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Autore: Abby_da_Edoras    14/08/2019    4 recensioni
Con questa long fic vado a infastidire anche la prima stagione della serie TV "I Medici", ma per un buon motivo: come sempre, salvare la vita ai personaggi che mi sono piaciuti e, anche in questo caso, uso la tecnica della leggerezza, della parodia, e inserisco un personaggio originale, Giovanni Uberti, il cui prestavolto è l'attore che interpreta Jeremy Gilbert in The Vampire Diaries (non c'entra niente, ma mi piaceva!). Dunque, Giovanni arriva a Firenze per motivi tutti suoi, personali e familiari, e si troverà suo malgrado proprio nel bel mezzo delle lotte intestine tra Medici e Albizzi. Nonostante all'inizio non voglia assolutamente farsi coinvolgere, poi si troverà fin troppo coinvolto! E sarà lieto fine per tutti, perché io scrivo per questo.
Voglio mettere in chiaro che in questa storia mi ispiro esclusivamente alla serie TV e che non voglio minimamente arrecare offesa a qualunque personaggio storico venga nominato. Per le parti relative agli Uberti e alla loro storia, mi ispiro al romanzo "Il Cavaliere del giglio" di Carla Maria Russo.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a autori, registi e produttori della serie TV "I
Genere: Angst, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Medici Abby's Version'
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Capitolo decimo

 

One, two, three, four - see the hungry want some more
Five, six, seven, eight - Take it now or it's too late
Nine, ten, eleven, twelve - Soon it's time to leave this place
We will not forget

Oh we have come to your town with our following
To bring you light but we are gone very soon

We are the kings of a world that has never been
Oh we are bound to the ship of doom

Oh when the sun is down and the moon is up
Our story will be told…

(“Ship of Doom” – Xandria)

 

“Voi non avete alcun potere, amico mio” replicò con calma quel Giuda.

Solo allora Albizzi iniziò ad avere la vaga sensazione di aver appena fatto un’emerita stronzata, ma era tardi per rimediare. Dalla stanza accanto uscì il Gonfaloniere Guadagni con l’espressione di un impresario delle pompe funebri, mentre da altre porte irrompevano guardie armate.

“Con le vostre parole avete condannato voi stesso” disse, probabilmente anche con una certa soddisfazione. Si avvide che nella stanza era presente anche Giovanni e immaginò, giustamente, che la serata sarebbe stata più emozionante del previsto.

“Sono un fedele cittadino della Repubblica” dichiarò Albizzi, peccato che ormai non ci credesse più nessuno… “Siete voi i traditori, siete voi!”

Le guardie lo afferrarono per le braccia e stavano per trascinarlo via, nonostante lui si opponesse con tutta l’energia che aveva in corpo, ma proprio a quel punto intervenne, finalmente, Giovanni, con grande soddisfazione del Gonfaloniere che si chiedeva perché non avesse ancora reagito.

“Messer Albizzi ha ragione, siete un traditore, uno sporco traditore come tutti i vostri antenati!” gridò il ragazzo, saltando praticamente alla gola di Pazzi. Una guardia lo trattenne, ma lui non smise di urlare. “La vostra maledetta famiglia ha cospirato per distruggere la mia, perché erano invidiosi del loro potere e prestigio, e ora voi avete fatto la stessa cosa con Messer Albizzi. Voi e la vostra stirpe siete la progenie del demonio, dovreste essere estirpati dalla faccia della Terra!”

Il Gonfaloniere Guadagni capeva che avrebbe dovuto intervenire, ma in fin dei conti Pazzi non correva alcun reale pericolo, la guardia teneva Giovanni ben stretto e lui si divertiva a veder impallidire quell’uomo tanto svelto a pugnalare alle spalle un amico quanto spiazzato di fronte alla furia di un diciassettenne disarmato.

Dal canto suo, Rinaldo era rimasto allibito nel vedere Giovanni che si scagliava con tanta rabbia per difenderlo… non credeva di contare così tanto per lui, o forse lo capiva per la prima volta in quel momento?

“Ragazzino” disse Andrea Pazzi, cercando di riprendere un tantino di dignità, “se non la smetti subito di insultarmi sarò costretto a far arrestare anche te.”

“Io per voi sono Messer Uberti!” rettificò il ragazzo, sdegnato. “E sì, fate bene, fatemi pure arrestare, chiudetemi in una cella e buttate via la chiave, perché sappiate… sappiate che, se mi lasciate libero, io vi giuro che tornerò in un momento che non vi aspettate e vi taglierò la gola.”

Pazzi impallidì ancora di più, tanto per la rabbia quanto per la veemenza di quella promessa terribile.

