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Autore: evil 65    26/08/2019    16 recensioni
Due anni sono passati dalla guerra contro Thanos.
Peter Parker e Carol Danvers sono ormai diventati buoni amici, alternando la loro vita da supereroi a rari momenti di vita quotidiana in cui si limitano ad apprezzare l’uno la compagnia dell’altra, come farebbero con qualsiasi altro membro degli Avengers.
Tuttavia, Peter vuole di più…anche se sa che non dovrebbe.
A peggiorare le cose, un misterioso serial killer dotato di poteri fugge da un carcere di massima sicurezza, cominciando a seminare morte e distruzione in tutta New York…
( Sequel della one-shot " You Got Something For Me, Peter Parker ? " )
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Danvers/Captain Marvel, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Lemon, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Avengers Assemble'
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Ecco un nuovissimo capitolo!
Ho pubblicato un po’ in anticipo, perché stasera partirò per un lungo viaggio, e non so se avrò a disposizione Internet. Per tale motivo, il prossimo capitolo potrebbe tardare.
Detto questo, vi auguro una buona lettura!
 


Avengers…Assemble!
 
Peter stava volteggiando a tutta velocità tra gli alberi della Louisiana.
A differenza di New York, le vie percorse non seguivano un reticolato prestabilito, sembravano invece incurvarsi a destra e a sinistra come in un dedalo, cosa che avrebbe reso problematica la guida di un mezzo anche nelle migliori condizioni.
Ben memori degli assalti che avevano subito le altre basi, Brokeridge aveva reso l’accesso alla magione il più difficoltoso possibile ai nemici che lo avrebbero preso di mira. E ci era riuscito benissimo.
L’uomo si era scelto una bella casa: una villa moderna di tre piani con un giardino cinese pensile sul tetto scoperto. Dei miliziani presidiavano l’edificio notte e giorno, assicurandosi che fosse protetto da qualsiasi avvicinamento e a qualunque ora.
Karen caricò sul visore di Peter i dati relativi dai suoi sensori, che mostravano tre segnali di calore sulle tre rampe di scale che portavano all’attico. Due mercenari erano di guardia all’ascensore, e altri due erano appostati sul tetto. Evidentemente, Brokeridge non gradiva improvvisate.
<< Vedo diversi segnali >> annunciò Sam, attraverso il canale condiviso della squadra. << Due carri armati più avanti >>
<< Carol, Bruce, dovrete occupartene voi, io sto puntando una falange di soldati >> disse Rhodey, attirando l’attenzione della donna.
<< Soldati? Bello. Farai una sfilata? >>
<< No, pensavo a dei semplici fuochi d’artificio >>
L’Avenger azionò il computer della tuta, diede una scorsa alle armi frontali e scelse l’icona rossa BLINDATO. Con un lieve ronzio, le mitragliette che aveva sulle spalle ruotarono in posizione.
Le scocche anteriori dell’armatura si ritirarono, scoprendo una batteria di armi 1-A, compresi sei piccoli missili a guida infrarossa.
<< Servirà l’artiglieria pesante >> commentò a se stesso.
I soldati avevano dei fucili anticarro e antimateria, e carabine ad alta potenza. Erano pronti ad affrontare qualsiasi cosa l’esercito potesse lanciare loro addosso, se non di più.
Ma ora non avevano a che fare con l’esercito.
Su un albero, a pochi metri dal giardino, Peter seguiva i movimenti dei mercenari intorno al perimetro e calcolava quanto ci metteva il gruppo di soldati a completare il giro prima che arrivasse quello successivo.
Il lasso di tempo era di una precisione sconvolgente: da quando il primo svoltava l’angolo a quando spuntava il secondo passavano soltanto nove secondi.
Il tempo non era certo dalla sua, ma Peter doveva farselo bastare. Inoltre, la squadra d’assalto gli avrebbe fatto guadagnare un minimo di distrazione.
<< Ok, signori >> proclamò la voce di Rhodey. << Pronti ad andare tra 9, 8… >>
In silenzio, il vigilante si posizionò su un altro albero. Un gruppo di miliziani sparì, e un altro ne prese il posto.
Si mise in attesa : avrebbe aspettato che svoltassero di nuovo l’angolo e, quando si fossero girati a causa dell’attacco imminente, avrebbe fatto la sua mossa.
Gli passarono davanti due guarnigioni. Scomparsa la prima coppia di soldati, la successiva si sarebbe trovata alle prese con il resto degli Avengers e questo gli avrebbe fatto guadagnare secondi preziosi.
Peter inserì le lenti notturne integrate alla sua maschera, quando Rhodey  aprì il fuoco.
Nello spazio tra il giardino e i soldati esplose una luce rotante che li abbagliò all’istante. Mentre quelli si dimenavano impotenti, Carol saltò nella mischia.
Atterrò e tirò un pugno alla gola del soldato più vicino, facendolo subito cadere in ginocchio, dopodiché gli diede una gomitata alla nuca. Per almeno venti minuti, l’uomo non si sarebbe ripreso.
Come una scheggia, la donna si diresse verso gli altri soldati. Erano ancora accecati, ma presto l’effetto sarebbe svanito.
Ne stese altri due senza incontrare resistenza. Ne mancavano ancora tre.
Si concesse un sorriso, mentre notò con la coda degli occhi che il resto dei Vendicatori era entrato in azione, abbattendo nemici come se fossero mosche.
Di fronte a lei, un soldato si sfregò le palpebre per schiarirsi la visuale, ma, prima che ci riuscisse, Carol volò verso di lui e gli diede una pedata in faccia. Poi si girò e ne atterrò un altro, mentre spari ed esplosioni riecheggiarono alle sue spalle.
Nel mentre, Peter balzò fuori dal suo nascondiglio e planò verso il gruppo spaesato che osservava la scena dall’altro lato della casa. Mise K.O la coppia di mercenari, ne nascose subito i corpi e alzò lo sguardo.
Sparò una ragnatela sul tetto e partì in alto, un attimo prima che sbucassero gli altri soldati.
Arrivato sul cornicione, lanciò di nuovo una ragnatela, beccando stavolta le gambe di due guardie appostate lassù. Prima ancora che quelle riuscissero a sorprendersi, la tirò e le fece cadere. Cercarono di rialzarsi e lottare, ma il vigilante saltò loro addosso.
Andò verso la porta di accesso all’edificio e spaccò la serratura.
Poi, attivò il trasmettitore della maschera e gli comparve di fronte il volto di Carol.
<< Sono dentro, ma per muovermi al meglio avrò bisogno della posizione di Brokeridge >> disse a bassa voce.
<< Nessun problema >> rispose la donna. << Dammi solo un minuto >>.
 
