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Autore: Eevaa    26/08/2019    5 recensioni
• Dopo otto lunghi anni dall'ultima battaglia contro Thanos, Peter trova finalmente il coraggio e il modo di mettere a posto le cose. Tuttavia riuscirà a sistemare anche il conflittuale rapporto con se stesso? •
Peter aprì gli occhi nuovamente, serrando la mandibola più forte. Non avrebbe mai dimenticato, non lo aveva mai fatto.
E, proprio per quel motivo, realizzò solo in quel momento come avrebbe dovuto agire.
Non aveva mai potuto farlo per se stesso, ma ora l'avrebbe fatto per Lei.

[TonyxPeter] [Spoiler!Endgame] [Spoiler!Far From Home]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Morgan Stark, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà della Marvel.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.
 


HIGH
HOPES



CAPITOLO 3 - IT'S TIME TO GO OUT AND START AGAIN

•••


 
Gli occhi di Tony si fecero due fessure. Si guardò intorno, incrociando gli sguardi seri di tutta quella congrega di eroi rinchiusa nella sala conferenze della T.S.M.A.F. Nessuno aveva risposto alla sua domanda, e non era la prima volta quel giorno.
Persino Morgan, la quale non aveva smesso per un secondo di parlare in tutta la serata, aveva chiuso la bocca e serrato le labbra in un sorriso mesto.
Tony tentò di incrociare il suo sguardo, ma non ci riuscì. Thor allargò le braccia in direzione di Rhodey, il quale gli mostrò di rimando un'espressione che era volta a fargli intendere che, no, non avevano ancora trovato il modo di dirglielo.
Ma dirgli cosa? Dove cazzo era Steve? Il cuore di Tony iniziò a martellare all'impazzata. Che fosse...? No, impossibile. Non Captain America. Eppure gli occhi di tutti coloro che considerava suoi amici non riuscivano a celare qualcosa che doveva essere per forza difficile da digerire.
«Rhodey... dov'è... dov'è Rogers? Non sarà...» Tony percepì le parole morirgli in gola, interrotto però dalla voce sommessa del suo amico.
«No! No, no, no, lui sta bene! Ecco...» si affrettò a rispondere questi. «A proposito del fatto che ci trovi tutti molto invecchiati, beh... lui potrebbe essere invecchiato un po' più del previsto».
Tony trovò a stento le forze per riprendersi da quello spavento. Rogers stava bene, quello era l'importante. Ma cosa significava quella cosa?
«Cos-ma che? Ma che cazzo vuol dire che-» balbettò, incapace di comprendere quanto riferitogli da Rhodey. Venne però interrotto dal rumore metallico della porta automatica scorrevole alle sue spalle.
E, non appena vi ci guardò attraverso, il fiato gli morì in gola. Percepì la propria lingua secca contro il palato, le gambe tremare come quelle di un bambino alle prime armi con la deambulazione tant'è che, per essere sicuro di riuscire a rimanere con i piedi per terra, si dovette aggrappare con una mano al bancone argenteo del bar della sala conferenze. Non riusciva a credere ai propri occhi. Se non fosse stato solo al secondo bicchiere di Gin sarebbe stato certo di avere le allucinazioni ma no, non era ancora ubriaco. Purtroppo.
«Non avrei mai pensato che nella vita sarei riuscito a far tacere quella linguaccia lunga di Antony Stark».
La voce roca di Captain America risuonò flebile nella stanza, mentre veniva trasportato all'interno dalla carrozzina automatica progettata dal signor Parker in persona. Al suo fianco, Bucky camminava lentamente, porgendogli poi il bastone nero laccato che ogni tanto consentiva all'uomo oramai troppo attempato di poter alzarsi in piedi. Il volto di Steve, solcato da rughe ben visibili, si accese in un sorriso composto, mentre Bucky gli dava una mano ad issarsi sulle gambe stanche. Tremò leggermente, ma quella era una di quelle occasioni per le quali non sarebbe potuto affatto rimanere seduto. Tony lo guardò di rimando, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati di chi aveva appena visto un fantasma - quando in realtà il fantasma in quella stanza era sempre stato lui, da otto anni. Capitan America era lì, davanti a lui, ma non aveva per niente l'aspetto e le sembianze del bel ragazzone spallato e muscoloso con il quale aveva combattuto fino a... beh, fino a quella mattina, per quanto gli riguardava! Possibile che in otto anni fosse invecchiato così tanto? Che l'effetto del siero fosse sparito? O che altro?
«Cristo» biascicò Tony, in preda a seri scompensi neuronali.
«No, sempre Steve Rogers» puntualizzò questi, avvicinandosi a passi lenti e incerti al vecchio amico. «E comunque... linguaggio!»
Al suono di quell'ammonimento, Tony non poté fare a meno di sentirsi scaldare il cuore. Era sempre lui. Solo che adesso aveva un apparente buon motivo per poterlo sgridare per il linguaggio. Insomma, a dispetto di come l'aveva sempre preso in giro chiamandolo nonnetto, adesso lo era per davvero!
Mosse due passi nella sua direzione, con l'innato istinto di dargli quel maledetto abbraccio e quella pacca sulla spalla che aveva sempre desiderato dargli dopo quei maledetti accordi di Sokovia, ma ebbe una gran paura di romperlo. Era ancora un super-uomo?
Si limitò a sorridergli di rimando. Cacciò indietro le lacrime che mai si sarebbe potuto permettere di lasciare andare di fronte al suo miglior nemico di sempre, e allungò una mano verso di lui. Egli l'afferrò con la sua libera, stringendola più forte di quanto si aspettasse.
Steve gli era mancato. Non lo vedeva da poche ore, ma gli era mancato – tuttalpiù che da quando si erano rivisti dopo Sokovia non avevano ancora passato un momento del tutto pacifico e tranquillo insieme. Si erano riconciliati, sì, ma erano stati comunque tempi duri.
«Ma cosa... come...? Cosa ti è...» balbettò Tony, senza riuscire a mollare la presa su quella mano tiepida.
Steve gli sorrise di nuovo, poi raccontò. «Ho fatto quello che mi hai suggerito tu». Raccontò poco, quanto bastasse per fargli comprendere la sua decisione e il suo agire. 
Steve disse che, nell'epoca alternativa in cui era vissuto – in una dimensione differente, dovuta allo squarcio temporale causato da lui stesso tornando indietro e interferendo con la storia[1] - l'aveva visto nascere. L'aveva visto crescere, aveva parlato con lui, era diventato il suo... mentore, forse? Una sorta di fratello maggiore, o zio. Del resto lui e Peggy non avevano potuto avere figli. L'aveva aiutato a sconfiggere Thanos prima che diventasse potente, aveva salvato i suoi genitori liberando Bucky dall'Hydra prima che diventasse il Soldato d'Inverno. Ma, nonostante tutte le differenze dovute ad una dimensione sottratta da Steve stesso alle catastrofi della vita, era stato pur sempre Tony Stark, un arrogante viziatello dall'animo sensibile. Steve l'aveva salutato otto anni prima per tornare nel suo mondo, un mondo senza Ironman, ma che forse aveva ancora bisogno di un attempato Captain America, vedovo e rugoso.
Steve aveva sentito la mancanza di Tony come sentiva ogni giorno la mancanza del Tony con cui era invecchiato, ma quel pomeriggio di settembre aveva ricevuto la notizia che Peter Parker l'aveva riportato lì. E non era riuscito a contenere la gioia, lo stupore, la commozione che in quel momento stava trattenendo nel raccontargli solo parte di ciò che aveva fatto, con la mano ancora imprigionata tra quelle nodose del suo vecchio amico.
Tony capì due cose da quel racconto: capì quanto ci tenesse e volesse bene a quel bastardo decrepito di Steve Rogers, e capì che Cap era la prova vivente che vivere in un'epoca o dimensione diversa dalla propria fosse consentito e lecito. E possibile, per lui, solo grazie a Peter.
 


