Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: __lafleurdumal    28/08/2019    4 recensioni
[COMPLETA]
|| ERERI ||
Levi Ackerman, giovane studente universitario, conosce quasi per caso Eren Jaeger ad una noiosa lezione. Da quel giorno i due diventano inseparabili, l'uno l'ombra dell'altro: il dolce sorriso di Eren riscalda il cuore di ghiaccio di Levi ed ormai quest'ultimo è ben consapevole che non è semplice amicizia quella che lui prova nei confronti del ragazzo. Ne è innamorato perdutamente e finirà con l'ammalarsi per un amore non corrisposto.
Dal testo:
"Ricordavo come da quel giorno i miei sentimenti avessero cominciato a crescere sempre più, come Eren divenne il mio centro, il mio sole, la mia felicità. Ricordavo il tepore che mi avvolgeva il cuore in sua compagnia, le farfalle nello stomaco, le mani sudate. Passavo ore intere a fissarlo, quando lui era distratto o cercava invano di apprendere qualcosa da un enorme libro: mi piaceva perdermi in ogni suo più piccolo particolare, imprimerlo bene nella mente per poi poter fantasticarci sopra quando non fossi stato in sua compagnia.
Ma tutto ciò aveva cominciato a distruggermi dall'interno, perché amavo così tanto e così incondizionatamente che ero finito con l'ammalarmi."
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I


Levi




Non ricordavo quand'era avvenuto il mio primo incontro con Eren. Probabilmente in università, ad una lezione alla quale nessuno dei due stava prestando particolare attenzione. Ricordavo però che subito mi aveva sorriso e ricordavo di non essere mai rimasto tanto incantato di fronte a qualcuno.
Ricordavo che avevamo stretto amicizia immediatamente, che era entrato a far parte della mia vita da un giorno all'altro. Ricordavo come mi ero sentito stranamemte bene in sua compagnia, io che ero un asociale di natura e che, a parte Erwin e Hanji, non avevo mai interagito troppo con le altre persone.

Ricordavo che ogni cosa, dopo Eren, era cambiata. Il mio cuore si era scongelato, accogliendo per la prima volta l'affetto profondo per qualcuno. Ricordavo come non ero stato più solo, sia in facoltà che fuori, perché studiavamo, pranzavamo, uscivamo insieme. Si era instaurato un legame particolare tra noi, che ci aveva fatti diventare l'uno l'ombra dell'altro.

Ricordavo anche la prima volta che mi ero accorto di provare di più dell'affetto nei suoi confronti. Quella consapevolezza era arrivata un pomeriggio di aprile, in primavera, quando Eren, durante una nostra passeggiata al parco, si era chinato e aveva raccolto un geranio rosso. Aveva detto che era un bel colore, che gli ricordava l'amore.

Mi aveva poi chiesto se c'era una persona di cui fossi mai stato innamorato. E fu in quel momento che qualcosa scattò nella mia testa, o meglio nel mio cuore. Mi venne naturale associare l'amore al viso di Eren, ai suoi begli occhi, al suo dolce sorriso. Non sapevo come, né quando, ma avevo iniziato a provare per lui qualcosa che andava ben oltre una semplice amicizia.

Gli avevo risposto di no, che non avevo mai amato nessuno, contraddicendo totalmente quello che avevo appena scoperto stesse accadendo dentro di me. Eren, invece, mi aveva detto che lui di qualcuno era stato innamorato. Si chiamava Mikasa, avevano sedici anni all'epoca, ed erano stati migliori amici prima e fidanzati poi. Si erano dovuti lasciare perché la famiglia di lei si era trasferita lontano per lavoro e la relazione non aveva più funzionato.

Ricordavo come da quel giorno i miei sentimenti avevano cominciato a crescere sempre più, come Eren divenne il mio centro, il mio sole, la mia felicità. Ricordavo il tepore che mi avvolgeva il cuore in sua compagnia, le farfalle nello stomaco, le mani sudate. Passavo ore intere a fissarlo, quando lui era distratto o cercava invano di apprendere qualcosa da un enorme libro: mi piaceva perdermi in ogni suo più piccolo particolare, imprimerlo bene nella mente per poi poter fantasticarci sopra quando non fossi stato in sua compagnia.

Ma tutto ciò aveva cominciato a distruggermi dall'interno, perché amavo così tanto e così incondizionatamente che ero finito con l'ammalarmi.

