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Autore: evil 65    20/08/2019    18 recensioni
Due anni sono passati dalla guerra contro Thanos.
Peter Parker e Carol Danvers sono ormai diventati buoni amici, alternando la loro vita da supereroi a rari momenti di vita quotidiana in cui si limitano ad apprezzare l’uno la compagnia dell’altra, come farebbero con qualsiasi altro membro degli Avengers.
Tuttavia, Peter vuole di più…anche se sa che non dovrebbe.
A peggiorare le cose, un misterioso serial killer dotato di poteri fugge da un carcere di massima sicurezza, cominciando a seminare morte e distruzione in tutta New York…
( Sequel della one-shot " You Got Something For Me, Peter Parker ? " )
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Danvers/Captain Marvel, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Lemon, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Avengers Assemble'
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Ecco un nuovissimo aggiornamento!
Vi annuncio subito che la storia ha finalmente una sua copertina, che potete trovare all’inizio del primo capitolo.
Come al solito, vi invito a controllare le note a piè di pagina nel caso abbiate dei dubbi.
Vi auguro una buona lettura, e spero che troverete il tempo per lasciare un commento!
 


Prometheus
 
Contrariamente a quanto pensa la maggior parte del mondo, i due terzi dello stato di New York non erano costituiti da grattaceli, metropolitane affollate e spietati centri commerciali.
Mentre James Rhodes, alias War Machine, passeggiava tranquillamente per la base dei Vendicatori, avrebbe potuto benissimo ricostruire mentalmente la cartina geografica dell’intera regione: estesa dalla Pennsylvania fino al Vermont, consisteva in circa duecentocinquanta ettari di lussureggianti terreni pubblici e privati, disseminati di fiumi impetuosi, migliaia di laghetti e quarantasei chilometri di foresta, che la percorrevano fino alla costa. In poche parole, un luogo perfetto per costruire un complesso isolato e fuori dalla portata di occhi indiscreti.
Rhodey sapeva tutto questo, essendo dotato di quel genere d'intelligenza cristallina che automaticamente afferra, archivia e utilizza i dati significativi, tipica dei militari.
La base disponeva di diverse sale riunioni.
Dopo la ricostruzione, Rhodey aveva scelto uno spazio di media grandezza per gli incontri, quasi troppo piccolo per un gruppo di supereroi, ma sapeva per esperienza che le persone sedute vicine o si prendevano per i capelli o sviluppavano un forte spirito di collaborazione.
In nessun caso, comunque, avevano la possibilità di mantenere le distanze o d’intrattenersi su altri argomenti. Inoltre, era l’unica stanza a possedere un proiettore olografico che non richiedesse l’intervento di Tony per funzionare correttamente. Una vera fregatura, in poche parole.
Entrando nella sala, l’uomo fece una rapida conta dei presenti, tutti riuniti attorno ad un tavolo di forma ovale.
C’erano Carol Danvers, i coniugi Lang, Bucky Barnes, Sam Wilson, Bruce Banner, il giovane Peter Parker e perfino T’Challa, i cui doveri di sovrano lo tenevano spesso lontano  dalla squadra. Lo stesso si poteva dire per il Dottor Stephen Strange che, in quanto Stregone Supremo, era spesso impegnato ad occuparsi delle minacce di natura mistica che imperversavano nel mondo.
Wanda Maximoff, invece, aveva lasciato la squadra poco meno di un anno fa, desiderosa di trovare la propria strada. Una decisione che Rhodey aveva accettato senza contestazioni, considerando quello che la donna aveva passato durante la guerra contro Thanos.
L’uomo soppesò brevemente lo sguardo su ogni membro del team, prima di prendere un respiro profondo.
<< Benvenuti alla venticinquesima riunione ufficiale dei Vendicatori >> esordì con voce calma e autoritaria, richiamando l’attenzione su di sé.
Quando fu sicuro che tutti lo stessero ascoltando, fece un paio di colpi di tosse e aprì una busta che teneva tra le mani.
<< Ecco gli annuncia della giornata. Diciassette ore fa, cinque criminali sono stati prelevati illegalmente dal carcere di massima sicurezza costruito su Ryker’s Island, New York. Al momento la polizia non ha alcun indizio sulla persona o le persone che sono dietro l’evasione, ma vi invito a tenere gli occhi aperti nel caso vi trovaste in città. Specialmente tu, Spiderman >>
<< Io? >> chiese Peter, visibilmente sorpreso.
Rhodey annuì in conferma, prima di spegnere le luci della stanza e attivare il proiettore.
<< A quanto pare, tre degli evasi sono tue vecchie conoscenze >> disse con lo sguardo rivolto verso la schermata, mentre i profili dei vari criminali si materializzavano sullo sfondo bianco.
Peter riconobbe all’istante i lineamenti di Phineas Mason, Herman Schultz e Adrian Toomes. Dopotutto, non avrebbe mai potuto dimenticare i primi supercriminali a cui aveva dato la caccia ( e che per poco non erano riusciti ad ucciderlo ).
Non riconosceva gli altri due, però. O meglio, quello con la cicatrice, di nazionalità ispanica, aveva un’aria vagamente familiare. Mentre l’ultimo, quello con i capelli rossi…no, decisamente non lo aveva mai visto.
Gemette, accasciandosi allo schienale della sedia.
<< E io che speravo che la sospensione fosse il peggio che poteva capitarmi quest’anno >>
<< Sei stato sospeso ?! >> esclamò improvvisamente Carol, facendo sussultare la maggior parte dei presenti. T’Challa e Bucky furono gli unici a mantenere un’espressione stoica, mentre Peter deglutì sonoramente.
<< Ops? >> disse con una risata nervosa.
Non impressionata, la donna strinse ambe le palpebre degli occhi.
<< Com’è successo? >> domandò imperiosamente.
Peter affondò ulteriormente nella sedia, grato che la maschera potesse nascondere il suo rossore.
<< Vedi, è una storia divertente… >>
<< Ma sfortunatamente non abbiamo il tempo di sentirla >> lo interruppe Rhodey, con suo grande sollievo.<< Specialmente a causa di lui >>
L’immagine sullo schermo cambiò di colpo, rivelando la foto di un uomo alto e atletico, biondo, apparentemente sui quarant’anni, con un piccola cicatrice che gli percorreva la mascella.
