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Autore: Janey    24/08/2019    1 recensioni
INTERATTIVA
Mi sono candidato sindaco perché credevo di poter cambiare le cose e di fare qualcosa per aiutare la mia gente e il mio distretto, avevo ancora fiducia nell’umanità, pensavo in una risoluzione, ma ero solamente un giovane inesperto che non sapeva niente del mondo e della sua corruzione. Ero pieno di ideali che non sono riuscito a realizzare. Sono solamente un povero fallito, uno strumento di Capitol City che si è cacciato in qualcosa di più grande di lui.
Vivo in un mondo orrendo dove regna il male e io non posso fare niente per fare la differenza.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caesar Flickerman, Presidente Snow, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Mors tua

 


Qualche ora dall’inizio dei Giochi
 
 
Theodore Gallagher, tributo del Distretto 6, arena (scogliera)

Esco dal mio piccolo nascondiglio ricavato nell’incavo di due scogli, mettendo per la prima volta il naso da quando sono venuto qua. A contatto con il vento gelido, un brivido mi attraversa tutto: nonostante siano passate parecchie ore dall’inizio, i miei vestiti sono ancora tutti bagnati.
È stata una benedizione dal cielo trovare questo anfratto, anche se in tutto quel tempo che ci ho messo per trovarlo mi sono fatto il bagno. E i vestiti non incominceranno ad asciugarsi certo ora, che sta scendendo la notte.
Mi muovo il più agilmente possibile sui massi, cercando di non urtare il contenitore di plastica che ho trovato nella piccola sacca che sono riuscito a racimolare. Chi l’avrebbe detto che mi sarebbe poi tornato utile con tutta quest’acqua? Ora è colmo fino all’orlo e me la dovrò far bastare fino al prossimo temporale, che sarà a breve, dato che il cielo non accenna ad aprirsi.  Ah! La fortuna di capitare in un’arena dove la qualità è quella di portare acqua a tonnellate! Direi che come debutto non è stato dei peggiori.
Mi siedo su uno scoglio non troppo in vista, ma che mi permette di avere una buona visione dei miei nemici, anche se non credo che ce ne siamo molti in questi zona. Meglio per me, anche se non ho la ben che minima idea di come riusciremo a scontrarci se siamo tutti divisi.  Si vedrà col tempo, ora non mi deve importare.
Il vento emette un fischio sinistro, annunciando forse un nuovo temporale, mentre dei bagliori biancastri incominciano ad illuminare le nuvole. Mi allontano dal mio nuovo scoglio, con la speranza di evitare di bagnarmi ulteriormente con gli spruzzi delle onde che si infrangono poco più sotto.
Faccio la strada al contrario per ritornar al mio nascondiglio, stando attendo a non scivolare per non ritrovarmi con il cranio spaccato.
Posiziono saldamente un piede sulla roccia e mi do un piccolo slancio, riuscendo a salire sullo scoglio. Cerco di mantenermi il più rasente possibile alla parete per evitare di rendere la mia posizione troppo evidente: non si è mai troppo prudenti.
Aggiro anche l’ultimo masso, quando finalmente riesco a riconoscere  le mie due rocce, che si incastrano perfettamente tra di loro, creando il miglior nascondiglio del mondo.
Sto per avvicinarmi, quando vedo qualcuno sbucare da chissà dove e fermarsi proprio in prossimità del mio contenitore pieno d’acqua. È un ragazzino con indicativamente la mia età, un cespuglio di ricci e un paio di occhiali. Lo vedo chinarsi pericolosamente sulla mia unica risorsa e afferrarla con entrambe le mani. Per berla! La mia acqua!
“Ce n’è abbastanza per tutti, non credi?”, domando, sgusciando fuori da dove lo stavo spiando. Non credo possa aggredirmi o che abbia armi con lui: se voleva rubare la mia acqua vuol dire che non ha niente di utile con sé.
Lui si gira di scatto, facendo nel frattempo cadere un po’ del prezioso contenuto. Lo vedo indietreggiare di qualche passo, poi fermarsi. Avrà capito che anch’io non ho nulla, a parte quella roba di plastica.
 “Non se non hai niente per raccoglierla”, risponde lui con arroganza, che riconosco solo adesso come il ragazzino del Distretto 10.
Proprio in quel momento un tuono irrompe nell’arena mentre rade goccioline di pioggia tornano a scendere.
“Che palle”, commenta il tipo, alzando gli occhi al cielo. “Anche dov’ero io prima non faceva altro che piovere”, aggiunge sconsolato.
“E dov’eri prima?”, chiedo incuriosito.
“Al faro”, risponde lui.
“C’è un faro?”.
“Sì, è su un’altura a picco sul mare. Non hai visto la luce?”, domanda come se la cosa fosse abbastanza ovvia.
“No”, rispondo . A dirla tutta non ho neanche mai visto un faro, e credo neppure lui, almeno fino a oggi. Non ce ne sono al 6 e al 10. Non mi dispiacerebbe vederne uno, devo ammettere.
La pioggia incomincia a farsi più fitta: è meglio che rientri nella mia “grotta”.
“Se non ti dispiace, …”, aggiungo, prendendo la mia acqua e sperando di scollarmelo al più presto.
“Max”, mi suggerisce lui. “Ti dispiacerebbe fare un po’ di posto anche a me?”.
Sospiro. Potrei rifiutare, ma non mi va di restare solo. In fondo ha la mia stessa età, potrebbe funzionare la cosa.
“Si sta bene, qua sotto”, aggiungo, lasciandogli lo spazio per passare e posizionando nuovamente la mia scatola sotto la pioggia ormai incessante.

