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Autore: Melabanana_    26/08/2019    0 recensioni
SPY ELEVEN AU. Raccolta di oneshot prequel/sequel incentrate su personaggi secondari che non hanno avuto molto spazio nella storia principale.
I. binary stars α (Fubuki Shirou & Fubuki Atsuya): una vicenda che si è svolta prima che arrivassero a Tokyo.
II. ribcage poetry (Yagami Reina): racconta l'infanzia di Reina, l'anno passato al centro di addestramento e la nascita della sua amicizia con Maki.
III. we dream of fire (Heat & Nepper): la storia di come Heat e Nepper sono diventati partner.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Isabelle/Reina, Nuovo personaggio, Shawn/Shirou
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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~ le nostre mani erano legate assieme,
ma ora si stanno sciogliendo...
Come se tu, dall’inizio,
non riuscissi ad accettare di poter “essere amato”.
~
 
 
 
binary stars  α
~Fubuki Shirou & Fubuki Atsuya~
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Shirou appoggiò i palmi delle mani contro il vetro della finestra e ci si avvicinò fino a schiacciare le guance ed il naso per poter osservare meglio il cortile ricoperto di neve. Non era permesso aprire le finestre a quell’ora; il vento avrebbe trascinato nella stanza il nevischio restante nell’aria, che si sarebbe sciolto bagnando le vecchie assi di legno del pavimento già marcio. Se Shirou avesse aperto i battenti, la direttrice si sarebbe arrabbiata: era ancora stizzita con lui per aver rotto l’orribile vaso antico che per molto tempo era stato nell’ingresso dell’orfanatrofio.
In effetti, era stato Atsuya a gettarlo a terra in una fitta di rabbia, dopo aver litigato per l’ennesima volta con dei ragazzi più grandi. Di recente, Atsuya tornava in stanza sempre pieno di lividi e graffi, erano più che abbastanza, non gliene servivano altri; per questo Shirou si era preso la colpa al posto suo. La bacchetta di legno usata dalla direttrice era dura, ruvida. Le nocche di Shirou erano già spaccate per il freddo tagliente, dal momento che non avevano guanti, ma non un singolo gemito aveva lasciato le sue labbra. Era in grado di sopportare il dolore molto bene. Era stanco di reagire, o di provare a cercare una giustificazione che potesse farle cambiare idea (non funzionava mai). In realtà, lo sapeva bene, non c’era nessuna prova del fatto che fossero stati loro a rompere il vaso, nemmeno una singola impronta digitale, e chiunque avesse assistito avrebbe potuto dire soltanto questo: le finestre si erano aperte di scatto, un vento gelido e violento aveva invaso la stanza insieme ad un turbinio di neve e, come uno schiaffo, aveva buttato giù il vaso. Niente di più, niente di meno. Tuttavia, alla direttrice non importava come fossero andate realmente le cose. Lei aveva bisogno di colpevoli e, allo stesso tempo, di una scusa per punirli, per ridurli al silenzio, per esorcizzare qualsiasi tipo di “magia” li circondasse. Perché aveva paura di loro. Tutti avevano paura di loro. Shirou sapeva che era stato Atsuya a rompere il vaso, benché il fratello non lo avesse toccato: aveva semplicemente detto al vento di farlo. Anche a Shirou capitava spesso di sussurrare al vento invernale, che era uno dei loro pochi amici.
Magari avrebbe aperto la finestra, solo un pochino, per respirare a fondo.
Poi qualcosa andò in frantumi l’armonia del paesaggio bianco: un enorme SUV nero, troppo vistoso, irruppe nel viale coperto di neve. Shirou pensò fosse quasi una violenza. Il SUV si parcheggiò davanti all’orfanatrofio e ne uscì una donna con un cappotto dorato. Shirou non riuscì a vedere il suo volto, poiché stava usando un grande ombrello a fiori per schermarsi dal nevischio che ancora scendeva lieve. La donna si avviò verso l’interno dell’edificio a passo spedito e Shirou la seguì con lo sguardo finché poté.
Subito dopo, Atsuya entrò in camera come una furia, facendo sbattere la porta contro la parete. Il muro che circondava lo stipite ebbe un fremito impercettibile. Shirou alzò lo sguardo e vide che la crepa sull’arco della porta si era un po’ allungata; sperava che ciò non volesse dire che la stanza sarebbe crollata alla prossima botta, ma d’altra parte non sarebbero stati affari loro. Avrebbero presto lasciato la stanza, anzi, l’intero edificio. L’unico rimpianto che Shirou aveva era di non poter assistere al crollo, perché avrebbe provato un’immensa soddisfazione a vedere l’espressione della direttrice (oh, quanto la odiava).
-È arrivata- disse Atsuya. –Ce ne dobbiamo andare subito, dai, prendi la tua roba.
Shirou guardò il fratello con un sopracciglio alzato, poi si voltò a fissare l’armadio in cui c’erano appena una giacca di tessuto sottile,una sciarpa ruvida ed i suoi stivali da neve. Non aveva nient’altro che potesse chiamare suo. Ad un’occhiata più attenta, notò che Atsuya era già vestito in modo perfetto per uscire, anzi a ben vedere era probabilmente già stato fuori, dal momento che i suoi stivali erano bagnati e avevano lasciato una scia di impronte sul pavimento per cui sarebbero certo stati rimproverati.
-Dove andiamo…?- chiese Shirou, senza muoversi.
Atsuya non si girò a guardarlo, troppo impegnato a ficcare delle cose nel suo zainetto scucito, probabilmente cibarie sgraffignate dalla cucina. Rubare non era mai stato un problema; Shirou aveva imparato presto che, quando ti incolpano di qualsiasi crimine, anche quelli che non hai commesso, smetti di avere rispetto delle regole altrui. Cominci a seguire soltanto la tua etica ed il tuo istinto, e né l’una né l’altro impedivano loro di rubare all’orfanatrofio.
-Atsuya- Shirou chiamò il fratello con una nota d’impazienza. -Dove stiamo andando?
-Non ne ho idea, ma di certo non a casa di quella befana che è appena venuta- rispose Atsuya, in agitazione, ed una ciocca di capelli gli cadde sulla fronte mentre si chinava in avanti.
Shirou sospirò e scosse il capo. Come aveva immaginato, Atsuya non aveva nessun piano preciso in mente. Toccava a lui prendere una decisione ferma.
-No- disse e, con quell’unica parola, ottenne finalmente tutta l’attenzione del fratello.
Atsuya alzò la testa di scatto e lo fissò ad occhi sgranati, come se Shirou gli avesse dato un ceffone. Ma Shirou non si lasciò impietosire. Per avere la meglio su Atsuya doveva essere risoluto; era debole ai capricci del fratello e, se gli avesse concesso la minima apertura, Atsuya lo avrebbe persuaso.
Per un lungo minuto, rimasero a fissarsi in silenzio. Guardare Atsuya era come scrutare il proprio riflesso allo specchio, qualcosa che da bambino riusciva ad emozionarlo sempre. Allora, il pensiero di non poter mai essere solo, perché esisteva una persona esattamente identica a lui, era rincuorante. Adesso che erano più grandi, però, Shirou non riusciva a ignorare le differenze tra sé e il proprio gemello, partorito poco dopo di lui.
-Che vuoi dire?!- sbottò finalmente Atsuya.
-Tu vuoi scappare da qui e andare all’avventura con uno zaino contenente cibarie che non ci basteranno che per una settimana? Sei troppo impulsivo, Atsuya. Io non voglio.
Atsuya perse subito le staffe.
-Meglio che andare in un’altra casa, con un’altra persona di merda!- ribatté, aggressivo.
Shirou sussultò, poi si morse il labbro inferiore. Odiava quando Atsuya usava quel tono con lui, ma odiava ancora di più aver avuto paura di lui, anche solo per un secondo. Cercò immediatamente di nascondere il proprio disagio e assunse un tono il più neutrale possibile.
-Questo non lo sappiamo ancora…
-Oh, ma dai!- sbottò Atsuya. –Siamo stati già in tre famiglie diverse! Ricordami com’è andata a finire…? Siamo ancora in questo schifo di posto! Questa volta non potrà essere tanto diverso!
-Forse sì, ma… Dovremmo prima osservare la situazione…- mormorò Shirou.
–Atsuya, non sei mai… stanco di tutto questo? Di lottare contro ogni cosa, di essere sempre diffidente? Non potremmo semplicemente… lasciarci andare per una volta?
L’espressione di Atsuya cambiò immediatamente, si fece serissima.
-Che ti prende ora, vuoi essere adottato?- Sputò quella parola con un tale astio e disgusto che Shirou sussultò di nuovo, pur sapendo che quella negatività non era rivolta contro di lui.
Atsuya non se ne accorse e proseguì, impietoso.
-Nessuno ci vuole, nessuno ci amerà mai per quello che siamo! Sarà come tutte le altre volte… Quella donna farà finta di essere gentile, ma poi si libererà di noi non appena inizieranno a succedere cose… strane- esclamò. Poi, forse rendendosi conto di essere stato troppo brusco, accorciò la distanza tra loro e posò le mani sulle spalle di Shirou.
–Possiamo contare solo su di noi, Shirou- gli sussurrò, con un tono più dolce. -Noi siamo forti insieme! Dobbiamo restare uniti, qualsiasi cosa accada! Dobbiamo combattere!
Shirou lo guardò negli occhi con la stessa serietà.
Tre famiglie diverse avevano tentato di adottarli, poi si erano arrese e li avevano riportati indietro. Avevano iniziato ad avere paura di loro dopo alcuni incidenti “magici”. Nessuno sapeva che l’ultima volta era stato Shirou a spaventarli di proposito. L’aveva fatto per Atsuya, che non ci andava d’accordo e non voleva restare là un minuto di più. Tutto ciò che faceva era per Atsuya. Avrebbe potuto cedere e scappare con lui; almeno apparentemente, era la soluzione più semplice, visto che non voleva litigare con Atsuya. Shirou, però, era convinto che in seguito se ne sarebbe pentito.
Perciò prese le mani del fratello e le scostò, con delicatezza ma anche fermezza.
-Sono stanco di oppormi sempre alla corrente. Voglio provare ad avere fiducia. Voglio un’altra occasione- confessò con un filo di voce. –Io non scappo, Atsuya. E non ne voglio parlare più.
Atsuya si allontanò all’istante da lui. Non tirò fuori la roba che aveva ficcato nello zaino, né accennò a farlo. Shirou non ne rimase turbato: sapeva di averla avuta vinta, Atsuya non sarebbe mai andato da nessuna parte senza di lui.
Ma questo non significava che lo avrebbe perdonato tanto presto per questo tradimento.
-Vedrai- sbottò, velenoso. –E poi ti dirò che te lo avevo detto!
Shirou alzò gli occhi al cielo. –Sono certo che lo farai- replicò, ma a quanto pareva quelle erano le ultime parole che Atsuya gli avrebbe rivolto per il resto della giornata.

