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Autore: Quebec    14/08/2019    1 recensioni
Netrom Morten, un Bretone Negromante, scopre il cadavere di una donna dissanguata vicino la città di Skingrad. Conoscendo personalmente il Conte Janus Hassildor, spera di trovare il colpevole, ma dietro quella sua curiosità si cela ben altro...
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Il Conte Hassildor sa."
"Forse sospetta."
"E' la stessa cosa."
"Tu gli hai parlato. Devi aver scoperto qualcosa."
"Scoperto? L'unica cosa che ho scoperto è che non mangia molto."
L'Elfo Scuro aggrottò le sopracciglia.
"Perché sospetti che sia un vampiro? A me non hai mai dato questa impressione." Disse Clavis Bauteus, sorseggiando del vino Surille da un boccale d'argento. "Spero tu non l'abbia spifferato ai quattro venti, sennò..."
"Mi offendi, Conte Bauteus."
Il Nobile Clavis lo guardò per un po', poi sorseggiò li vino. Non rispose. 
Erano seduti nel soggiorno di una grande villa che il Conte Clavis Bauteus usava spesso per trascorrere qualche settimana lontano dal trambusto di corte. Arredata con ricchi tappeti variegati, mobilio ricercato e costoso, e una catina nascosta dove si poteva entrare solo da una botola nascosta sotto una cassa. Era qui sotto che Clavis immagazzinava il vino che poi rivendeva in tutta Tamriel, aumentando il suo già abnorme patrimonio. Una recinzione di ferro circondava l'edificio, protetto giorno e notte da mercenari di diverse razze armati fino ai denti. Anche quando il Nobile era assente o faceva ritorno alla corte nella Città Imperiale, i suoi mercenari restavano di guardia alla villa. Giardini ben curati, diversi viali, fontane e boschetti, ed era distante da Skingrad circa 2 miglia. Il sole filtrava dalle alte finestre del soggiorno, sfiorando le scarpe del Nobile Clavis, che spostò i piedi nella zona d'ombra. 
L'Elfo Scuro si alzò dalla sedia, che sembrava quasi una poltrona dallo schienale riccamente elaborato. Raggiunse la caraffa di vino sulla credenza, prese un boccale d'argento e si versò da bere.
Il Conte Clavis taceva e beveva, finché non si alzò anche lui dalla sedia, raggiungendo la finestra. "Se ti aspetti delle scuse, beh, aspetti invano."
"Mi hai ingaggiato per scoprire la verità sul Conte Hassildor." L'Elfo Scuro si voltò verso di lui, il vino che ballava nel boccale. "Ti dico che è un Vampiro. Lo sento, lo percepisco, non dirmi come, ma lo so." Mentì l'Elfo Scuro che sapeva ormai con certezza l'identità del Conte Hassildor.
"E dovrei crederti sulla parola? Senza uno straccio di prova. E poi oltre a questo, il tuo compito era anche far fuori i Vampiri" Il Nobile sorseggiò il vino. "Scoprire l'identità del Conte era secondario, non primario."
L'Elfo Scuro sorrise compiaciuto, ma ignorò l'ultima frase del Nobile. "Non ho mai incontrato di persone il Conte Hassildor, ma c'è qualcuno che afferma che lui sia un Vampiro."
"E chi? Un plebeo straccione che hai corrotto per fargli dire quello che vuoi?"
"Sei troppo agitato." L'Elfo Scuro bevve, guardandolo da sopra il boccale. Gli piaceva far irritare il Nobile Clavis Bauteus.
"Io agitato? Io? Sei tu quello agitato, qui." Il Conte Clavis gettò uno sguardo irato fuori dalla finestra, vedendo un giardiniere al lavoro sulle siepi, che di tanto in tanto buttava occhiate fugaci attraverso la finestra di fronte, dove la moglie del Conte Clavis andava spesso per leggere e rilassarsi. Serrò gli occhi.
"Se ti dicessi che ho per le mani un Vampiro?" Rispose l'Elfo Scuro
Il Conte Clavis, il vino che scendeva nella gola, si strozzò, si voltò e sputò il liquido sul lungo tappeto blu, macchiandolo in vari punti. "Vampiro? Tu hai..."
"Catturato un vampiro." Nel viso dell'Elfo Scuro si disegnò un lieve sorriso, mentre i suoi occhi rimasero inespressivi. "E' stato piuttosto facile con le tue dritte. Il Vampiro era di guardia alla caverna, almeno così pareva."
"Ti ho solo detto dove "forse" erano rintanati." Sottolineò Clavis.
"Ed è stata un ottima informazione. Se posso, come sapevi che il covo era lì?"
"Covo? Oh per i divini." Il Nobile Clavis gettò un rapido sguardo preoccupato in alto, verso il soffitto a cupola della camera. Posò il bicchiere sul tavolo, toccandosi la prominente pancia. "Ho la nausea. Saranno a centinaia la sotto... Progetteranno di invadere Tamriel, di ucciderci tutti..."
L'Elfo Scuro lo scrutò perplesso, ignorando la sua agitazione, anche se gli piaceva farlo agitare. "Dove hai ottenuto le informazioni?"
"Ottenuto, dici?" Il Conte Clavis lo fissò irritato, i denti serrati. "Sono decenni o più che i Vampiri fanno i loro affari in quella merdosa caverna vicino a Skingrad. Appena le voci girano, la minaccia viene sventata. Eppure, in città non c'è nessun cacciatore di taglie o di Vampiri. Solo guardie cittadine ben addestrate e zelanti, forse anche troppo." Sbuffando, si lasciò cadere sul divano posto davanti alla larga finestra che dava sulla balconata. "Sai cosa penso? Anzi, cosa ho sempre pensato o... Dannazione! Non mi viene la parola. Comunque, che il Conte Hassildor andava lì, con al seguito la guardia cittadina, e faceva a pezzi quei mostri. Ma quello che mi chiedo, e perché i Vampiri si recano sempre nello stesso identico posto? In quello abisso di caverna? Perché proprio Skingrad e non altre città..."
"I vampiri lo sanno e lo hanno sempre saputo." Disse L'Elfo Scuro, sorseggiando il vino. "E non lo dico io, ma un Vampiro in carne ed ossa. Te lo dirà lui" Fece un sorriso inquietante. "Avanti, vieni con me. Te lo presento."