E ora mi trovavo nel mio bagno, le dita artigliate ai bordi del lavandino, lo specchio che rifletteva la mia immagine pallida e stanca, le labbra macchiate di sangue e i petali rossi che avevo vomitato sulla ceramica bianca.

Sapevo perfettamente di cosa si trattava: Hanahaki, una malattia tanto rara quanto fatale. Ne avevo sentito parlare qualche volta, ma non avevo mai pensato potesse accadere una cosa simile a me.

L'insorgere del morbo era da imputare ad un caso di amore non corrisposto: i fiori mettono radici nei polmoni della persona colpita, crescendo sempre più col passare del tempo. L'unica cura esistente era che l'amore venisse ricambiato. Se ciò non avveniva, i fiori crescevano fino a compromettere l'efficienza delle vie respiratorie portando alla morte la persona infetta.

Si poteva, però, ricorrere alla chirurgia per rimuovere l'infezione: ma, insieme ai fiori, sarebbe sparito anche qualsivoglia sentimento e la capacità di provarne ancora.

E questo io non avrei potuto accettarlo: avrei sofferto, sarei morto, ma non avrei mai rinunciato a ciò che provavo per Eren, a come mi sentivo in sua compagnia. Non sarei tornato il guscio vuoto che ero prima della comparsa di quel ragazzo nella mia vita. Ora che avevo provato il sapore dolce della felicità non avrei potuto in alcun modo privarmene.

*



Me ne stavo seduto al bar, dinnanzi a un caffé amaro, quando Eren mi raggiunse. Sembrava stanco, i capelli lunghi raccolti in un disordinato codino, gli occhi che restavano aperti per miracolo. Sbadigliò e si sedette accanto a me.

«Ehi, moccioso» lo salutai. Nonostante avessimo pressocché la stessa età, Eren si era beccato quel nomignolo a causa del suo essere così esasperatamente infantile in ogni cosa che faceva: era un eterno bambino intrappolato nel corpo di un ventunenne.

Eren biascicò qualcosa di poco comprensibile, probabilmente un buongiorno. Poggiò come nulla fosse il capo sulla mia spalla e potei sentire lo stomaco contorcermisi. Le punte dei suoi capelli castani mi sfioravano il collo, il dolce profumo del suo shampoo all'aroma di miele mi solleticava le narici.

«Ho sonno» mi informò, come se non fosse una cosa visibile a chiunque lo avesse guardato anche per solo un secondo, «avevo quasi pensato di saltare la prima lezione, ma non potevo lasciarti fare colazione da solo. Ormai la nostra è una tradizione.»

Sbuffai. «Sarei sicuramente stato meglio senza averti per una mattina tra i piedi.»

In realtà, mi sarebbe mancato, anche se l'avevo visto il giorno prima e l'avrei rivisto quello dopo. Eren faceva parte della mia quotidianità: sarebbe stata una giornata buia senza la sua luce ad irradiarla sin dalle prime ore del mattino.

Mise un dolce broncio e alzò il capo dalla mia spalla. «Bugiardo.»

Un cameriere arrivò con un caffè macchiato ed una brioche ripiena per Eren. Come al solito, prevedendo il suo inevitabile ritardo, ordinavo ciò che ormai sapevo bene lui avrebbe preso, in modo che quando poi sarebbe arrivato non avrebbe dovuto aspettare e di conseguenza fatto ritardo a lezione.

Eren addentò subito la brioche, sporcandosi mani e bocca di cioccolata. Era esattamente questo che intendevo quando parlavo del suo animo infantile. Ridacchiai e gli passai un fazzoletto.

«La settimana prossima Mikasa torna in città» mi disse, tra un morso e l'altro, «passerà qualche giorno dalla nonna e ha promesso a me ed Armin di stare anche un po' con noi.»

«Ne sono contento» risposi, anche se in realtà sentivo un pizzico di gelosia scorrere sottopelle.

«Spero che un giorno potrà tornare qui definitivamente, magari quando troverà un lavoro. Mi manca.»

E quelle parole colpirono e squarciarono il mio petto come lame. Il pensiero che Eren potesse provare ancora qualcosa per quella ragazza mi era difficile da accettare, mi corrodeva dentro insieme alla certezza che non avrei mai potuto averlo. E per questo ne sarei morto.

Sentii alla gola una sensazione di bruciore, quella che di solito preannunciava un rigetto di petali.

No, non ora.