                                                                                                                                                              * * * 

Al di fuori dell’edificio, la battaglia tra gli Avengers e i soldati dell’Hydra si stava svolgendo senza esclusione di colpi.
<< Bruce, sto per darti uno splendido raggio di sole nelle tenebre perenni della Lousiana >> disse Sam, volando sopra la figura del golia verde. << Il carro armato principale è un drone telecomandato >>
Hulk sorrise con anticipazione.
<< Allora posso andarci pesante >>
<< Solo con il primo >>
Bruce annuì comprensivo.
Affinchè Carol potesse concentrarsi sul carro armato guidato da uomini – al momento la sfida più difficile – doveva togliere subito di mezzo il drone. Cercare di non uccidere gli avversari era sempre più difficile che rifilare loro quello che si meritavano, ma Bruce era stato considerato un mostro per troppo tempo, non avrebbe mai seminato morte.
Compì un balzo a mezz’aria, sollevandosi per quasi dieci metri dal suolo. Poi, scaricò tutto il peso sulle gambe e atterrò con forza sul tetto del carro armato.
Tre secondi dopo, il drone saltò in aria.
Il secondo carro armato si avvicinò e la torretta roteò per mettersi in posizione. Il cannone da 75 mm si allineò per puntare dritto sul golia verde.
Carol non gli diede la possibilità di sparare. Fissò la traiettoria e lanciò due attacchi energetici. Il primo colpì la ruota motrice anteriore e il secondo distrusse il cingolo.
Per poco l’attacco non fece ribaltare il blindato, ma si raddrizzò, sobbalzò e si fermò. Ci avrebbe rimesso un po’ per rimettersi in moto, quindi Carol sparò un terzo colpo che distrusse i cannoni da 75 mm. Quando finì, il bestione che avrebbe potuto radere al suolo gran parte di una città era diventato praticamente un enorme fermaporta.
Con la coda dell’occhio, la donna notò una minuscola e familiare figura infiltrarsi tra i resti del mezzo.
Attese per circa mezzo minuto.
<< Carol, sono riuscita ad hackerare i codici di comando >> disse la voce di Hope, attraverso il trasmettitore. << Sto sbloccando il portellone >>
<< Il guidatore sarà parecchio scosso, quindi siate carine >> le avvertì Rhodey.
<< Nessun problema >> rispose Carol. << Lo sai che sono una persona socievole >>
<< Sì, proprio quello che dicono tutti >>
La donna andò di corsa al carro armato e trovò il portellone aperto, con Hope che la aspettava a pochi passi dal mezzo. L’uomo che lo guidava era intrappolato all’interno di un groviglio di cavi elettrici rotti. Carol l’aveva mancato per un soffio, ma, alla fine, il soldato sarebbe stato ancora in grado di camminare, anche se molto probabilmente zoppicando.
<< Concentrati anche se ti fa male >> gli disse la donna. << È per il tuo bene >>
L’uomo annuì con forza. << La gamba…non…non la sento più. Credo che dovranno amputarmela, o che so io >>
Alzò lo sguardo, con gli occhi sgranati. << Devi aiutarmi. Ti prego, aiutami! >>
<< Non  te la amputeranno >> commentò Hope, alle spalle del soldato. << Almeno, non se riusciamo a portarti al più presto in ospedale…prima che vada in cancrena >>
“ Brava” pensò Carol. “ Dagli un incentivo”
Osservò l’uomo che cercava di resistere al dolore, ma non ce la faceva. Ancora uno o due minuti e sarebbe stato disposto a far scoppiare la Seconda Guerra Mondiale pur di mettere fine all’agonia.
<< Ora potremmo salutarti e lasciarti qui >> continuò la bionda. << Ma dubito che riusciresti a strisciare fuori…e, anche se se la facessi, non credo che te ne andresti di qui in tempo. Ma se mi dai una qualche informazione, posso farti portare via in elicottero prima che la tua gamba peggiori. O parli con me o resterai da solo >>
<< Qualsiasi cosa tu mi chieda >> disse il soldato, sbiancando per lo shock. << Ti rivelerò tutto. Basta che mi aiuti >>
<< Bene. Se mi dai la planimetria di questo posto e mi dici dove si trova il tuo capo, uscirai di qui illeso…o meglio, malconcio ma tutto intero >>.
 
