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Autore: Iaiasdream    22/08/2019    1 recensioni
Davide Campana è un nobile proprietario terriero, dal carattere arrogante ma ambizioso. Deluso dalla sua vita che lo ha messo a dura prova dall’età di diciotto anni, passa le sue nottate fra bordelli, pretendendo da ogni donna solo piacere fisico, fino a quando non incontrerà Rebecca, una semplice cameriera che nasconde un amaro passato. Quando le loro vite si incrociano, nessuno dei due sa che l’una lavora per l’altro, e per uno strano scherzo del destino, la loro relazione verrà inghiottita da una turbinosa odissea.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 4

 
 
Anche quel giorno il lavoro finì all’imbrunir del cielo.
Rebecca ringraziò Iddio di averle dato forza per l’intera giornata, ma la stanchezza si fece presto sentire e la giovane raggiunse la sua stanza il più velocemente possibile per andarsene a dormire.
Prima di aprire la porta, però, esitò, speranzosa di trovare Marina all’interno, ma della fulva nemmeno l’ombra.
La giovane cuoca si passò una mano fra i capelli togliendosi la cuffietta della divisa e sospirando amareggiata.
Andò ad aprire l’armadio e, solo quando si vide cadere addosso un ombrello nero, i suoi pensieri l’allontanarono dall’amica e si concentrarono su quell’oggetto.
Un ricordo vivido prese strada nella sua mente e due occhi grigio azzurri sorridenti e penetranti si delinearono.
“Me lo darete la prossima volta che ci rincontreremo!” aveva detto quel giovane sconosciuto, dall’aria nobile e gentile.
<< Domenica… >> si ritrovò a sibilare Rebecca col sorriso sulle labbra. Rimise a posto l’ombrello si cambiò d’abito e finalmente poté stendersi sul letto. Volse lo sguardo verso il comodino per guardare l’orario; l’orologio segnava le ventidue passate, ripensò a Marina e alla corriera che effettuava l’ultima fermata alle ventuno.
Che fine aveva fatto quella ragazza? Perché non tornava? E se le fosse accaduto qualcosa? Nonostante le mille domande, non ebbe la forza di alzarsi e, vinta dalla stanchezza, si abbandonò al sonno fatto di incubi che l’accompagnarono fino al ritorno del mattino. Si destò di soprassalto, ansimate e con la fronte e il petto imperlati di sudore. La prima cosa che fece fu voltarsi dal lato opposto del letto e, con suo sollievo, vi trovò Marina addormentata, coperta fin sopra la testa; di lei scorgevano soltanto i riccioli rossi, ribelli.
Rebecca si alzò contenta, dimentica ormai degli strani incubi di cui non ricordava le fattezze. La chiamò, come risposta ricevette soltanto dei mormorii incomprensibili.
<< Andiamo, non fare storie! >> insistette tirandole via le coltri.
La cameriera a quel punto si alzò senza dire una parola e in tal maniera si vestì. Rebecca la osservò a lungo accorgendosi che aveva un’aria avvilita: gli occhi erano gonfi e rossi, pareva avesse pianto a lungo.
Che sia stanchezza? Si chiese la giovane, ma non fece domande e insieme si recarono nelle cucine.
Le altre cameriere non appena le videro entrare, corsero contro la fulva chiedendole come si sentisse, ma lei non diede soddisfazione e, congedandole con un secco “meglio”, si recò al suo posto di lavoro, lasciandole allibite dal suo comportamento, ma più di tutte, Rebecca fu l’unica ad intuire che c’era qualcosa che non quadrava e il pensiero che fosse accaduto qualcosa non la lasciò in pace.
Durante il lavoro, Marina fece molti errori. All’inizio Agnese tacque, ma alla fine perse la pazienza.
<< Marina! Ma che cosa ti prende? Oggi stai combinando danni uno dietro l’altro >> esclamò attirando l’attenzione dei presenti.
Marina non rispose, non chiese neanche scusa, fatto molto strano agli occhi di Rebecca che d’istinto si fece avanti per difenderla.
<< Scusatela Agnese, ma non sta ancora bene. >>
<< Che se ne vada di nuovo nella sua stanza, allora! >>
<< L’accompagno subito >> rispose Rebecca chinando la testa, poi, avvicinatasi all’amica, l’afferrò per le spalle e la condusse fuori dalla cucina per raggiungere la loro camera.
