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Autore: Iaiasdream    11/08/2019    1 recensioni
Davide Campana è un nobile proprietario terriero, dal carattere arrogante ma ambizioso. Deluso dalla sua vita che lo ha messo a dura prova dall’età di diciotto anni, passa le sue nottate fra bordelli, pretendendo da ogni donna solo piacere fisico, fino a quando non incontrerà Rebecca, una semplice cameriera che nasconde un amaro passato. Quando le loro vite si incrociano, nessuno dei due sa che l’una lavora per l’altro, e per uno strano scherzo del destino, la loro relazione verrà inghiottita da una turbinosa odissea.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 2
 



Dato un colpo secco con la stecca, la pesante sfera lucida, bianca rotolò velocemente sul manto verde colpendo altre due sfere colorate che raggiunsero i fori agli angoli del tavolo e scomparvero nel nulla. Davide Campana sorrise soddisfatto, si rialzò, mise l’asta di legno in posizione eretta e si appoggiò a essa, volse lo sguardo grigio azzurro verso la donna che era appoggiata all’infisso con una coppa di champagne e le regalò quel sorriso malizioso.
L’aveva notata da quando era entrato nella casa. L’aveva vista appoggiata al pianoforte a discutere col vecchio musicista e quelle labbra pittate di un rosso sangue avevano catturato la sua attenzione; avevano una forma perfetta: carnose e invitanti si muovevano in sintonia con le parole.
Non aveva aspettato molto perché si accorgesse di lui. A parte un giovane soldato, Davide era l’unico giovane presente in quel salone.
Quella sera, però, non si era presentato lì per appagare i suoi istinti, bensì, anche se molto strano, aveva un appuntamento d’affari con un vecchio acquirente, amante delle belle donne e della vita mondana. Lo aveva invitato al circolo degli agricoltori, e non avevano concluso nulla, poiché Franco Caputi si era rifiutato di accettare l’offerta fattagli dal giovane, e allora quest’ultimo aveva deciso di giocare la sua carta migliore, quella che metteva in atto nei momenti di difficoltà e che alla fine lo faceva raggiungere il suo obbiettivo.
Campana aveva l’abilità di assoggettare ai suoi voleri qualsiasi persona, semplicemente sfruttando i punti deboli e quelli dell’uomo davanti a lui li conosceva e molto bene.
<< Cento >> mormorò con voce di sfida, distogliendo lo sguardo e i pensieri peccaminosi dalla giovane cocotte.
Franco Caputi sospirò continuando a guardare il tavolo da biliardo e, senza dire una parola, appoggiò l’asta sul tavolo, si recò ad una console e, aperta una scatola di legno intagliato, prese un sigaro e lo accese, diede due boccate e si voltò verso il giovane.
<< Novantacinque… >> disse deciso. Davide scosse la testa lasciando anch’egli l’asta sul tavolo; raggiunse l’uomo e accese anche lui un sigaro.
<< Mi dispiace, ho vinto io >>
<< Siete davvero intraprendente, Campana. >>
<< Grazie, signor Caputi. Lo prenderò come un complimento >>
<< Bene >> riprese l’uomo, avvicinandosi a una donna dai capelli neri e ricci che fino a quel momento se n’era stata buona in silenzio a guardare quell’insolita partita, aspettando il suo turno. << L’affare è concluso. Accetto la vostra offerta! >> rispose a voce alta Caputi accarezzando con una mano grassoccia il volto del suo bottino di guerra. Che il giovane lo avesse convinto a comprare i dieci viaggi d’uva non era più la sua priorità, lui aveva vinto qualcos’altro: la perla del bordello, quella che era stata la sua ossessione per tante sere. Come aveva fatto Campana a convincerla? Di certo non se lo chiese e, senza esitare, staccò un assegno e lo porse al ragazzo come caparra. << Avrete il resto a fine consegna >> aggiunse poi.
