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Anche essere draghi è un'arte
e ogni drago che si rispetti deve girare intorno alla torre ogni volta che tu principessa ti pettini...
Però è raro che un drago sia rispettato se è stato anche un principe prima,
risulterà molto difficile per gli altri draghi dargli fiducia e stima...
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–Capitolo 2–
Chàrosh non aveva necessità di alcun aiuto esterno. Gli sarebbe bastata anche soltanto la presenza del Principe Verde, Bréagach, per portare a termine la trasformazione alchemica, ma chiaramente re Glic aveva insistito affinché anche lui e il suo ignorante indovino assistessero alla magia. L’avevano tormentato fino allo sfinimento con domande stupide e banali, alle quali aveva dovuto rispondere esaustivamente, sopprimendo il desiderio di staccar loro la testa. In compenso, Chàrosh aveva fatto pressioni su re Glic, persuadendolo a compiere il maleficio all’interno della torre dove risiedeva Amaideach, per poter sfruttare quell’occasione per dare uno sguardo alle sue stanze. Esse erano spoglie e prive di qualsiasi futilità: oltre alla dispensa con pochissimi intrugli c’erano soltanto la libreria, un tavolino e qualche oggetto per la divinazione. L’alloggio non l’aveva visto, ma del resto non ne aveva bisogno.
Chàrosh fece segno agli altri occupanti di quello spazio angusto di restare in silenzio. Sul legno consumato del tavolo era già stata riempita la coppa col residuo della sua pozione, quel liquido scarlatto in tutto e per tutto simile a del vero vino sia nell’aspetto sia nel gusto. Bréagach gli porse ubbidiente il braccio, come l’aveva precedentemente istruito a fare, e Chàrosh lo incise con il suo fidato pugnale, facendo sgocciolare il sangue all’interno della coppa. Quando ritenne che fosse abbastanza aggiunse l’ultima goccia di sangue del drago Smok, ancora conservata nel fondo dell’ampolla magica che re Glic gli aveva affidato.
Il siero cominciò subito a ribollire, reagendo alchemicamente. Bréagach esitò per un attimo, ma vedendo che Chàrosh gli annuiva serio e autoritario bevve dalla coppa, sperando che andasse tutto come gli era stato promesso.
«Chiamo il sangue del drago con sangue di drago. Risparmia chi oggi beve il tuo sangue, colpisci invece il sangue reale di chi ancora non ha superato i vent’anni. Che possa vendicare il sangue sottratto ingiustamente!»
Come da copione, Bréagach finì di bere, sentendosi infine più sicuro di sé. Chàrosh l’avrebbe reso re. In quel fisso desiderio non fece caso al vibrare dei mattoni sotto i propri piedi, piuttosto provò un inconsueto compiacimento nel cogliere un barlume di sospetto negli occhi del re suo padre.
«Ci vorrà un po’» rivelò più tardi Chàrosh, prima di accomiatarsi dal giovane principe. «Ricordate che voi dovrete essere lì. Per ora siate paziente.»
***Sette mesi dopo***
Chàrosh detestava gli uomini inetti. In quel mondo e in quella vita erano in pochi a meritare il suo rispetto e, nonostante il suo disprezzo, era naturale volerli dominare tutti. Una volta arrivato ai vertici di quella assurda monarchia avrebbe potuto governare nell’ombra, senza esporsi troppo.
La maggior parte delle sue preoccupazioni erano legate alla vita di suo fratello Charbán. Egli era ancora vivo e in giro per il mondo, da qualche parte, lontano dalla sua vista e dal suo controllo. Forse, recidendo il legame con lui, avrebbe liberato anche se stesso dal vincolo con la foresta di Saile. Anche perché desiderava troncare ogni suo collegamento con i due maghi, sebbene magari Charbán avrebbe potuto ancora essergli utile, se ricordava qualcosa di ciò che aveva imparato da bambino. Avrebbe voluto effettuare un nuovo scambio alchemico, ma temeva di perdere la vita nel tentativo. Se solo avesse potuto avere accesso ai libri che Athair aveva distrutto, forse avrebbe potuto approfondire abbastanza lo studio da avere la certezza che sarebbe andato tutto secondo i suoi piani. Ma quello non era stato possibile, quindi era inutile starci a rimuginare sopra.
