Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: summers001    23/08/2019    3 recensioni
BriennexJaime | Fix-it | Multichapter breve
Dal testo:
“Oh, cammini di nuovo.”
“Ne sembrano tutti così sorpresi.”
E rubò un sorriso da Brienne. Jaime la guardava sorridere e ne rimase incantato. Non se la ricordava sorridere. O forse sì, in una di quelle tante notti a Grande Inverno, quando aveva scoperto che la barba sul collo le faceva il solletico, così tanto da farla contorcere prima di scoppiare a ridere a crepapelle.
“Siamo abituati a pensarti morto.” Brienne rispose acida con una frecciatina, lanciata apposta perché ferisse, ma non in profondità. Dopo un lungo silenzio alzò persino gli occhi per controllarlo.
“E tu hai visto anche i morti camminare, di cosa ti stupisci?”
Brienne rise di nuovo involontariamente. Si coprì la bocca per nasconderlo, ma Jaime pareva attendere proprio quella reazione con gli occhi che non la lasciavano un secondo e la controllavano. “Smettila!” lo supplicò.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'From beginning to the end'
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Capitolo 4
 
 
Era stata una notte strana quella.

Brienne aveva sbadigliato e Jaime l’aveva cullata giù sul materasso. Il letto era piccolo, scomodo, non adatto ad una persona sana figurarsi a due. Era quello su cui Jaime aveva vissuto per mesi prima di avere le forze o la volontà di tirarsi su. Non se ne era lamentato fintanto che gli venivano consegnate lenzuola pulite, acqua per lavarsi, vino e del buon cibo con cui sfamarsi. Le molle cigolavano ad ogni movimento, qualcuna pungeva addirittura.
Si erano distesi di fianco, faccia a faccia sopra alle lenzuola. Nessuno dei due voleva perdersi niente di quella notte, non una carezza, non uno sguardo, non un sorriso. Cercavano di rimanere svegli. A volte chiudevano gli occhi per riaprirli poco dopo con un sussulto ed essere riaccolti nel mondo del dormiveglia con un bacio.

“Resta con me.” Le chiedeva Jaime a bassa voce e Brienne faceva un cenno col capo, strizzava gli occhi per cancellare il sonno e si avvicinava per sfiorargli le labbra con le sue.

Anche le sue palpebre erano pesanti. Le ciglia nere gli nascondevano gli occhi verdi, impossibili comunque da ammirare in una camera buia di notte. Tutto quello che Brienne vedeva di Jaime era quello che sentiva con la pelle: la barba ispida che grattava sotto le dita, le spalle larghe coperte da una camicia sottile, il petto ampio e caldo che la riscaldava, i muscoli tesi, forti di nuovo, che nascondevano le ossa.
“Hai freddo?” le chiese Jaime. Le avvolse un braccio attorno alle spalle, le sfregò la schiena e la sentì accoccolarsi a lui quasi fosse una bambina. Le lasciò un bacio nei capelli e sentì l’odore del vento.

“No.” Rispose piano Brienne. Non s’era accorta di aver cominciato a tremare, né dei lunghi brividi che le percorrevano la schiena.

Jaime non ascoltò, le sorrise perché ormai sorrideva a qualunque cosa lei gli dicesse. Sorrideva per la sua ostinatezza, perché voleva dimostrare ancora una volta di non aver bisogno di niente. Sorrideva per la timidezza con cui gli dimostrava di esser donna ogni volta, davanti al suo corpo nudo e alla sua anima nuda. Sorrideva perché tremava, ma era troppo dura per chiedere una coperta.
Si mise a sedere, recuperò un lenzuolo piegato da sopra una sedia lì vicino e le tornò affianco coprendo entrambi. Quel gesto rientrava tra i tanti compiti che non potevano essere svolti con l’uso di una mano soltanto. Gli toccò allungare meglio il tessuto, tirarglielo su fino al collo e poi risistemarsi al suo posto su di una metà già minuscola del materasso. Si ricordò di una notte simile, passata sotto le pellicce a Grande Inverno. Allora era stata complice la passione, i sospiri, i gemiti a riscaldarli ed a far evaporare quel velo di impaccio ed esitazione. Adesso non gli rimaneva altro che il coraggio e l’incertezza del futuro ad aiutarlo.

