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Autore: paoletta76    23/08/2019    1 recensioni
"She's not afraid of all the attention
She's not afraid of running wild
How come she's so afraid of falling in love.."
Anna pensò che, se solo fosse stata un tantino più pazza, in quel momento l’avrebbe tranquillamente baciato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Olivieri, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Piccole Storie'
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Gli amici degli sposi sembravano gente veramente motivata: chitarre e voci durante le prime portate, una vera e propria band che suonava lungo il resto del pranzo. Poi un flash-mob a sorpresa, ed una ragazza che faceva ballare tutti con la musica da DJ.
E Cecchini che viaggiava avanti e indietro, emozionato come fosse stato lui, lo sposo, magnificando l’ottima scelta di un ristorante con un grande giardino tutt’intorno.
 
Il luogo ideale, per scivolare lontano da tutto e da tutti, senza che occhi indiscreti la potessero intercettare.
 
Dopo aver stretto una generosa quantità di mani, ed aver ascoltato nomi che si sarebbe dimenticata nel giro di un minuto, Anna raccolse il respiro e decise che sì, tanto non era lei, la protagonista della giornata, e vaffanculo tutto e tutti. Vaffanculo Giovanni, fai un po’ quello che vuoi, della tua vita, non mi riguarda più. E sparisci anche tu, Marco, con le tue battutine ed il tuo sentirti sempre un po’ superiore. Sì, ok, sei divertente. E brillante. E non male. Ma chi se ne strafrega. OH. Cacchio. Il vino sta cominciando a parlare al posto mio.
 
La musica adesso era un sottofondo, e le scarpe erano volate chissà dove lungo il prato.
Ma ciao, Gubbio. Sei davvero una città stupenda, sai? Saluti e baci a tutti da quella stronza del tuo nuovo capitano!
 
Raccogliere quanto più poteva di quell’aria fresca, riempiendosi i polmoni. Emettere una nota o due, completamente a caso. E ridere, ridere forte per non piangere.
Per non aprire gli occhi davanti a quella che era la sua realtà. Sola. Sei sola, Anna. Povera piccola inamidata perfettina stronza sola. Tutto qua.
 
La canzone finiva, e l’erba tagliata di fresco accoglieva il suo cadere giù di peso, stanca e piena della sola voglia di piangere.
 
Capitano..
Quella voce. Poco scura, esitante. Voltava il viso, ed ecco l’immagine di quello che, in quel preciso istante, avrebbe potuto definire la sua anima gemella, l’uomo perfetto. Sfregiato da cicatrici invisibili, dolorante e solo almeno quanto lei.
L’appuntato teneva fra le dita le sue tacco dodici, le sollevava appena, a mostrarle che le aveva trovate. Gli dedicò una microscopica occhiata, prima di tornare all’erba, all’aria fresca ed ai propri respiri.
- Anna..- la voce ora si faceva più vicina, più reale. Quella camicia bianca le arrivava accanto, accovacciata fra le margherite di Marzo, quel viso si piegava appena, ad indagare nel suo – tutto ok?
- Okkeissimo, direi.- replicò, stirando le labbra in una smorfietta.
- Sei un po’ alticcia.
- Sbronza. La parola giusta è sbronza, appuntato. Sto.. camminando sui cuscini – si lasciò andare, spalle al prato e naso al cielo, come una bambina – però sto bene, grazie. Sto bene, adesso.
- Già.
- E se lo vai a raccontare-
- Venti giorni di consegna, ok.- lui mordicchiava appena le labbra, di fronte a quella faccetta arrossata e a quell’indice puntato, lasciandola annuire e tornare distesa.
- Trenta. E credo sia meglio se-
Non le consentì di alzarsi per più di cinque centimetri, tendendo il braccio e trascinandosela addosso.
-..Se restiamo qui ancora un po’. Io posso tacere, ma sei visibile da sola. Anche da lontano. E Cecchini ci vede ancora bene, da lontano.
- Ok..- lei si stiracchiò come un gatto, prima di allungare un braccio a circondargli il petto, appoggiando poi il viso nell’incavo del suo collo con un sospiro lunghissimo.
Un altro istante, cercando di tirare il fiato e rallentare i battiti, per sentirli di nuovo aumentare quando la vide sollevarsi ed arrivargli quasi naso contro naso.
 