<< Vi presento Roger Brokeridge, uno degli ultimi leader dell’Hydra ancora in circolazione >> spiegò il Colonnello. << La cui base è stata finalmente scoperta da un drone ricognitore circa tre giorni fa, in Louisiana >>
La schermata cambiò ancora. Questa volta, la foto raffigurava un’abitazione nascosta tra gli alberi, forse una villa, di cui erano visibili solo il bianco della facciata anteriore e alcune finestre.
Lungo il perimetro di quella che sembrava una foresta, anche se poteva benissimo trattarsi del giardino, spiccavano le figure di diversi uomini armati, tutti aventi la stessa uniforme mimetica.
Uno di loro affiancava la figura sfocata di Brokeridge, mentre questi era sul punto di scendere da una Jeep modello Wrangler.
<< Così clichè >> commentò Scott, ripensando a quanti cattivi dei film erano soliti scegliere proprio la Louisiana per costruire le loro basi segrete.
Non che fosse una decisione illogica. Dopotutto, il terreno di quello stato era piuttosto accidentato, difficile da percorrere, e quindi non adatto ai conflitti a fuoco. Era immerso nel nulla, circondato da alberi, foreste e paludi, quindi era facile da usare come nascondiglio. Inoltre, la gente del luogo era piuttosto riservata e non faceva mai domande.
<< Ascoltatemi tutti! >> esclamò Rhodey, attirando l’attenzione su di sé ancora una volta.<< Sapete bene con chi abbiamo a che fare. L’Hydra non è certo pericolosa o attrezzata come un tempo, ma può comunque vantare di numerosi soldati. Il nostro compito è infiltrarci nella base, catturare Brokeridge, portarlo qui e interrogarlo, così da farci rivelare la posizione delle ultime celle ancora esistenti >>
<< Dubito che parlerà >> commentò Bucky, il volto adornato da un cipiglio infelice. <<  I membri dell’Hydra non sono certo noti per essere dei chiacchieroni >>
<< Allora proveremo ad offrirgli un patteggiamento >> ribattè Rhodey, ricevendo uno sbuffo da parte del soldato.
L’Avenger decise di non rimproverare quella palese mancanza di rispetto. Dopotutto, conosceva bene i trascorsi che l’uomo aveva con l’Hydra, e poteva simpatizzare con il suo odio evidente per l’organizzazione.
Lo avevano quasi ucciso, torturato, ci avevano sperimentato sopra e gli avevano fatto il lavaggio del cervello, costringendolo a diventare un assassino. Al suo posto, probabilmente si sarebbe sentito allo stesso modo.
 << Ecco come come lanceremo l’attacco >> riprese, volgendo lo sguardo in direzione del gruppo.<< Una prima unità andrà sul posto sotto il comando di Carol! Quando vi chiamo, alzatevi in piedi: Bruce, T’Challa e Hope >>
Come ordinato, i vari membri il cui nome era stato chiamato si alzarono di scatto.
Rhodey annuì soddisfatto.
<< La seconda unità d’assalto sarà composta da me e Sam. Ad infiltrarsi nella base, invece, saranno Bucky, Scott... >>
<< Ahem... >>
<< e...>>
<< Ahem...>>
L’uomo rilasciò un sospiro sconfitto, lanciando un’occhiata visibilmente stizzita in direzione di Peter.
<< Spiderman >>
<< Sì! >> esclamò il ragazzo, sollevando ambe le braccia in direzione del soffitto.
Sam osservò la scena con un cipiglio contenuto.
<< Pensi che sia pronto per una missione del genere? >> chiese con voce scettica.
Rhodey non esitò a rispondere.
<< Spiderman si è più volte dimostrato un membro fondamentale di questa squadra, e penso che sia finalmente arrivato il momento di metterlo a combattere con i pesci grossi >>
<< Non ti deluderò, signore! >> disse il suddetto vigilante, cimentandosi in un saluto militare.
Il gesto fece sorridere quasi tutti i presenti, compreso Bucky.
Carol fu l’unica a mantenere un certo contegno, ma in fondo il gruppo era abituato allo stoicismo della donna. Questo fu anche il motivo per cui nessuno si accorse dello sguardo vagamente preoccupata che lanciò in direzione di Peter.
Rhodey riaccese le luci, spegnendo il proiettore.
<< Ci ritroviamo sul ponte di volo tra quindici minuti >> disse dopo un attimo di silenzio, per poi fuoriuscire dalla stanza. Il resto dei Vendicatori lo seguì subito dopo.
 
                                                                                                                                               * * * 
 
Pepper Potts camminò con passo felpato tra i corridoi della base, cercando di ignorare l’immensa statua di Tony Stark che si ergeva all’esterno del complesso, proprio al centro del giardino.
Non le piaceva visitare quell’edificio, finiva sempre per ricordarle il marito ormai defunto.
C’erano volte in cui riusciva ad andare avanti, a sorvolare su quei pensieri traditori come se non fossero altro che piccoli bambini sghignazzanti in cerca di attenzione.
E poi, altre volte, arrivava un giorno, uno di quelli grigi, quando aveva di lui una nostalgia così struggente da sentirsi vuota, non più una donna ma un albero morto, pieno di gelido soffio novembrino.
Così si sentiva in quel momento.
Aveva voglia di urlare il suo nome e urlargli di tornare a casa, e il suo cuore soffrì al pensiero degli anni che l'attendevano prima di poterlo rincontrare.
Si domandò che cosa avesse di buono l'amore…se il risultato era quello. Anche solo dieci secondi di una sensazione così parevano troppi.
Tuttavia, Pepper Potts non era certo conosciuta per essere una donna che sarebbe venuta meno ai suoi doveri. Ecco perché, in quanto finanziatrice ufficiale del programma Avengers, era venuta di persona per discutere con James Rhodes ( o Rhodey, come tutti lo chiamavano amichevolmente ) il bilancio mensile che interessava direttamente la squadra.
<< Maledizione! >>
L’urlo improvviso la distolse da quei pensieri.
Alzò lo sguardo dalle cartelle burocratiche che teneva tra le mani, trovandosi di fronte ad una scena abbastanza inusuale.
A pochi metri da lei vi era Carol Danvers, vestita con la sua uniforme da Capitan Marvel, le mani appoggiate sopra un distributore automatico di lattine e il volto adornato da un cipiglio scontento.
Pepper si concesse qualche attimo per osservare il tutto. In fondo, non erano molti i casi in cui Carol esternava le proprie emozioni in questo modo, di solito aveva sempre quel contegno impassibile che ormai riconosceva in tutti coloro che avevano prestato servizio nell’esercito.