 
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Circa due ore dopo, erano seduti nella parte posteriore del SUV con le cinture allacciate. Di norma le pratiche dell’adozione erano più lente e faticose, ma stranamente questa volta erano andate lisce come l’olio. Probabilmente alla direttrice, che non vedeva l’ora di liberarsi di loro, non sembrava vero che ci fosse ancora qualcuno disposto ad prenderseli nonostante la brutta nomea che si erano fatti. Effettivamente, nemmeno Shirou l’avrebbe ritenuto possibile in circostanze normali.
La donna che era venuta a prenderli, però, aveva qualcosa che gli faceva pensare che non fosse del tutto normale. Forse era il suo portamento altero, la macchina enorme, il cappotto imbottito, tutti dettagli che lasciavano intendere un certo benessere economico; o forse erano gli occhi azzurro ghiaccio, semi-nascosti dietro un paio di occhiali dalla montatura dorata, inquietanti ed affascinanti allo stesso tempo. Non era una donna bellissima, ma il suo sguardo era così particolare che Shirou se ne sentì subito attratto con una morbida curiosità. Se Atsuya ne era rimasto ugualmente impressionato, di certo non lo dava a vedere: aveva evitato per tutto il tempo di guardarla in viso, ignorando anche le occhiate preoccupate di Shirou, probabilmente determinato a restare offeso con entrambi per il resto della sua vita (conoscendolo, non era improbabile). Shirou aveva provato a parlargli un paio di volte, mentre se ne stavano in disparte ad aspettare che la donna misteriosa firmasse tutti i moduli necessari, ma ci aveva rinunciato quasi subito. Era impossibile tentare di farlo ragionare in quel momento. Shirou decise di lasciarlo a sbollire nel proprio brodo, dirigendo invece la sua attenzione verso la loro nuova tutrice.
Gli piaceva come la donna avesse ignorato le moine e i tentativi della direttrice di ingraziarsela, per sbrigare invece in breve le dovute pratiche. Non sembrava essere una persona che amava perdere tempo in chiacchiere inutili, soprattutto se queste avevano il chiaro intento di estorcerle qualcosa. Shirou si chiese se non fosse un atteggiamento tipico delle persone ricche; non ne aveva conosciute molte nella sua vita.
Gli piaceva anche come la donna avesse guardato Atsuya e lui; gli piaceva come gli avesse sorriso e parlato con una voce pacata, paziente, un tono totalmente diverso da quello con cui aveva saluto (secca, quasi infastidita) la direttrice. I ragazzi avevano pochissime cose che potessero chiamare loro, per cui non ci fu nemmeno bisogno che il portiere li accompagnasse all’auto, lei non glielo permise.
La donna –Fuyumi, come Shirou aveva appreso sbirciando su uno dei fogli- aprì loro personalmente la portiera del SUV. Atsuya si arrampicò dentro per primo, appoggiò lo zainetto alle proprie gambe e, tenendolo strettissimo, si voltò da subito verso il finestrino, deciso a restare imbronciato per tutto il viaggio in auto. Shirou sospirò, entrò dopo di lui e allacciò la cintura per sé ed anche per lui, ignorando il suo comportamento immaturo e pedante.
Fuyumi richiuse la portiera dopo di lui solo quando finì di sistemarsi. Gli piaceva che lo avesse aspettato senza mettergli fretta. Poi Fuyumi si mise al posto di guida e partirono.
Shirou si voltò indietro verso l’orfanatrofio una volta soltanto. Il suo sguardo cercò subito la loro stanza: l’unica con la finestra spalancata. L’aveva lasciata così apposta. Inspirò a fondo per farsi coraggio, poi si schiarì la voce.
-Posso… aprire il finestrino? Vorrei far entrare un po’ d’aria- domandò, nel modo più casuale possibile. Atsuya non si mosse, ma Shirou non lo aveva chiesto a lui. Restò immobile coi pugni stretti sulle gambe finché Fuyumi non rispose.
-Certo che puoi. Non essere così formale con me- disse, con lo stesso tono pacato di prima. Shirou sentì parte della tensione scivolargli di dosso mentre mormorava un ringraziamento. Aprì il finestrino lentamente e, sotto voce, chiamò a sé il vento gelido invernale; gli sussurrò per poco tempo, brevissimi secondi, per non apparire sospetto. Sarebbero stati sufficienti. Tenne il finestrino aperto un altro po’, per niente turbato dal freddo pungente, e non si voltò più verso l’orfanatrofio, nemmeno per assistere a come il vento stesse portando tutta la neve nella loro stanza, lasciando senza dubbio un disastro. Un piccolo regalo d’addio non si nega a nessuno, pensò Shirou. Atsuya non era l’unico a perdonare con difficoltà, sebbene Shirou si considerasse molto più ragionevole. Avrebbe voluto che Atsuya godesse con lui di quella piccola rivincita e non poterlo fare a causa del loro litigio gli lasciò un po’ d’amaro in bocca, impedendogli di essere del tutto soddisfatto. Per non tradirsi, evitò persino di mutare espressione; nonostante questo, quando chiuse il finestrino e tornò a guardare avanti, gli parve di intravedere Fuyumi sorridere, riflessa nello specchietto frontale, come se avesse saputo esattamente cosa Shirou aveva appena fatto.
 