Oddio. Se n’è accorta.
 
Invece, la domanda pronta era completamente diversa.
- Perché Barba?
- Perché praticamente non la taglio mai.- rispose, dopo aver esitato un istante – e.. beh.. penso che sia anche perché non sono mai stato propriamente un tipo di compagnia.
- Non sei antipatico.
- No, vabbè.. però-
- Non ami troppo pub, ragazze, discoteca..
- Non- cioè, mi va di stare da solo.
- E’ per via dell’ombra?
- Scusa? – lui si mosse appena, aggrottando le sopracciglia.
- L’ombra. Una volta hai detto che i tuoi occhi cambiano colore a seconda del tempo, e luce a seconda delle persone. E’ colpa mia?
- Non.. non credo di-
- Sì. Cioè.. ridi. Non troppo spesso, ma ridi. Sempre a tre quarti, però. Hai sempre quel velo.. quell’ombra negli occhi. Sono.. sono meno azzurri di come dovrebbero essere.
- No. Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. E’.. è solo così.- lui si ritrovò a spostare lo sguardo, puntandolo al cielo e sollevando appena le spalle. La voce appariva velata, come non avesse la forza per uscirgli dalle labbra.
 
Anna pensò che, se solo fosse stata un tantino più pazza, in quel momento l’avrebbe tranquillamente baciato.
 
- Sono.. beh, avrai sicuramente esaminato anche il mio, di stato di servizio, al tuo arrivo. Giusto.. giusto per capire con chi avevi a che fare.
- Come voi avete fatto le pulci al mio, sì. Più o meno.
- Allora sai cos’è successo.- lui la lasciò annuire, poi tornare viso al suo collo – lì ci sono due righe, la verità.. la verità è che forse la colpa è mia.
- Scusa?
- Sclerosi multipla. Mio padre ha iniziato a combatterci che avevo vent’anni, ci ha combattuto per dieci. Ha iniziato sentendosi stanco, poi le braccia che s’intorpidiscono, le gambe che non gli permettono più di andare dove vuole. Fino a quando non l’ha consumato. E mia madre ha combattuto con lui. Ogni giorno, ogni ora. Ha lottato, ha combattuto al suo fianco, con la testa, la forza ed il cuore. E quando lui se n’è andato.. lei s’è arresa. E’ stato cinque anni fa, e.. e io continuo a pensare che l’amore che provava per me non è mai stato abbastanza, in confronto a quello che provava per lui. Io non ero abbastanza, per convincerla a non arrendersi..
 
La verità.. è che io non sono, abbastanza..
 
La voce si spezzava in gola, ora come la sera in cui, col cuore più stretto del solito, aveva varcato le porte della chiesa.
Ricordava di essere appena smontato dal servizio, di non aver neppure tolto la divisa. Di averne avuto bisogno, bisogno da morire. Bisogno di essere solo, di pregare, di sfogare lacrime che non sarebbe mai riuscito a lasciar sfuggire davanti a nessuno.
 
Don Matteo l’aveva trovato lì, nell’ultima panca, immerso nel silenzio. Il berretto accanto, le mani strette fra loro con forza, quasi con disperazione. Gli occhi avanti, leggermente sollevati verso il crocifisso, il loro cielo annegato in lacrime senza rumore.
E l’aveva raggiunto, chiamandolo per nome.
 
Francesco..
 
Aveva esitato un attimo, a voltarsi. Come faticasse a riconoscerlo come proprio.
Era una vita, che non si sentiva chiamare per nome.
 
- Ciao..- quella tonaca nera aveva volteggiato per un attimo, prima d’appoggiarglisi a fianco – tutto bene?
Non era riuscito a rispondere, se non facendo cenno di no con la testa.
- E’ uno di quei giorni, vero?
- Credo sia peggio, don Matteo.- s’era morso le labbra, piegando il viso a terra.
- E’ successo qualcosa?
No.- gli aveva detto, sempre a cenni.
- Riesci a dirmi.. riesci a descrivermi, anche solo con una parola, come ti senti?
 
