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Autore: crazy lion    20/08/2019    3 recensioni
Attenzione! Questa storia si ambienta tra i capitoli 43 e 44 della mia fanfiction “Cuore di mamma” e non può essere letta senza prima averlo fatto con quest’ultima, che è ancora in corso.
È il primo novembre e Mackenzie, alla quale la festa di Halloween non è mai interessata nonostante abbia solo cinque anni, decide che anche se è tardi ne vorrebbe una. Cosa faranno a questo punto Andrew e Demi? Le diranno che è tardi e di aspettare l’anno successivo, oppure… Ma questa non è solo una storia allegra. I pochi giorni nei quali si colloca daranno modo ai personaggi di riflettere sulle loro difficoltà e sofferenze, di aprirsi di più, di approfondire cose importanti di cui, forse, avrebbero dovuto parlare prima.
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Vale non solo per Demi, ma anche per gli altri personaggi famosi di cui ho parlato.
Genere: Drammatico, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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HALLOWEEN ARRIVA A NOVEMBRE
 
DEDICA
 
Questa lunga one shot, che non ho mai pensato di dividere in capitoli, è dedicata ad alcune persone.
Innanzitutto a Demi Lovato. Sì, so che questo è il suo fandom. Il fatto è che lei oggi, il 20 agosto 2019, compie ventisette anni. Tanti auguri! L’anno scorso non sono riuscita a pubblicare “Buon compleanno” in questo giorno ma oggi ce l’ho fatta con la seguente storia e ne sono molto felice. Demi, non la leggerai mai, almeno credo, ma sappi che è un regalo che ti faccio in questo giorno speciale. L’ho scritta proprio pensando a ciò.
Grazie perché la tua musica e le tue parole mi aiutano in questi anni difficili, ma soprattutto grazie di mostrarti per quello che sei, ovvero una persona buona, e di dire che anche tu come noi sei imperfetta. Ti apprezzo proprio perché, da quel che ci mostri, sembri amare le piccole cose e perché conosci i tuoi limiti. Mi dai l'idea di una ragazza molto dolce e tranquilla, hai una voce e una risata bellissime e quando canti sei stupenda. Non dimenticherò mai il tuo concerto a Bologna dell'anno scorso. Ho sentito un legame con te che ha superato qualunque barriera, è stato così forte da non poterlo descrivere. Dopo, lo so, non hai passato un periodo facile, ma spero che ora tu ti sia ripresa. Prenditi tutto il tempo che ti serve e torna a cantare a mostrarti a noi solo quando sarai pronta. Io ti aspetterò.
 
La seconda persona a cui dedico la mia storia è la mia amica Emmastory, che mi ha dato l'idea di base da cui sono partita, suggerendomi un prompt che aveva trovato su Facebook e che poi io ho un po’ modificato. Grazie per tutto, cara, per essere una persona tanto speciale che mi sta sempre accanto e che cerca di tirarmi su quando non sto bene.
 
Infine, ultimi ma non per importanza, credo che sia giusto dedicare il racconto anche a tutti i bambini del mondo che ancora non hanno una famiglia, che si trovano in orfanotrofio, in casa-famiglia o in affidamento. Pur avendo letto molte testimonianze non posso immaginare quello che passate e come sia la vostra vita, ma sappiate che prego affinché un giorno possiate trovare, come Mackenzie e Hope qui e nel mio altro racconto, una persona o una coppia di genitori che vi ami con il cuore e l'anima. Se siete grandicelli non sarà facile, forse, fidarvi di loro, ma provate a dare a quei genitori una possibilità. Vi auguro di avere una vita meravigliosa e piena di amore. Ve la meritate tutti, di qualunque età, etnia e ovunque voi siate.
 
 
 
 
Come i lettori di “Cuore di mamma” ormai sanno, le tematiche che tratto mi stanno molto a cuore e ci tengo a renderle realistiche. Inoltre ho vissuto o vivo sulla mia pelle alcune problematiche di cui parlo.
 
 
 
 
 
 
Era il primo novembre, il giorno dopo l'appuntamento a cui Andrew l'aveva invitata. Demi e il suo migliore amico si erano incontrati a casa sua, lui aveva organizzato una cena a lume di candela e la ragazza sorrideva nel ripensare al discorso che avevano fatto. Andrew era stato dolcissimo e, anche se nessuno dei due credeva di amarsi, il bacio di poche settimane prima aveva sicuramente cambiato qualcosa fra loro. E l’aveva fatto anche quello della sera precedente.
"Ma chi c'è qui, eh? Chi c'è?"
Hope, seduta sul pavimento senza avere bisogno di alcun sostegno per la schiena - non era più così da quando aveva sette mesi - giocava con una papera di peluche e la studiava muovendola a destra e a sinistra, osservandola come se la vedesse per la prima volta. Lei e la sorella Mackenzie erano con Demi da poco più di due mesi. Le aveva portate a casa il giorno del suo compleanno dopo anni di documenti e attese. Era stato il regalo più bello che la vita le avesse mai fatto e la ragazza non avrebbe potuto essere più felice.
"Ahuahuahuahuaaah" le rispose la bambina.
Aveva sempre fatto vocalizzi, ma nel corso del tempo questi erano diventati più complessi.
Demi sorrise e le accarezzò la testolina bruna: non ci poteva fare niente, si sarebbe sempre sciolta di fronte alla tenerezza di quella creatura.
"Andiamo a vedere cosa fa Mac, che dici?"
Come se avesse capito, la bambina sollevò le manine in aria per essere presa in braccio, poi con la mamma si diressero al piano di sopra.
 
 
 
A soli cinque anni, Mackenzie ne aveva già passate tante. Troppe, in realtà, ma Hope non era da meno. Le poche e lunghe cicatrici sui loro volti ne erano una prova, un segno esteriore, il resto era nascosto nelle loro piccole anime e nei loro cuoricini. Hope non rammentava, ma lei… beh, no, non ricordava, ma sapeva quello che era successo: i suoi genitori erano morti, un uomo cattivo li aveva uccisi e loro avevano visto. Dopo le aveva scottate con una sigaretta ustionandole e lasciando loro quei segni che niente e nessuno avrebbe mai potuto cancellare. Mackenzie ricordava benissimo il dolore che aveva provato, sia lì che in ambulanza, con tutti quei dottori intorno. La vista le si era annebbiata e si era sentita come se stesse bruciando viva, come se non avesse più la faccia. Sentiva solo il dolore, le sue grida e il pianto della sorella e in lontananza delle voci, parole che non capiva. Era stata una sofferenza così intensa, la più forte che avesse mai sentito nella sua vita dal punto di vista fisio, che ora rammentava confusamente quei momenti, ma erano stati atroci. Pochi giorni dopo aver raccontato tutto alla polizia, la piccola aveva avuto una sorta di blackout e aveva rimosso ogni cosa riguardante ciò che era avvenuto poco prima, durante e poco dopo l’omicidio. Parlare con vari psicologi quando era stata in ospedale, in casa-famiglia e nelle tre famiglie precedenti non le era servito a niente. A parte alcuni incubi terribili non c'era nulla che potesse aiutarla, ma ora stava meglio. Insomma, aveva una mamma he le voleva bene, sua sorella era con lei, c'era Andrew. E sì, soffriva immensamente per quello che era successo, i suoi genitori le mancavano così tanto che a volte credeva di non riuscire più a respirare e ogni tanto aveva delle specie di crisi. Quindi no, non stava bene, ma più o meno se la cavava e riusciva, non sapeva nemmeno come, anche a sorridere.
"Tesoro?"
La mamma stava bussando alla porta e lei andò ad aprire.
Ciao scrisse.
"Ciao, come stai? Come mai non vieni giù a giocare?"
Pensavo.
"A cosa?"
Demi vedeva che gli occhi neri della bambina erano tristi, non la guardavano nemmeno ma fissavano un punto indefinito della stanza.
Non so. Perché non mi porti da un altro psicologo per ricordare o parlare?
La ragazza si schiarì la voce e divenne seria. Non le spiegò che il dottore che si occupa dei problemi del linguaggio è il logopedista e che lo psicologo svolge altri compiti.
"Perché l'assistente sociale, Holly, mi ha detto che sarebbe meglio farlo quando l'adozione sarà finalizzata, cioè quando una persona, un giudice, riconoscerà che siete mie figlie di fronte alla legge."
Ma non lo siamo già? Ci hai in affidamento adesso.
Oppure aveva capito male? Non voleva andare da un'altra famiglia, voleva stare con Demi. Lei era fantastica, voleva loro molto bene. Iniziò a sudare e a contorcersi le mani, mentre il respiro le si faceva corto.
"Sì, ma la nostra non è vera e propria adozione, non ancora almeno. Siete in affidamento, come hai detto, anche se io ho deciso di adottarvi. Quando faremo quel passo sarete mie figlie ufficialmente."
E quando succederà?
“Tra un po’ di tempo, non so quanto. Fosse per me lo faremmo subito, ma non sono io a deciderlo.”
Ma non puoi dire ad Holly e Lisa che siamo tue figlie e basta?
Demi sorrise.
“Eh no, è contro la legge. È un po’ più complicato di così.”
E quindi ora qualcuno potrebbe portarci via? chiese la bambina con una punta di inquietudine che premeva sempre di più nel suo petto.
Le aveva già posto quella domanda qualche mese prima, quando Hope aveva preso per sbaglio una botta che per fortuna le aveva solo causato un trauma cranico senza particolari conseguenze, per il quale però Demi aveva dovuto avvertire l’assistente sociale.
“Non te lo posso dire con sicurezza, ma se andrà tutto bene - e io sono sicura che sarà così - no, resterete con me per sempre. Lo vuoi?”
Sì!
I suoi occhi furono attraversati da un lampo di speranza.
“Vieni qui!”
Con un braccio la donna la strinse forte a sé e le accarezzò la schiena con una mano.
E perché non mi porti da uno psicologo per stare meglio o ricordare?
Ecco, di nuovo quella domanda. Con pazienza, si preparò a spiegare ancora e in maniera più dettagliata, sapendo che i bambini tendono a chiedere le stesse cose tante volte.
"Holly mi ha spiegato che sarebbe meglio farlo ad adozione finalizzata, in modo che tu sia più tranquilla." In realtà aveva detto che così la bambina avrebbe potuto essere più stabile, ma a Demi non sembrava il caso di riempirle la testa di termini complicati. Aveva anche aggiunto, però, che nel caso fosse stato necessario avrebbe potuto andarci anche prima. Glielo spiegò. "Immagino che tu non ti senta bene, Mackenzie, con tutto quello che hai passato. È normale e mi stupirei del contrario. Per cui, se vuoi, possiamo cercare qualcuno."
Era la prima a dire che bisogna parlare o chiedere aiuto quando si sta male. Lei non l'aveva fatto per tanti anni prima di curarsi.
No, non adesso rispose la bambina. Non sto bene, è vero, ma sono un po' più tranquilla e non voglio… Non sapeva come trovare le parole giuste. Io penso che andandoci parlerei di cose che mi fanno molto male. E lo so che a volte lo faccio con te, ma non sono pronta. Non riesco.
"Sei sicura? Lo so che fa paura."
Io non ho paura. Ho affrontato quella notte, posso farlo anche con questo. Solo, dammi tempo.
Demi non avrebbe mai smesso di stupirsi della maturità di quella bambina, che da certi discorsi che faceva sembrava più grande. Il che non era sempre un bene, anzi. Avrebbe voluto si comportasse più come una bambina della sua età e aveva cercato di farglielo capire.
“Non devi vergognarti di dire che hai paura. È normale averne, tutti ne abbiamo.”
Anche tu?
“Sì, io ho molte paure.”
E Andrew?
“Certo, anche lui.”
Mackenzie credeva che diventando grandi non si avesse più paura di niente, ma si rese conto che non era vero. Se ripensava a quella notte, aveva visto la paura negli occhi dei suoi genitori. Cercò di allontanare quel pensiero e tutte le immagini confuse che le portava alla mente.
Allora sì, un po’ ho paura ammise.
"Lo psicologo ti aiuterebbe, non devi essere preoccupata.”
Okay, ma non me la sento ora, mamma. Per favore.
“Va bene. Ne riparleremo più avanti, d'accordo? Se hai bisogno io sono qui, lo sai."
Lo so.
Ma lei non era abbastanza, di questo la donna era consapevole. Non avrebbe potuto aiutarla da sola per sempre. Sarebbe arrivato un momento in cui avrebbero dovuto chiedere aiuto ad una figura professionale.
Mamma?
"Sì?"
E allora Mackenzie non ne poté più. Quel discorso l'aveva agitata e turbata e in più tutte le altre emozioni che si portava dentro la stavano travolgendo. Scoppiò a piangere tenendosi le mani davanti al viso mentre tutto il suo corpo era scosso da tremiti.
A Demi faceva pena e pregò Dio che non avesse una delle sue crisi. Le prese un fazzoletto e glielo passò, poi le portò un bicchier d'acqua.
È stato brutto! esclamò mentre la penna rischiava di caderle dalle mani. Ho avuto tanta paura, loro sono morti. Sono morti.
"Lo so, piccola, lo so. Sfogati, butta fuori tutto come ti dico sempre."
Demi era sicura che, se fosse riuscita a parlare, Mackenzie avrebbe urlato quelle frasi con tutto il fiato che aveva in corpo.
Percependo l'agitazione della sorella Hope iniziò a piangere a sua volta, così forte da rimanere quasi senza fiato.
Demi si sedette sul letto e prese anche Mackenzie sulle gambe.
"Andrà tutto bene, ve lo prometto. Ci sono io qui, è passato. È passato" diceva loro con dolcezza, ma sapeva che era una mezza verità. Il dolore, a Mackenzie, non sarebbe mai passato e nemmeno a Hope quando avrebbe saputo. Ma quella notte non c'era più, e nemmeno l'uomo cattivo. "C'è la mamma qui, nessuno potrà farvi del male."
Visto che non si tranquillizzavano, decise di cantare loro una canzone. Una ninnananna che la cantante Pink aveva dedicato a sua figlia e che Demi sentiva molto sua, essendo una mamma.
"Remember make believe in you
All the things I said I'd do
I wouldn't hurt you, like the world did me
Keep you safe, I'd keep you sweet
Everything that I went through,
I'm grateful you won't have to do
I know that you will have to fall
I can't hide you from it all
 
But take the best of what I've got
And you know no matter what
Before you walk away, you know you can
Run, run, run,
Back to my arms, back to my arms
Run, run, run, back to my arms and they will hold you down
Oh oh, oh oh, oh oh, oh oh [x4]
 