Non che Carol lo avesse fatto per molto tempo, come le aveva rivelato durante una delle loro chiacchierate. In seguito alla morte di Tony e alla sua entrata nei Vendicatori, la donna era venuta da lei per chiederle il permesso di alloggiare nella Stark Tower ogni qualvolta fosse rimasta sulla Terra per un periodo di tempo prolungato.
Pepper aveva acconsentito senza pensarci due volte. Fu così che i loro incontri si fecero sempre più frequenti e, dopo circa un anno dall’ultima grande battaglia contro Thanos, le due finirono con il diventare amiche.
Fu grazie a questa nuova relazione che Pepper arrivò a conoscenza di molti dei fatti che circondavano la misteriosa Capitan Marvel, colei che, in un tempo relativamente breve, era diventata uno degli eroi più famosi e popolari della Terra .
Aveva appreso della sua carriera nell’esercito, del suo rapimento da parte dei Kree, del suo ritorno sulla Terra, il risveglio dei suoi poteri…e, ovviamente, del fatto che avesse praticamente l’età di sua madre, anche se Pepper aveva spesso difficoltà a crederci.
<< Tutto bene, Carol? >> chiese con tono perplesso, avvicinandosi alla bionda.
Apparentemente sorpresa dal suo arrivo, l’Avenger si drizzò di scatto.
<< Ciao, Pepper >> disse dopo un attimo di silenzio, le guance leggermente arrossate per l’imbarazzo.
Mentalmente, l’ex moglie di Tony Stark si rese conto che questa era forse la prima volta che la vedeva in un simile stato.
Con un sospiro affranto, Carol lanciò un’occhiata di morte in direzione del distributore automatico.
<< Non proprio, quest’affare mi ha rubato i soldi >> ringhiò a denti stretti, battendo un pugno sulla superficie della macchina.
Suo malgrado, Pepper si ritrovò a ridacchiare.
<< Sì, lo fa spesso. Ricordo che chiedevo sempre a Tony di cambiarlo, ma lui rispondeva che ormai era di famiglia >> ammise con tono nostalgico.
Poi, si avvicinò al fiancò del distributore e lo colpì con un poderoso calcio, poco sotto la ventola incorporata.
<< Il segreto è colpirlo in questo punto >> le spiegò, mentre una lattina di succo energetico cadeva dall’apertura della macchina.
Carol la fissò con la bocca leggermente spalancata, apparentemente impressionata dall’intera dimostrazione.
<< Grazie >> disse con voce imbarazzata, afferrando la lattina e portandosela alle labbra.
Pepper strinse ambe le palpebre degli occhi.
Ok, qualcosa era decisamente fuori posto. Non aveva mai visto Carol in uno stato così…vulnerabile? No, non era esattamente la parola appropriata per descriverlo. Aveva ancora l’aspetto di una donna che poteva scaraventare qualcuno nel Sole alla minima provocazione. Tuttavia, sembrava più…docile. Sì, docile era il modo perfetto per indicare il suo comportamento attuale.
Sembrava più spensierata, meno tesa…come una scolaretta liceale appena tornata dal primo appuntamento.
“ Aspetta un secondo” sussurrò mentalmente Pepper, mentre iniziò a scrutare la donna da capo a piedi. “ Guance perennemente arrossate…umore incontrollato…e sta tenendo le gambe più strette del solito…O mio…”
Un sorriso volpino cominciò a farsi strada sul volto della magnante.
Si appoggiò al distributore con le braccia incrociate davanti al petto, volgendo alla supereroina un’occhiata laterale.
<< Allora…hai passato una bella serata, Carol? >> chiese con tono apparentemente disinvolto.
La domanda sembrò prendere in contropiede la bionda.
<< Ehm…sì, certo. Perché me lo chiedi? >>
<< Nessuna ragione particolare >> rispose Pepper, limitandosi a scrollare le spalle.
Carol prese a fissarla con sospetto ma, quando la magnante non fece alcun segno di voler argomentare, riprese a bere.
<< E dimmi…l’hai passata con qualcuno? >> domandò la rossa, di punto in bianco.
Inutile dire che la reazione dell’amica fu praticamente istantanea.
Per poco, Carol non si strozzò con quello che aveva ingurgitato, e cominciò a tossire rumorosamente. Il tutto sotto lo sguardo divertito di Pepper.
 << Sembra proprio di sì >> commentò lei, sorridendo divertita.
L’Avenger prese un paio di respiri calmanti e fissò la donna con un’espressione impassibile.
<< Io…non so di cosa stai parlando >>
<< Davvero? Quindi…non hai recentemente fatto sesso con qualcuno? >> chiese indicandole la parte alta delle cosce.
Il rossore sul volto della bionda si fece più accentuato.
<< Pepper >> sibilò a denti stretti, mentre il sorriso dell’amica sembrò allargarsi.
<< Oh, suvvia, mica ti sto giudicando. Anzi, penso che potrebbe farti bene, se capisci cosa intendo >>
<< Pepper! >>
<< Non c’è nulla di cui vergognarsi. Sei una donna nel pieno della maturità sessuale >> continuò la rossa, stringendosi nelle spalle una seconda volta. << Avere rapporti con altre persone è perfettamente normale >>
Carol si guardò attorno freneticamente. Sembrava sinceramente preoccupata che qualcuno potesse sentirle, cosa che Pepper non potè fare a meno di trovare adorabile.
Eccola qui, Carol Danvers, l’incredibile Capitan Marvel…preoccupata che la gente potesse venire a conoscenza della sua relazione segreta. La faceva sembrare così…umana. Ben lontana dal personaggio stoico a cui il resto degli Avengers erano abituati.
<< Allora? >> domandò con tono cospiratorio.
Carol passò brevemente la testa da parte a parte del corridoio. Quando fu certa che non vi fossero altre persone, rilasciò un sospiro rassegnato.
<< D’accordo, te lo dico >>  borbottò amaramente.
Pepper le fece segno di continuare. Al contempo, la bionda prese un respiro profondo.
<< Io ho…una relazione >>
<< Lo sapevo! >> esclamò l’altra, venendo prontamente zittita da un sonoro “shhhhhh!” dell’amica.
Pepper le rivolse un sorriso di scusa, prima di porgersi in avanti.
<< Come si chiama? >>
<< …Ben >> rispose Carol, dopo un attimo di esitazione.
La rossa inarcò un sopracciglio.
<< Nessun cognome? >>
<< …Riley >>
<< Capisco… E dimmi, questo Ben Riley è…dotato? >>
<< Pepper! >> esclamò l’Avenger, arrossendo ancora più intensamente.