Darlene Watson, tributo del Distretto 5, arena (faro)
                                                                                                                                                                                                  
Ogni scalino sembra scricchiolare sempre di più ad ogni mio passo: ho fatto di tutto per cercare di camminare il più leggermente e silenziosamente possibile, ma è stato tutto inutile, così gliel’ho data su. Dopotutto non credo che ci siano altri tributi su questo faro.
Arrivo a quello che sembra essere il primo piano, dove ci sono quattro porte. Apro con cautela la prima, impugnando saldamente il piccone che sono riuscita ad afferrare. All’interno non c’è nessuno, se non un letto di ferro, un comodino, una lampada e una piccolo armadio. Anche le altre sono vuote: una minuscola cucina, un bagno e uno studio pieno di libri e scartoffie.
Decido di continuare la mia salita verso la sala di controllo. Ogni tanto lancio un’occhiata alla porta, cercando di tranquillizzarmi: non dovrebbe entrare nessuno, sono stata molto attenta nello sprangare la porta. Credo sia comunque utile spegnere tutto, almeno il faro non sarà così visibile, senza luce. A meno che uno non ci venga proprio sotto, chiaro.
Arrivo finalmente alla fine, dove un’altra scala porta ad una botola. Riesco a salire senza troppa difficoltà, ritrovandomi poi nella grande sala di controllo, dove la lampada centrale continua ad irradiare luce.
Sulla destra si trova un banco con alcune carte e, sulla destra, quella che sembra essere la cosa più importante: una leva. 
La afferro con entrambe le mani e cerco di fare pressione per abbassarla, ma quella non accenna a muoversi. Continuo a spingere sempre più forte, fino a che quella non si abbassa con uno scatto improvviso. Poco dopo la luce si spegna, lasciando la stanza e l’intera arena nella più completa oscurità.
Mi avvicino alla grande vetrata circolare, guardando la scogliera in lontananza e lo strapiombo sul mare proprio al di sotto del faro. Chissà chi sono gli altri tributi che si trovano qui con me. O che fine hanno fatto gli altri e come saranno le loro arene.
Improvvisamente l’inno di Panem rimbomba all’interno dello spazio, risultando abbastanza distorto se sovrapposto al temporale che è tornato ad infuriare.
Prima di tutto ci sono i due ragazzi del 3, seguiti dal ragazzo paralitico del Distretto 8, dalla ragazza del 10 e, infine, da entrambi i tributi del Distretto 11.
Siamo rimasti in diciotto ed entrambi dal Distretto 5. Forse in questo momento a casa avranno tirato un sospiro di sollievo.
Scendo giù dalle scale e richiudo la botola alle mie spalle, per ritornare al primo piano. Decido di entrare nella camera e di sistemarmi sul letto, assicurandomi che il piccone sia ben posizionato accanto a me in caso di ogni evenienza.
Sarà una lunga nottata, anche se non ho alcuna intenzione di chiudere occhio. Sono consapevole che prima o poi dovrò dormire: non posso arrivare allo scontro finale senza forze, ma come prima notte non voglio arrischiarmi di chiudere gli occhi. Col cavolo, ci puoi scommettere. Non che mi aspetti mostri o cose del genere, ma non sono così tranquilla da poter rilassarmi e dormire.
Quante ore mancheranno al mattino? Possibile che non ci sia un orologio? Dio, fa che arrivi al più presto la luce del giorno.
Iris una volta mi disse che per rimare vigili bisogna fare pensare la mente. Mi disse, in particolar modo, di contare il tempo. Ora potrebbero essere le nove-dieci di sera: potrei partire da lì, a contare. Il risultato sarebbe molto indicativo, ma almeno potrei avere la concezione del tempo e delle ore che passano.
Lentamente inizio a contare, anche se i miei numeri si mescolano a inquietanti conti alla rovescia, mentre i miei minuti diventano i sessanta secondi dall’inizio del Bagno di Sangue.
È solo suggestione, lo so, ma non riesco a scacciarla dalla mia mente, così decido di prendere la torcia dallo zaino e puntarla sulla porta. Fisso il cerchio di luce. Non so a che ora fossi arrivata quando mi sono addormentata.

