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Autore: Cara93    12/08/2019    3 recensioni
[STORIA INTERATTIVA ISCRIZIONI CHIUSE]
La truffa è un'arte, anche nel Mondo Magico. Tre tra i migliori truffatori al mondo, che lavorano per il misterioso Master, lo sanno molto bene.
Ma cosa accadrebbe se alcune delle loro vittime decidessero di dar loro la caccia?
Genere: Azione, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Olimpia era come paralizzata. Non l’aveva neppure sfiorata l’idea di stare facendo qualcosa di illegale o sbagliato. E, in effetti, l’unico che stava infrangendo la legge era solo Rosier. Eppure. Eppure la sola idea di avere a che fare con veri Auror la terrorizzava. Fissava come intontita quello che le succedeva intorno: Esu che spiegava a Kai, con parole semplici e una veloce dimostrazione, come usare l’aggeggio babbano che aveva in tasca e come caricarne la batteria, qualsiasi cosa fosse, tramite la magia. Rosier che radunava tutto ciò che riteneva sarebbe stato loro utile nel mondo babbano, oltre a duplicare il materiale che avevano a disposizione. Non si sentiva sé stessa.

 -Non ti sembra di essere stata troppo dura con quella ragazzina, Olly?- le chiese James, spaparanzato su uno dei divanetti, pouf e cuscini che la Stanza delle Necessità aveva fatto comparire appositamente per l’indolente Corvonero, probabilmente l’unico amico che poteva considerare tale in tutta la scuola. Il loro era stato un rapporto decisamente tormentato, ma reale. Non come tutte le smancerie che riceveva dalla maggior parte dei suoi compagni di casa, spesso esasperanti.
-Tu che ne pensi?- chiese, anche se non aveva proprio voglia di sentire la risposta. Sapeva che Jenny Ault rappresentava un punto debole per l’amico: aveva “salvato” la piccola Grifondoro fin dal suo primo giorno, senza una ragione apparente, se non “come puoi anche solo pensare di farle del male, Olly? È così piccola e morbida... indifesa”. E in effetti era così: dall’espressione angelica al sorriso perenne, passando per i lineamenti esotici, Jenny era irresistibile. La maggior parte dei ragazzi la corteggiava spudoratamente, la maggior parte delle ragazze la detestava. Poi c’era lei, che cercava in tutti i modi di umiliarla, principalmente per il suo sangue babbano, passando poi dai testi di seconda mano e dalla divisa troppo grande.
-L’hai sfidata a duello solo perché ti è venuta addosso, Olly- cercava di farla ragionare. Non c’era verso. Jenny aveva qualcosa che la disturbava e niente le avrebbe fatto cambiare idea.

 -Ecco, hai visto?? Siamo in punizione per un mese e forse anche di più, mentre Jenny è quasi morta... ha rischiato di finire molto male... sai che ti voglio bene, Olly, ma certe volte mi fai paura- borbottò James, al suo fianco. Erano diretti verso l’Ufficio di Gazza. Se non fosse intervenuto il padre di Olimpia, sicuro come l’amore per l’oro dei folletti, sarebbero stati espulsi. Lo scontro sembrava un normale duello, niente di trascendentale. Dopo uno scambio di Incantesimi non particolarmente duro, ma che aveva prostrato Jenny, com’era giusto, dato che la piccola Grifona era solo al quarto anno, mentre Olimpia e James erano studenti del sesto, la ragazza si era arresa. Ma non era bastato. Olimpia l’aveva attaccata duramente alle spalle, Jenny si era accasciata al suolo e sembrava non essere nella condizione di alzarsi. James aveva dato di matto, poi, tra insulti ed imprecazioni, aveva raccolto il piccolo corpo di Jenny e l’aveva portata in infermeria. Madama Chips aveva subito allertato i direttori delle Case e la Preside, che aveva promesso pesanti provvedimenti. Che non erano stati presi. Perché la famiglia Rowle era in grado di far accadere qualsiasi cosa. Era quella la vera magia: il solo intervento del padre di Olimpia poteva cambiare in meglio o in peggio la sua vita e quella degli altri. E non esitava a farlo. Olly desiderava ardentemente avere un simile potere, un giorno.