La magnante simulò un’espressione innocente.
<< Cosa? Ti ho detto che non c’è alcun bisogno di essere imbarazzata, qui siamo tra donne >> disse con tono di fatto.
Nel mentre, Carol voleva solo che un qualsiasi membro della squadra si presentasse nel corridoio ( possibilmente in quel preciso istante ) per ordinarle di venire subito al Queen Jet.
Non poteva rischiare che qualcuno scoprisse la relazione tra lei e Peter…soprattutto se questo qualcuno era l’ex-moglie del defunto mentore di Peter stesso!
Tuttavia, era ben consapevole che Pepper non l’avrebbe mollata senza ricevere almeno un qualche tipo d’informazione.
Con quel pensiero in mente, arrivò ad un’unica e semplice conclusione: non poteva dirle tutta la verità…ma poteva rivelargli quel tanto che bastava per evitare fraintendimenti.
<< È solo che… >> iniziò con fare incerto, << è la prima volta che esco con qualcuno più giovane di me >>
Di fronte a lei, gli occhi di Pepper sembrarono illuminarsi per la comprensione.
“ Ma certo” pensò la rossa. “ Ha l’aspetto di una ventenne, ma in fondo ha praticamente sessant’anni”.
<< Non sei certo la prima donna a farlo >> le disse con un sorriso rassicurante. << Vuoi il mio consiglio?>>
Carol applaudì mentalmente a se stessa.
<< Certo >> disse dopo un attimo di silenzio, continuando a recitare la parte della fidanzata insicura.
Pepper le posò una mano sulla spalla.
<< Goditela. Credimi, te lo meriti. Hai bisogno di divertirti, di prenderti una pausa dagli Avengers e da tutte quelle missioni >>
 << Lo pensi davvero? >> chiese la supereroina, agitandosi sulla punta dei talloni. Dio, dopo questa avrebbe seriamente meritato un oscar.
<< Ne sono più che convinta >> rispose Pepper, annuendo con determinazione.
Carol le lanciò un sorriso grato.
“ Pericolo scampato!” fu il primo pensiero che le attraversò la testa. Aveva rischiato grosso, ma la situazione pareva essere di nuovo sotto controllo.
<< Bhe, è stata una conversazione illuminante, ma ora devo recarmi alla base di lancio >> disse piacevolmente, per poi voltarsi e dirigersi in tutta fretta all’estremità opposta del corridoio.
Prima di girare l’angolo, tuttavia, sentì un’esclamazione che per poco non la fece inciampare in avanti.
<< E ricordati di usare la protezione! >>
“ Maledizione, Pepper…”
 
                                                                                                                                                    * * *  

La stanza nella quale si trovava Cletus era sporca.
Le pareti, fatte di marmo bianco, erano punteggiate di ruggine rossastra. L’unica fonte d’illuminazione era una lampada che brillava sulla sua testa. Di tanto in tanto si spegneva, obbligando i suoi occhi ad adeguarsi all’alternazione tra luce e buio.
Sul muro opposto vi erano una serie di schermi, simili a tanti piccoli televisori.
Affianco alla carriola cui era stato legato, spiccava un tavolo a ruote pieno di strumenti operatori. Poco più in là, seduto di fronte ad un’insolita accozzaglia di macchinari, tra cui un computer, c’era un uomo dalla corporatura robusta, non molto alto.
Diceva di chiamarsi Otto Octavius, e avrebbe gestito l’intera operazione.
Aveva il viso paffuto, una bocca ampia, corti capelli neri e un paio di occhiali rotondi che gli cadevano su un naso adunco.
Tratto distintivo erano sicuramente i quattro lunghi bracci meccanici che gli sbucavano da sotto il camice bianco da laboratorio, ciascuno di essi terminante con tre appendici simili ad artigli, incastonate in un grande obbiettivo rosso. Ricordavano vagamente i tripodi de La Guerra dei Mondi.
<< Ti interessi di mitologia greca, Cletus ? >> chiese Norman, attirando l’attenzione dell’uomo.
<< Non proprio, signore >> rispose il serial killer, suscitando una piccola risata ad opera del magnante.
<< Mai sentito parlare del mito di Aracne? >>
<< Direi di no, Mr. Osborn >> 
Se era infastidito dalla mancanza culturale del criminale, di certo il miliardario non lo diede a vedere. Invece, arricciò ambe le labbra in un sorriso accomodante.
<< Secondo la leggenda, Atena …conosci Atena, vero? >>
<< Ehm…la dea? >>
<< Precisamente. Vedi, Atena sentì parlare di questa donna sulla Terra, una semplice mortale, come te e me, che era una tessitrice migliore di lei >>
<< Tessitrice? >> domandò Cletus, visibilmente perplesso.
In tutta risposta, Norman si limitò ad annuire.
<< Atena non fu affatto felice di questo, e scese sulla Terra per distruggere le creazioni della donna >>
<< Tipicamente femminile >> borbottò Cletus, con un roteare degli occhi.
Osborn abbaiò una risata, apparentemente divertito dal commento del criminale.
Una volta calmatosi, riprese a parlare.
<< Quando la ragazza si rese conto di quel che era successo, cioè che aveva offeso gli dei e che tutti i suoi lavori erano stati distrutti, si impiccò. Atena ebbè pietà della povera ragazza, le bagnò la fronte con un liquido magico e disse: "Tu non morirai, Aracne, sarai invece trasformata e tesserai per sempre la tua tela" >> disse con voce calma e pacata, quasi nostalgica. << Alle parole di Atena, Aracne si rimpicciolì e divenne nera. Prima le caddero il naso e le orecchie, poi le sue dita si trasformarono in zampe. Quel che restava di lei divenne il corpo e da esso iniziò a tessere la sua tela >>.
L’uomo estrasse dalla tasca dei pantaloni quello che aveva tutta l’aria di essere un telecomando. Poi, puntò l’oggetto in direzione dei televisori presenti nella stanza, e Cletus lo seguì con lo sguardo.
Pochi secondi dopo, sugli schermi cominciarono a scorrere diverse immagini. Foto che ritraevano una persona vestita con un’isolita tuta rossa e blu,  il volto coperto da una maschera, mentre essa si dondolava tra i palazzi di New York come il trampoliere di un circo.
<< Ed ora sembra che la storia si stia ripetendo…ma questa volta sono i mortali ad avere il controllo >> disse Norman, il volto adornato da un sorriso decisamente più maniacale.