Quando vi entrarono, Marina si svincolò bruscamente da quella presa.
<< Si può sapere che diavolo ti prende? Smettila con questa pagliacciata! >> esclamò Rebecca ormai spazientita << Avevi detto che era solo per mercoledì la tua fasulla malattia, non dirmi che vi siete dati appuntamento anche per oggi? Bada, Marina io… >>
<< Non c’è nessun appuntamento >> sussurrò la fulva indurendo la voce.
<< Cosa? E allora perché ti comporti così? >>
<< Vuoi lasciarmi in pace? >> urlò la ragazza coprendosi il volto con le mani.
<< Marina, che significa? >> chiese Rebecca insospettita << Che cosa è successo ieri? >>
<< Niente! >> esclamò l’altra, piangendo e liberandosi il volto << Non è successo niente, ieri non ci fu nessun appuntamento! >> continuò alzandosi dal letto.
<< E allora perché ritornasti tardi? >>
<< Feci una lunga passeggiata! Sei contenta ora? Non mi sono presentata a quell’appuntamento! Sei soddisfatta adesso?! >> le urlò in faccia.
<< Cosa? È per questo che stai piangendo? Perché non ti sei presentata all’appuntamento? >> chiese la giovane dubbiosa.
Marina non rispose.
<< Piangi perché non sei andata dall’amore della tua vita? E pensi anche che io ne sia soddisfatta? Vuoi scaricare le tue presunte scelte sbagliate su di me! Ma chi sei? Non sei in grado neanche di decidere della tua vita e ti aggrappi alle decisioni altrui, dando la colpa delle tue stupidaggini! Chi sei?! >>.
A quel grido, Marina trasalì e Rebecca uscì sbattendo la porta. Si sentiva furiosa da quel comportamento.
Che fine aveva fatto la Marina che rideva sempre, la Marina che stanca di lavorare si lamentava di cose stupide? In quel momento l’aveva vista gelosa, invidiosa, imbrogliona ed era anche diventata meschina.
Arrivata in cucina continuò il suo lavoro fino a tarda sera. Quando ritornò nella sua stanza, trovò l’amica in camicia da notte seduta accanto alla finestra mentre sorreggeva con le braccia le gambe portate al petto. La fissò per un po’, poi toltasi il grembiule cercò di addolcire la voce e disse: << Ho chiesto ad Agnese di darti qualche giorno di riposo, ho detto che dovevi riprenderti >>
Marina non rispose e Rebecca continuò mentre si spogliava << Ha detto che potrai tornare a lavorare lunedì, sempre se ti sentirai meglio. >>.
La fulva tacque ancora. Rebecca continuò le sue faccende e messasi la camicia da notte si avvicinò alla ragazza toccandole la spalla, la sentì tremare, ma vide che non si volse, allora le disse << Marina, scusami per le parole di oggi. Ero arrabbiata >>
Silenzio.
Si distaccò da lei e si avvicinò al letto << E va bene lo ammetto >> esclamò << un po’ sono contenta della tua scelta, ma non giudicarmi male, lo sono perché non voglio che ti succeda nulla, non voglio vederti soffrire. Tu sei la migliore amica che abbia mai avuto in tutta la mia esistenza >>. A quelle parole, Marina mise per terra i piedi e si voltò verso la cuoca. Aveva negli occhi qualcosa di strano, di malinconico, qualcosa che Rebecca non aveva mai visto prima. Sorrideva, e nel sorridere disse con voce rauca: << Ti ringrazio Rebecca, amica mia >>. Si alzò dalla sedia e le corse incontro abbracciandola e, piangendo, continuò << Perdonami tu, sono stata sciocca, mi sono comportata come una bambina stupida. Hai ragione tu, sono un’irresponsabile. Perdonami per le cose che ti ho detto! >>.
Rebecca la rassicurò ricambiando l’abbraccio e accarezzandole la folta chioma rossa, e mentre lo faceva volse lo sguardo verso la finestra dove un cielo notturno esibiva le stelle luminose.
Il giorno dopo, Rebecca si alzò prima del sorgere del sole, perché aveva il turno di pulire la stanza, mentre Marina dormiva profondamente, cercò di non disturbarla. Quando terminò, prese un cesto e lo riempì di roba sporca, raccogliendo anche le cose dell’amica, poi si recò in lavanderia. Iniziò col lavare la roba intima e mentre strofinava, si accorse che il cavallo delle mutande dell’amica aveva delle macchie di sangue. Le guardò attentamente.