Davide, ancora una volta, sorrise soddisfatto rivolgendo lo sguardo alla ragazza dal rossetto color sangue che lo fissava con desiderio.
Quando furono soli, fu la giovane a farsi avanti, raggiungendo la consolle per riempire un bicchiere di liquido caramellato e porgerlo al giovane avvenente. Davide accettò volentieri e dopo l’ennesimo sorriso regalatogli dalla cocotte, decise di cedere anche lui al piacere: l’afferrò per un braccio, tirandola a sé con convinzione e strappandole un gridolino di sorpresa, poi le strinse tra le dita il viso ovale e le sollevò il mento quanto bastava per guardarla negli occhi: ciglia lunghe nere cerchiavano due occhioni azzurri leggermente spioventi, dalle palpebre esageratamente dipinte.
<< Avete finito i vostri affari? >> chiese lei atteggiando dei modi innocenti.
Davide schioccò la lingua contro il palato e, leccandosi il labbro inferiore, assaporò quelle labbra carnose e le tirò un morso, dopodiché, la fece voltare di spalle, avvinghiandola con le braccia, le afferrò lo spacco del gonnellone, lo sollevò scoprendole l’intimo candido e, piegandola sul tavolo da bigliardo disse prima di penetrarla: << Tra un po’. >>
 
***
 
Le poche nuvole grigie si rincorrevano spinte dal vento, lasciando il cielo scuro illuminato dalla grande luna che fissava verso il basso l’esteso panorama della notte.
I giorni si susseguirono lentamente e dopo tanta attesa, finalmente arrivò domenica. L’aria si fece più fredda e il sole giocava a nascondino tra macchie di nuvole grigie, Rebecca e Marina erano nella loro camera e si stavano vestendo. La prima indossò un abito rosso scuro casto al petto e l’altra uno verde chiaro con una scollatura a v.
La fulva era molto più contenta del solito e, mentre si preparava, canticchiava una canzone inventata al momento. Rebecca la guardava e sorrideva.
Dopo un po’ bussarono alla porta, erano altre due cameriere che si erano date appuntamento il giorno prima
<< Sì, siamo pronte >> mormorò Rebecca uscendo dalla stanza, aspettando che Marina la seguisse. Percorso un lungo viale, si ritrovarono di fronte a un cancelletto ricoperto di rampicanti, uscirono e si fermarono sulla strada aspettando l’arrivo della solita corriera. Non aspettarono molto, dopo dieci minuti si presentò una lunga carrozza trainata da quattro cavalli scuri, le giovani salirono allegre e, per loro fortuna, trovarono molti posti liberi. Sedutesi iniziarono a chiacchierare facendo progetti su quella giornata. Quando in lontananza si intravide il paese, Marina emise un grido di gioia che fece trasalire il cocchiere.
<< Marina, smettila >> sussurrò Rebecca << ti stai comportando come una bambina che vede per la prima volta un gioco >>
<< Oh, al diavolo il contegno >> rispose Marina sedendosi e sbattendo le mani sul grembo << è da una settimana che aspetto questo giorno, e ora che finalmente è arrivato, voglio godermela tanto >>. A quelle parole, Rebecca scosse la testa divertita.
La corriera si fermò in piazza e le ragazze scesero esultanti, la più allegra di tutte era Marina, che appena mise piede sul marciapiede, fece una giravolta su se stessa facendo gonfiare la lunga gonna, le altre ragazze la guardarono esterrefatte.
<< Ha ragione Rebecca, sembra che tu non abbia mai visto il paese in vita tua! >> esclamò una.
<< Ma che cosa le prende? >> chiese sussurrando l’altra a Rebecca. Quest’ultima fece spallucce e sospirando rispose << Si è messa in testa di trovarsi un uomo che dovrebbe sposarla all’istante e portarla via >>.
