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Autore: Old Fashioned    24/08/2019    14 recensioni
Un’arma segreta del Reich, il dispositivo ombra, viene recuperata quasi casualmente dallo scanzonato pilota di un idrovolante ricognitore.
L’ufficiale inglese che si è visto sottrarre l’oggetto, però, giura vendetta al tedesco, anche perché nello scontro che c’è stato fra i due, egli ha perso una mano e ora è costretto a portare un uncino al posto dell’arto perduto.
I due si incontreranno nuovamente in una misteriosa e sconosciuta isola al centro del Mar dei Caraibi: Ypa'u Oiyva, l’isola che non c’è. Tra indigeni ostili, foreste impenetrabili e luoghi misteriosi, si contenderanno di nuovo il dispositivo ombra e il capitano inglese approfitterà dell’occasione per cercare di saldare vecchi conti rimasti in sospeso.
Seconda classificata al contest Villains against Heroes indetto da missredlights sul forum di EFP. Vincitrice del premio speciale "Miglior Hero"
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gente mia, ecco un altro capitolo del mappazzone. Con pazienza ci stiamo avvicinando all’obiettivo e stiamo entrando nel vivo della vicenda.
Grazie come sempre a tutti quelli che sono passati da queste parti e un grazie particolarmente sentito a chi mi ha lasciato un commento!^^








V – Si parte per la missione



A oriente il cielo si stava colorando di arancione. Sotto la volta celeste azzurro cupo, ancora punteggiata delle ultime stelle, l’acqua era di un blu metallico, a tratti screziato d’oro laddove i primi raggi danzavano sulle lievi increspature della superficie. L’aria conservava il fresco della notte e portava con sé il profumo vago della costa, suadente e carico di promesse.
La lieve brezza faceva tintinnare appena le sagole contro i pennoni delle bandiere, creando uno scampanellio lontano, vago, fatato in quell’atmosfera sospesa.
D’un tratto si udì un canto. Una voce giovane e vigorosa intonava una vecchia canzone militare: Al mattino presto, quando i galli cantano.
Un gabbiano, che aveva scelto la torretta dei cannoni prodieri per trascorrere la notte, si alzò in volo con uno strido di disappunto e si allontanò con grandi battiti d’ala.
Comparve il tenente Pankow, che evitando con eleganza i marinai intenti a pulire il ponte di coperta, senza smettere di cantare, procedeva di buon passo verso la catapulta.
Lo seguivano, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi, i tre fratelli Liefke. Buon ultimo, con le mani allacciate dietro la schiena e lo sguardo torvo di Napoleone alla battaglia di Lipsia, camminava Schelle.
Oggi è la giornata perfetta per volare!” esclamò Pankow interrompendo i vocalizzi. Sottrasse con abile mossa la redazza a un marinaio, mimò con essa qualche giro di valzer, quindi la rese al legittimo proprietario. Divorò a due a due i gradini che portavano alla piattaforma di servizio della catapulta, strappò via il telone che copriva l’aereo col gesto elegante di un toreador che mulina il capote poi disse: “Eccolo qui, il mio Bucefalo! Il mio Balio, il mio Xanto, il mio Sleipnir!”
Il mio Ronzinante,” ringhiò Till dal basso.
Che cosa?” chiese Pankow affacciandosi al parapetto.
Niente, signore.”
Il nostro volo di ricognizione aspetta,” gli ricordò il tenente.
Sissignore.”
Schelle salì su per la scaletta che portava alla piattaforma, e prima ancora di metterci spora il piede si sentì chiedere: “Puoi prestare le tue carte a Wendel?”
Si immobilizzò. “Cosa?”
Le carte,” replicò il tenente con la massima naturalezza. “Sai, lui non ha ancora le sue...”
Till rivolse al tenente uno sguardo che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto incenerire. L’ufficiale notò i suoi occhi semichiusi e premurosamente gli disse: “Eh già, è una levataccia.” Gli diede una pacca come di incoraggiamento sulla spalla. “Allora, queste carte?” chiese poi.
Quali carte, signore?” chiese Schelle, stavolta ben deciso a non farsi defraudare del suo ruolo.
Le carte con la navigazione verso quell’isola. Come si chiama? Bula-Bula? Jonzondjupa?”
Ypa'u Oiyva, signore,” ringhiò il caporale.
Insomma, quella,” rispose disinvolto il tenente. “Ti spiacerebbe dargliele?”
Schelle assunse l’espressione stolida del mulo intenzionato a bloccare un convoglio a metà di una salita e rispose: “Le carte mi servono per navigare, signore.”
Il tono di Pankow suonò addirittura rassicurante: “Ma no, ci penserà lui, tranquillo. Gli bastano solo le tue carte.”
Di nuovo scattò l’occhiata inceneritrice, al solito serenamente ignorata dall’ufficiale, poi Till replicò: “Con tutto il dovuto rispetto, signore, io ho molta più esperienza in contesti operativi.”
L’altro lo fissò quasi con un’ombra di riprovazione. “E non vuoi dare anche a lui l’occasione di farsela?” Sembrava che stesse rimproverando un bambino straricco, sazio e soddisfatto perché non voleva regalare qualcuna delle sue caramelle a un bambino povero.
Schelle non demorse: “Sempre con il dovuto rispetto, signore, questa è una missione operativa, non un’esercitazione.”
Ma no, che missione operativa!” replicò il tenente. “Cioè sì, teoricamente lo sarebbe, nel senso che siamo in guerra, ma è solo una banale ricognizione, su un’isola piena di giungla. Al massimo rischiamo che un tucano ci si infili nel parabrezza.”
I tucani stanno in Sud America, signore.”
Ah.” Pankow parve perplesso. “E qui dove siamo?”
America centrale, signore.”
Tu sì che conosci la geografia, Till,” apprezzò il tenente, poi stabilì che la conversazione era finita e gli girò le spalle per dedicarsi all’aereo, senza il minimo dubbio che lui avrebbe con gioia dato allo stronzetto tutte le carte che si era comprato con i soldi della sua prima decade e su cui aveva passato innumerevoli ore di studio e fatica.