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La casa di Fuyumi era solo una delle varie abitazioni disseminate in quel paesaggio fatto di colline e piccole valli scavate tra le montagne. Una maggiore presenza umana era probabilmente presente nel paese più vicino, dove c’erano delle terme a scaldare gli abitanti. Shirou non aveva idea del perché qualcuno dovesse scegliere di vivere in un luogo tanto isolato, ma Fuyumi sembrava del tutto a suo agio lì.
I giorni sembrano scorrere più lenti, da quando si trovavano lì.
Era una situazione molto diversa da quelle che avevano vissuto fino a quel momento; per esempio, la donna non aveva accennato minimamente a discorsi sul visitare scuole, anzi non sembrava intenzionata a mandarceli. Non che a Shirou dispiacesse. Non erano mai riusciti ad ambientarsi in nessuna scuola in cui i precedenti genitori adottivi avevano tentato di infilarli a forza e, probabilmente, questo era stato uno dei motivi per cui li avevano poi riportati indietro, come se fossero stati elettrodomestici difettosi.
Fuyumi era una persona molto strana, o quantomeno diversa da chiunque avessero incontrato fino a quel momento. Per quanto Atsuya ignorasse le sue richieste, o sbagliasse di proposito la quantità del latte da versare nel bicchiere, facendolo rovesciare sul tavolo, o si rifiutasse di mangiare davanti a lei, Fuyumi non si arrabbiava mai. Restava sempre pacata, apparentemente serena e comprensiva. La maggior parte delle persone l’avrebbe definita gelida, ma a Shirou non importava purché continuasse a dare loro un tetto e dei pasti, senza far pesare loro il solo fatto di esistere, sottolineando i costi di mantenimento, come altri in passato avevano fatto. E, soprattutto, non aveva ancora dato segno di volersi liberare di loro.
Atsuya tentò di andarle contro in tutti i modi per una settimana o due, poi, non ottenendo da lei nessuna reazione significativa, si arrese. Il suo unico modo di opporsi a lei diventò evitarla, ostinandosi a non mangiare al suo stesso tavolo, o a chiudersi in camera per non vederla. Aveva imparato che Fuyumi lasciava sempre qualcosa anche per lui, nel frigo o sui banconi della cucina, per cui bastava che sgattaiolare in cucina quando lei non c’era. E, siccome era ancora arrabbiato con il fratello, così le giornate di Atsuya passavano in solitudine, una uguale all’altra.
Per Shirou, invece, la situazione era completamente diversa. Non nutriva antipatia per Fuyumi, anzi: lo incuriosiva. In particolare, il suo interesse era solleticato da una sorta di “rituale” che Fuyumi eseguiva ogni mattina. La donna si svegliava prestissimo, s’infilava una veste bianca da medico e poi il cappotto sopra, usciva. Andava a piedi nella serra che si vedeva dalla finestra della loro camera e non rientrava prima di un’ora; soltanto allora, preparava la colazione e li svegliava. Una mattina fortuita, Shirou si era svegliato abbastanza presto da assistere a questa routine quotidiana e da allora l’aveva osservata per molti giorni, deciso a cogliere il momento adatto per intrufolarsi nella serra. Aveva visto Fuyumi mettere la chiave in una sorta di cassetta delle poste, nascosta dietro un’asta di legno, proprio accanto alla porta di vetro opaco. Perciò, un giorno come gli altri, la seguì e si acquattò nelle vicinanze della serra. Aspettò che lei uscisse, chiudesse la porta a chiave e si recasse in casa per lasciare il suo nascondiglio, rubare la chiave ed ottenere finalmente l’accesso a quel luogo misterioso. Moriva di curiosità al pensiero di ciò che potesse trovarvi dentro.
Ad una prima occhiata, tuttavia, rimase quasi deluso: la serra conteneva soltanto due lunghi tavoli di metallo nero, separati da corridoio stretto. C’erano una miriade di vasi di piante, tanti quanti non ne aveva mai visti raccolti in un posto solo. Soltanto avanzando un po’ di più verso l’interno, notò che c’erano anche duefioriere contenenti altri vegetali,ancora solo germogli. Si accorse che i suoi passi rimbombavano nel silenzio del luogo. Riusciva a sentire un frusciare di acqua corrente: indagando un po’, scoprì che essa sgorgava da una modesta fontanella di pietra incastrata tra le due fioriere. Da lì prendevano acqua alcuni tubi verdognoli che attraversavano la serra in ogni suo angolo, un ingegnoso sistema di irrigazione costruito su misura, in modo apparentemente amatoriale.
Su alcune piante vi erano dei cartellini identificativi, ma i nomi non erano scritti in caratteri e Shirou non riusciva a comprendere lo strano linguaggio usato: riconoscere le lettere non era difficile, ma gli pareva che non formassero parole di senso compiuto, al punto che si chiese se non fossero stati inventati da Fuyumi stessa.
Stava cercando di decifrare il nome di una larga pianta dalle foglie lunghe e lisce, quando la porta della serra si aprì di scatto, facendolo sussultare. Si voltò bruscamente e, nella foga, urtò il vaso, buttandolo a terra. La terracotta si spaccò in un sol colpo al contatto col pavimento e si frantumò, mentre la pianta collassò su un fianco, assieme al terreno in cui aveva messo radici.
Shirou guardò con orrore il danno causato, ma Fuyumi si accorse di lui prima che potesse nascondersi.
-Shirou?- Il suo tono era più sorpreso che arrabbiato, mentre il suo sguardo si spostava da lui al vaso spaccato. Shirou indietreggiò d’istinto per mantenere un’adeguata distanza tra loro, un passo indietro per ogni passo avanti di Fuyumi.
La donna si fermò davanti alla pianta e le sue labbra si arricciarono in una smorfia.
-Oh. Vediamo di fare qualcosa a riguardo- mormorò sottovoce.
Invece di sgridarlo e metterlo in punizione, come Shirou si aspettava, la donna ignorò blandamente la sua presenza, gli diede le spalle e si diresse verso un angolo della serra dove erano allineate alcune fioriere vuote e vasi di terracotta. Ne scelse uno rettangolare, più largo di quello che Shirou aveva appena rotto, e, dopo averlo sollevato con qualche difficoltà, lo spostò dalla sua posizione e lo trasportò là dove si trovava la pianta.
Dal momento che lei non mostrava segni di volersi arrabbiare con lui, Shirou superò la paura e le si avvicinò con cautela per osservare più da vicino cosa stesse facendo. Fuyumi estrasse dalla tasca del proprio camice un paio di guanti verdi e se li infilò, poi si chinò a raccogliere una paletta di metallo da sotto un tavolo e cominciò a riempire il nuovo vaso con la terra caduta. Una volta raggiunto un certo livello, prese la pianta e la interrò con cura prima di riprendere a riempire lo spazio intorno ad essa. Sembrava sicura di ciò che faceva, come se non fosse stata la prima volta. In effetti, bastava guardarsi intorno per intuire che avesse un interesse, forse persino una passione, per la botanica.
Era così apparentemente concentrata su quello che stava facendo da dare l’impressione di essersi dimenticata di lui; per questo Shirou non riuscì a trattenersi dal sussultare quando lei gli rivolse la parola.
-Allora, come mai sei venuto qui dentro? Come sapevi dov’erano le chiavi?- domandò. Shirou non rispose. Non riusciva a leggere emozioni né nella sua voce né nella sua espressione, perciò era difficile decidere quale reazione sarebbe stata più appropriata.
Fuyumi non gli sembrava arrabbiata ed il suo atteggiamento non era, almeno in apparenza, studiato, tuttavia era ancora presto per abbassare la guardia con lei.
-Mi hai seguita per vedere dov’erano le chiavi, giusto? Mi stavi spiando da un po’, eh?- incalzò Fuyumi. Il silenzio imbarazzato di Shirou le fornì una risposta più che sufficiente.
-Puoi anche rispondermi, sai. O dire qualsiasi altra cosa. Non sono arrabbiata, semplicemente non capisco perché tutto questo mistero. Se tu mi avessi chiesto di portarti qui, non ti avrei detto di no. Non c’è nulla di estremamente delicato o prezioso- continuò la donna, serenamente. -Certo, se tu avessi ripetuto uno scherzetto come quello dell’altro giorno… Beh, sarebbe stato un bel problema per le mie piante! Sono in una serra proprio perché non sono molto resistenti al freddo. Non credo sopravvivrebbero al ghiaccio…
Shirou sentì la propria gola seccarsi. Pensieri e domande iniziarono subito ad affastellarsi nella sua testa. Quindi non era stata solo una sua impressione, quel giorno: Fuyumi sapeva. Ma quanto sapeva? Sapeva solo di lui, o anche di Atsuya? E, soprattutto, perché non li aveva ancora cacciati? Quali erano i suoi piani?
Finché non lo scopriva, era meglio non sbilanciarsi troppo.
-Tu sai che noi siamo… diversi?- Meglio tenersi sul vago.
-Diversi!- ripeté Fuyumi, quasi divertita. Gli scoccò un’occhiata di sbieco, poi tornò a guardare la pianta che stava curando: ne stava lisciando le foglie tra le mani, come se la stesse accarezzando. Aveva dita lunghe e affusolate, su cui Shirou non aveva mai visto anelli; era solita invece indossare guanti di pelle, di lana, o di lattice.
-È così che lo chiami? Essere diverso?- incalzò, ironica.
Shirou strinse i pugni, sforzandosi di mantenere un’espressione neutrale, ma aveva la sensazione che con lei fosse inutile fingere. Le bastava una parola, uno sguardo, o anche solo un sorriso per destabilizzarlo.
-Sai di cosa sto parlando?
-Lo so perfettamente. Anzi, è probabile che io ne sappia molto più di te. Che ne dici?- Fuyumi girò il vaso verso di lui. Shirou osservò con attenzione la pianta, che sembrava più rigogliosa di prima, e si trovò a provare sollievo per non averla danneggiata in modo serio.
Fuyumi sorrise e rivolse alla pianta uno sguardo quasi affettuoso.
-A dire il vero, ti sono grata per aver rotto il vecchio vaso, mi hai fatto realizzare che era troppo piccolo per lei e ne soffriva. Adesso sta molto meglio, vero? Così potrà crescere e fiorire al meglio delle sue possibilità.
Sembrava piuttosto soddisfatta del proprio operato, pensò Shirou. E non aveva dato una vera e propria risposta a nessuna delle sue domande.
Fuyumi si voltò di colpo verso di lui, facendolo sobbalzare.
-Allora, Shirou- disse, con un brillio negli occhi, -vuoi sapere cosa so su di te e i tuoi poteri?
E ora, tutto d’un tratto, giocava a carte scoperte.
Shirou deglutì.
-È… è magia…?- mormorò, titubante, ed arrossì quando vide Fuyumi trattenere una risata.
-No, non è magia. È scienza- disse, allegra, scuotendo il capo.
-Sei diverso, è vero, ma non più di tanti altri. Non siamo tutti diversi uno dall’altro, in fondo? Certo, tu lo sei… un po’ di più. La natura ti ha fatto un dono, Shirou. I tuoi poteri sono sempre stati dentro di te, giusto? Sono parte di te, della tua natura. Ecco, studiare questa natura è il mio lavoro. Non sei l’unico al mondo.
Shirou trattenne il fiato.
-Ci sono… Ci sono altre persone come me…?
-Certo che sì. C’è tuo fratello, no? E non siete dei prescelti o chissà cosa, è solo la natura che ha fatto il suo corso. Nessuna magia, si tratta solo di evoluzione umana e DNA.
-Evoluzione… quella di Darwin?- mormorò Shirou, incerto. Fuyumi parve compiaciuta.
-Oh, quindi un’infarinatura di cultura generale ce l’hai! Ero preoccupata che non avessi ricevuto alcuna educazione, vista la tua situazione familiare- osservò.
Le parole, anche se prive di malizia, lo fecero trasalire. Tutte le famiglie che li avevano adottati in precedenza avevano sempre evitato di parlare della “loro situazione”, come se fosse stato un dettaglio imbarazzante, qualcosa che non bisognava menzionare. E, quando veniva fatto, ricevevano solo compassione, che poi si trasformava in fastidio per il fatto di dover sempre mostrare pena nei loro confronti, di doversi sempre controllare in loro presenza.
Fuyumi notò subito il cambio di umore.
-Oh, non dovevo dirlo? Ma non ha senso evitare di parlarne, no? Nascondere i fatti non li fa sparire- disse, si accigliò mentre infilava le mani nelle tasche del camice con nonchalance.
-Vorrei mettere in chiaro una cosa. Io non ti compatisco- proseguì, seria, pragmatica. -Non c’è niente di cui debba compatirti. Hai avuto una vita infelice, come tanti altri prima e dopo di te. Ma la tua storia non definisce tutto ciò che sei ed io non sono tenuta a trattarti coi guanti.
Poi, inaspettatamente, il suo sguardo si addolcì. –Sei arrivato fin qui con le tue sole forze… Tu sei forte. Capisci quello che sto dicendo, Shirou?
Shirou annuì. Sì, lo capiva. Lo capiva fin troppo bene...
-Pensi che io sia troppo insensibile? Puoi dirmi ciò che pensi senza aver paura-lo incoraggiò Fuyumi. Shirou scosse il capo.
-Ad essere sincero… sono sollevato- sussurrò. Sentì le guance bruciare e una sorta di calore diffondersi nel petto quando Fuyumi gli rispose con un largo sorriso.
-Sapevo di non sbagliarmi su di te. Sei in gamba- gli disse. -Vuoi seguirmi per un giro nella serra? Intanto mi dirai di più sui tuoi poteri ed io ti spiegherò quello che posso.
Si incamminò e Shirou la seguì senza alcuna esitazione.
Fuyumi lo portò a fare un giro completo della serra mentre gli parlava del suo lavoro, di come si fosse imbattuta in quello strano caso di doni della natura, delle persone che aveva conosciuto. Ogni tanto fermava le spiegazioni per occuparsi di una pianta, spostare qualche vaso, dare una spuntata alle foglie. Era chiaro che amava prendersi cura di quel luogo.
Più Shirou passava tempo con lei, più si rendeva conto che ad attrarre il suo interesse non era solo ciò che lei aveva da dire: era interessato a lei come persona, voleva conoscerla, sapere di più. Tutto in Fuyumi gli appariva diverso rispetto a qualsiasi persona avesse conosciuto fino ad allora. Non sapeva se sarebbe mai riuscito a vederla davvero come una madre, ma si chiedeva se avrebbe trovato in lei ciò che cercava, qualsiasi cosa fosse. Fuyumi gli parlava con serenità, senza usare un linguaggio troppo complicato o tecnico, ma allo stesso tempo senza trattarlo con un bambino. Era stata onesta con lui: non aveva intenzione di trattarlo con i guanti, nemmeno un po’. Shirou adorava questa novità.
Non aveva mai vissuto nulla di così emozionante e, senza che se ne accorgesse, passarono ore nella serra. Il suo stomaco iniziò a brontolare e Shirou lo abbracciò, arrossendo per la vergogna. Fuyumi sollevò una delle proprie maniche e scoprì un orologio da polso. Dopo una rapida occhiata, abbassò il braccio e rivolse a Shirou un lieve sorriso.
-Oh, è già ora di pranzo. Il tempo è volato- esclamò. -È naturale che tu abbia fame. Dobbiamo chiudere la serra e rientrare a preparare qualcosa. Su, andiamo.
Shirou annuì con energia. Di certo anche Atsuya doveva essere affamato…
Si bloccò.
Era la prima volta in tutta la mattina che pensava a Atsuya. Non poteva credere di essersi dimenticato di lui. Le ore passate con Fuyumi erano state così affascinanti, il tempo era davvero volato… Ma ora doveva tornare da Atsuya e raccontargli ogni cosa.
Sì, decise. Atsuya doveva saperlo, doveva essere messo a conoscenza di tutto ciò che Shirou aveva scoperto.
-Shirou, cosa aspetti? Ti sei imbambolato?- La voce di Fuyumi lo riscosse. Era già sulla porta e lo stava fissando accigliata. Shirou scosse il capo e corse verso di lei.
 