Trascorsero tre settimane da quel giorno, da quella sera in festa dove tutti gli Avengers si erano riuniti di nuovo, dopo otto lunghissimi anni.
Inutile dire che Nick Fury aveva voluto fare le cose per bene, quando si era trattato di rivelare al mondo del grande ritorno di Tony Stark. La questione del viaggio nel tempo di Spiderman era rimasta celata e segreta, per questioni logistiche e soprattutto etiche. Quante persone avrebbero voluto sfruttare il Regno Quantico per poter riavere indietro i propri cari defunti?
Aveva organizzato un tour di convention della durata di tre fottutissime settimane per poter spiegare alle nazioni di come Antony Edward Stark era giunto lì da una dimensione alternativa andata distrutta da Thanos, e l'unico modo per salvarsi era stato quello di compiere un viaggio inter-dimensionale nel Regno Quantico che casualmente l'aveva condotto fino alla loro casuale epoca. Pura fortuna, quindi. Una paraculata delle dimensioni di un satellite. 
Tony non si era mai piegato alle convention e a quel tipo di cose, in passato, ma Nick Fury era stato categorico. Si era convinto che fosse l'unico modo per mantenere quella sorta di pace che finalmente si era creata sul pianeta Terra, e non avrebbe mai voluto che tale pace venisse scalfita proprio a causa sua. Sarebbe stato un vero smacco, per Dio! E quindi, per proteggere il mondo, gli Avengers ma soprattutto la sua Morgan, si era piegato al volere dello S.H.I.E.L.D e aveva fatto le cose per bene, anche a costo di passare poco tempo con la sua Maguna. E con Peter. Se il se stesso dei tempi dell'Afghanistan avesse potuto vedere tutta quell'assertività nei confronti delle istituzioni, gli avrebbe riso in faccia. O sputato in un occhio. Ma anche i più ribelli maturano, no?
In quel tempo lontano dalla T.S.M.A.F un giorno sì e l'altro no, ne aveva approfittato per rielaborare il lutto per Pepper, quando si trovava solo con la sua bottiglia di Champagne d'annata nelle lussuose stanze d'albergo. I primi giorni si era arrabbiato con se stesso per non aver trovato un modo di salvare il mondo senza lasciarla sola (in ogni caso, in quel mondo o quello dal quale era provenuto), ma riflettendoci Stephen Strange era stato piuttosto schietto: una possibilità su quattordici milioni. Dalla rabbia verso se stesso era passato a incolpare uno ad uno tutti i medici e scienziati di quel tempo per non aver trovato una cura alla sua malattia. Compreso Strange. Poi, dopo qualche giorno, era passato allo sconforto e alla tristezza; aveva pianto tutte le lacrime che gli erano rimaste e dato di stomaco più volte addormentandosi abbracciato alla tavoletta del gabinetto. Tra una convention e l'altra – adibite anche per poter rimettere in ordine le Stark Industries – era riuscito a passare alla base per starsene un po' in santa pace con Morgan, la quale gli aveva dato la forza per non morire dentro. Quindi era passato alla rassegnazione e poi, come d'incanto, all'accettazione.