Theo Luge, tributo del Distretto 2, arena (campagna)

“Questo è il massimo che sono riuscita a trovare”, annuncia Allie, mostrando le poche bacche che tiene nelle mani. Sui nostri volti si dipinge un’espressione di pura insoddisfazione, mentre osserviamo le bacche e le mele distese sul prato. Allie e Phyllis hanno fatto del loro meglio, certo, ma non possiamo non pensare a tutti quelli zaini pieni che si trovano completamente inutilizzati nel centro della Cornucopia. Alla sola idea mi viene da picchiare qualcuno. Ci doveva essere scritto il nostro nome sopra, su quegli zaini e sul corno, e invece siamo qua. A nutrirci di mele e bacche.
“Grazie comunque”, dico, afferrando una mela con la speranza di cancellare l’immagine di tutta quella roba abbandonata. E di farlo dimenticare anche ai miei compagni.
La mia alleata del 7 sorride, sicura ormai della sua importanza all’interno di questo gruppo. La cosa è venuta fuori qualche ora dopo lo scontro: Allie ha incominciato a prendere sempre più parte alla conversazione, non limitandosi solamente a osservazioni varie, ma incominciando anche a prendere decisioni su dove andare, su dove accamparci per la notte e se era necessario andare a cercare qualcosa da mangiare. Non so davvero da che parte schierarmi, in fondo io stesso sono stato il primo a votare a favore del suo ingresso nell’alleanza, anche se non avrei mai pensato che un giorno molto sarebbe dipeso da lei.
“Figurati, Theo”, continua lei, certa che non potremo più soppiantarla, altrimenti saremo spacciati. Dopotutto è l’unica che ha un minimo di cultura sulle piante e sul loro utilizzo, l’unica fonte di nutrimento che ormai ci resta senza gli zaini.
“Dove dormiamo stasera?”, domanda Galen, aprendo bocca solamente per ricordarci qualche nostro problema. Ho tentato di parlargli un momento in privato, ricordandogli della nostra altra-alleanza, ma mi è sembrato intrattabile, almeno per il resta della giornata. È vero che nulla sta andando com’era nei piani, ma ora è nostro compito trovare la forza di adattarci a questa situazione. Saremo Favoriti anche senza provviste.  Siamo circondati da campi coltivati, colline e prati, vuoi che non ci sia qualcosa di utile qua intorno?, una fattoria o un casolare abbandonato?
“Qua”, rispondo senza esitazione.
“Non dovremo, che ne so, magari  trovare un posto più sicuro?” , insinua Prudence.
“Non mi sembra che la Cornucopia fosse tanto più discreta”, commenta Allie. La mia alleata non replica. Touché. 
“Qui sarà perfetto”, spiega Phyllis. “Avremo una buona visuale, ma sarà altrettanto facile per poter poi ritornare dalle nostre… esplorazioni”, termina un po’ imbarazzata, allineando nel frattempo tutte le mele che Allie aveva lasciato cadere prima. È già la seconda volta che glielo vedo fare: già stamattina aveva incominciato a sistemare tutte le posate della colazione: prima i coltelli, poi le forchette da dolce, seguite dai cucchiai e infine quelli per la frutta. Ha detto che lo fa per rilassarsi e mantenere la calma.
“Una cosa che mi sono chiesta è come faremo a ricongiungerci agli altri tributi, insomma, qua oltre a noi ce ne saranno veramente pochi. Solo quelli che erano rimasti verso la fine”, riprende lei, invertendo il posto di due mele, mettendo prima quella più piccola.
“Credo che gli Strateghi ci sorprenderanno”, scherza Allie.
“Si fa quel che si deve”, commenta Prudence, mentre un leggero vento incomincia a muovere le fronde degli alberi.
“Si fa quel che si deve…”, ripeto anch’io.
 