 
Non appena rientrarono, Fuyumi si mise a cucinare per il pranzo. Sarebbe rimasta impegnata al piano inferiore per un po’, perciò Shirou pensò fosse il momento giusto per trovare Atsuya e dirgli tutto. Non era sicuro del perché volesse farlo di nascosto da Fuyumi. Era chiaro che Fuyumi e Atsuya non andavano d’accordo, ma in fondo lei aveva adottato entrambi, quindi non poteva odiarlo, giusto? E poi, Shirou non aveva mai avuto segreti con Atsuya. Fuyumi avrebbe capito. Lei sembrava capirlo meglio di chiunque altro, eccetto Atsuya.
Corse a perdifiato su per le scale e aprì di colpo la porta chiamando il nome del fratello.
-Atsuya! Atsuya!
Era eccitato di condividere quello che aveva imparato con suo fratello, ma il suo entusiasmo si spense quando Atsuya non si voltò neppure a guardarlo. Lo conosceva così bene che era bastato mettere piede nella stanza per capire che qualcosa non andava.
-Atsuya?- lo chiamò di nuovo, questa volta incerto.
Atsuya era seduto a gambe incrociate sul proprio letto, il più vicino alla finestra: stringeva il cuscino al petto e fissava ostinatamente la finestra. Shirou chiuse la porta, poi gli si avvicinò, si sedette dietro di lui e gli mise una mano sulla spalla per scuoterlo con gentilezza.
-Atsuya, cosa c’è? Avanti, parlami- lo incoraggiò. Atsuya sbuffò.
-Perché? Mi sembra tu sia stato benissimo senza parlarmi tutto questo tempo- sbottò infine, incapace di trattenersi ancora.
Shirou era stato così entusiasta da dimenticare che Atsuya gli stava ancora tenendo il broncio.
-Ah… Mi dispiace… Scusami- disse. -Ma senti, ho scoperto delle cose! Fuyumi mi ha detto…
-Non mi interessa!- Atsuya si girò di scatto, inviperito, e usò il cuscino per zittirlo, premendoglielo sul viso. Per un attimo Shirou si paralizzò, colto alla sprovvista, ma poi iniziò a dibattersi e, dopo alcuni secondi di lotta, riuscì a spingere via il fratello.
-Ma sei impazzito?! Mi stavi soffocando…!
-Non mi importa ciò che quella donna ha da dire!- gridò Atsuya, interrompendolo.
-Vi ho visti insieme dalla finestra! Sei uscito di nascosto, solo per stare con lei! Ero preoccupato per te, perché quando mi sono svegliato non c’eri, ma tu… Tu invece… Non hai proprio pensato a me, vero?! Ed è tutta colpa sua!- Atsuya si fermò a riprendere fiato, col viso paonazzo. Era da tempo che non faceva scenate del genere, al punto che Shirou si era quasi dimenticato di quanto potesse essere geloso e infantile. Continuò a guardarlo con occhi sgranati, incapace di reagire per qualche momento.
-Ma… Atsuya, non volevo nascondertelo, è stato solo un caso! Volevo entrare là dentro di nascosto da lei, non da te! Ma mi ha scoperto e quindi…- si giustificò, ma l’espressione di Atsuya si rabbuiò ancora di più.
-Quindi hai passato la mattinata con lei e ti sei dimenticato di me. Ah, questo sì che migliora le cose, grazie, Shirou- disse, sardonico. Shirou si sentì arrossire, colto in flagrante.
D’impeto, strappò il cuscino dalle mani di Atsuya e glielo sbatté addosso. Atsuya sussultò e strabuzzò gli occhi, troppo stupito per protestare, e Shirou approfittò del momento.
-Beh, forse te lo avrei detto, se tu non avessi sempre questo atteggiamento!- replicò, irritato.
-Cosa?! Ora sarebbe colpa mia?! Quale atteggiamento avrei, sentiamo!
-Questo! Lo stai facendo proprio adesso!- Shirou allargò le braccia, esasperato.
-Sai benissimo di cosa parlo! Sei sempre contrariato e di cattivo umore, non mi ascolti mai, non parliamo nemmeno più!
-Stiamo parlando adesso, no? Contento?- ringhiò Atsuya, mentre si gettava in avanti per recuperare il cuscino. Lo afferrò da un lato con entrambe le mani e lo strattonò, facendo quasi ruzzolare Shirou giù dal letto; in tutta risposta, Shirou stese le gambe per mantenersi saldo e si aggrappò più forte all’oggetto, deciso a non mollare la presa. Non gli importava nulla di uno stupido cuscino, ma se questo era ciò che Atsuya voleva, lui non si sarebbe tirato certo indietro. Era stufo di dargliela sempre vinta.
-Non stiamo parlando, stiamo litigando- soffiò a denti stretti. Chissà se Fuyumi riusciva a sentirli, dal piano di sotto. Chissà se sarebbe salita a fermarli… Per un istante, si trovò quasi a voltarsi verso la porta, per accertarsi fosse ancora chiusa. Atsuya intercettò il suo movimento, forse intuì la sua preoccupazione, e Shirou vide il suo sguardo rabbuiarsi un po’ di più, ma era troppo tardi per nasconderlo.
-Persino… quando litighi con me… stai pensando a lei!- lo accusò Atsuya, soffiando aria dal naso per lo sforzo e la rabbia. Shirou aprì la bocca per ribattere, ma in quel momento il cuscino sfuggì dalla presa di entrambi, facendoli ruzzolare uno ad ogni lato del letto. L’oggetto conteso cadde a terra e, poco dopo, anche Atsuya rotolò sul pavimento con un tonfo.
Shirou si rialzò di scatto e si sporse per vedere se stava bene.
-Atsuya, ti sei fatto male?!- esclamò, tese una mano verso di lui.
L’altro gliela allontanò con uno schiaffo. Il rumore risuonò forte nella stanza e Shirou spalancò gli occhi incredulo. Ma a fare più male fu lo sguardo tradito che Atsuya gli rivolse.
-Non toccarmi- sussurrò. -Hai scelto di stare dalla sua parte, quindi non preoccuparti per me!
Shirou si portò la mano al petto, coprendola con l’altra per nascondere i tremiti. Voleva nascondere la propria vulnerabilità, aveva paura che potesse essere usata contro di lui…
-Mi stai chiedendo qualcosa di impossibile- disse, cercando di non far tremare la propria voce.
-Mi preoccuperò sempre per te, qualsiasi cosa accada… Ed io sono sempre dalla tua parte, Atsuya. Lo sai. Lo so che lo sai…
-No, Shirou… Non ne sono più sicuro- borbottò Atsuya, senza alzare lo sguardo. Afferrò il cuscino da terra e glielo scagliò contro debolmente, colpendogli soltanto le gambe. Shirou strinse forte le mani al petto e si costrinse a distogliere lo sguardo.
-Atsuya, basta… Mi rifiuto di giocare con te a questo gioco- ribatté, secco.
-Ho finalmente trovato un posto che mi piace! Lei mi accetta, ci accetta per quello che siamo! Sa cosa siamo, cosa possiamo fare e non ci caccerà per questo. Per la prima volta, mi sento benvoluto e questo mi piace!- disse. -Quindi se vuoi fare il Bastian contrario, accomodati pure, ma io mi rifiuto di prendere parte a questo capriccio. Continua pure a fare a modo tuo ed io farò a modo mio!
Non gli lasciò il tempo di rispondere. Non aveva voglia di ascoltare cosa Atsuya avesse da dire.
Shirou girò i tacchi senza più una parola ed uscì dalla stanza richiudendo la porta.
Naturalmente, come aveva previsto, Atsuya non si fece vedere per pranzo.
Fuyumi poggiò sul tavolo due ciotole di riso, poi si sedette di fronte a Shirou e ringraziarono per il pranzo.
-Ci hai messo un po’ di tempo- osservò la donna, mentre impugnava le proprie bacchette con grazia. Shirou prese le sue e le strinse forte tra le dita, anche se la mano gli faceva male. Gli piaceva il fatto di avere delle bacchette personali, era una novità. Fuyumi gli passò le verdure e chiese, disinvolta:- Qualcosa non va? Tuo fratello non scende a mangiare?
-No- bofonchiò Shirou. Fuyumi annuì tra sé e sé.
-Lo immaginavo. Dovrò mettergli di nuovo qualcosa da parte, allora- disse senza scomporsi. Se aveva notato la mano arrossata di Shirou, non ne diede segno.
Shirou non poté fare a meno di lanciare uno sguardo triste alla ciotola vuota e al paio di bacchette lasciate sul bancone, accanto alla vaporiera con il riso, ma si costrinse a scacciare via i pensieri e a concentrarsi sul proprio piatto. O almeno, ci provò finché non riuscì proprio a trattenersi.
-Lui… È difficile per noi due, dopo tutto ciò che ci è successo… Ma io ci sto provando, ci sto provando davvero! Non merito che sia arrabbiato con me…- sbottò, irritato.
-Non c’è nulla di sbagliato nel cercare di adattarsi- disse Fuyumi, come se sapesse esattamente cosa Shirou aveva bisogno di sentire. –Shirou, tu cosa vuoi fare?
Shirou restò in silenzio per un momento. -Io… io voglio restare qui- sussurrò.
Fuyumi annuì. –Bene- disse soltanto, poi riprese a mangiare e non ne parlò più. Quando Shirou alzò timidamente lo sguardo verso di lei, si accorse che stava sorridendo.
Dopo mangiato, lavarono insieme i piatti, poi Fuyumi si offrì di prestargli dei libri e di leggerli con lui, in caso fossero troppo difficili. Nella casa c’erano quasi solo libri di medicina, biologia, botanica. Shirou accettò con piacere.
Mentre stavano seduti sul divano a parlare di piante e stelle e fenomeni naturali, Shirou intravide con la coda dell’occhio Atsuya infilarsi in cucina per prendere il cibo di nascosto, come al solito, ma fece finta di non averlo visto. 
 
