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Autore: AleDic    20/08/2019    2 recensioni
[Sabo!Centric ⎸Dressrosa Saga ⎸ASL brotherhood ⎸What if ⎸1.917 parole]
Il corvo se ne stava appollaiato sul tetto in silenzio, lo stesso che permeava la vecchia casa di Kyros, sulla collina di fiori, dove Rufy e la sua ciurma avevano momentaneamente trovato rifugio.
Suo fratello non era dentro. Sabo aveva portato un cesto con della carne e alcolici, immaginando che quasi nessuno di loro al momento potesse muoversi da lì, ma l’unico letto all’interno dell’abitacolo era vuoto e tutti i presenti erano addormentati e disseminati per l’intera area della casa. Poggiò semplicemente il cesto sul tavolo e si richiuse piano la porta alle spalle.

{Storia partecipante alla “Angst Challenge” indetta sul sito saturn e sul sito di EFP da mel-ker}
{Storia partecipante alla “Summer Bingo Challenge” indetta sul gruppo “Hurt/Comfort Italia – Fanfiction e Fanart” di Facebook}
{Seconda classificata al contest “Una storia per tre” indetto da Camilla19 e valutato da Dark Sider sul sito di EFP}
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, ASL, Monkey D. Rufy, Sabo
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Personaggi: Sabo, Rufy, Karasu.
Prompt: 1- morte di un famigliare; 92 – guarigione.
Genere: introspettivo, angst, malinconico.
Avvertimenti: what if, missing moment, probabilissimo OOC per Rufy perché non sarò mai in grado di gestirlo.
Contesto: fine Saga di Dressrosa.
Note: alla fine del testo.

 

 

 


 

 

 

Per guarire e assaporare la vera libertà

 

∼ per questo legame che da sempre è il centro del mondo ∼

 

 

 

 


 

 

Il corvo se ne stava appollaiato sul tetto in silenzio, lo stesso che permeava la vecchia casa di Kyros, sulla collina di fiori, dove Rufy e la sua ciurma avevano momentaneamente trovato rifugio.
Suo fratello non era dentro. Sabo aveva portato un cesto con della carne e alcolici, immaginando che quasi nessuno di loro al momento potesse muoversi da lì, ma l’unico letto all’interno dell’abitacolo era vuoto e tutti i presenti erano addormentati e disseminati per l’intera area della casa. Poggiò semplicemente il cesto sul tavolo e si richiuse piano la porta alle spalle.

 

 

 

Il tramonto era calato da poco su Dressrosa, segnando la fine di un giorno che nessuno avrebbe mai dimenticato: verità a lungo rimaste sepolte erano finalmente venute alla luce, persone da tempo credute perse per sempre erano state ritrovate; in dieci anni molto era cambiato e vi erano cose che, non importa cosa si facesse, non avrebbero mai potuto essere recuperate; persone che, non importa quanti rimpianti abbiano portato via con loro, non sarebbero mai più tornate. Eppure, quel giorno era calato non nel dolore per quello che era andato perduto, ma nella gioia di ciò che era stato riavuto indietro.
Sabo guardava la notte giungere sulla terra di Dressrosa e si sentiva leggero come non gli succedeva da ben dodici anni. Il corvo sbatté appena le ali e lui alzò la testa per rivolgergli un breve sorriso prima di superarlo, allontanandosi verso il lato sinistro dell’abitazione.
Rufy era seduto sul prato qualche metro più avanti, un numero preoccupante di bende a ricoprirgli la maggior parte del corpo e il cappello di paglia sceso sulle spalle. Anche lo sguardo del capitano pirata era diretto al cielo sempre più nero che si estendeva all’orizzonte, sopra le loro teste e oltre il campo di girasoli. Sabo lo raggiunse in pochi passi, il fruscio prodotto dagli stivali sul prato che si mischiava a quello del vento tra i fili d’erba e ai rami del grande albero al centro della collina.
Rufy sembrava felice. Aveva un sorriso dipinto sul volto e gli occhi che brillavano – non molto. Non erano sfavillanti, non c’era una gioia violenta, nessun ardore. No. Erano gli stessi occhi che, probabilmente, quella notte ognuna delle persone di quel regno possedeva: gli occhi di chi aveva ritrovato qualcosa di prezioso dopo aver attraversato un abisso che sembrava senza speranza. Sabo si chiese se anche lui in quel momento avesse quegli stessi occhi. Non aveva il coraggio di chiederglielo. Non aveva nemmeno il coraggio di guardarlo ora che erano uno accanto all’altro. In realtà, il coraggio gli mancava da ben due anni, dal momento in cui aveva finalmente ricordato chi fosse, dal giorno peggiore della sua vita. Non fosse stato per Ace, lui sarebbe ancora come la Dressrosa di solo qualche ora prima: una bella apparenza vuota dentro. Non fosse stato per Ace, sarebbe andato via senza incontrare Rufy nemmeno una volta. Il vero problema era che se non fosse stato per Ace, non sarebbe esistita nemmeno la sua vigliaccheria.
Perché Ace era morto.
E Sabo non era stato lì.