Non seppe come, non seppe per quale oscuro motivo, ma un giorno si svegliò e vide tutto più chiaro, più limpido. Sentì l'aria nei polmoni meno pesante e il cuore riprendere a battere per vivere, non per continuare ad autocommiserarsi. Si recò sulla tomba di Pepper con una rosa bianca e - per prendersi un po' in giro - delle fragole. La ringraziò per tutto ciò che era stata per lui, dichiarandole e promettendole solennemente che sarebbe andato avanti. Aveva Morgan con sé. Aveva gli Avengers. Aveva un vecchio bacucco Captain America da riscoprire e aveva Spiderman.
Già, peccato che le occasioni che aveva avuto per poter parlare con Peter, in quelle settimane, si potevano contare sulla punta delle dita di una mano. Il ragazzo era sempre impegnato a fare l'amichevole Spiderman di quartiere, solo che il quartiere era diventato tutto lo stato di New York.
Era il diciannove di ottobre quando finalmente Nick Fury lasciò libero Tony dagli impegni dello S.H.I.E.L.D, incaricandolo però di rinnovare il progetto Avengers con dei nuovi accordi in vista di una riunione importante. Insomma, una palla colossale. Tutto ciò che avrebbe voluto fare quel giorno sarebbe stato rinchiudersi nel suo nuovo laboratorio – allestito per lui dal dottor Banner – e lavorare a una nuova armatura con le tecnologie di quel tempo. Ma, nel cercare ispirazione tramite delle ricerche olografiche, si lasciò tentare da qualcosa di succulento: i ricordi.
Tutto ciò che era accaduto in quegli anni all'interno e nei dintorni della T.S.M.A.F era stato immortalato in un file apposito da telecamere in 4D, le stesse che gli permettevano di spiare tramite ologramma tutte le aree comuni della base.
Si perse. Si perse nelle memorie, assetato dalla curiosità che lo spinse ad analizzare ogni momento importante delle vite dei suoi cari in quegli anni, specialmente i momenti riguardanti la crescita di sua figlia. Un breve riepilogo degli otto anni che aveva trascorso sotto terra, insomma. Anche se lui, per fortuna, sotto terra per davvero non ci era mai stato. Si fece guidare da FRIDAY – collegata a EDITH - in un tunnel di frammenti di vita, di avvenimenti frivoli, buffi o anche tristi. Fu grato di avere la possibilità, seppur da esterno, di rivivere la vita di Morgan.
I suoi compleanni, in particolare il settimo - quando i Guardiani della Galassia le avevano regalato la possibilità di andare a fare un giro nello spazio; con una Pepper preoccupata che aveva minacciato il figlio di Odino che, se non l'avesse riportata sana e salva, gli avrebbe ficcato il martello su per posti indicibili. Il suo primo giorno di scuola, con lo zainetto rosso di Ironman sulle spalle; lei che usciva trotterellando tutta felice mano nella mano con Pepper e Peter, e Happy commosso che l'aspettava in macchina. Le cene di Natale tutti insieme, i racconti di Cap ascoltati con interesse seduti accanto al fuoco. Il fortino di ragnatele che Peter aveva fatto alla piccola Stark per nascondersi da un violento uragano che aveva colpito la costa orientale degli Stati Uniti.
Vide Peter aiutare Morgan nei compiti più difficili, insegnarle ad allacciarsi le scarpe, rincorrerla per tutto il quartier generale insieme a Pepper per obbligarla ad andare alla recita di fine anno. Lo vide comprarle dei regali, mangiare ghiaccioli con lei seduto all'ultimo piano della base, guardare programmi stupidi alla TV e consolarla perché il primo giorno della scuola media un ragazzo le aveva detto che era bassa.
Poi, in un particolare ricordo, la vide oscillare su e giù per il palazzo con addosso una vecchia tuta da Spiderman ma, d'improvviso, cadere per un errore di valutazione nel lancio delle ragnatele. Il cuore gli martellò quasi fuori dal petto nel vederla precipitare nel vuoto, ma tirò un sospiro di sollievo quando Peter la prese all'ultimo per le braccia.
«Ma sei impazzita!? Si può sapere cosa diavolo ti è saltato in mente?» urlò Peter, mettendola giù a terra paonazzo. L'ologramma del ragazzo lasciava trasparire il suo sgomento. Il ricordo era recente, risaliva solo a sette mesi prima.
«Io... io volevo solo provare... imparare» balbettò lei ancora spaventata, facendo tremare il labbro inferiore e passandosi una mano tra i capelli castani, sull'orlo di un pianto nervoso.
«Avresti potuto morire, Morgan! Dannazione!» gridò di nuovo Peter, prendendosi la testa tra le mani con uno sbuffo. Tony lo guardò agire, con il cuore in gola, in estremo accordo con lui.
«Io voglio diventare un Avenger!» insistette lei, e Tony sentì le gambe cedergli.
«A dodici anni?! Tu non ti rendi conto di quanto sia pericoloso fare quello che facciamo noi». Peter strinse con le dita l'attaccatura del naso, tentando di calmarsi in gesto fin troppo tipico di Tony.
«Mio papà ti ha preso con lui che eri poco più grande di me!» puntualizzò Morgan, con le mani sui fianchi. Dannata Maguna testarda!
«Non so se l'hai notato, ragazzina, ma io ho dei poteri! Forza, entriamo in casa. Non ti azzardare mai più a prendere una tuta di nascosto». Peter la rimproverò ancora e, con un gesto secco, le disarcionò dal polso il bracciale a nano-particelle dell'armatura. 
«Allenami! Portami in missione, una facile! Perché non mi lasci provare!?»
«PERCHÉ SEI SOTTO LA MIA RESPONSABILITÀ!» ringhiò lui, esarcerbato, con le braccia larghe e la fronte corrugata. «Non posso fare il mio lavoro se perdo tempo a fare il baby sitter!»
Tony sussultò. Peter si stava comportando con Morgan esattamente come aveva fatto lui con Peter. Guardò l'ologramma del ragazzo allontanarsi e il volto di sua figlia rabbuiarsi, deluso e rigato dalle lacrime.
«FRIDAY, voglio sapere di più» mormorò Tony. L'assistente sostituì quell'ologramma con un altro, registrato appena fuori dalla stanza di Morgan.
Peter dovette bussare tre volte prima che la ragazza gli aprisse la porta, con i capelli spettinati e gli occhi gonfi e rossi. Era notte fonda.
«Morgan, senti... mi dispiace di aver alzato la voce» mormorò Peter, con entrambe le mani in tasca. «Ma io mi preoccupo per te. Tuo padre, se fosse qui, mi spezzerebbe l'osso del collo se ti mettessi in pericolo».
Tony deglutì. Altro punto per Bimbo Ragno. Era stato severo, sì, ma non aveva avuto torto. Si era comportato esattamente come avrebbe fatto lui, e la cosa gli riempì l'animo di leggerezza.
«Lo so...» soffiò lei a testa bassa, appoggiandosi con la spalla allo stipite della porta.
«Guardami, pulce» le disse dolcemente, costringendola a incontrare il suo sguardo. Le scompigliò ancora di più i capelli in un gesto affettuoso che la fece sorridere un poco, poi Peter continuò a parlare.
«Ti prometto che quando sarai più grande ti insegnerò tutto ciò che so, ma fino ad allora non devi fare niente che io farei. E soprattutto non devi fare niente che io non farei» mormorò, porgendole il mignolo come promessa solenne.
Tony si sentì sciogliere, avvertì gli angoli degli occhi pizzicare e le labbra tremare. Era così... così fiero di lui. Così felice per lei che avesse avuto l'occasione di crescere vegliata da una persona così straordinaria.
«Mi ricorda qualcosa!»
Una voce alle sue spalle che lo costrinse a voltarsi di scatto con un sussulto. Non l'aveva sentito arrivare, ma ora Peter Parker non era più solo un ologramma ad alta tecnologia al centro del laboratorio, ma una persona fisica e sorridente all'ingresso. Tony soffiò con il naso e sorrise.
«Spiacente di aver violato il suo copyright, signor Stark» continuò Peter, indicando se stesso nell'ologramma ancora acceso e messo in pausa. Mosse passi lenti verso di lui. Erano settimane che non avevano occasione di parlare con calma, da soli.
«Sei stato come un padre per lei» constatò Tony, dando adito a ciò che Banner gli aveva detto tre settimane prima, qualcosa a cui lui stupidamente non aveva creduto. Lo aveva ritenuto impossibile - del resto Peter era solo un ragazzino l'ultima volta che l'aveva visto. Ma aveva potuto osservare con i suoi stessi occhi ciò che aveva fatto per sua figlia e poteva guardarlo ora, così cresciuto a pochi passi da lui, con un accenno di barba incolta e le spalle larghe. Non era più un ragazzino per davvero, ma per lui lo sarebbe stato per sempre.
«Non ho mai voluto sostituirmi a lei, signor Stark». Peter si morse il labbro inferiore in preda a un lieve senso di colpa. Temeva che Tony potesse esserne geloso.
«Non ti stavo accusando, Pete. Sono davvero molto felice che tu le sia stato vicino durante la mia... ehm... assenza. Hai fatto un ottimo lavoro con lei» confessò Tony e, senza smettere di sorrise, scacciò via l'ologramma con una mano.
Non c'era amarezza nelle sue parole, solo sincerità, eppure Peter non riuscì nemmeno per un secondo a non sentirsi in parte responsabile, nonostante l'orgoglio per quanto si fosse sentito dire. 
«Mi dispiace che si sia perso tutte queste cose. E mi dispiace di non averle dato la possibilità di trascorrere questi ultimi anni insieme a Pepper» disse, pronunciando quell'ultimo nome con voce tremante. Gli mancava tanto, in fin dei conti. Era molto affezionato a lei. 
«Non è colpa tua, Peter! Non pensare che sia colpa tua!» Tony si avvicinò di un passo verso il ragazzo e gli mise una mano sulla spalla.
Peter rabbrividì a quel contatto. E sì, in effetti forse era diventato fin troppo egocentrico da poter pensare che ogni cosa fosse responsabilità sua. Esattamente come il suo Obi-Wan, del resto. «Come... signore, lei come sta, a proposito?» domandò, riferendosi alla perdita che Tony aveva dovuto affrontare in modo del tutto inaspettato.
Non doveva essere stato facile: seppur vero che avesse ritrovato tutti loro - gli scomparsi - aveva dovuto rinunciare a una persona importante. 
«Beh, Pepper mi manca... sono riuscito a farmene una ragione, più o meno. Sono felice di avere Morgan e di poter continuare a crescerla. E qui sto... bene» dichiarò Tony. Sorrise mesto e, con gesti teatrali, esibì e indicò tutti i nuovi giocattoli che Banner gli aveva procurato per il suo laboratorio.
Peter sorrise. La maggior parte di quegli aggeggi li aveva inventati lui, ma non avrebbe voluto dimostrarsi troppo impettito e montare un pippone su come e quando aveva avuto le idee per i nuovi macchinari.
«Non pensa di voler tornare nel suo tempo?» domandò Peter, colto dall'improvvisa paura che lui potesse andarsene. In quelle settimane non gli aveva mai più dato modo di pensarlo - dopo quel 27 settembre di fuoco - ma quel tarlo aveva comunque rosicchiato un angolo della sua mente.
Tony aggrottò le sopracciglia e riflettè sulla domanda di Peter. Ci aveva pensato, all'inizio. Inutile negarlo. Aveva pensato che avrebbero potuto salvarlo e lasciarlo lì dove fosse, a crescere la sua famiglia, a godersi quegli ultimi anni con Pepper. Ma poi... beh, non avrebbe mai potuto lasciare sola Morgan dopo la morte di sua madre. La piccola Maguna del suo tempo avrebbe avuto Pepper, Peter, e tante persone con cui crescere anche senza di lui... fino a quel 27 settembre 2031. 
«No, a dire il vero. Sono sicuro che Peter del mio tempo farà quello che hai fatto tu, quando Pepper se ne andrà tra otto anni. E poi ho visto che Morgan è in buone mani, è cresciuta bene grazie a voi. Grazie a te» spiegò Stark con un sorriso sghembo, rispecchiandosi negli occhi sollevati del suo protetto.
E, tra le altre cose, come diavolo avrebbe mai fatto ad abbandonarlo di nuovo, dopo tutto ciò che Peter aveva fatto per lui? Sarebbe stato un vero ingrato. E uno sciocco. 
«Sono un po' dispiaciuto che Peter non abbia avuto la possibilità di salutarla, signor Stark. Sa, io ho potuto farlo sul campo di battaglia prima che... beh, prima di ciò che è successo» confessò, ripensando al se stesso dell'altra epoca, alla sua disperazione nel vederlo andare via. Provò un brivido lungo la schiena, ma si rischiarò la mente nell'aggrapparsi di nuovo agli occhi castani di Tony.
«Beh, un giorno ce l'avrà. La pianterai mai di chiamarmi signor Stark, ragazzino?!» lo ammonì Tony incrociando le braccia al petto, con una serietà che venne però tradita da un angolo della bocca rivolto all'insù.
Peter rise e scosse la testa. Era così felice che fosse tornato!
«La pianterà mai di chiamarmi ragazzino, signor Stark?»
 