La luce nel frattempo era aumentata, l’aria si era fatta più calda e più carica di profumi misteriosi. In attesa di virare all’azzurro intenso della tarda mattinata, il cielo conservava un colore perlaceo, tenue, vagamente dorato intorno al disco solare, che da poco aveva abbandonato l’orizzonte. Le tonalità rosate dell’alba cedevano il posto al fulgore nitido del giorno, scompariva la sottile foschia che durante la notte aveva ammantato il pelo dell’acqua.
Il tenente strinse appena gli occhi per proteggersi dal riverbero della luce sulle onde. L’aria era pulita come dopo un acquazzone primaverile, c’era calma di vento. Piegò leggermente la testa all’indietro e inspirò profondamente. Per un attimo desiderò di poter essere lui stesso a spiegare le ali e a librarsi, poi il momento di lirismo lo abbandonò rapido com’era giunto e il pensiero successivo fu che gli sarebbe piaciuto scovare qualche barattolo di latta vuoto da attaccare alla coda del gatto di bordo.
Volse di nuovo lo sguardo all’orizzonte. Sulla base di quello che ricordava della mappa cercò di calcolare i tempi della missione e stabilì che sarebbero senz’altro tornati per l’ora del rancio, dopo un breve volo comodo e facile intorno a un’isola deserta. Si chiese dove fossero finiti i marinai e i tecnici che von Stauff aveva inviato sul posto qualche giorno prima e stabilì che dovevano essere spaparanzati da qualche parte all’ombra, a godersi cocchi e banane.
O almeno, questo era ciò che avrebbe fatto lui se si fosse trovato nella stessa situazione. La cosa gli fece venire in mente che in effetti avrebbe potuto davvero fare una piccola sosta per un po’ di cocchi e banane, tanto cosa ne poteva sapere un ufficiale di marina di quanto durava una ricognizione aerea? Sarebbe bastato fare qualche foto, magari ricordare alla squadra dispersa che a bordo avrebbero avuto piacere di sapere che fine avevano fatto, e nessuno avrebbe rotto le scatole con domande importune.
Captò un’occhiata livida di Schelle e per qualche secondo si chiese anche perché mai da un paio di giorni il suo radiotelegrafista fosse così torvo, poi il pensiero venne soppiantato da quello, molto più piacevole, di cocchi e banane sulla spiaggia. Il malumore di Till fu liquidato con un’alzata di spalle.