 

«Dovresti essere a riposare». Non sapeva dire se fosse solo la preoccupazione a parlare o la sua codardia che cercava di ringhiottirlo, ma di certo non erano quelle le prime parole che Sabo avrebbe voluto rivolgere a suo fratello. Aveva promesso a se stesso che avrebbe vissuto senza più rimpianti, tuttavia sembrava un obiettivo per lui ancora molto lontano da raggiungere.
«Lo so. Di sicuro Chopper si arrabbierà con me quando lo scoprirà. Ma non potevo fare altro». Rufy si voltò verso di lui, il sorriso ancora intaccato sul viso pieno di graffi. «Avevo paura che se mi fossi addormentato, al mio risveglio non ti avrei trovato più».
A quelle parole, Sabo sentì lo stomaco stringersi in una morsa dolorosa.
Il vento cominciò a soffiare leggermente più forte. Ormai doveva essere passata la mezzanotte.
«Sai, quando Ace morì, credevo che si fosse trattato di un sogno».
Sabo ascoltava in silenzio, ancora in piedi, ogni muscolo del corpo talmente teso da dare l’impressione di potersi spezzare da un momento all’altro.
«Cominciai a sbattere la testa contro la pietra così forte da farla sanguinare, ma niente sembrava funzionare. Le immagini della morte di Ace restavano lì dov’erano. Volevo solo svegliarmi».
Adesso Sabo stava tremando. I pugni stretti lungo i fianchi quasi a lacerare la stoffa dei guanti che ricoprivano le sue mani. Alcune scintille presero vita senza che lui potesse far nulla al riguardo, illuminando a tratti il digrigno dei denti.
«Questa volta, ho sentito l’esatto opposto. Non volevo addormentarmi e scoprire che fosse stato solo un sogno. Per questo sono rimasto qui ad aspettarti».
Il tremore del suo corpo ormai era quasi incontrollabile. Le lacrime scendevano copiose solcandogli il viso, fino a cadere sull’erba ai suoi piedi. Sabo piangeva e cercava di contenere i singhiozzi che sembravano volergli sfondare il petto. In un certo senso, era come se si stesse ripetendo la scena del loro primo incontro nel Colosseo, a parti invertite. E forse c’erano anche lacrime di gioia fra quelle miliardi che gli bagnavano il volto, ma Sabo non avrebbe mai potuto dirlo. Non sarebbe mai stato in grado di esprimere cosa provò in quel momento, in quella notte, per il resto della sua vita.
«Non so cosa avrei fatto se tu non fossi venuto».