*****

Erano le tre di notte. La gente dormiva nelle loro case, i clienti erano andati via da un pezzo, le strade, misteriosamente desolate. Nessuna guardia di puttaglia, nemmeno agli angoli o nelle zone buie. Erina, straccio in mano, puliva i tavoli impregnati di alcol e pezzi di cibo, quando Netrom Morten entrò dalla porta. Aveva un aria tetra, quasi persa nei suoi oscuri pensieri, perché oscuri, erano diventati pure i suoi pensieri oltre i suoi sogni. Erina preoccupata, buttò lo straccio sul tavolo e andò da lui, quasi correndo. Netrom Morten, le pupille dilatate, completamente nere come l'ebano, non gli prestò attenzione. Erina sbiancò, non riconoscendo né l'uomo, né il suo sguardo. "I suoi occhi sono... diversi." Pensò Erina.
Il bretone si sedette al bancone, lo sguardo fissò nel vuoto. Erina le corse dietro come una ragazzina infatuata, piazzandosi dietro il bancone, di fronte, a un passo da lui.
Netrom Morten iniziò a borbottare, fissando il nulla.
"Cosa ti è successo?" Erina allungò una mano verso la sua.
Il Bretone la ritrasse istintivamente, mentre i suoi occhi sbatterono e fissarono quelli di Erina, come se l'avesse vista solo ora. La donna indietreggiò, sbattendo la spalla contro lo scaffale. Alcune bottiglie caddero, rompendosi al suolo. Erina, le mani e la spalla contro lo scaffale, si allontanò lentamente da lui. 
Netron Morten la seguì con lo sguardo, continuando a borbottare qualcosa sotto voce. In quelle frasi sconnesse, la donna udì la parola scusa, ma non ne era certa. Di scatto, Netrom Morten si alzò dalla sedia, rovesciandola per terra. Lentamente si avvicinò a Erina, che tentò una rapida fuga, ma invano. Lui l'afferrò da dietro i capelli, la strattonò, facendola inginocchiare. La donna gridò aiuto, le unghie che graffiavano le mani ossute, raggrinzite di lui, ridotte a pelle scorticata e sanguinante. D'un tratto, la porta dell'entrata si spalancò. Sulla soglia, comparve il Conte Hassildor, una fiale giallastra in mano. Camminò verso Netrom Morten, mentre due guardie cittadine richiusero in tutta fretta la porta alle sue spalle. Il Bretone inclinò lievemente la testa, come un predatore che osserva la sua preda. Lasciando la presa dai capelli di Erina, si avvicinò al Conte Vampiro. Terrorizzata, Erina corse dietro il bancone, i capelli scompigliati, gli occhi rossi dal pianto, ciocche di capelli sparsi sul pavimento di pietra. Strane ombre si proiettarono sulle pareti, strisciando confuse in varie direzioni. Le luci delle candele si affievolirono, ma non si spensero.
"Conte Hassildor..." Rugì una voce, echeggiando distorta, profonda, quasi demoniaca dalle labbra del Bretone.
"Cosa ne hai fatto di Netrom Morten?" Il Conte Hassildor serrò gli occhi.
"Lui osserva..." Sorrise qualunque cosa ci fosse all'interno del Bretone. Un sorriso inquietante, malefico.
Il Conte Hassildor osservò che il Bretone non aveva il suo inseparabile bastone magico paralizzante.
"Ha cercato di paralizzarsi ancora, non è vero? Non voleva che tu prendessi il controllo..."
"Maledette parole... Conte Hassildor... Non mi piace parlare..."
Il Conte Hassildor tolse velocemente il tappo dalla fiala, ma la mano ossuta del Bretone lo afferrò, lo strinse forte come un Minotauro che fracassa un cranio con un mano. CRACK! Il Conte Hassildor lasciò cadere la fiala a terra, riversando il liquido giallastro sul pavimento di pietra della locanda. Non sentiva più le dita.
Netrom Morten mise l'altra mano attorno al collo del Conte Vampiro, stringendo un poco. "Ti piace il fuoco... Voi dovet..."
Qualcosa di pesante lo colpì dietro la testa. Netrom Morten cadde sulle ginocchia, gli occhi che tornavano bianchi o neri in una frazione di secondi, mischiandosi, scambiandosi, senza mai prendere un unica forma. Poi un'altro colpo alla testa. Cadde di faccia a terra, il sangue che sgorgava dalla ferita.
"No! Cosa hai fatto!" Tuonò il Conte Hassildor, incendiandola con gli occhi rossi, i lunghi canini sporgenti come zanne.
Erina, la robusta clava insanguinata in mano, indietreggiò di qualche passo. Scoprì in quell'istante che il Conte che aveva sempre amato e supportato era in realtà un Vampiro. 
"Non dovevi farlo! Non dovevi!" Il Conte Hassildor toccò la testa calva del Bretone, e venne percorso da una strana sensazione piacevole. "Odore di sangue. Solo un assaggio..." Pensò il Conte Vampiro, cacciando subito quelle parole dalla sua testa, ma non ci riuscì del tutto. Fissò i rivoli di sangue scendere dalla ferita, cadere sul pavimento. Restò ipnotizzato.
Erina se ne accorse e fece per colpire il Conte Hassildor, ma lui bloccò la robusta clava con una mano. 
Il Conte Hassildor confuso, la fissò negli occhi per un istante. Poi scrutò le vene del collo della donna pulsare sotto la pelle. "Sangue caldo..." Pensò il Conte Vampiro fra sé, ma cercò di mandar via quel pensiero. Lasciò la presa dalla clava. "Prendi uno straccio pulito e un bottiglia di Idromele! Subito" Tuonò, scuotendo la testa come se gli avessero buttato addosso dell'acqua ghiacciata.
Erina, il fiato corto, il cuore che batteva impazzito, fece come ordinato, ma non mollò la presa dalla clava. Tornò dal Conte Hassildor con gli stracci, ma lo trovò immobile che fissava il sangue fuoriuscire dalla testa di Netrom Morten. "Gli stracci, C-Conte..." Glieli porse, mentre con l'altra mano, serrava la presa attorno al manico della clava, pronta a colpire.
Il Conte Hassildor si destò come da un sogno ad occhi aperti, prendendo gli stracci senza guardarla. "Dov'è la bottiglia di Idromele?" Si voltò verso la donna.
Irrigidita, la donna corse a prenderla e tornò in un lampo.
"Versala sulla ferita!" Ordinò il Conte Hassildor senza guardarla.
Erina fece come ordinata, ma non distolse lo sguardo nemmeno per un istante dal Conte Vampiro.
"Basta!" Disse il Conte Hassildor. "Allontanati!"
Erina terrorizzata e confusa, tornò direttamente dietro il bancone, come se il bancone potesse aiutarla a fungere da scudo qualora il Conte Hassildor l'avesse assalita per bere il suo sangue.
Il Conte Vampiro congiunse entrambi le mani, borbottò delle frasi e una sfera di luce rossastra comparve dalle sue dita. La testa di Netrom Morten venne attorniata dalla presa di quella sfera magica, e dopo un minuto il sangue smise di sgorgare. Per il Conte Hassildor era stato difficile non cedere alle sue tentazioni, a non farsi trascinare dagli abissi, a non venir inghiottito da quel male che sapeva ormai controllare da anni e anni. Poi la sfera scomparve e il Conte Hassildor si accasciò al suolo. Tentò di rialzarsi, ma senza successo. Le mani scivolarono inconsapevolmente sul pavimento insanguinato. Il Conte Vampiro fissò le dita, "Solo un assaggio...", e lentamente si diressero verso le sue labbra come fossero estranei al suo corpo. Qualcosa lo colpì dietro la testa.