<< Mi dispiace per lei >> intervenne una << ma io adesso vado a incontrare il mio di fidanzato, quindi vi lascio! >>
<< Fa’ attenzione >> disse Rebecca << e ricordati che alle venti e trenta passerà l’ultima corriera >>
<< Non ti preoccupare Rebecca, sarò puntuale >> la cameriera le salutò e si allontanò dal gruppo tutta allegra. 
<< Ragazze, fermiamoci da qualche parte, perché questo cestino pesa un quintale >> affermò esausta l’altra cameriera.
<< A due passi da qui c’è un parco, faremo lì il nostro pic-nic >> la rassicurò Rebecca << se vuoi il cestino posso portarlo io? >>
<< Oh, sì grazie >> rispose la giovane contenta.
<< Di nulla Anna >>
<< Dopo il pic-nic… >> intervenne Marina << andremo a caccia di uomini! >>
Giunte al parco, Rebecca e Anna stesero una tovaglia sul prato e l’apparecchiarono di piatti pieni di roba da mangiare, mentre Marina un po’ distante da loro osservava le persone speranzosa di trovare un ragazzo adatto ai suoi gusti.
<< Marina, vieni a fare colazione, i ragazzi non spariscono di sicuro >>
<< Arrivo! >>. La colazione iniziò in silenzio, poi Marina diede sfogo alla sua fantasia descrivendo l’uomo della sua vita. << Deve essere alto e biondo, con gli occhi scuri, anzi, no! Chiari, deve avere gli occhi chiari e poi… deve essere molto ricco >>. Le altre due amiche scoppiarono a ridere. << Cosa avete da frignare voi due? >> chiese Marina fissandole sott’occhio.
<< Niente >> rispose ridendo la sua compagna di stanza.
<< È solo che… sei veramente convita che un uomo ricco possa prendere in moglie una cameriera? >> aggiunse Anna.
<< Be… >> balbettò Marina << convinta non di certo. Ma fatemi sognare! >> esclamò lei addentando una brioche. A poco a poco sentì quell’entusiasmo dissolversi nel nulla, era consapevole che i suoi erano null’altro che sogni, però era un modo per non farle pensare che forse potesse rimanere zitella per tutta la sua vita come la capocuoca Agnese. Aveva deciso di godersi la giornata e dimenticò quell’argomento, ritornando a ridere.
Più tardi, le tre ragazze decisero di fare una passeggiata per il parco, quando vennero interrotte da due ufficiali che si avvicinarono a loro con modi galanti.
<< Permettete signorine? >> disse uno di loro. Le ragazze rimasero zitte e curiose << Non vi abbiamo spaventate, vero? >>
<< Oh, no! >> rispose Marina sorridendo << Cercate qualcosa? >>
<< Veramente, il mio collega ed io vi stiamo osservando da un pezzo, e ci chiedevamo se… potessimo farvi compagnia? >>
Le tre giovani si guardarono in volto per consultarsi, e la più avventata a rispondere fu Marina che acconsentì senza pensarci due volte.
Rebecca le tirò la manica, ma la ragazza fece finta di non aver capito e si scostò dall’amica.
<< Con piacere, Capitano >> rispose sorridendo.
<< Oh, mi dispiace, ma non sono un capitano, siamo solo due sergenti, il mio nome è Amedeo Pansini >>
<< E il mio è Pietro Arcangeli >>
<< Io mi chiamo Marina Agonigi e queste sono Anna Anselmi e Reb… >>
<< Non penso che ai signori interessi il mio nome! >> la interruppe seria Rebecca. Marina la fissò e si accorse che stava parlando sul serio e aveva anche un’aria irritata. I due ufficiali cambiarono discorso e invitarono le tre ragazze a passeggiare con loro, Marina accettò senza pensarci due volte, mentre la cuoca non rispose, Anna esitò fissandola nella speranza di un suo suggerimento.
<< Allora Anna, Rebecca? >> chiese impaziente Marina.