See, here's the bloody, bloody truth
You will hurt and you will lose
I've got scars you won't believe
Wear them proudly on my sleeve
I hope you'll have the sense to know
That sadness comes and sadness goes
Love so hard and play life loud
It's the only thing to give a damn about
[…]"
Dopo aver fatto parecchi respiri profondi come le disse la mamma, inspirando dal naso, trattenendo tre secondi ed espirando dalla bocca, Mackenzie riuscì a tranquillizzarsi un po' e si complimentò con lei perché cantava molto bene. Le piaceva tanto ascoltarla, era già successo altre volte ma ognuna era a suo modo unica e speciale. Anche Hope si calmò presto.
Bevvero tutte un po' di latte perché, dopo quei momenti difficili, avevano bisogno di qualcosa per tranquillizzarsi.
Mostro a Hope come fare bene una torre annunciò Mackenzie poco dopo.
Era tornata a sorridere in velocità. I bambini, si disse Demetria, hanno la capacità di lasciare da parte le cose brutte per concentrarsi sul gioco in modo molto più facile di quanto riescano a fare gli adulti.
E in effetti, Mackenzie si sentiva meglio e per il momento non voleva più pensare alle cose brutte. Seduta sul tappeto, prese i cubetti di legno e cominciò a costruire una torre che Hope, come faceva spesso, buttò giù. L'altra allora le fece il solletico al pancino e risero entrambe. Demi le guardava. Era bello vederle giocare insieme.
Decise di chiamare Andrew, sperando di non disturbarlo.
"Pronto?" rispose la voce profonda dell'uomo.
"Pronto, ciao."
"Ciao, come stai? Ti manco già?"
Lei rise.
"Un po'. Volevo invitarti qui a cena stasera, mangiamo una pizza. Che dici?"
"Dico che è un'ottima idea!"
Quando Andrew arrivò, Mackenzie gli corse subito incontro e gli si gettò addosso.
"Ehi, principessa, anch'io sono felice di vederti!" esclamò l'uomo ricambiando il suo abbraccio.
"È da quando sa che saresti venuto che non sta più nella pelle" commentò Demi abbracciando anche lei il suo amico.
Tutti e quattro sul divano, vicini, Hope in braccio ad Andrew e Mackenzie in mezzo ai due adulti, sembravano proprio una famiglia e anzi, pensavano già di esserlo. Demi si sentì avvolgere da un braccio dell’uomo e si accorse che, intanto, la piccolina aveva voluto scendere ed era seduta sul tappeto. Un improvviso calore le riempì il cuore a causa di quel gesto d'affetto. Tra loro era normale, erano sempre state persone che amavano molto il contatto fisico, ma adesso era diverso. Era più… profondo, forse? Non avrebbe saputo definirlo in altro modo. Certo era che comunque non lo amava, o almeno non ancora, ma nemmeno lo considerava un amico. Non poteva saperlo, ma anche lui stava pensando le stesse cose nei suoi confronti. Alla cena lei gli aveva detto:
"Finché non capiamo realmente ciò che proviamo, non voglio sentire né "Ti amo" né qualsiasi altra parola di quel genere, d'accordo? Te lo dico perché non voglio correre e non devi farlo nemmeno tu. Rischieremmo di fare del male a tutti noi così."
Lui aveva capito, grazie a Dio, perché Demi aveva avuto paura di ferirlo e fargli male era l'ultima cosa che voleva. In fondo non c'erano solo loro, ma anche le bambine e quindi dovevano pensare anche a questo prima di prendere qualsiasi decisione. Avevano già sofferto molto e non volevano causare loro altro dolore, bensì garantire ad entrambe un ambiente stabile e un clima sereno - anche se sapevano che non sarebbe stato possibile per sempre - e pieno d'amore.
"Allora, piccola, com'è andata dalla nonna ieri sera?" chiese Andrew a Mackenzie.
Benissimo. Ho giocato tanto con la zia Dallas rispose sorridendo.
"Ah sì? E che avete fatto?"
Un puzzle di un lago con dei cigni. Aveva duecento pezzi.
Mackenzie alzò ancora di più la testa, come per far capire che era fiera del suo operato.
"Davvero? Ma sono tantissimi" rispose Demi. "A me una volta ne hanno regalato uno da mille, non ricordo cosa dovevo comporre ma non sono mai riuscita a finirlo."
La bimba più piccola si mise a piangere, così Demi la prese in braccio e la calmò sussurrandole parole dolci. Poco dopo  andò in cucina a prepararle la cena, visto che mangiava un po' prima degli altri. Aveva già ordinato le pizze prima che arrivasse Andrew ed ora stavano aspettando.
"C'è un aereo che arriva" disse la mamma alla piccola che, seduta nel seggiolone, apriva la bocca.
Le aveva cucinato della pastina con il pomodoro, un sugo questo che era giusto introdurre già prima del primo anno di vita in modo da abituare i bambini anche a quel gusto. Hope, che avrebbe compiuto dieci mesi il 5 novembre, sembrava apprezzarlo moltissimo.
"Prova da sola" continuò la ragazza, dandole in mano il cucchiaio.
La bambina lo mise nel piatto e più che altro mosse il cibo di qua e di là, facendone andare anche un po' sul seggiolone. La stessa cosa valse quando Demi le diede un bicchiere di plastica con un po' d'acqua: la scosse e quasi se la versò addosso.
"È una fortuna che tu non ti sia macchiata i vestitini" osservò.
Spiegò che ci sono bambini che a quest'età riescono a fare entrambe le cose: bere da soli e mangiare con il cucchiaio o, un po' più avanti, la forchetta, ovviamente all'inizio di plastica o con la punta arrotondata.
E perché lei no? chiese Mackenzie.
"Ogni bambino è diverso e ha tempi differenti. Prima o poi ci riuscirà."
La bambina, intanto, aveva messo la mano nel piatto e si stava portando una piccola manciata di pastina alla bocca.
"No, questo no" rise Demi.
Non la sgridò perché sapeva che quello è un modo che hanno i bimbi di scoprire il cibo, poi prese uno straccio bagnato e pulì il seggiolone e la sua manina, mentre Hope si dimenava. Andrew, nel frattempo, aveva fatto parecchie foto.
"Mio Dio, dovresti postarle da qualche parte" disse. "Sono troppo divertenti."
"Sai che non è una cattiva idea? Inviamele sul cellulare."
Demi le postò su Instagram con scritto:
Hope fa esperienza con la pappa.
Ricevette subito centinaia e poi migliaia di notifiche, emoticon, messaggini dolci, ma non li guardò perché suonò il campanello. Dopo aver pagato il ragazzo delle pizze e preso la cena, tornò a tavola.
"È davvero buona" disse Andrew assaporando la sua salamino piccante e acciughe.
Non so come fai a mangiarla gli rispose Mackenzie guardandola con sospetto.
Spesso aveva l'istinto di chiamarlo papà, ma non sapeva se avrebbe fatto bene o no così decideva sempre di ritardare quel momento e la parola le restava nella penna ogni volta, aspettando di essere finalmente scritta.
"La mia è meravigliosa" trillò Demi addentando la sua funghi misti.
Anche la mia disse Mac, che invece ce l'aveva con salsiccia e patatine fritte. Ne volete una fetta?
Demi ed Andrew presero solo un paio di patate e l'uomo ne diede una a Hope, spezzettandogliela. Con le mani, la bambina tirò su ogni pezzo e se lo portò alla bocca, poi lo rifece quando le diedero la salsiccia e un pezzettino del pane della pizza.
"Provo a darle questo."
"Andrew, no, non credo sia il caso."
"Dai, è solo per giocare. Non lo mangerà nemmeno e poi non è così piccante."
Molto titubante, Demi lo lasciò fare ma non si astenne dal commentare:
"Spero che ti odierà tantissimo dopo questo."
Andrew mise davanti a Hope un pezzettino piccolissimo di salamino che lei prese in mano, annusò e poi rimise giù facendo una faccia schifata.
"Non vorrei essere al suo posto" commentò ancora Demi, mentre Mackenzie si limitò a fare una faccia simile a quella della sorella.
Mamma, Andrew? domandò Mackenzie quando, finita la cena, si ritrovarono sul divano.
I due le lanciarono uno sguardo interrogativo.
Perché non abbiamo fatto la festa di Halloween?
"Mi avevi detto che non ti interessava, Mac" le ricordò la mamma, "per questo sono uscita con papà proprio ieri."
E se invece ora la voglio?
"Adesso è novembre, è tardi" le disse l'uomo, "ma potremo pensarci l'anno prossimo."
Sì, è tardi scrisse la bambina sospirando.
Dopo poco si alzò.
"Dove vai?"
A letto, mamma. Buonanotte.
Non se la sentiva più di rimanere lì, era di cattivo umore e voleva solo starsene per i fatti propri.
"Mac, aspetta. Possiamo parlarne, magari troviamo un modo per…"
No, ha ragione Andrew. È tardi e io sono stata stupida, avrei dovuto pensarci prima anziché volerla ora.
"Come mai non prima? Non ti piaceva?" le domandò quest'ultimo.
Non lo so, forse avevo solo un po' paura. Magari le streghe esistono davvero. E se entrano in casa per mangiarmi?
Tremava e si guardava intorno come se temesse che qualcosa potesse accadere da un momento all'altro, che una strega cattiva fosse in grado di entrare in casa, rapire lei e Hope o ucciderli tutti. La cosa fece sia star male sia sorridere gli adulti. Alla fine, per quanto fosse matura e fosse stata costretta a crescere troppo in fretta, Mackenzie restava pur sempre una bambina e, come tutti i piccoli, aveva i suoi timori.
"Gagagaga" disse Hope che, intanto, si trascinava in giro per il tappeto rimanendo seduta e spostandosi con l'aiuto di braccia e gambe.
"Non ce la fa ancora a gattonare, eh?"
"Ci riuscirebbe, ma non lo fa. La pediatra mi ha spiegato che alcuni bambini iniziano direttamente a camminare. Striscia, si rotola ma non va a quattro zampe, non ancora."
"Hai paura delle streghe?" chiese Andrew a Mackenzie e lui e Demi si diedero degli idioti.
Si erano concentrati su Hope e sperarono che l'altra bambina non si fosse sentita lasciata in disparte.
Lei annuì appena.
"In realtà non esistono, tesoro. Sono solo delle cose che la gente dice per far paura, ma non sono vere" continuò l’uomo.
E le principesse delle favole esistono?
Adesso invece gli occhi della piccola erano pieni di speranza e Demi non riuscì a dirle la verità.
"Sì, se ci credi" mormorò invece.
Ci credo. Comunque non so se le streghe non esistono, Andrew. Tu sai tante cose, ma se ti sbagliassi?
"Allora conosco un metodo infallibile per farle andare via per sempre tutte quante."
Le prese la mano nella sua e gliela strinse.
Quale?
"Pensa a qualcosa di bellissimo, ma non devi farlo così, tanto per. Bisogna che tu ci rifletta molto intensamente e per un po' di tempo, fino a quando ti spunterà un sorriso. Le streghe odiano la felicità delle persone e soprattutto dei bambini, vogliono che loro siano infelici e far loro del male, mentre se sorridono e sono contenti loro fuggono via spaventate. Puoi farlo?"
Sì, posso.
Si concentrò tenendosi le mani ai lati della testa e pensò a lei, alla sua mamma adottiva, ad Andrew e alla sorella, a quanto stavano bene insieme, a tutte le cose belle che avevano fatto e a quelle che dovevano ancora fare. Immaginò di poter chiamare Andrew papà e che lui e la mamma si sposassero, vestiti con due abiti bianchissimi e ciascuno con un anello d'oro al dito. E pensò anche ad un futuro in cui lei era felice, anche se non ricordava e non parlava, in cui lo era davvero e riusciva a sorridere e a vivere senza sofferenza. Rimase a bocca aperta, con un'espressione attonita sul volto.
Sono andate via! esclamò.
"Hai visto? Che ti avevo detto?"
Poco dopo Demi la accompagnò in camera e le fece compagnia mentre si metteva il pigiamino e si infilava sotto le coperte. Non era una cosa che faceva spesso, solo nelle sere nelle quali la figlia era un po' giù di morale o non stava molto bene, poi le diede il bacio della buonanotte e spense la luce.
 
 
 
Dopo che era tornata in salotto, lei ed Andrew si erano lanciati uno sguardo d'intesa.
"Io vado," disse lui, "devo andare al lavoro domani mattina."
"D'accordo. Ci vediamo nel pomeriggio?"
"Certo, appena finisco di lavorare vado a casa a controllare i gatti, poi in ospedale e torno qui."
"Benissimo. Andrew, Mackenzie oggi ha avuto una crisi."
E gli raccontò tutto quello che era accaduto.
"Io mi stupisco sempre. Nella sua situazione sarei andato fuori di testa, invece lei sta male, malissimo, ma è riuscita a non impazzire. Come ha fatto?"
"Non ne ho la più pallida idea, ma è comunque ovvio che sia traumatizzata. Mi domando se non sia il caso di portarla da uno psicologo già ora."
"Vero, ma se lei non vuole puoi costringerla?"
"Potrei, ma non so se me la sento. Certo la costringerei per aiutarla, ma poi rischierei di farla allontanare da me. Magari è vero, le serve un po' di tempo. Se la situazione peggiorerà, gli incubi aumenteranno o accadrà qualcos'altro ce la porterò."
"Sono d'accordo. Quando dovrebbero venire Holly e Lisa a controllare?"
"A dicembre."
Hope non aveva fatto altro che trascinarsi in quel modo, quella sera, avanti e indietro esplorando l'ambiente sotto lo sguardo attento dei genitori. Ormai Andrew considerava lei e Mackenzie due figlie, anche se non aveva mai pensato di dire alla più grande che avrebbe  potuto chiamarlo papà.
“Mmm” disse Hope, rompendo il silenzio che si era venuto a creare fra loro e sorrise.
“Se penso che per un po’ di tempo non hanno avuto nessuno” disse Demi, “ma proprio nessuno, se non chi lavorava in casa-famiglia, mi si stringe il cuore. Anche quando sono andate in affidamento non erano sicure di rimanere dall’una o dall’altra famiglia anche perché loro non avevano fatto richiesta per adottarle, quindi sarebbe stato impossibile. Devono essersi sentite così sole e sperdute!”
“Penso di poter capire la sensazione, in parte. Non sono mai stato in affidamento, non ho vissuto ciò che è capitato a loro, ma ho perso entrambi i genitori. Ero adulto, ma mi sono sentito come un bambino.”
Demi gli mise una mano sul braccio. Non servivano parole tra loro, avevano già parlato di quelle cose molti anni prima e le bastò uno sguardo per capire ciò che Andrew voleva dire.
“E comunque,” riprese l’uomo dopo un momento di commozione, “loro non sono sole. Hanno te. Adesso hanno te” ripeté. “Hanno una mamma vera.”
Demetria sorrise.
“Hanno anche te.”
Hope, facendosi forza con le braccia e le gambe, si stava dirigendo verso di lei con qualcosa in mano.
“E questo cos’è?” le chiese la mamma mettendosi a terra vicino a lei. “Un cavallo? Ma che bello! Vuoi giocare?”
Era un peluche bianco, non molto grande, ma che Hope non riusciva a tenere viste le sue manine piccole, così l’aveva preso per un orecchio e l’aveva trascinato.
Demi lo tenne in mano e lo fece camminare sul tappeto mentre riproduceva con la bocca il rumore degli zoccoli e Hope la guardava affascinata. Quando la donna tornò sul divano, la bambina si aggrappò al suo ginocchio cercando di tirarsi su.
"Vuoi venire in braccio? Ecco."
Una volta ottenuto ciò che voleva batté le manine e lanciò un gridolino di gioia.
"Siete stupende tutte e tre insieme, davvero."
"Lo siamo ancora di più quando ci sei tu."
Andrew sorrise a quel commento e i suoi occhi verdi si illuminarono di una luce più accesa, che Demi gli vedeva spesso quando stava con loro ma, purtroppo, non sempre. E sapeva benissimo perché. Tuttavia, visto che ora sembrava almeno un po' sereno, non se la sentì di domandargli quello che voleva.
Forse domani.
"Al lavoro come va?" gli chiese ancora lei.
"Bene, alcuni casi sono difficili perché mi devo occupare anche di divorzi e non è bello, soprattutto quando ci sono figli di mezzo. La cosa più bella è occuparsi di finalizzazioni di adozioni o casi in cui riesco ad aiutare una famiglia in altro modo. Il mio lavoro mi piace, ma fare l'avvocato di famiglia è difficile."
"Posso solo immaginarlo."
"Il tuo ti manca?"
"Sì. Andare allo studio, cantare, registrare e comporre mi manca moltissimo. Anche se sto comunque scrivendo dei pezzi e anche le note dei vari strumenti che mi sto immaginando e poi mando sempre tutto al mio manager, così almeno mi prendo avanti."
"Fai bene. Sei stata brava a prenderti un anno di pausa per le bambine. Magari avresti potuto fare anche di meno, ma in ogni caso se te lo puoi permettere non è una scelta sbagliata."
"Già, grazie. Ho solo pensato che avessero bisogno di me e di ambientarsi."
"Uaah, uaaaah, mmm" disse Hope, che poi appoggiò la testina sulla spalla della mamma, le prese un dito e fece qualche altro gorgoglio.
"Ha sonno" constatò Andrew.
"Direi di sì."
I due amici avrebbero tanto voluto rimanere lì a chiacchierare tutta la sera, ma iniziava ad essere tardi e lui aveva già detto di dover andare.
"Io torno a casa, così vi lascio riposare."
"D'accordo. Ci vediamo domani, allora." Lo accompagnò alla porta e lo salutò, poi richiuse. "So che vuoi fare la nanna" disse a Hope, "ma prima è meglio se cambiamo il pannolino."
Per dimostrare il suo disappunto, la bambina cominciò a piangere e a dimenarsi una volta sul fasciatoio. Continuò fino a quando Demi le tolse il pannolino, dopodiché cercò di rotolare su un fianco e, se non ci fosse stata lì lei, sarebbe sicuramente caduta.
"Ferma. Prima finiamo qui, poi andiamo a fare la nanna. Porta pazienza" le ordinò in tono bonario.
Quando arrivarono in camera, Demi le infilò il pigiamino e poi la mise sotto le coperte. Hope dormiva ancora con lei, anche se sapeva che molti genitori facevano dormire i bambini da soli già dai sei mesi. Lei però ancora non se la sentiva. Avrebbe aspettato un altro po', forse fino ai due anni come aveva fatto sua madre con lei e poi le due sorelle avrebbero dormito insieme almeno per qualche anno.
"Ecco fatto" mormorò quando le ebbe rimboccato le coperte. Le diede il ciuccio, appoggiato sul comodino e nella sua scatolina, e la bambina aprì la bocca felice. "Adesso ti racconto una storia."
Mentre la mamma le leggeva un libro di favole, la bambina emetteva qualche dolce suono ma perlopiù ciucciava, a volte il ciuccio e altre, quando questo le cadeva, le dita. Era un suono bello, si disse Demi per la milionesima volta in quei mesi. La rilassava sentirlo fare alla figlia e al contempo la faceva sorridere. Aveva sempre pensato che i bambini fossero ancora più teneri con il ciuccio in bocca, ma c'erano genitori che per motivazioni varie non lo utilizzavano. Lei però l'aveva sempre fatto, anche se Hope non l'aveva mai voluto molto durante il giorno, se non quando piangeva forte e non riusciva a calmarsi o in qualche momento di gioco. Per il resto, solo prima e durante i sonnellini e la notte.
"E vissero tutti felici e contenti" concluse, con quella frase che terminava molte favole e che, purtroppo, non rispecchiava la vita reale.
Il "per sempre", nella realtà, non esisteva almeno per quanto riguardava la felicità, ma per l'amore sì, o almeno lei ci credeva. Sentendo il lento respiro di Hope, capì che si era addormentata. Si chinò a darle un bacio sulla fronte e poi tornò a sdraiarsi a letto, addormentandosi poco dopo.
Il giorno seguente, Demi svegliò le bambine un po' prima del solito.
"Vi devo dire una cosa importante!" esclamò dopo aver cambiato e vestito Hope.
Cosa? Cosa? chiese Mackenzie, che già aveva la sensazione che quel giorno sarebbe accaduto qualcosa di bello.
Demi sorrise.
"Probabilmente non lo sapete, ma ieri era il giorno dei Santi e oggi è quello dei morti. In questi due giorni le persone vanno al cimitero a pregare per le persone che hanno perduto e a mettere dei fiori sulle loro tombe. Mackenzie, sarebbe bello se tu dicessi una preghierina per i tuoi.”
Sperò che la piccola non avrebbe pianto. Ci aveva pensato molto e a lungo prima di dirglielo, ma alla fine si era detta che era la cosa migliore.
La bambina sorrise appena.
Lo faccio ogni sera, ma oggi dirò una preghiera ancora più bella.
“Bravissima, amore. Sentite, ora facciamo colazione, poi starete un po’ qui con la nonna finché io vado al cimitero da mio papà. Torno presto, d’accordo?”
Okay.
Per fortuna Mackenzie era tranquilla. Sperò che Hope non si sarebbe messa a piangere vedendola allontanarsi.
Dopo aver dato le crocchette a Batman che corse a riempirsi lo stomaco, Demi preparò per sé e per Mackenzie una tazza di latte e cereali al cioccolato, mentre per Hope un biberon di latte con dei cereali che vi si scioglievano dentro e che aveva sempre usato da quando l’aveva portata a casa.
"Adesso la mamma ti dà la pappa" sussurrò alla bambina che aprì subito la bocca.
Ormai la piccola iniziava a capire qualche parola o brevissima e semplice frase.
"Pappapappapappa" ripeté.
Che fosse una sorta di lallazione o la ripetizione in sequenza della parola "pappa", questo Demetria non riuscì a capirlo, ma rise.
"Sì, la pappa, brava."
Ma mentre Mackenzie mangiava di gusto, Hope non ci riuscì già dall'inizio. Qualcosa non andava: il latte c'era, ma non usciva. Guardò la mamma che la teneva in braccio e che ancora non aveva capito, poi lanciò un urlo acuto e iniziò a muovere braccia e gambe in un modo e ad una velocità che Demi non le aveva mai visto.
"Ehi, che c'è? Calmati." Poi si rese conto. "Non esce, è questo che mi stai dicendo? Non è necessario che ti arrabbi, amore, ora sistemiamo." La tettarella era messa male, non era incastrata bene. "Per forza succhiavi solo aria, piccolina. Mi dispiace! Ecco, tieni" disse dopo avergliela messa a posto.
Strano, questo le era accaduto all'inizio, le prime volte quando non era ancora molto esperta, ma non succedeva più da tantissimo tempo. Probabilmente nella fretta non ci aveva fatto abbastanza attenzione.
Hope finì tutto in pochi minuti.
Quando Dianna arrivò, Demi le domandò se sarebbe passata anche lei in cimitero più tardi.
“Penso di sì” mormorò, vaga.
Lei e Patrick si erano amati per lungo tempo, poi tutto era pracipitato a causa del suo comportamento violento e per anni Dianna aveva continuato ad amarlo di quell’amore malato che provano le vittime di violenza, nonostante ne avesse paura. Per questo la ragazza non si sorprese della risposta. La donna doveva provare sentimenti contrastanti nei suoi confronti, come dl resto faceva lei.
 