Gli uomini erano stolti; si sarebbero fatti manipolare da lui, come sempre. Il principe Bréagach non faceva eccezione: era un giovane impertinente e viziato, ma Chàrosh l’aveva messo in riga sin dal primo giorno, insegnandogli a temerlo prima d’ogni altra cosa, facendogli comprendere che sarebbe diventato grande, se solo avesse seguito le sue indicazioni. Sarebbe diventato re. Ma nel frattempo non doveva attirare l’attenzione, doveva mantenere un atteggiamento naturale e quanto più neutro possibile. Il fanciullo era diventato un giovane uomo, temprato dal suo disprezzo e dalla sua durezza, in modo da poter essere utilizzato al momento giusto.
Amaideach svoltò l’angolo, sparendo dalla sua vista. Per spiarlo e apprendere tutto sui suoi movimenti era bastato pochissimo tempo, perché l’indovino aveva delle abitudini consolidate e delle giornate molto simili tra loro. Sin dal loro primo incontro c’era stato subito, da parte di Amaideach, un vile servilismo che l’aveva disgustato dal profondo. Aveva dovuto comprendere velocemente, assai velocemente, che il suo ruolo sarebbe stato marginale, da quel momento in poi. Chàrosh aveva anche immaginato di farlo sparire subito, ma avrebbe attirato inutilmente dei sospetti su di sé, proprio dopo essere stato liberato.
Quindi aveva atteso con pazienza, con meticolosa premeditazione, il momento in cui quell’uomo non sarebbe più stato necessario o importante per nessuno. Ormai era vicino al compimento delle proprie trame; di certo non l’avrebbe fermato un indovino da quattro soldi. Strisciava alle sue spalle con una maestria che qualunque ladro o assassino gli avrebbe invidiato, frutto di decenni di perfezionamento e di intensificazione dei propri sensi, senza che la propria lunga veste producesse alcuna frizione sul freddo pavimento della torre, i piedi avvolti in calzari da mago che aveva fatto fare su misura, in una scamosciatura studiata per non produrre il minimo rumore.
Tutto era pensato per limitare il più possibile i rischi da correre, anche se avrebbe dovuto farlo all’umana maniera. Se avesse utilizzato un qualsiasi tipo di magia o di pozione le possibilità di essere scoperto sarebbero aumentate esponenzialmente, rovinando tutto il lavoro che aveva svolto. Le ombre di quella giornata erano amiche che contribuivano a celare la sua presenza ad Amaideach, che continuava a vagare per la torre in cerca di qualcosa, con passo nervoso, che tradiva la sua ansia. Forse i suoi poteri gli avevano dato sentore di ciò che stava per accadere. Forse era semplicemente un pusillanime codardo. Chàrosh si augurava che fosse conservato almeno un libro decente, nella sua libreria, anche se non ci sperava troppo.
Il lampo di un fulmine inondò di luce la torre, illuminandola a giorno. Amaideach si voltò di scatto, tirandosi il mantello vicino al petto, ma non c’era nessuno a seguirlo; era solo la sua immaginazione a giocargli cattivi scherzi, a causa di quei brutti sogni che lo tormentavano ogni notte. Protese la lanterna verso il buio corridoio, tentando di rincuorarsi un po’ quando vide che era solo. Il rombo di quel tuono lo riscosse, e riprese la sua marcia. Da qualche parte avrebbe trovato una pozione per dormire, per scacciare le immagini che gli invadevano la mente durante il sonno... perché a Chàrosh non poteva chiedere nulla di simile, pieno com’era di un terrore annichilente, che andava oltre l’umana ragione. Non comprendeva come re Glic potesse esserne immune, perché gli occhi del mago mostravano sempre uno sguardo iracondo e privo di qualsivoglia sentimento di tolleranza, un verde iniettato di un giallo innaturale.