Cletus, nel frattempo, aveva cominciato a scrutare le immagini con occhio critico.
<< Ho sentito parlare di quel tipo. Ho sempre pensato che i suoi poteri fossero un po’ una cazzata, ad essere sincero. Possiede davvero le capacità di un ragno? >>
<< Sì, per quanto possa sembrare assurdo. Nessuno sa davvero come le abbia ottenute…anche se io ho i miei sospetti >> mormorò l’uomo, quasi a se stesso.
In quel momento, uno dei tentacoli di Octavius si mosse verso di lui, porgendogli una fialetta di vetro, il cui interno sembrava occupato da una strana sostanza rossa.
Norman si avvicinò a Cletus, e il serial killer ebbe così modo di constatare un’altra peculiarità : quel liquido, qualunque cosa fosse, aveva piccole appendici conficcate sulla superficie del contenitore…e si stavano muovendo, come le zampe di un insetto.
<< Che cos’è? >> domandò perplesso.
Se possibile, il sorriso di Osborn sembrò farsi più grande.
<< Questo, amico mio…è un simbionte. Creato direttamente dal sangue raccolto durante una battaglia tra Spiderman e uno dei suoi avversari, Electro. Un organismo autonomo, senziente, modificato in parte dalla stimolazione bioelettrica causata dagli attacchi di quel supercrminale. Un parassita in cerca di un ospite appropriato a cui legarsi >> rivelò con tono paziente, prima di volgere al serial killer un’occhiata significativa. << Ed è anche la ragione per cui tu sei qui, Cletus. Vedi, il gruppo sanguineo di questo campione è piuttosto raro, AB Negativo. E tra tutti i detenuti di Ryker’s Island…tu era l’unico ad averlo. Per tanto, sei il candidato più ideale per legarti ad esso. Gli altri tuoi colleghi sono stati scelti per partecipare ad un programma diverso, ma tu…tu sei l’unico che può affrontare questa rischiosa procedura >>.
Al sentire tali parole, gli occhi di Cletus vennero pervasi da un luccichio di sorpresa e timore reverenziale.
<< Che cosa mi farà? >> chiese con tono incerto, mentre la strana sostanza si agitava nella provetta come se impazzita.
Norman scrollò le spalle.
<< La stessa cosa che ha fatto a Spiderman. Ti renderà più forte, più veloce…più potente di quanto tu possa immaginare >> disse convinto, volgendo al criminale la sua espressione più accomodante.
Cletus rimase in silenzio, cercando di assimilare le parole dell’uomo.
Non era mai stato un fan delle materie scientifiche, a meno che queste non andassero a suo vantaggio. Specialmente quando venivano trattate informazioni riguardanti l’anatomia e la chimica. Si potevano imparare molte cose da tali argomenti, come trovare i punti migliori in cui colpire una persona o un animale con un’arma contundente, fabbricare bombe a mano, e altri affascinanti trucchetti che a scuola non erano mai stati insegnati.
Nonostante questo, aveva compreso la maggior parte della spiegazione di Osborn. Anche se, in cuor suo, sapeva che il magnante aveva cercato di rendere il discorso più semplice possibile per adattarlo alla sua situazione, una cosa che poteva apprezzare. Forse, una volta uscito da questo posto, non lo avrebbe dissanguato a morte.
<< Come lo legherete a me? >> chiese incuriosito.
Norman volse lo sguardo in direzione di Octavius, come se gli stesse rivolgendo la stessa domanda.
Lo scienziato si limitò a stringersi nelle spalle.
<< Potrei spiegartelo, ma dubito seriamente che tu riusciresti a comprendere la complessità scientifica di un simile processo >>
“ Che figlio di puttana” pensò Cletus, immaginando in poco tempo tutti quei fantastici modi che avrebbe potuto usare per fargli rimangiare una simile affermazione. Sette di loro includevano un coltello o un pezzo di vetro affilato, due un laccio da scarpe, tre un accendino, e uno un sacchetto di plastica.
<< Ehi, non sarò la matita più acuminata della stanza, ma non sono certo stupido. Andiamo, mettimi alla prova! >> esclamò, con un sorriso fiducioso.
Octavius rilasciò un sospiro rassegnato.
<< Per dirla con termini molto semplici, useremo delle nano-macchine >>
<< Nano-macchine? Come quelle dei film? >>
<< No, le mie sono molto meglio >> rispose l’uomo, con un cipiglio scontento. Quasi come se quel paragone lo avesse offeso personalmente. << Non hanno né circuiti né energia. Danno semplicemente delle risposte specifiche a delle frequenze specifiche. Sono come delle leghe riflessive. E usando diverse frequenze, possono essere controllate tanto quanto viene controllata una macchina radiocomandata con un telecomando remoto. Le useremo per legare il tuo sangue alla struttura molecolare del Simbionte >>.
Cletus assorbì ogni informazione con uno sguardo impressionato, annuendo occasionalmente per dimostrare allo scienziato che stava realmente seguendo la spiegazione.
<< Sembri un tipo molto intelligente. Come diavolo ti sei ritrovato in un posto del genere? >> domandò con un ghigno beffardo, facendo cenno al laboratorio che li circondava.
Perché se c’era una cosa che Cletus aveva capito, nel momento esatto in cui aveva messo piede in questa fabbrica degli orrori…era che questa operazione non aveva nulla di legale.
Octavius ridacchiò per la prima volta da quando lo aveva incontrato, come se avesse sentito quella domanda già molte volte.
<< A causa del mio amore per l’arte >> rispose, sorprendendo il serial killer.
<< Ah? >>
Notando l’espressione confusa sul volto di Cletus, l’uomo procedette ad elaborare.
<< Da piccolo adoravo l'architettura europea. Mi sono innamorato di quelle "creazioni" su larga scala che erano state ristrutturate dopo un lungo periodo di tempo, al fine di completare una sola idea di bellezza. Ma, allo stesso tempo, erano difficili da capire. È facile guardare l'apparenza esterna di un edificio e dire che è bellissimo. Tuttavia, per capire meticolosamente ogni piccolo dettaglio del design, la sua larga scala fa sì che sia necessario porlo in ugual modo in un lasso di tempo più grande. Ad essere sincero, ci sono così tante cose da focalizzare…che col tempo diventa stancante >> ammise sconsolato, mentre afferrava con un tentacolo la fialetta che Osborn stava ancora tenendo tra le mani.