<< Vengo anch’io >> rispose Anna timida. Marina incrociò gli occhi della compagna di stanza e le fece cenno di sbrigarsi.
<< Non preoccupatevi per me >> rispose quest’ultima sorridendo << voi andate pure, io faccio un giro per i negozi, voglio comprare qualcosa. Al ritorno ci incontreremo alla fermata della corriera >>
<< Come vuoi! >> rispose Marina << Allora, a dopo >>. Detto questo il quartetto si incamminò lasciando Rebecca da sola la quale, mentre il gruppo si allontanava, sentì che l’ufficiale mormorò qualcosa a Marina avvicinandosi a lei e quest’ultima sorridendo rispose << È una ragazza all’antica! >>.
No, Marina. Pensò Rebecca, non sono io all’antica, sei tu che sei troppo avventata ed esuberante. Fece spallucce sospirando e guardandosi intorno si incamminò verso i negozietti che si estendevano a schiera per le vie del parco.
 
***
 
Davide Campana lasciò la penna sul tavolo e avvicinate le mani al viso si strofinò gli occhi, poi volse lo sguardo sull’orologio a muro del suo ufficio e si accorse che era già pomeriggio. Prese un campanello e lo scosse velocemente, dopo pochi secondi bussarono alla porta ed entrò Giacomo.
<< Desiderate signore? >>
<< Giacomo, fa’ preparare la mia roba, ho un appuntamento fra un’ora esatta >>
<< Agli ordini signore >> Giacomo uscì dalla stanza, mentre Davide rimase seduto dietro la scrivania, guardò il registro, dopo un po’ lo chiuse sbuffando e si alzò, raggiunse la porta dello studio e uscì. Si recò nella sua stanza dove trovò un’anziana cameriera che appoggiava l’abito da sera sul letto.
<< Ti ringrazio Luisa, puoi andare >>. La cameriera si congedò senza dire una parola. Il giovane si recò nella stanza da bagno e si preparò. Quando fu pronto, scese al piano di sotto e ordinò a Giacomo di far preparare la sua carrozza e ad un’altra cameriera chiese di avvisare sua madre che non sarebbe tornato per cena.
Uscì. Raggiunta la tenuta Acquaviva, si fece annunciare da un cameriere e dopo un po’ fece la sua comparsa Gabriele con il sorriso stampato sulla faccia.
<< Davide, sempre puntuale >> esclamò allegro.
<< Non mi piace far attendere le persone >> affermò il giovane.
<< Allora andiamo >> continuò Gabriele << non vorrai far attendere anche la nostra pianista >>
<< Nostra pianista? >> chiese Davide allibito.
<< Non te l’ho detto? Al concerto suonerà la tua vecchia fiamma: la contessina Virginia Spadieri >> affermò Gabriele con aria strafottente.
<< E perché non dirmelo prima? >>
<< Perché sapevo che non saresti venuto! >>
<< Andiamo, Gabriele, lo sai quello che successe con Virginia… >>
<< Non ti preoccupare, non sono così perfido, non ci vedrà, ho prenotato una cabina molto discreta, e ti prometto che a concerto finito usciremo senza andarci a complimentare con lei >>
<< Lo spero! >>
Uscirono in silenzio e salirono sulla carrozza di Davide, il cocchiere ripartì e in pochi minuti raggiunsero il paese e di lì il teatro. Quando vi entrarono trovarono molte persone eleganti che discutevano fra loro, altre invece consultavano il programma della serata. Davide e Gabriele si andarono a sedere su due poltrone e il primo offrì all’altro un sigaro, quest’ultimo accettò volentieri.