Era appena entrato nel suo piccolo laboratorio che già si sentiva ancora più angosciato da quell’oscurità, così tanto che neppure l’aria fresca del temporale riusciva a confortarlo, mentre si affacciava all’unica piccola finestrella della stanza. Gli parve di cogliere l’ombra di qualcosa, al successivo lampo, e sudando freddo cercò con lo sguardo tra le ombre delle pareti, ma la luce l’aveva abbagliato, rendendolo ancora più vulnerabile di quanto già non fosse a causa della sua instabile condizione mentale. Aveva avuto lo stesso incubo da quando aveva partecipato all’incantesimo con Chàrosh, tuttavia provò sincero stupore quando il frastuono coprì il suo singulto.
L’ombra era reale. L’aveva seguito per tutto quel tempo e ora esigeva la sua vita. L’aveva pugnalato su un fianco, poi era scivolata in assoluto silenzio alle sue spalle, tagliandogli la gola senza esitare. Amaideach si accasciò per terra tra qualche insulsa convulsione, con la mano vanamente vicina alla ferita mortale, mentre Chàrosh già ripuliva quella lama dal sangue dell’indovino, godendosi i suoi ultimi attimi. Amaideach aveva imbrattato il pavimento col suo sangue inutile, così Chàrosh dovette spostarsi velocemente, per evitare che le sue vesti si macchiassero. Era stato tutto molto più pulito di quanto avesse sperato. Quello sciocco era ancora più ingenuo e inetto di quanto gli fosse sembrato in precedenza.
Si chinò un’ultima volta a contemplare il volto della morte sovrapposto al suo, poi inzuppò un dito in quella linfa vitale che scorreva via, portandoselo alle labbra. Sì, Amaideach sapeva proprio di inetto.
I ruggiti dei draghi avevano il suono di un vibrato lamento, rombavano nel Regno Bianco ormai da un mese come segno dell’oppressione dei suoi abitanti. Persino la giovane principessa Bláth era intrappolata nella propria torre, a causa della furia dell’animale che aveva fatto crollare parecchie stanze ai piani inferiori. Sua madre e suo padre la ritenevano abbastanza al sicuro, anche perché i draghi minacciavano un’altra parte del castello. Incurante delle loro preoccupazioni, tuttavia, quand’era sola spiava frammenti di ciò che v’era fuori dalla finestra, col cuore in gola per la paura, ma con la smania di poter lanciare uno sguardo a un drago.
Si narrava che i draghi si fossero estinti da almeno quattro o cinque secoli, tanto che qualcuno li considerava persino creature leggendarie. Essendone comparsi sei quasi nello stesso momento, si riteneva che essi si fossero semplicemente nascosti, in attesa del momento propizio per vendicarsi dello sterminio dei loro vecchi compagni. Poco meno di qualche settimana prima si erano presentati tutti nel Regno Bianco, volando da ogni direzione, infuocando il cielo e la terra.
In quel caos erano davvero in pochi a ricordare che il drago Smok fosse stato abbattuto dalla famiglia del Regno Bianco, né potevano immaginare che quei draghi fossero lì in cerca di vendetta. Tra loro uno solo sembrava diverso dagli altri. Un maestoso quanto terribile dragone dalle squame taglienti come lame e lucide come l’ossidiana, che aveva tentato di ragionare con gli altri suoi simili.
Perché non mi ascoltate?
Non era neppure certo di aver comunicato efficacemente con loro, quando dalle sue fauci fuoriuscivano null’altro che aspri versi privi di senso per l’orecchio umano. Eppure la sua mente era cosciente, i suoi ricordi e la sua memoria intatti, così come le sue facoltà di intuire la situazione in cui si trovava. Non la comprendeva perché non aveva idea di cosa pensare, ma accettava le cose così com’erano. Un giorno aveva avuto l’impellente desiderio di recarsi fuori dal castello, con la pelle che gli bruciava piena di ustioni immaginarie. Non ricordava molto altro della propria trasformazione, soltanto che era avvenuta in solitudine, lontano da chiunque potesse dargli una mano. Aveva avuto l’impressione di aver tentato di afferrare il suo flauto magico, accorgendosi troppo tardi di non averlo portato con sé.