 
 
Una volta al cimitero, si diresse verso la tomba del padre con dei crisantemi in mano e rimase lì a lungo, poi si decise a spazzare alcune foglie di una piantina che qualcuno aveva portato e che erano cadute. Diede l’acqua a un vasetto di fiori che si trovava già accanto alla tomba e poi appoggiò il suo.
“Ciao papà” disse dopo aver preso un bel respiro. “Non torno da un po’. Come stai? Io ho due bambine meravigliose, sai? Le amo e sono tutta la mia vita. Non credevo che l’amore di un genitore potesse essere infinito, e invece ora so che è così. Spero che, nonostante tutto, tu mi abbia amata allo stesso modo.”
Non voleva rivolgergli parole cattive, non quel giorno, non visto che con la sua canzone “Father”, uscita pochi anni prima, gli aveva detto che nonostante a volte lo odiasse, non poteva credere di star dicendo unacosa del genere e che si augurava he il Paradiso gli avesse dato una seconda possibilità.
“Come faccio a odiarti e a volerti bene? è assurdo” mormorò mentre piangeva.
“Lo provo anch’io.”
Dallas le arrivò da dietro, facendole fare un salto.
“Scusa, avrei dovuto farmi sentire.”
“Tranquilla. Come stai?”
“Insomma. Ho tanti ricordi di quando giocava con me e allo stesso tempo di lui ubriaco, della mamma che mangiava sempre molto poco…”
“Delle litigate e delle urla” continuò Demi per lei.
“Esatto. Ma ha provato ad essere un bravo padre, Demetria. Voleva avere una famiglia.”
“Sì, lo so.”
Le ragazze si sentivano come se la loro testa fosse stata divisa a metà: da una parte faceva male a causa dei sentimenti negativi che provavano e dall’altra no. Non c’era molto altro da dire, tutto il resto lo lasciarono al silenzio. Si inginocchiarono e pregarono per un po’.
 
 
 
Il 2 novembre Andrew lavorava, lo studio legale era aperto. Quella mattina, quando uscì, non aveva nessuna voglia di andare in ufficio. Prima di tutto, però, passò a prendere dei crisantemi e si diresse in cimitero dai suoi genitori.
Entrò e subito gli sembrò di essere investito dall’odore di morte. Non poteva essere così, si stava immaginando tutto ma sembrava talmente reale. Procecdette a passi lenti sulla ghiaia, trascinando i piedi e appoggiò i fiori fra le due tombe.
“Ciao mamma, ciao papà” mormorò ed era già così stanco che ebbe la tentazione di sedersi a terra e rimanere lì per sempre. “Sono venuto a trovarvi, scusate se in questi giorni non ci sono riuscito ma ho lavorato tantissimo.” Appoggiò le mani alla pietra fredda e si sentì l’animo gelare. Un brivido gli percorse tutto il corpo e gli fece girare la testa. “Vi prego, aiutatemi” singhiozzò. “Datemi un segno, qualcosa, qualsiasi cosa. Non ce la posso fare da solo, dovete prendervi cura di lei assieme a me. Fatemi sentire che mi siete accanto anche da lassù,  che non sono solo ad affrontare questa guerra.”
Perché quel giorno splendeva il sole? E perché lì intorno si udivano degli uccellini cinguettare? Non era giusto. Quello avrebbe dovuto essere un giorno di silenzio e con le nuvole a simboleggiare che anche il cielo era triste. Tuttavia, si disse Andrew, avrebbe dovuto riprendersi un po'. Quel giorno doveva e voleva andare da Demi e non aveva intenzione di farsi vedere così dalle bambine.
"Non è ancora il momento" sussurrò. "Non avere fretta. Datti tempo, dopo starai meglio."
Si asciugò gli occhi con rabbia, quasi che non avesse il diritto di piangere, poi si inginocchiò e pregò a lungo.
 
 
 
Quando Demi tornò a casa Mackenzie le disse che aveva pregato assieme alla nonna e sorrideva, sembrava stare bene nonostante il ricordo dei suoi. Era un buon segno. Quando Dianna se ne fu andata, la  ragazza prese in braccio le bambine e disse loro:
“Ieri sera ho parlato con Andrew e ci siamo detti:
"Ma anche se non è più ottobre, possiamo festeggiare lo stesso Halloween. Non ci obbliga nessuno a non farlo."
E quindi, ora io e voi andremo a fare un po' di spese per decorare la casa e a comprare qualche costume, siete contente?"
Hope lanciò un gridolino anche se non capì, mentre Mackenzie prese a saltare e a correre per il salotto. Non poteva crederci. La sera prima aveva pregato Dio affinché potesse festeggiare Halloween comunque. E sì, era consapevole del fatto che ci sono cose più importanti per cui pregare e che forse quella poteva apparire insignificante, ma ehi, era pur sempre una bambina. Quale bambino non ha detto una preghierina per qualcosa che desiderava tanto?
E cosa compreremo?
"Dipende da cosa volete vestirvi."
Io da strega! Da strega continuò a scrivere la bambina.
“Ma ieri sera non hai detto che ti facevano paura?”
Sì, ma Andrew mi ha insegnato un modo per mandarle via. E poi, se mi vesto da strega, sono più spaventosa e più forte di loro, così non vengono.
"Giusto! Va bene, sarai una piccola streghetta e anche Hope. Speriamo di trovare dei costumi adatti, allora."
Evvaiiii!
Mackenzie non stava più nella pelle. La donna era sicura che avrebbe fatto di tutto per uscire il prima possibile.
Dopo aver messo un giubbotto per proteggersi dall'aria fresca e frizzante di quella mattina, le tre uscirono. Demi caricò il passeggino di Hope in auto, la legò nel seggiolino e notò che Mackenzie, come aveva ormai imparato a fare, si era allacciata la cintura da sola. Per prima cosa andarono in un negozio vicino casa in cui nei giorni precedenti la ragazza aveva visto alcune decorazioni per Halloween. Purtroppo però c'erano solo alcune maschere da diavolo e da vampiro.
Che paura! scrisse Mackenzie tremando un po'.
Quella da vampiro, che stava guardando, aveva il colletto del vestito rosso sangue.
"Non preoccuparti, è finto" disse la donna, notando che lì a fianco c'era un manichino che ne indossava una uguale.
Siamo arrivate troppo tardi, vero?
"Non è detto. Conosco un altro posto dove possiamo andare."
Muoversi in centro a Los Angeles certi giorni era un'impresa. Districarsi tra il traffico e tutte quelle macchine che suonavano le dava sempre fastidio, anche se abitava lì da tanti anni. Capiva la fretta, ma se c'era colonna non è che uno potesse passare per primo se era in mezzo o in fondo alla fila.
Fortuna che io vivo un po' fuori da questo casino pensò.
Fece appena in tempo a parcheggiare e a mettere Hope nel passeggino, che una folla di paparazzi le assalì. Iniziarono a vedere i flash delle macchine fotografiche che ferirono loro gli occhi, ma soprattutto cominciarono le domande.
"Dove state andando?"
"Demi, quando tornerai al lavoro?"
"Perché Mackenzie non va all'asilo?"
Nessuna domanda scomoda, meno male. E almeno la stavano lasciando camminare, con Mackenzie sempre vicino che le stringeva il braccio leggermente spaventata. Qualcuno di loro dovette notarlo perché i paparazzi si allontanarono e si dispersero un po', ma Demi rispose comunque.
"Andiamo a fare shopping, niente di particolare. Non tornerò al lavoro subito. E penso che per Mac sia più importante stare a casa con me e legare con la sua famiglia, anche se questo non significa affatto che non la farò giocare con altri bambini. Posso passare ora?"
Concisa e non dare informazioni troppo personali, era stato sempre questo il suo motto. I paparazzi a volte non si rendevano conto che anche persone come lei, pur essendo famose, avevano diritto ad avere una vita privata e a fare le proprie scelte senza essere giudicate. Ogni volta Demi si diceva che forse avrebbe dovuto prendere una guardia del corpo ora che aveva le bambine. Da qualche anno non ne aveva più una perché si era accorta che, almeno lì a Los Angeles, tutti la rispettavano. Ma per i suoi tour c'era sempre qualcuno a proteggerla, assieme al personale di sicurezza dei luoghi nei quali si esibiva. Tuttavia, si era già detta in precedenza che nel caso ce ne fosse stato bisogno, soprattutto per le bambine, avrebbe di sicuro assunto qualcuno.
Una volta entrate, con fatica, nel negozio, non era finita. C'erano infatti alcuni fan che, vedendola, cominciarono a chiederle autografi. La ragazza non era del migliore degli umori dopo l'incontro con i paparazzi. Non erano stati scortesi, era vero, ma sperava di non incontrarli. A volte era successo che non capitasse, che potesse avere delle giornate tranquille, e desiderava questo soprattutto adesso che aveva due bambine di cinque anni e quasi dieci mesi che ancora non capivano cosa avere una mamma che era una celebrità potesse comportare e che necessitavano di calma e di fare tutto ciò che facevano i bambini senza essere fotografate ogni volta. Tuttavia non poteva lamentarsi troppo: in fondo quelle persone non le avevano mai reso la vita veramente impossibile. Demi si fermò a firmare qualche autografo scrivendo anche delle dediche.
"C-ciao" la salutò una ragazzina.
Avrà avuto sedici anni al massimo.
"Ciao" le rispose Demi sorridendo.
Era l'ultima della fila che si era fermata per avere un autografo.
"Io s-sono Laura" disse questa arrossendo.
"Ciao, Laura. Hai un bellissimo nome, sai? E tranquilla, posso immaginare che tu sia emozionata. Fai un bel respiro."
L'altra sorrise.
"Sì, abbastanza."
"Vuoi una foto o un autografo?"
"Ehm, tutti e due se posso."
"Ma certo."
Dopo che la mamma di Laura, lì presente, ebbe ringraziato Demi e scattato la fotografia, la cantante le scrisse un autografo che la ragazza strinse come se si fosse trattato della cosa più importante della sua vita.
"Oh mio Dio, grazie! Cioè, grazie, grazie, grazie!" continuava ad esclamare. Poi guardò le bambine. "Ciao Mackenzie. Sei molto carina, sai?"
Grazie, sei carina anche tu rispose la piccola.
Laura le fece una carezza e i suoi occhi azzurri si incontrarono con quelli neri di Mac. Le due si guardarono per un lungo momento: era evidente che pur non conoscendosi per nulla si stessero già simpatiche a vicenda.
"Posso?" chiese la ragazza a Demi indicando il passeggino.
"Sì."
Si erano messe da una parte per non intralciare le altre persone, anche se in quel momento non c'era molta gente. Demetria si guardò intorno per capire se c'erano altri fan, ma non vedendo persone che la indicavano si sentì un po' più sollevata. Adorava passare il tempo con loro, davvero, ma era venuta lì per un motivo differente.
Laura si piegò un po' in avanti e Hope le sorrise.
"Ciao piccolina! Ma che sorrisoni grandi."
"Hope, saluta Laura, su."
All'inizio non emise alcun suono né fece nulla, poi però alzò una manina come per salutarla al che l'altra si sciolse.
"Oh, mio Dio che dolce!" esclamò, mentre il sorriso sul suo volto si allargava a dismisura.
Si fecero ciao con la mano per un po', poi Hope disse:
"Da, tatta."
"Oh sì, anch'io sono felice di conoscerti" ridacchiò l'altra. "Mi piacciono molto i bambini, ho un fratello di otto anni e quand'era piccolo me lo sono goduto parecchio."
Poco dopo Laura le lasciò andare. Per quanto le sarebbe piaciuto rimanere lì a chiacchierare, capiva che Demi e le sue figlie avevano diritto di fare shopping come tutti gli altri clienti del centro commerciale. Anche in questo caso, com'era già stato in precedenza, la cantante  fu felice del fatto che quella fan si fosse sì emozionata, ma poi le avesse trattate come persone normali, aveva parlato con Mackenzie facendola sentire a proprio agio e anche con Hope, provando ad interpretare le parole - se si potevano definire così -, che pronunciava.
"Allora, ti piace?"
Mackenzie stava provando un cappello da strega che le stava benissimo. Era nero e grigio, a punta, un po' largo ma non troppo, le copriva appena gli occhi e con una piuma nera in cima.
Sarà quella di un corvo, il corvo della strega aveva detto quando l'aveva visto.
Disse alla mamma che lo adorava e così lo presero. Mackenzie lo tenne in mano mentre guardavano gli altri prodotti del negozio. C'erano pipistrelli di plastica ma ricoperti di piume per sembrare veri, vampiri e diavoli vestiti in vari modi e colori, ma principalmente nero o rosso sangue, gatti neri di peluche, corvi talmente belli da sembrare reali e molto altro.
Possiamo prendere un gatto per me e uno per Hope?
"Se piacciono anche a lei, sì. Amore, guarda questo" disse Demi prendendo in mano la scatola con il gattino all'interno. C'era un'immagine sul davanti, ma una parte del contenitore era trasparente e si poteva vedere dentro. "Ti piace? Lo vuoi?"
Dal gridolino che lanciò la bambina e dal fatto che volle prendere subito in mano la scatola, la donna dedusse che quello doveva essere un sì.
Trovarono anche un cappellino per Hope uguale a quello di Mackenzie ma più piccolo, adatto alla sua età, che le stava benissimo. Purtroppo, invece, non c'erano costumi da strega. Mac ci rimase un po' male perché si era immaginata con un vestito che incuteva paura, il cappello, la bacchetta, magari la faccia dipinta di nero e il gatto tra le braccia.
Demi disse che le avrebbe vestite di nero e che ora sarebbero andare a prendere qualcosa per truccarle. Nel frattempo presero anche alcune streghe e dei fantasmini e ragnetti finti, più alcuni pipistrelli da appendere per casa. Ognuno aveva già il suo filo per essere sistemato da qualche parte.
Questo, mamma, questo! scrisse Mackenzie.
Ora si trovavano nel negozio di trucchi, dove Demi andava di rado. Certo ne aveva a casa, ma era raro che si truccasse se non doveva essere intervistata o non era in tour.
"Una matita nera? Ma certo, posso farvi dei segni sotto gli occhi."
Il negozio dei trucchi, con tutti quei colori, a Hope sembrava bellissimo. Non faceva che guardarsi intorno esclamando ogni volta cose diverse quando vedeva un colore che le piaceva. Mise le mani su un ripiano basso di uno scaffale dove si trovavano dei rossetti rossi che, Demetria non capì perché, non erano in una scatola ma allineati l’uno accanto all’altro e li fece cadere tutti prima che lei riuscisse a fermarla. Finirono a terra come le tessere di un domino. La ragazza cercò di sistemare quel piccolo disastro e venne aiutata da una signora che si chinò a raccoglierli con lei.
“Hope, ferma” le disse, poi fece cenno di no con la testa perché capisse.
Ma tu da cosa ti vesti, mamma? chiese Mac.
Demi non aveva trovato un costume per sé tra quelli da adulti, quello da vampira non le piaceva e non ce n'era nemmeno in quel caso uno da strega. Prese un cappello anche per sé simile a quello delle figlie ma che sulla punta aveva una piccola bacchetta di plastica, poi spiegò alla figlia che avrebbe fatto come loro.
E Andrew?
"Ha detto che cercherà un costume e che lo vedremo stasera."
Mackenzie era curiosissima. Secondo lei si sarebbe vestito da vampiro, non sapeva perché ma ce lo vedeva così.
"Oh, Mac, guarda!"
Non l'avevano vista prima, ma c'era una piccola gonnellina nera in quel reparto, che arrivava fino ai piedi e terminava con delle frange. Sul davanti aveva proprio l'immagine di una strega. Era della taglia della bambina e Mac volle provarla subito. Entrò nel camerino e disse alla mamma che avrebbe fatto da sola. Si tolse i pantaloni, se la infilò e restò per lunghi minuti a rimirarsi. Era davvero bellissima.
"Tutto bene lì dentro?"
Mise fuori una mano come per dire sì e poco dopo uscì.
"Wow, questa gonna è proprio scura" commentò Demi che le mise in testa il cappello. "Stai benissimo. Con un po' di trucco e una maglia nera sarai una vera strega."
Dopo che Mac si fu cambiata ritornando agli abiti che indossava quella mattina, anche Demi trovò una gonna nera che invece di avere disegnata una strega aveva un corvo con il becco aperto.
Mentre passavano in mezzo al corridoio per uscire dal negozio Hope dal passeggino allungò una manina e visto il passaggio stretto riuscì ad arrivare ad un vestito da sera, quindi non per Halloween, e lo tirò forte.
“No, non si fa” la ammonì la mamma, poi si scusò con una commessa che aveva visto ma non aveva ancora detto niente.
"Ora manca solo la zucca" disse Demetria mentre, con i suoi vestiti in una mano - Mackenzie portava i propri - e il passeggino nell'altra, procedeva verso la cassa.
La zucca?
"Sì, è il simbolo di Halloween. Dobbiamo andare a comprarne una, poi svuotarla e metterci dentro una candela o una lampadina. Qui non ce ne sono, dobbiamo andare da un'altra parte."
Non la voglio.
C'era fila alla cassa, così aspettarono. Quella risposta lasciò Demetria senza parole.
"Come non la vuoi? Perché?"
Non c'era accusa nel suo tono, solo curiosità e voglia di capire e Mackenzie si rilassò tirando un sospiro di sollievo. Credeva si sarebbe arrabbiata.
No, perché poi bisogna buttarla via ed è uno spreco.
La mamma le diede un bacio. Mackenzie era più matura di tanti bambini della sua età, vero, ma non credeva che avrebbe fatto attenzione a cose come quelle.
"Hai ragione. Allora ne compreremo una finta che ha già la lampadina all'interno."
In un altro negozio trovarono una zucca di plastica arancione e molto grande. Era verde, aveva una punta verde sopra, una lampadina all'interno e un sorriso sghembo. Era pesante e, per portarla in macchina, Demi chiese l'aiuto di un signore che fu molto gentile con lei, capendo che era in difficoltà anche a causa del passeggino e delle
bambine.
Una volta tornate a casa, con le bambine che sul divano guardavano l'ennesima replica di "Winx Club" - ma da quanti anni mandavano in onda quel cartone? - Demi preparò la tavola e decise cos'avrebbe cucinato per pranzo. La mattina era volata via, ma erano state fuori per ore ed erano tutte e tre stanchissime. Batman corse subito a salutarle e poi andò ad annusare i pacchi che la sua padrona più grande aveva temporaneamente appoggiato sul tappeto, ma fu attirato più che altro dalla zucca che ora si trovava in un angolo del salotto.
“Batman, via da lì” gli disse Demi andando a grattargli la testa, poi mise i pacchi sul tavolo. “Qual è la tua Winx preferita?” chiese a Mackenzie.
Musa.
“Ah sì? E come mai?”
Perché canta benissimo e in una puntata ha detto che anche sua madre, che poi è morta, era una cantante. Anche tu lo sei e chissà, forse se torno a parlare un giorno potremo cantare insieme.
Demi sorrise.
Mackenzie aveva parlato con una semplicità disarmante. In realtà lei, pur non essendosi informata, sapeva benissimo che il recupero della parola da parte della figlia avrebbe richiesto un percorso logopedico di mesi se non, più probabilmente, di anni.
Dopo aver mangiato delle uova sode schiacciate e del purè - Hope solo due tuorli -, le tre si addormentarono ognuna nel proprio letto.
 