Trascorsero altre due settimane da quel giorno, e Tony non smise neanche per un attimo di ritagliarsi attimi di tempo tra una saldatura e l'altra per potersi godere dei piccoli frammenti di vita di sua figlia e tutti i suoi amici; mentre la sera, quando Morgan tornava da scuola, dedicava il suo tempo per aiutarla a fare i compiti ed essere il padre di una ragazzina adolescente che – per quanto fosse matura e intellettualmente spiccata – sempre adolescente era. A volte Tony faticava a restare al passo con i suoi ritmi. Non conosceva quasi nulla delle nuove tendenze, si era perso otto anni di vita e non poteva immaginare quanto fosse stato repentino il cambiamento delle abitudini dei teenagers; a volte sembrava che Morgan parlasse una lingua differente dalla propria. Persino Captain Geriatria sembrava comprendere meglio le usanze di quel nuovo decennio - e non aveva tardato a prenderlo in giro. Nonostante ciò, sentiva una connessione profonda con Morgan, l'adorava, avrebbe passato ore e ore ad ascoltarla cantare e suonare quella meravigliosa Fender Telecaster modello Giapponese. L'ascoltava fare il resoconto delle sue lunghe giornate di scuola, con quegli occhietti vispi e il sorriso dolce di sua madre, la guardava pettinarsi i capelli con le mani, la sentiva rispondere a tono agli altri Avengers con un senso dell'umorismo made in Stark Industries. Aveva iniziato a truccarsi la mattina, poco poco, giusto un velo di mascara. E quel lucidalabbra color caramello regalatole da Wanda che finiva spiaccicato sulle guance di Tony quando, entusiasta, Maguna lo salutava e si dirigeva zaino in spalla verso l'auto di Happy.
In quelle due settimane aveva appreso le sue routine e se ne era creato a sua volta di nuove. Adorava pranzare nel primo pomeriggio gustandosi i prelibati manicaretti di Sam Wilson - il quale aveva scoperto una vera e propria dote culinaria. Trascorreva le serate a recuperare gli ultimi film usciti, seduto comodo sul divano con sua figlia e gli altri malcapitati del caso. Scott – il quale si definiva un grande esperto di cinematografia – gli presentava ogni sera un nuovo spunto da vedere. Poi, una volta accompagnata Morgan a dormire, si immergeva di nuovo nel laboratorio, a volte solo, a volte con Banner fino a tarda notte.
E, proprio una fredda notte di inizio novembre, riuscì a saldare l'ultima parte di una nuovissima armatura dotata delle più moderne funzionalità. Una notte frenetica, fatta di viti, bulloni e software installati tra la fretta e la voglia di presentare al mondo il nuovo-vecchio Ironman.
Tony si accarezzò il pizzetto sotto al mento, osservando l'altra mano avvolta dall'armatura fino all'avambraccio. Aprì e chiuse le dita soddisfatto, controllando poi con la coda dell'occhio l'orario. Le due del mattino. Un orario perfetto per mettere alla prova quel gioiellino.