<< E poi ho scoperto una nuova forma di bellezza : le formule scientifiche >> continuò, usando uno degli altri bracci per prendere un ago dal tavolo operatorio. << Con loro non c'è spreco, sono efficienti. Tutti i tipi di bellezza sono inclusi nei posti più piccoli possibili. Da questo punto di vista, sono proprio le formule a contenerla. Hanno anche una bellezza poetica, simile a quella dell'haiku! >>
Sorrise, mentre camminava fino a Cletus e si fermava proprio di fronte a lui.
<< Il mio obbiettivo finale è quello di trovare la bellezza nascosta agli angoli del mondo e usarla a beneficio dell’intera umanità. Mi inchinerò davanti a chiunque, al fine di farlo. Non m'importa se verrò definito un criminale >> terminò con tono convinto, prima di lanciare al killer un’occhiata molto più seria.
<< Ora rilassati, sarà doloroso >>
<< Doloroso quanto, esattamente ?>> chiese Cletus, scrutandolo con sospetto.
Octavius non rispose.
Usò l’ago per prelevare il simbionte dalla fialetta, lo avvicinò a Kasady e lo iniettò all’altezza dell’avambraccio.
A parte la puntura iniziale, però, il killer non sentì nient’altro.
<< Uhm…non mi sembrava così mal… >>
L’uomo non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Un dolore forte e improvviso gli attanagliò la testa, i muscoli e il resto corpo. Tentò di urlare, ma si ritrovò incapace di farlo.
Poi venne l’oscurità…e con essa il nulla.
 
                                                                                                                                 * * *  

Cletus Kasady dormiva…e sognava. La linea di confine tra sogno e ricordo era spesso sottile, ma lui non ne era consapevole.
Così la sua mente vagò indietro nel tempo. Ricordò la sua vecchia casa, nei pressi della periferia Newyorkese…e ricordò sua madre.
Amanda Casady era una donna di trentacinque anni, benestante e ammirata in tutto il quartiere per la sua egregia bellezza.
I Kasady erano sempre stati il prototipo perfetto della famiglia americana.  Il signor Jake Casady era un ex marine, ora  direttore di una ditta  di trasporti all’esterno di New York. Era un uomo sulla quarantina, duro e atletico, la cui fama di Don Giovanni era spesso causa di pettegolezzi tra la gente che viveva per la via di Elm Street.
Come ormai sapete, i coniugi avevano anche un figlioletto: Cletus Kasady, e, secondo loro, non avrebbero potuto desiderare un bambino più bello.
La situazione non era sempre stata così. Inizialmente una famiglia di umili origini, i Kasady erano riusciti a scalare il vertice della società attraverso una fortunata vincita alla lotteria della contea.
Tale felicità, tuttavia, fu assai di breve durata. Questo perché, appena tre anni dopo, si verificò un evento tragico e inaspettato: la scomparsa improvvisa di Jake Kasady.
Cletus se lo ricordava bene.
Era stato un giorno incredibilmente afoso e tonante quello in cui era partito un colpo dalla pistola che aveva rubato dall’armadio del padre. Era così che lo considerava : non il giorno in cui aveva sparato, bensì quello in cui era partito un colpo.
Suo padre aveva sentito la canna premuta sulla tempia sinistra e, di sottecchi, aveva guardato il bambino in piedi sopra di lui. Aveva bevuto un sorso di birra, schioccando le labbra e commentando : << Avrei paura, se pensassi che hai le palle >>.
Una volta premuto il grilletto, Cletus era rimasto seduto accanto a lui ad ascoltare la pioggia che tamburellava sul tetto del garage. Il padre era steso a terra con un piede scosso dal tremito e una chiazza di urina che gli si allargava sul davanti dei pantaloni.
Cletus non si era mosso finchè la madre non era entrata nel garage e si era messa ad urlare. Ma poi lo aveva abbracciato, e il giorno dopo il corpo del padre morto era sparito, probabilmente sepolto sotto il giardino di casa. Nessuno aveva mai pensato di controllare.
Da quel momento in poi, la vita dei Kasady cominciò a farsi sempre più dura e malinconica. Specialmente per il figlio, che, nei tempi successivi all’accaduto, diventò freddo e distaccato anche nei confronti della madre.
Cletus ora ricordava anche il giorno di quella visione. Sembrava tutto così reale…come se stesse vivendo il passato e il presente allo stesso tempo. Come se fosse tornato indietro di quasi trent’anni.
Nelle visione era nascosto dietro la porta della cucina, mentre la madre sorseggiava il tè pomeridiano nel salotto della casa.
Non appena la matriarca ebbe posato la tazza vuota sull’unico tavolino presente nella stanza, una donna anziana e corpulenta, indossante un abito da cameriera, iniziò a farsi strada nella sua direzione.
Aveva il volto adornato da un’espressione visibilmente agitata.
<< Miss Kasady…ho delle brutte notizie >> sussurrò, costringendo Cletus a tendere le orecchie.
Al contempo, la madre del ragazzo inarcò un sopracciglio, volgendo la propria attenzione nei confronti della governante.
<< Ho trovato alcune di quelle…parti, dietro il capannone degli attrezzi. C’erano pelame e denti, e i vicini sono stati tutto il giorno alla ricerca del gatto>> continuò la vecchia. <<  In città delle persone sono scomparse nel nulla... >>
<< Cletus non c’entra nulla con quegli orribili omicidi! >>ribattè freddamente l’altra. << Lui è…solamente triste. Questo è tutto >>
E, dopo aver pronunciato tali parole, la vedova afferrò un tovagliolo per asciugarsi le labbra e fuoriuscì dal salotto in tutta fretta.
Dietro di lei, Alma Stroode scosse la testa. Certe volte, l’ingenuità della sua padrona le faceva quasi tenerezza.
Uno scalpitare di passi riecheggiò alle sue spalle.
Sì voltò, trovandosi di fronte la figura di un giovane Cletus Kasady. Indossava una maschera bianca simile a quella utilizzata dai clown del circo e, nella mano destra leggermente alzata, teneva saldamente l’impugnatura di un tagliacarte in argento, splendente sotto la debole luce del lampadario.
La donna compì un passo all’indietro.
<< Tu non mi fai paura. Ti ho cresciuto da quando eri alto così>> disse con la mano alzata ad appena mezzo metro da terra.
Fatto questo, fissò il bambino dritto negli occhi.
<< Ho trovato quei poveri animali che hai ucciso dietro casa. Ho detto tutto a tua madre>> rivelò con cupa soddisfazione.
Cletus non mostrò il benchè minimo segno di reazione.