“Sei bella.” Trovò la forza di dire a voce bassa stringendola nel lenzuolo.

Brienne abbassò gli occhi e piegò appena il capo. La povera luce della luna le faceva apparire la pelle d’alabastro, imporporata all’istante da un color rubino che quasi le cancellava le lentiggini che le costellavano il naso e le guance. “Ti avevo detto di non prendermi in giro.” Gli rispose ancora nascosta nello spazio caldo che li divideva.

“Ed io non te l’ho promesso,” Scherzò Jaime “ma sono serio.” Aggiunse e le pettinò una ciocca di capelli ribelli dietro all’orecchio.
Era vero, la trovava bella. Bella da morire. Non sapeva dire se fosse migliorata con gli anni, se lo fosse sempre stata e lui un cieco a non vederla. Il suo corpo era quanto di più femminile avesse mai visto: i fianchi larghi, la vita stretta, le gambe lunghe. Non stonavano affatto le spalle larghe, che anzi la bilanciavano. Né tanto meno le braccia muscolose e leggermente asimmetriche per il peso della spada. Era un’amazzone, forte tanto dentro quanto fuori, con due gemme blu al posto degli occhi ad adonarla.
“Non mi credi?”

“No.” Rispose Brienne e scosse il capo come a rimarcare ancora di più la sua perplessità. Sorrideva anche lei mentre gli parlava, forse perché lui era contagioso, i suoi umori contagiavano gli altri come una malattia. Si strinse nelle spalle e con una mano fermò il lenzuolo attorcigliandoselo sotto al collo, coprendosi completamente. Sotto quel leggero tessuto intanto l’unica mano di Jaime vagabondava dietro la sua schiena con un leggero tocco delle dita, faceva su e giù ed intanto la cullava. Era così difficile non chiudere gli occhi, non lasciarsi andare, rimanere svegli.

“Beh,” cominciò Jaime cercando di sopprimere uno sbadiglio che gli impastò il resto del discorso “io vedo te come una donna fantastica e tu vedi me come un valoroso cavaliere. Direi che siamo pari.”

Brienne voltò gli occhi al cielo e si morse le labbra nascondendo una sincera risatina “Tu sei un cavaliere.”

“Ho detto valoroso.” La corresse lui, mettendo a nudo le proprie debolezze ed insicurezze, così come aveva fatto anche lei “Mi hai sempre visto così.” Le confessò. Non era capace di sostenere il suo sguardo mentre parlava, anche se non poteva vederla e probabilmente neanche lei. “Da Harrenhal hai smesso di vedere il vero Jaime.”

Brienne gli prese il viso tra le mani e sorrise intenerita. Si ricordò di quello che le aveva detto suo fratello Tyrion in quella puzzolente taverna qualche settimana prima. “Io lo vedo il vero Jaime ed è uno stronzo,” disse e sentì il suo sorriso con le orecchie e con le mani. “ma è anche un uomo valoroso.”

Jaime sospirò. Che sensazione calda nel petto che sentiva! Si ricordò di quando era giovane, aveva appena lasciato Castel Granito ed era stato fatto cavaliere da Ser Arthur Dayne ed allora era un eroe, un eroe dei sette regni. Era stato acclamato e finalmente qualcuno riconosceva il suo valore fuori dall’ombra di suo padre. Oppure si ricordò di quel triste e glorioso ultimo minuto con Myrcella, quando quella tenera splendida ragazza gli confessò che era felice che fosse lui suo padre. Quanto s’era sentito forte ognuna di quelle volte? Quanto si sentiva forte in quel momento, invaghito e con la stima della donna più valorosa che conoscesse in tutte le terre ad ovest?