Tony camminò veloce e sicuro lungo i corridoi della T.S.M.A.F, come se conoscesse la mappatura della base da sempre, come se l'avesse costruita lui stesso. Non avrebbe mai immaginato di sentirsi così tanto a casa in un luogo del quale non aveva progettato né arredato quasi nulla, ma non se ne sorprese: chi l'aveva ideata era forse l'uomo – che strano chiamarlo in quel modo! - più simile a lui in fatto di gusto tecnologico. E poi gliel'aveva proprio dichiarato che si era ispirato ad alcuni vecchi progetti, per realizzarlo. Salì a due a due i gradini che lo avrebbero portato sul tetto. Il cuore martellante contro la cicatrice interna lasciata dal suo vecchio reattore, le mani tremanti dalla curiosità nello stringere tra le dita quella sorta di orologio contenente la sua armatura nuova di zecca, e un sorriso compiaciuto dipinto tra le leggere rughe del suo volto.
Era una notte tersa e stellata, in quella periferia lontana di New York. L'aria profumava di novembre e di fresco, di Halloween appena passato, del conto alla rovescia verso il giorno del ringraziamento. Il freddo gli pizzicò le guance e gli avambracci appena scoperti dalle maniche del maglione arrotolate fino ai gomiti, ma non vi badò. Si guardò intorno e, inalando curiosità e coraggio, si allacciò l'orologio al polso, assetato dalla voglia di tornare al mondo come colui che era sempre stato. Tuttavia, giunto il momento di premere quell'agognato pulsante, un movimento furtivo attirò la sua attenzione. Non si sentì minacciato, ma sorpreso. Di cosa, poi? Sapeva bene che le probabilità di incontrare qualcuno su quel tetto fossero ben alte, specie con tutti quei supereroi che non aspettavano altro che le notti per poter pattugliare il crimine in giro.
Peter si affacciò dall'alto del tetto rialzato e, dopo averlo osservato per qualche secondo, incrociò le braccia al petto. Tony sorrise sghembo e alzò gli occhi al cielo. Probabilmente Bimbo Ragno l'aveva avvertito sin da quando aveva iniziato la sua ascesa verso il tetto, nonostante avesse cercato di fare il meno rumore possibile.
«È il tuo posto preferito, quello lì?» domandò Tony ad alta voce, volgendo il proprio sguardo verso l'alto, lassù, dove lui e Peter avevano parlato al tramonto più di un mese e mezzo prima, appollaiati sul muretto.
Il ragazzo annuì e sorrise mesto. 
«È il posto dove venivo sempre per essere più vicino al cielo» ammise, con le labbra strette. Vicino al cielo, vicino a Tony. Non che ce ne fosse più bisogno, visto che il signor Stark era lì tra loro, ma non avrebbe mai perso l'abitudine di recarsi in quel luogo per pensare. E poi, da qualche parte lassù, c'era pur sempre un altro Tony. Quello della sua epoca.
Peter rabbrividì ma decise di ricomporsi. Con un agile balzo scavalcò il muretto e atterrò con un sorriso forzato a un metro di distanza dal signor Stark, il quale prese a guardarlo con aria sospetta. Probabilmente le sue occhiaie tradivano ciò che nascondeva. L'insonnia, eredità che Tony Stark gli aveva lasciato.
«Non riesci a dormire?» domandò quest'ultimo con una certa sicurezza. Avrebbe potuto riconoscere un nottambulo anche ad occhi chiusi.
Peter si avviò verso la ringhiera seguito da Tony, ci si appoggiarono con i gomiti l'uno di fianco all'altro.
«Sono otto anni che non riesco a dormire» sospirò Peter. Con la coda dell'occhio vide Stark irrigidirsi, ma che senso avrebbe avuto mentirgli? Oramai gli era ben noto come la sua dipartita aveva segnato per lui un trauma non indifferente. Era poco più che un ragazzino!
Tony se ne dispiacque, sebbene la decisione presa dal Tony di quell'epoca fosse stata necessaria per salvare tutti. «Ti capisco, sai?» sussurrò. Era talmente abituato ad avere notti insonni! «Incubi?»
Peter sospirò, chiuse gli occhi per un attimo e deglutì alla ricerca di un appiglio per farsi un po' di forza. Non aveva più motivo di pensarci, non aveva più motivo di ricordare eppure, nonostante Tony fosse lì vicino a lui, una parte di se stesso lo obbligava a svegliarsi nel bel mezzo della notte, madido di sudore e con il cuore che palpitava a una velocità fuori dal normale.
Io sono Ironman.
«Sempre lo stesso» ammise Peter, scuotendo la testa per scacciare via l'immagine di quello schiocco di dita. Possibile? Non riusciva a levarselo dalla testa. Mai.
«Ti va di raccontarmelo?» 
«Non credo. Non voglio metterle in testa qualcosa che fortunatamente non ha vissuto». Peter ne aveva già parlato in abbondanza con il suo analista, di quell'incubo. O meglio, di quel ricordo che non riusciva a togliersi dalla mente, sia dal conscio che dall'inconscio. Non ne poteva più di ripercorrere quei duri momenti, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere Tony da quella cosa. Forse era per quel motivo che continuava a evitare di ritrovarsi solo con lui da un mese e mezzo. Affrontare l'argomento avrebbe voluto dire scoprirsi fin troppo e dare lui un peso insostenibile.
Mi dispiace... Tony...
Tony strinse le labbra. Pensare a ciò che Peter aveva dovuto trascorrere - alla sola età di diciassette anni - lo fece rabbrividire. Non solo era stato ridotto in cenere da un pazzo scriteriato con manie di distruzione ma, appena tornato nel mondo dei vivi, aveva dovuto combattere una delle battaglie più difficili della sua vita durante la quale... beh, durante la quale aveva dovuto vederlo morire. Sapeva quanto quel ragazzo lo vedesse come un... padre? No, forse un mentore, un amico. Beh, qualsiasi cosa fosse, sapeva di essere stato importante per lui. E solo il pensiero della sofferenza che doveva aver provato – lui come Morgan, come Pepper - lo fece rattristire parecchio.
«Pete... m-mi dispiace per quello che hai dovuto sopportare» balbettò. Non era ancora abituato a quei discorsi ma, a giudicare dalla reazione di Peter, che  riprese a guardarlo in faccia, non era poi così negato ad essere empatico. Cielo, era invecchiato per davvero!
«È stato orribile guardare i suoi occhi spegnersi, signor Stark» rivelò il ragazzo di getto. Non avrebbe dovuto mostrarsi così debole di fronte a lui, ma a quanto pareva non era l'unico ad avere delle debolezze.
«È stato orribile guardare il tuo corpo ridursi in cenere, Peter. È stato il mio incubo ricorrente per cinque anni» confessò Tony nella speranza di dare un minimo di... conforto? Sì, conforto. O rendergli meno difficile il confidarsi con lui riguardo a quelle cose. Dal giorno in cui era tornato non ne avevano più parlato. Avevano parlato di Morgan, di come se la fossero cavata bene, della nuova base, di alcune missioni o quant'altro.
Tony era certo che Peter avesse fatto apposta ad evitarlo per quasi un mese e mezzo, o quantomeno a vederlo lontano da qualsiasi possibilità di rivelarsi le loro debolezze. Raccontarsi il fatto che no, non fosse affatto stato tutto facile. Per nessuno dei due.
E, nonostante Tony sapesse quanto fosse stata dura per Peter e Peter sapesse quanto fosse stata dura per Tony (Pepper gliel'aveva raccontato spesso che Tony, durante i suoi cinque anni in cui era stato pulviscolo spaziale, non aveva trascorso notte senza guardare la loro foto insieme), non avevano mai trovato il coraggio di parlarne per davvero. Parlarne con calma, rivelarsi tutte le sfaccettature del loro dolore. Era difficile, troppo difficile e doloroso. E forse Peter non era ancora pronto a raccontargli di tutte le notti passate a piangere, quando invece Tony forse sarebbe stato pronto a raccontagli che l'unico motivo per il quale aveva accettato di viaggiare nel Regno Quantico era stato riportare indietro lui. 
Si guardarono per qualche istante come se si trovassero appesi a un filo – o ad una ragnatela – ma fu lo stesso Peter a salvarsi. A tirare il filo e aggrapparsi a un porto sicuro, ancora troppo fragile e troppo coscienzioso per rivelare tutte le proprie debolezze all'uomo che per anni aveva voluto solo compiacere. Al quale aveva sempre voluto mostrarsi grande, forte e determinato. Perché mai, ora che era grande forte e determinato per davvero, avrebbe dovuto rovinare tutto (tutta l'immagine che era riuscito a dare di sé fino a quel momento) scomponendosi e mostrandosi fragile come quel ragazzino spaventato di una volta?
E io volevo che tu fossi migliore.
Era finita, giusto? Era tutto passato. Erano salvi. Niente più Thanos, niente più pericoli alieni. E ora era migliore per davvero, Peter. Era un adulto! 
«Ma ora siamo qui, giusto?» sdrammatizzò Peter. Mostrò i denti in un sorriso largo.
Tony comprese che per Peter fosse troppo difficile mettersi a nudo. Lo rispettò e gli diede probabilmente quello che voleva: un gran sorriso e un ulteriore riconoscimento per ciò che era diventato.
«Sei cambiato così tanto, Pete! Parli meno, e soprattutto meno velocemente. Non hai ancora attaccato con una filippica, insomma!» ironizzò.
«Le dispiace?» si sincerò Peter, preoccupato che il suo mentore non lo riconoscesse davvero più. E per un attimo si sentì stupido, quando il signor Stark si mise a ridere.
«Oh, no. Voglio dire, ero tanto affezionato a quel ragazzetto impulsivo che ogni tanto ancora vedo in te. Tipo adesso nei tuoi occhi sgranati dalla curiosità di ciò che ho da dirti. Ma sono tanto orgoglioso di ciò che sei ora» disse Tony, un po' più serio in quell'ultima confessione. «Si vocifera del fatto che tu sia diventato per davvero il nuovo Ironman».
«Ho sempre smentito quelle voci, nonostante sia stato lei stesso lasciandomi quegli occhiali a dare il via ad esse. Io sono sempre e solo Spiderman» puntualizzò Peter, fiero. Certo, per il primo periodo successivo ai fatti di Mysterio era stato molto orgoglioso del fatto che Tony avesse riposto in lui tutta l'eredità di Ironman tramite EDITH – ed era stato molto fiero che tutti si appellassero a lui come "il nuovo Ironman" – ma aveva poi provveduto a rimarcare il suo ruolo. Nessuno avrebbe mai eguagliato né sostituito Ironman, ma come Spiderman avrebbe sempre fatto tutto ciò che era in suo potere almeno per proteggere il mondo come avrebbe fatto Tony Stark.
«Ottima risposta, ragazzino» si compiacque Tony, con un occhiolino. «IO sono Ironman».
Io sono Ironman.
Peter deglutì. Il suo cuore si fermò per un istante, giusto il tempo per fagli iniziare a sudare freddo. Quelle parole pronunciate con quella stessa voce furono una stilettata. Sentì il panico mordergli le caviglie e invadere tutti i suoi sensi di ragno. Tony lo notò, lo guardò sbiancare ma non capì cosa diavolo gli stesse accadendo.
«Pete... ho detto qualcosa che non v-» si accertò, interrotto però da una vocetta acuta alle loro spalle. 
«Papà! Zio Peter!» li chiamò Morgan, con un tono sorpreso nella voce. Uscì allo scoperto e si strinse infreddolita nel suo parka verde militare, infilando il naso nella sciarpa di lana color ocra.
«Maguna, che ci fai ancora sveglia?» Tony si staccò dalla ringhiera e si avvicinò alla figlia, tirandole il cappuccio sulla fronte con un gesto affettuoso. Peter li raggiunse altrettanto in fretta e benedisse Morgan per essere arrivata al momento giusto per poterlo distrarre dalle sue ingiustificate crisi di panico.
Da quando Tony era tornato erano addirittura aumentate. Ridicolo! Erano anni che quegli attacchi erano destinati solo ai risvegli notturni, e invece in quel momento bastavano tre parole messe al posto sbagliato per fargli perdere la testa. Non voleva che quella cosa pregiudicasse il fatto di godersi i bei momenti insieme.
«A dire il vero ero così stanca che sono andata a letto senza cena, e ora mi sono svegliata in preda a una fame da lupi!» confessò Morgan, con uno sbuffo.
«Uhm, ora che ci penso anche io ho fame» si ricordò Tony, percependo il proprio stomaco brontolare. Aveva passato la notte in laboratorio e si era dimenticato di ingurgitare cibo.
«Ehi! Andiamo a mangiarci un cheeseburger tutti e tre insieme?» trillò lei, con rinnovato entusiasmo.
«Sono le due del mattino, i mocciosi come te dovrebbero dormire a quest'ora» puntualizzò Peter, con una sonora risata. Non che fosse così una cattiva idea mettere qualcosa sotto ai denti, in quel momento.
«I mocciosi come me non hanno un papà e uno zio così fighi da portarmi in centro volando» sottolineò Morgan, alzando le sopracciglia in modo provocatorio prima verso il padre, poi verso Peter.
E, come se il richiamo del cibo – ma soprattutto di farsi un bel giro sotto mentite spoglie a New York City – fosse qualcosa di irresistibile, ogni traccia di turbamento o paranoia mentale sparì dalla mente dei due Avengers i quali, senza doversi dire niente, presero a guardarsi con l'espressione complice di chi sa perfettamente cosa fare.
 