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-Questo mio potere… cos’è esattamente?
Una sera, Shirou non poté trattenersi dal fare quella domanda. Non che ci fosse un motivo preciso per cui l’avesse detto proprio in quel momento. Era una sera come un’altra: i giorni si susseguivano tutti uguali, in quel posto, dove il tempo sembrava quasi essersi cristallizzato.
Fuyumi stava lavando i piatti dopo la cena. Per un momento la donna si fermò, le sue spalle si irrigidirono, ma si rilassò immediatamente.
-Come mai questa domanda?- chiese dopo la pausa.
-Così… Non puoi dirmelo?
Fuyumi chiuse l’acqua e si sfilò i guanti di lattice con estrema calma. In cucina c’era ancora odore di riso e alghe nori; sicuramente la donna avrebbe usato gli ingredienti rimanenti per fare degli onigiri, in modo che anche Atsuya potesse cenare. Per il momento, però, non li toccò. Del resto, Atsuya in quel momento stava probabilmente dormendo. Era rimasto sul letto tutto il pomeriggio e, quando Shirou era entrato per cambiarsi prima di cenare, lo aveva trovato appisolato.
-Certo che puoi. Mi hai solo colta di sorpresa- disse. -Metto su un po’ di tè, poi possiamo sederci e parlarne.
Shirou la osservò mentre prendeva da un armadietto una teiera di vetro e la riempiva d’acqua. Fuori il sole era già calato e il cielo era scurissimo. Dal momento che erano lontani dalla città e non c’erano forti luci artificiali, le stelle erano visibilissime e Shirou si distrasse a guardarle. Quando si girò di nuovo, la teiera era già sul fuoco e Fuyumi si era seduta al tavolo. Shirou si sedette di fronte a lei.
-Dunque, in realtà gli studi non sono ancora del tutto certi, quindi temo di non poterti dare una risposta definitiva- esordì la donna –ma, come ti ho detto, sono doni della natura. Letteralmente. Sono inseriti nel vostro DNA, sono nel vostro sangue, o forse nel vostro cervello… I doni non si sviluppano nel tempo, sono sempre con voi dalla nascita.
-E sono tutti differenti. Non c’è una sola persona come te, al mondo.
Shirou sgranò gli occhi, sorpreso.
-Nemmeno una? Nemmeno Atsuya è come me? Ce ne sono… così tanti?- esclamò, non riuscendo a bloccare la curiosità. Fuyumi sorrise, quasi con dolcezza.
-Anche tu e tuo fratello siete diversi, anche se di poco. Tutti i doni sono unici- assicurò. –Per questo ce ne sono tanti, tantissimi.
-E tu ne hai incontrati molti, Fuyumi?- chiese Shirou.
La donna annuì, in silenzio. –Sì… Potremmo dire di sì- mormorò. Il suo sorriso si era un po’ spento e, per un attimo, il suo intero viso si adombrò in modo inspiegabile. Sembrava che qualcosa l’avesse turbata. Il suo cellulare emise un debole squillo. Fuyumi si riscosse.
-Oh, è ora- disse, si alzò e tolse la teiera dal fuoco, benché l’acqua fosse ancora liscia, senza bollicine. Aguzzando la vista, Shirou notò qualcosa che galleggiava nell’acqua: un fiore, appoggiato sul fondo della teiera, stava sbocciando proprio in quell’istante. Fuyumi notò la sua meraviglia e rise piano, mentre con la mano libera gli faceva cenno di venire vicino per osservare meglio. Shirou trattenne il fiato e balzò in piedi. Non aveva mai assistito a nulla del genere. Il fiore non appassì nemmeno quando, dopo un minuto o due, Fuyumi cominciò a versare l’acqua, limpida e pulita e leggermente rosata, nelle tazze di ceramica. 
Fu come assistere ad una sorta di miracolo.
  
 
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Mentre Fuyumi chiudeva la serra alle sue spalle, Shirou si perse ad osservare il paesaggio.
La neve persisteva: in un mese l’inverno sarebbe cessato, ma la neve non sembrava saperlo, o non le importava. Teneva duro. Benché il freddo non gli dispiacesse, Shirou non poteva fare a meno di chiedersi come il paesaggio sarebbe cambiato al cambio di stagione. Sarebbero cresciuti fiori anche fuori dalla sera? Ricordava di aver sfogliato libri illustrati, da piccolo, in cui erano ritratte abitazioni di campagna circondata da prati verdi, fiori colorati e ruscelli cantanti, sopra i quali brillava un cielo azzurro, con nuvole soffici come zucchero filato. La casa di Fuyumi non aveva un aspetto tanto idilliaco, ma probabilmente anche lì, quando la neve si fosse ritratta, avrebbero trovato spazio colori vividi e profumi tipici della primavera.
-Ci sono dei ciliegi qui vicino?- chiese a Fuyumi non appena lei gli si avvicinò.
-Mmm, nelle vicinanze del paese ce ne sono alcuni. Non è come nelle città grandi, però. Come mai me lo chiedi?- rispose lei. Shirou abbassò lo sguardo, imbarazzato.
-Uhm, vorrei andare a vederli quando sbocceranno. Non ho mai visto dei ciliegi dal vivo, solo in foto…- ammise, vergognandosi un po’.
Fuyumi intuì il suo stato d’animo e gli sorrise in modo incoraggiante.
-Non c’è da vergognarsi. Non credo esista un solo uomo sulla Terra che possa dire di aver fatto tutto e visto tutto. E non è questo il bello?- Fuyumi sollevò il viso verso il cielo, chiuse gli occhi e inspirò a fondo, espirò lentamente. Quel giorno aveva legato i capelli in una treccia, che le ricadeva morbida su una spalla.
–C’è qualcosa di poetico nella natura. Gli inverni in Hokkaido sono molto lunghi e molto duri, per questo i ciliegi che sbocciano qui hanno una bellezza speciale per noi che ci abitiamo. Ci fa pensare ad un nuovo inizio, che è possibile ricominciare. Ogni anno il ciclo continua e noi siamo parte di esso- disse. Shirou la guardò impressionato.
-Sei inaspettatamente romantica- osservò.
Fuyumi gettò indietro il capo e rise. –Il mio è solo amore per la natura. È crudele, ma anche stranamente confortante, a volte. Il mio lavoro è la mia vita. Le persone come me non possono concedersi il lusso di essere romantiche- replicò. 
Shirou intravide il suo volto adombrarsi. Succedeva, a volte, quando parlavano di certi argomenti. Se una parte di lui si trovava spesso a chiedersi se Fuyumi non fosse uno spirito della foresta o della neve, di certo erano quei momenti a ricordargli che era umana tanto quanto lui. C’era qualcosa in lei che continuava a incuriosirlo. Qualcosa di fuori posto ed enigmatico, come un puzzle i cui pezzi mancanti erano scomparsi, o stati nascosti.
-Andremo a vedere i ciliegi. È una promessa- disse Fuyumi, tornando all’argomento principale bruscamente. –Ora non perdiamo altro tempo. Oggi ho dimenticato di mettere a fare il riso.- Si affrettò a entrare in casa. Shirou la seguì senza dire altro.
Appena rientrato, corse al piano superiore a cambiarsi.
Atsuya era ancora nel letto. Shirou notò che sul suo comodino c’era ancora il piatto usato il giorno prima, con dei rimasugli di riso e pezzettini di alghe, e pensò fosse insolito che Atsuya lasciasse qualcosa in giro. Non era mai stato un bambino ordino, ma in quella casa riportava sempre tutto al suo posto, come se volesse cancellare le prove. Shirou si inginocchiò davanti al letto e lo osservò, leggermente preoccupato. Atsuya stava sempre chiuso in camera, era così tranquillo e silenzioso da far paura. In quel momento, dormiva rannicchiato su se stesso come un gattino e Shirou non poté fare a meno di provare tenerezza. Non poteva più sopportare di non parlare con lui, aveva tantissime cose da dirgli. Gli toccò una guancia, disegnando col dito la curva dello zigomo, ma Atsuya non ebbe reazioni di alcun tipo. Shirou si accigliò. Tra loro due, era sempre stato Atsuya ad avere il sonno più leggero.
-Atsuya? Sei andato in letargo?- cercò di scherzare. Gli scostò i capelli che gli coprivano il viso e gli tirò leggermente la guancia. Sembrava anche piuttosto pallido.
-Atsuya?- Lo chiamò ancora, questa volta scuotendolo per la spalla.
Solo dopo qualche minuto Atsuya cominciò a svegliarsi: aggrottò la fronte, mugolò infastidito, e poco dopo i suoi occhi si aprirono, anche se non completamente. Lo guardò a lungo senza parlare e Shirou trattenne il fiato.
-…Shirou?- mormorò Atsuya, finalmente. –Cosa…?
Vagamente sollevato nel sentire la sua voce, Shirou si sedette accanto al fratello e cominciò ad accarezzargli i capelli. Con sua sorpresa, Atsuya non respinse la sua gentilezza, ma anzi si tese ancora di più verso di lui, fino ad appoggiare la guancia contro la sua gamba, e si cullò nelle sue attenzioni. Il cuore di Shirou si riempì di affetto. Atsuya doveva averlo perdonato, pensò, e si sentì sollevato. Tuttavia, ora c’erano cose più importanti a cui pensare.
Affondando le dita nei suoi capelli, Shirou si accorse che erano ruvidi come fili di paglia, come se non li avesse lavati per un bel po’ di tempo. Shirou notò che era andato a dormire con indosso gli abiti che aveva portato con sé dall’orfanatrofio, stropicciati, sudati, probabilmente da lavare. Quand’è che Atsuya aveva smesso di prendersi cura di se stesso? L’affetto e la tenerezza finirono annacquati in un turbinio di senso di colpa ed ansia.
-Atsuya, non ti senti bene?- chiese Shirou. Quando gli premette la mano contro la fronte per controllargli la temperatura, non la trovò bollente di febbre, ma non c’era niente di cui essere felici. Atsuya continuava ad apparirgli un po’ troppo giù di tono, era come… spento.
-Non lo so… Non riesco a stare… sveglio…- mormorò Atsuya, muovendo appena le labbra. Si raggomitolò ancora di più contro il suo fianco, ma Shirou se lo scrollò di dosso e lo scosse bruscamente.
-Atsuya! Resta sveglio!- esclamò. –Vado subito a chiamare Fuyumi! Resta sveglio, capito?!
Suo fratello rispose con un mugolio che avrebbe potuto essere tanto un sì quanto un no, ma non c’era tempo di discutere. Shirou scattò in piedi e corse fuori dalla stanza, si affacciò alle scale e gridò:- Fuyumi! Atsuya è strano!
Non passò nemmeno un minuto prima che Fuyumi comparisse sulla soglia della porta della cucina.
-Strano in che modo?- domandò, accigliata.
-Non lo so, penso che stia male! Vieni a vedere!
Fuyumi rientrò in cucina, forse a spegnere la vaporiera. L’odore del riso cotto era molto forte. Qualche secondo dopo, la donna lo raggiunse al piano di sopra e si sedette sul bordo del letto di Atsuya. Il ragazzo non la respinse: nonostante Shirou glielo avesse raccomandato per due volte, si era riaddormentato comunque. Shirou restò in piedi sulla porta, apprensivo, mentre Fuyumi controllava il battito di Atsuya, prima dal polso e poi premendo due dita contro il lato visibile del suo collo. Per un momento, la donna rifletté su cosa fare, poi diede il suo verdetto.
-Potrebbe non essere niente di grave, forse problemi di pressione- constatò. –Ma io non sono un medico vero e proprio, solo una ricercatrice, perciò credo sia meglio portarlo in paese. Conosco delle persone che hanno una clinica lì.- La sua voce era tranquilla, e Shirou pensò che parlasse così per non agitarlo.
Insieme portarono Atsuya al piano di sotto e poi nella macchina di Fuyumi, parcheggiata nel viale davanti alla casa. Osservando il volto per nulla disteso del fratello, Shirou pensò che dovesse essere a disagio. Forse aveva freddo, visto che l’auto non era accesa e quindi non calda come l’interno della casa.
-Aspettami un attimo, torno subito- bisbigliò Shirou ad Atsuya, anche se lui non poteva sentirlo, poi chiuse la portiera e rientrò di corsa in casa. Salì di sopra e denudò senza alcuno scrupolo entrambi i loro letti, strappando loro le coperte spesse e ruvide. Dal momento che con le braccia piene non vedeva bene davanti a sé, di ritorno scese le scale e attraversò il soggiorno più lentamente; passando davanti alla porta della cucina, gli parve di sentire la voce di Fuyumi e si fermò. Una parte di lui gli diceva di tornare subito da Atsuya senza perdere altro tempo, ma voleva anche essere rassicurato da Fuyumi che tutto sarebbe andato bene. E se l’avesse sentita parlare con i suoi amici dottori al telefono, forse il nodo che aveva allo stomaco si sarebbe sciolto un pochino, o almeno così sperava.
-Ti ho già detto tutto quello che ti dovevo dire, no? Smettila di essere così insistente- sentì Fuyumi dire. Sembrava irritata. –Sì… Sì, sto arrivando con i ragazzi. Ora mi metto in macchina, ci vediamo lì. Ti ho detto che ne sono sicura! A dopo.- Riattaccò e sospirò, massaggiandosi le tempie. Indossava il suo cappotto dorato. Quando sollevò lo sguardo e notò Shirou sulla porta, fece scivolare il proprio cellulare in una tasca e gli si avvicinò.
-Andiamo- disse soltanto. –Entra in macchina.
 