*****


Il Conte Clavis seguì l'Elfo Scuro lungo un corridoio, scesero alcune scale e si ritrovarono in una piccola stanza piena di casse, barili e scaffali vuoti. Storse il naso, e lo guardò. Si aspettava da un momento all'altro che l'Elfo Scuro trascinasse via la cassa che era sopra la botola, ma non fu così. In una zona inghiottita dall'oscurità, due occhi rossi si accessero come un focolare in una buia notte. Clavis indietreggiò spaventato.
"Non aver paura." Disse l'Elfo Scuro. "E' ben legato." Prese una torcia spenta su una cassa e mise la parte superiore vicino a una accesa sul muro. Poi si diresse verso la zona buia; un angolo in realtà.
I due occhi rossi si chiusero, e la luce della torcia illuminò un viso pallido, ossuto, con gli occhi infossati. Indossava un vestito di velluto inzuppato d'acqua, sporco di fango e bucherellato in più parti. Era scalzo sulla fredda pietra bagnata.
Alla sua presenza, il Nobile Clavis trasalì, mettendosi una mano davanti alle labbra carnose.
Il Vampiro cercò di proteggersi il viso con le braccia, ma le catene legate ai polsi glielo impedirono. Così strisciò con le spalle al muro, contorcendosi, chiudendosi a guscio, pur di non guardare la luce della torcia.
"Alzati!" L'Elfo Scuro gli toccò la schiena con la punta dei suoi stivali neri, macchiati di fango.
Il Vampiro non si mosse.
Il Mer gli mollò un calcio nelle costole. Il Vampiro si mise seduto, mettendo le mani sulla parte dolorante, lo sguardo sul pavimento.
"Ti ho detto di alzarti!" L'Elfo Scuro avvicinò la torcia alla pelle pallida del Vampiro, fumo biancastro uscì dalla sua pelle.
Nauseato, il Conte Clavis prese un fazzoletto da una tasca e se lo portò al naso. Stava quasi per vomitare.
Il Vampiro indietreggiò, serrando i denti dal dolore. Mise le mani sul muro, e facendo pressione, si alzò lentamente.
L'Elfo Scurò gli afferrò il mento, stringendolo un poco. "Fai vedere il viso."
Il Vampiro fece come ordinato, socchiudendo gli occhi e cercando di tenersi lontano dal fuoco della torcia. 
Con un pollice, l'Elfo Scuro gli alzò il labbro superiore, facendo intravedere i lunghi canini appuntiti. Poi tenendo le dita sul mento, spinse via il Vampiro, facendolo urtare di schiena contro il muro.
"E' davvero un Vampiro." Aggiunse il Conte Clavis, sorpreso e schifato nello stesso tempo.
"Digli quello che hai detto a me." Disse L'Elfo Scuro al Vampiro.
Il Vampiro borbottò qualcosa sottovoce, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento. Il Conte Clavis si avvicinò per sentire, ma il Vampiro gli si lanciò contro con estrema violenza e rapidità, cercando di affondare i denti nel collo del Nobile. L'Elfo Scuro gli sferrò un colpo con la punta della torcia, ustionando la scapola destra del Vampiro che si ritirò istintivamente indietro. Con le punta delle dita, si toccò la parte ferita, serrando i denti dal dolore.
Il Conte Clavis indietreggiò fino all'entrata, tremando dalla paura.
"Non rifarlo mai più! Urlò l'Elfo Scuro, muovendo la torcia davanti ai suoi occhi. 
Il Vampiro abbassò gli occhi, appoggiando la testa contro la parete.
"Non farmelo ripetere un altra volta!" Disse l'Elfo Scuro. "Digli quello che hai detto a me!"
"Conte Hassildor è un Vampiro." Rispose il Vampiro.
"E poi?"
Il Conte Clavis tornò accanto all'Elfo Scuro, incuriosito.
"E poi..." Il Vampiro tornò ad ammutolirsi.
"Vuoi che ti colpisca?" Gridò l'Elfo Scuro, agitando la torcia davanti a lui.
Il Vampiro distolse lo sguardo, cercando invano di proteggersi il viso con le braccia. "Ero lì per entrare a Skingrad... Fare un covo sotto la città, nelle fogne."
Il Conte Clavis non capì. "Perché nelle fogne? Le caverna ti puzza più degli escrementi di Troll o qualsiasi bestia ci viva dentro?"
"No." Il vampiro alzò lo sguardo, incrociandolo con quello di Clavis. "Lì risiede il mio padrone. Altri prenderanno il mio posto."


 
*****
 
Hal-Liurz aprì la porta della camera da letto del Conte Hassildor, chiudendola alle sue spalle. Il Conte Vampiro giaceva sul suo letto, le mani unite sul ventre. Le luci delle candele illuminavano debolmente il letto, una tavolo e una sedia. Il resto della camera era inghiottità dall'oscurità. Hal-Liurz andò da lui, posò due dita da rettile sulla sua fronte e le ritrasse. Sbuffando dalle narici, si sedette al suo fianco. "E' venuto qualcuno?"
"Nessuno, oltre te." Rispose una voce nell'oscurità. 
"Non c'è bisogno che resti nell'ombra."
Il viso di Brongor emerse dall'oscurità. Andò a sedersi vicino all'Argoniana. "Le voci dicono che..."
"Le voci non sono vere!" Lo zittì Hal-Liurz. 
"Ma Erina..."
"Erina si trovava nel posto sbagliato, nel momento sbagliato."
"Ma lei..."
"Smetti di parlare." Dalla voce dell'Argoniana provenne un leggero fruscio; era la lingua che sbatteva sul suo palato.
"Io devo sapere." Disse Brangor, guardando il viso del Conte Hassildor.
Hal-Liurz se ne accorse, ma non disse nulla.
Ci fu un momento di silenzio, interrotto da Brangor. "Pensi che verrà qualcuno? Me lo hai detto cinque volte di avvertirti se veniva qualcuno. Perché?"
"Sei pesante." Tagliò corto l'Argoniana.
Brangor si alzò, cercando con lo sguardo una caraffa. Qualsiasi Alcolico gli sarebbe andato bene, pure lo schifoso vino Surille.
Hal-Liurz capì con uno solo sguardo le sue intenzioni. "Non qui. Non davanti al Conte Hassildor. Vai giù, nelle cucine."
Brangor annuì, abbassando gli occhi. Poi andò verso la porta.
"Un altra cosa," Disse l'Argoniana. "Tieni le mani lontano dalle serve o te le taglio." Serrò gli occhi da rettile. "E questa volta dico sul serio!"
Brangor, che gli dava le spalle, uscì dalla camera da letto. Non aveva più sete.
Il Conte Hassildor mosse un dito, ma l'Argoniana non se ne accorse.