<< Non per tediarti… >> riprese Gabriele << … ma con Virginia non… >>
<< Se vuoi sapere se ci siamo più rivisti la risposta è no >> affermò Davide indifferente << la famiglia Spadieri è una delle tante famiglie ipocrite. I Campana gli hanno fatto comodo fino a quando sono serviti, e Virginia si è dimostrata peggio della sua famiglia >>
<< Scusami se… >>
<< No, amico mio, non ti devi scusare di niente >>. All’improvviso suonò il campanello di avviso e i due ragazzi spenti i sigari si alzarono e si incamminarono verso la loro cabina. Gabriele era stato di parola, il loro posto era molto distante dal palcoscenico e sicuramente nessuno li avrebbe notati. La sala si riempì di sussurri che a poco a poco svanivano all’abbassarsi delle luci e all’innalzarsi del sipario. Il palcoscenico era illuminato e ospitava soltanto un pianoforte nero, lucido, a coda. Davide rimase a fissare serio il grande strumento e trasalì quando sentì il forte applaudire di mani. Forse fu l’unico nell’intero teatro che non accolse Virginia Spadieri in quel modo. La donna entrò, sfoggiando un viso ovale, affascinante e sensuale, dagli occhi cerbiattini tinti di cielo e labbra carnose prive di profumeria. Indossava un abito bianco a stile impero ed aveva riccioli neri alzati e fermati lateralmente da un fermaglio con una piuma bianca. Fece un inchino verso il pubblico, si diresse al pianoforte, si sedette, accarezzò i tasti e dopo un po’, al silenzio della sala si aggiunsero i primi suoni dell’opera del grande Chopin che iniziò con il notturno opera nove numero uno. Davide rimase a fissare impassibile quella donna e si accorse che quelle note che un tempo gli entravano nel cuore, in quel momento non lo scalfirono. Virginia non lo faceva più sognare, non gli faceva più battere il cuore. Quella donna che per anni era stata la sua amica e che per mesi fu la sua fidanzata, adesso era solo un’estranea.
Ad un tratto ricordò il modo indegno con cui, costretta dalla madre, aveva rotto il fidanzamento dopo aver scoperto la disgrazia che aveva colpito la famiglia Campana. Davide trasalì ancora una volta agli applausi non essendosi accorto che la prima opera era terminata. Quel rumore fragoroso che facevano le migliaia di mani lo misero in agitazione, e iniziò a sentirsi mancare il respiro. All’inizio della seconda opera, non resistette più, si alzò e, scusatosi con Gabriele, uscì dalla cabina, lasciando l’amico allibito. Dapprima, Acquaviva stette seduto, poi, preoccupato per l’amico lo raggiunse nella sala principale dove lo vide intento a recuperare il pastrano e il cappello.
<< Davide, aspetta! >>
<< Mi dispiace Gabriele… >>
<< Che ti prende? >>
<< Mi è mancata l’aria >>
<< Ma adesso stai bene? >> chiese l’amico preoccupato.
<< Sì, ma preferisco prendere una boccata d’aria. Tu ritorna in cabina, io ti aspetto fuori >>
<< Mi rendo conto che ti ho rovinato la serata >> affermò desolato Acquaviva.
<< Non ti preoccupare >>
<< Scusami… >>
<< No, scusami tu >> rispose secco Davide e detto questo si recò alla porta d’uscita, dove un valletto gli consegnò un ombrello dicendo che stava per piovere, Davide lo accettò ringraziandolo e uscì dal teatro, lasciandosi alle spalle Gabriele.
Il valletto aveva ragione, il cielo era diventato grigio e qualche nuvola rifletteva luce di un vicino temporale. Faceva freddo, e Davide se lo sentì nelle ossa, affondò il collo nel pastrano e aprì l’ombrello. La sua carrozza era ferma di fronte al teatro e il cocchiere su di essa aveva aperto un ombrello scuro e si era rannicchiato per sentire di meno il freddo. Davide non andò da lui, aveva bisogno di prendere aria e anche se era gelida voleva riempirsene i polmoni. Decise di passeggiare un po’, ma non gli servì a niente: Virginia e la sua musica erano ancora nei suoi pensieri.