 
 
Andrew era uscito dal lavoro a mezzogiorno, un po' prima di quanto avrebbe dovuto. Si era preso molto avanti e non aveva clienti da incontrare quel pomeriggio, né processi a cui andare, perciò aveva potuto uscire prima dallo studio legale. Dopo essere andato a casa a controllare che Jack e Chloe stessero bene e aver fatto loro un po' di coccole, si stava dirigendo nel posto in cui andava ogni giorno da quasi tre anni. Ogni volta che si recava in ospedale lo assaliva un forte senso di nausea che si calmava solo quando vedeva la sorella. Altre mille emozioni accompagnavano quella sensazione, così come mille ricordi, per esempio il fatto che i suoi genitori fossero morti a poca distanza l'una dall'altro e che ora lui fosse orfano e con una sorella che sì, era viva, ma che non poteva sentirlo, vederlo, parlargli. La sua voce gli mancava come l'aria. Si fermò al parcheggio, aprì il cellulare e controllò i messaggi che Carlie gli aveva inviato. Non erano molti, soprattuto da quando i loro genitori erano morti e anche perché loro due abitavano insieme prima che lei partisse per il Madagascar. Nemmeno su WhattsApp  ce n'erano tanti e nessuno di vocale. Sospirò e si decise a scendere dall'auto.
Una volta entrato, l'odore pungente di disinfettante lo investì. Stare lì gli trasmetteva sempre un senso di pesantezza e di oppressione, come se una mano lo stesse spingendo con veemenza verso il basso, ma amava la sorella e non l'avrebbe mai lasciata sola nemmeno un giorno. Veniva sempre a trovarla.
"Ciao Andrew. Come va oggi?"
Era Kelly, l'infermiera che vedeva sempre nel reparto di terapia intensiva in cui Carlie era ricoverata.
"Ciao Kelly. Insomma, tu?"
"Sto bene, grazie. Ricorda cosa ti dico sempre: so che è difficile, ma devi cercare di stare un po' su. Lei ne ha bisogno."
"Sì, lo so. E so anche che se avrò bisogno di parlare tu ci sarai, me lo dici ogni volta."
"Esatto, bravo."
"Come sta, comunque?"
"Non ci sono novità, altrimenti ti avremmo telefonato, ma ci sono i medici con lei adesso. Non si può entrare."
"Ah. Aspetterò qui fuori, allora."
"Hai mangiato?"
La ragazza non voleva farsi gli affari suoi o disturbarlo troppo, ma lo vedeva così stanco e pallido che si preoccupava per lui.
"No. A colazione sì, però."
"Vai al bar finché ci sono i dottori. Quando tornerai se dovranno parlarti lo faranno."
Dopo alcuni tentennamenti l'uomo accettò. Mangiò tre tramezzini e bevve un bicchiere di succo, poi tornò indietro, tutto nel giro di cinque minuti.
"Andrew, ciao” lo salutò Jim, il medico che ha in curava sua sorella.
"Ciao."
I due si chiamavano per nome e si davano del tu da anni.
"Le abbiamo semplicemente controllato i parametri vitali come facciamo costantemente e sono stabili. Respira da sola come sempre. Ma purtroppo non ci sono segni di risveglio dal coma."
Era così da tempo, ormai.
"Capisco. Jim?"
"Dimmi."
"So che è molto difficile che accada, me l'avete detto più volte, ma se dovesse svegliarsi come sarebbe la sua vita? Riprenderebbe a camminare, a parlare?"
"Questo non possiamo saperlo. È possibile che l'incidente abbia causato un'amnesia, che con anni e anni di logopedia torni a parlare  anche se forse non bene, ma ci sono troppe variabili per dirti qualcosa di definitivo. Tutto starebbe nel vedere come la paziente reagisce dopo il risveglio e tanto altro. Se e quando succederà lo affronteremo, d'accordo?"
"Va bene, grazie."
Andrew si chiuse la porta alle spalle.
"Ciao, Carlie. Oggi c'è il sole!" trillò, cercando di essere il più allegro possibile.
Ma al solo guardarla il suo sorriso si spense a poco a poco. Era girata su un fianco, le infermiere cambiavano la sua posizione ogni tre o quattro ore per evitare la formazione di piaghe da decubito e le muovevano le braccia e le gambe, con gli occhi che, se fossero stati aperti, adesso forse avrebbero potuto essere puntati verso di lui. Il suo sorriso e la sua voce erano le cose che gli mancavano di più. Le si avvicinò, sollevò le coperte e le prese una mano. Era molto calda ma non troppo, Carlie era sempre stata una persona che aveva mani e piedi caldissimi anche d'inverno. Le sfiorò la fronte con le labbra ma no, non aveva la febbre e comunque se fosse stato così i dottori gliel'avrebbero detto. Quel calore gli dava speranza. Significava che era ancora viva. Guardò il suo petto che si alzava e si abbassava, ma spesso rimanere lì ad osservarlo non gli bastava. Si chinò su di lei e, quando arrivò vicino al suo naso, aspettò che un lieve, tiepido respiro gli colpisse il viso. A volte era così: aveva bisogno di percepirlo, di sentirlo sulla pelle per dirsi che era immobile ma non morta e che poteva avere ancora speranza, almeno un po'.
"Mackenzie ha deciso che vuole festeggiare Halloween, sai? Mi ha fatto tenerezza" proseguì, sedendosi su una sedia lì accanto e continuando a tenerle la mano. "Così abbiamo deciso di farla anche se in ritardo. Cosa non si fa per una figlia!"
Fu solo in quel momento che si rese conto di aver appena detto ad alta voce che Mackenzie era sua figlia e, di conseguenza, pensava lo stesso di Hope. Rendersi davvero conto di una cosa che in realtà il suo inconscio aveva di sicuro sempre saputo fu come una folgorazione. Il suo volto cominciò ad allargarsi in sorrisi enormi, qualcosa che lì, in quella stanza, non aveva mai fatto prima e per un solo istante si sentì più leggero.
"Oggi pomeriggio andrò da loro per organizzare un po' le cose e per festeggiare stasera, credo sarà bellissimo, anzi ne sono sicuro" concluse. "Domani, quando verrò per l'orario di visita della sera, ti racconterò com'è andata."
Vedendo che aveva le unghie delle mani lunghe chiese una forbicina ad un'infermiera e gliele tagliò mentre lei rimaneva lì in caso ci fosse stato bisogno.
"È molto carino a prendersi cura di lei" disse la ragazza.
"Beh, credo che lo faccia qualsiasi familiare, no?"
"Sì, ma molti hanno paura di far del male ai loro cari e quindi lasciano anche questi compiti a noi."
"Ah, capisco. Io onestamente non l'ho mai avuta, basta fare piano e attenzione."
Ogni tanto Andrew le tagliava anche i capelli o glieli pettinava. Erano rovinati, ormai, ma ciò non significava che non dovessero essere tenuti al meglio possibile. Le infermiere si occupavano del resto delle cure, anche se a volte lui la sollevava con l'aiuto di qualcuno per sistemarle meglio il cuscino o per tenerla un po' in una posizione differente.
"Ecco, ora le tue unghie sono di nuovo pulite e belle" le sussurrò all'orecchio.
Dopo aver passato un altro po' di tempo con lei, nel quale le parlò di come stavano andando le cose al lavoro, Andrew diede alla sorella due baci sulle guance e uno sulla fronte più qualche dolce carezza e poi se ne andò. Fu uno dei giorni nei quali, nonostante il fatto che lei non avesse mosso un muscolo né gli avesse stretto la mano come, invece, era accaduto anche se raramente, uscì comunque sentendosi in grado di sopportare quel dolore, o perlomeno di provarci. Non ne era sopraffatto, riusciva a controllarlo. Salì in macchina e scoppiò in pianto, pregando Dio che Carlie si svegliasse il più presto possibile o che prendesse lui al suo posto. Orfano, con la sorella in quelle condizioni, l'uomo si sentiva solo al mondo, senza nessun familiare con cui parlare o a cui rivolgersi se aveva dei problemi o anche solo per una chiacchierata. Certo Dianna, Eddie, Dallas, Madison e Demi e le bambine erano la sua famiglia, e lo erano ancora prima che Mackenzie e Hope entrassero nelle loro vite e lui sarebbe stato per sempre grato a tutti loro per questo, ma a volte non era abbastanza. Per quanto amasse tutti loro incondizionatamente, non erano la sua famiglia biologica e non sarebbero mai riusciti a colmare l'enorme vuoto che aveva nel cuore.
 
 
 
Quando Hope si svegliò, Demi era uscita in giardino a spazzare le foglie e non la sentì. Mackenzie, presa non seppe nemmeno lei da quale istinto, corse di sopra. La bambina, nel lettino, strepitava e strepitava. La più grande si sedette sul letto perché la mamma le aveva sempre detto di non prenderla in braccio mentre era in piedi e non voleva più commettere l'errore di pochi mesi prima. La liberò delle coperte e la sollevò piano, ogni secondo temeva che le cadesse o di farle male ma non si arrese. Non fu facile tenerla su, ma riuscì ad appoggiarsela sulle gambe. Il pianto di Hope si fermò quasi subito.
Perché la mamma non mi lascia cambiarla o darle da sola il latte? Non capisco, io sono grande pensò.
Ci aveva provato quand'era stata con le altre famiglie affidatarie, in particolare la seconda e la terza, ma sempre sotto la loro supervisione e comunque non aveva mai capito come accidenti aprire quelle alette. Magari adesso, così, per provare, poi le avrebbe richiuse. Mise Hope sul letto, stando attenta che non sbattesse la testa da nessuna parte. Hope si passò le mani sul viso dove c’erano le cicatrici e sorrise. Quando Mac lo faceva non accadeva il contrario: diventava più triste che mai.
La mamma mi dice sempre che è piccola, che non capisce. È per questo che fa così, allora.
Ed era per lo stesso motivo che Hope sorrideva ed era sempre felice e lei no. Mackenzie avrebbe voluto avere la sua età, a volte e pensato solo a mangiare, giocare, dormire e a ricevere tante coccole. Niente problemi, zero pensieri negativi, nessun dolore. Ma così avrebbe dimenticato i bei momenti passati con i suoi. Forse sotto quel punto di vista era meglio avere cinque anni.
Mentre Hope si dimenava, l’altra cercò di toglierle i pantaloncini. Più facile a dirsi che a farsi visti i suoi continui movimenti. Agitava le gambe, scalciava, muoveva le manine e cercava di mettersi su un fianco. Provò a toglierle la parte sopra, o almeno a tirare più in su la maglia, ma anche in quel caso era difficile dati gli incessanti movimenti delle braccia e delle manine.
Oh mio Dio, qui faccio un disastro.
Quello non era un gioco e Hope non era una bambola, era una bambina e a differenza della prima non stava ferma. E se le fosse caduta dal letto? Avrebbe preso una botta, forse peggiore di quella di pochi mesi prima. Non ricordando come si aprisse, Mac mise il dito sotto la parte del pannolino che le copriva la parte bassa della pancia e tirò appena verso l'alto. Credendo di aver fatto male a Hope si disse che non avrebbe mai dovuto iniziare e nemmeno pensare di farlo, ma la bambina rise tantissimo.
Va bene, non so farlo. Ora rimetto a posto.
Ma infilarle i pantaloncini era ancora più complicato.
"Mackenzie Lovato, che cavolo stai facendo?" le domandò la donna alzando la voce.
Quando era rientrata, Demi aveva sentito le risate della bambina più piccola ed era corsa su a vedere, ma tutto si era aspettata fuorché quello che stava vedendo ora.
Mamma, volevo solo prenderla in braccio e poi capire come si apriva… scusa terminò la piccola, con uno sguardo colpevole.
La ragazza sospirò, si avvicinò al letto e cominciò a rivestire la bambina.
"La cambierò di sotto" disse, poi la prese in braccio e guardò l'altra figlia. "Ascoltami. Io non voglio urlare e nemmeno incazzarmi troppo. Ma cosa ti ho detto mesi fa? Cosa ti ho detto?" ripeté a voce un po' più alta.
Mac restò ferma per qualche secondo, poi scrisse:
Che devo prenderla in braccio da seduta.
"E l'hai fatto?"
Sì, giuro.
"E cos'altro?"
Solo quando ci sei tu.
"Esatto. E io adesso non c'ero. E poi?”
Non la posso cambiare da sola, né prepararle il latte, né tante altre cose.
“Giusto. Mac, io mi fido di te, sul serio, ma anche se ti senti grande per queste cose sei ancora piccola. Ne abbiamo già parlato. Non puoi pensare di poter fare tutto, è impossibile. Puoi aiutarmi, certo, e anche questo è molto importante, ma non puoi sostituirti a me. Non sei pronta a questo. Non hai l'età, la forza e la maturità per farlo, anche se come ti dico sempre sembri più grande di quanto sei."
"Brrr, mmmbrrr, mmmbrrr, brrr" fece Hope guardando prima la mamma e poi la sorella.
Lei non si era accorta di niente, si era divertita considerandolo un gioco.
Mackenzie non rispondeva ma cominciava a capire. I primi due giorni quando era arrivata in quella nuova casa era stata molto tranquilla, ma aveva anche preteso di occuparsi della sorellina. Demi le aveva fatto capire che avrebbero potuto farlo insieme, ma che la mamma era lei e che Hope sarebbe stata al sicuro. Conoscendo già la donna, la piccola si era fidata presto. Poi c'era stato l'episodio in cui Hope aveva preso quella forte botta, e adesso questo.
Non faccio apposta rispose. È che i nostri genitori sono morti e io voglio starle vicino.
Demi si commosse e sentì il suo cuore scaldarsi.
"Amore, ma tu le stai vicino! Giochi con lei, la fai ridere, siete sempre insieme e vi cercate. E questa è la cosa più bella che possa accadere a due fratelli o a due sorelle, credimi. Lei sa che tu le sei accanto. Non serve che tu faccia cose così difficili che può fare solo un genitore o un adulto. Avrebbe potuto cadere e farsi molto, molto male, più dell’altra volta. Sai come fa un bambino piccolo come Hope a capire che  qualcuno gli vuole bene?"
No, come?
"Lo comprende dal fatto se quella persona gioca con lui o no. Voi giocate tantissimo insieme e Hope sa che tu per questo le vuoi bene e lei ne vuole a te. Io sono la mamma e devo fare anche quelle cose che per te sono difficili. Tu invece sei una bambina e devi fare la bambina. È giusto per te che sia così, capito? Puoi darmi una mano, ma sempre quando ci sono io. E un giorno sarai una fantastica mamma."
Mackenzie, a quel punto, sorrise.
Ho capito. Stavolta non lo farò più, te lo prometto. So che potevo farle male.
"Esatto. Va bene, va bene" riprese Demi addolcendo il tono. "Ti perdono, ma solo per stavolta. Adesso la devo davvero cambiare. Mi vuoi dare una mano?"
 
 
 
Quando Andrew suonò il campanello la ragazza andò ad aprire con la piccola in braccio. Arrivò anche il cane che abbaiò e poi gli annusò le scarpe e i pantaloni.
“Sì, Batman, sono io. Non è entrato nessuno sconosciuto in casa, non devi proteggere le tue padrone” lo rassicurò l’uomo accarezzandolo.
"Ciao, ci mancavi."
"Davvero? Anche voi."
"Credevo saresti venuto più tardi" continuò Demi chiudendo la porta.
"Sì, anch'io. Ma ho lavorato, poi sono passato in ospedale, ho aspettato un po' perché immaginavo foste a dormire e beh, eccomi qui anche se è presto."
In effetti erano solo le tre del pomeriggio.
Mackenzie corse ad abbracciarlo più forte di quanto avesse fatto il giorno prima e Hope, che si stava rilassando tra le braccia della mamma, si limitò ad alzare una manina per toccargli il viso. La ritirò subito, lamentandosi appena.
"Non devo essermi sbarbato bene stamattina, almeno secondo lei" commentò l'uomo toccandosi le guance, che in realtà gli parevano lisce e a posto.
Pensò che forse le manine dei bambini così piccoli sono più sensibili di quelle degli adulti, anche se in realtà non ne era sicuro e magari quella era una cazzata, e la bambina poteva essersi allontanata per questo.
“Aaah, aaah” iniziò a mormorare Hope sorridendo.
“Come sei carina” disse Andrew prendendole una manina.
"Ci dai una mano ad attaccare le decorazioni?"
"Certo."
E così i tre cominciarono a scartare tutti i pacchi che ancora si trovavano sul tappeto, tirando fuori ogni bambolina e iniziando ad appenderle tutte sulle maniglie delle porte, sui pomelli dei cassetti ai quali Hope non poteva arrivare e anche al cancello. Mackenzie si occupò delle porte a cui riusciva ad arrivare, mentre gli adulti delle più alte. Hope, che giustamente non voleva essere esclusa da quel lavoro che però considerava un gioco, si divertì tantissimo. La mamma ed Andrew le passavano una bambolina dicendole di tenerla così, come le mostravano cioè per il filo e poi la aiutavano a metterla nella giusta posizione. Ogni volta che portava a termine quel compito con un personaggio, la bambina batteva le manine o lanciava un gridolino. Batman, invece, non sapendo cosa fare e vedendo che la padrona non lo lasciava giocare con quelle fantastiche cose che stava appendendo - ma perché, uffa! - si limitò a mettere la testa dentro ogni scatola e ad annusarla, per poi seguire i quattro ovunque andassero come un’ombra.
"Direi che è tutto in ordine" disse Andrew dopo un po' di tempo.
Ora la casa pullulava di bamboline con sguardi minacciosi che li guardavano e che erano talmente fatte bene da sembrare vere. Mackenzie però non ne era spaventata. Aveva ormai capito che era tutto finto. Hope all'inizio non ebbe nessuna reazione, poi però osservò con attenzione e a lungo una strega appesa alla porta che divideva il salotto dalla cucina. La guardò come se si stesse concentrando su qualcosa, tanto che né Demi, né Andrew, né tantomeno la sorella riuscirono a capire e gli adulti si zittirono per vedere cosa sarebbe successo. 
Fece un versetto che nessuno riuscì ad identificare, poi scoppiò in un pianto disperato, chiudendo le manine in piccoli pugnetti.
"Hope, non succede niente. Non si muove, non ti fa nulla" cercò di rassicurarla Andrew e, sapendo che la bambina non riusciva a capire quelle frasi un po' complesse, continuò a guardare nel suo stesso punto e a fare no con la testa.
"C'è la mamma qui, amore. Va tutto bene" provò Demi accarezzandole la testolina.
La faceva stare male vederla con gli occhietti pieni di lacrime e le manine messe in quel modo, come se avesse voluto proteggersi. Provò ad aprirgliele piano, una alla volta, un ditino dopo l'altro.
"Va meglio?" le domandò dopo averle cantato una ninnananna mentre camminava per la stanza.
La bambina le sorrise appena, ma continuava a muovere freneticamente le gambette e le mani, mentre il respiro era ancora affannoso.
Canta una canzone anche a lei, mamma suggerì Mackenzie. Con me ieri ha funzionato.
A tutti piaceva sentirla cantare, quindi si disse che valeva la pena di provare se questo avrebbe aiutato Hope che, vista la sua età, adorava ancora le canzoncine. Purtroppo non le venne in mente nessuna ninnananna, così pensò ad una canzone un po' più profonda. Di certo le piccole non ne avrebbero capito il senso, nemmeno Mackenzie nonostante la sua maturità, o almeno non del tutto, ma a lei piaceva e ogni volta che la ascoltava si rilassava.
"I hope you never lose your sense of wonder
You get your fill to eat but always keep that hunger
May you never take one single breath for granted
God forbid love ever leave you empty-handed
 