*****

"Dov'è la stanza?"
"Chi cercate?"
"Un Bretone, non ricordo il nome." Disse il Guaritore confuso.
"Perché siete qui?" Chiese la guardia.
"Per guarirlo, che altro sennò. Voi stupidi giovani..."
"Ah, da questa parte." Indicò la guardia, ignorando quello che il Guaritore stava dicendo.
Il Guaritore diede una fugace occhiata al corridoio, rimanendo confuso. "Ci sono dieci stanze in questo corridoio. Accompagnami" Sbuffò il Guaritore.
La guardia, una spada d'acciaio sul fianco sinistro, si fece seguire dal Guaritore. Superarono sette porte, aprendo l'ottava. Il Guaritore entrò, spingendo la guardia con il gomito, che non disse nulla.
La piccola camera era arredata in modo scarno; un letto, una sedia e una candela accesa sul comodino scassato.
Il Guaritore si voltò verso la guardia. "Sei ancora qui? Lasciami da solo!"
La guardia non si mosse, anzi, divaricò le gambe, mise le mani dietro la schiena con fare autoritario.
Il Guaritore intuì che la guardia non se ne sarebbe andata. "Va bene, va bene, rimani, allora. Ma sono sicuro che sei qui per osservami." Alzò una mano in aria, imprecando sotto i denti. "Nessuno si fida di noi Bretoni. Tutti a puntare il dito 'Siete negromanti! Voi fate morire la gente per usarla per oscuri esperimenti o come non-morti!. Voi Bretoni..."
"Piantala! E fai il tuo lavoro." Disse la guardia seccato.
Il Guaritore si ammutolì, sbuffando.
Netrom Morten, steso sul letto, la bocca leggermente aperta, indossava una tunica bianca, macchiata di chissà cosa.
"Vediamo un po'." Il Guaritore mise le mani dietro la testa di Netrom Morten. Tastò il cranio. "Nella norma." Con una mano, gli girò il viso. Notò una ferita semi guarita. Il Guaritore aggrottò le folte sopracciglia grigie. "Un lavoro... scarso, ma del tutto privo di talento. Guaritori da quattro soldi, scommetto." Mentì il Guaritore, facendosi udire dalla guardia. In realtà la ferità era stata ben curata dal Conte Hassildor prima che le forze lo abbandonassero. Congiungendo le mani, un intensa sfera rossastra comparve tra le dita del Guaritore. La sfera di energia volteggiò in aria fino alla ferita di Netrom Morten. Poi lentamente perse d'intensità fino a scomparire. La ferita scomparve.
La guardia seguì ogni dettaglio di quello che aveva fatto il Guaritore.
"Hai visto?" Disse il Guaritore. "Io non uccido la gente, la curo. Se tutti i guaritori fossero come me il mondo..."
"Fai il tuo lavoro!" Tuonò la guardia.
"Ho finito." Il Guaritore si alzò dalla sedia.
"Di già?"
"Sono un professionità. Solo i dilettanti passano ore a curare un ferito."
"Chi mi dice che non stai mentendo."
Il Guaritore sbuffò. "Alloggio nella Gilda dei Maghi di Skingrad. Se entrò un ora questo..."
"Il suo nome è Netrom Morten." Aggiunse la guardia.
"Se 'Nerotem qualcosa' non si sveglia entro un ora, allora verrai a cercarmi e ti ridarò indietro l'oro pattuito."
"Ancora non ti ho dato il tuo oro."
Il Guaritore allungò una mano verso di lui, senza dire nulla.
La guardia lo fissò per un momento, decidendo se dargli o meno il compenso.
"Allora?" Chiese il Guaritore.
La guardia prese la borsa di monete legata attorno alla cintura e gliela diede.
Con un mano, il Guaritore fece tintinnare i septim all'interno della borsa. Poi la fissò per un momento, come se stesse scrutando al suo interno, senza aprirla. "Sì, settanta Septim come pattuito. Il mio lavoro è finito. Se avete bisogno di me, sapete dove alloggio."
"Contaci." la guardia lo osservò lasciare la stanza.
Il Guaritore percorse il corridoio arrivando alla fine, poi si fermò di colpo. Confuso, si guardò attorno. "Guardia! Dov'è l'uscita?"
La guardia sbuffò, irritata.