 
La scoperta di LeFevre aveva finalmente portato ad una svolta nelle indagini. Jessie ne era orgoglioso e felice. Era certo che i suoi compagni avessero le capacità necessarie a svolgere un lavoro eccezionale. Per questo, ancora, non si sentiva a suo agio all’idea di essere il loro capo. Come non si era sentito a suo agio nel coordinare ed organizzare l’irruzione nella villa dei Rosier, o meglio, della villa appartenente ad Atia Willias. Aveva trovato curioso che Rosier e forse anche gli altri truffati su cui stavano indagando si trovassero lì. Non fosse stato per un cavillo legale, ovvero che quello specifico terreno era stato donato dallo stesso Marcus alla sorella, date le tempistiche, probabilmente per la nascita della figlia della stessa; Belvedere House sarebbe finita come tutti i beni dell’uomo: venduta ed il ricavato sarebbe finito in mano dei truffatori. Come i suoi colleghi, anche Jessie sentiva il brivido della caccia, quella sensazione quasi fisica, quella certezza animale che il centro di quella parte della loro indagine si trovasse lì. Ma, a differenza dei suoi colleghi, era una sensazione che doveva reprimere, specialmente in quella parte del mese. Nonostante avesse cominciato in anticipo ad assumere la pozione, sembrava che questa, specie quando il suo lavoro diventava così intenso, non facesse più effetto. E Jessie avrebbe fatto tutto ciò che fosse stato in suo potere, per evitarne le conseguenze, qualora questa avesse realmente smesso di funzionare.

 
Il panico non l’aveva ancora liberata dalle sue spire, quando Esu e Rosier se n’erano andati, smaterializzandosi in fretta appena varcata la soglia della grande casa. Olimpia non sapeva cosa fare. Si era sempre reputata una persona pratica e razionale, capace di affrontare le difficoltà con fredda meticolosità; eppure, in quel frangente si stava dimostrando inutile. E Kai non aiutava. Il ragazzo, vedendola persa e ciondolante, quasi il fantasma di sé stessa, aveva pensato bene di trovare il modo di spronarla. Però qualunque approccio tentasse non sembrava funzionare: aveva provato con gli insulti, a blandirla con dolcezza, a spiegarle ciò che andava fatto con parole semplici e misurate. Alla fine, le aveva persino consigliato di sedersi e di contare fino a mille, gli occhi chiusi ed il respiro regolare. Sapeva che stava cercando di farla rinsavire e gli era grata per questo, ma, paradossalmente, l’idea stessa di deludere Kai la paralizzava ancora di più.
“Si sentirà tutti i giorni così, Esu? Merlino che strazio.”
-Dobbiamo andarcene da qui- la voce di Kai ruppe l’instabile bolla di sicurezza nella quale si era momentaneamente rifugiata, rifiutando il pensiero del pericolo imminente. Giocherellò con la catena che portava sempre, l’indecisione che la rodeva e consumava. Rispetto ai loro compagni, che avevano un piano, a quanto sembrava, data la risolutezza con cui Rosier aveva letteralmente trascinato fuori Esu, lei e Kai non sapevano dove andare.
-Potremo cominciare con l’andare a Diagon Alley, poi si vedrà- riprese Kai, cercando di nascondere l’insicurezza. Non si aspettava che proprio Olimpia avesse una reazione del genere, davanti alla prima difficoltà.
“Olimpia, ti prego riprenditi. Ho bisogno di te” continuava a ripetersi il ragazzo, la disperazione che smussava la maschera di perfezione che era solito portare.
-No. C’è un posto migliore- Olimpia lo guardò, finalmente decisa. Era il momento migliore per utilizzare il suo nascondiglio segreto, un posto di cui neppure i suoi famigliari erano a conoscenza.
“James lo sa. Ma James non mi tradirà mai, ne sono sicura.”