                                                                                                                                                         * * * 
 
Grazie alla cacofonia provocata dal resto della squadra, Bucky era riuscito a infiltrarsi nella casa utilizzando il canale di scolo delle acque piovane, risalendolo fino al tetto. Non certo il modo più pratico per entrare, ma non per questo il risultato fu da meno.
Arrivato sul pianerottolo dell’attico, i rilevatori di calore indicarono che una decina di mercenari armati stavano salendo le scale. Qualcuno doveva aver capito che l’attacco all’esterno era solo una distrazione.
Per fortuna la rampa ara stretta. Difficile che i soldati potessero sparare senza intralciarsi. Difficile ma non impossibile, e Bucky non si affidava mai al caso.
Gli uomini erano ora al piano di sotto e, una volta arrivati sul pianerottolo, lo avrebbero visto. Nella migliore delle ipotesi aveva tre secondi di vantaggio, e doveva sfruttarli al massimo.
Fece il conto alla rovescia e saltò proprio quando apparve il primo soldato armato. Il peso e lo slancio spinsero l’uomo addosso agli altri, che crollarono come birilli, senza fiato. Un vantaggio per lui, ma sarebbe stato breve.
I soldati scattarono subito in piedi, e l’uomo si mise in posizione di combattimento. Non aveva certo a che fare con dei principianti. Sperava solo che a Spiderman e Ant-man fosse andata meglio che a lui.

                                                                                                                                                                 * * * 
 
<< Scusa! >>
Peter tirò un pugno in faccia al mercenario più vicino, rompendogli il naso.
Mentre schizzava sangue da tutte le parti, l’uomo gridò per il dolore, come se la ferita fosse molto peggio di quello che era. Perfetto.
Il primo colpo aveva lo scopo di scatenare negli altri un attimo di terrore per bloccarli, anche se per poco. Peter doveva cogliere tutti i vantaggi che arrivavano.
Si appoggiò al corrimano di una scala e lo usò per farsi leva. Poi, si girò e assestò una pedata a un altro mercenario, intrappolandone un terzo con una ragnatela. Un altro soldato cadde all’indietro, ruzzolando sui gradini fino a crollare sul pianerottolo di sotto.
Non si alzò, ma stava ancora respirando.
 “ Grazie al cielo” pensò Peter.
Il vigilante diede una gomitata in pancia a un altro mercenario, ma quello non cedette. Mentre lo afferrava per un braccio e si preparava a colpirlo di nuovo, altri due soldati salirono le scale verso di lui, con in mano la pistola.
Aprirono il fuoco, fregandosene di colpire il loro compagno, pur di far fuori Spiderman.
Lui reagì d’istinto, spostò il mercenario di lato per evitare che i proiettili lo raggiunsero, e lo scaraventò lontano dal pericolo. Poi, scese dalla scala con una capriola e li neutralizzò entrambi.
<< Ci sto mettendo troppo tempo >> borbottò con irritazione.
Più ci metteva, più uomini di Brokeridge sarebbero arrivati.
Correndo in avanti, Peter stese altri miliziani e spalancò la porta dell’attico. Dentro c’era un soldato.
Quello lo fissò, rendendosi conto che il vigilante era riuscito a superare tutti gli altri. Poi si mise a sparare.
L’adolescente evitò tutti i proiettili e assestò un calcio sul petto dell’uomo, che finì a terra.
Nella caduta perse la pistola, allora si precipitò a recuperarla, ma Peter ci arrivò prima. La allontanò con un calcio e si girò verso la guardia.
Il criminale alzò le mani in segno di resa.
<< Sai una cosa?  È la prima mossa intelligente della giornata >> gli disse il ragazzo, intrappolandolo in un bozzolo di reti.<< Purtroppo per te, sei ancora un criminale. Ci vediamo! >>
 