“Dormi, Ser Brienne di Tarth.” Le disse colpito. Le posò un bacio a fior di labbra, perché non avrebbe mai saputo spiegare a parole ciò che sentiva in quel momento.

“Buona notte, Ser Jaime Lannister.” Rispose lei e chiuse finalmente gli occhi e si lasciò andare nel mondo dei sogni, pensando che qualunque cosa avesse visto non avrebbe mai potuto pareggiare la realtà.
 
 
***
 
Il mattino seguente Jaime si svegliò da solo. Ricordava bene gli impegni e gli orari che sosteneva quando era Lord Comandante, per cui non si sorprese di trovare le coperte accanto a lui vuote e fredde. Ci passò una mano stirandone le pieghe per ricordare la notte appena trascorsa. Si stiracchiò, si rifece il letto e poi considerò l’idea di rimanere a sonnecchiare ancora un altro po’, invertendo l’ordine logico delle cose. Si distese, ma tornare a dormire lo faceva sentire malato o ferito, colpa ancora una volta della rigida educazione militare che aveva ricevuto. Si tirò su all’istante, si sfregò gli occhi per combattere il sonno e si apprestò a raggiungere le grandi sale dove venivano serviti i pasti.

Il salone era ampio, aperto a chiunque desiderasse sfamarsi, un sistema architettonico che gli ricordava quello del castello di Grande Inverno. Ovvio, pensò Jaime. Ogni re che si insediava nella fortezza rossa apportava qualche cambiamento, come lo stesso Robert aveva fatto, Cercei con la sua mappa delle terre dell’ovest ed ora anche Bran, a cui spettava il pesante compito di ricostruirla dalle ceneri.
Cercò tra le tante facce qualcuna che gli sembrasse familiare. Sperava di poter trovare Podrick Payne o ser Davos, il cavaliere delle cipolle. Scrutò ogni angolo allungando il collo. I vetri decorati di verde e rosso delle finestre creavano uno strano gioco di luci che lo aiutò nell’impresa illuminando le teste.

Riconobbe solo un uomo tra i tanti sconosciuti in lontananza, che si stava intrattenendo con una donna troppo giovane per lui, bella, ben vestita, ma priva di gioielli, forse appartenente a qualche casata minore.
“Ser Bronn di…” gli fece Jaime quando lo raggiunse, suonandogli una sonora pacca dietro la schiena che voleva essere una ritorsione per l’ultima volta in cui si erano incontrati. “Altogiardino?” chiese, ironicamente sorpreso che alla fine il cavaliere fosse riuscito nell’impresa.

La dama si irrigidì. Scrutò Jaime dall’alto in basso, con la bocca aperta e gli occhi castani da cerbiatta spalancati, incantata. Poi cominciò a balbettare qualcosa che rimase incomprensibile ad entrambi i gentiluomini che le stavano di fronte. Imbarazzata, raccolse allora la gonna del vestito rosa e con un inchino si scusò e si congedò, rimuginando per tutto il cammino della pessima figura che aveva fatto in presenza del famoso bel cavaliere.

“Ser Jaime Lannister.” Salutò seccato Bronn, guardando la ragazza andare via “Quante diavolo di volte dovrò dirti di camminare almeno a dieci passi di distanza quando mi vedi con una donna?” lo ammonì deluso, mentre pensava che gli sarebbe toccato pagare qualche donna per quella sera.

Jaime gli si sedette allora di fronte, prendendo il posto di quella dama. Gli sottrasse il piatto dal tavolo e scrutò quel che vi era dentro, per poi scegliere un pezzo di formaggio e della frutta tagliata a fettine. “Il Lord di Altogiardino ha difficoltà a trovar moglie?” chiese ironico Jaime “Com’è cambiato il paese!”

“Non cercavo una moglie.” Sbuffò Bronn.

“Allora ti toglieranno Altogiardino.” Commentò il Lannister masticando, ricordandosi una delle tante lezioni che era solito impartirgli papà Twyn. Una di quelle su cui aveva più insistito a dir la verità.