 
-Aspetta cara, mi stai dicendo che hai quasi tentato di uccidere Jenny perché in realtà vuoi andare a letto con lei?-
James era sgomento. Tutto si era aspettato di sentire da Olimpia, tranne quello. Eppure, più ci pensava e più la cosa aveva senso: Olimpia era davvero così contorta ed era stato anche l’aspetto che li aveva avvicinati. Aveva passato i primi due anni a metterlo alla prova, perché non era da Olimpia Rowle concedersi il lusso di riporre la propria fiducia in qualcuno. E ce l’aveva fatta, dato che quello che gli stava confidando non era esattamente semplice da ammettere, specie per una ragazza di buona famiglia come lei. L’anno prima, messo alle strette ed esasperato fino allo sfinimento da velenose accuse e insulti solo perché aveva osato fare amicizia con una ragazzina nata babbana, lo stesso James aveva ammesso la propria omosessualità, prima di tutto con sé stesso, poi con quella personcina complicata ed intrattabile che era Olimpia.
-Sì- ammise -anzi, per quel che ne so potrei averlo anche fatto- aggiunse a mezza bocca, talmente piano da far dubitare a James di averlo sentito per davvero.

Era stato un impulso improvviso, quello che l’aveva portata a baciare Jenny. L’aveva incontrata nel bagno delle ragazze, dapprima aveva pensato bene di evitarla, ma non se l’era sentita, non dopo averla vista in lacrime appoggiata ad uno dei lavandini, nel tentativo di darsi un contegno. Era rimasta incantata dalla sua bellezza e dalla sua forza, desiderava ardentemente prenderla tra le braccia. Certo, aveva spesso provato l’impulso di abbracciare una sua amica, dopo una delusione di qualche tipo. Spesso si soffermava a guardare delle ragazze particolarmente attraenti. Trovava particolarmente affascinanti tutti quei piccoli movimenti e vezzi tipicamente femminili e spesso inconsapevoli, come sistemarsi una coda, il movimento delle labbra per spandere meglio il burrocacao oppure ancora, lisciare le pieghe di una gonna appena sedute. Ma quello era normale, no? Lo facevano tutte, no? Ma quello che Jenny le provocava non semprava normale, sembrava qualcosa di diverso. Qualcose che non le era mai capitato prima e sicuramente non con quella potenza. Quindi l’aveva fatto, alla fine. L’aveva baciata. E, inaspettatamente, Jenny l’aveva ricambiata.

 
Non era da Jessie farsi aspettare, ritardare una missione importante per i propri fini personali. Si sentiva in colpa, concetto che i suoi colleghi semplicemente non sembravano conoscere, ma che aveva sempre permeato buona parte della vita di Jessie Aarons e ancora la ammantava e avvolgeva, come una coperta leggera ed inconsistente, ma sempre presente, a tratti rassicurante. Nonostante tutto, però, non avrebbe cambiato una virgola della sua esistenza, per quanto dolorosa o tormentata potesse sembrare ad un occhio esterno.
“Beh, i miei colleghi si sono fatti gli affaracci loro più di una volta, cosa potrà mai succedere, se per una volta, sono io a farmi i miei?”
Era tornato a casa, soprattutto per accertarsi che Ally, la ragazza maganò che aveva ingaggiato come babysitter, fosse ancora tutta intera. Logan, il suo secondogenito, aveva sviluppato un’insana passione per gli insetti magici, creature non sempre facili da trattare e che aveva spinto la povera ragazza a minacciare di licenziarsi almeno tre volte a settimana. Non poteva biasimarla, molte di quelle creature le aborriva pure lui, ma sembrava non riuscire a rifiutare nulla al suo bambino, non ora che mancava così poco al suo primo anno ad Hogwarts. Dall’altra parte, però, non poteva permettersi di perdere Ally, non con sua madre perennemente in bolletta e che aveva meno tempo libero di lui, due figli da accudire, un incarico stressante e un piccolo problema cronico che non poteva permettersi di trascurare. Insomma, la sua vita era un casino e una buona parte di quei sensi di colpa vertevano sui suoi figli e sulla promessa che aveva fatto ad Olivia, prima che morisse.
“Ci sto provando, amore mio, ma è dura. Più dura di quanto credessi, non so se potrò andare avanti ancora per molto, da solo.”
-Papà, papà guarda, Bobby ha avuto altre acromantoline!- lo accolse il grido acuto di Logan. Prima ancora di correre ad abbracciarlo, lo informava che la coppia di ragnacci che gli aveva avventatamente comprato, non era più solo una coppia.
-Tesoro, ma non è ora di andare a dormire?- lo rimbrottò bonariamente Jessie. Erano da poco passate le nove, mentre l’irruzione a Belvedere House era prevista circa due ore dopo. Non poteva permettersi di tardare, non con Montague ancora in Svezia e senza rinforzi, dato che i fondi destinati alla loro indagine sarebbero stati dimezzati.
“Forse ho esagerato un po’ con Rowle.” Altro senso di colpa, perché non credeva si trattasse di una coincidenza che il taglio alle loro risorse fosse avvenuto giusto due giorni dopo il suo spiacevole colloquio con il padre di Olimpia Rowle.
“Problemi, problemi e ancora problemi. Ma sono a casa, per ora. Posso metterli da parte, almeno per un po’”  
-Come? Ah già- sospirò Logan, deluso, il faccino roseo oscurato da un broncio che non era stato in grado di trattenere. Logan sapeva che il suo papà si impegnava molto, che era un eroe e che era il papà migliore del mondo, ma a volte era difficile da mandare giù. Specie in momenti come quelli, quando avrebbe solo voluto passare più tempo con lui.
-Credi che Bobby si sia lavata i denti?- gli chiese Jessie, con noncuranza -sai, se l’ha fatto, forse potremmo giocare a gobbiglie per qualche minuto, prima che ti metta a letto-
Il cuore di Jessie scoppiò vedendo un sorriso rischiarare il volto del figlio. Sì, gli sarebbe mancato moltissimo, quando sarebbe partito per Hogwarts.