*****

"Davvero io non lo so cosa gli è preso..."
"Non è mai successo prima d'ora?"
"No..."
"Sei sicura?"
"Ti ho detto di no." Erina, le catene alle mani, sedeva attorno a un piccolo tavolo rotondo, piangendo e singhiozzando.
Era nella sala degli interrogatori. Le guardie cittadine la portarono qui dopo che videro il Conte Hassildor steso per terra e Erina con un clava insanguinata in mano. La presero e la buttarono nelle segrete senza pensarci due volte. La sala interrogatori era un luogo buio e freddo. Una candela adagiata su un piattino di argento illuminava solamente il tavolo. I muri della stanza sembravano inesistenti per la fitta oscurità. Ma dietro di essa, c'era il carceriere, braccia conserte, spalle adagiata al muro, che non toglieva gli occhi di dosso da Erina. La donna indossava una lunga tunica marrone al di sopra delle ginocchia, mangiucchiata in più parti dalle terme.
"Quindi perché li hai colpiti?" Disse Brangor, misteriosamente sobrio e serio.
"Non potevo fare altrimenti."
"Perché?" Ripeté Brangor.
"Il Conte..." Erina lo guardò per un istante, poi si girò alla sua destra, dove c'era la guardia ferma nell'ombra come un assassino pronto a saltare alla gola del bersaglio.
Brangor intuì che Erina aveva paura di parlare. "Puoi dirmelo. Io sono un socio del Conte... Beh, non proprio, ma sono un suo uomo fidato... Una cosa del genere." Non riuscì a trovare le parole adatte.
Erina si accigliò, non avendo capito niente.
"Ascolta, puoi dirmelo. Nessuno ti farà del male, te lo prometto."
Erina abbassò gli occhi sul tavolo, poi sulla fiammella della candela "Ho colpito il Conte perché lui..." Smise di parlare per un po'. Poi guardò Brangor. "...Perché lui stava per assaggiare il sangue di Netrom Morten con le dita."
Brangor spalancò gli occhi, sopreso. "Intendi che l'aveva morso o..."
"No, no, il sangue era sul pavimento. Le sue mani erano... sporche di sangue. Lui lo stava per assaggiare quando l'ho colpito... Avevo paura che mi uccidesse..." Erina scoppiò nuovamente a piangere, abbassando la testa.
Brangor non rispose.
Il Carceriere uscì dall'oscurità. Era un Imperiale alto, calvo, spalle massicce, il mento squadrato e la fronte larga. Indossava un armatura logora della guardia cittadina che puzzava di sudore. Una mazza chiodata era appesa al fianco destro. Si mise dietro a Brongor, braccia conserte. Non disse nulla. Guardò in modo minaccioso Erina, che distolse subito lo sguardo intimidita.
"Riguardo a Netrom Morten..." Disse Brangor, non facendo caso al carceriere alle sue spalle.
"Non era lui..." Rispose frettolosamente Erina. "Aveva il suo viso, il suo corpo, ma... Non era lui. Sembrava un'altro..."
"Un'altro?" Disse Brangor perplesso.
"Era come posseduto, non so... Non so spiegarlo... Non me ne intendo di Negromanzia... Lui voleva... uccidermi!" Singhiozzò, nascondendo il viso dietro le mani per non farsi vedere che piangeva.
"Pensi che..." Brangor si ammutolì. Non poteva parlare di Netrom Morten davanti al carceriere. Non del suo oscuro passato. Non sapeva se il carceriere era un uomo leale verso il Conte Hassildor.
"Io non so cosa pensare." Rispose Erina, credendo che fosse una domanda.
Brangor non rispose. "Forse ho sbagliato a parlare davanti al carceriere." pensò.