 
Stavano percorrendo la stessa strada che avevano fatto la prima volta. Erano passati solo pochi mesi da quando Fuyumi li aveva accolti, ma a Shirou parevano anni. La realtà dell’orfanatrofio e la vita che avevano consumato fino ad allora erano lontani ricordi nella sua memoria e non intendeva rivangarli, eppure… Eppure, proprio in quel momento, misteriosamente, gli stavano tornando tutti in mente. Più si allontanavano dalla casa di Fuyumi, più Shirou aveva la sensazione di star uscendo da un bellissimo sogno.
Era probabilmente la paura di perdere Atsuya a far ritornare a galla tutti i suoi ricordi traumatici. Solo la presenza del fratello gli aveva impedito di crollare. Perderlo era assolutamente impensabile. Non poteva accadere, Shirou non riusciva a concepirlo. Erano sempre stati assieme… ma il suo egoismo li aveva separati. Il peso della sua colpa lo schiacciava. Non si era accorto della sofferenza di Atsuya, non meritava il suo perdono.
Atsuya appariva più fragile che mai, addormentato e infagottato com’era nelle coperte, e Shirou lo strinse forte a sé mentre osservava la strada scorrere davanti ai propri occhi. Fuyumi non li guardava mai e non aveva detto una parola da quando erano partiti. Sembrava nervosa, o forse impaziente: come al solito, Shirou non riusciva a capirla fino in fondo. I suoi occhi azzurri erano fissi sulla strada e ancora più freddi del solito. In quel momento, nell’abitacolo del SUV nero, il silenzio aveva un peso reale e gravava sulle loro teste, impietoso.
Fuyumi era stata strana tutta la mattina, pensò Shirou. Quel pensiero non lo lasciava in pace, come il ronzio di una zanzara che non riesci a vedere, ma che ti tormenta ugualmente. Era come se… Come se avesse paura, realizzò Shirou. Non riusciva a immaginare Fuyumi spaventata. Cosa poteva averla turbata a quel modo?
Atsuya mugugnò contro la sua spalla qualcosa di non ben distinguibile, richiamando la sua attenzione. Shirou pensò che stesse scomodo e si ritrasse il necessario perché Atsuya potesse scivolare contro di lui e trovare maggiore appoggio, tuttavia l’espressione del fratello restò tesa. Faceva così male vederlo in quelle condizioni, che Shirou avrebbe volentieri preso il suo posto. Chiuse gli occhi, affondando il viso nei capelli di Atsuya. I suoi pensieri erano tutti ingarbugliati, con troppe domande e troppe immagini che si affastellavano insieme. Ripensò a tutto quello che aveva visto e sentito quella mattina. C’era qualcosa di sbagliato, su cui non riusciva a puntare il dito.
Aveva una brutta sensazione. Istintivamente, mise la mano sulla portiera.
-Ferma la macchina- disse, brusco.
Attraverso lo specchietto, vide Fuyumi guardarlo. Finalmente.
-Cosa? Perché?- replicò, sorpresa, confusa.
-Fermala!
Lei lo guardò. Si guardarono per forse un minuto.
-Non posso- mormorò Fuyumi.
Shirou strinse convulsamente la maniglia della portiera e il vento scosse il veicolo con una forza innaturale, tale da far tremare i vetri. Gli occhi di Fuyumi non lasciavano i suoi. Sapeva cosa stava facendo.
-Non farlo, Shirou- gli disse. Lui non l’ascoltò.
Gli pneumatici scivolarono sulla strada ghiacciata e l’auto uscì fuori strada. Saltarono tutti dai sedili e Shirou si staccò dalla portiera per afferrare il fratello con entrambe le braccia e proteggerlo col proprio corpo in caso ci fosse un forte impatto. Fuyumi cercò di mantenere il controllo del veicolo, ma era ormai fuori dal suo controllo e il volante le sfuggì dalle mani, ruotando impazzito. Per fortuna, l’auto non colpì un albero, bensì un cumulo di neve abbastanza duro da fermarne la corsa e a poco a poco rallentò e si fermò per inerzia. Il vento fece schizzare altro nevischio sui loro finestrini.
Per prima cosa, Shirou si assicurò che Atsuya stesse bene. Suo fratello stava ancora dormendo e non sembrava aver accusato nessun colpo, anzi, probabilmente non se n’era manco accorto. Shirou non pensava fosse una cosa positiva. Come si può continuare a dormire in tutta quella confusione? La brutta sensazione si acuì.
Shirou aprì entrambe le portiere dei sedili di dietro, uscì e fece il giro dell’auto per vedere come stesse Fuyumi. La donna scese dall’auto poco dopo. Gli lanciò un’occhiata indecifrabile, poi si mise a osservare il veicolo da tutti i lati, per verificare che non ci fossero danni gravi. Mentre lo faceva, il cellulare nella tasca del suo giaccone da neve cominciò a vibrare. Fuyumi guardò appena lo schermo prima di rispondere.
-Scusa, sì, sono in strada… No, va tutto bene, perché chiami?- disse. Si girò a guardare Shirou, poi Atsuya, poi decise di allontanarsi per parlare al telefono senza essere sentita.
Shirou la guardò andare. Osservò i loro dintorni. A circondare la strada, che continuava verso la città, c’era un paesaggio di soli alberi e nemmeno un’abitazione. Era un posto del tutto isolato, per di più rivestito da una matassa di neve che appariva infinita. Bastava voltarsi indietro per capire che tornare indietro da là avrebbe richiesto del tempo. Per questo motivo, non potevano chiamare un medico che venisse a casa per visitare Atsuya, era necessario andare in una clinica in paese. Era del tutto ragionevole. Anche troppo. Sembrava costruito.
Shirou seguì con lo sguardo le impronte lasciate sulla neve da Fuyumi. Da un lato della strada la distesa bianca finiva verso in un pendio, si lanciava giù in un dirupo proprio a bordo strada. Si avvicinò a Fuyumi con cautela, per paura in parte del burrone, in parte di un rimprovero che sarebbe stato più che appropriato. Arrivò dietro di lei giusto in tempo per sentirla chiudere la chiamata.
-Ci vediamo tra poco. Non cominciate senza di me- la sentì dire, poi Fuyumi spense il telefono e lo fece scivolare di nuovo nella tasca del giaccone. Parve riflettere per qualche momento. Shirou mosse un passo verso il pendio, senza avvicinarsi troppo, soltanto per gettare uno sguardo oltre l’orlo: se lo aspettava, ma guardare giù e vedere solo un vortice di bianco fu ugualmente scioccante. Si ritrasse di scatto. Fuyumi sentì il crepitare dei suoi scarponi nella neve e si voltò verso di lui. Gli rivolse un sorriso amichevole e, per un momento, Shirou si sentì sollevato.
-Non sono arrabbiata con te- esordì Fuyumi. –Sei agitato, lo capisco. E quando sei agitato, ti viene naturale usare i tuoi poteri.- Lanciò uno sguardo alla strada, poi alla macchina. Tre portiere su quattro erano aperte. Atsuya dormiva. Non sembrava esserci niente di diverso.
Fuyumi si abbracciò, incrociando le braccia al petto, gli sorrise di nuovo, poi si mise a osservare il panorama, serenamente.
-Invece di discutere, dovremmo rimetterci in marcia. Possiamo fare una piccola pausa, se preferisci, ma sarebbe meglio portare subito tuo fratello dai dottori, non credi? Per questo ti dicevo che non è il caso di fermarsi. E poi, qui siamo in mezzo al nulla- disse, sempre molto pratica.
-Non voglio andare in città- replicò Shirou. –Voglio tornare indietro.
Fuyumi non lo guardò. Non si mosse.
-Perché?- domandò.
Shirou strinse i pugni. Il vento scuoteva l’orlo dei loro giacconi e, soffiando verso l’alto, infilandosi tra le fessure della roccia e tra i rami degli alberi, suonava simile ad un lungo grido spezzato.
-Tu non vuoi il bene di Atsuya. Non sei preoccupata per lui… Non te n’è mai importato nulla di lui- disse Shirou. Gli tremava la voce, e anche tutto il resto del corpo.
Fuyumi rimase immobile.
-Perché?- ripeté.
La risposta era semplice. Shirou aveva vissuto per Atsuya, per tutto quel tempo. Si preoccupava sempre e solo di lui.
Come aveva potuto perderlo di vista?
-Cosa gli hai fatto?- chiese, ancora tremante. –Dove ci stai portando, in realtà?
Fuyumi rimase in silenzio. Non era una risposta, ma forse un’ammissione di colpa sì.
-Io mi fido… mi fidavo di te! Cosa gli hai fatto?- la incalzò Shirou, alzando la voce.
Fuyumi lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e sospirò come se avesse appena aspirato il fumo di una sigaretta e dovesse buttarlo fuori, come se avesse respirato qualcosa di velenoso. Nell’aria gelata, il suo fiato divenne condensa all’istante. Lentamente, si voltò verso Shirou.
-Gli ho soltanto dato dei tranquillanti. Un poco alla volta. Non era appropriato che fosse così irrequieto… non andava bene- ammise, senza alcuna inflessione nella voce.
–E, per la cronaca, non ti ho mai mentito. Stiamo davvero andando in una clinica. Ci saranno ricercatori come me, è vero, ma ci sono anche dei medici. Tuo fratello starà bene- aggiunse.
-Come puoi dirlo? Come puoi esserne certa?- domandò Shirou. Fuyumi non rispose, continuò a guardarlo, accrescendo la sua frustrazione verso di lei. Certamente lei aveva visto l’esatto istante in cui la consapevolezza aveva illuminato i suoi occhi, quando aveva finalmente unito i pezzi.
-Hai… Hai detto che ci sono altri ricercatori. Questa clinica…- Deglutì. Gli girava la testa e aveva un senso di nausea crescente. –Tu… ci stai portando da loro…? Ci useranno come… esperimenti? Per tutto questo tempo…- Dovette fermarsi, si sentiva soffocato. Gli tornarono in mente i volti delle persone che lui ed Atsuya avevano incontrato fino a quel momento. Li avevano chiamati mostri, scherzi della natura, demoni. Nessuno, però, prima di allora, era mai riuscito a ferirlo davvero come aveva fatto Fuyumi. Era stato proprio lui a darle quel potere.
Per qualche misterioso motivo, anche lei sembrava ferita. Shirou la fissò con astio, scaricandole addosso tutto il suo rancore e la sua frustrazione. Lei non aveva il diritto di sentirsi ferita.
-Tu sei speciale, Shirou- mormorò Fuyumi. –Questa non è una bugia. Sei speciale per me. L’ho capito quel giorno… La prima volta che ti sei intrufolato nella serra, te lo ricordi? Ho capito che tu ed io, in fondo, siamo simili. Anche il modo in cui hai sempre tenuto lontano tutti, tranne tuo fratello, non era che un modo per non essere ferito, vero? Perché, per quanto ci possiamo credere, le persone che non feriscono gli altri sono rare- disse.
Non sai niente di me, pensò Shirou, ma non riuscì a ribattere. Aveva un nodo in gola. Scosse il capo, mordendosi il labbro. Fuyumi non lo capì, non colse la sua silenziosa protesta: era troppo presa dal proprio ego per notare quanto lui stesse soffrendo.
-Sono diventata una ricercatrice perché volevo credere. Non è la magia a darci i miracoli, ma la scienza. È la natura stessa, a definirci e distinguerci gli uni dagli altri. A salvarci.
Fuyumi sollevò una mano e la tese verso di lui.
-Sia tu che tuo fratello avete dei poteri… ma questo non garantisce la salvezza a entrambi. Tu lo sai bene, non è vero? Lo sai meglio di tutti. La possibilità di essere salvato è rara anche per una persona sola. Che lo vogliamo o no, la natura sceglie solo i più forti…
Il suo sguardo si rabbuiò.