«WOOOOOOOOOHOOOOOO!»
Morgan si avvicinò alle stelle ed ebbe quasi la percezione di poterle toccare, lanciata con forza verso il firmamento dalle braccia meccaniche del padre. Si immerse nel blu della notte senza alcuna paura, con i capelli scompigliati dal vento e le mani tremanti di freddo, poi si lasciò cadere con altrettanta sicurezza verso il basso dove, ne era certa, ci sarebbero state le calde braccia di Spiderman a prenderla al volo.
Peter la prese per la vita e agganciò una delle sue ragnatele al Queensboro Bridge per darsi lo slancio verso l'alto e passare di nuovo Morgan al padre il quale, afferrandola al volo, la portò ancor più in alto di prima sulle nuvole. Quale modo migliore per Tony di provare la sua nuova armatura – che era stata idolatrata oltre ogni aspettativa dal buon vecchio animo nerd di Peter Parker – se non volando verso Manhattan con le uniche due persone con le quali avrebbe voluto trascorrere la serata?
Fece un'agile piroetta in aria meravigliandosi e auto-compiacendosi della nuova tecnologia molto più agile e scattante del nuovo decennio, poi lasciò cadere la sua Maguna in direzione di Peter. Questi la agganciò con una ragnatela e, tirandosela verso di sé, decise di raggiungere le rive della cinquantanovesima strada a tutta velocità.
«Prepararsi all'atterraggio!» annunciò Peter in picchiata verso il terreno, avvertendo le braccia di Morgan stringersi più forte alle sue spalle poco prima di toccare il suolo.
«WOW! È stato pa-zze-sco! FIGHISSIMO!» urlò lei sovreccitata non appena, con i capelli scompigliati e le gambe tremanti dall'emozione, riuscì a tenersi in piedi da sola. Dall'altra parte della strada un barbone ubriaco sgranò gli occhi nel vedere Ironman in persona atterrare a pochi metri di distanza ma, per l'appunto, con tutta probabilità si considerò troppo ubriaco perché fosse tutto reale.
«L'amichevole Spiderman di quartiere conosce un posto dove possiamo cenare tranquilli in borghese?» domandò Tony, riponendo l'armatura all'interno della nano-tecnologia del suo orologio.
Peter guardò Morgan sorridendo, ed entrambi si spalleggiarono verso quello che era il loro posto preferito.