<< Se succederà di nuovo…chiamerò la polizia. Mi hai sentito? >> domandò imperiosamente. << Ora dimmi la verità. Tu centri qualcosa con quel casino che è successo in città? >>
Non appena la vecchia ebbe pronunciato quelle parole, il giovane balzò in avanti e issò il coltello di fronte al suo volto.
Poco prima che potesse affondare la lama nelle carni della cameriera, tuttavia, la punta si fermò ad appena un paio di centimetri dal naso della governante.
Alma sogghignò.
<< Oh, vuoi uccidermi? Avanti, fallo! >>
Cletus issò il tagliacarte una seconda volta, ma non fu mai in grado di completare l’azione.
La donna gli rivolse un sorriso di scherno.
<< Proprio come pensavo. Non avresti potuto uccidere quelle persone. Non ne hai il coraggio>> sghignazzò divertita.
Il bambino si tolse la maschera, gli occhi marroni che sembravano menare lampi.
<< Chiudi la bocca Alma…o giuro che ti ucciderò >> sibilò a denti stretti.
La cameriera scrollò le spalle.
<< Oh, davvero? Allora uccidimi. Forza! Ti sfido ! >>
Cletus alzò il coltello una terza volta.
Sarebbe stato così facile porre fine a quella miserabile vita, proprio qui e ora, con un semplice movimento del braccio. Tuttavia, con grande soddisfazione della donna, il colpo fatale non arrivò mai. Al contrario, il giovane abbassò la lama e digrignò i denti per la frustrazione.
<< Ti odio, Alma. Ti odio, ti odio, ti odio! >> sputò in faccia alla vecchia.
Poi, fuoriuscì di corsa dalla stanza e salì in camera da letto.
Si sdraiò sul materasso e afferrò la testa con ambe le mani.
<< Un giorno…la pagheranno tutti. Schiaccerò ognuno di loro come gli insetti che sono! >> ringhiò contro il cuscino.
Al contempo, le voci cominciarono a farsi più forti. Quei sussurri…lenti e inesorabili, all’interno della sua mente…da cui era impossibile scappare.
<< Sì, sarà così… >>
“ …sarà così…sarà così…sarà così !”
 
                                                                                                                                                     * * *  

Otto Octavius controllò i parametri vitali di Cletus.
Aveva gli occhi fissi sulla linea retta mostrata sullo schermo, la quale rappresentava il battito cardiaco dell’uomo, ormai completamente assente.
Controllò l’orologio che teneva sul polso destro.
<< Morte del primo soggetto…ore 21:00. Esperimento fallito >> disse con tono impassibile.
Norman schioccò la lingua, visibilmente infastidito.
<< Cause? >> domandò a denti stretti.
Lo scienziato diede un’altra rapida occhiata alle apparecchiature.
<< Probabilmente è come con un trapianto di organi. La biologia di Cletus non era abbastanza forte da sostenere l’operazione e ha rigettato il Simbionte >> borbottò, prima di rilasciare un sospiro scontento.<< Questa non ci voleva. Sarà difficile trovare un'altra persona con quel gruppo sanguigno >>
<< Non ti preoccupare, chiederò ai miei uomini di setacciare tutte le prigioni di questa contea. Preleverò barboni dalla strada, se necessario >> ribattè freddamente Osborn.
Octavius gli lanciò un’occhiata stizzita.
<< Preferirei lavorare su soggetti più sani >>
<< Sfortunatamente non è possibile, e tu lo sai bene. Nessuno si preoccupa se qualche criminale o delinquente scompare nel nulla. Ma se iniziassimo a rapire gente benestante, bhe…le persone cominceranno a fare domande, e questa è una cosa che voglio evitare >> spiegò il magnante, con un tono di voce che non ammetteva replica.
Octavius si limitò a roteare gli occhi.
<< Molto bene, farò rimuovere il corpo e… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Udì uno strano sibilò alle sue spalle. Poi, come dal nulla…avvertì un insolito, bruciante dolore, come un coltello infuocato nella schiena.
Octavius inciampò, frugò dietro di sè alla cieca per toccare l'orlo strappato del camice, poi sentì una massa scivolosa, sorprendentemente calda. Con orrore, capì che stava sanguinando.
Qualcuno lo aveva davvero pugnalato! Ma chi? Le uniche persone presenti nella stanza erano lui, il Signor Osborn e…
Girò appena la testa.
Cletus gli stava dietro, libero dalle restrizioni del tavolo operatorio, la mano conficcata direttamente nella sua schiena. No…non era una mano. Era rossa, piena di filamenti simili a vasi sangugni…e terminava con artigli grandi quanto il suo avambraccio.
<< O mio Dio >> sussurrò Norman, a pochi passi da quella scena raccapricciante.
Cletus girò la testa verso di lui. Aveva gli occhi quasi completamente bianchi, e il volto adornato da un’espressione ebete, con la bocca semi-aperta e un rivolo di bava che gli scendeva dalle labbra. Inoltre, metà della faccia era coperta da…qualcosa. Sul serio, il miliardario non aveva la minima idea di come descrivere quell’agglomerato di filamenti che ricopriva la guancia destra del serial killer, fino all’estremità superiore dell’occhio. Sembrava quasi un tumore.
Cletus compì un rapido gesto della mano, ritraendo gli “ artigli” e liberando il corpo di Otto.
Lo scienziato cadde al suolo e atterrò su qualcosa di freddo e umido. Vagamente, si rese conto di essere atterrato sul suo stesso sangue.
Poi, il serial killer afferrò il tavolo operatorio e lo lanciò contro Osborn. L’uomo non fu abbastanza veloce da scansarsi e venne inchiodato alla parete opposta della stanza, gemendo per il dolore e la sorpresa.
L’aggressore non sembro badarci e fuoriuscì dall’unica porta presente nella stanza, con rapidi balzi degni di un campione olimpico.
Cominciò a correre. Senza mai fermarsi, senza mai voltarsi indietro.
Nel mentre, le voci continuarono a inseguirlo.
 
                                                                                                                                                        * * *  

Cletus Kasady incespicò in avanti, camminando nell’oscurità.
Non ricordava come fosse scappato da quello strano laboratorio, e sinceramente non gli importava. In quel momento voleva solo fuggire…fuggire da dolore che gli martellava nelle tempie.
Aveva per caso ucciso qualcuno? Ricordava vagamente di aver infilato le dita…no, gli artigli…nella schiena del dottore. Aspetta un secondo…artigli? Perché li aveva chiamati artigli?