Sul volto del Lord di Altogiardino comparve un ghigno cattivo. “E tu, ti stai impegnando per non farti togliere Castel Granito? O Tarth?” alluse Bronn “Con quelle occhiaie è meglio che ti sia anche divertito.” Aggiunse come se non fosse stato chiaro abbastanza.

Jaime sgranò gli occhi verdi. Non era nuovo ad inciuci e pettegolezzi di palazzo, veritieri o fasulli che fossero. Lascia che parlino, si era detto tutta la vita. Aveva sempre protetto Cercei e la sua virtù in quel modo: non facendo nulla. Non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi invece con Brienne. Negare, negare, negare? “Chiudi quella fogna!” decise alla fine impulsivamente mentre gli si arrovellava il cervello. Sempre con quella lingua lunga!
“Chiudi quella fogna, mio Lord.” Lo corresse Bronn, rimarcando la voce sulle ultime due parole, ridendo mentre Jaime andava via.
 
 
***
 
Man mano che Jaime riacquisiva forze ed abilità, come quella di camminare sopra a tutte, le giornate diventavano sempre più noiose. Aveva imparato a girare nel castello ed aveva appreso con stupore che alcune ale erano rimaste in piedi: c’era la torre dei cavalieri a cui guardò con una certa nostalgia, gli appartamenti reali, la stanza del consiglio, le cucine, la stanza dove dormiva. Eppure, come per la sala dei banchetti, anche quelle avevano qualcosa di diverso. I tessuti damascati erano scomparsi, gli spazi piccoli e privati erano stati trasformati in ampi ed aerosi, tutti i piccoli intralci come tavolini, sedie e tappeti erano stati eliminati. La fortezza rossa aveva un aspetto completamente differente da quello che era una volta. Addirittura le sue mura esterne si erano sporcate di grigia cenere, cancellando l’illusione di quel colore caldo ed acceso che aveva una volta.

Si recò allora nell’unico posto che ancora riconosceva bene, le stanze del primo cavaliere del re. Prima di suo padre, poi di suo fratello, Jaime aveva passato ore o giorni in quelle mura.
Quando aprì la porta venne accolto da un prepotente odore di carta ed inchiostro. Alla sua destra ed alla sua sinistra riposavano fogli appena scritti, probabilmente lasciati ad asciugare, distribuiti su ogni superficie piana: tavolini, sedie, scrittoi, poltrone.

“Fratellone!” esultò Tyrion non appena lo vide “Benvenuto nel mio incubo!” aggiunse e poi con le mani tastò sulla scrivania appiattendo pergamene e libri aperti uno sopra all’altro, probabilmente alla ricerca di un polverino.

Jaime si fece spazio alla scrivania, mise da parte un paio di fogli bianchi e vi si sedette di fronte. “Che incubo sarebbe?” chiese distrattamente, mettendo in rassegna tutti gli oggetti davanti a lui, deluso dal fatto di non aver trovato una brocca di vino o di semplice acqua a tenerlo occupato.  

Tyrion prese un respiro profondo, poi cominciò ad elencare, battendo ogni punto sull’ultima falange di ogni dito “I contadini chiedono più terra, i marinai più navi, i mercanti più acquirenti, i soldati più puttane ed ovviamente le Isole di Ferro più libertà.”

“Come sempre.” Rispose l’altro, per nulla avvezzo e completamente disinteressato alla politica ed alle tattiche governative.

“Già, come sempre.”

Jaime recuperò un anello dorato dalla scrivania. Lo pesò sul palmo e se lo girò attorno al pollice facendolo roteare, fino a riconoscere l’incisione di un leone, probabilmente usata per fissare la ceralacca. “E’ rimasto ancora qualcosa dei Lannister.” Considerò, stupito ed abituato all’idea che la loro casata ormai fosse morta del tutto o scomparsa, i loro averi arsi e la loro ereditò distrutta, come se con Cercei fosse stato troncato l’ultimo ramo del loro albero familiare.