I tre doppi cheeseburger con aggiunta di salsa barbecue vennero portati al loro tavolo dalla signora Madison in persona, una donna sulla sessantina che aveva preso Peter in simpatia già da parecchi anni. Era stata una delle uniche persone che gli aveva creduto quando era stato diffamato da Quentin Beck dopo gli eventi in Europa e, sebbene ci fosse voluto più di un mese e mezzo per essere scagionato, lei l'aveva protetto e gli aveva dato manforte sin dall'inizio. E inoltre adorava la piccola Morgan. Inutile dire che quella sera - quando avevano bussato tutti e tre alla porta del suo piccolo diner tra la terza e la settantaduesima sull'Upper East Side - la signora aveva quasi dato di matto nel vedere Tony Stark in persona. Oramai lo sapevano tutti che era tornato in circolazione, ma vederlo con i propri occhi l'aveva mandata fuori di sé.
E così, dopo aver autografato tutti i poster sulle mura del diner, Stark e famiglia erano riusciti ad accomodarsi e farsi servire quanto ordinato e quattro porzioni extra di patatine arricciate.
«Non so come, ma nel 2031 i cheeseburger sono ancora più buoni di prima, se possibile» grugnì Tony, addentando il proprio panino con estrema foga. C'erano tantissime cose diverse, in quel futuro, alcune migliori e altre assurdamente bizzarre. Ma di una cosa era certo: la salsa barbecue era molto più saporita.
Mentre la Coca Cola... beh, meglio lasciar perdere. Quello sì che era un lutto vero.
Peter, seduto accanto a lui, lo guardò mangiare di gusto e si ricordò di tutte quelle volte nelle quali, poco prima degli avvenimenti che lo avevano portato a partire per lo spazio, avevano passato intere nottate dei week-end a progettare nuove cose insieme nei laboratori divorando cibo spazzatura. Era stato davvero un bel periodo, quello lì.
Pensa te se per farti stare zitto un secondo devo rimpinzarti di cibo!
Parker sorrise a quel ricordo. In effetti era stato davvero una macchinetta di flussi di coscienza, ma come avrebbe potuto essere altrimenti? Un diciassettenne circondato da macchinari altamente tecnologici con il permesso di usufruirne dall'uomo più famoso dell'intero pianeta! Si sentì sciocco, specialmente quando, alzando lo sguardo verso la sedia vicino, vide Tony fissarlo e ridere della sua espressione sorniona e anche un po' stupida.
Ma di sicuro non poté immaginare che, proprio nello stesso istante, Tony stesse sorridendo per il medesimo ricordo.
«Beh? Quando inizierete a lavorare alla mia tuta?» si intromise Morgan liberando il giovane Parker dal completo imbarazzo, ma ponendolo di nuovo in una posizione di contrasto come quella di diversi mesi prima. Ne avevano già parlato, dannazione!
«Quando avrai diciotto anni».
«Quando avrai quindici anni».
Le voci di Peter e Tony risuonarono all'unisono, diversificate solo da un'evidente discordia sull'argomento principale; cosa che li fece voltare l'uno verso l'altro per guardarsi allibiti. E Morgan, seduta in mezzo di fronte ai due supereroi, non poté fare a meno di alzare un sopracciglio.
«Signor Stark? Quindici anni?» domandò Peter, esterrefatto.
«Ti ho preso con me a quell'età o sbaglio?» rispose con semplicità lui con tanto di spallucce, infilandosi poi una patatina in bocca senza troppi complimenti.
«Io sono stato morso da un ragno! Non le sembra un po' prematuro? Morgan non ha superpoteri» spiegò con ovvietà Peter, non comprendendo se il suo mentore fosse impazzito o stesse cercando solo di non farsi rompere le scatole dall'insistenza di sua figlia.
«Uhm, hai ragione. Facciamo quindici e mezzo» concluse Stark, posizionandosi meglio gli occhiali dal vetro semi-trasparente sul naso. Poi incrociò le braccia al petto, con il volto illuminato da una consueta strafottenza.
«Cosa!? No! Diciassette!» rilanciò Peter, sbalordito.
Morgan, con gli occhi fuori dalle orbite e una patatina imbevuta di maionese tenuta a mezz'aria, non riuscì a credere alle proprie orecchie.
«Ricordati chi è il capo, qui. Ok, te lo posso concedere... sedici anni» convenne Tony, trovando ragionevole la precedente affermazione di Peter. Ma suvvia! Morgan era sua figlia, sarebbe stata portata per certe cose. E poi, almeno un poco, voleva ingraziarsela e far passare Peter per il pesantone, una volta tanto!
«Ma signor Stark!» insistette veemente Peter.
«Torniamo a quindici anni!?» giocò d'astuzia, divertito dall'insistenza del suo protetto.
«Ahhh, ci rinuncio. Andata per sedici, ma almeno per un anno sotto la nostra completa supervisione» bilanciò il ragazzo, portandosi entrambe le mani sulle tempie. A volte dimenticava quanto fosse difficile argomentare e controbattere con Tony. Ma, da quanto ricordava, Happy si stupiva sempre di come Peter fosse l'unico a cui - a volte - Stark dava ascolto.
Nonostante tutto, entrambi si resero conto di quanto quei momenti di spensieratezza fossero loro mancati.
«Ehi, vi rendete conto che io sono qui davanti a voi? Avrò un minimo di potere decisionale in que-» protestò Morgan, interrotta però da entrambi i quali, nel medesimo istante, si voltarono verso di lei per ammonirla.
«Silenzio, ora parlano gli adulti!» dissero all'unisono, con tempismo e coordinazione. Peter arrossì imbarazzato, mentre Tony tirò fuori la sua migliore espressione attonita.
«Sembrate una vecchia coppia di sposi» commentò con voce sarcastica Morgan e, dopo aver scosso la testa con fare contrariato, riuscì finalmente a infilarsi in bocca quella dannata patatina.
A quelle parole, Tony non riuscì proprio a fare a meno di trasalire. Tony Stark che arrossisce? Ma da quando?
I due supereroi si guardarono sottecchi per parecchi secondi, secondi pregni di domande e questioni irrisolte. Per un attimo Peter temette di avere esagerato. In fondo era Tony il padre di Morgan, che diritto aveva di questionare sulle sue scelte educative? Si sentì in colpa. Aprì la bocca come per dire qualcosa – scusarsi, giustificarsi o cos'altro – ma, puntuale come un orologio svizzero, fu il fato disturbare quel momento nel modo più ovvio possibile: un'esplosione assordante in un cantiere a soli tre isolati di distanza.
Tipico, no?