 
Lo strappo dato dalla Passaporta li aveva spossati, Kai piegato in due dalla nausea, Olimpia in preda alle vertigini. Era stata una decisione improvvisa, quella della ragazza. Forse fatale. Ma ora come ora, di chi si sarebbe potuta fidare, se non dei suoi compagni?

 -Mi piacciono le ragazze- aveva confessato, tutto d’un fiato. Non riusciva a guardare in faccia suo fratello, l’unico che potesse in qualche modo contrastare le ire paterne. Era stato difficile quanto necessario, dopo tutto quello che era successo ad Hogwarts, i due anni precedenti. Fortunatamente, la sua relazione con Jenny non era stata scoperta da nessuno, soprattutto perché la piccola Grifondoro, aiutata dallo scarso tatto con cui le aveva annunciato che non intendeva approfondire ulteriormente il loro rapporto, se n’era vergognata talmente tanto da cominciare una relazione con un suo compagno di casa, onde evitare qualsiasi fraintendimento. Probabilmente dirle che l’aveva solo usata per “sperimentare qualcosa di diverso dai soliti, noiosi Sanguesporco” aveva giocato a suo favore. Jenny era troppo orgogliosa per sopportare di essere stata presa in giro, tanto meglio per lei. Faceva ancora male, però. Un male necessario. Era una Rowle e non poteva permettersi di macchiare l’onore della sua famiglia, non così. Perciò ci aveva provato, ci aveva provato davvero. Fino a quando non aveva deciso di parlarne con Orion, perché sapeva che alla lunga non ce l’avrebbe fatta. La sola idea di sfiorare un uomo le faceva accapponare la pelle ed era quello che sarebbe capitato, se fosse stata zitta e buona, lasciandosi travolgere dal destino. Un destino sottoforma di un contratto matrimoniale, un futuro da incubo.
-Beh, abbiamo un problema- aveva risposto il fratello, dopo un attimo di silenzio. Olimpia si era sentita mancare, un vuoto orribile e terrificante le aveva afferrato il petto. Avrebbe potuto sopportare tutto, dalle battutine di cattivo gusto alle offese ben più pesanti, se avesse avuto Orion al suo fianco. E non l’avrebbe avuto.
-Non possono esserci due sciupafemmina, in famiglia, Olly, ti pare?-
Dopo un attimo di sconcerto, Olimpia gli si gettò tra le braccia, piangendo di gioia. Orion era dalla sua parte, Orion l’aveva accettata quindi sarebbe andato tutto bene. Poche settimane dopo, lei e James erano in partenza per gli Stati Uniti, dove, in pochissimo tempo Olimpia si era affermata all’interno della cerchia dell’elite magica come organizzatrice d’eventi. Dove avrebbe incontrato Constance.