Ma come? Si disse. Non aveva avuto il suo periodo una settimana fa? Fece spallucce indifferente e continuò a lavare. Quando finì, i raggi del sole avevano ormai invaso l’intero paesaggio, ritornò in camera e vide con sua sorpresa che la cameriera si era svegliata e aveva indossato la divisa.
<< Che fai? >> le chiese incuriosita.
<< Torno a lavorare >> rispose lei indifferente.
<< Rimani a letto. Agnese ti ha permesso di non lavorare fino a domenica >>
<< Non ce la faccio a stare senza far niente, voglio muovermi >>
<< Fa’ come vuoi. Allora, andiamo? >>
<< Sì >>.
Andarono in cucina e si misero a lavoro.
Durante il pomeriggio, alcune cameriere uscirono nel giardino per ritirare la biancheria che avevano steso. Marina andò a sedersi su una panchina e a lei si avvicinò il figlio del custode che le sedette di fianco. Rebecca si voltò e li fissò sorridendo, ma qualcosa la fece turbare, qualcosa che aveva a che fare con il comportamento dell’amica la quale, dopo che il giovane le si era seduto accanto, si allontanò intimidita; poi vide che il ragazzo si chinò verso di lei, chiedendo che cosa avesse, toccandole il braccio e la ragazza si divincolò bruscamente gridandogli di lasciarla stare e iniziando a picchiarlo. Le altre cameriere si voltarono, ma non si mossero. Rebecca a quel punto fece cadere il cesto e corse verso di lei afferrandola dalle spalle per allontanarla dal mal capitato.
<< Marina, smettila! Ma che cosa ti prende?! >> urlava cercando di farla stare ferma. Quando ci riuscì vide che il giovane sanguinava dal naso.
<< Quella è pazza! >> esclamò il figlio del custode portandosi le dita al naso e allontanandosi dalle due ragazze << è pazza! >> ripeté spaventato, poi si alzò e scappò via.
<< Marina! Vuoi calmarti? >> esclamò Rebecca scuotendola e girandola verso di sé << Che diavolo ti è preso? >>
<< Hai visto anche tu? Mi ha allungato le mani! >> affermò tremante.
<< Ti ha soltanto toccato il braccio >>.
Marina esitò, balbettò qualcosa, poi abbassò lo sguardo tremando. Rebecca si accorse che aveva la fronte madida.
<< Ah, io pensavo… >> mormorò la fulva, smarrita << scusami, ho pensato male >> disse sorridendo << è che quel ragazzo alle volte è così appiccicoso >> continuò allontanandosi.
La giovane cuoca fissò tutti i suoi movimenti, poi fece spallucce e andò a riprendere il cesto che aveva fatto cadere. Non aveva più dubbi: Qualcosa era accaduto quel mercoledì. A quel punto non credette più al mancato appuntamento. Non poteva essersela presa in quella maniera, per aver dato buca a quel ragazzo.
<< Valla a capire… >> sibilò sospirando profondamente.
Due giorni dopo, la domenica fece la sua entrata con un sole luminoso che, però, riscaldava di poco l’aria.
Rebecca si stava preparando per uscire, aveva indossato il suo solito abito rosso scuro e si stava aggiustando i capelli davanti allo specchio. Alle volte volgeva lo sguardo verso Marina la quale dormiva con le coperte tirate fino al capo.
La chiamò dolcemente << Che fai? Non ti alzi? >>.
Marina non rispose.
 << Non dirmi che vuoi stare tutta la giornata nel letto? >> continuò la giovane << Su alzati! >>. Sentì mugugnare qualcosa, poi vide le coperte muoversi e da loro sbucare prima un braccio che le scansò per far uscire una testa rossa arruffata. << Non vuoi venire con me in paese? >> riprese Rebecca.
<< Neanche per sogno >> ribatté Marina con voce assonnata.
<< Perché? >>
<< Non ne ho assolutamente voglia >>
<< Ma come? >> ribatté la cuoca sorridendo << Non vuoi più trovarti un marito? >>.
Marina non rispose e non le volse neanche lo sguardo.