                                                                                                                                                                    * * *  

All’ultimo piano c’era una sola stanza. Aveva un arredamento antico, con pezzi d’antiquariato di buon gusto, già vecchi agli inizi dell’epoca vittoriana.
I tavoli con intarsi elaborati che ritraevano volpi e levrieri ricordavano una scena di caccia dell’Inghilterra del Settecento. Erano posti ai lati di un grande divano imbottito con braccioli arrotondati e piedi a forma di zampa leonina.
Era evidente che chiunque vivesse lì aveva una passione per la caccia.
<< Karen, sono entrato. Che cosa vedi? >> chiese Peter all’intelligenza artificiale incorporata nella sua tuta.
Quest’ultima non esitò a rispondere.
<< Rilevo due tracce di calore, dietro quel muro >>
<< Uhmmm…deve esserci una porta sul retro >>
<< Sì, è una scala segreta. Stando alla planimetria dell’edificio inviata da Miss Danvers, è collegata a un bunker dietro la camera da letto >>
<< Un bunker? D’accordo, potrebbe essere un problema >> borbottò a bassa voce.
Percorse la stanza e si trovò davanti un altro lungo corridoio con delle stanze su entrambi i lati. I segnali di calore arrivavano da una camera sul fondo, quindi non perse tempo a guardare nelle altre.
Era lì per un motivo, non per farsi una visita turistica.
La porta era chiusa a chiave. Era l’unica non spalancata.
Avrebbe potuto scardinarla, ma decise di non creare potenziali segnali d’allarme a chiunque si trovasse in quella stanza.
Tirò fuori un grimaldello da sotto la tuta e lo mosse lentamente, fino a quando non sentì scattare la serratura. Tombola! Doveva davvero ringraziare Scott per quelle lezioni di furto con scasso.
Non che il vigilante avesse mai avuto intenzione di rapinare qualcuno, ma un’abilità del genere poteva sempre tornare utile…specialmente in casi come questo.
La porta si aprì e Peter rimase di stucco.
Si sarebbe aspettato altri pezzi d’antiquariato, invece la stanza era completamente spoglia: non c’erano mobili, tranne una mezza dozzina di grandi gabbie d’acciaio a un metro di larghezza e due di altezza. Erano delle celle individuali, e le sbarre erano abbastanza grosse da contenere un elefante.
Solo una era occupata da un prigioniero, e affianco ad essa spiccava la figura di Brokeridge.
L’uomo aveva tra le mani un pungolo elettrico e, non appena intravide la figura di Spiderman, arricciò il volto in una smorfia grottesca.
<< Sospettavo che foste voi Avengers la causa di tutto il trambusto qui fuori >> ringhiò a denti stretto.
Peter, tuttavia, aveva occhi solo per la persona rinchiusa nella gabbia. Sembrava….una bambina. Con lunghi capelli castani che le cadevano sul volto, vestita con stracci sporchi e strappati.
Era seduta a terra, con la testa poggiata sulle ginocchia e le braccia incrociate. Era una visione orribile.
La rabbia inondò il corpo del vigilante.
 << Che cosa le hai fatto? >> sibilò verso Brokeridge, stringendo ambe le mani in pugni serrati.
L’agente dell’Hydra si limitò a ghignare.
 << Non avrai modo di scoprirlo >> disse sfoderando il pungolo e cominciando a camminare verso l’Avenger.
Peter si mise in posizione di difesa.
Quell’uomo era alto, quasi un metro più di lui. Sembrava forte e si muoveva con sicurezza. Quello…era un professionista.
L’arrampica-muri gli si avventò contro, ma Brokeridge lo schivò e lo afferrò per il polso. Lui cercò di divincolarsi, ma la presa era stretta e implacabile. Poi, con l’altra mano, l’uomo lo afferrò per il collo e lo scaraventò contro il muro della stanza.
<< Ti toglierò tutta l’aria che hai in corpo, Spiderman. Morirai soffrendo le pene dell’inferno! >> urlò con un sorriso sadico.
Peter sentì la bocca aprirsi per prendere una boccata d’aria che non arrivò mai. Se avesse avuto qualche esitazione…quell’uomo lo avrebbe ucciso.
Gli diede una ginocchiata in petto, all’altezza del diaframma. Brokeridge emise un gemito di dolore ma continuò a stringergli la gola. Allora il vigilante gli sferrò un’altra ginocchiata e sollevò le gambe per intrappolargli la testa.
Lo spinse all’indietro, obbligandolo così a mollare la presa.
Mentre l’avversario lo lasciava, tirò indietro le gambe e ruotò su se stesso, scaraventandolo contro il muro su cui lo aveva bloccato. Ripreso l’equilibrio, lo colpì in pancia ripetutamente.
Brokeridge tentò di contrattaccare, utilizzando il pungolo elettrico, ma l’arrampica-muri fu lesto ad evitare ogni colpo, per poi intrappolargli le mani con una ragnatela.
Fatto questo, gli tirò un ultimo calcio alla testa. L’avversario si accasciò sul pavimento e Peter si concesse un sospiro di sollievo.
<< Ragazzi, ho catturato Brokeridge >> disse attraverso il canale della squadra, prima di volgere la propria attenzione nei confronti delle gabbie.
Poco dopo, le figure di Ant-Man e Bucky entrarono nella stanza, seguite rapidamente dagli altri Vendicatori.
<< Mio Dio, ma che diavolo stavano facendo in questo posto? >> sussurrò Scott, non appena il suo sguardo si posò sulla figura inerme della bambina intrappolata.