I hope you still feel small when you stand beside the ocean
Whenever one door closes I hope one more opens
Promise me that you'll give faith a fighting chance
And when you get the choice to sit it out or dance
 
I hope you dance, I hope you dance
I hope you never fear those mountains in the distance
Never settle for the path of least resistance
Livin' might mean takin' chances but they're worth takin'
Lovin' might be a mistake but it's worth makin'
 
Don't let some hell-bent heart leave you bitter
When you come close to sellin' out reconsider
Give the heavens above more than just a passing glance
[…]"
"Mmmmmmm" disse Hope alla fine, dopo essersi lamentata un altro po' durante la canzone, poi quando la mamma si sedette sul divano mise una manina nella sua.
"Mi stupisco ancora di quanto siano piccole rispetto alle nostre. Eppure non dovrei" disse Demi ad Andrew. "Insomma, dovrei esserci abituata."
"Capita anche a me. È normale."
Mi è piaciuta tanto, mamma scrisse Mackenzie.
"Grazie, ma non è mia, nemmeno quella di ieri lo era."
Non importa. Sono sicura che quando le canti tu sono meglio.
Detto questo, Mackenzie si mise al centro del tappeto e cominciò a muoversi come se volesse ballare. Correva, si fermava, faceva un giro su se stessa, si piegava in avanti e tornava in posizione eretta, si metteva in ginocchio e, dopo aver messo le mani sul tappeto ma dietro di lei, piegava la schiena in quella direzione. Non era di certo una danza vera e propria ma non importava, la cosa che contava era che si stesse divertendo.
"Sei bravissima, tesoro!” si complimentò Andrew.
No, ma grazie.
"Ti piacerebbe fare danza, Mac?"
Se ne avesse avuto voglia avrebbe potuto iscriverla ad un corso. C'era una scuola di danza molto buona lì in città.
No, in realtà non mi piace. Lo faccio solo per giocare.
"E c'è qualcos'altro che ti piacerebbe fare? Non so, suonare il pianoforte per esempio."
Boh, ci penserò rispose, vaga.
In fondo era ancora piccola, ne avrebbe avuto di tempo per scoprire qual era la sua passione. Mentre la sorella continuava a ballare, Hope volle essere messa giù. Si mise sulla pancia e rotolò un po' per il tappeto, poi strisciando e portandosi avanti con le mani la raggiunse.
"Ferma Mackenzie, Hope è dietro di te" le fece sapere Andrew, in modo che non le pestasse le mani o non le facesse male in altro modo.
La bambina ubbidì e si voltò. Le due sorelle si guardarono, poi la più piccola si mise in ginocchio e si aggrappò al polpaccio dell'altra.
"Vuole alzarsi in piedi tenendosi così?" chiese Demi, ma era ovvio che la risposta fosse affermativa.
Temendo che sarebbero potute cadere entrambe, andò a tirare via Hope dicendole che in quel modo rischiavano di farsi la bua. L'altra si lamentò e stava per piangere. Insomma, non era giusto. Stava cercando di fare una cosa e la mamma glielo impediva. Perché?
"Piccola, guardami."
Andrew la attirò battendo le mani, poi schioccò due dita e le mosse proprio davanti a lei, sempre un po' più in alto. Hope rise come una pazza rimanendo quasi senza fiato, mosse le manine e cercò di prendere quelle dell'uomo.
"Ah!" esclamò quando riuscì a prenderle.
"Brava, ce l'hai fatta."
Si aggrappò alla stoffa del divano e provò a mettersi in posizione eretta.
“Aspetta, ti aiuto” mormorò Andrew, ma Demi lo fermò subito.
“No, lascia che faccia da sola. Assicurati solo che non ci sia qualcosa con cui potrebbe farsi male.”
Non c’era niente, ma sia lei che lui si inginocchiarono dietro Hope mettendole le mani a pochi centimetri dai fianchi. Hope si tirò su per un secondo, poi finì seduta a terra.
“Woah, brava!” esclamarono gli adulti, con la bocca semi-chiusa per lo stupore.
Mackenzie portò alla mamma un libretto di favole.
Me ne leggi una?
"Ma certo, quale vuoi?"
Iniziò a girare le pagine. "La piccola fiammiferaia"? No, troppo triste. "Cappuccetto Rosso"? Neanche, l'aveva già sentita mille volte e la sapeva a memoria. "Biancaneve"? Nemmeno, non ne piaceva perché a quanto pareva la matrigna non voleva bene alla bambina e la cosa la rattristava e poi, anche se non veniva detto nulla di specifico, le ricordava la sua prima mamma affidataria. "Il topo e il leone"? Eccola, questa sì che andava bene.
La mamma cominciò a leggere la storia di questo leone che veniva svegliato da un topo. Il primo lo spaventava e il re della foresta si arrabbiava tantissimo, ma il topolino gli diceva che un giorno avrebbe avuto bisogno di un esserino piccolo come lui. Ovvio che l'altro non ci credesse. Come sarebbe stato anche solo lontanamente possibile? Ma poi le cose andavano diversamente.
"Giriamo pagina. Ecco, qui c'è un cane che sembra molto simpatico." La voce calda di Andrew stava descrivendo a Hope le figure di un libro illustrato. Quel giorno alla piccola piaceva di più guardare le cose che ascoltare le favole. "E qui invece? C'è un bel gatto. Hai visto che grande?"
"Da guggu" fu la risposta della bambina, che ogni tanto metteva una mano sulla pagina e chiudeva le dita come se avesse voluto prendere la figura pensando che fosse reale.
"C'è altro che dobbiamo fare per stasera?" chiese Andrew a Demi quando questa finì il racconto.
"No, ho avvertito tutti quindi ogni cosa è pronta. Ho deciso di vestirci tutte e tre di nero e abbiamo preso i cappelli da strega. Il tuo costume?"
"Ce l'ho in macchina."
"Ce lo fai vedere?"
"No, non prima di stasera."
"Daaai" si lamentò la ragazza.
"No no, non c'è "Daaai" che tenga."
Provò a supplicarlo in altri modi ma non ci fu niente da fare, così alla fine si arrese.
Cosa c'è stasera? chiese Mackenzie incuriosita.
Credeva che dopo aver appeso ciò che avevano comprato  avrebbero provato i costumi in casa per un po' e che quella festa di Halloween sarebbe finita lì.
"Lo vedrai e sono sicura che ti piacerà" le rispose vaga la mamma. "Vado a preparare un panino, qualcuno lo vuole?"
La figlia e il suo amico dissero entrambi di sì, così Demi si diresse in cucina dopo aver lasciato Hope alle cure dell'uomo.
"Che c'è?" le chiese Andrew vedendo che indicava qualcosa sul divano.
"Bo, bo" iniziò a ripetere la piccola.
"Un altro libro? Ah sì, eccolo qui sotto il cuscino. Brava. Ora lo guardiamo."
 
 
 