Mi sforzai di ignorarla, di non pensarci, di resistere alla voglia di tossire. Ma fu tutto vano. Dovetti alzarmi di sbotto dal tavolo, facendo sobbalzare Eren che per poco non si riversò il caffè sulla t-shirt. «Devo andare un attimo in bagno.»

Tossii e mi portai una mano alla bocca per evitare di sputare fuori i petali. Corsi velocemente verso il bagno, ignorando completamente lo sguardo confuso di Eren.

Appena lo raggiunsi, rigettai nel lavandino i petali misti a sangue. Imprecai contro quella maledetta malattia che aveva scelto uno dei momenti meno opportuni per manifestarsi. Eren non sapeva ancora nulla di tutto ciò, e contavo di riuscire a nasconderglielo per più tempo possibile.

Peccato che, per la fretta, avevo lasciato la porta del bagno semi aperta e il volto preoccupato di Eren si era appena affacciato dallo spiraglio.

I suoi occhi verdi analizzarono la mia figura chinata in avanti, coi palmi e la bocca imbrattati di sangue. Fece un passo all'interno e riuscì a scorgere ciò che nel lavandino stava scivolando rapidamente verso il tubo di scarico.

«L-Levi? Cosa sta succedendo?» chiese. La sua voce era tremante, e il suo volto mostrava chiari segni di preoccupazione.

«Nulla, Eren. Non pr-» cercai di minimizzare, ma lui mi interruppe.

«Nulla? Hai appena sputato sangue e... e petali!» ora stava quasi urlando, «Ti prego, dimmi che non è ciò che penso.»

Non risposi. Non sapevo che dire, né come giustificarmi. Decisi di prendermi qualche secondo per elaborare una scusa quantomeno plausibile. Aprii il rubinetto e sciacquai viso e mani.

«Non ignorarmi, Levi.»

«Non ti sto ignorando, semplicemente non è niente di cui preoccuparsi» sembravo quasi calmo mentre pronunciavo quelle parole, «ora faremmo meglio ad avviarci verso l'aula o rischiamo di fare tardi.»

«Oh, noi non andremo affatto a lezione oggi. Mi devi delle spiegazioni.»

«Te le darò dopo.»

Ma Eren era la persona più testarda che io avessi mai conosciuto e sapevo bene che non si sarebbe mai accontentato di quel finto rimando ad una spiegazione futura che non avevo alcuna intenzione di dargli. Scosse il capo. «È Hanahaki, vero?»

«No, non-»

«Levi, non mentirmi, ti prego.»

Eren mi si era avvicinato e ora stringeva le dita attorno al mio braccio. Una presa forte che ero sicuro mi avrebbe lasciasciato qualche livido là dove le dita pressavano. Non potei reggere più oltre le mie bugie quando vidi le sue iridi di solito così solari ora scure e spente.

Tirai un profondo respiro, cercando di prepararmi alla confessione che stavo per fare. «Sì, Eren, è Hanahaki.»

Eren lasciò andare il mio braccio e fece un passo all'indietro. «No... come... ciò significa che...»

Abbassai lo sguardo. «Mi dispiace...» fu l'unica cosa che riuscii a dire.

«Ti dispiace? Levi questa cosa... questa cosa potrebbe portarti alla... morte...» riuscì ad arrivare a fine della frase a fatica, come se solo l'ipotizzare ed esprimere a parole il prezzo che avrei pagato a causa di questa malattia gli provocasse immenso dolore.

«Non sto così male.» Non ancora, aggiunsi solo mentalmente, ma lui dovette leggermi in viso ciò che avevo pensato. Era sempre stato bravo a decifrarmi con un semplice sguardo: non potevo mentirgli, o avere segreti, lui l'avrebbe capito nel momento stesso in cui avessi provato a rifilargli una qualche bugia. L'unica cosa che non era mai stato in grado di capire era il sentimento che provavo nei suoi confronti.

Eren fremeva di rabbia e frustazione, si stava mordendo nervosamente il labbro inferiore e, lo sapevo bene, lo faceva solo quando era davvero nervoso per qualcosa, come prima di un esame difficile.

«Chi è?» la domanda che più temevo arrivò e di certo io non avrei mai potuto dirgli la verità. Si sarebbe sentito in colpa e questo l'avrebbe tormentato per il resto della sua vita. Non potevo fargli questo.

«Non te lo dirò, Eren.»

«Ma io voglio e devo saperlo. In fondo, sono il tuo migliore amico no?»
   
 
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