 
La sua etica non gli avrebbe mai permesso di sottrarsi a quello che vedeva come un dovere inderogabile. E non farsi carico della sua parte dell’indagine avrebbe significato non fare il suo lavoro. Se da una parte il caso di Kai sembrava essere ad un punto morto, dall’altra il fascicolo dei Rowle sembrava una forma di formaggio svizzero, da quanto era piena di buchi. E il buco più grande era proprio il punto centrale: c’era stata una truffa, ma chi ne era stato vittima? Di certo non il patriarca e con ogni probabilità neppure i tre figli maschi, tutti ben inseriti nella società magica e apparentemente intoccabili. Riguardo alla figlia, però, c’era il vuoto. Il patrimonio famigliare era praticamente intonso, eppure Orion Rowle aveva riscattato molti favori e liquidato azioni e possedimenti, chiaro indice di guai, almeno per delle famiglie di quel rango. Aveva trovato singolare il modo in cui era spartito il denaro di famiglia: nonostante fosse Orion ad occuparsene, data la sua professione, nessuno dei figli sembrava possederlo veramente. Certo, avevano tutti le mani bucate, ma la maggior parte delle spese individuali cadeva sulla loro professione. Non c’erano dote o lasciti, neppure per i matrimoni. A Jessie era sembrato ingiusto e ai limiti della legalità, ma probabilmente l’utilizzo di quel sistema arcaico aveva salvato la famiglia dalla rovina. Per sua sfortuna, però, i Rowle erano e sarebbero rimasti inattaccabili e Jessie sospettava che senza il loro apporto non sarebbero andati da nessuna parte. Le prospettive erano nere. Ecco ciò che avevano al momento: un gruppo di truffatori a piede libero, alcuni tra i presunti truffati dispersi e irrintracciabili e nessuno disposto a condividere o quantomeno ad ammettere ciò che aveva subito. Non si era mai sentito così incapace e frustrato. Senza che potesse controllarlo, un ringhio gli fece tremare le labbra.
“Per Godric non adesso, ti prego”  

 
-Dove siamo?-
Kai si guardò attorno, affascinato. L’abitazione in cui erano arrivati era piccola ed elegante, calda e confortevole. Chiaramente di lusso, a giudicare dai mobili costosi.
“Olimpia ha un posto segreto, chi l’avrebbe mai detto.”
-È di un amico- mugugnò lei a mezza voce. Da come studiava l’arredamento e le pareti dello chalet, sembrava che Kai non fosse mai stato in un posto simile. Anzi, sembrava quasi ubrico e stordito allo stesso tempo. Come se il costo di quel luogo, tutto quel lusso, lo sopraffacesse. Avrebbe riconosciuto ovunque quel timore unito indissolubilmente all’eccitazione, Olimpia, perché l’aveva provato anche lei. Sapeva quanto poteva essere esaltante, anche se per motivi del tutto differenti.
“Eppure di sicuro non è così... insomma, è stato truffato anche lui, dev’essere stato per forza ricco.” Tentò di ricordare quale fosse stata la reazione del ragazzo quando si era recato nel maniero di famiglia, per quel loro primo incontro.
“Non sembrava... sì, sembrava tutto normale, no? E poi, casa nostra è molto più grande e sfarzosa rispetto ad altre tenute simili... sicuramente è molto più bella di quella di Rosier. Un po’ di sorpresa e ammirazione ci sta, no? Sempre che non fosse troppo eccessiva... e se lavorasse con loro? Ma allora perché? E poi, no, non può lavorare con loro... non sembra così... abile” Non avrebbe mai potuto metterci la mano sul fuoco, però. Il dubbio di aver commesso un errore, di essersi fidata della persona sbagliata le piombò addosso, contorcendole le viscere.
“No, tesoro. È tutto nella tua testa. Puoi fidarti di Kai. Siete parte della stessa squadra.”
Eppure... qualcosa le diceva che sarebbe stato meglio tenere la guardia alzata e, alla prima occasione, condividere i propri dubbi con Esu e quell’orribile Rosier. Sicuramente loro avrebbero saputo cosa fare.