 

«… Perdonami…»
Un decennio era abbastanza lungo per perdere cose talmente importanti da non poter essere sostituite, come la stessa Dressrosa insegnava, era abbastanza lungo perché la verità fosse inghiottita da una falsa realtà in grado di soffocare il dolore, gettarlo via insieme all’amore e alla tragedia da cui era scaturito. Un decennio era stato abbastanza per sottrargli uno dei suoi tesori più preziosi a questo mondo.
«…  Rufy… perdonami…»
Il volto di suo fratello sciolse il sorriso per far spazio a un’espressione piuttosto confusa e sorpresa.
«… Io… non sono potuto venire ad aiutarvi… anche se avevate bisogno di me… vi ho lasciato soli… ed Ace è… Ace è…»
Le parole vennero fuori distorte e disconnesse dai singhiozzi che gli impedivano quasi di respirare. Sabo non cercò di fermarle, di calmarsi, di chiarirle. Era come una diga il cui muro era stato abbattuto da una piena: l’unica cosa da fare era lasciargli avere il suo corso.
Rufy lo guardava dal basso, con quell’espressione di genuino stupore che aveva fin da bambino, e per un momento sembrò che il tempo non fosse mai passato, che Rufy fosse ancora quel fratellino troppo piccolo e ingenuo che lo seguiva dappertutto con occhi pieni di fiducia. Ma era solo l’ennesima illusione, perché il tempo passava e non si poteva tornare indietro, ma solo andare avanti; ed era quello che Rufy aveva fatto, più coraggioso di quanto Sabo avrebbe mai potuto essere; aveva perso e si era disperato, per poi alzarsi e asciugarsi le lacrime, guardando a quello che gli era rimasto. Era cresciuto, con cicatrici impresse sia nel corpo che nel cuore, e aveva cominciato a guarire. Sabo, invece, aveva passato gli ultimi due anni nell’autocommiserazione e nei sensi di colpa, senza riuscire a chiudere nemmeno una delle ferite che ogni ricordo riemerso gli infliggeva. Aveva sempre perso contro la forza di Ace, e ora aveva perso anche contro quella di Rufy. Alla fine, nonostante si potesse definire il fratello maggiore, si era rivelato il più debole tra loro.
Quando Rufy riprese la parola, la sua espressione aveva una maturità che Sabo non gli aveva mai visto in volto.
«Non so cosa sia successo in questi ultimi dodici anni in cui siamo stati separati, ma in qualunque caso, la morte di Ace non è stata colpa tua».
Poi, di nuovo, la sua espressione mutò ancora e un sorriso prese forma. Era diverso da quello che aveva quando era arrivato sulla collina, più tirato e allo stesso tempo dolce, con una determinazione quasi dolorosa.
«A proposito. Ho un messaggio da parte di Ace».
Furono parole talmente inaspettate che il tremore del corpo di Sabo s’interruppe come immerso in acqua ghiacciata.
«In un certo modo è buffo, sai. Sei la prima persona a cui riesco a riferirlo, e anche l’unica a cui pensavo non avrei mai potuto farlo. Sono così felice di essermi sbagliato».

 

Quando si perdeva qualcosa di importante, per alcuni, dieci anni avrebbero potuto non essere sufficienti nemmeno perché le ferite iniziassero a rimarginarsi; per altri, in due si era già in grado di stare di nuovo in piedi. A Dressrosa il tempo era parso essere messo in sospensione, così che quelle ferite fossero semplicemente dimenticate e lasciate a marcire al di sotto del visibile. Da quando era arrivato laggiù, Sabo si era chiesto se lui avesse fatto lo stesso, se in quegli anni una parte di lui non avesse mai voluto ricordare la prima infanzia, i suoi genitori e il regno di Goa, sacrificando le due persone più importanti della sua vita solo per una libertà di facciata, preferendo l’essere vuoto all’essere ferito.
«Sabo… Ace ha detto che se non fosse stato per noi, i suoi fratelli, lui non avrebbe nemmeno mai voluto vivere. Per questo non ha avuto rimpianti. Ha mantenuto la nostra promessa: ha vissuto come voleva, solcando i mari, libero».
Poteva darsi che tutto quello fosse vero: forse lui era stato troppo debole, forse era stato un codardo, forse aveva davvero preferito chiudere gli occhi e restare nell’oscurità fin quando non era stato troppo tardi. E forse davvero niente di tutto quello era stata colpa sua, forse davvero in ogni caso lui non avrebbe potuto cambiare nulla. Alla fine, per quanto facesse male, per quanto fosse terribile, erano tutte domande che non avrebbero mai avuto una risposta. Doveva solo accettarlo. Perché, qualunque cosa avrebbe mai trovato, niente – assolutamente niente – avrebbe mai potuto cambiare quell’unica, inattaccabile verità al centro di tutto.
«Ace ti ringrazia, Sabo. Ti ringrazia per averlo amato».