Il resto degli Avengers avevano tutti espressioni cupe in volto, ormai consci di cosa stesse realmente accadendo in quella villa : sperimentazione umana. Una pratica per cui l’Hydra era sfortunatamente famosa.
Bucky sputò sul corpo svenuto di Brokeridge. Nessuno dei suoi compagni osò rimproverarlo…Non dopo quello che avevano appena visto.
Con passo lento, quasi esitante, Peter si avvicinò alla gabbia…e aprì la porta.
<< Ehi >> sussurrò con voce calma e rassicurante.
Le spalle della ragazzina si tesero. Alzò la testa, rivelando un paio di occhi castani, un volto magro e pallido, sporco, in parte coperto dai lunghi capelli.
Quando vide Spiderman, la sua espressione impassibile mutò in paura. Si ritrasse contro le sbarre della gabbia, piagnucolando.
 << Va tutto bene! Non siamo qui per farti del male >> disse l’Avenger, alzando ambe le mani per mostrarle che non aveva cattive intenzioni.
La ragazzina strinse gli occhi, scoprendo i denti in un ringhio quasi animalesco.
Peter non sembrò turbato.
 << Coraggio, non essere timida. Vieni fuori >> continuò con tono gentile, porgendo la mano destra in avanti.
La prigioniera passò brevemente lo sguardo da lui al resto dei Vendicatori, poi sul corpo inerme di Brokeridge.
Lentamente, cominciò a gattonare fino alla figura dell’arrampica-muri. Scrutò la mano tesa con sospetto, annusandola un paio di volte.
A Peter ricordò vagamente un cane, ma seppellì all’istante quel pensiero per evitare di scoppiare a ridere. Sarebbe stato del tutto fuori luogo, considerando la situazione attuale.
Dopo quasi un minuto passato ad analizzare l’arto, la ragazzina intrecciò le dita del vigilante con le proprie.
 << Visto? È tutto ok >> disse Peter, sorridendo sotto la maschera.
L’altra si limitò a fissarlo…e poi, si lanciò contro di lui.
 << Gha! >> urlò il vigilante, mentre un paio di strane protuberanze argentate gli trafiggevano la spalla. Sembravano quasi coltelli, e partivano direttamente dalle nocche della ragazzina.
Gli Avengers si tesero all’istante.
 << Peter! >> esclamò Carol, il volto adornato da un’espressione visibilmente preoccupata.
Puntò le mani in direzione della bambina, che sibilò minacciosa. La bionda ringhiò di rimando, caricando energia cosmica nei pugni.
<< Allontanati da… >>
<< No! >> la interruppe Peter, suscitando sguardi sorpresi ad opera del gruppo.
 << Ho…ugh…la situazione sotto controllo >> tossì, attirando l’attenzione della prigioniera. Questa lo fissò di sottecchi e gli annusò la maschera.
Carol strinse i denti, compiendo un passo in avanti. Tuttavia, prima che potesse proseguire oltre, qualcuno le posò una mano sulla spalla, costringendola a fermarsi.
La bionda si voltò verso la suddetta persona. Scoprì che si trattava di T’Challa.
<< Lasciami anda… >>
<< Se dovesse innervosirsi, potrebbe attaccarlo di nuovo >> la ammonì il sovrano, indicando la bambina che ancora teneva Peter in un abbraccio potenzialmente mortale.
Carol passò brevemente la testa da parte a parte della stanza, visibilmente in conflitto.
In cuor suo, sapeva che T’Challa non aveva torto. Una sola mossa sbagliata e…no, non voleva nemmeno pensarci.
Prese un paio di respiri calmanti e puntò nuovamente lo sguardo in direzione di Peter, in attesa.
“ Qualunque cosa tu voglia fare, ragazzino…ti conviene farla subito” pensò con timore nascosto.
L’adolescente alzò la testa e, con grande sforzo, posò una mano rassicurante sulla testa della prigioniera. Questa si tese all’istante, dilatando le pupille come piatti.
Gli artigli di metallo cominciarono ad affondare ulteriormente nella carne del bersaglio, ma Peter non tentò nemmeno di ritrarsi.
<< Sei libera…non siamo qui per farti del male. Siamo qui per salvarti >> sussurrò a bassa voce, senza mai distogliere le lenti bianche dagli occhi color nocciola della superumana.
La bambina senza nome spalancò leggermente la bocca, come se le parole del vigilante l’avessero davvero sorpresa.
Passò ancora una volta lo sguardo dall’arrampica muri agli Avengers, e poi di nuovo sulla figura di Brokeridge.
Qualcosa sembrò scattare nella sua mente.
Rinfoderò gli artigli, producendo un sonoro SKRREE! e facendo sussultare Peter a causa del dolore.
Poi, gli occhi della bambina cominciarono a riempirsi di lacrime. Avvolse le braccia attorno alla figura del vigilante…e cominciò a piangere.
L’adolescente, inizialmente sorpreso dal gesto, restituì l’abbraccio, nonostante la ferita alla spalla.
 << È tutto ok. Tutto ok… >> sussurrò gentilmente.
Il pianto della superumana crebbe d’intensità. Si strinse maggiormente al corpo dell’arrampica-muri, come se ormai non potesse più fare altro.
Il tutto sotto gli occhi meravigliati dei Venicatori, che osservarono la scena con sguardi misti tra sollievo, sorpresa e rispetto.
<< Quel ragazzo…è davvero incredibile >> commentò T’Challa, incrociando ambe le braccia davanti al petto.
Mentalmente, Carol si ritrovò perfettamente d’accordo con le parole del sovrano.
 