Peter Pankow, in combinazione di volo e giubbotto di salvataggio, osservò soddisfatto l’aereo, già puntato verso il largo per il decollo, quindi proclamò: “Molto bene, direi che possiamo partire.” Come al solito, sembrava che stesse per andare in gita. Si girò verso Hans e Michael Liefke: “Siete pronti?”
I due si scambiarono un’occhiata, poi lo fissarono con l’aria di chiedergli spiegazioni. Pankow fece un passo verso di loro e a bassa voce rivelò: “Se le condizioni lo permettono, ci facciamo un bel bagno.”
Ma…” interloquì Michael.
Che c’è, aviere?”
Ecco… dobbiamo venire anche noi, signore?” Lo sogguardò incerto, l’espressione era di chi non sapeva se fosse meglio aspettarsi un sì o un no.
Pankow gli strizzò l’occhio con fare complice e rispose: “Se ci stringiamo un po’ ci stiamo tutti. Lo sai che una volta caricammo nella postazione di Schelle due casse di birra, un prosciutto lungo come il mio braccio, un barile di crauti e mezzo quintale di salsicce? Ah, e naturalmente pane e patate. Till ha fatto tutto il volo con una cesta di Brezeln appesa alla culatta dell’MG34, sembrava una massaia di ritorno dal mercato.” Poi, a voce più alta: “Ti ricordi, Till?”
Dalla postazione di comando della catapulta giunse un lugubre Sissignore.
Pankow annuì soddisfatto, quindi disse: “Ora a bordo, ragazzi. Un giubbotto di salvataggio per ciascuno, magari un bel telo da bagno se ce l’avete, e si parte.” Si rivolse a Hans: “Tu che sei piccoletto vieni in cabina con me. Ti faccio anche tenere la cloche, se si mantiene questa calma di vento.”
Grazie, signore!” rispose felice il ragazzo.
Pankow chiamò Wendel. “Hai dato un’occhiata alla navigazione?”
Sissignore.”
Hai visto che belle carte? Devi ringraziare Till. Dì: grazie, Till, le tue carte sono bellissime!”
Obbediente, il ragazzo ripeté: “Grazie, Till, le tue carte sono bellissime.”
Dalla postazione di comando provenne qualcosa che somigliava decisamente a fanculo.
E tu non vieni?” gli chiese l’ufficiale, al solito serenamente noncurante del suo umore plumbeo.
Io devo azionare la catapulta, signore, mentre lei se ne va in volo con il suo nuovo radiotelegrafista.”
Per me va bene anche un marinaio,” considerò Pankow, con il tono con cui un altro avrebbe detto per me va bene anche una scimmia. “In fin dei conti, basta uno che prema un bottone, il resto lo fa tutto l’aereo.” Andò ad affacciarsi alla ringhiera, scrutò la gente in coperta fino a che non trovò un tipo che gli pareva adatto e gli disse: “Ehi, tu! Vieni qui!”

Pochi minuti dopo, l’Arado 196 era in volo su un mare liscio come l’olio, sotto un cielo nel quale non si vedeva una nuvola nemmeno all’orizzonte. Un po’ impacciato dal ragazzo che gli sedeva quasi in braccio, Pankow si godeva comunque la missione. Pilotare è una serie di automatismi, era solito ripetergli il suo istruttore, finché non ce li hai, ai comandi di un aereo non sai cosa fare; appena li hai acquisiti, pilotare diventa facile come camminare.
Tutti automatismi, niente di che. Roba che si faceva senza sprecarci un minimo di materia grigia.
Una volta imparato a sentire l’aereo, una volta acquisite le reazioni istintive alle variazioni d’assetto, manovrare la cloche era come muovere il manubrio della bicicletta.
Buttò giù il muso in una piccola picchiata. Niente di che, per lui, tuttavia Wendel emise uno strillo nell’interfono e con voce concitata chiese: “C’è il nemico, signore?”
Pankow richiamò e fece una virata. Di nuovo niente di che, solo sessanta miseri gradi, ma ugualmente un coro di esclamazioni preoccupate si levò dai tre ragazzi. Quelle di Wendel le sentì bene attraverso l’interfono, quelle degli altri due le immaginò, più che altro, vedendo l’espressione preoccupata e la bocca aperta di Hans.
L’unico muto come un trappista era Schelle, ma la cosa non lo stupì: in fondo lui era abituato al suo modo di volare.
Diede motore, cabrò puntando con decisione il muso verso l’alto. Hans gli piombò addosso, roteò gli occhi, cercò di aggrapparsi da qualche parte col movimento frenetico di un gatto che sta per essere buttato in acqua, poi l’assetto inusuale lo disorientò ed egli lasciò crollare la testa, che cominciò a muoversi solidale con gli spostamenti dell’aeroplano.
Picchiò di nuovo. Una cosetta di poco conto, non è che da un idrovolante a scarponi si potessero pretendere le prestazioni di un Messerschmitt 109, tuttavia a un tratto nell’interfono la voce concitata di Wendel fu sostituita da quella gelida di Till, che sobriamente comunicò: “Il suo nuovo e bravissimo radiotelegrafista è svenuto, signore. Sono autorizzato a prendere il suo posto?”
Fa’ come se fossi a casa tua,” rispose sbrigativo il tenente, riprendendo un volo livellato in linea retta. Hans gli si afflosciò sulla spalla come una pianta senz’acqua.
Pankow regolò giri e quota, controllò la bussola e infine sistemò il trim in modo che l’aereo si mantenesse in assetto. Cercò di spostare l’aviere, che nonostante tutto si ostinava a stragli addosso come una specie di cataplasma.
Tutto a posto, là dietro?” chiese dopo un po’.
Per fortuna nessuno ha vomitato, signore.”