“Messer Guadagni, lo avete sentito? Questo ragazzo ha appena osato minacciare di morte un nobile fiorentino. Dovete farlo arrestare all’istante!” reagì.

“Messer Uberti, vi chiedo di non aggravare la vostra posizione o dovrò davvero farvi rinchiudere” tentò di calmarlo il Gonfaloniere.

“Fatelo, allora! Fatelo, perché altrimenti io lo ammazzo davvero. Mi avete capito? Io. Lo. Ammazzo!” insisté Giovanni.

“Messer Guadagni, potete lasciare che gli parli io?” intervenne allora Albizzi, che a quel punto, vedendo Giovanni in pericolo, aveva accantonato i propri problemi e desiderava solo che quel ragazzino impudente e irresponsabile non si mettesse nei guai per lui. “Concedetemi qualche minuto per parlare da solo con lui, in una stanza qui vicino, e io riuscirò a calmarlo, ve lo garantisco. Le guardie potranno presidiare la porta e dopo mi lascerò portare in carcere senza oppormi. Solo, lasciate stare il ragazzo.”

“Come potete fidarvi di un traditore, Gonfaloniere Guadagni? Probabilmente lo sono tutti e due e voi…” protestò Pazzi, ma Guadagni lo zittì.

“Andate pure. Le guardie saranno alla porta e non avrete modo di evadere, ce ne sono altre fuori dal palazzo. Se pensate di poter tranquillizzare il ragazzo, Messer Albizzi, vi concedo il permesso di parlargli” disse.

Rinaldo prese Giovanni per un braccio e lo condusse in una stanza accanto. Le guardie si misero subito a presidiare l’uscita, mentre Pazzi scuoteva il capo, ancora indignato.

“Io ve l’avevo detto, ma voi non mi avete ascoltato, non mi ascoltate mai!” protestò Giovanni, non appena fu da solo con Albizzi. “Ora vi arresteranno e cosa ne sarà di voi? Ci avete pensato? O meglio, pensate mai prima di aprire bocca e darle fiato?”

L’uomo non era proprio in vena di stare a sentire le solite critiche petulanti del ragazzino. Lo afferrò per le spalle e lo strinse a sé.

“E invece tu? Farti arrestare ti è sembrata la soluzione più intelligente? Non devi assolutamente comprometterti per me” gli disse. “E’ vero, ho fatto un grosso sbaglio a fidarmi di Pazzi, ma ormai non posso tornare indietro. C’è una sola cosa che posso fare e la farò: impedire che sia tu a fare una sciocchezza.”

“Non posso lasciare che vi portino via, che vi facciano del male” ammise Giovanni, poi sembrò rendersi conto di quello che aveva detto e corresse il tiro. “Volevo dire, è ovvio, non lascerò che facciano anche a voi quello che hanno fatto ai miei antenati!”

Suo malgrado, a Rinaldo scappò un sorriso, anche se in quella situazione non c’era proprio da stare allegri. Avvolse Giovanni in un abbraccio strettissimo e lo baciò con foga e disperazione, consapevole che poteva benissimo essere l’ultima volta che gli era concessa la dolcezza di sentire quel corpo delicato tra le braccia e quelle labbra morbide.

“Avevi ragione, mi sono fidato delle persone sbagliate che mi hanno tradito” ammise poi l’uomo, sempre tenendo tra le braccia Giovanni, “ma ora tu devi essere più scaltro di me e non farti arrestare. Sei un ragazzino, il Gonfaloniere perdonerà la tua intemperanza.”

Il giovane Uberti era poco convinto, ma annuì.

“Comunque… io ve l’avevo detto che dei Pazzi non ci si può fidare, vi avevo detto di non mettervi nelle mani di quel voltagabbana e che avreste dovuto scegliere meglio le vostre amicizie” insisté. “Ve lo dicevo che sareste finito male…”

“Dicevi bene, direi” rispose Albizzi con un sorriso amaro. “Proprio per questo adesso tu devi starne fuori, non metterti in mezzo, non reagire. Siamo intesi?”

Giovanni rifletté un istante prima di rispondere.

“Va bene, non reagirò, non mi farò arrestare, ma per un solo motivo. Io devo essere libero per potervi salvare! Perché io vi farò uscire di prigione, non permetterò che vi facciano del male, io farò tutto quello che posso e vi salverò, ve lo giuro… ve lo giuro sul nome degli Uberti!” affermò, deciso.