Si portò la mano agli occhi. Eccola lì, proprio come se la ricordava. Carne rosa, unghie, polpastrelli…tutto era nella norma.
Rilasciò un sospiro e continuò a camminare. Sperava solo che nessuno lo stesse inseguendo.
Grosse tubature arrugginite, piene di ragnatele, strisciavano alla rinfusa lungo il soffitto.
Quando un sonoro Clang! riecheggiò all’interno di una parete, Cletus quasi urlò per la sorpresa. Il flusso di adrenalina negli arti e nel cuore fu doloroso, per un momento quasi paralizzante.
Dopo quasi dieci minuti si ritrovò in una stanza leggermente più illuminata. Sul pavimento c’erano giornali abbandonati..
I topi ci avevano fatto il nido a migliaia. Intere famiglie osservavano l’intruso con diffidenti occhi color rubino.
Cletus si fermò in mezzo al cunicolo, proprio di fronte ad una scala. E la scala portava al coperchio di un tombino, dal quale filtrava della luce.
Il traffico sopra di lui pareva irregolare, e questo era già qualcosa, ma la luce…la luce lo sorprese, anche perché gli era sembrato di aver camminato in quella fogna per pochi minuti. Il buio aveva completamente distrutto il suo senso del tempo?
Poi, guardando la via d’uscita a pochi metri dalla sua testa, capì che quella non era la luce del giorno, ma quella proiettata da un lampione.
Il serial killer attese per un totale di cinque minuti. Nessuna macchina passò sul tombino.
Questo gli fece sospettare che, più per fortuna e per legge delle probabilità che per un innato senso di direzione, era riuscito ad arrivare in una zona relativamente poco popolata.
Cominciò a salire e, utilizzando la semplice forza fisica, si aprì  un’uscita.
Il serial killer spalancò gli occhi…e fu accecato dalla luce del lampione.
Si ritrovò in una sorta di parco. Gli insetti frinivano tra gli alti cespugli. La primavera, fredda e umida, aveva ancora parecchia strada da fare, ma qui – ovunque fosse qui –la brezza serale era più calda.
Cletus scorse qualche bagliore di luce, uno scintillio tra gli alberi, ma sulle prime non vi prestò attenzione.
La prima cosa che gli apparve chiara nella mente fu che stava risalendo a piedi una collina, probabilmente vicino a Central Park, e avvertiva un dolore dentro il corpo. Malfermo sulle sue gambe, sbucò dagli alberi e continuò a camminare, senza mai fermarsi.
Non riusciva a vedere bene. Aveva la sensazione che gli avessero levato gli occhi con un cucchiaio. Si sentiva un lato della faccia appiccicoso e, per quello che ne sapeva, le orbite potevano essergli scoppiate come due acini d’uva, colandogli lungo la guancia.
Urtò un bidone della spazzatura, facendolo tintinnare contro il marciapiede. Un barbone che si trovava lì vicino sentì il rumore, alzò lo sguardo…e fece cadere la scatola delle offerte che teneva nella mano destra, spalancando la bocca come se stesse per gridare a causa dello choc.
<< Dio santo, amico, ma che ti è successo? >>
Cletus non si fermò per rispondergli e continuò a camminare, fondendosi con le ombre della notte.
E fu così che, dopo quasi un’ora, forse per uno scherzo del destino o per una semplice questione di memoria muscolare o inconscia…l’uomo si ritrovo di fronte alla sua vecchia abitazione, ormai abbandonata.
C’era una stradina insediata nel giardino, a pochi metri dalla strada.
Dall’altra parte si intravedeva un parco, verde e ombroso sotto la debole luce della luna.
La casa dei Kasady, in stile Cape Cod, era l’unica costruzione che sorgeva in fondo ad una lunga strada sterrata. Cletus la percorse.
L’erba in giardino arrivava alla vita. Tra gli alberi dilagava il sommacco, in cespugli alti quasi quanto lui.
Le tende alle finestre erano tirate e le zanzarerie arrugginite e rigonfie. Non vi era alcuna auto nel vialetto, e il serial killer non aveva motivo di aspettarsene una. Dopotutto, chi comprerebbe una casa in cui era morta tanta gente?
Non tentò nemmeno di entrare dalla porta principale, sicuro che sarebbe stata sbarrata.
La finestra della sua vecchia camera era a tre metri da terra e di certo chiusa, così come quella sul retro e la porta scorrevole a vetri. Ma c’era la finestrella della cantina, con la maniglia che non funzionava. Fin da quando era picco, era sempre aperta di mezzo centimetro, e dubitava seriamente che in tutti questi anni fosse stata riparata.
Usò le mani per tagliare la zanzariera, poi spinse indietro la finestra e si infilò nell’empia apertura.
La cantina era uno stanzone dalle pareti grezze, con i tubi che correvano lungo il soffitto. In fondo, vicino alle scale, stavano una lavatrice arrugginita e un vecchio cesto dei panni, mentre dalla parte opposta c’era la caldaia.
Il resto era un’accozzaglia di scatoloni e sacchi della spazzatura pieni di stracci; c’era pure una poltrona in tessuto scozzese con uno stupido acquerello incorniciato appoggiato sul cuscino, dai colori sbiaditi.
Cletus ricordava vagamente di averlo disegnato quando era alle medie. Era una vera merda.
Il Serial Killer non ci badò troppo. Salì le scale fino alla sua vecchia camera, completamente vuota.
Crollò sul pavimento…e l’oscurità lo avvolse ancora una volta.
 
 
Com’era? Spero bello!
Nel caso ve lo steste chiedendo, Rhodey ha chiamato Peter con il suo nome da supereroe, anziché usare il nome proprio come con gli altri, perché è l’unico tra loro ad avere un’identità segreta sconosciuta al grande pubblico. Per tale motivo, quando indossa il costume, lui e il resto dei Vendicatori sono obbligati a chiamarlo Spiderman per abituarsi a fare lo stesso durante una battaglia o in pubblico.
Otto Octavius è l’acerrimo nemico di Spiderman noto come Doctor Octopus, qui ancora uno scienziato.
Nei fumetti originali, Carnage era il figlio di Venom, un simbionte alieno caduto sulla Terra e legatosi brevemente a Spiderman, mentre qui ho preso ispirazione dalle origini di Venom utilizzate in Ultimate Spiderman, dove era stato creato attraverso un campione del sangue di Peter.
Nel prossimo capitolo, Avengers contro Hydra!
  
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