Pioveva talmente forte, che la pioggia si era mutata in un velo che annebbiava la vista. Ad un tratto Davide si accorse di essersi allontanato un po’ troppo dalla carrozza e ora si trovava in una strada che non aveva mai visto. Non c’era nessuno, tutti erano andati a ripararsi, tutti tranne uno. Davanti a sé, una figura femminile non tanto alta con le mani giunte in avanti che mantenevano un cesto e il capo chino, permetteva alla pioggia di fermarsi su di essa, Davide si accorse che non aveva un ombrello e giratosi intorno vide che non c’erano palazzi in cui potersi riparare. Dapprima non ci fece caso, poi senza volerlo, si accorse che i suoi occhi si soffermavano sempre su quella donna. In quel momento il giovane non si rese conto che i suoi pensieri avevano cancellato dalla mente Virginia, dando il posto a mille domande che riguardavano quella fanciulla.
Perché rimane sotto la pioggia e non cerca riparo? Si chiedeva Davide Campana. Spinto da quei pensieri, si mosse come un automa e avvicinatosi di fianco a lei la riparò con il suo ombrello.
La ragazza non sentendosi più cadere l’acqua sul suo corpo, trasalì e si volse per vedere che cosa era successo. Vide al suo lato un giovane alto, ben vestito che la guardava sorridendo e aveva negli occhi un colore raro, fece due passi indietro impaurita e il giovane a quel punto la tranquillizzò.
<< Scusate, vi ho vista sotto la pioggia senza riparo, con questo freddo… >>
<< Siete gentile, ma non dovevate preoccuparvi >> sibilò lei. Il ragazzo si accorse che quella ragazza tremava << Vi ho spaventata? >> chiese con dolcezza, la giovane non rispose e abbassò il capo << Mi dispiace, non avevo questa intenzione, se volete posso lasciarvi l’ombrello… >>
<< Cosa? >> trasalì lei volgendogli lo sguardo. Prima di rispondere Davide la fissò e si accorse che aveva dei begli occhi castani a mandorla che addobbavano un bel viso semplice e puro.
<< Sì >> rispose << vi lascio l’ombrello e vado via, la mia carrozza è qui vicino >>
<< Oh, no! >> esclamò la ragazza che adesso non aveva più la voce tremante << potete restare, anche perché tra un po’ andrò via, sto aspettando la corriera >>
<< Bene, visto che non vi faccio più timore, rimango a farvi compagnia >> affermò sorridendo Davide. I due rimasero in silenzio per molto tempo, Davide guardava la strada e la ragazza rimase con il capo chino. << Non vuole smettere >> riprese il ragazzo.
<< Già >> mormorò lei. Ritornò il silenzio fra loro. A un certo punto, Davide si accorse che, senza volerlo, la stava guardando sott’occhio, quando la ragazza alzò il capo, trasalì e ritornò a guardare la strada. Non sentiva più freddo, un dolce calore lo percorse in tutto il corpo, era come se la giovane lo stesse abbracciando, il cuore iniziò a palpitare più forte e ad un certo punto sentì in lontananza una dolce melodia. Nessuno stava suonando, era il suo cuore che lo faceva e lui riusciva a sentirlo. Perché quella strana sensazione? Non riuscì a capirlo. Dopo un po’ sentì che la ragazza aveva detto qualcosa ma lui non riuscì a capire.
<< Come? >> chiese incuriosito.
<< Sta arrivando la corriera >> ripeté lei. Si volse verso Davide e sorridendo gli disse << Vi ringrazio e scusatemi se vi ho arrecato disturbo >>
<< Ma cosa dite? >> mormorò Davide << è stato un piacere >>. La corriera si fermò di fronte ai due giovani, la ragazza salutò il nobiluomo e sollevata un po’ la gonna si accinse a salire sul mezzo, ma una dolce presa la fermò afferrandole il braccio, lei si girò sussultando e incrociò quegli occhi dolci penetranti che la sorridevano, a quel punto, non seppe se avere paura o meno, ma quel sorriso penetrante e quella voce così dolce, la tranquillizzarono per la seconda volta.