Ancora una volta Rinaldo non poté fare altro che stringere e baciare quel ragazzo che dimostrava di tenere così tanto a lui… e anche lui iniziava a pensare che ci fosse qualcosa di più, che quel Giovanni Uberti non fosse solo il ragazzino petulante che sembrava ma che fosse molto più maturo e forte della sua età. Lo baciò ancora e ancora, chiedendosi se lo avrebbe mai più rivisto, rammaricandosi del fatto che si era accorto troppo tardi di quanto valesse e aveva sprecato tanto tempo prezioso che ora rimpiangeva. Si dovette fare violenza per riuscire a staccarsi da lui.

“Adesso io devo uscire da questa stanza e lasciarmi portare via dalle guardie e tu non commetterai imprudenze, me lo prometti?” insisté Albizzi.

“Sì” acconsentì Giovanni a malincuore, “ma ve l’ho già detto: vi prometto anche che vi libererò!”

“Sei un bravo ragazzo” commentò Albizzi in tono affettuoso, mentre usciva con lui dalla stanza. “I tuoi antenati sarebbero fieri di te.”

Poi si voltò verso il Gonfaloniere e le guardie, che erano rimaste ad attenderlo fuori dalla porta.

“Possiamo andare, non opporrò resistenza” disse. “Ma lasciate andare il ragazzo, lui non c’entra niente e, anzi, ha tentato in ogni modo di fermarmi.”

Guadagni era ben felice di non dover procedere contro Giovanni. Fece un cenno alle guardie e queste portarono via Albizzi.

Il ragazzo rimase immobile per un lungo momento, chiedendosi perché mai provasse un tale senso di vuoto e disperazione dentro. Certo, era perché nell’arresto di Rinaldo Albizzi aveva vissuto la persecuzione di Farinata degli Uberti e della sua famiglia, che altro poteva essere? Ma stavolta lui c’era e non avrebbe permesso che ad Albizzi accadesse ciò che era accaduto a Farinata… o peggio.

Lanciò uno sguardo carico di rimprovero al Gonfaloniere e poi, prima di andarsene anche lui, si avvicinò nuovamente ad Andrea Pazzi.

“Siete un traditore e un codardo, non meritate nemmeno che mi sporchi le mani con voi” sibilò. “Che sia maledetta la vostra dannata famiglia, tutta la vostra ascendenza e la vostra discendenza. Maledetta la vostra famiglia!”

Dette queste parole, Giovanni voltò le spalle a tutti quanti e uscì da quel palazzo, scrollandosi la polvere da sotto le scarpe come per evitare di essere contagiato dal morbo del tradimento e della corruzione. Ma le sue frasi, pronunciate con una voce grave e solenne, probabilmente retaggio del sangue antico e nobile degli Uberti, riecheggiarono a lungo nello studio di Pazzi e l’uomo, non sentendosi per niente tranquillo ma senza voler ammettere di aver paura di un ragazzino, si rivolse al Gonfaloniere.

“Messer Guadagni, siete sicuro di ciò che fate? Avete lasciato andare quel giovane che non sembra affatto in sé, forse dovrebbe essere tenuto in custodia” disse.

Il Gonfaloniere era soddisfatto di aver incastrato Albizzi, ma era una persona corretta e quelli come Pazzi, pronti a vendere gli amici per un vantaggio personale, lo disgustavano.

“Messer Pazzi, vi ringrazio per il vostro appoggio, Albizzi era ormai un pericolo per Firenze e la Signoria doveva ridurlo all’impotenza. Ma il giovane Uberti è amico dei Medici, non è un traditore e la sua reazione non dovrebbe stupirvi: in fondo non è stata la vostra famiglia, tanti anni fa, a sostenere i Donati per far cacciare i suoi antenati? Giovanni degli Uberti non è una minaccia per Firenze e io non ho motivo di arrestarlo. Se voi non siete convinto di questo, forse è la vostra coscienza che vi rimprovera qualcosa” replicò, con sguardo duro. Poi anche lui se ne andò, lasciando Andrea Pazzi da solo, nel suo studio, con la vaga sensazione di essere considerato una specie di verme schifoso anche da chi avrebbe dovuto essergli grato…

Ma doveva essere una caratteristica di famiglia, il sangue non è acqua, no?

La Signoria aveva inviato dispacci a Venezia informando Cosimo dell’arresto di Albizzi e chiedendo l’immediato ritorno dei Medici a Firenze. Così, pochi giorni dopo, Cosimo e la sua famiglia fecero il loro ingresso trionfale in città, tra ali di folla festante che inneggiava il loro nome e con la benedizione di tutta la Signoria.

