

«E cosa avrebbe fatto, per aiutarti?» indagò Hasim.

Lei si strinse nelle spalle. «Ha scoperto per caso che ero nei guai con un esame di marketing e si è offerto di aiutarmi: mi ha prestato i suoi appunti e grazie a lui sono riuscita a passarlo.»

L'uomo si lasciò sfuggire un fischio stizzito. «Che figlio di puttana!» ringhiò.

«Come, scusa?» sibilò Caterina, scandalizzata.

Hasim scosse con foga il capo, come se stesse cercando le parole migliori per spiegarsi. «Ascoltami, Caterina: quell'uomo è furbo. Non è quello che credi tu. Devi smetterla di frequentarlo. Giragli al largo e, se lui continua a cercarti, vieni subito da me.»

La giovane lo guardò con gli occhi sgranati, senza riuscire a credere alle proprie orecchie. «Ma tu sei pazzo» mormorò. Poi riprese, più forte: «Se credi di riuscire a farmi paura con queste mezze frasi, ti sbagli di grosso. Se sai qualcosa su di lui, se sai che è un criminale o un pazzo drogato, dimmelo e basta. Se invece non puoi fare altro che illazioni sul suo conto, allora non ho altro da dirti. Sappi, però, che tra voi due  quello più pericoloso in questo momento mi sembri tu.»

Hasim parve accusare il colpo e si premette per un istante una mano sugli occhi, come per calmarsi e riordinare le idee. «Va bene», sospirò poi, «va bene. Mi sono lasciato prendere la mano, scusami. Non avrei dovuto.» Caterina si strinse le braccia attorno al busto e aspettò che continuasse. «Purtroppo, non posso ancora accusare di nulla il tuo amico. Però io li conosco, quelli come lui: ne ho visti tanti, di... sbandati del suo genere. Portano solo guai, Caterina. Tanti, tanti guai. È per questo che ti chiedo di stare attenta a quello che fai.» 

La ragazza soppesò per qualche secondo le sue parole, poi sciolse il nodo delle braccia e assunse una posa più rilassata. «D'accordo» disse, dopo qualche altro istante di silenzio. «Starò in guardia e al primo segnale che mi faccia pensare che ci sia qualcosa che non va lo allontanerò da me. Ma se dovessi scoprire che... che è un maniaco, che so io, o che ha in casa una scorta di cocaina, allora avvertirò la polizia. Non te. Spero che tu capisca.»

Hasim la guardò con un'espressione strana, quasi malinconica, ma poi annuì. «Capisco» mormorò.

Seguendo la traiettoria dei suoi occhi neri, Caterina ebbe l'impressione che questi fossero puntanti sui suoi seni, ma poi si rese conto che l'uomo stava osservando il pendente a forma di chiave che portava appeso al collo. Per qualche ragione, quella consapevolezza la fece sussultare e la ragazza si affrettò a far scivolare il ciondolo all'interno della scollatura del vestito che indossava e che la copriva fino alle clavicole. Hasim incontrò subito i suoi occhi, ma lei si affrettò a dargli le spalle. «Se non c'è altro, io me ne vado» annunciò.

Senza lasciargli il tempo di replicare, la ragazza raggiunse la porta e la varcò quasi correndo, dirigendosi a grandi passi verso il tavolo a cui aveva lasciato Sara e Francesca. Quanto tempo è passato? Si chiese, scoprendosi incapace di calcolare quanto a lungo l'avesse tenuta impegnata la conversazione surreale che aveva appena avuto con Hasim.

Gli occhi allarmati di Francesca le fecero capire che dovevano essere passati ben più di una manciata di minuti. «Cate, è tutto a posto?» le chiese la giovane, con tono allarmato.

Caterina annuì e tornò a sedersi accanto a Sara, gettandosi dietro alle spalle i lunghi capelli ramati e respirando profondamente nel tentativo di scacciare quella sensazione pesante e appiccicosa che il confronto con il buttafuori le aveva lasciato addosso. «È tutto a posto» confermò, senza riuscire a nascondere la sfumatura tagliente che le deformò la voce. «Quando finisce di cantare, però, devo dire due paroline ad Alessandra: la deve smettere di andarsene in giro a raccontare i fatti miei al primo che passa!»

Le altre due ragazze le lanciarono un'occhiata confusa e lei si sentì in dovere di spiegare. «Ha raccontato a quel tipo che è venuto a cercarmi che sto frequentando Michael e, a quanto pare, a Hasim questa cosa non piace. Deve aver avuto da ridire con lui, in passato, o qualcosa del genere: sta di fatto che mi sono beccata una mezza scenata.»

Francesca parve sconvolta. «Ma stai scherzando?» sbottò. «Ma non esiste proprio! Vai a dirlo al... vai a dirlo al padrone di questo posto! Quello lì non deve permettersi di fare queste cose!»

Caterina sventolò una mano come per allontanare un pensiero sgradevole. «Ma no, non ce n'è bisogno» esalò, sentendosi già stanca. «Hasim non è cattivo e penso che sia seriamente preoccupato per me: il fatto è che non ne ha motivo, perché Michael è sempre stato gentile e, comunque, io so badare a me stessa. Però vorrei che l'Ale si desse una regolata e badasse un po' di più ai fatti suoi.»

Francesca e Sara borbottarono il proprio assenso, ma Caterina fu distratta dal ronzio del cellulare. Controllando le notifiche, non riuscì a reprimere un sorriso sarcastico. Ah! Lupus in fabula, pensò, stupendosi della coincidenza. Michael le aveva appena scritto e la ragazza represse un brivido al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere se, invece di darle buca, il ragazzo avesse accettato di accompagnarla al Dream. Ci mancava solo di assistere a una scazzottata, pensò, senza osare nemmeno immaginare come sarebbe emerso Michael da uno scontro diretto con il ben più imponente Hasim.

Meno male che non è venuto, a 'sto punto, ragionò la giovane. E poi, se mi ha scritto a quest'ora, significa che non era in compagnia di una tipa!

Con una punta di trepidazione, Caterina scorse rapidamente il corposo messaggio che il ragazzo le aveva inviato. “Sei ancora al Dream? Scusa se non sono venuto, oggi, ma avevo la testa altrove. Visto però che si è tutto risolto per il meglio (poi ti spiego), che ne dici di una gita fuori porta, domani? Con un paio di amici  abbiamo organizzato una grigliata sul lago in zona Lecco... ti va di venire? Non devi prendere la macchina, guido io.”

La ragazza sfiorò più volte lo schermo, indecisa su cosa rispondere. Fino a poche ore prima non avrebbe avuto dubbi, ma adesso? Doveva prendere sul serio gli avvertimenti di Hasim? Il volto sorridente di Michael la fissava da un angolino dello schermo e la giovane provò un impeto di ribellione.

“Sicuro, ci vengo volentieri! Che cosa devo portare?”

Senza darsi la possibilità di ripensarci, Caterina inviò il messaggio e provò immediatamente un gran senso di sollievo e di ritrovata normalità.

E 'fanculo anche a Hasim, pensò, rivolgendo un invisibile dito medio all'uomo che, ne era certa, la stava ancora tenendo d'occhio da lontano.

   
 
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