*****

Nella villa del Conte Clavis Bauteus, la sua giovane moglie sedeva su una lussuosa poltrona dai tessuti riccamente decorati. Indossava un lungo farsetto grigio scuro, decorato con rose rosse dal ventre in giù. I seni prosperosi, a pressione sotto il vestito, sembravano intenti ad esplodere da un momento all'altro. Leggeva un libro; Storia dell'impero Vol.1. In realtà, faceva finta di leggere. Sapeva di essere osservata e le piaceva. Posando il libro sul tavolino, si alzò. Con le dita, si sistemò le pieghe del vestito dai fianchi e dal sedere. Un grosso sedere sodo a pressione contro il vestito. Qualunque cosa indossasse, risultava sempre provocante, anche se non era nelle sue intenzioni esserlo. Riprese il libro, e facendo finta di leggere, si diresse verso la lunga finestra. Con la coda del l'occhio, intravide una sagoma nascosta dietro il tendaggio tirato verso l'angolo. La giovane donna si voltò, chiuse di scatto il libro facendo rumore, e fissò la tenda. 
L'uomo uscì fuori lentamente, sollevando un lembo di tenda. "Mi avete trovato." Alzò le mani in segno di arresa.
"Non sapete nascondervi, questo è certo." Sorrise la giovane donna.
L'uomo si avvicinò al suo viso, la presa da fianchi e la tirò a sè. La guardò negli occhi per qualche istante, e la baciò. La giovane donna fece cadere il libro sul pavimento, affondando le dita nella schiena di lui. Baciandola intensamente, l'uomo la trascinò verso la scrivania piena di pergamene e libri. L'afferrò vigorosamente da sotto i glutei, strizzandoli un poco, e la face sedere sul tavolo. Con le dita, la giovane donna abbassò frettolosamente i pantaloni dell'uomo, mentre lui fece scivolare le mani nei suoi seni, accarezzandoli, palpandoli e facendoli uscire dal vestito come due pere morbide, ma sode.
Poi un sibilo, susseguito da un rumore sordo. L'uomo indietreggiò, guardandosi il petto. Vide la freccia a punta larga sbucare da sotto l'addome. Poi un altro sibilo. L'uomo gemette. La giovane donna, immobile dal terrore, vide l'uomo voltarsi lentamente indietro. Un altro sibilo. L'uomo cadde a terra con una freccia conficcata nel petto, spezzando quella dietro la sua schiena. Tentò di alzarsi, sollevò una mano in direzione della giovane donna, ma lei nascondendo l'apatia per quella scena, non le sfiorò. Rantolando, si mise su un lato e morì, gli occhi aperti e privi di vita in una pozza di sangue che si andava formando.
La giovane donna guardò dritto davanti a sè.
"Questo è il nono." Disse l'Elfo Scuro, sulla soglia della porta.
"T-Tu!" La giovane donna si passò la lingua sulle labbra eccitate per ciò che era accaduto, si era bagnata persino le mutandine. "I-io l'amavo!"
"Come gli altri amanti che ho ucciso?"
"Lui era s-speciale." La giovane donna scoppiò a piangere.
"Lacrime di coccodrillo. Smettila! Non ti è mai fregato niente di lui. Era solo il tuo giocattolo sessuale."
"Ti farò tagliare l-la testa!" Urlò lei, allontanandosi dal corpo senza vita dell'uomo. "Mio m-marito..."
"Il Conte Clavis mi ha ordinato di ucciderlo. Magari se amassi tuo marito invece di fare la puttana con..."
"Come osi chiamarmi puttana!" Gridò la giovane donna, scivolando quasi sulla pozza di sangue. Si mantenne con le mani sullo schienale della poltrona. "Sono la moglie di un C-Conte! Esigo rispetto e delle s-scuse!"