Perché non rispondete?!
Maith soffiò quel fuoco azzurro verso il drago più vicino. In quel mese aveva fatto di tutto per proteggere il Castello Bianco, pur non sapendo perché gli altri draghi l’avessero preso di mira. Desiderava soltanto rivedere Bláth, anche se non aveva idea di dove si trovasse. Aveva provato ad affacciarsi alle sue stanze, ma quasi tutta quell’ala del castello era crollata e disabitata. Non poteva credere che la principessa avesse perso la vita, neppure per un attimo. Aveva già ucciso tre draghi, in scontri violenti e attacchi a sorpresa. Gli ultimi due, tuttavia, si mantenevano a distanza di sicurezza, ormai consci del suo tradimento. Il suo timore era che, impegnandosi in uno scontro con uno di quelli, l’altro avrebbe attaccato nuovamente il castello.
Volò verso la torre più elevata, girandovi intorno, tenendo sotto controllo la situazione dall’alto. Il cielo ospitava ormai permanentemente colori che mai vi aveva visto tanto a lungo, violetto, rosso e azzurro. Maith colse con l’occhio blu la presenza di un piccolo corpo umano dietro la finestra. Riconoscendo Bláth che si pettinava i lunghi capelli si agitò, tentando di attirare la sua attenzione, ma ella si ritrasse spaventata, atterrita da quel mostro spaventoso che aveva dinanzi, che avrebbe potuto incenerirla in un battito di ciglia.
Quasi attratti da quella sua distrazione gli altri due draghi lo attaccarono in contemporanea, volando verso l’alto per poterlo caricare. Maith si scostò per evitare che Bláth e la sua torre fossero coinvolti nello scontro, quindi punto l’occhio azzurro verso di loro, preparandosi a combattere. La principessa si sporse leggermente per osservare quell’incredibile scena da lontano, consapevole del pericolo ma impossibilitata a distogliere lo sguardo da quelle gigantesche creature. Sebbene fosse certa anche da quella distanza che il drago nero era stato colpito dal fuoco degli altri due, quello sembrava illeso, come immune agli attacchi. Erano in realtà le sue scaglie ad averlo protetto, facendo scivolare magicamente quel fuoco lontano dalla pelle sottostante.
Bláth intimamente esultò, perché si augurava che fosse il drago nero a vincere lo scontro, dato che aveva distrutto anche gli altri draghi, spinto da chissà quale antica rivalità. La prodezza del drago nero fu ricompensata quando il primo avversario cadde strepitando, ustionato dalle sue fiamme gelate, del colore del mare.
Maigeth?
Maith ebbe un attimo d’esitazione; un dubbio strisciante si fece velocemente strada nel suo cervello, una consapevolezza della realtà che faticava ad accettare. Gli tornarono in mente le parole che soleva ripetergli spesso Charbán, sul fatto che in ogni cosa il dubbio fosse l’inizio della conoscenza. Maigeth, il Principe Viola, non poteva essere lì, come lui, intrappolato all’interno di un drago... oppure sì?
Charbán aveva galoppato più veloce del vento per raggiungere prima possibile il Regno Bianco, dopo che diversi messaggeri erano giunti ad avvisare gli abitanti del Regno Azzurro della minaccia dei sei draghi. Stando ai loro resoconti, poi, la comparsa dei draghi sarebbe curiosamente coincisa con la sparizione di Maith, che mai si era allontanato tanto a lungo senza portare con sé il fidato mentore o quantomeno avvisarlo dei suoi spostamenti. Aveva chiesto e ottenuto dai sovrani del Regno Azzurro il permesso di partire immediatamente alla volta del Castello Bianco, informandoli con fare misterioso della possibilità che la scomparsa di Maith fosse collegata a quell’evento eccezionale.