Beh, a dire la verità, Pazzi non era contento per niente del ritorno di Cosimo e tanto meno dell’entusiasmo di Firenze per i Medici… ma questi erano fatti suoi, ne aveva tradito uno, avrebbe potuto ben tradirne due, no?

E anche Cosimo avrebbe presto avuto i suoi grattacapi, visto che, da Venezia, si era portato una serva di nome Maddalena che lo aveva aiutato a sventare il complotto dei milanesi ed era diventata la sua amante… ma anche questi sarebbero stati fatti suoi e di Contessina e a noi frega il giusto della vita coniugale di Messer Medici, che se la gestisse come meglio credeva!

Passiamo alle cose importanti, invece. Quello stesso giorno, Cosimo ricevette la visita del Gonfaloniere Guadagni che gli dava il benvenuto e gli spiegava che, in sua assenza, Rinaldo Albizzi ne aveva combinate più di Carlo in Francia * e aveva portato Firenze sull’orlo della rovina. Per questo era stato arrestato e sarebbe stato condannato a morte.

Per sua fortuna, Giovanni non aveva l’abitudine di origliare, perché non avrebbe potuto trattenersi se avesse udito le parole di Guadagni, tuttavia non era nemmeno uno stupido e sapeva bene che il destino di Albizzi sarebbe stato segnato… se lui non fosse riuscito a fare qualcosa, nella fattispecie convincere Cosimo a intercedere per il rivale.

Dopo la visita del Gonfaloniere, il Medici si concesse un meritato pranzo nella sua stanza, con la sola compagnia del fidato Marco Bello. Giovanni, però, come un avvoltoio, aspettava soltanto di trovare Cosimo da solo per cinque minuti per potergli parlare della questione che tanto gli stava a cuore.

Quando Marco Bello ebbe lasciato il palazzo, inviato chissà dove dal suo padrone, Cosimo de’ Medici si ritrovò di fronte un Giovanni molto agitato.

“Messere, perdonatemi se vi disturbo proprio oggi, so che siete sicuramente stanco per il viaggio e che avete mille incombenze a cui pensare, ma io… io ho bisogno che voi mi ascoltiate” gli disse tutto d’un fiato. “Solo voi potete aiutarmi in questa… in questa cosa! Ah, a proposito, bentornato a Firenze, sono contento di vedere che state bene.”

Suo malgrado, Cosimo si lasciò sfuggire una risata. Tra i musi di Contessina, le pretese di Lorenzo e le rivelazioni di Marco Bello, la spontaneità sfacciata di Giovanni era una boccata d’aria fresca.

“Ti ascolto, Giovanni, cosa posso fare per te?”

“Voi dovete… cioè, io vi prego di intercedere per la liberazione di Messer Albizzi” esclamò, senza tanti giri di parole.

“La liberazione di Albizzi? Mi sono perso qualcosa durante i mesi di esilio a Venezia e adesso stai dalla sua parte?” domandò Cosimo, ma era più divertito che scandalizzato.

“Non sto dalla sua parte, gli ho detto e ripetuto mille volte che non doveva fidarsi di Pazzi e che assoldare mercenari per incutere il terrore a Firenze era un’idea folle e sconsiderata” replicò Giovanni, facendo di nuovo ridere il Medici che si figurava la scena… “Però adesso lo hanno messo in prigione e vogliono… vogliono che muoia e io non posso permetterlo, non voglio che la storia si ripeta, non deve succedere a lui quello che è accaduto ai miei antenati!”

In condizioni normali, Cosimo avrebbe cercato di tranquillizzare e di convincere Giovanni che non c’era altra soluzione… però quelle non erano condizioni normali.

Marco Bello gli aveva rivelato poco prima che riteneva che Rinaldo non fosse responsabile dell’avvelenamento di suo padre e che avrebbe indagato per scoprire il vero colpevole.

Cosimo si sentiva comunque pur sempre in colpa per ciò che era accaduto con Albizzi vent’anni prima e pensava che, forse, se non fosse stato per quello, Rinaldo sarebbe diventato un uomo diverso.

Era quindi ben disposto ad ascoltare le richieste del ragazzo, sapendo bene che, anche senza le sue insistenze, avrebbe tuttavia cercato di salvare il rivale dalla condanna a morte.

Fine capitolo decimo

 

 

 

 

* Modo di dire ironico di derivazione storica, che Messer Guadagni avrebbe benissimo potuto usare: significa “farne di più di quanto Carlo Magno abbia fatto in Francia”, con riferimento alle tante battaglie combattute. Non so se lo usassero nella Firenze del 1432, ma poteva starci e a me piace tantissimo usarlo! XD

 

 

 

 

   
 
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