<< Vi prego >> disse il giovane << prendete l’ombrello >>
<< Ma signore, io… >>
<< Non smette di piovere, io ho la carrozza, mentre voi verrete lasciata alla fermata. Me lo darete la prossima volta che ci rincontreremo >> affermò il giovane.
<< Signori si parte! >> esclamò il cocchiere. La giovane si affrettò a prendere l’ombrello << ma io vengo in paese solo di domenica >> rivelò lei dispiaciuta. La corriera iniziò a partire.
<< Allora a domenica prossima! >> esclamò Davide per farsi sentire e alzando la mano fece un breve cenno di saluto, poi vide la ragazza uscire dal finestrino ed esclamare un grazie, seguito da un cenno della mano, infine la vide rientrare e rimase a fissare la strada fino a quando la carrozza scomparve. Non so nemmeno il suo nome, si disse. Chissà se veramente la rincontrerò domenica. Fece spallucce, poi, voltatosi indietro e alzato il colletto del cappotto si incamminò velocemente verso la sua carrozza. Girato l’angolo, vide tante persone uscire dal teatro e allora si ricordò di Gabriele, corse verso la carrozza ed entrò. Vi trovò l’amico, pensieroso. << Ma dov’eri? >> chiese questo allibito.
<< A fare una passeggiata >> rispose lui allegro.
<< Sotto questa pioggia? >>
<< Avevo un ombrello >>
<< Avevi? >> chiese ancora Gabriele.
<< Sì, ho dovuto darlo a una giovane che ne era sprovvista >> rispose Davide << volevo ringraziarti, Gabriele >>
<< E perché? >>
<< Perché mi hai fatto passare una bella serata >>.
A quelle parole, Gabriele rimase attonito, non riusciva a capirlo e, senza aggiungere altro, ordinarono al cocchiere di partire.
 
***
 
Rebecca continuava a fissare quell’ombrello gocciolante, e non riusciva a togliersi dalla mente quel ragazzo così ben vestito e tanto gentile. Volse lo sguardo verso il finestrino e si accorse che la corriera stava giungendo a destinazione. Il cielo era ancora nuvoloso, ma la pioggia aveva finito di precipitare da quel cielo pittato di grigio. Si alzò e si preparò a scendere. Quando la corriera si fu fermata, pagò il cocchiere e si incamminò verso la tenuta dei suoi padroni. Appoggiò l’ombrello su un braccio piegato davanti a sé e con l’altra mano sorreggeva il cestino da pic-nic, ancora pieno di cibo poiché le due amiche non erano più tornate da quella passeggiata con i due ufficiali.
L’aria fredda emanava odore di pioggia, quando giunse al cancelletto pieno di piante rampicanti, tirò un lungo respiro. Si recò subito nella sua stanza, appoggiò l’ombrello e il cesto su un tavolino e aperta l’anta dell’armadio, prese da un cassetto un asciugamano, sciolti i suoi capelli se li asciugò con fragore, poi si tolse gli abiti bagnati e si deterse il corpo, indossò una camicia da notte e presa dal cassetto del comodino la sua spazzola iniziò a pettinarsi i lunghi capelli castani. Mentre li lisciava voltò lo sguardo sull’ombrello ormai asciutto e sorrise. Che begli occhi aveva quel ragazzo. Si disse. Chissà come si chiama? Continuarono i suoi pensieri. Posata la spazzola sul comodino, si fece una treccia, poi, accortasi che la stanza era ormai buia, accese una candela e si infilò nel letto, prese un libro e iniziò a leggere qualche pagina e piano piano si addormentò. Si svegliò di colpo, sentendo un forte rumore alla porta. Impaurita e infreddolita, si alzò dal letto e, infilata una vestaglia andò ad aprire: entrarono ridendo Anna e Marina.