Dal canto suo, Rebecca non chiese più nulla, continuò ad aggiustarsi i capelli e, quando ebbe finito, sì alzò, andò a prendere dall’armadio l’ombrello, rimase a fissarlo per qualche istante, poi voltatasi verso l’amica le chiese cosa avesse intenzione di fare, ma quest’ultima, invece di rispondere si tirò le coperte fin sopra la testa e si girò dall’altro lato. A quel punto, non volle più insistere e se ne andò.
Nel corridoio trovò Gina che, tutte le domeniche, usciva per incontrare il suo fidanzato. Si unì a lei e andarono insieme a prendere la corriera.
Quando furono in paese, si divisero raccomandandosi di giungere in tempo per l’ultima fermata.
Con l’ombrello nero fra le mani, Rebecca prese a camminare lungo il viale che portava alla piazzetta. Cosa poteva fare? Dove poteva andare? Si era recata in paese solo per restituire l’ombrello a quel giovane tanto gentile che aveva incontrato la domenica precedente. Non lo conosceva, non sapeva neanche il suo nome. Sì, si erano detti che si sarebbero rincontrati la domenica successiva, ma dove? Erano solo le dieci e mezza e in lontananza sentì suonare le campane della Cattedrale, decise quindi di andare in Chiesa e di pensare sul da farsi alla fine della Messa.
 
***
 
Era quasi l’ora di pranzo, quando Davide uscì dal suo studio, aveva degli affari da concludere e non vedeva l’ora di recarsi in paese per andare al circolo e incontrare il marchese Castelli che, come aveva detto Gabriele, si presentava lì solo di domenica. E lui aveva deciso di incontrarlo per convincerlo a diventare suo acquirente. Non era preoccupato, benché sapeva di possedere l’abilità di riuscire nel suo intento.
Andò in sala da pranzo e per sua fortuna seppe dalla madre che suo zio era tornato a casa sua per motivi inspiegabili. Davide non fece domande, non gli importava, era contento e sperò che quell’uomo decidesse di non far più ritorno in casa Campana.
Pranzò lieto e sollevato da quella notizia e, dopo che ebbe finito, si congedò dicendo che si recava in paese per i soliti affari.
Quando arrivò al circolo si accorse che la porta era chiusa, per un attimo pensò che non ci fosse nessuno. Decise comunque di bussare. Dopo qualche secondo vennero ad aprire e Giuseppe, il barista, fece capolino.
<< Ah, signor Campana… >>
<< Buon pomeriggio Giuseppe, potrei entrare? >>
<< Ma, veramente… >> balbettò il giovane indeciso.
<< C’è qualche problema? >>
<< Ecco. La domenica il circolo non è aperto al pubblico… >>
<< Lo so >> rispose Davide secco << però so anche che la domenica fate entrare un certo marchese Castelli. Non vorrete farmi capire che un cliente saltuario abbia più elogi di uno assiduo? >>
<< No, no signore. Non voglio dire questo >> rispose il barista quasi spaventato << Prego entrate >> continuò facendo strada.
Il giovane lo ringraziò ed entrò recandosi nella sala fumatori dove vide in lontananza, seduto su una poltrona accanto al camino, un uomo sulla cinquantina, affascinante sbarbato che leggeva il giornale e teneva fra le dita un sigaro.
Senza far rumore, Davide si avvicinò a lui e gli sedette di fronte. L’uomo se ne accorse e lo guardò torvo, poi continuò a leggere il giornale.
Il giovane tacque aspettando una sua reazione.
L’uomo sbuffando piegò la rivista e l’appoggiò sul tavolino, afferrando un bicchiere contenente una semplice bevanda che Davide notò subito.
<< Pensavo che la domenica il circolo fosse chiuso al pubblico >> mormorò guardando il cameriere che abbassò lo sguardo non sapendo cosa dire.
<< Ma io non sono il pubblico >> ribatté Davide sorridendo.
Il marchese gli volse lo sguardo incuriosito e venne catturato dal colore di quegli occhi. << Permette? >> continuò Davide allungando la mano. << Davide Campana >>.
Castelli, prima di concedere la sua, fissò il giovane << Campana? Ho già sentito questo nome. Siete un nobile? >>
<< Non blasonato. Sono il proprietario di Selva Reale >> rispose Davide lasciando esterrefatto il marchese.
<< Voi siete quel famoso ragazzo che è arrivato da solo in cima alla piramide del successo? Cosa può fare un umile marchese come me, per un giovane così altruista? >> chiese quasi beffardo.