Tyrion sbuffò, guardò le sue ordinanze, le sue missive, i suoi compiti e decise di prendersi una pausa. “Ci siamo ancora tu ed io.”  

Jaime abbozzò un sorriso: già, erano rimasti ancora due leoni alla deriva. “Che ne è stato di Castel Granito?” chiese poi curioso.

Tyrion rimase spiazzato. “Sai, tanti mesi passati ad Approdo del Re e mi ero completamente dimenticato di Castel Granito.” pensò a quel castello dove aveva passato l’infanzia, ormai disabitato per quel che ne sapeva. Se chiudeva gli occhi riusciva a rivedere tutta quella gente che lo abitava: i lord, i camerieri, i valletti, i cuochi, i contadini, i coppieri. Chissà che fine avevano fatto. “Non lo so.” Confessò alla fine “Dovresti andare a controllare.” Aggiunse, sperando in una parte di sé che suo fratello ci andasse davvero.

“Forse.” Replicò Jaime malinconico, lasciandosi distrarre di nuovo dalla forma del leone dalla folta criniera e dalle zanne appuntite, in cui una volta si riconosceva. Quel leone era stato per molto tempo la sua identità, poi uno scudo per il corpo ed un’armatura per l’anima e alla fine più niente. Alla fine era diventato solo un leone, solo un oggetto.

“Perché me lo chiedi?” domandò curioso Tyrion, anche se in parte già conosceva la risposta “Hai intenzione di fare il Lord e continuare la dinastia?”

Jaime sorrise, infilandosi e provandosi l’anello. “Curioso,” rispose ammirandosi la mano sinistra “oggi Bronn mi ha detto qualcosa di simile.”

“Curioso che Bronn riesca a dire qualcosa.” Concluse il più piccolo dei Lannister, imitando l’espressione imbronciata del comune amico. Attese che Jaime sorridesse e poi tornò serio. “Ancora niente?”

Il cavaliere alzò gli occhi dal suo giocattolo, studiò l’espressione di Tyrion, le sopracciglia alte ed indiscrete, fino a capire a cosa si riferisse. “Niente.” Rispose, ma nascose comunque un sorrisetto compiaciuto ricordandosi della notte appena passata.

“Ho un buon naso per queste cose.” Scherzò Tyrion, indicandoselo con il dito che puntava verso la cicatrice peculiare che portava al centro della faccia, rendendo la scena ilare ed ancor più esilarante.

“Raccapricciante.” commentò prima di cominciare a ridere.
 
***
 
Tra un inutile vagabondaggio e l’altro si fece lentamente sera.

Le serate alla nuova Approdo del Re erano musicali e giocose. Per certi versi ricordavano la corte di Re Robert, che approfittava del clima gioviale per il vino e per le prostitute. Quello che era diverso era ovviamente il comportamento del monarca.
Re Bran sedeva al centro di una lunga tavolata, circondato da tutti i suoi consiglieri, il Gran Maestro, qualche cavaliere come Ser Podrick Payne e, quando erano presenti, i suoi ospiti. Gli spazi utilizzati per la colazione durante il giorno, venivano riempiti di prelibatezze per la sera: polli arrosto, patate, pasticcio di piccione, pane fresco, frutta e verdura di stagione. Erano invitati chiunque volesse avvicinarvisi, mossa che era stata tentata per combattere la povertà di una nazione arsa al suolo e che faticava a rimettersi in piedi. Ognuno collaborava come poteva a quelle feste e la città avara si era presto trasformata in una comunità collaborativa, filantropa e liberale.

Ser Brienne era tenuta a presenziare e difendere il re qualora fosse stato necessario, rimanendo in posizione eretta a diversi passi di distanza dalla tavolata principale, punto in cui era più facile osservare chiunque entrasse dalla porta principale o uscisse da quella di servizio. Erano calcoli che anche Jaime era stato tenuto a fare e che ormai continuava a fare per forza dell’abitudine: una volta cavaliere non si smette mai di essere cavaliere ed in effetti ancora lo era.