 
L’assalto alla villa era andato male. Il posto era vuoto e, ad una rapida analisi, sembrava che le persone che erano all’interno si fossero smaterializzate non molto tempo prima. Come se fossero stati avvisati. Bas se n’era andato senza dire una parola, la rabbia repressa chiaramente visibile dalla contrattura delle spalle e dal viso tirato. Jessie rabbrividì, quasi compatendo Atia Williams, da cui LeFevre stava probabilmente tornando in cerca di risposte. E, a proposito di risposte, sembrava che quella casa ne avesse poche, da offrirne. Sospirò, rassegnato. Doveva richiamare Montague e compilare il rapporto dell’irruzione, lambiccandosi il cervello nel tentativo di giustificare quello spreco di tempo e soldi.
“Non ce la faremo mai. Abbiamo bisogno d’aiuto, anche se Montague e LeFevre non lo ammetteranno mai. E ne abbiamo bisogno soprattutto adesso, perché senza risultati concreti, non andremo da nessuna parte, visto che sono già decisi a tagliarci fuori. Forse è il caso di avvisare Dex. Sì, Dex saprà cosa fare.”

 
Olimpia si era stancata di discutere e, permeata da quella nuova diffidenza nei confronti di Kai, aveva deciso di agire per conto proprio. Aveva contattato James, dandogli appuntamento nei dintorni del paese ai piedi delle Alpi più vicino. Erano passati due giorni dalla loro fuga precipitosa e aveva bisogno di notizie dall’esterno. Possibilmente, qualcosa di diverso da ciò che i vari giornali e le riviste di gossip potevano raccontare. E James era esattamente la persona giusta. Ripensò con amarezza che un tempo sarebbe stata lei il centro della vita mondana magica. Dopo aver fatto coming out in modo subdolamente teatrale, James aveva sdoganato e in parte abbracciato lo stereotipo dell’amico gay affidabile, dolce e comprensivo. Una volta che aveva capito che il suo desiderio di vivere di musica non era realizzabile e non perché gli mancasse la determinazione necessaria, quanto perché era totalmente privo di un talento oggettivo, James aveva deciso di sfruttare le sue qualità migliori: pazienza, arguzia e la fiducia istintiva che gli altri, soprattutto le donne, sembravano riporre in lui. Era diventato una sorta di vaso di Pandora per quanto riguarda i pettegolezzi, i segreti e le manie della comunità magica mondiale e allo stesso tempo ne era diventato il risolutore. Olimpia non sapeva definire con esattezza il lavoro dell’amico, ma sapeva che era delle sue conoscenze che avevano bisogno.

 Dopo ore di chiacchiere inutili, in cui Olimpia aveva guidato la conversazione sulle notizie più scabrose del mondo magico, la sua attenzione era stata richiamata da due scandali in particolare: il primo riguardava Lacelot Selwyn, fotografo, che era stato denunciato da alcune modelle. Si ricordava di Selwyn, era stato coinvolto insieme ad Ermes in una certa faccenda, durante il penultimo anno ad Hogwarts del fratello. Olimpia non aveva mai saputo i particolari solo che ad Ermes non piaceva. Se non ricordava male, Selwyn era scapolo e molto ricco, malgrado l’abitudine di circondarsi di poveracci. Il secondo, era un classico caso di corna. Herman Szymankowski, un ricchissimo imprenditore polacco, era stato lasciato dalla moglie, una Yaxley particolarmente vendicativa perché beccato con l’amante. Niente di strano, se non che la Yaxley e la ragazza avevano cominciato a uscire insieme, presumibilmente come coppia, dopo il risarcimento milionario che la donna aveva ricevuto.
Sembrava, in entrambi i casi, proprio il modus operandi dei loro truffatori.  