Già da lontano aveva notato il cielo cambiare colore, inoltre aveva dovuto evitare cumuli di macerie, detriti, esseri umani distrutti e terrorizzati da quelle figure gigantesche poco oltre l’orizzonte del loro sguardo, bambini che piangevano e urlavano mentre Charbán si stringeva di più al proprio cavallo, incitandolo con uno strano presentimento. Aveva intravisto i draghi poco dopo, quando il passo era stato rallentato da enormi pozze di lava incandescente alternate a qualche freddo specchio di fuoco azzurro, una magia della quale in vita sua non aveva mai letto o studiato.
In oltre cento anni di vita non aveva rivelato a nessuno di aver studiato le arti magiche e alchemiche. Era passato parecchio tempo anche da quando le aveva utilizzate, con la conseguenza che questo gli aveva impedito di perfezionarle, nonostante gli anni di studio con suo padre Athair. La sensazione che suo fratello fosse coinvolto in tutto ciò si faceva sempre più pressante a mano a mano che si avvicinava al castello. Forse era a causa del legame ancora esistente tra loro, ma ebbe la netta sensazione che in quella maledizione ci fosse la firma di Chàrosh.
In cielo, tra i fumi di quella nuova realtà, rimanevano due enormi draghi a scontrarsi con violenza, lottando per restare in volo, colpendosi come comuni bestie, senza l’uso del fuoco magico, artigliandosi e persino mordendosi. Il drago rosso era invaso dal dolore derivante dall’incontro delle zanne e della tenera carne della bocca con le enormi scaglie adamantine del drago nero. Dietro di loro il viola sfumava sempre più, svanendo nel rosso e nell’azzurro. Con un poderoso colpo di coda il grande drago nero spinse via quello rosso, approfittandone per sputargli addosso una fiammata cerulea, che lo fece capitombolare verso il basso. Charbán notò che il drago rimasto era ferito, perché volava in maniera irregolare, dirigendosi verso una delle torri del castello.
Voleva riprendere anche lui ad avvicinarsi per capire meglio quale fosse la situazione, ma Chàrosh gli si parò davanti, affiancato da diversi soldati verdi che gli bloccavano la strada. Nessuno dei due era sorpreso di vedere l’altro.
«Non avvicinarti, rovineresti la scenetta che ho preparato. Ormai manca poco.»
«Che cosa hai fatto stavolta?!»
«Arrestate quest’uomo, è nemico dei regni» ordinò Chàrosh, impedendogli qualsiasi mossa o via di fuga.
In quel terreno accidentato sarebbe stato impossibile evitare di essere catturato anche se avesse avuto a disposizione delle magie. E lui non le aveva. Perciò Charbán si arrese senza dire altro, sperando in cuor suo che avrebbe avuto l’occasione di spiegare a qualcuno cosa stesse accadendo. Il gemello non poteva ucciderlo, quindi aveva ancora qualche possibilità.
Deárg!
Aveva tentato di richiamarlo, di comunicare con lui, ma il Principe Rosso non gli aveva lasciato altra scelta. Deárg era riuscito ad azzannargli la tenera carne dell’ala destra, l’unico punto in cui le oscure squame non lo proteggevano da attacchi diretti. Anche l’ultimo drago era caduto, quindi Maith scese scompostamente verso la torre dove aveva visto Bláth. Voleva rivederla almeno un’ultima volta. Ella era già lì, bellissima e terrorizzata, le iridi d’ambra spalancate e fisse nei suoi enormi occhi diversi, uno azzurro e l’altro blu.
Bláth!
Maith ruggì; lei si portò una mano al cuore convinta di morire dallo spavento. Il drago non sarebbe riuscito a mantenersi in aria ancora per molto.
Ti amo, Bláth!