Marco Milani, tributo del Distretto 12, arena (spiaggia)

Le guardo andare: si muovono caute e guardinghe alla ricerca di cibo nella boscaglia tropicale al limite della spiaggia. Osservano dubbiose i frutti degli alberi, per poi lasciarli dove sono. Le piante sono tantissime e stranissime: hanno foglie larghe e frastagliate e fiori dai cento colori. Poi ci sono i frutti: gialli, rossi e arancioni. Io e Artemide avremmo voluto assaggiarli tutti (lei ama il cibo, me lo ha confessato a Capitol, dove c’era la possibilità di magiare di tutto), ma l’altra ragazza dell’8 ci aveva subito fermati: “Siete matti? Non potete mangiarli, potrebbero essere velenosi!”, aveva esclamato prendendo malamente il frutto che avevo appena raccolto e buttandolo per terra. L’avevo guardata truce e lei aveva risposto con altrettanta durezza, sostenendo il mio sguardo.
“Marco, che ne dici di andare a cercare un po’ di legna per costruire un riparo, magari?”, aveva suggerito Artemide notando la tensione. Avevo ascoltato il suo consiglio e mi ero allontanato per cercare qualcosa di utile. Durante i tre giorni di allenamento a Capitol ero riuscito a seguire pochissimi corsi, gli unici in cui gli istruttori non mi avevano cacciato via perché non ascoltavo o rispondevo male: ero quindi andato da un giovane allenatore che mi aveva insegnato a costruire ripari con legno, foglie o qualsiasi cosa.
Nella foresta trovo tutto quello che mi serve e bene o male riesco a realizzare una tettoia di rami e foglie enormi. Guardo in su e noto che dalle piante pendono frutti marroni e ovali. Mi arrampico senza troppa difficoltà, sono sempre stato bravo a salire sugli alberi. Prendo il frutto e lo rigiro tra le mani: ha una superficie stranissima al tatto, ma non riesco a capire come si possa mangiare. Cerco di aprirlo facendo forza sui lati, ma è inutile. Maledizione! Scaglio il frutto per la frustrazione su una roccia poco lontana. Il frutto colpisce il masso con un tonfo sordo, per poi cadere a terra e aprirsi. Mi avvicino al guscio ormai spappolato sulla sabbia e lo osservo: l’interno è completamente bianco. Ne stacco un piccolo pezzo e lo assaggio: è buono, dolce e delicato.
Raggiungo Artemide, immersa nell’acqua cristallina fino alle ginocchia nella speranza di afferrare un pesce o qualcosa di commestibile sul fondo del mare. “Guarda”, le dico mostrandole il frutto. “Cos’è? È da mangiare?”, mi domanda dubbiosa.
Non è velenoso, non mi è successo niente”, le assicuro. “È buono, te lo regalo”, affermo lasciandole il frutto tra le mani. “Oh, grazie”, sussurra la mia amica.
Ora sono seduto sotto uno di questi alberi all’ombra delle foglie. Mi sono tirato il cappuccio della felpa sulla testa e guardo il mare: se mai dovessi tornare al 12, potrò vantarmi con tutti di averlo visto. Al distretto nessuno ha una benché minima idea di come sia, infinito, blu e profondo.  Li farò morire di rabbia e io mi crogiolerò nella loro invidia. Poi, dato che sarò un vincitore e potrò fare come mi pare, chiederò di poter portare un po’ di sabbia con me. Qui l’ho toccata per la prima volta ed è stata una sensazione indimenticabile: è morbida, calda e soffice. Per scherzo ne ho tirata una manciata nella schiena di Artemide. Lei si è voltata, sembrava un po’ interdetta, ma poi mi ha sorriso. L’altro tributo, invece (non ho idea di quale sia il suo nome, ma chi se ne frega), ci ha guardati stupita per poi scuotere la testa.    
Guardo lontano, verso il sole sempre più basso inghiottito dal mare, mentre il cielo si colora di rosso.