Mackenzie, intanto, si diresse in cucina e trovò la mamma che tagliava il salame.
Posso aiutarti?
"Rischi di farti male con il coltello, ma se ti lavi le mani puoi mettere  l'affettato nel pane che è già diviso in fette."
Non se lo fece ripetere due volte. Si sciacquò bene con il sapone, poi si sedette ed iniziò a lavorare.
Mamma? chiese alla fine.
"Sì?"
Sei felice che ti ho aiutata?
"Si dice "ti abbia", tesoro." Non la correggeva spesso pensando che avrebbe imparato, ma ogni tanto era necessario per farle capire dove sbagliava. "Comunque sì, certo. Perché me lo domandi?"
Così so di aver fatto qualcosa di bello. Hai detto che la cosa della favola, come si chiama?
"La morale."
La morale della favola è che anche i piccoli possono aiutare i grandi. Ecco, io ora l'ho fatto e se ti fa piacere, sono contenta.
"Vieni qui, mia piccola aiutante." Demi la sollevò da terra e la strinse, poi la riempì di baci. "Quello che mi rende più felice è aver avuto te e tua sorella, che voi siate entrate nella mia vita. Sono contenta di essere la vostra mamma, capito?"
Mackenzie aveva compreso benissimo e, in uno dei suoi lampi di maturità, rispose:
E noi di essere tue figlie.
Il cuore di Demi accelerò, batteva così forte che sarebbe potuto scoppiare e gli occhi le si inumidirono. Se avesse potuto prendere il volo per la felicità, di certo in quel momento l'avrebbe fatto. Si commosse tanto che non fu in grado di parlare per qualche secondo.
Andrew, con Hope fra le braccia, stava camminando con lunghe falcate per il salotto. Ogni tanto si fermava di colpo e la bambina lo guardava in modo strano, come se si domandasse cosa stava succedendo, oppure l'uomo faceva una piccola corsetta e poi un salto. Allora la piccola lanciava un breve gridolino di gioia e sollevava in alto le braccine per sentirsi più partecipe di quel gioco.
"Guarda cosa facciamo adesso."
La sollevò in alto, non con troppa velocità ma abbastanza perché Hope si sorprendesse. Rise tantissimo e gridò ancora di più, tanto che Demi voltò lo sguardo verso di loro.
"Ma che combinate voi due?"
"Stiamo solo giocando e a quanto pare la sto facendo divertire."
"Beh, ormai ho capito che ci sai fare con i bambini."
Gli sorrise e lo ringraziò lanciandogli uno sguardo dolce che lui ricambiò, poi mosse una mano come a dire che lo faceva volentieri.
Hope, ancora in aria, guardava il mondo da quella prospettiva e doveva dire che ehi, le stava piacendo parecchio.
Posso anch'io? chiese Mackenzie avvicinandosi a loro.
"Ma certo."
E così anche lei fece quell'esperienza. Urlò e rimase a bocca aperta, così come gli altri. Era sempre bello sentire la propria voce, pensò Mackenzie, dato che accadeva tanto raramente. Per Andrew e Demi era una vera gioia e Hope, che era piccola e non capiva il problema della sorella, la guardò confusamente. Quando fu a terra Mackenzie si chinò su di lei e le accarezzò la testa.
"Se venite è pronto, o quasi" disse Demi richiamandoli in cucina.
Stava preparando il latte in polvere a Hope. Il pomeriggio tendeva a darle latte o yogurt, oppure frutta omogeneizzata, mentre la mattina latte ma con dei cereali che gli si scioglievano dentro. La sera Hope beveva molto meno latte rispetto alle altre due volte, era più che altro una piccola coccola che le concedeva dato che la bambina non sembrava avere fame ma lo faceva anche perché, se da una parte non era ovviamente sua intenzione farla restare affamata, dall'altra doveva stare anche attenta al peso visto che la bambina faceva già quattro pasti al giorno, due dei quali con cibi solidi.
"Se vuoi lo preparo io" disse Andrew mettendo la piccola nel seggiolone.
"Non serve, non vorrei disturbarti."
"Ma figurati, che disturbo."
Finché il latte si scaldava nel pentolino, l'uomo mangiò il panino assieme a Demi e alla bambina, poi a turno diedero tutti un piccolo pezzettino di pane a Hope che lo tirò su con due dita e se lo portò alla bocca. Era morbidissimo, per cui non ebbe problemi. Sorrise.
"Sembra che le piaccia molto" disse Demi.
"Già. Scusa la mia ignoranza, ma quando comincerai a darle il latte vaccino?"
Lei gli rispose che l’avrebbe fatto dopo il primo compleanno della bambina, ma diluito con acqua per un periodo, se ne avrebbe voluto molto. Prima dell’anno è sconsigliato perché ricco di proteine e povero di ferro e può portare all'obesità.
"Ah, non lo sapevo” rispose lui. Ecco, questo fa capire quanto poco ne sappia sui bambini."
"Guarda che anch'io ho imparato pian piano e ho anche fatto degli errori."
Mamma, anch'io ero piccola come lei? chiese Mackenzie.
"Certo."
E secondo te ero tranquilla o rompevo le scatole?
"Diciamo che credo fossi un po' furbetta."
Perché?
"Non lo so, ho questa sensazione."
Ma lo ero tanto?
"Sì."
Tanto quanto?
"Tantissimo.”
Detto questo le si avvicinò e le fece il solletico ai fianchi mentre la bambina rideva e si agitava.
Dai, non è vero. Secondo me ero bravissima si difese poi. Tu com'eri, Andrew?
"So che quando ero un po' più piccolo di Hope mia mamma doveva macinare al massimo le verdure nella minestra perché  altrimenti se c'era anche solo un piccolissimo pezzettino di qualcosa io vomitavo tutto."
"Che delicato" commentò Demetria.
"Già, ora che devo fare?" chiese, dopo aver spento l'acqua. "Merda, è bollente. Non l'ho più controllata. Oddio, che faccio ora?"
Con il respiro corto e gli occhi che saettavano da una parte all'altra in cerca di chissà quale risposta da chissà chi, Andrew era nel panico più completo. Non le aveva mai preparato il patte prima.
"Nel biberon c'è già la polvere, vedi? Ora versa l'acqua , scuoti e poi mettilo sotto l'acqua fredda."
Lui eseguì, ma fece troppo in fretta perché dell'acqua bollente gli finì sulle mani nude. Insomma, Hope era tranquilla e non si lamentava nemmeno, ma se in realtà avesse avuto una fame da lupi?
"Piano, Andrew. Con calma. Non devi ustionarti" rise. Se non piange vuol dire che sta bene, quindi vai tranquillo."
"O-okay" balbettò, poco convinto.
Dopo aver asciugato il biberon si provò la temperatura sul polso. Poteva andare.
Quando prese Hope in braccio e le avvicinò il biberon alle labbra, la piccola cominciò a succhiare avidamente. Era rilassante stare ad ascoltare la suzione, pensò l'uomo.
Batman venne a richiedere qualcosa da mangiare e iniziò ad ugiolare. Demi gli diede un po’ di pane ma non l’affettato perché non era proprio il caso. Lui lo mangiò in un sol boccone e poi corse nella sua cuccia scodinzolando felice.
Andrew, dopo giochiamo ancora? gli domandò Mackenzie.
"Ma certo, abbiamo tutto il pomeriggio. Come sta la  tua bambola, quella che mi hai fatto vedere tempo fa?"
Carlie? Bene grazie, vado a prendertela.
Corse in salotto, mentre i due adulti si guardavano.
"Non mi ricordavo si chiamasse così" confessò lui. "Fa un certo effetto."
Il suo cuore aveva perso un battito quando Mackenzie aveva scritto quel nome ed era successo anche tempo prima. Deglutì mentre la gola gli bruciava.
"Stai bene?" si arrischiò a domandare Demi.
Sapeva che era una domanda difficile e che Andrew avrebbe potuto anche arrabbiarsi perché era ovvio che non si sentisse affatto bene.
"Non lo so. Oggi sono andato a trovare i miei e mi sono intristito. Fa male, anche se sono passati quasi sei anni.”
Stava sviando il discorso, ma lei lo seguì.
“Ti capisco, è stato così anche per me con mio padre oggi. Hai pianto? Io un po’.”
“Parecchio, sì. Non credevo e invece sono proprio scoppiato, ho chiesto loro di non lasciarmi solo e cose del genere. Spero mi stiano guardando, ovunque siano e che mi stiano accanto nella vita a modo loro.”
“Sono di sicuro in Paradiso. Joyce e Frank erano persone troppo buone per essere altrove. E chi muore e ci era caro ci osserva sempre, Andrew. Considerali degli angeli custodi.”
Passò qualche momento di silenzio in cui ognuno pensò alla propria situazione, a hi aveva perso, a quanto era brutto sapere che quelle persone non erano più vive ma in una tomba. Sentirono Mackenzie che trafficava con il cesto dei giocattoli in salotto.
“È dura. Lo sarà per sempre” continuò lui abbassando il tono.
“Già, e io non riuscirò mai a capire se lo odio o lo amo di più.”
“Forse non devi. Magari è proprio questo contrasto di sentimenti ciò che senti veramente, non puoi stare da una parte all’altra o nel mezzo.”
“Mi sa che hai ragione” sospirò la ragazza.
Andrew sapeva sempre dire la cosa giusta.
“Ogni volta che sento il suo nome penso a come sarebbe la mia vita se fosse fuori da quell'ospedale, sveglia e in salute. Mi hanno spiegato già anni fa che il processo di risveglio dal coma è molto graduale e lento, ma ormai come sai i medici hanno perso le speranze. Non hanno fatto altro che provare cure su cure."
"Lo so" mormorò Demi. "Mi piacerebbe venire a trovarla qualche altra volta, se sei d'accordo."
"Certo, puoi andare in terapia intensiva anche senza di me  quando aprono per gli orari di visita. Le farà piacere vederti. So che non può sentirci, ma avvertire la nostra presenza sì a volte. C'è una linea verde sul monitor che lo indica."
Mackenzie tornò indietro con la sua bambola.
"Posso vederla? le chiese Andrew.
L'aveva già fatto, ma anche se poteva sembrare molto strano e da pazzi, sapere il nome di quel giocattolo e accarezzarlo per fargli una coccola lo portava a pensare, solo per un istante, di farlo con sua sorella mentre lei lo abbracciava, sorrideva e stava bene.
Ti piace?
"Oh, sì, è molto bella. Ha i capelli biondi come lei" mormorò poi, più a se stesso che alla bambina.
Tua sorella?
"Esatto. Ha i capelli biondi e gli occhi azzurri come li aveva mia mamma."
I tuoi genitori sono in cielo?
"Sì, da un po' di anni."
E come sono morti?
"Mackenzie, no" la rimproverò la madre, anche se non alzò molto la voce. "Non si fanno certe domande. Potresti ferire una persona, anche se non lo vuoi."
Ferire in che senso?
"Nel senso che lei potrebbe sentirsi male, a volte molto."
Oh. Quella piccola esclamazione scritta a penna fu accompagnata dall'espressione triste che si dipinse sul suo visino. Scusa Andrew.
Mac sapeva bene quanto le domande degli altri, fatte per curiosità o anche rispetto, riguardo i suoi genitori l'avevano fatta sentire. Era successo solo poco tempo prima quando lei, la mamma e Hope erano appena arrivate davanti ad un centro commerciale. In particolare, le sarebbe sempre rimasta impressa, come scolpita nella mente, una domanda di un paparazzo che le aveva fatto scendere una lacrima.
"Mackenzie, è vero che i tuoi genitori sono stati uccisi da un killer e che tu e Hope avete assistito all'omicidio?"
Non aveva capito se l'uomo gliel'avesse chiesto ma dentro di lui avesse pensato di porle quella domanda dicendosi cose come:
"Se non vuole rispondere non importa, devo rispettare il suo dolore"
oppure no, ma comunque era stata più dolorosa di una coltellata, anzi, di un colpo di pistola, si disse con amarezza. La mamma l'aveva guardato male e poi avevano proseguito. Non ne avevano parlato più. Forse avrebbero dovuto. Mac non era sicura di sapere cosa significava l'espressione "sentirsi morire", ma credeva di averlo imparato due volte: una, la peggiore, quando aveva capito che i suoi non c'erano più e l'altra in quel momento.
"Non ti preoccupare, tesoro."
Andrew la riportò alla realtà.
No, è che so cosa vuol dire scrisse e poi raccontò l'episodio. Tu lo sapevi? chiese all'uomo.
"Sì, la mamma me ne aveva parlato. Mi dispiace molto. I paparazzi sanno essere dei veri…"
Demi lo zittì con una mano, ma poi gli si avvicinò e gli mormorò all'orecchio:
"Figli di puttana? Sì, abbastanza."
Mi ha fatto tanto male continuò la bambina.
"Lo so, piccola" le disse la mamma. "Spero che da ora in avanti saranno più gentili, altrimenti mi arrabbierò e glielo dirò in faccia, non mi interessa se poi i giornali scriveranno cose assurde su di me."
È stato brutto. Ma altre persone mi chiederanno queste cose. Starò così sempre?
Demetria tenne la bocca chiusa. Anche se aveva sofferto quando era morto suo padre, Patrick, cinque anni prima, aveva avuto un rapporto burrascoso con lui e credeva che avrebbe dovuto essere Andrew a dire quello che sentiva, visto che aveva avuto una famiglia, se si poteva dire così, normale.
L’uomo rifletté per un momento. Non era semplice rispondere a quella domanda, soprattutto perché posta da una bambina.
"Sai Mac, perdere i genitori da adulti è diverso."
Perché?
"Io sono stato malissimo per mesi e ci soffro sempre, ma forse è più facile essendo grande."
Perché?
"Gli adulti riescono a dire quello che provano meglio rispetto a quanto fanno i bambini.”
Perché? Domandò ancora, come spesso fanno i bimbi.
Andrew non perse la pazienza e proseguì.
“Perché sanno molte più cose, tante più parole e sono più maturi.”
E come ci riescono?
Una domanda un po’ stupida, forse, ma l’altro rispose:
“Con le parole, mentre voi anche attraverso il gioco o i disegni."
Io lo scrivo, a volte.
"Già, e sei bravissima, ma ci sono bambini della tua età che ancora non sanno scrivere e che hanno vissuto cose molto brutte come te."
E i bambini come fanno a stare meglio?
C'era così tanto dolore nei suoi occhi che Andrew e Demi si sentirono quasi schiacciati da esso. Non avevano mai visto una sofferenza simile negli occhi di un bambino. Contrastavano con quelli di Hope che, seduta sul tappeto, giocava con un peluche e sorrideva.
"Giocando, disegnando, parlando e, credo, come fanno i grandi. Devi darti tempo, Mac. Non so se ci vorranno mesi o un anno o più, nessuno è in grado di dirlo. Ma quando crescerai, molto lentamente, il dolore diminuirà un po'."
Non era una risposta molto incoraggiante, pensò la piccola, ma forse era l'unica che Andrew poteva darle.
Passerà mai?
"No. Ci sono cose che non si superano. Ma ciò non vuol dire niente, potrai comunque avere una vita felice."
Con i miei fantasmi dentro? No.
Lo pensò soltanto, non lo scrisse per non rattristare nessuno.
O almeno, si disse, per ora non ci credeva. Le sembrava impossibile. Non chiese nemmeno se i suoi genitori sarebbero potuti tornare. Le era stato spiegato da tempo che non poteva essere così.
Mentre la bambina pensava a tutto ciò, Andrew e Demi decisero di escogitare un modo per farla sorridere.
"Facciamo "Dondola, Dondola"?" propose l'uomo.
Demi capì al volo e annuì.
Cos’è? Domandò Mackenzie. Un gioco nuovo?
Non le pareva di averlo sentito prima d’allora e la curiosità la divorava.
“Esatto” le rispose la mamma.
Presero la coperta che si trovava sopra lo schienale del divano, la distesero sul tappeto e poi dissero a Mackenzie di sdraiarvisi in mezzo. Lei non riusciva a capire, ma obbedì. I due adulti poi presero ognuno un lato della coperta e la sollevarono un po', poi iniziarono a muoverla piano a destra e a sinistra come per cullarla e cantando dolcemente:
"Dondola, dondola,
questa bimba dondola.
Dondola, dondola,
questa bimba dondola.
[…]"
Andarono avanti così per altre due o tre volte, poi la rimisero a terra mentre Mac aveva un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
Hope, che aveva visto tutto, si gettò sulla coperta prima che Andrew e Demi avessero il tempo di sistemarla un pochino. Fecero quel gioco anche con lei e la bambina rise di cuore.
È stato divertente. Dove l'avete imparato?
"Era un gioco che facevano i miei a me e a Carlie quando eravamo bambini, soprattutto quando uscivamo per dei picnic ma anche a casa" spiegò Andrew. "Funziona sempre per far tornare il sorriso."
E così il pomeriggio trascorse sereno tra giochi e risate. Si unì anche Batman che portò ai quattro una pallina e pretese che ognuno gliela tirasse per poi riportargliela subito
dopo.
A un certo punto a Demi arrivò un messaggio.
Ciao. Ci vediamo stasera, allora. Non mangiate.
Dopo averlo letto, chiuse il telefonino e sorrise.
Quando arrivò la sera, Andrew andò a prendere il costume in macchina e poi andò in bagno a metterselo. Ne uscì poco dopo. Nemmeno lui aveva preso un vero costume, ma era vestito interamente di nero. Sopra la camicia portava anche giacca e cravatta sempre dello stesso colore e un mantello che, notò Demi quando l'uomo lo alzò, all'interno era rosso. Aveva dei denti finti che però erano incredibilmente realistici e che alle bambine fecero un po' paura, ma poi la mamma spiegò loro che erano di plastica. Si era truccato il viso con dei prodotti per farlo sembrare pallido ed emaciato, far risaltare le occhiaie e si era colorato le labbra di rosso per imitare il sangue.
"Wow, sembri un vero vampiro" commentò Demi.
Sapevo che ti saresti vestito così scrisse invece Mackenzie, felice di averci visto giusto.
Dopo che anche Demetria si fu preparata e che ebbe vestito e truccato Hope e aiutato Mackenzie, i quattro uscirono a piedi, senza dimenticare un paio di cestini per i dolcetti delle piccole e i due gatti che avevano comprato quella mattina.
Ma dove stiamo andando? chiese Mac.
"A fare dolcetto o scherzetto, no?" rispose la madre.
Adesso è novembre. Come…
E poi capì. La mamma doveva aver telefonato ai vicini chiedendo se avrebbero potuto comportarsi come se fosse Halloween dopo aver spiegato la situazione. Quando chiese a Demi per conferma e lei rispose che era proprio così, la bambina la abbracciò e la ringraziò infinite volte. Non poteva averlo fatto davvero.
Suonarono alla prima casa e, quando una signora sulla settantina aprì la porta, i due adulti chiesero:
"Dolcetto o scherzetto?"
Mackenzie sentì un intenso dolore al cuore, solo per un momento. Se fosse riuscita a parlare avrebbe posto quella domanda, come fanno tutti i bambini. Ma lei no, perché era diversa. La mamma continuava a dirle che non lo era, che anche se aveva una difficoltà era come tutti gli altri e poi le elencava tutte le sue qualità positive. Ma era vero? Anche se voleva crederle, quando pensava che avrebbe potuto parlare ma non ci riusciva lei non si sentiva normale, anche se gli altri la vedevano così; ed era sicura che lo sapesse anche Demi, per questo continuava ad aiutarla tanto. Scosse la testa quasi con violenza per mandar via quei brutti pensieri. Non voleva che le guastassero la festa che le persone che la amavano di più al mondo avevano organizzato per lei, sarebbe stato brutto e ingiusto.
"Arrivo subito con i dolcetti" disse la signora, che aveva una massa di capelli ricci e bianchi e due occhi verdi come quelli di Andrew, che guardavano le bambine con dolcezza.
Poco dopo ricomparve con un sacchetto di caramelle e cioccolatini e li diede tutti a Mackenzie e Hope, dividendoli tra l'una e l'altra in parti più o meno uguali.
Grazie scrisse la maggiore, ma siccome la signora non riuscì a leggere lo riscrisse più in grande.
"Oh, niente cara. Siete bellissime."
Demi non aveva molti rapporti con i suoi vicini, anche se li conosceva, li salutava e qualche volta ci scambiava due chiacchiere. Il fatto era che prima di adottare le piccole, tra il lavoro, i tour e tutto il resto non stava a casa tantissimo durante il giorno o, quando ci rimaneva, si riposava. Adesso invece aveva più tempo. Tutti sapevano della situazione delle sue figlie e della condizione di Mackenzie.
Il signore che abitava nella seconda casa non aprì e i quattro ci rimasero male. Demi gliel'aveva domandato, lui nonostante fosse burbero come sempre aveva detto di sì e invece ora si rifiutava. Dio, erano solo bambine, non avrebbe potuto fare un'eccezione? Presero altri dolcetti da diverse case lì intorno e alcuni proprietari si complimentarono con le piccole per il trucco o con Andrew per il vestito.
“A nessuno piace il mio cappello” si lamentò scherzosamente la donna.
Tornati a casa, Demi diede la pappa a Hope.
Noi perché non mangiamo? chiese Mackenzie.
"Lo vedrai."
Quando, un po’ di tempo dopo, vide che la mamma andava a  prendere la macchina in garage, le domandò se la festa non era finita.
"No, adesso andiamo a casa dei nonni."
Una volta arrivati e detta la solita frase, ai quattro aprì Eddie e Madison, Dallas e la moglie lo seguirono.
"Abbiamo un mare di dolcetti. Entrate" disse loro Dianna.
In cucina c'era una tavola preparata con tazze e cucchiaini.
"Per festeggiare questa Halloween in ritardo abbiamo deciso di fare una cosa un po' particolare" disse Eddie. "Stasera si berranno tè deteinato o latte e si mangeranno solo dolci."
"Oddio" mormorò Demetria.
Cercava sempre di non dare alle figlie troppo zucchero, soprattutto a Hope che era ancora così piccola. E poi non sapeva nemmeno se le piacesse il tè, la pediatra le aveva detto di darle solo acqua o latte in polvere fino all'anno. E, comunque, i cereali che le metteva nel biberon la mattina e, a volte, il pomeriggio erano già di per sé parecchio zuccherati.
"Andiamo, tesoro, per una sera non vi farà male mangiare dolci se non esagerate" le disse la mamma. "E poi mi hai detto che la piccola ha già mangiato, per cui basterà provare a darle il tè."
"E secondo te vedendoci con i dolci non vorrà provare qualcosa?"
"Allora le darai solo qualcosina. Dai, su, non le succederà niente. Capisco che vuoi stare attenta, ma lasciati andare per una volta. Voi avete mangiato pezzettini minuscoli di cioccolato e non vi è mai successo niente."
La ragazza sorrise.
"Va bene."
Andrew si tolse i denti da vampiro così da poter mangiare meglio. Dianna portò in tavola una teiera e versò ad ognuno una tazza, Eddie invece mise un bricco di latte caldo e dello zucchero. Demi, che aveva portato il biberon per Hope, provò a darle il tè con un po' di zucchero e latte. All'inizio la piccola arricciò le labbra per la sorpresa.
"Guardate che carina" disse Madison ridendo.
Subito dopo però si abituò al sapore e, anzi, sembrò gradirlo molto.
"Mia figlia che assaggia qualcosa di nuovo" mormorò Demi con le lacrime agli occhi.
Era uno di quei momenti che non avrebbe mai dimenticato, per questo Andrew fu veloce a scattare una foto.
Buono, nonna! esclamò Mackenzie assaporando il suo tè.
"Grazie, ma non è niente di che. Aspetta di assaggiare i dolci."
Poco dopo arrivarono tre vassoi pieni di biscotti a forma di bacchetta di strega, faccine spaventose e arrabbiate che sembravano essere quelle di alcuni demoni, altri a forma di strega, o di loro cappelli, oppure di fantasmi.
"Li avete fatti voi?" domandò Demi stupita. "Come? Vendono degli stampini o qualcosa del genere?"
"No, lo ammetto" disse Eddie. "Li abbiamo commissionati ad una pasticceria qui vicino. Sono tutti ripieni di Nutella, come vedete ne hanno tanta. Spero vi piacciano. A me ne hanno fatto assaggiare uno ed era meraviglioso."
"Addirittura meraviglioso? Cioè, la Nutella non è male, ma non è che sia tutta questa bontà."
Madison e Dallas guardarono Andrew scandalizzate.
"Come fai a dire una cosa del genere?" chiesero all'unisono, come gemelle. “Sei un alieno per caso?”
"A lui piace di più il cioccolato fondente" rispose Demi.
Lei conosceva benissimo i gusti del suo migliore amico, ma le sorelle forse se li erano dimenticati.
"Ho anche dei biscotti fondenti" disse Dianna.
L'uomo stava per replicare che non era necessario ma lei era già corsa verso la cucina.
“Non è il compleanno di nessuno, ma pensavo di accendere una candela per poi farla spegnere alle bambine in modo da farle divertire” propose Dianna.
La proposta fu accolta e, poco dopo, Mackenzie si avvicinò alla candela e soffiò una, poi due volte finché la luce si spense. Tutti applaudirono e lei si domandò come sarebbe stato il suo sesto compleanno. Immaginò che la mamma avrebbe organizzato una festa bellissima con tutta la famiglia, preparato una torta al cioccolato e panna e che lei avrebbe ricevuto tantissimi giocattoli. Sì, sarebbe stato tutto perfetto. Hope ci mise un po’ di più a spegnerla perché Demi ed Andrew dovettero cercare di farle capire come soffiare. Glielo fecero vedere e, quando la bambina comprese, ci provò. Mosse anche le mani come per prendere la luce, ma la mamma che la teneva in braccio la fermò subito. Dopo tre soffi non si era ancora spenta e la piccola si mise quasi a piangere, ma Demi la aiutò con un soffio più forte e ci riuscirono. Quando ci fu il secondo applauso Hope sorrise e batté le manine a sua volta.
Tutti furono soddisfatti dei dolci e mangiarono molto, anche se la più coinvolta era Mackenzie che non scrisse più per un po’ dato che aveva la bocca sempre piena. Hope leccò qualche cucchiaino di nutella che le diede la mamma e lo apprezzò, sporcandosi la bocca, il naso e una volta persino la fronte.
Dopodiché tutti andarono in salotto e si sedettero sul divano. Viste le insolite temperature fredde di quell'anno - in inverno era prevista neve, anche se nessuno ci credeva ancora - Eddie aveva acceso un fuoco prima che gli ospiti arrivassero.
"Per creare un'atmosfera ancora più casalinga" aveva detto, aggiungendo che avrebbero avviato il riscaldamento molto presto.
Sapete che io, la mamma e Hope abbiamo comprato una zucca finta?
"Davvero Mac? E com'è?" le chiese la zia Dallas.
Fa un po' paura, ma tanto so che non ne devo avere.
"Conosci l'origine della festa di Halloween?" le domandò ancora.
Mac era una bambina molto curiosa, le piacevano le storie quindi sperò che avrebbe gradito questa.
No.
"Per prima cosa, Halloween non nasce in America bensì in Irlanda."
La bambina, e non solo lei, fece una faccia che sorpresa era dire poco.
"Lo so, è stato strano anche per me scoprirlo, ma è così. Corrisponde a Samhain, il Capodanno celtico."
Celtico? domandò Mackenzie. Che significa?
Non le sembrava di aver mai sentito quella parola-
"I Celti erano una popolazione che abitava l'Irlanda tantissimi anni fa" le spiegò il papà.
"Erano pastori, allevavano quindi bestiame e la loro vita era scandita da ritmi molto lenti” riprese la zia. “In estate, o per meglio dire alla fine, tornavano a valle con le loro greggi e si preparavano ad affrontare la stagione invernale. Il nuovo anno per queste persone non cominciava il primo gennaio come per noi, ma il 14 novembre, il giorno che divideva la stagione calda da quella fredda."
E cosa facevano in inverno? domandò la bambina, sempre più affascinata.
"Stavano in casa, costruivano oggetti, la sera raccontavano storie. In questo periodo, il 31 ottobre la popolazione festeggiava lo Samhain. I Celti coltivavano anche i campi e in quella stagione i raccolti erano abbondanti, il bestiame era stato nutrito e tutti ringraziavano gli dèi e facevano un rito affinché li proteggessero dai pericoli dell'inverno. Il tempo per loro era un cerchio che si divideva in diversi cicli. La fine di ognuno era importantissima e piena di magia. La terra si riposava, sotto di essa si trovavano i morti, per cui la morte era il tema fondamentale della festa."
Mackenzie, prima immobile, fu percorsa da un brivido e per un secondo il suo pensiero andò ai genitori.
Dallas si diede dell'idiota per averlo detto. Avrebbe potuto evitare e si scusò quando la sorella la incenerì con lo sguardo. Non lo spiegò nel dettaglio per non parlare ancora di morte, ma la più grande continuò dicendo che in questo giorno il mondo dei vivi e quello dei morti si fondevano e così gli spiriti riuscivano a vagare per la terra.
"La notte la gente si riuniva nei boschi e sulle colline perché si accendeva un fuoco sacro." Venivano anche fatti sacrifici animali, ma evitò di parlare anche di questo. "I Celti tornavano al villaggio indossando maschere, portando lanterne fatte con cipolle e con all'interno le braci del fuoco. Dopo festeggiavano per tre giorni, mascherandosi. Dopo una lunga evoluzione che non sto qui a spiegare, nell'Ottocento in Irlanda ci fu una carestia.”
“Bruttissimo periodo” mormorò Andrew.
Erano morte tantissime persone.
“Già, e molti per sfuggirvi vennero in America, dove portarono le loro tradizioni tra cui quella di Halloween. Questa festa si diffuse tra il popolo americano e poi in tutto il mondo."
Un crepitio del fuoco più forte degli altri riscosse tutti quanti.
"Ci avevi proprio catturati, sorellona" disse Demi. "Sei molto brava a raccontare."
Gli adulti si misero a parlare della scuola di Madison e dei suoi risultati, del lavoro di Dallas e di quello di Andrew.
"E tu, mamma? Non ti manca lavorare?"
Dianna aveva fatto la cantante di musica country e la segretaria, ma aveva smesso molti anni prima. Lei e Eddie si erano accordati così.
"Un po', Demetria, ma sono anche contenta di essere rimasta a casa ad occuparmi di voi e a fare la mamma, a portarvi alle audizioni e ad aiutarvi ad arrivare dove siete ora. Sono felice di quel che ho fatto e della vita che ho."
Hope si era appisolata fra le braccia di Demetria ascoltando la zia. In effetti, mentre raccontava, Dallas aveva una voce che conciliava al sonno.
"Scusate."
Andrew si alzò e uscì.
“Che gli prende?” domandò Eddie, confuso come tutti gli altri.
“Forse ha solo bisogno di un attimo di tranquillità. Lasciamolo solo per un po’” suggerì la sua migliore amica.
 