Quando il Re le faceva cenno, Brienne lasciava la sua posizione, dandosi il cambio con alcuni suoi fidati e raggiungeva il suo posto al tavolo tra la gente. Nonostante l’armatura preferiva non isolarsi tra i pochi, ma piuttosto fare parte dei molti che aveva giurato di difendere.

Jaime le fu accanto non appena la vide unirsi agli altri commensali. “Bronn lo sa.” Le disse sedendolesi accanto, bisbigliandole come se stesse parlando di strategie militari.

Si aspettava di trovarla allarmata, infastidita o magari arrossita. Si aspettava che avesse paura di quello che avrebbe detto la gente, della sua preziosa nuova reputazione bianca e dorata sporcata. Invece Brienne aggrottò le sopracciglia incuriosita da quel suo modo di fare. “Tanta gente lo sa.” Gli rispose, come se fosse scontato.

Quasi l’avessero attaccato o sorpreso, l’uomo indietreggio “Cosa, davvero?”

“H-hm.” Mugugnò lei, mettendosi in bocca una coscia di pollo e staccandone la carne dalle ossa mentre il sugo oleoso le colava dai lati “Tuo fratello lo sa, il re lo sa.”

“Bran lo sa?”

“Re Bran lo sa.” Lo corresse Brienne, pulendosi la faccia “Ed ha perorato la tua causa.”

“Ah, sì,” fece piacevolmente sorpreso Jaime “Dovrei chiedergli udienza più spesso, magari può perorare la mia causa più spesso.” Rispose ironico utilizzando le sue stesse parole, ma con fare malizioso ed allusivo.

A Brienne si bloccò il respiro in un primo momento e le andò di traverso qualunque cosa stesse mandando giù. Tossì, si diede un paio di pugno sul petto e poi, tutta bianca poi blu in faccia, controllò a destra ed a sinistra di non aver attirato troppo l’attenzione e che non ci fosse nessuno nei paraggi che potesse aver sentito o che avrebbe potuto sentire quello che stava per dire “Non ne hai bisogno.” Trovò il coraggio di rispondere, arrossendo su tutte le guance fin sopra agli occhi.

Jaime si allungò verso di lei, che ancora si stava nascondendo. Le posò velocemente le labbra sul collo e la mano sulla coscia. La accarezzò ripetitivamente all’altezza del ginocchio, dove l’armatura di metallo lasciava spazio ai pantaloni di tessuto e riusciva a sentire la carne morbida, fino a che Brienne non aprì le cosce ed allora si lanciò a baciarla sulla bocca.





 






Angolo dell'autrice
Hello folks!
Dunque, come sempre ringrazio prima tutti quelli che mi hanno seguito e commentato. Siete stati tutti carinissimi e vi adoro. 
Poi, hm, parliamone. Allor, ho domandato a due persone e mi è stata avanzata la proposta di scrivere un capitolo NC-17. Mi sono riservata quindi la possibilità di farlo col prossimo. Rigiro pubblicamente la domanda per avere altre opinioni. Ovviamente questo significherà alzare il raiting. 
Altra cosa: come vi avevo promesso, ci sarebbe stato tempo per parole tra i due, che sarebbero arrivate in prima battuta ed eccole. Ovviamente ce ne saranno altre. La notte passata insieme senza dormire mi pareva un'idea molto dolce e realistica. Altra cosa, sto aprendo il mondo post GOT tramite Jaime, se non si fosse capito, o almeno ci sto provando. Più lui si riabilita e gira, più aggiungo posti ed un contesto, in modo che non sia proprio una storia isolata. In ultimo, mi piace aggiungere qualche personaggio qui e lì, che tra l'altro mi è servito per far maturare una certa idea in Jaime. Bronn è un Inception in realtà lol
Vabbè chiudo, sennò non finisco più.
Ps. Visto che ho fatto presto? ;D
  
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