 Kai, tributo del Distretto 5, arena (città)

“Come faremo ad incontrare gli altri tributi in mezzo a tutta questa gente?”, domanda Jacob, schivando agilmente la marea di persone che ci viene incontro.
“Ci penseranno gli Strateghi”, risponde Shine, evitando all’ultimo di andare addosso a una donna. È ormai da tempo che continuiamo a camminare in questa zona dell’arena, in mezzo a grattacieli altissimi fatti di vetro. Gabriel guarda costantemente in su, ipnotizzato dal ritmo e dai colori della città. Anch’io mi osservo tutt’ intorno affascinato: non riesco a smettere di fissare i cartelloni sgargianti e i video che si ripetono in loop su schermi giganteschi. Ci sono le persone, a migliaia e proprio non capisco come abbiano fatto a ricrearle: okay, un conto è costruire un’arena, ma come hanno fatto con le persone? Sono ologrammi? Robot assemblati in laboratorio? Oppure gente pagata per fare da comparsa? E infine le strade: sono bellissime e piene di macchine: non sono come le strade di Panem, piene di buchi e vecchie, sono più da Capitol, lisce e perfette. Sì che sarebbe bello esplorare queste vie: starei tutto il giorno a girare e girare, non finirebbero mai…

“Grazie, Kea, per avermi aiutato”, dico a mia sorella mentre il grande cancello si richiude alle nostre spalle.
“Tranquillo, neanch’io ce la facevo più! Insomma, voglio bene a Steffon, ma oggi non ero pronta per una sua lezione”,  aggiunge mia sorella, camminando al mio fianco lungo le strade del 5, lontano dal manicomio del nostro patrigno. “In fondo credo che anche lui ormai l’abbia data su: tanto ogni “ordinamento restrittivo” (come li chiama lui) è un buco nell’ acqua!”, continua Kea “Anche grazie a me, devo dire!”, aggiunge lei, ridendo. Mi concedo anch’io una risata, immaginando l’espressione di Steffon quando non ci vedrà più. Proprio non ce la faccio a stare chiuso in quella stanza: per me è troppo piccola e stretta. Fuori c’è il mondo in attesa e qui ho tutto da scoprire: tutto ha qualcosa da raccontarmi e io amo le storie. È il mio passatempo preferito con Kea: ne inventiamo di tutti i generi. Le più belle, poi, sono quelle che nascono dalle domande. Una volta le ho chiesto cosa avrebbe fatto se fosse stata scelta per gli Hunger Games e lei mi aveva risposto: “Sai cosa farei? Nella sessione privata tirerei una freccia al Primo stratega!”. Non l’ho mai messo in dubbio.


"Quando tornerai a casa?”, mi chiede lei.
“Non lo so, qualche giorno”, dico, alzando le spalle.
“Okay, poi raccontami tutto”, continua mia sorella, salutandomi e tornando indietro verso il manicomio.
Una volta solo allungo il passo verso la taverna più famosa del Distretto 5: so che non è un posto molto raccomandabile, ma non posso fermarmi. Quei posti sono un crocevia di storie, non posso farmeli scappare. Entro nella locanda dove un gruppo di clienti è seduto a un tavolo e sta giocando a carte. Mi avvicino. Osservo da lontano la partita fino a quando non finisce e alcuni dei giocatori si allontanano. “Ti piacciono le carte? Ho visto che seguivi la partita”, mi domanda l’unico uomo rimasto al tavolo, probabilmente il vincitore. “Sai giocare?”, continua lui. Faccio segno di no con la testa.
“E ti piacerebbe imparare, magari?"
“Sì”, rispondo. Ogni cosa nuova mi piace.
“Allora, siediti, che ti insegno a diventare un vero baro”.


Abbiamo appena trovato un rifugio per la notte: è un vicolo laterale nascosto tra i palazzi. Non è chiuso da una parte però, nel caso dovessimo scappare.
“Sapete una cosa?”, dice Gabriel, “Se esco da qui la prima cosa che faccio è scrivere un libro ambientato in una città come questa".
“Sei uno scrittore?”, domando incuriosito.
“Be’, scrittore non proprio. Più una cosa personale”.
“Anch’io, sai? Solo che io non scrivo, ma racconto”, aggiungo.
“Sì? Allora cosa ci racconti?”, chiede Shine. Acconsento alla sua richiesta e racconto una storia che mi era stata narrata da un uomo che avevo incontrato alla locanda del Distretto 5. È la storia di un altro tempo. Parlo di giustizia, verità e capitani coraggiosi fino a che il sole non sparisce dietro i grattacieli.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    
 
Fine del giorno 1, ancora 18 tributi in vita
 
 
 
 
 
Era da tempo che volevo riprendere questa storia, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Che senso aveva continuare dopo più di un anno di interruzione?  Poi recentemente ho letto dei libri bellissimi che mi hanno fatto venire una gran voglia di creare una storia tutta mia e io ho ripensato a questa. Anche perché vorrei iniziare una nuova  ff, ma come si può se non ho neanche terminato la prima?
Capirò nel caso non vorreste più leggere o recensire (è passato del tempo), ma se i miei vecchi lettori vorranno riprendere a leggere, ecco qua il seguito.                                                          
   
 
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