                                                                                                                                                                 * * * 

Una volta tornati alla base, Peter era stato subito portato in infermeria.
Dopo aver sentito quello che era successo durante la missione, la Dottoressa Helen Cho, infermiera ufficiale della squadra, aveva consigliato l’uso dei punti per chiudere le ferite, con grande costernazione del ragazzo. Potete immaginare la sua sorpresa quando, dopo aver aperto la tuta del ragazzo nel punto esatto in cui era stato presumibilmente colpito, si era ritrovata davanti una spalla pressoché immacolata, ad eccezione di alcune lievi cicatrici.
Carol aveva appreso la notizia da poco ed era subita corsa in infermeria.
Il vigilante si trovava ancora lì, steso su un letto ospedaliero, parzialmente avvolto da candide lenzuola. Ed era solo.
<< Ciao! >> la salutò Peter, il volto adornato da un piccolo sorriso.
La donna non rispose. Camminò fino al letto e si sedette affianco al ragazzo.
<< Come ti senti? >> chiese con tono leggermente preoccupato.
Il vigilante si limitò a scrollare le spalle.
 << Un po’ ammaccato, ma nel complesso mi sento bene. Avere un fattore di guarigione accelerato può essere davvero utile >> disse con un ghigno, facendo roteare senza problemi la spalla ferita.
Carol rilasciò un sospiro, apparentemente sollevata.
 << Perfetto, allora posso fare questo senza sentirmi in colpa >>
<< Uh? Fare cos…Ahi! >>
Non dandogli il tempo di elaborare, la donna lo aveva colpito con un rapido scappellotto sul retro della testa.
<< Che diavolo ti è saltato in testa?! Quella bambina avrebbe potuto ucciderti! >> sibilò a denti stretti, visibilmente furiosa.
Peter affondò nel cuscino, deglutendo sonoramente.
<< Ma non l’ha fatto… >>
<< Non per mancanza di tentativi >> lo interruppe lei. << Qualche centimetro più sotto e ti avrebbe perforato il cuore >>
<< Ma… >>
<< Ti sei fermato a pensare, anche solo per un secondo…come tua zia si sarebbe sentita, se tu fossi morto? Come…come io mi sarei sentita? >> sussurrò, afferrandolo per le spalle e costringendolo a fissarla.
L’adolescente fece per controbattere, ma si fermò di colpo. Gli occhi di Carol erano molto più lucidi di quanto ricordasse…vulnerabili…pieni di preoccupazione e tristezza.
Incapace di sopportare quella vista,  abbassò lo sguardo, lasciando che una frangetta di capelli castani gli oscurasse la visuale.
<< Mi dispiace, io… >>
Non ebbe il tempo di terminare quella frase. Carol gli alzò il mento con una mano e incontrò le sue labbra con le proprie, in un bacio caldo e confortevole. Il cuore di Peter mancò un battito, mentre il suo corpo si scioglieva al contatto.
Dopo quasi un minuto, la donna si ritrasse.
<< Sei stato molto coraggioso >> disse con un sorriso stanco, quasi riluttante, come se ammetterlo fosse stata un’impresa.
Il vigilante arricciò il volto in un ghigno impertinente.
 << Ok, così mi stai inviando segnali molto contrastanti >>
<< Togliti quel sorrisetto dalla faccia, sono ancora arrabbiata con te >> ribattè l’altra, fissandolo con freddezza.
L’adolescente rabbrividì per la paura, aspettandosi un altro scappellotto.
Invece, Carol si porse in avanti una seconda volta, baciandolo con maggiore intensità. Troppo sorpreso per rispondere a quella manifestazione d’affetto, Peter rimase fermo e immobile, gli occhi spalancati e i pensieri che correvano a mille.
La donna si staccò, gli baciò la testa, poi la fronte, e infine avvicinò le labbra all’orecchio del castano.
<< Passa al mio appartamento, così potrai farti perdonare >> sussurrò con voce bassa e roca.
L’arrampica-muri arrossì di colpo, mentre la bionda si alzava dal letto, raggiungeva la porta e gli lanciava un occhiolino malizioso.
Una volta che se ne fu andata, Peter abbassò la testa, notando un rigonfiamento familiare tra le lenzuola del materasso.
 << Maledizione… >>
 