-Ho visto molti ragazzi come te, in questi anni. Io non ho doni, ma sono sopravvissuta a loro. Non erano forti abbastanza. Sai come mi sono sentita, a cercare di salvarli, uno dopo l’altro? Ci sono cose che non possiamo controllare, poteri che non immaginiamo neppure, là fuori… Per questo ho continuato. Ho continuato a cercare e a cercare… Non mi sono mai arresa, e alla fine la strada intrapresa mi ha portato a te. E, di tutto ciò che mi è successo, incontrarti è l’unica che non abbia mai rimpianto.
Una lacrima le era rimasta impigliata tra le ciglia. La sua mano era ancora sospesa in aria, tesa verso di lui, ma Shirou non si mosse per prenderla. Perché era vero, lui la capiva. Capiva meglio di chiunque altro il dolore di non riuscire a proteggere qualcuno. Eppure, non poteva accettarlo. Scosse il capo più e più volte, come per scacciare fisicamente la presa che quelle parole avevano su di lui.
-No- rispose, soffocato. 
Fuyumi gli rivolse uno sguardo di compassione. Non se lo sarebbe mai aspettato da lei e la odiò per questo. Lo guardava come se avesse capito tutto, come se conoscesse esattamente i suoi pensieri, anche quelli a cui non dava voce. Era come se lo compatisse proprio per questo.
-Finché resterai legato a lui, non potrai mai essere libero. Se non è possibile salvare tutti, allora bisogna scegliere, Shirou- disse Fuyumi, un sorriso le sfiorò le labbra, e poi abbassò la voce di colpo. Come se stesse per svelare un segreto.
-Ed io ho scelto te- bisbigliò.
Fu come ricevere uno schiaffo.
Shirou trattenne il fiato di colpo. Una lacrima gli scivolò lungo la guancia, e a quella ne seguirono molte, molte altre. Le lacrime cominciarono a colargli calde sul viso, contro la sua volontà, ancor prima di realizzare cosa stesse accadendo. Deglutì il sapore salato e si forzò a distogliere lo sguardo.
Fino a quell’istante, finché non aveva sentito quelle parole, non lo aveva mai realizzato: lui voleva essere scelto. Era quello che aveva sempre voluto, essere amato da qualcuno che lo vedesse per quello che era, come Fuyumi aveva fatto. Eppure… non era abbastanza. Era ciò che voleva, ma allo stesso tempo la cosa di cui aveva più paura.
Lasciare indietro Atsuya, ottenere la felicità al prezzo della sua, era l’unica cosa che non era disposto a fare. Atsuya ed il legame che esisteva tra loro erano intimamente parte di lui, perciò non avrebbe potuto accettare l’amore di nessuno, finché qualcuno non avesse accettato anche quelle parti. Era così semplice, eppure non era mai riuscito ad esprimerlo.
-No!- Benché l’avesse detto in un tono di voce normale, quella sillaba risuonò come un grido nel silenzio della pianura innevata. E lui la ripeté di nuovo, ancora e ancora, prendendosi la testa tra le mani e scuotendola forte. Ogni no era prezioso, sgretolava la sua indecisione, combatteva la sua debolezza.
-Shirou, non farlo…! Tu puoi ancora… puoi ancora scegliere! Puoi essere salvato!- gridò Fuyumi. Era la prima volta che alzava la voce. Aveva perso la solita calma, perché in realtà aveva già capito cosa Shirou avesse scelto. Aveva capito di essere stata abbandonata.
-Non vedi? Tu ed io siamo così simili, siamo… siamo anime affini… Potrei essere tua madre, potrei esserlo davvero. Potremmo girare il mondo insieme, e averlo nelle nostre mani, un giorno! Se solo tu ora… Se solo tu prendessi la mia mano…!
Fuyumi si tese verso di lui con tutta sé stessa, ma Shirou schiaffeggiò la sua mano, allontandola da sé.
Poi successe tutto molto rapidamente.
Fuyumi indietreggiò e scivolò. Shirou alzò lo sguardo di scatto e la vide perdere l’equilibrio e cadere di lato, la sua treccia ondeggiante nell’aria, gli occhiali che scivolavano sul viso. Dietro le lenti, i suoi occhi sgranati di sorpresa, uno sguardo ferito, tradito, che Shirou non avrebbe mai più dimenticato. Shirou si mosse il più velocemente possibile, tese le mani avanti per afferrarla, ma mai come quel giorno realizzò quanto impotente fosse un ragazzino, quanto più grande fosse quella situazione rispetto a lui. Le sue mani erano ancora troppe piccole per contenere il mondo che Fuyumi desiderava per loro, e certamente troppo piccole per mantenere lei mentre scivolava e cadeva dal pendio innevato.
Fuyumi cadde e svanì nel bianco senza avere il tempo di urlare.
Shirou crollò in ginocchio sul ciglio del pendio, guardando giù in un vano tentativo di scorgerla, di accertarsi che stesse bene. Ma come avrebbe potuto? Eppure, voleva vederla di nuovo. Voleva sperare ciecamente che si fosse salvata, che avrebbero avuto una seconda occasione. Altre lacrime di rabbia gli scesero lungo le guance e non fece niente per bloccarle. Non sapeva nemmeno se fosse giusto piangere per lei.
Qualcuno lo strattonò da dietro.
Atsuya lo afferrò cingendogli il corpo con entrambe le braccia e lo trascinò lontano dal pendio con tutta la forza che aveva. Non era molta, ma Shirou non oppose alcuna resistenza, anzi si abbandonò a lui. Prima di sparire, Fuyumi lo aveva privato di ogni voglia di lottare. Perché farlo? E contro cosa? Chiuse gli occhi, stringendoli così forte da vedere macchie indistinte sotto le palpebre, e trovò una sorta di sollievo in quel buio, almeno finché Atsuya non lo lasciò cadere bruscamente nella neve. L’impatto non fu dolce e lo costrinse a muoversi, frastornato dal freddo. Atsuya non gli lasciò il tempo di riprendersi prima di iniziare ad inveire contro di lui.
-Avevo ragione! Te l’avevo detto, io te l’avevo detto dal principio! Nessuno ci accetterà mai, non troveremo mai un posto dove stare! Nessuno… nessuno sceglierà di restare con noi perché ci ama- gridò.–Avevo ragione fin dall’inizio…! Nessuno… nessuno sceglierà te… o me…- Le parole rabbiose furono soffocate dai singhiozzi. Atsuya si asciugò con furia le lacrime con il dorso del braccio, poi fulminò il fratello con occhi pieni di rancore e tristezza. Shirou si costrinse a sostenere quello sguardo.
Gli pareva fosse passato un tempo interminabile dall’ultima volta che si erano guardati così, faccia a faccia, eppure non era cambiato niente: il volto di Atsuya era ancora uno specchio del proprio, i suoi lineamenti erano una mappa familiare, in cui si riconosceva ora più che mai. Non riuscì a provare un vero sollievo, perché subito dopo realizzò che Atsuya non aveva sentito le parole di Fuyumi. Atsuya non sapeva che Fuyumi aveva scelto qualcuno. Sussurrando quelle parole soltanto a Shirou, ancora una volta Fuyumi aveva escluso Atsuya, aveva voluto egoisticamente stabilire un legame soltanto con Shirou. E, ora che se n’era andata, aveva lasciato soltanto a lui il peso di quell’orribile segreto. In quel momento, Shirou decise che Atsuya non avrebbe mai dovuto scoprirlo, che nasconderglielo era l’unico modo per proteggerlo. Tuttavia, non era questo a fargli male. Proteggere Atsuya non era mai stato un peso per lui.
Le sue parole di accusa, invece, spezzarono un blocco dentro di lui e liberarono una furia cieca che non aveva mai pensato di poter provare. Era come se tutta la sua profonda infelicità fosse confluita in rabbia verso Fuyumi, verso Atsuya e verso sé stesso. La gola gli bruciava ad ogni respiro, non si fidava della propria voce, ma allo stesso tempo sentiva il bisogno di urlare tanto quanto il fratello, di sovrastarlo con la propria voce.
In preda alla collera, Shirou affondò una mano nella neve e la scagliò in faccia al fratello. Atsuya indietreggiò istintivamente con un grido di sorpresa, preso alla sprovvista. Approfittando della sua confusione, Shirou si alzò in piedi, gli si avvicinò tanto da pestargli quasi i piedi e poi gli diede uno spintone. Atsuya barcollò ed aprì bocca per protestare, ma Shirou aveva appena cominciato.
-Non dirlo! Non osare dire che nessuno ti sceglierà! Perché io ho scelto te! Tutto ciò che faccio, che ho sempre fatto, è per te, Atsuya! Ho sempre… sempre… Tutto ciò che ho fatto…!
Gridò con tutto il fiato che aveva e, come temeva, la voce lo tradì, spezzandosi. Allora, per frustrazione, diede un altro spintone al fratello e lo fece cadere nella neve: una piccola, insoddisfacente rivincita. Mentre riprendeva fiato, non poté far altro che osservare l’espressione sconvolta di Atsuya. Lo stava fissando ad occhi sgranati, ancora lucidi, rossi e gonfi per il pianto, ma le lacrime si erano bloccate, forse per lo shock.
Nonostante quell’espressione chiaramente ferita, Shirou non aveva alcuna compassione di lui ed era grato a sé stesso di questo. Essere guardati con pietà, lo sapeva bene, era cento volte più doloroso che essere trattati con crudeltà o indifferenza. Loro due non dovevano essere compatiti da nessuno. Qualora l’avessero accettato, avrebbe voluto dire che erano davvero senza speranza, come credevano tutti. Shirou non poteva permettere che anche Atsuya cominciasse a crederci. Per impedirlo, non sarebbe rimasto in silenzio. Avrebbe urlato ancora più forte, sovrastando tutte le altre voci.
-Io ho scelto te, Atsuya. Ho scelto te, fin dall’inizio- ripeté, tremante ma deciso.
Ti prego, ti prego, fa’ che queste parole lo raggiungano, pregò, senza sapere bene a chi chiedere quel favore immenso. Fa’ che lo raggiungano davvero, davvero, questa volta… Solo quando Atsuya cambiò espressione, mostrando finalmente di aver capito, Shirou si lasciò andare ai singhiozzi.
Il vento gelido gli sferzava il viso, raffreddando le lacrime sulle sue guance, ma non se la prese: era certo che stesse cercando di accarezzarlo, di consolarlo. Il vento invernale sarebbe stato sempre un loro alleato, ne era convinto.
Quando avvertì il calore di altre braccia attorno al proprio corpo, un’altra guancia premuta contro la propria, Shirou ricambiò subito l’abbraccio, perdonando e, allo stesso tempo, accettando il perdono da parte del fratello. Affondò le dita nel suo maglione, vi si aggrappò con forza e nascose il volto umido nel suo collo.
-Atsuya… Oh, Atsuya, Atsuya, Atsuya- mormorò tra un singhiozzo e l’altro. Voleva ripetere il suo nome ad alta voce, tante e tante volte. Per ogni volta che lei si era rifiutata di pronunciarlo. Per ogni volta in cui lei aveva scelto Shirou, ma non Atsuya. Il nome che lei non diceva mai, lui l’avrebbe ripetuto fino allo sfinimento, perché alle cose importanti e preziose bisogna sempre dare un nome. E così continuò a chiamarlo a mezza voce, finché quelle sillabe non iniziarono a fondersi in una litania. Solo al quel punto, Atsuya lo interruppe.
-Non piangere, Shirou- sussurrò, sebbene stesse piangendo anche lui. Non tentò di scusarsi o di giustificarsi, perché aveva capito che era già tutto passato e che non avrebbero dovuto parlarne più. –Io sono dalla tua parte. Sarò sempre dalla tua parte, Shirou…
Si tranquillizzarono, pian piano, facendo affidamento su quella semplice, tacita promessa: che avrebbero dovuto continuare a scegliersi a vicenda quando nessuno era disposto a farlo, finché qualcuno, dall’esterno, non fosse apparso per scuotere il loro piccolo mondo.
 