<< La vedi? >> esclamò Marina << che ti avevo detto? È ritornata prima di noi! >>
<< Ragazze? >>
<< E tu Anna che pensavi le fosse accaduto qualcosa! >>
<< Be, non ti abbiamo vista alla fermata e allora mi sono preoccupata >> affermò Anna.
<< Allora >> intervenne Rebecca << com’è andata la vostra passeggiata? >>
<< Benissimo! >> affermò Marina tuffandosi sul letto.
<< Non me ne parlare >> disse invece Anna.
<< Perché? Cosa è successo? >> chiese la cuoca.
La risposta la diede Marina che prima scoppiò a ridere, poi messasi a sedere sul letto disse << Anna è stata tanto sfortunata! Quel Pietro Arcangeli voleva portarla in una pensioncina >>
<< Non ridere! >> esclamò offesa Anna sedendosi sul letto di Rebecca << Sono scappata dalla vergogna e dalla paura, menomale che per strada ho trovato Gina, e così mi sono recata con lei alla fermata! >>
<< E hai lasciato Marina da sola con quei due? >> chiese allibita Rebecca.
<< Non ero con quei due! >> rispose Marina << ero con Amedeo. Ah! Amedeo >> sospirò stendendosi sul letto.
<< È inutile che sospiri! >> disse Anna strafottente << Tanto anche quell’Amedeo è come l’altro! Anzi ti conviene stare attenta! >>
<< Taci! >> esclamò Marina rialzandosi << Sei solo invidiosa! Il mio Amedeo non mi ha fatto nessuna proposta sconcia! >>
<< Il mio Amedeo?! >> mormorò allibita Rebecca << Marina! Lo conosci solo da un giorno! >>
<< E con questo? >> chiese lei scettica << un giorno mi è bastato per conoscerlo, e so che è un ragazzo molto gentile e buono, figurati che mi ha dato appuntamento a mercoledì, mi ha detto che mi porterà a fare una passeggiata per i negozi, vuole farmi un regalo >>
<< Mercoledì? >> chiese ancora la sua compagna di stanza << Ma, Marina, sai benissimo che noi il mercoledì lavoriamo! >>
<< Non ti preoccupare, non si accorgerà nessuno della mia mancanza, dirò che ho la febbre e sono a letto! >>
Anna si alzò e poggiate le mani alle orecchie si recò alla porta dicendo << Io faccio finta di non aver sentito. Non voglio entrare in questa storia, buonanotte! >> e uscì.
<< Marina, ti sei ammattita? >> chiese Rebecca, nervosa << come farai se ti scoprono? Non siamo sole, ci sono tanti camerieri qui! >>
<< Non ti preoccupare, il figlio del custode è innamorato pazzo di me, anche se mi scoprisse non parlerebbe >> affermò lei iniziandosi a spogliare. Rebecca l’aiutò a sfilarsi il corsetto e scosse la testa contraria alla decisione dell’amica. Se prima aveva qualche dubbio, in quel momento quella ragazza glielo ebbe confermato: Marina era troppo estroversa e troppo avventata.
Non si dissero più niente. Marina si addormentò sospirando, mentre Rebecca rimase sveglia per tutta la notte.
Fuori, i temporali iniziarono di nuovo la loro opera musicale e la pioggia gli fece compagnia, ai rumori di essa, Rebecca ripensò a quel ragazzo, chissà se era veramente gentile e buono come le era sembrato, poi a poco a poco i pensieri si spostarono su Marina, si voltò dall’altro lato del letto e i suoi occhi si posarono sul suo volto addormentato, la guardò a lungo cercando di allontanare da sé i pensieri e le brutte sensazioni che quel suo comportamento così sconsiderato la assillavano. Quando finalmente il sonno si fece sentire le nuvole nere che coprivano il cielo erano ormai diventate grigio chiaro, prendendo ancora una volta il posto del sole e annunciando il mattino.
 

 
   
 
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