 

A Dressrosa si avvicinava l’alba di un nuovo giorno. Dopo dieci anni, finalmente quel regno immerso nel vuoto splendore della menzogna avrebbe avuto modo di riemergere. Nessuno di loro poteva tornare indietro. Non avevano il potere di cambiare il passato. Quelle ferite non sarebbero mai scomparse; fuori e dentro avrebbero portato sempre le cicatrici di ciò che avevano perso. Ma potevano andare avanti. Ci sarebbe voluto tempo, forse. Tuttavia, nel modo giusto, il tempo era tutto ciò che serviva.
Sulla collina di fiori, quella notte, insieme al mormorio del vento, l’unico suono udibile era il pianto liberatore di chi, ancora una volta, era stato salvato.
Il corvo, ancora immobile sul tetto della vecchia casa di Kyros, cominciò a gracchiare con voce acuta, come se stesse piangendo anche lui.

 

 

 

Il risveglio era la parte più bella e difficile dopo una battaglia. Con il nuovo giorno a illuminare il regno, Dressrosa si preparava ad affrontare la sfida più grande. Dieci anni potevano essere lunghi una vita o rimanere sospesi come se non fossero mai esistiti, ma il tempo passava che loro se ne accorgessero o meno e cose preziose venivano perse in quel vuoto nascosto. Erano stati bruciati per la seconda volta e ridotti in cenere, ma ora potevano vederla, la verità dietro quel falso costrutto.
Il corvo era diventato più grande del normale, talmente tanto che Sabo poteva starsene seduto sul suo dorso mentre si allontanava in volo da quel regno. Il vento quel mattino sembrava più fresco, l’aria più pulita. Sabo inspirò profondamente e puntò lo sguardo all’orizzonte, assaporando davvero, per la prima volta nella sua vita, la libertà. In dodici anni, non si era mai sentito così leggero.

 

 

 

 

Note: che cosa sarebbe successo se Rufy fosse stato sveglio alla fine di Dressrosa? È questa la domanda da cui è scaturita questa storia, che in seguito ha preso altre strade inaspettate. Per cominciare, ho modificato anche altri aspetti, come il fatto che siano tutti addormentati tranne Rufy e che Sabo porti della carne oltre all’alcool. Inoltre, all’emozionante faccia a faccia dei due fratelli c’è uno spettatore inaspettato perfino dalla sottoscritta, ovvero il comandate dell’Armata Rivoluzionaria del Nord, Karasu, che in effetti appare alla fine di Dressrosa per trasportare via Sabo in volo, e che nella mia storia è già arrivato nel regno e segue Sabo in modo da essere pronto a riportarlo al quartier generale. Che dire di questa storia? Quello che si percepisce abbastanza chiaramente nel manga e nell’anime è che, a differenza di Rufy, Sabo non sia ancora riuscito a superare né la perdita della memoria né la morte di Ace, e che cominci a farlo solo dopo aver trovato il coraggio di affrontare faccia a faccia e a cuore aperto Rufy, e dopo che quest’ultimo gli riferisce il messaggio di Ace – che era rivolto anche a Sabo, anche se Ace non sapeva fosse vivo e che quindi Rufy potesse portarglielo. E credo anche che Oda abbia scelto la Saga perfetta per reintrodurre Sabo con la sua storia, perché in un certo senso lui e Dressrosa condividono molte similitudini nelle loro tragedie, similitudini che ho cercato di trasmettere in questa one-shot. Spero di esserci riuscita. È il mio approdo sul fandom e, mi auguro, non l’ultimo.

 

   
 
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