 
Continua...



[1] Ci sono molte teorie riguardanti il viaggio nel tempo compiuto da Steve alla fine di Endgame. Molti sono sostenitori di una linea temporale sola che si può percorrere avanti ed indietro, stando attenti a non modificare o intralciare gli eventi. Secondo molti Cap è tornato indietro ed ha vissuto una vita senza interferire troppo con la storia e, nel 2023, si da Bucky, Hulk e Sam dove sapeva che fosse partito. Io mi sono rifatta invece a quella del nastro di Mobius - che in realtà è la più probabile e sensata, se vogliamo dirla tutta, in quanto Cap ha interferito sì con la storia sposandosi con Peggy! Questa teoria prevede che dal momento in cui Steve è tornato indietro si è creata una nuova linea temporale (chiamiamola B-side), parallela ma diversa a quella originale e - nel 2023 di quell'anno, egli abbia trovato il modo di viaggiare nel regno quantico per tornare alla sua realtà originale. Ecco spiegate le mie scelte stilistiche su cosa abbia fatto Cap nella linea temporale B-side.

ANGOLO AUTRICE:
Ciao a tutti! Eccomi finalmente tornata con il terzo capitolo di questa long. Ho visto con piacere che siete in tanti a seguirmi, sono davvero molto contenta che questo mio primo approccio con il fandom MCU sia gradito. Se avete voglia o se avete dei dubbi non fatevi problemi a lasciarmi un vostro parere. Anche critiche costruttive dato che, sì, sono decisamente perfezionabile :D
Abbiamo assistito in questo capitolo un grande ritorno di scena! Il mio tesoruccio è un po' bacucco, ma fortunatamente ancora vivo e con un grandioso passato alle spalle che spero avrò modo di raccontarvi in modo più approfondito.
Il nostro Tony, dopo aver finalmente elaborato il suo lutto, si è immerso nei ricordi e si sta piano piano rendendo conto che il ragazzino che conosceva è cresciuto ed è stato assolutamente un degno erede. Morgan? Morgan io la trovo un personaggio delizioso.
E Peter... beh, Peter sembra avere fatto un passo a ritroso. E' più fragile, più paranoico e, nonostante sia in un brodo di giuggiole per aver riavuto Tony indietro, è pieno di sensi di colpa e di insicurezze. Come farà a farsi passare gli incubi?
Così, dopo un battibecco da coppia sposata su come educare la ragazzina, è successo un patatrack! Esplosione? Detonazione? DOVE? COME? Possibile che non si possa mai star tranquilli a NY?
Credo proprio che riuscirò ad aggiornare intorno alla seconda settimana di settembre! Nel frattempo vi auguro un buon fine vacanze (T___T mi viene da piangere, non voglio tornare al lavoro!) e buon proseguimento!
Eevaa
  
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