                                                                                                                                                                      * * * 
 
Ogni giorno, dopo pranzo, Jack Crafford dedicava un’ora a dipingere navi. Era la sua ora preferita in tutta la giornata.
Ex galeotto, messo dentro per quattro anni a causa di una rapina andata male, aveva cominciato questo hobby quando era ancora in prigione.
Ormai era diventata una routine : ascoltava l’orchestra di Berlino che eseguiva il sestetto l’Atlante delle Nuvole, e dipingeva galeoni spagnoli del diciottesimo secolo, golette pirata dello stesso periodo, e occasionalmente anche modellini più piccoli e artigianali.
Aveva uno scenario ben preciso in mente, compensato in tredici navi della marina e altrettante imbarcazioni pirata che si davano battaglia nei pressi di un arcipelago caraibico, costruito con sabbia prelevata dalla baia di New York e palme di un vecchio gioco da tavolo che aveva trovato dopo il trasloco.
Sì, era decisamente orgoglioso del suo lavoro accurato. Sentiva che, quando i suoi modellini erano dipinti bene, avrebbero cominciato a muoversi per conto loro e attaccare le linee nemiche. Ci stava lavorando anche il giorno in cui morì.
Mentre era sul punto di completare un bastione da quaranta cannoni, l’uomo si passò una mano sulla fronte, sentendola calda e sudaticcia. Inspirò a fondo e avvertì un odore metallico, simile a rame.
“Un infarto… mi sta venendo un infarto” pensò con un sospiro rassegnato.
Da circa un anno avevano cominciato a farsi più frequenti, e per un uomo che viveva da solo potevano essere molto pericolosi. Ecco perché si era comprato una Golden Retriver addestrata specificatamente per situazioni del genere. Ogni volta che si sentiva male, lei sarebbe venuta di corsa con un borsellino a tracolla, contenente la soluzione da iniettarsi per evitare di morire sul posto.
<< Lily! Lily! >> urlò ad alta voce.
Ma lei non arrivò. Non rispose nemmeno con il suo consueto abbaiare.
Jack cercò di capire cosa stesse facendo che le impedisse di sentirlo. Forse era fuori a giocare con il bidello del palazzo, un ometto grasso di nome Berry che aveva preso in simpatia.
Sollevò lo sgabello di un paio di centimetri dal pavimento, lo spostò e lo rimise giù, avanzando barcollante. Ora che era in piedi, la testa aveva cominciato a girare. I suoi pensieri vagarono come piume d’oca in una brezza calda.
Una canzoncina idiota gli girava per la mente, ossessiva come un disco incantato.
<< C’era un vecchio che ingoiò un insetto. Chissà perché ha ingoiato un insetto! Forse adesso muore nel suo letto!>>
Solo che la canzoncina aumentava di volume, diventando sempre più forte, finchè non sembrò più solo nella testa di Jack, ma nell’aria attorno a lui, proveniente dal corridoio.
<< Oh, che bello scuoiar! Le dolci creature ammazzar! Le pelli strappar, ogni giorno di più, sulla casa nel lago laggiù… >> canticchiava la voce. Era acuta, stonata e stranamente graffiante, come se arrivasse da lontano, attraverso un condotto di ventilazione.
Jack vide una misteriosa figura entrare dalla porta. Trascinava Lily tenendola per la coda, ma non sembrava che a lei desse fastidio.
Vagamente, Jack si rese conto che si stava lasciando dietro una lunga scia rossa.
“ Oddio…ma quello è sangue!” realizzò l’uomo, compiendo un  passo all’indietro.
Il movimento sembrò attirare l’attenzione della misteriosa figura, ancora nascosta nell’oscurità, che si voltò verso di lui.
Alzò la mano libera, compiendo un saluto disinvolto.
<< Ciao, Jack. È tanto tempo che non ci si vede! >> esclamò una voce che l’ex galeotto avrebbe potuto riconoscere tra migliaia di altri suoni.
Compì un passo all’indietro, deglutendo sonoramente.
<< Cletus? Sei davvero tu? >>
<< Ding, ding, diiiing, indovinato! >> rispose l’ombra, lasciando andare il cadavere di Lily e battendo ambe le mani con fare beffardo.
Jack cominciò a percorrere la stanza in diagonale, cercando di avvicinarsi alla scrivania senza dare nell’occhio.