<< Voi mi elogiate troppo marchese >> rispose lui con lo stesso tono << Non ho alcuna intenzione di tediarvi. So che venite qui la domenica per non incontrare nessuno >>
<< Più che nessuno, non voglio incontrare scocciatori >>
<< Vi posso assicurare che non sono uno di quelli. Le mie intenzioni valgono ben altro di una seccatura… >>
Il marchese lo fissò incuriosito << Che cosa volete? >>
<< Sarò chiaro con voi >> rispose il giovane recandosi verso il bar e prendendo un bicchiere di whisky e uno di succo di limone, e porse quest’ultimo all’uomo che accettò guardandolo sbigottito.
<< Toglietemi una curiosità… >> chiese Castelli.
<< Dite >> rispose secco Davide.
Il marchese gli allungò il bicchiere del succo di limone e guardò il giovane << Non mi avete chiesto che bevanda preferisco, chi vi ha dato tanta sicurezza nel porgermi questo bicchiere di succo di limone? >>
<< L’odore >> rispose Davide senza esitare.
<< Come? >> chiese ancora il marchese più sbigottito di prima.
<< Quando sono entrato, oltre all’odore di fumo, c’era anche quello di limoni, e ho visto che il barista ne ha un cesto pieno. Nel club ci siete soltanto voi… >> rispose Davide divertito.
Castelli rimase a fissarlo ammirato da tanta intuizione << È la mia bevanda preferita >> si avvicinò il bicchiere e bevve qualche sorso.
Davide riprese: << Avete mai visto Selva Reale? >>
<< Vi dirò… in vita mia, le terre sono state sempre la mia fissazione, purtroppo non ho mai avuto il piacere di vedere quella famosa e bellissima terra. So che è molto vasta e rigogliosa >>
<< Bene > sorrise Davide << Io potrò darvi qualcosa di più del piacere di vederla >>.
Il marchese Castelli rimase in zittito e allo stesso tempo incuriosito dalle capacità e dalle intenzioni di quel giovine.
 
***
 
Era ormai pomeriggio inoltrato, e Rebecca si era rassegnata.
Aveva assistito alla Messa, poi era ritornata alla fermata della corriera, aveva aspettato per un po’, poi aveva deciso di comprare qualcosa da mangiare e si era fermata alla fontana della villetta accanto alla strada della fermata. Aveva aspettato ore e ne erano passate due dall’attesa, si sentiva stanca e infreddolita, guardò l’ombrello e sorrise << Che stupida >> si disse << che cosa se ne fa un ricco di un semplice ombrello? Ma poi, perché ci tieni tanto ad aspettarlo? >>. Fece spallucce, si alzò, si guardò per l’ultima volta attorno e poi iniziò a incamminarsi, ma, mentre lo faceva, si sentì catturare la mano da una presa docile, si girò trasalendo e incrociò due occhi grigio azzurri che le sorrisero, luminosi.
<< Siete venuta? >> disse una calda voce << Mi avete aspettato? >>
<< Io… >> balbettò la ragazza tremante, poi distolse lo sguardo da quegli occhi e guardò l’ombrello << dovevo restituirvelo >> disse porgendoglielo. Il ragazzo sorrise, lo prese e si avvicinò a lei prendendole la mano. La giovane arrossì sentendosi smarrita.
<< È da molto che mi aspettate? >>
<< No, no… >>
<< Siete sicura? Siete così fredda >>
Rebecca allontanò la mano da quella del ragazzo e rispose balbettando << È che, sono venuta da questa mattina in paese per… sbrigare delle faccende >> mentì.
<< Spero niente di seccante >> disse il giovane.
Lei scosse il capo sorridendo.
<< Avete pranzato? >> le chiese ancora
<< Sì, poi ho visto che non venivate e ho deciso di ritornare a casa >>
<< Allora perdonatemi se vi ho fatta aspettare al freddo. Se volete posso offrirvi qualcosa, per sdebitarmi >>
<< Oh, no. Non preoccupatevi. Io dovrei andare, tra un po’ passa la corriera >>
<< Oh, ma certo >> disse Davide dispiaciuto << Se non vi do fastidio posso accompagnarvi alla fermata? >> chiese speranzoso.
Rebecca esitò nel rispondere, ma rassicurata da quegli occhi, accettò volentieri. Si incamminarono verso la fermata uno poco distante dall’altra. La giovane era molto imbarazzata e allo stesso tempo contenta di averlo vicino e non sapeva spiegarsi il perché.