L'Elfo Scuro sorrise, il suo viso rimase di pietra. "Sai quanto è difficile per il Conte Clavis trovare altri lavoratori? Hai fatto uccidere due giardinieri, un cuoco, due armaioli, tre mercenari e questo qui, che non so nemmeno chi è e cosa faceva."
"Era un..."
"Un idiota attratto dalle tue gambe perennemente spalancate." La interruppe l'Elfo Scuro.
La giovane donna, rossa in viso, prese un libro dalla scrivania e lo lanciò contro l'Elfo Scuro, che deviò il colpo spostandosi di lato in modo del tutto naturale.
"La solita storia." Aggiunse L'Elfo Scuro. "Ti è difficile tenere le gambe chiuse? Lo sai che tutti quelli che ti scopi mirano alla tua borsa, ai tuoi danari. Ti è difficile capirlo o intuirlo? Ah, dimenticavo. Tu usi loro, non loro te. Ma sono spinti solo per la tua ricchezza, non certo per la tua faccia da... da Troll!" Provò gusto a dirlo.
La giovane donna divorata dalla rabbia, cercò di raggiungerlo, ma scivolò sul sangue, imbrattandosi il vestito.
L'Elfo Scuro rise, mentre i suoi occhi rimasero freddi come il ghiaccio.
"Ti odio!" Urlò la donna. "Ti farò uccidere! T-Ti darò in pasto ai miei m-mastini!" mentre imprecava, si bagnava e si eccitava sempre più.
L'Elfo Scuro lasciò la stanza ridacchiando tra i denti. I servi entrarono per ripulire lo studio.

*****

Conte Hassildor aprì gli occhi di colpo. Si mise seduto sul letto in un lampo. Hal-Liurz dormiva e non si accorse di niente. Il Conte Vampiro la guardò per un secondo, poi alzandosi, si toccò il retro della testa. Le dita sfiorarono i capelli, ma non c'era nessuna traccia della ferita. Non ricordava molto di quello che era successo. Tutti i suoi ricordi si fermavano fino al polso rotto da Netrom Morten. Poi l'oscurità. 
Senza svegliare Hal-Liurz, lasciò la camera da letto. Proseguì per il corridoio, lo studio e infine beccò la prima guardia posta davanti alla porta della sala del trono. 
La guardia trasalì alla sua presenza, cercando di deglutire senza farsi notare. "Conte Hassildor."
"Dov'è Netrom Morten?" Rispose il Conte Vampiro fissandolo negli occhi.
"E'..." Balbettò la guardia. "E' in u-una delle stanze d-dei servi. Abbiamo..."
"Rimani qui." Lo interruppe il Conte Hassildor. "Se Hal-Liurz chiede di me, digli che sono al capezzale di Netrom Morten."
La guardia annuì. "Certamente, m-mio signore." aprendo la porta per la sala del trono, fece passare il Conte Vampiro. Poi la richiuse alle sue spalle.
Il Conte Hassildor, nel suo tragitto, incontrò altre guardie, ma disse loro di rimanere dov'erano e di non dire nulla a nessuno che si era ripreso. Per sua fortuna, Hal-Liurz aveva scelto come corpo di guardia del castello uomini leati e devoti al Conte, quindi non c'era il rischio che le voci raggiungessero Skingrad. 
Mentre s'incamminava verso le stanze dei servi, incontrò Brangor che rimase sorpreso di vederlo in piedi.
"Ma..." Disse Brangor stupefatto. "Ma... Conte Hassildor!"
"Sto bene, ma non ho tempo di scambiare due chiacchiere." Tagliò corto il Conte Vampiro, incamminandosi.
"Dove siete diretti? Alla cella di Erina?"
Il Conte Hassildor si fermò di colpo. Si voltò verso Brangor. "Erina è nelle segrete? Perché?"
"Vi ha colpito con un clava. Non ricordate?" Brangor indicò il retro della sua stessa testa. "Proprio qui dietro."
"Lei ha salvato me e Netrom Morten." Pensò il Conte Vampiro, ma non lo disse a Brangor.
 