Il ruggito divenne un soffio di fuoco che travolse di fulgida luce azzurra l’intera torre. Maith non riuscì a vedere altro perché precipitò inesorabilmente verso il basso, anche se la torre non sembrava essersi incendiata. Forse l’aveva uccisa, soltanto per il suo disperato tentativo di trasmetterle un’ultima volta il proprio amore. In alto, tra nuvole piene di china, vedeva ripristinato l’azzurro del cielo. Perse i sensi.
Quando riaprì gli occhi tentò istintivamente di alzarsi, riuscendo a fatica a tirarsi sulle zampe. Aveva ormai perso la cognizione del tempo e dello spazio; fu a malapena cosciente delle corde che limitavano i suoi movimenti mentre il profumo del biancospino, in quello scenario d’inferno, gli invadeva le narici. Era vicino all’amata foresta di Hath, e se solo avesse potuto piangere l’avrebbe fatto. Consentì a quell’odore di inebriare il suo intero essere, sentendo rallentare il battito del proprio cuore nonostante il dolore per Bláth, dimentico della minuscola presenza di Bréagach che gli puntava l’arco, scoccando una freccia dritta verso il suo cuore.
Bréagach ghignò gelido al suono del tonfo prodotto dalla caduta di quell’enorme drago nero, avvicinandosi per estrarre con lenta perfidia la freccia magica che gli era stata messa tra le mani da Chàrosh.
«Ora che tutti i draghi sono stati sconfitti, possiamo ricostruire questa terra!» proferì con enfasi, coinvolgendo con lo sguardo chiunque avesse assistito a quella scena. «Soltanto io sono venuto ad aiutarvi e salvarvi, solo io! Dove sono i principi che avevano giurato fedeltà al Regno Bianco? Seguitemi, vi dico!»
Uno dei suoi soldati gli si affiancò titubante.
«La principessa Bláth è viva, mio principe. Ella è... Non so come...»
Bláth arrivò al cospetto di Bréagach a cavallo ed egli, per un momento, non fu certo che fosse veramente la stessa fanciulla. I suoi capelli erano completamente azzurri, lisci e lucenti come quel fuoco magico che era fuoriuscito dalla bocca del drago che aveva abbattuto. Bréagach se la fece portare più vicina, sfiorandoglieli preoccupato, ma quelli non bruciavano, quindi concluse che non v’era pericolo. Anche gli occhi erano diversi, perché l’ambra delicata aveva lasciato il posto al nero della notte.
La principessa Bláth era ancora traumatizzata da quanto era accaduto pochi minuti prima, quando era stata travolta da un gelo azzurro, incapace di fuggire. Una volta che aveva realizzato di essere viva, tuttavia, era corsa giù dalla torre, in cerca dei propri genitori, insistendo sul fatto che dovesse vedere che fine avesse fatto il drago. Vedendolo privo di vita era stata colta da strane e conturbanti emozioni che non sapeva spiegarsi, perché la mente era cieca a ciò che il cuore le sussurrava.
Venne sollevata di peso da un uomo incappucciato che le ricordava terribilmente il mentore di Maith, ma aveva un’espressione molto più sinistra e cupa, che la paralizzò ancora di più. Si aggrappò a Bréagach soltanto per un riflesso automatico, mentre gli occhi vagavano sperduti verso il bosco, notando decine di alberi di biancospino distrutti. Sebbene la principessa Bláth fosse viva, non si sentiva molto diversa da uno di quei tronchi devastati. Lei e il principe Bréagach corsero via e il galoppo del cavallo le fece perdere i sensi, intontita e confusa com’era.
Tra le fila di quel corteo di vincitori, incappucciato, legato e costretto a cavallo insieme a un qualunque soldato, Charbán aveva visto tutto, i pezzi dell’oscuro disegno del fratello che si delineavano sempre più chiari ed evidenti davanti ai suoi occhi. Sotto il mantello, nascosto dalla tunica e dalla casacca, il flauto magico di Maith aderiva alla pelle nuda del suo corpo, ustionante come ferro fuso.
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[Song credits: Sangue di drago, Rancore]