Davide, alle volte, le lanciava occhiate discrete e curiose, cercando di capire cosa stesse pensando.
Si fermarono e Rebecca si sentì spinta da un irrefrenabile voglia di guardarlo negli occhi, ma senza motivo non avrebbe potuto farlo, sapendo che il giovane ne avrebbe chiesto la ragione, così si voltò e gli mormorò << Sono davvero dispiaciuta >>.
Il nobile offrì il suo sguardo incuriosito da quelle parole.
<< E di cosa? >>
<< Mi avete accompagnato fin qui e non vi ho neanche ringraziato >>
<< Non preoccupatevi, sono io che devo ringraziarvi per l’ombrello. Non avrei mai immaginato che, a distanza di una settimana, vi sareste ricordata di me >>
A quelle parole, i pensieri di Rebecca vagarono per la mente dandole la consapevolezza che in tutti quei giorni aveva vissuto col desiderio di rincontrarlo. E con un guizzo di imbarazzo, rispose: << Anche voi vi siete ricordato di me >>
<< Be’… >> continuò il ragazzo << In fin dei conti ci eravamo detti che ci saremmo incontrati >>
<< Già >> rispose Rebecca sorridendo e arrossendo.
<< Soltanto una cosa vorrei da voi >> riprese il giovane serio. Rebecca lo guardò spaventata. << Se mi è permesso, posso sapere il vostro nome? >>
<< Il mio nome? >> balbettò la ragazza sollevata.
<< Sempre se non vi è di disturbo >>
<< Certo che no >> sorrise la giovane << io mi chiamo Rebecca C… >> si bloccò fissando il vuoto. Il nobile la guardò incuriosito. << Soltanto Rebecca? >>
<< S- sì >> rispose lei interdetta.
<< Piacere Rebecca, io sono Davide, potete chiamarmi anche voi soltanto Davide >> disse sorridendo e allungando la mano.
La giovane gliela strinse ricambiando il sorriso.
Da lontano si avvicinava la corriera e Rebecca si preparò distanziandosi dal ragazzo << Eccola che arriva >> mormorò quasi dispiaciuta.
Davide rimase a guardarla a lungo. Il cuore gli batteva forte e si sentì qualcosa che premeva per uscire dalla sua bocca.
Quando la corriera si fu fermata e Rebecca si era preparata per salire, lui le si avvicinò.
<< Rebecca! >> esclamò.
La cuoca trasalì e si voltò, aveva il viso imporporato.
<< Sì? >>
<< Prendete l’ombrello >> disse porgendoglielo
<< Ma perché? Non ne ho bisogno >>
<< Io sì! >> rispose Davide senza esitare << prendetelo, sarà un modo come un altro per incontrarci >>.
Rebecca esitò, aveva chiaro nella mente cosa fare, ma aveva anche paura di farlo, e non capiva perché, ma quel giovane le dava sicurezza e, spinta da quella, prese l’ombrello e rispose sorridendo << A domenica >>
<< A domenica >> ripeté Davide salutandola e guardandola scomparire con la corriera.
Quando il mezzo arrivò a destinazione, Ester non se ne rese conto, fu il cocchiere ad avvisarla. La giovane lo ringraziò e scese con il sorriso sulle labbra, sorriso che dopo qualche secondo si dissolse e diede il posto alla curiosità e alla preoccupazione. Davanti al cancelletto della casa dove lei prestava servizio, c’era una carrozza che le sembrò famigliare e su di essa vide il dottore Valli intento ad andarsene, corse verso di lui e lo fermò in tempo.
<< Dottore? Dottor Valli? >>
<< Oh, Rebecca, sei tu? >>
<< Dottore che cosa ci fate qui? È successo qualcosa? >>
<< Una cameriera ha avuto un incidente, e sono venuto di corsa >>
<< Una cameriera? >> chiese Rebecca incuriosita << E chi? >>
<< Una certa Marina Agonigi >> rispose il dottore. Rebecca trasalì e senza salutare corse dentro senza badare ai richiami dell’uomo. In cucina trovò alcune cameriere e tra queste intravide Anna che le corse in contro non appena la vide entrare.
<< Rebecca, finalmente sei tornata! >> esclamò disperata.
<< Che cosa è successo, ho incontrato il dottore e mi ha detto che… >>
<< Marina! Voleva uccidersi! >>
<< Cosa? Ma che stai dicendo? >> chiese incredula.