James sapeva che Olimpia si trovava in guai seri. Lei non gli aveva detto nulla, anzi, la loro ultima conversazione seria risaliva ad un anno prima, quando Olly gli aveva confessato di essersi innamorata e che era decisa a sposarsi a qualunque costo. Un campanello d’allarme era risuonato nella sua mente, nel sentire quelle parole. La giovane donna che parlava in quel modo, così incurante della propria famiglia, così pronta a sballarsi e a fare festa ad ogni occasione, avventata e stupida non era la Olly che lui conosceva. C’era qualcosa che non andava e aveva ragione. Non conosceva i particolari, ma da Orion aveva saputo tutta la storia. Il suo principale-ombra, che casualmente era il fratello maggiore della sua migliore amica, lo aveva assunto anche per quello, non solo per le sue innate doti investigative. Orion sapeva che Olimpia gli avrebbe chiesto aiuto e gli aveva già dato istruzioni. James avrebbe obbedito, ovviamente. Non solo perché aveva imparato ad amare quello che faceva, ma perché si fidava di Orion Rowle: sapeva che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per proteggere la sua famiglia. E Olly era anche la sua.   

 
Rhett attraversò l’atrio del Ministero della Magia con passo sicuro, un sorriso apparentemente rilassato sul viso. In realtà, aveva ben poco di cui essere allegro. Non era riuscito nella sua campagna di conquista e incolpava Aarons del suo fallimento, dato che lo aveva richiamato in patria un po’ prima rispetto al previsto. Non che si fosse arreso, questo no, ovviamente. Anche se non si era unito alla disastrosa irruzione nella villa di Rosier, aveva carpito tramite sussurri e pettegolezzi che questo contrattempo non avrebbe comportato nulla di buono. Prima di partire per la Svezia, sarebbe stato più che felice di un fallimento di tale portata da parte di Aarons, perché pensava che gli avrebbe servito su un piatto d’argento la possibilità di mettere in risalto le proprie capacità. Però, durante tutte le ore vuote, che a casa avrebbe certamente occupato in altri modi, certo che il proprio nome avrebbe ovviato al problema rappresentato da burocrazia e liste d’attesa, aveva avuto modo di riflettere. Era arrivato alla conclusione che non poteva assolutamente continuare così. Avrebbe cambiato radicalmente il suo modo di vivere o almeno ci avrebbe provato. Il punto di partenza più ovvio era senz’altro il suo luogo di lavoro. L’epifania era giunta proprio grazie ad Adele: Jessie non rappresentava necessariamente un nemico da battere; con ogni probabilità, se lui avesse fallito, anche lui e LeFevre avrebbero condiviso la sua sorte. Pensare ad Adele lo fece ritornare all’unica cena che era riuscito ad ottenere, un appuntamento molto rigido, quasi formale (tipico di Adele) in cui si era sentito stranamente a proprio agio e libero di essere sé stesso, senza dover dimostrare nulla a nessuno. Era stato stranamente piacevole e anche se la serata non era terminata come era nelle sue intenzioni, ne era stato pienamente soddisfatto. Non vedeva l’ora di ricevere notizie da Adele, sapere come stava e come si sentiva; non vedeva l’ora di raccontarle tutto, di vantarsi, se l’indagine fosse finita bene o di farsi consolare da lei se si fosse rivelata un disastro completo. Fremeva dalla voglia di rivederla e non necessariamente per spassarsela.
“Mah, mi sto rammollendo, forse è l’età. Forse dovrei andare in pensione come quella carogna di Morgan.”