 
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In confronto ai paesaggi di campagna cui erano abituati, Tokyo appariva infinita. Dal terrazzo su cui erano seduti riuscivano a vedere solo una porzione della città, che sembrare estendersi ancora per miglia e miglia. Nonostante l’aria fosse tanto fredda da pungere loro le guance, non era caduto neppure un fiocco di neve sulla città per tutta la mattina.
-Cosa faremo adesso, Shirou?- chiese Atsuya. 

-I soldi che abbiamo non saranno abbastanza per vivere qui a lungo…
Era seduto sul muretto di cinta, affacciato sul vuoto, e dondolava le gambe come un bambino, mentre sgranocchiava delle patatine da un pacchetto rubato in un konbini.
Shirou esalò un respiro e lo osservò trasformarsi in una nuvola bianca.
Quel giorno, dopo aver pianto tutte le loro lacrime, avevano dovuto pianificare la loro vita futura. Di tornare all’orfanatrofio non se ne parlava, perciò avevano fatto l’unica cosa sensata: erano tornati a casa di Fuyumi e l’avevano ripulita da cima a fondo. Avevano preso tutto ciò che potevano. Fuyumi era sempre parsa loro abbastanza benestate, ma scoprirono solo allora quanti soldi avesse davvero: forse per via delle sue ricerche,  (a cui Shirou non voleva nemmeno pensare), guadagnava molto più di quanto avessero potuto immaginare. Una parte considerevole dei soldi se ne era andata con i biglietti del treno per Tokyo, tuttavia era rimasto loro ancora un discreto gruzzoletto.
-Dobbiamo conoscere persone, allargare il nostro giro. Cominciamo a farci conoscere. I soldi basteranno ancora per qualche settimana… e poi troveremo un’altra fonte di guadagno- disse Shirou, calmo. Stava pensando velocemente, ad alta voce.
Atsuya svuotò il pacchetto di patatine, lo capovolse e lo ripulì anche dalle briciole, versandosele direttamente in bocca, poi si ripulì le labbra e il mento con la manica della maglia.
-Mi piace questo piano- replicò.
Shirou si alzò e gli tese la mano. Finché le loro mani fossero rimaste unite, ne era certo, non avrebbe mai perso di vista ciò che era veramente importante. Magari sarebbero anche rimasti in quella città abbastanza a lungo da vedere i ciliegi sbocciare. Atsuya prese la sua mano senza esitazioni, e Shirou gli sorrise.
-Rendiamo un po’ più bianca questa città, Atsuya.

 
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Note

1 Si chiama stella binaria (in inglese, "binary stars") un sistema di due stelle che orbitano intorno ad un comune centro di massa.

2 Le righe di apertura, scritte in corsivo, non mi appartengono: sono tratte dal testo della canzone “Polaris” di Aimer. Anche se ho scritto la oneshot senza ispirarmi a nulla, a scrittura ultimata ho riascoltato per caso questa canzone e mi sono resa conto che il testo mi ricorda molto Shirou, perciò ho deciso di aggiungerla in fase di revisione. Potete sentirla qui su youtube e attivare i sottotitoli italiani.

Piccola playlist di ost consigliata:

            1. Snow sonata - Reve
            2. Prayer in the winter - Yang Su Hyeok
            3. Our End Moment - 네이비 (NAVY)

            4. Beyond the snow/Staff roll (I am Setsuna OST)
 
   
 
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