 
 
Gli era dispiaciuto uscire tanto in fretta, ma era stato più forte di lui. Prese a camminare per il giardino godendosi il silenzio. Non che stare lì dentro non gli piacesse, anzi, ma a volte l'allegria quando lui non stava del tutto bene non gli piaceva. Una volta giunto al limitare della  proprietà si tolse la felpa e la maglia a maniche lunghe che indossava, tanto lì nessuno avrebbe potuto vederlo. Per fortuna Mackenzie non gli aveva mai domandato come mai portasse le maniche lunghe anche d'estate ed era stato un bene. Come avrebbe fatto a spiegarle il motivo per cui, fino a pochi mesi prima, si era procurato quelle cicatrici? Era bello scoprirle ogni tanto, quando era fuori ma nessuno poteva guardarle. Sentire il vento anche lì, su quella pelle che sarebbe stata ferita per sempre, segnata com'era la sua anima dal dolore, gli dava un minimo di sollievo, non fisico perché non gli facevano male, ma psicologico. Non si tagliava più da quasi cinque mesi. Non moltissimo in effetti, ma per lui era una grande conquista. Aveva avuto qualche ricaduta, ma per fortuna niente che l'avesse fatto precipitare di nuovo. Non del tutto, almeno. Andava da una psicologa e insieme stavano lavorando perché lui ne uscisse del tutto.
Il pensiero di farsi male, il bisogno di trovare una via di fuga dal dolore in quell’altra trappola era ancora molto forte, ma per ora, visto che stava migliorando, la donna non riteneva necessario che Andrew facesse un consulto psichiatrico per iniziare eventualmente a prendere dei farmaci. Trasse un profondo respiro e si sedette su un muretto alto lasciando le gambe penzoloni.
Ricordava bene la prima volta in cui l'aveva fatto.
 
 
Tornato a casa dall'ospedale, era incazzato con se stesso per aver lasciato che Carlie andasse a quella festa, con lei perché non si svegliava, con il mondo intero. La ragazza era in coma da pochi giorni e vederla così gli provocava una sofferenza che non sarebbe riuscito a descrivere. Solo, chiuso in sé, si disse che non ne avrebbe parlato con nessuno.
Come ho fatto? Come ho anche solo potuto pensare di incolpare te, Carlie?
Era vero, aveva perso il controllo del mezzo e stava guidando lei, ma non aveva nemmeno una goccia di alcol in circolo, né neanche un grammo di droga. E certo, non si svegliava, ma anche di quello non aveva colpa. I medici non erano riusciti a stabilire la causa dell’incidente e nemmeno la polizia. Forse un colpo di sonno.
Andrew si arrabbiò ancora di più con sé dopo i brutti pensieri che aveva fatto sulla sorella. Il suo primo istinto fu quello di andare in bagno, non prima di aver preso un coltello. Si guardò il braccio per lunghi minuti. La pelle era lattea e perfetta. Perché rovinarla?
"Non sento niente a parte questo" mormorò, "ecco perché."
Aveva un disperato bisogno di provare qualcos'altro, qualcosa di forte. E così incise appena, prima solo la pelle, poi andò un po’ più a fondo. Il dolore, sopportabile all’inizio, si fece più intenso. Lui, proprio lui che tante volte aveva curato le ferite di Demi perché non si infettassero, che le aveva detto di farsi aiutare quando lei gli aveva imposto di non raccontare nulla a nessuno, lui che non si sarebbe mai pentito abbastanza di averla ascoltata, adesso si stava tagliando. La vita è proprio strana, non sai mai dove ti porta. Il taglio era piccolo e non molto profondo. Uscì solo qualche goccia di sangue. Un brivido gli percorse tutto il corpo mentre guardava quella sostanza di colore rosso che quasi lo ipnotizzò e ne annusò l’odore nauseabondo mentre i battiti del cuore aumentavano. Ecco, ora sentiva qualcosa di diverso dal dolore. Aveva paura che il danno fosse più grave di quello che era, ma allo stesso tempo si sentiva bene. Ed era fantastico. Da lì, tutto precipitò gradualmente e lui finì sempre più giù fino a toccare il fondo.
 
 
Ma Andrew non sapeva che non era ancora finita. Ora credeva di essersi ripreso, ma mesi dopo avrebbe scoperto che non era così. Il fondo sarebbe stato ancora più fondo.
"Fai bene."
Una voce alle sue spalle lo fece sussultare.
"Demi, non ti avevo sentita arrivare, io…"
"Tranquillo, non ti sta guardando nessun altro. Fai bene a metterti in maniche corte, a non vergognarti di quelle."
Lui sospirò.
"Lo faccio solo quando nessuno mi può vedere, non lo definirei non vergognarsi. Mi aiuta a sentirmi meglio per un attimo, tutto qua."
"Sai che non sei sbagliato né fai schifo se sei stato autolesionista, vero?"
"Ci sto lavorando" ammise dopo qualche secondo. "Spesso mi guardo le braccia e mi dico:
"Guarda che schifezza hai fatto, ti rimarrà come un marchio per tutta la vita."
Altre invece credo che in quel momento, per come stavo, visti i miei pensieri, non sarei riuscito a fare altro purtroppo. Avrei dovuto chiedere aiuto, ma non ne ho avuto la forza."
La ragazza gli si sedette accanto.
"Anch'io ci ho messo tanto tempo a superare questi sentimenti. Non è facile e li ho provati per anni, come te."
"Per molti più anni, però. E comunque, almeno tu a me ne parlavi."
"Anche tu lo stai facendo adesso, è questo l'importante; e non importa quanto tempo sia passato. Quando si sta male anche un secondo è un'eternità."
Andrew sapeva che Demi non si stava riferendo solo all'autolesionismo ma a tutti i problemi, interni o esterni, che possono far soffrire una persona.
"Hai detto una cosa molto vera." La voce gli si spezzò, ma non pianse. Sentì la faccia più calda, come se avesse la febbre e gli occhi inumidirsi. "La psicologa dice che pian piano sto migliorando e anch'io mi sento meglio. Per ora non ho bisogno di un consulto da uno psichiatra o di farmaci, anche se non esclude che possa in futuro. Dice che ce n’è uno che, tra le altre cose, aiuta anche a far sentire meglio quando si hanno pensieri autolesionisti."
“E tu come ti senti all’idea di poter prendere delle medicine?”
“Ovviamente non vorrei, ma se sarà necessario lo farò. Non mi opporrò.”
"Direi che è l’atteggiamento giusto. Comunque è un bene che tu stia meglio, ne sono felice."
"Ma non sono ancora pronto a parlartene nel dettaglio."
"Lo so."
E non disse altro. Gli avrebbe lasciato i suoi tempi, che si fosse trattato di settimane o di mesi non importava.
"Grazie" disse lui in un soffio. "Grazie perché mi capisci e di essere mia amica. E anche di darmi i miei tempi. Non tutti lo farebbero. Molti pensano che la vita debba andare avanti, che bisogni reagire, quando non si rendono conto che nessuno è uguale ad un altro."
Lei ripeté la sua stessa prima frase ma al maschile, quasi si fosse trattato di una sorta di loro rituale, poi aggiunse:
"Grazie di esistere. Avrai anche dei problemi, ma comunque per le mie figlie sei una figura che dà stabilità."
"Non è stato facile. Quando venivo a trovarle, sia dai loro genitori affidatari che a casa, essere allegro e stare bene non è stato facile" ripeté, come per dare più enfasi a quelle tre parole. "Io mi sono domandato spesso se fosse giusto per loro. Non stavo bene, come potevo rimanere vicino a dei bambini? Non riuscivo quasi a pensare a me stesso, come avrei potuto prendermi cura di loro? La mia testa non era sempre lucida. Il che non significa che avrei potuto fare loro del male, questo assolutamente no!" si affrettò a mettere in chiaro. "Dipendeva dai giorni, da come mi sentivo. Avrei dovuto parlartene allora, lasciarti scegliere.”
“Questo è vero” disse la ragazza parlando un po’ più forte. “Avresti dovuto. Non c’eravamo solo noi due, Andrew.”
“Lo so, sono stato immaturo.”
Prima non avevano mai affrontato quel discorso, ora era arrivato il momento.
“E avrei dovuto dirlo anche ad Holly, benché lei non mi abbia mai fatto particolari domande.”
“Già. Perché non l’hai fatto?”
“Forse perché lei non ha mai voluto sapere niente di specifico su di me.”
Demi si accontentò di quella risposta.
“Se ci metteremo insieme ti chiederà di sicuro qualcosa.”
“Le porterò le valutazioni psicologiche della mia psicologa, allora.”
“Andrew.” Demi lo guardò e gli prese le mani. “Io mi fido di te, sul serio e sono felice che tu stia meglio. Nei mesi passati forse hai sbagliato, ma a me importa la persona che sei ora e anche che tu sappia che quest’adozione per me è la cosa più importante.”
“Lo posso immaginare.”
“Ci ho messo anni, è stato difficile e so che non succederà niente, almeno spero di no, ma dobbiamo, entrambi, fare le cose per bene.”
“Ascolta, io ce la sto mettendo tutta e anche tu. Se qualcuno vorrààà farmi delle domande, e so già che non saranno facili, risponderò e dirò la verità. Nel caso fossimo fidanzati e il mio problema dovesse intralciare la tua adozione mi allontanerò, almeno per un po’.”
“Io non voglio che tu…”
“Lo so, ma potrebbe essere la cosa migliore.”
Cadde un silenzio pesante tra loro, uno di quelli che faceva male all’anima.
“Non affrettiamo le cose. Vedremo” disse poi la ragazza. “Continua.”
“Più tempo passavo con le bambine e più mi piaceva, mi distraevo, pensavo ad altro, mi concentravo su qualcun altro, così mi occupavo anche di me stesso perché facevo cose che mi aiutavano a sentirmi meglio. Capisci?"
"Sì."
"Ha senso quello che dico?"
"Sì, ha senso."
Se Demi avesse saputo prima che Andrew era autolesionista, non era sicura che l'avrebbe lasciato avvicinarsi alle bambine dato che stava male e, visto che erano in vena di confidenze, glielo disse aggiungendo che non era che non si fidasse di lui, ma sapendo quanto si soffriva e quanto si poteva essere instabili in quella condizione, avrebbe dovuto pensare alla cosa giusta per tutti.
"Ti capisco perfettamente, anch'io avrei fatto il tuo stesso ragionamento e anzi, come ho detto poco fa avrei dovuto dirtelo già allora. Ma anche in quel caso, non ero pronto."
"Sei stato molto bravo a nascondere tutto. Certo portavi le maniche lunghe anche d'estate e questo non mi ha mai insospettita anche se avrebbe dovuto, ma io non avrei mai detto che tu…"
"Sì, nemmeno io nella tua situazione."
"A me importa come sei stato in questi anni, quello che ti sei fatto. Ma mi importa anche che tu ne abbia parlato, che ami così tanto le mie bambine come se fossero le tue, tanto da volerti allontanare per il loro benessere e quello che trasmetti loro quando le vedi."
Hope e Mackenzie sorridevano sempre in sua presenza, giocavano, ridevano, si divertivano tantissimo e soprattutto anche la più grande andava da lui per farsi coccolare.
"Che stai cercando di dire?"
Se avesse voluto dirgli di stare lontano da loro per un po', fino a quando non si fosse sentito  ancora meglio, avrebbe capito.
"Che se continuerai a stare abbastanza bene e se le cose con l’adozione procederanno, non smettere di vederle. Hanno bisogno di te. Io ho bisogno di te. Ma promettimi" e gli si mise davanti per guardarlo bene in faccia "che, se dovessi ricadere nell'autolesionismo o se questo dovesse addirittura peggiorare, ne parlerai con la tua terapista e con me. E decideremo cosa fare."
Si domandò se, in quel caso, avrebbe dovuto parlare della situazione di Andrew a Holly e Lisa e si rispose che sì, sarebbe stato necessario. Per ora comunque la situazione era sotto controllo e Andrew non le sembrava affatto instabile, anzi, ragionava con lucidità.
"Hai fatto bene a parlarmi di questo, Demi" le disse lui prendendo un gran respiro. "Era giusto."
"Sì, lo era. E sono felice che tu non ti sia arrabbiato e abbia capito."
"Come avrei potuto, se sono io la causa di tutto? Se non avessi iniziato a farmi male, non sarebbe successo niente di tutto ciò."
"Quel che è fatto è fatto ormai" disse lei con tristezza. "L'importante è che tu stia meglio e che le bambine siano felici con noi. Affronteremo insieme il resto, qualsiasi cosa ci riserverà il futuro."
"Insieme, sì."
Le chiese se d'estate o in primavera sarebbe andata in giro in maniche corte anche se non avesse avuto i tatuaggi a nasconderle i tagli e lei disse di sì.
"Mackenzie li ha visti, ho cercato di spiegarle il tutto il modo semplice. Quando vedrà i tuoi, perché prima o poi lo farà, comprenderà che sono le cicatrici di un guerriero."
"È questo che le hai detto sulle tue?"
"Sì. Mi pareva la spiegazione più facile per una bambina di soli cinque anni."
"Già. Forse anch'io un giorno riuscirò a mostrare queste senza provare vergogna, sapendo che mi hanno reso più forte."
"Secondo me, anche se ne hai ancora molta da fare, sei già sulla buona strada" gli rispose sorridendo incoraggiante.
"Speriamo."
Anche lui sorrise, adesso, e i suoi occhi si ravvivarono un po' di quella luce che Demi tanto adorava vedervi.
"Torniamo dentro quando vuoi. Prendiamoci tutto il tempo."
"Perfetto."
"Andrew?"
"Sì?"
"Sei il mio cuore" mormorò Demi, ripetendo una frase che avevano inventato da bambini e che si dicevano in rarissimi momenti nei quali si sentivano malissimo e avevano bisogno di sostegno o in cui erano molto vicini.
"E tu sei il mio."
Le mise un braccio attorno alle spalle e lei gli accarezzò la schiena con una mano, mentre il vento colpiva i loro volti come una gelida carezza.
 
 
 
Quando Mackenzie non aveva visto la mamma e Andrew tornare si era preoccupata, ma i nonni e le zie l'avevano rassicurata dicendole che erano fuori in giardino e che stavano parlando.
Perché non posso andarci anche io? aveva chiesto la piccola-
Loro allora le avevano risposto che a volte i grandi avevano bisogno di passare un po' di tempo da soli per parlare di cose da adulti. Mac non sapeva di che si trattasse, ma si disse che non vedeva l'ora di diventare adulta per scoprirlo-
Ora, seduta sul divano con Hope accanto, stava aspettando che il nonno portasse loro la sorpresa che poco prima aveva promesso. Arrivò con due pacchettini chiusi da un fiocco verde.
“È un regalo che vi abbiamo preso io e la nonna, spero vi piaccia."
Dopo averle aiutate ad aprirlo, lasciò che le piccole si divertissero a strappare la carta. Hope la fece letteralmente in mille pezzi e rise tantissimo, come del resto accade a tutti i bambini della sua età quando sentono quel tipo di rumore.
"Attento che non metta in bocca nulla" gli ricordò Dianna, che non faceva che guardare le nipotine e in particolare la minore.
"Tesoro, d'accordo, tu hai avuto tre figlie e io solo una di naturale, ma insomma, ho imparato qualcosa sui bambini in questi anni" rispose ridendo.
"Hai ragione, scusa."
Una streghetta per Mackenzie e un diavoletto per Hope, erano questi i doni. Due bamboline, una con il vestito nero e l'altra con un abito rosso fuoco che le due apprezzarono tantissimo.
C'è una strega cattiva disse Mackenzie mentre i genitori entravano. È riuscita ad entrare anche se io l’avevo mandata via.
Quando i nonni e la mamma lessero il biglietto, le chiesero di cosa stesse parlando.
La possono vedere solo i bambini rispose lei. E ora, con questo vestito, il gatto e la mia compagna strega la sconfiggerò.
Detto questo si alzò in piedi, sollevò la bambolina e cominciò ad agitarla in aria muovendo anche la mano in cui teneva una piccola bacchetta, ingaggiando una vera e propria battaglia con quella strega invisibile. Era concentratissima su quello che stava facendo e si estraniò dal resto del mondo, non ascoltando più nessuna conversazione. Quella strega cattiva era venuta lo stesso nonostante il trucco che le aveva insegnato il papà per scacciare quelle come lei. Ciò significava che doveva essere particolarmente forte, ma lei lo era di più. Era invincibile.
Intanto Hope giocava con il gattino di peluche. Cercava a fatica di tenerlo tra le manine e lo muoveva di qua e di là come poteva, mentre i genitori per farla sorridere miagolavano.
“Presto torneremo a vedere i miei mici, promesso” le disse Andrew.
“Chissà se un giorno ne prenderemo uno anche noi, eh Hope?”
Demi sperò che Mackenzie non avesse ssentito, altrimenti l’avrebbe voluto subito.
“Che morbido, vero?” Andrew cominciò ad accarezzare il gatto assieme a lei. “No tesoro, non tirargli il pelo così. Glielo strappi e gli fai la bua. Guarda, si accarezza dalla testa alla coda, altrimenti si arrabbia.”
Andrew trattava il gatto come se fosse stato vero, sapendo che forse Hope pensava che lo fosse o magari no perché era troppo piccola. In ogni caso è normale per i bambini pensare che i peluche siano vivi, anche se lo fanno quando sono un po’ più grandi. Le insegnò che ai gatti piace essere grattati sulla testa, dietro le orecchie e sotto il collo e fece finta che il micio si arrabbiasse e la graffiasse, ma lei rise.
"Mackenzie, ora vedo anch'io quella brutta stregaccia" disse Madison. "Posso aiutarti?"
Sì, zia, dammi una mano.
E così la giovane si armò di un cuscino, che disse essere il suo scudo magico, mentre con la mano libera raccontò a Mackenzie che poteva lanciare dardi magici.
E perché io o la mia  compagna no? chiese la bambina.
"Perché io sono più grande e sono una strega più esperta."
Ma non sei vestita da strega.
In effetti, né i nonni né le zie avevano un costume.
"Non importa, lo sono lo stesso. Devi trovare un nome per la bambola che il nonno ti ha regalato."
Dana rispose dopo averci pensato per un momento.
“Mi piace.”
"Iiiiiiih, ah lalalalalala" disse Hope non appena vide la mamma, poi iniziò ad agitare le gambe.
Demi si accomodò e la prese in braccio mentre lei lanciava esclamzioni di piacere.
"Tutto bene?" chiese Eddie a Andrew.
"Sì, avevo solo bisogno di un po' d'aria e di pensare."
"È per tua sorella?" gli sussurrò. "È peggiorata?"
Madison e Dallas non sapevano ancora niente, quindi Eddie non voleva metterlo a disagio. Dianna, con il permesso dell’avvocato, ne aveva parlato solo con il marito per il momento.
"No, è stabile. E sì, è anche per lei."
"Puoi parlarne con tutti noi se hai bisogno. E poi, io frequento un club di golf. Se ti andasse, potresti venire a provare. Magari ti piacerebbe."
"Ci penserò, Eddie, grazie. In effetti sarebbe un modo per distrarsi, ma non so."
Apprezzò la gentile offerta di quello che considerava un secondo padre, ma non era sicuro di volere quella distrazione.
Oh no, la strega cattiva mi ha lanciato una maledizione addosso scrisse Mackenzie, poi fece finta di fare una magia per scacciarla.
"Io invece sono stata colpita da un dardo nonostante lo scudo, ma non mi ha uccisa" disse Madison.
Ti guarisco io, zia.
Una volta guarita, Madison partì al contrattacco della strega immaginaria e riuscì a colpirla anche lei ad una gamba.
 