Era già successo. L’aveva già trovato, in quello stato, seduto in angoli o su gradini, quando maggiormente lo torturava la ferita. Non era riuscito a dare a sua madre la forza per rimanere. Non era riuscito ad evitare che si togliesse la vita, che seguisse suo padre. Non era stato abbastanza, provarci. Non era mai stato abbastanza, il suo amore.
 
Io.. non sono abbastanza..
 
- Non è vero, Francesco. Non è vero, che non sei abbastanza. Per quanto piccolo, ed inutile, e debole tu ti senta.. tu sei più che abbastanza, per Lui.
Il viso ad indicare il crocifisso, lo sguardo d’incoraggiamento di un padre.
- Non è solo questo, don Matteo. Sto.. io sento.. è una cosa sbagliata, e.. e mi tortura.
Riesci a dirlo? – chiedeva quello sguardo. Il tempo di raccogliere il fiato, ed aveva iniziato lentamente a raccontare.
 
Il capitano. Don Matteo sorrise, leggero, al sentirla nominare.
- Beh, ragazzo mio.. quella è una tipina tosta, devo dire che anche a me sta dando del bel filo da torcere, per non parlare del maresciallo.. ma non vedo motivo per amareggiarti tanto.. o ti sta trattando in modo-?
- Non è questo, don Matteo.
Il prete si ritrasse appena, raccogliendo il respiro, e facendosi serio, di fronte a quegli occhi.
- Capisco.- disse, leggero – dovresti parlarne con lei, però. Non con me. Amare una donna non è un peccato, a meno che tu-
- Non ho idee di quel tipo, se è quello che pensa. E’.. è solo che-
- Credo davvero che glielo dovresti dire.
- Dirle che, don Matteo? Che sta diventando sempre più difficile, restare indifferente? Che stringo le mani a pugno più che posso, sperando che serva a rallentarmi il cuore? Che prego in tutte le lingue possibili che non lo senta? Che provo qualcosa che non è giusto?
- Non c’è niente, di sbagliato, in quello che provi.
- A parte che fa male?
- Smetterebbe, di far male, se lo lasci uscire.
- E’ per questo, che sono qui, don Matteo.. dovevo.. dovevo dirlo a qualcuno.. ma non.. non a lei, non posso.. non.. non esiste, non esiste proprio.
- Lo so, è difficile. Devi solo trovare il modo per affrontarlo. Pensa a Lui.- il prete indicava di nuovo la croce – a quello che sentiva, a come lo sentiva, nell’orto, solo la notte prima. Al dolore che sapeva di dover affrontare. Pensa a Lui, troverai la forza che ti serve. E’ amore, Francesco. Fa male, sì. Ma è la cosa più bella che ti potesse capitare.
Piegava il viso. Basso, verso terra, scuotendolo appena a far cenno di no. No, impossibile. Non lo saprà mai, non da me.
- Non è una cosa giusta. Non posso amare una donna da cui mi separa.. tutto. Lei.. lei è il comandante, don Matteo. Io niente. Non siamo Lotti e la sua bella, è tutto il contrario, e io.. io non posso.. non sarò mai abbastanza, per lei. E’ solo.. è in una sola direzione, don Matteo. A senso unico.
Non commettere stupidaggini..- lo pregava, ora, quello sguardo silenzioso.
- Non ho intenzione di farmi del male, se è questo, che pensa. Forse.. forse potrei andarmene, non credo che mancherei a nessuno. Un foglio di via, e capitolo chiuso.
- Francesco.- ora il tono del prete si faceva di rimprovero, mentre una mano lo raggiungeva – parla con lei. Non è detto che la sia davvero, una cosa a senso unico, ma la resterà, se continuerai a tenertela dentro a fare male.
 
Un sospiro, lento, pesante, a rompere il silenzio.
 
Nessuno dei due se n’era accorto, di quella presenza ad ascoltarli dal buio oltre il portone.
 
  
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