 Come se l’avesse evocato, lo spettro del vecchio lo accolse in ufficio. Non era esattamente una visione, Dex Morgan, in bermuda, camicia hawaiana, sandali e i capelli bianchi legati, a scoprire il viso mutilato. Stava berciando contro Jessie, reo di aver disturbato la sua vacanza da sogno, anche se, dal sollievo e dall’eccitazione che la sua voce raschiante e lontana lasciavano trapelare, non era certo una colpa così grave. Rhett si sedette composto, in silenzio, ascoltando i resoconti dei suoi colleghi. Sembrava che LeFevre avesse fatto fruttare al meglio la sua parte, soprattutto dopo l’irruzione. Jessie sembrava soddisfatto, anche se appariva estremamente provato e sbattuto, come se non avesse dormito per almeno tre notti di fila. Dex, invece, sembrava un predatore pronto a scattare sulla preda. Rhett scartabellò le proprie carte in silenzio, sfogliando le buste quasi distrattamente, finché l’occhio non si imbattè nella calligrafia regolare e quadrata di Adele. Il suo cuore prese a battere un po’ più forte. Mise da parte la lettera, cercando di concentrarsi sul proprio lavoro.
-Una volta che saremo riusciti ad identificare i nostri truffatori, dovremo pensare ad una trappola- stava dicendo Dex.
-Avevamo pensato a qualcosa del genere- intervenne Jessie -pensavamo di attirare i truffatori con la promessa di lauti guadagni e di arrestarli non appena avessero messo mano al denaro-
-Geniale, per fortuna che ho affidato il comando ad un piccolo prodigio della lotta al crimine- commentò Dex, acido -ovvio che è questo l’unico modo per prendere quei bastardi-
Jessie arrossì, ma non ribattè.
-Sono sicuro che uno di voi signorini, dopo un piccolo accorgimento alla storia personale, sarà perfetto per interpretare la parte del pollo. Dico bene, Romeo?- riprese Dex.
Nessuno rispose. Nel silenzio che seguì, Rhett finalmente capì che l’anziano ex-Auror intendeva indicare proprio lui. Borbottò un “sì” poco convinto, che fece aggrottare le sopracciglia di Morgan e sorgere un sorrisetto irritante sul viso di LeFevre.
-E come si incastrerà questo piano con la linea d’azione di LeFevre?- chiese Jessie, forse un po’ più duramente di quanto volesse. Montague e LeFevre gli lanciarono uno sguardo incuriosito.
-Finalmente Godric ci ha fatto la grazia di farti fare una domanda intelligente, Aarons- e, infervorato, Dex prese a sviluppare l’idea appena abbozzata, cercando di prevedere tutti gli imprevisti e le contromosse degli avversari.
-C’è ancora un problema, Dex- lo interruppe ad un certo punto Jessie, contrito -io potrei... insomma, Rowle ci ha tagliato i fondi-
L’anziano Auror tacque, accigliandosi. Si erano aspettati che l’uomo sbottasse in una delle sue famose sfuriate, ma quel silenzio sembrava quasi peggio.
-E allora, Aarons? Non mi pare che sia questo grande problema. Quindi...-
Prima che potesse continuare, una voce di donna, in lontananza, ma chiaramente minacciosa, lo interruppe.
-Cosa? Ma ti pare che abbia voglia tornare ad inseguire criminali, mio pasticcino alla crema?- lo sentirono dire, zuccheroso, rivolto a qualcuno che non potevano vedere.
-Mentirti? Ma come ti viene in mente mio... Signori, non so come vi sia venuto in mente di disturbarmi, ma che questa sia la prima e l’ultima volta- Dex non sembrava particolarmente convinto -Ecco, visto mio pudding? Niente di... Heed! Quella era la riproduzione di una Firebolt del ‘38, Tosca laida! Heed!-

 

Angolo dell’Autrice: Ci è voluto un bel po’ per finire questo capitolo, anzi, l’ho ricominciato e riscritto talmente tante volte che temevo di essermi trasformata in una sorta di Penelope, ma senza un motivo valido a farmi procrastinare. Comunque, eccomi qui, sana, salva e mezza liquefatta. Ma non sono qui per lamentami di questo caldo assassino e di quelle bestie di satana delle zanzare.
Vi avviso che il prossimo sarà un capitolo di transizione, in cui l’azione (cercherò di non perdermi via, lo prometto) avrà una parte preponderante. Da quello dopo, avevo intenzione di cominciare ad esplorare il passato dei nostri cari truffatori, se per voi va bene.
Alla prossima!

  

   
 
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