 
 
"Demi, posso parlarti un secondo?" le domandò la madre.
Okay, ci risiamo pensò la ragazza. Che cosa vorrà dirmi stavolta?
I suoi consigli la aiutavano e li apprezzava, ma quando Dianna le diceva frasi del genere non sapeva mai se preoccuparsi o potersi rilassare.
"Non l'abbiamo fatto due giorni fa?" le chiese quando furono in cucina.
"Sì, ma… di che avete parlato là fuori? Sembri turbata, sei silenziosa."
"È vero, lo sono."
Come per rafforzare il concetto, Hope fece alcuni versetti che Demetria interpretò come tristi, o almeno, come se avesse capito come si sentiva lei.
"Ma non posso parlartene mamma, o perlomeno non finché lui mi darà il permesso. Mi hanno fatto pensare, tutto qua."
Stava ancora riflettendo sulle cose che si erano detti, sul fatto che erano stati sinceri l'uno con l'altra ma che la sincerità a volte poteva turbare o fare male. Soffriva nel sapere che il suo migliore amico si fosse tagliato per due anni e mezzo senza dirle niente e nel domandarsi come si sarebbe comportata se l'avesse saputo anche solo pochi mesi prima. Non sapeva se si sarebbero messi insieme o meno, ma si domandava cos’avrebbe riservato loro il futuro.
Dianna sospirò.
"D'accordo. Dimmi solo una cosa: è grave?"
"Ora sta meglio" rispose lei, vaga. "E ti prego, non chiedergli niente. Ha bisogno di tempo e voglio darglielo."
"Te lo prometto. Sei molto preoccupata per lui, vero?"
"Parecchio, sì. Si vede?"
"Si sente più che altro. Hai un tono greve che mi ha un po' allarmata."
Sua madre aveva ragione, anche lei si sentiva la voce più bassa e profonda del solito.
"Mi riprenderò."
"Demetria, sei  sempre stata una persona molto empatica, soprattutto da quando hai capito di voler aiutare gli altri mentre eri in clinica. Non voglio sempre fare la mamma rompi scatole o iperprotettiva, ma ricorda che c'è una bella differenza tra essere sensibili ed empatici e farsi carico dei problemi degli altri oltreché dei propri."
"Lo so, ma non è facile."
"Nessuno ha detto che lo sia, soprattutto visto che vi volete un bene dell’anima. Ma devi riuscire a staccarti un po' da questa depressione se vuoi dare alle tue figlie una vita serena."
"Come hai fatto tu, vero? Quando finalmente ti sei fatta aiutare non eri più tu, mamma!" esclamò Demi ricordando quei terribili anni. "E noi lo sapevamo benissimo, ce ne siamo accorte col tempo. E anche Eddie."
"Non stiamo parlando di questo" disse Dianna alzando la voce.
"No, stiamo parlando esattamente di questo, invece."
"Mi stai per caso incolpando per aver sofferto di depressione, depressione post partum, anoressia, PTSD e dipendenza dallo Xanax? È questo che stai facendo? Perché allora sei tu a non essere più te stessa, ora. Non è da te questo comportamento."
"Non lo farei mai. Come puoi pensare una cosa simile?"
"Allora spiegami, perché non riesco a capire, maledizione!"
Hope scoppiò a piangere più forte di quanto avesse fatto quel giorno e le due donne si sentirono subito in colpa.
Dianna guardò Demi negli occhi e mormorò:
"Scusa",
mentre questa cercava di calmare la bambina che si stava ancora lamentando.
"Spiegami che cosa intendevi" la pregò poi. "Non volevo alzare la voce."
"Odio litigare con te, mamma" le rispose.
"Anch'io e mi sento male esattamente come te adesso. Per favore, rimediamo. Non voglio che ci roviniamo la serata per questo."
"Sono stata eccessiva, ho avuto una reazione esagerata ad una tua frase, perdonami. È che…”
“Cosa?”
La voce di sua madre era dolce.
“Intendevo dire che, come sai, la depressione è una malattia. Non è qualcosa che basta aspettare perché tanto poi passerà. No. Quella è la tristezza e secondo me nel tuo discorso le hai confuse. Non sopporto quando qualcuno lo fa e non dovresti farlo nemmeno tu.."
Non c'era rabbia nel suo tono, solo tristezza perché l'aveva visto fare tante, troppe volte, soprattutto su internet.
"Hai ragione. E anch’io non lo sopporto. Ne ho sofferto come sai e sto molto attenta a quello che dico, per cui mi dispiace averle confuse. La preoccupazione per te mi ha fatta sbagliare. Ce la siamo presa troppo entrambe, okay? Tutto a posto."
“Sicura?”
“Sicurissima. Torniamo di là, dai.”
"No, aspetta, lasciami finire. So che sei preoccupata per me visto che mi sto facendo carico dei problemi di un'altra persona. Stasera ci ho pensato molto perché ne abbiamo parlato, lui è il mio migliore amico e ci tengo. Ma io so questa cosa già da qualche tempo e sono comunque riuscita ad andare avanti nonostante ci stia male. Sono in ansia? Non lo dico, ma sì. Soffro? Sì. Avrei voluto che me lo dicesse prima per poterlo aiutare già anni fa? Sì. E probabilmente mi sto facendo troppo carico di questo problema perché mi tocca da vicino, ma non significa che io non sia una brava mamma o che non dia alle mie figlie una vita il più serena possibile. Anche se Andrew non sta ancora benissimo, lo fa tanto quanto me e lo ammiro per questo. Ne parlerò con Holly e Lisa se servirà. Starò attenta. Stasera è andata così. Domani andrà meglio. D'accordo?"
Dianna non rispose subito. Non chiese che problema avesse quello che considerava un figlio, non domandò se si stesse facendo aiutare da uno psicologo né se nel suo caso servisse, ma se Demi era relativamente tranquilla significava che la situazione doveva essere più o meno a posto. La ragazza sembrava addolorata ma anche sicura di sé e di quello che diceva, perciò vista la sua maturità la donna decise di fidarsi.
"D'accordo" mormorò infine. "Potete venire da me ogni volta che volete per parlare."
"Lo so, mamma. Grazie. Ti voglio bene e scusami per prima."
"Shhh, non fa niente. Te ne voglio anch'io amore mio, tantissimo."
Tornarono in salotto dopo un lunghissimo abbraccio che le unì più di prima.
"Vi ho sentite discutere" disse Eddie. "La porta era chiusa ma stavate urlando. Tutto bene?"
"C'è stato un piccolo equivoco ma abbiamo risolto" disse Dianna e, quando Andrew guardò Demi, lei gli fece capire che andava tutto bene.
Mamma, io e la zia Maddie abbiamo sconfitto la strega cattiva scrisse Mackenzie saltellando. Ora è andata via per sempre.
"È stata una dura battaglia, ma ce l'abbiamo fatta" aggiunse la ragazza.
"Davvero? Siete state bravissime."
"Fammi vedere un po' questo diavoletto, vuoi?" chiese Andrew a Hope. "Oh, ma è bellissimo. E anche tu sei un diavoletto."
Le fece il solletico ai piedini e la bambina scalciò e rise di cuore.
Madison mise della musica celtica, tanto per rimanere in tema e il suono delle cornamuse anche se registrato portò allegria in quella casa. Chi era stato male non ci pensò più, chi aveva discusso dimenticò ogni cosa. Dapprima tutti iniziarono a battere le mani, poi Demi ed Andrew cominciarono a ballare al centro del salotto seguendo il ritmo incalzante della musica, seguiti poi da tutti gli altri compresa Hope che, tra le braccia del nonno, agitava le manine e i piedini e chissà, forse non vedeva l'ora di iniziare a muovere i primi passi per poter danzare davvero. Mentre ballavano tutti si muovevano come volevano, c’era chi era bravo e chi, come Mackenzie, più goffo, ma a loro interessava solo divertirsi e sentirsi bene, sentirsi liberi.
Quando tornarono a casa Andrew, Demi e le bambine erano stanchissimi ma felici. Certo la festa di Halloween che avevano organizzato era stata semplicissima, ma anche occasione di divertimento e giochi, discussioni a volte importanti, piena di sentimenti come l'amicizia e l'amore e soprattutto era stata speciale, perché per loro era arrivata non in ottobre ma a novembre.
 
 
 
credits:
Pink, Run
 
 
Lee Ann Womack, I Hope You Dance
 
 
I miei genitori, Dondola, Dondola
 
 
 
NOTE:
1. a quanto ho capito, anche negli Stati Uniti il 2 novembre non è un giorno festivo ma feriale. In California c’è scritto che non è una public holiday e che molti uffici e negozi sono aperti, per cui ho pensato che fosse realistico che quelli in cui è stata Demi e lo studio legale lo fossero.
2. Dopo l'adozione esistono dei gruppi di supporto per le famiglie o anche la possibilità che i bambini vadano in terapia da soli, anche se su questo non ho trovato informazioni. Il supporto è anche composto da dei soldi che vengono dati alla famiglia ogni mese se i bambini hanno bisogni speciali (il che significa disabilità fisiche o mentali, bisogno di cure per malattie, se fanno parte di gruppi di fratelli, hanno più di quattro anni o se sono di un gruppo etnico diverso da quello bianco). In questo caso, Mackenzie e Hope sono un gruppo di sorelle di colore, lei ha più di quattro anni, non parla anche se, essendo diventata muta dopo un trauma e non, per esempio, dopo un incidente, non so se questa sia considerata una vera e propria disabilità. Non ho trovato informazioni su questo altrimenti ne avrei parlato anche nella storia originale. Ad ogni modo Demi riceve sicuramente i soldi per tutti gli altri motivi. Non ne ho parlato per non annoiare, ma mi pareva giusto farlo sapere.
Come ho scritto anche in "Cuore di mamma", Mackenzie è andata più avanti dalla psicologa perché prima dovevo parlare di altre cose e perché, comunque, la sua situazione era abbastanza stabile.
3. I bambini a dieci mesi dovrebbero iniziare a mangiare qualche verdura nella minestra, ad assaggiare cibi come il pomodoro e il tuorlo dell'uovo (non l'albume, è troppo presto) e alcuni riescono anche a usare il cucchiaio da soli.
4. Io da piccola ero ome Andrew per quanto riguardava  i pezettini di verdura: i miei dovevano frullarla bene prima di farmi ma minestra, altrimenti non la tenevo giù. Per fortuna nel tempo sono migliorata.
5. È vero. Alcuni bambini saltano il gattonamento e cominciano direttamente a camminare, oppure gattonano pochissimo, dai dieci o dagli undici mesi in poi, ma anche se cominciano ad un anno questo non è segno di un ritardo dal punto di vista motorio né di altro tipo.
6. In America come nei paesi anglosassoni non esistono i biscotti da sciogliere nel latte per i bambini. Ho letto che negli Stati Uniti ci sono dei cereali, simili a chicchi di riso, che si sciolgono.
7. Io da piccola per Halloween volevo essere una strega, ma non ho mai indossato un costume. Avevo un cappello come Mac e mi vestivo di nero, poi la mamma mi truccava. Il modo in cui festeggiavo, sempre e solo da bambina (diventata più grande non ho più sentito il desiderio di farlo) era molto semplice, come quello di questa storia. Solo una volta sono andata ad una festa di Halloween ma non mi sono divertita per niente, complice forse la musica alta che per i non vedenti è orribile perché ci manda in confusione.
8. Demi darà il latte in polvere a Hope fino a un anno, poi passerà a quello vaccino. Quest'ultimo è sconsigliato prima dell'anno perché ricco di proteine e scarso di ferro. Inoltre può portare il bimbo all'obesità. Ovviamente dopo l’anno non deve assumerne troppo, se è un grande consumatore di latte questo dev'essere diluito con acqua. Il latte dev'essere intero e non scremato perché quest'ultimo può essere assunto dai tre anni in poi, in quanto ha un contenuto proteico più elevato. Un'altra ragione è che prima del terzo anno i bambini hanno bisogno di assumere più grassi rispetto agli adulti.
9. Come ho scritto nei credits, la canzone “Dondola, Dondola” che in realtà non avrebbe nemmeno un titolo, l’ho deciso io quando me la sono ricordata, mi veniva cantata dai miei genitori da piccola, sia a casa che fuori, quando per esempio eravamo su un prato e avevamo una coperta. L’hanno utilizzata anche con mio fratello. Mi pareva avesse altre parole ma non le ricordo. A me quel giochino piaceva tantissimo e nel ripensarci mi sono commossa, perché mi ha ricordato un periodo della mia vita, verso i quattro o cinque anni, in cui ero felice, cosa che ora per tante ragioni non sono più. Ad ogni modo, dato che non ho molti ricordi di quegli anni e che questo è uno dei più belli, ho pensato che inserirlo nella storia sarebbe stato carino e, soprattutto, molto importante per me.
10. È capitato sin da bambina, verso l’età di Mackenzie, che ogni tanto la sera la mamma preparasse latte o caffellatte come cena. Io ho iniziato a bere il caffè solo alcuni anni fa e non tutti i giorni, ma comunque mangiare in quel modo diverso mi è sempre piaciuto. In alcune di quelle sere anziché i biscotti della colazione la mamma mi prepara le fette biscottate con la Nutella, anche se ora stiamo molto più attente perché sono a dieta da circa un anno.
11. Ho trovato informazioni sull’origine di Halloween su vari siti internet, riscrivendo poi a parole mie quello che veniva detto.
12. Nel libro di Dianna, “Falling With Eings: A Mother’s Story” lei parla proprio di questo accordo con Eddie: lui lavorava alla Ford, lei stava a casa e si occupava delle figlie, le portava alle audizioni e quant’altro. L’immagine che lei ha dato dell’uomo è stata quella di un compagno, e poi un marito, molto dolce e che la suporta, la ama davvero e lei prova lo stesso per lui.
13. Il farmaco di cui Andrew parla è il Carbolithium, che si assume in caso di depressione quando gli antidepressivi non fanno effetto, disturbo bipolare, disturbo ossessivo-compulsivo, comportamenti autolesionisti e altro ancora. Dopo aver assunto due antidepressivi, il Daparox e lo Zoloft, sono passata a questo. Siccome i primi due mi hanno fatta stare molto male, in particolare il secondo e non volevo che Andrew passasse il mio stesso inferno, ho deciso di fargli utilizzare subito il Carbolithium cosa che, per quanto concerne i suoi comportamenti autolesionisti, potrebbe credo essere plausibile.
14. So che non ho affrontato alcune cose nella long, come per esempio questo fatto dell’autolesionismo di Andrew e dell’adozione legata a ciò. Il fatto è che tutto questo mi è venuto in mente molto dopo aver scritto i capitoli. Ho intenzione di riprendere in mano quelli dal 58 al 60, e magari di aggiungere in uno dei precedenti la conversazione che i due hanno avuto qui come flashback per trattare un po’ meglio la cosa. Come sappiamo, alla fine Andrew ha potuto aiutare Demi a finalizzare l’adozione, ma perché la cosa sia più realistica credo che debba dimostrare, prima, all’assistente sociale di essere una persona responsabile e di stare meglio. In un programma televisivo ho sentito che se una persona si mette con qualcuno prima della finalizzazione, l’assistente sociale deve fare a quest’altro/a delle domande. Insomma, appena revisionerò proverò a sistemare meglio.
15. È vero. Nel documentario “Stay Strong”, molto emozionante e che ho riguardato mentre scrivevo questa storia, Demi ad un certo punto ha detto che quando è arrivato Capodanno e lei era ancora alla Timberline Knolls ha cominciato a piangere e a domandarsi cos’aveva fatto della sua vita e cos’aveva sbagliato, che doveva aver fatto qualcosa di male se a diciotto anni era in rehab a Capodanno. E sempre mentre era in clinica ha capito che voleva usare quella sua esperienza per aiutare gli altri.
16. So bene che le reazioni delle due donne sono state un po’ eccessive, ma la Demi che ho descritto in questa scena è come me: io, e lo dico senza mezzi termini, mi incazzo quando qualcuno scambia la depressione per tristezza o viceversa. Bisogna stare molto attenti a non confonderle, perché soffrendo di depressione posso dire che, almeno a me, fa stare molto male quando qualcuno dice “Sono depresso” mentre in realtà è solo triste. Mi sento presa in giro. Questo non significa che la tristezza sia da prendere sottogamba, anzi. Ma solo che la depressione è qualcosa di molto più profondo, ampio, ti getta in un’oscurità che sembra senza fine, in un pozzo che non pare avere un fondo e tu ti sei solo e pieno di freddo. Io mi sento così molte volte. Altri invece dicono che è come trovarsi in una stanza colorata e vedere solo nero o non vedere nessun colore. Ognuno la vive e la percepisce a modo suo, sentendola dentro ma anche nel fisico con stanchezza, voglia di dormire continuamente, io provo pesantezza al petto oltre alle altre due. Per favore, fate molta attenzione a ciò che dite. Non si scherza con le malattie mentali e con i disturbi di altro genere. Non sono da prendere alla leggera.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
ciao a tutti!
due cose veloci perché questa storia è stata già molto lunga.
Spero non ci siano stati troppi dialoghi, ho paura di aver esagerato un po’.
 
Riprenderò a scrivere la long a settembre perché mia mamma non sta bene in questo periodo e non me la sento di continuare, non ho la concentrazione. Non è un male passeggero quello che ha, chi mi conosce sa di cosa sto parlando.
 
E niente, sono molto fiera di questa fanfiction, è venuta proprio come la volevo. La scelta di non dividerla in capitoli è stata assolutamente consapevole e voluta. So che qualcuno forse non sarà d’accordo con questa mia decisione e lo rispetto.
Spero comunque che vi sia piaciuta e che vi abbia fatti emozionare tanto se non più di quanto ha fatto con me.
   
 
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