*****

L'oscurità lo avvolgeva. Netrom Morten non sentiva nulla. Qualcosa però, si muoveva attorno a lui. Camminava, volava, strisciava. Percepiva qualcuno o qualcosa, ma non vedeva nulla. Flebili suoni provenivano da tutte le direzioni, suoni che non aveva mai udito. Provò a toccare il suo corpo, ma non trovò nulla di solido. "Sono morto?" pensò. 
Poi sentì dei passi, un rumore pesante e sordo. Il terricciò che scricchiolava sotto pesanti stivali. Lontano, poi vicino. Alle sue spalle, poi dritto davanti a sè. Spariva e ricompariva. Infine, silenzio. Un silenzio assordante che lo costrinse a gridare, ma non aveva voce. I passi ritornarono. I tacchi degli stivali che battevano sul pavimento di marmo. Netrom Morten lo intuì, lo sapeva con assoluta certezza. Poi il suono lentamente si allontanò, lasciando un leggero eco indistinguibile. 
"Netrom Morten..." L'oscura voce profonda, pensante lo fece trasalire.
Il Bretone non vide nessuno. Voleva parlare, ma non aveva voce. Si sforzò così intensamente, che gli sembrò che una piccola luce bianca uscì da quella che doveva essere la sua bocca. Era piccola come una stella in cielo. 
"Non puoi sfuggirmi..." La stessa voce lo raggiunse all'orecchio, come in un sussurro.
Netrom Morten sobbalzò spaventato. 
"L'oscurità che hai sempre desiderato... Ora sei nel piano che più si avvicina al tuo misero... cuore... Ricordo i tuoi battiti... ricordo il tuo sangue... Ti ho offerto l'immortalità... Il potere assoluto su tutto e tutti..."
Lentamente l'oscurità si dissolse, come se una fioca luce remota e proveniente da chissà dove, stesse lentamente illuminando il luogo dove si trovava. 
Qualcosa strisciò alle sue spalle. "Luce... Hai sempre odiato la luce... Tu eri fatto per l'oscurità... Lo rammenti?"
Netrom Morten, gli occhi sgranati, cominciò a vedere. Si portò le mani davanti agli occhi come se il sole l'avesse accecato dopo aver passati molti giorni nel sottosuolo. Ma lì non c'era il sole. Solo un cielo plumbeo, rosso all'orizzonte. Qualunque direzione guardasse, l'orizzonte era sempre il medesimo. 
Finalmente vide il suo corpo, la terra arida, le colline irregolari, gli alberi morti e un villaggio in preda alle fiamme. Corse verso le casupole di legno, il fuoco che divorava ogni cosa, persino la terra arida sotto di esso. Alzò lo sguardo verso il fumo che si elevava in cielo. Il fumo iniziò a vorticare, curvarsi, fino a prendere direzioni diverse. Poi scomparve. Netrom Morten rimase immobile, guardandosi attorno. 
D'un tratto, il fumo nero si materializzò davanti ai suoi occhi, due fessure violaceo ardevano al suo interno. "Netrom Morten..." Sibilò la voce in tono cupo. "Questa è la terra che ti aspetta... la tua terra... Quella che tu hai forgiato nel tuo passato... L'eredità distruttiva che hai donato alla gente..."
Netrom Morten non riuscì a distogliere lo sguardo da quelle due fessure violacei.
"Ricordi questo villaggio..? Il villaggio che tu stesso hai dato alle fiamme... Che visione magnifica... Grida, morte, distruzione... Corpi carbonizzati... Mi hai donato i bambini come dono... Perché li hai sgozzati..? Perché non hai lasciato che io prendessi le loro anime..? Perché mi hai voltato le spalle..?"
Netrom Morten sentì una rabbia intensa e incontrollabile scorrergli lungo tutto il corpo. Cercò di distogliere lo sguardo, di chiudere gli occhi, di muovere mani e piedi, ma non poteva sfuggire. Solo assistere, osservare, ascoltare e ricordare.
Gli occhi violacei si fecero vicini, il fumo svaniva, compariva, come se stesse perdendo forza, potere, intensità. Poi una voce raggiunse le orecchie di Netrom Morten, una voce dolce, rassicurante, che conosceva, ma col volto annebbiato, oscurato, "Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l'abisso ti guarda."
Ci fu il vuoto, l'oscurità, la quiete.
   
 
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