<< Come…come sei uscito? >> chiese con evidente timore.
Cletus si limitò a scrollare le spalle.
 << Buona condotta >> disse con un ghigno invisibile. Jack non poteva vedere la faccia dell’uomo, ma era abbastanza sicuro che stesse sorridendo.
Deglutì una seconda volta.
<< Non è possibile…ti avevano dato sei ergastoli… >>
<< Te ne sei ricordato! Anche se la cosa non mi sorprende >> lo interruppe il serial killer, il cui tono di voce si era fatto molto più cupo di quanto non fosse fino a pochi secondi prima. << Dopotutto…è a causa tua se me li hanno dati >>
Il cuore di Jack mancò un battito. Lo sapeva…oddio, lo sapeva! Era un uomo morto.
Cletus compì un passo in avanti, rimanendo nell’ombra.
<< Ciò che ti avevo detto in quella cella…doveva essere tra noi. E tu invece cos’hai fatto? Hai spifferato tutto ai federali per avere una riduzione sulla pena di due anni. DUE fottutissimi anni >> ringhiò attraverso i denti, producendo uno strano sibilo. << Devi essere pazzo >>
<< Ho solo detto… >>
<< Hai SOLO detto >> lo interruppe il serial killer, facendolo sussultare. << Le parole sono d’argento, il silenzio è d’oro. Le parole…mi hanno sbattuto dentro Ryker’s Island per dodici anni, chiaro il concetto? Quindi, le parole…ti possono spedire sotto terra all’istante >>
Adesso, il corpo dell’ex galeotto stava tremando…e non per un attacco di cuore.
<< Cletus, sta a sentire…forse ci possiamo mettere d’accordo! >> balbettò, alzando ambe le mani in segno di resa.
L’ombra del serial killer inclinò la testa di lato.
<< Celtus? Cletus è morto, amico caro. Puoi chiamarmi…Carnage >>
Compì un ulteriore passo, fuori dall’ombra, rivelando le sue reali fattezze.
Jack non aveva mai visto niente di così orribile. Gli ricordava La Mosca, quel film con Vincent Price in cui uno scienziato si incrociava per errore con un insetto.
La testa del serial killer era un bulbo rosso di filamenti, con lenti bianche al posto degli occhi e una grottesca fila di denti acuminati per bocca.
Jack era sicuro che ci fosse qualcosa che non andava nel suo cervello. Possibile che un infarto procurasse le allucinazioni?
Poi, Cletus alzò un dito artigliato.
<< E come vedi…sono più euforico! AHAHAHAHAHA! >> esclamò con una risata agghiacciante. Uno schiamazzare acuto e graffiante, che risuonò per tutta la lunghezza dell’appartamento.
L’ex galeotto si voltò di scatto, sperando di essere abbastanza vicino alla scrivania per afferrare la Calibro 45 che teneva nascosta nel cassetto. Non ne ebbe la possibilità.
Una protuberanza rossa e appuntita, simile ad un arpione, schizzò dal dito di Cletus, trapassando il cuore di Jack da parte a parte.
L’uomo sputò sangue e cadde a terra in preda agli spasmi, mentre copiosi fiotti di sangue sgorgavano dalla ferita appena aperta. Il tutto mentre il serial killer continuava a ridere.
Poi, il corpo dell’ex galeotto smise di muoversi.
Cletus camminò fino alla scrivania e si sedette comodamente, ammirando la propria opera.
Uno strano ammasso di filamenti partì dalla spalla del serial killer, avvicinandosi all’orecchio destro di questi. Sembrava quasi che volesse sussurrargli qualcosa.
<< Adesso? >> disse Cletus, come se stesse ripetendo una domanda che solo lui era riuscito a sentire. << Adesso, mio buon amico… dipingiamo questa città di rosso! >>
 

 
E credetemi…sarà una vera Carneficina! A meno che i nostri eroi non riescano a fermarlo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e come al solito vi invito a lasciare un commento!
Per chi non lo avesse capito, la bambina trovata nella gabbia è X-23, alias Laura Kinney, co-protagonista del bellissimo Logan, ( capolavoro del genere supereroistico ) e un personaggio molto importante della continuità Marvel e X-Men. Sì, ho intenzione di inserire anche loro in questo mio universo letterario.
Non avranno alcun ruolo in questa storia, ma Laura è un po’ un’anticipazione di quello che verrà.
  
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