Trascorse un altro po’ di tempo, poi il colore del mare passò dal blu al turchese intenso. All’orizzonte comparve una striscia verde scuro.
Mi sa che ci siamo,” disse il tenente. Tolse un po’ di motore, scese di quota. Man mano che si avvicinava, la striscia verde si differenziava in palme, mangrovie, alberi ad alto fusto e arbusti.
L’acqua si era fatta ancora più chiara e trasparente, si vedeva già la spiaggia bianca. Lungo la costa lussureggiava magnifica la foresta vergine, in tutto il suo primigenio splendore. Per quello che poteva vedere, in giro non c’era nessuno.
Avranno tirato in secco la barca, disse fra sé e sé, come sempre immaginando il gruppetto di marinai intenti a godersi cocchi e banane in qualche posticino all’ombra.
Percorse con lo sguardo la linea della battigia, alla ricerca di un posto dove fosse possibile ammarare. “Bagno per tutti!” annunciò deliziato nell’interfono.
Poi gli parve di notare un lampo arancione nella boscaglia, immediatamente seguito da uno sbuffo di fumo.
Merda!” urlò.
Allungò la mano per ridare tutta manetta, ma in quel momento la semiala sinistra esplose. L’aereo cominciò a perdere quota, il motore su di giri urlava, i tre fratelli Liefke urlavano ancora di più.
Privo di portanza da un lato, l’Arado rischiava di ribaltarsi, i grossi scarponi rendevano difficile compensare con la cloche e la pedaliera.
La foresta si stava avvicinando con inquietante velocità.
Pankow proferì una serie di sentite imprecazioni.
Si udì la voce esasperata di Schelle: “No! Di nuovo!”
La semiala superstite cominciò a falciare le cime degli alberi, uno scarpone si agganciò a un ramo, l’aereo capitombolò pancia all’aria, lasciò un pezzo degli impennaggi di coda sul tronco di una palma, proseguì la sua caduta abbattendo rami con un fracasso da fine del mondo.
All’interno del velivolo tutti urlavano, chi imprecando e chi raccomandandosi l’anima a Dio. Siccome perlopiù non erano legati con le cinture, essendocene a disposizione solo due, ad ogni giravolta dell’areo tutti finivano gli uni addosso agli altri, venendo a trovarsi aggrovigliati in posizioni laocoontiche.
Dopo una caduta che a tutti parve molto più lunga del tratto di volo che l’aveva preceduta, quel che rimaneva dell’aereo finalmente raggiunse il suolo e perlomeno smise di girare come il cestello di una lavatrice.
Niente di rotto?” chiese Pankow non appena riuscì a recuperare le funzioni cognitive di base. Si guardò intorno: erano nel bel mezzo di una giungla, l’aereo sembrava non avere più nulla di intero, a parte forse i seggiolini. Di Hans si vedevano solo i piedi, il resto doveva essere sul pavimento della carlinga. “Ehi, ragazzo,” biascicò con la sensazione di avere una patata in bocca. “Ragazzo, mi senti?”
Dal basso giunse un lamento.
Ragazzo, muoviti. Qui rischia di saltare tutto.”
Cosa?”
C’è ancora benzina nel serbatoio,” spiegò il tenente. “No so tu, ma io non ci tengo a finire arrosto.”
Quelle parole, che secondo Pankow avrebbero dovuto convincere l’aviere ad abbandonare senz’altro il relitto, scatenarono invece un parossismo di eccitazione fine a se stessa in cui Hans prese a divincolarsi come una specie di sardina presa all’amo, senza peraltro concludere niente di utile.
L’altro rimase per un po’ a osservarlo con cortese interesse, quindi gli chiese: “Ti sembra il momento di mettersi a fare il contorsionista?”
Aiuto!” provenne dalle profondità della carlinga.
Hans, non per farti fretta, ma qui tra un po’ salta tutto.”
Dopo il sobrio ammonimento, il tenente si voltò verso la postazione del radiotelegrafista: anche da quella parte era in corso un frenetico abbandono del mezzo.
Afferrò Hans per la cintura dei pantaloni, lo spinse fuori mentre ancora si contorceva, poi si lasciò cadere a terra a sua volta.
Un’esplosione assordante segnò la fine dell’Arado 196.
Pankow osservò le fiamme che avvolgevano la fusoliera, prese un’aria assorta e sospirò: “Peccato, un così bell’aereo…”
Il secondo in meno di due mesi,” gli fece notare Schelle.
Dulce et decorum est pro patria mori,” replicò il tenente con solennità.


   
 
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