<< È la verità! >> rispose una cameriera avvicinandosi a loro due << Voleva pulire la frutta, Agnese le aveva detto che oggi era il suo giorno libero e che non doveva lavorare. Lei aveva insistito e quando Agnese è uscita dalla cucina, ha preso il coltello e si è tagliata i polsi! >>
<< Oh, mio Dio! >> esclamò Rebecca portandosi una mano alla bocca e facendo cadere involontariamente l’ombrello.
<< Per fortuna passavo di lì… >> riprese Anna piangendo spaventata << l’ho vista per terra con i polsi sanguinanti… >> si coprì il volto atterrita << Oh, Dio mio che spavento ho avuto >>
<< Dov’è adesso? >> chiese Rebecca avvilita.
<< Agnese l’ha portata nell’infermeria >>
<< Vado da lei >>
<< Vengo con te >> disse Anna seguendola, nel corridoio incontrarono Agnese con il volto stanco.
<< Agnese… >>
<< Rebecca, hai saputo? >>
<< Come sta? >> chiese la ragazza sibilando.
La capo cuoca esitò nel rispondere poi disse sospirando << Dobbiamo portarla in ospedale >>
<< Perché? >> chiese Rebecca allarmata.
<< Ha perso molto sangue >> rispose l’altra tutto d’un fiato.
Rebecca riprese a camminare intenta a raggiungere l’infermeria.
Agnese l’afferrò per un braccio fermandola. << Dove stai andando? >>
<< Da lei, voglio vederla! >> rispose Rebecca con le lacrime che le sgorgavano dagli occhi come fontane.
<< No. Tu starai con me >> poi rivolgendosi ad Anna disse << E anche tu. Dobbiamo fare in modo che questa storia non arrivi alle orecchie dei padroni. Dobbiamo far tacere le cameriere. Io intanto avverto il dottore per portarla in ospedale >>.
Rebecca non rispose. Mogia, si recò con Anna nella cucina.
Le cameriere promisero di non dire niente, e dopo un po’ arrivò il dottor Valli insieme ad un infermiere per prendere Marina.
Rebecca si allontanò dalle sue compagne e si recò nel corridoio principale aspettando che portassero la ferita, quando vide in lontananza la barella, fece qualche passo per avvicinarsi a loro. Si accorse che tremava e sentì il suo viso freddo e bagnato. Le lacrime si fecero più intense quando vide la sua amica distesa con il viso pallido e gli occhi lividi, aveva i capelli sparsi sul cuscino, sembrava morta. Quando si accorse di averla proprio di fronte fece cenno al dottore di fermarsi e si avvicinò pian piano alla giovane, per un momento guardò i polsi fasciati, le accarezzò dolcemente la mano poi voltò lo sguardo verso il viso avvilito e con voce rauca la chiamò.
Marina non sentì, allora la chiamò di nuovo. A quel punto la fulva aprì lentamente gli occhi e li volse verso l’amica, la guardò con un sorriso malinconico e una lacrima le scivolò lungo la guancia.
<< Reb… >> sibilò sforzandosi di parlare.
<< Marina, ma che hai fatto? >> chiese la giovane cuoca fra i singhiozzi.
<< Io… >> si sforzò ancora Marina << adesso non… >>
Il dottore le interruppe spiegando che dovevano andare, e mentre riprendevano il cammino, Ester li seguì stando accanto all’amica che cercava di dirle qualcosa.
<< Cosa c’è? >> le chiese << Andrà tutto bene Marina, non preoccuparti >>.
La fulva scosse pian piano la testa piangendo.
<< No Rebecca >> balbettò << adesso non mi sposerà più nessuno >> aggiunse tutto d’un fiato mentre veniva messa sulla carrozza.
A quelle parole Rebecca trasalì e rimase ferma come una statua guardando la scura carrozza che si allontanava.
Quell’ultima frase le rimbombò nella mente.
Che cosa voleva dire? Che significava che non l’avrebbe sposata più nessuno? Poi come se un fulmine l’avesse folgorata i ricordi si fecero più chiari, facendole tornare alla mente l'intimo sporco di sangue. In quel momento Rebecca comprese tutto.
<< Non è vero che non l’ha incontrato… >> si ritrovo a sibilare. << Lei è andata a quel appuntamento. L’ha fatto. >> si ripeté stringendo i pugni.

 
   
 
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