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Autore: Maru_Tsubaki    29/08/2019    1 recensioni
Uno di quei momenti che ti lasciano sulle labbra il gusto amaro della buccia dello yuzu...
Nel moderno Giappone, sulla dimenticata isola di Okinawa, l'incontro bizzarro tra un ragazzo di Tokyo e una forestiera milanese.
L'intreccio di culture e incomprensioni che alimentano la matassa del filo rosso del destino.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 2
Se solo non fossi pigra

 

La mia coinquilina tedesca, a cui avevo trovato un posto all'Izakaya vicino, si stava lamentando ormai da una decina di minuti.

“...e poi dai, lui non si preoccupa di chi deve servire cosa semplicemente dice che non è il suo tavolo così poi Bruno-san dà la colpa a me, perché sono straniera e dice che non capisco niente... ”.

Potevo in parte capire le accuse di Bruno, lei non era abituata a lavorare come cameriera e si aspettava sempre un po' la 'pappa pronta', cosa molto poco giapponese.

“Cioè tu cosa ne pensi? Cosa dovrei fare?”mi chiese Bibi-chan aspettandosi supporto da parte mia.

“Uhm...non saprei. Se posso darti un consiglio: impara velocemente guardando cosa fanno gli altri e, se proprio non capisci, chiedi. Comunque se questo Touma continua a crearti problemi parlagli, è pur sempre nuovo lì e tu sei la sua sempai” risposi sovrappensiero, mentre mi concentravo sulla mia omelette.

Non poteva fregarmene di meno di risolvere i problemi del mondo, ne avevo già fin troppo dei miei. 

Inoltre, tutti lì imparavano osservando, sbagliando e riprovando e io avevo appena finito quel periodo terribile in cui non sai mai che cavolo devi fare e continui a dover chiedere tutto ai colleghi. 

Comunque ero dalla parte dei suoi colleghi, si doveva svegliare un po’.

“No, ma cavolo quello…” e continuò imperterrita a lamentarsi come faceva sempre.


Dopo una colazione/pranzo mi misi a guardare un telefilm prima di andare a lavoro, mentre Bibi si preparava.

Attaccavo il turno serale in negozio alle sei e fino alle undici sarei dovuta stare in piedi al caldo, perché i miei capi non volevano riparare l'aria condizionata. In fondo a chi serviva l'aria condizionata a luglio a Okinawa con ottanta gradi all'ombra?!

Le nonnine del negozio mi raccontavano sempre tante cose, soprattutto Uehara-san e Miyagi-san. 

Verso le otto ci raggiungeva anche Shimojo-san e tutte insieme si mettevano a fare ginnastica in mezzo agli scaffali di biscotti. Le adoravo! Insieme le tre nonnine erano divertentissime.

Ai miei occhi italiani ricordavano le comari del sud che, affacciate alle finestre, commentavano i passanti per strada. 

Quella sera il ragazzo dagli occhi neri non c'era e tutto fu tranquillo come sempre.

L'unico momento che ogni santo giorno vivevo come un incubo era la chiusura. 

Dovevamo buttare la spazzatura accumulata durante la giornata in un piccolo sgabuzzino che si erigeva proprio sopra lo scolo che portava alle fognature… l'habitat naturale degli scarafaggi giapponesi, i kokiburi.

Ogni sera speravo che non ce ne fossero sui sacchetti, ma non sempre si può essere fortunati. Mi sentii camminare qualcosa sul braccio e abbassando lo sguardo vidi il sacco ricoperto di bestie che correvano. Trattenni il conato di vomito e,  nel giro di un microsecondo, buttai il sacchetto in mezzo alla strada, urlai agitando il braccio fino a far cadere l'immondo essere e corsi come un ghepardo dentro al negozio. 

Uehara-san e Chinami-san, una ragazza dell'izakaya, ridevano a crepapelle.

“Non avete gli scarafaggi in Italia?” mi chiese Uehara-san.

Ancora scossa dai brividi risposi, nel mio strano giapponese, “Sì, ci sono, ma non sono grandi come un gatto e non ne abbiamo così tanti”.

“Tranquilla ti abituerai” disse la nonnina.

Alle undici, esausta e schifata, finalmente chiusi il negozio, già pregustando il mio giorno di riposo.

Recuperai Bibi dall'Izakaya e insieme ci dirigemmo verso casa raccontandoci la nostra giornata a lavoro.

“Maru-chan, ho pensato di invitare Touma a casa per pranzo domani, perché abbiamo il turno tutto il giorno e, dato che è appena arrivato, anche lui non ha amici” disse la mia coinquilina.

“Va bene. Io ho il giorno libero, se decidiamo cosa cucinare, faccio la spesa e preparo, così trovate pronto”.

Non mi piaceva cucinare per gli altri, mi metteva a disagio, ma avrebbero avuto poco tempo e almeno così mi sarei occupata la mattinata.

Optammo per la Nabe, un pentolone di brodo nel quale si fanno bollire diverse cose.

Alla fine una cosa semplice: avrei solo dovuto preparare gli ingredienti.

 

L'indomani mi alzai e andai a far la spesa al supermercato vicino a casa. 

Faceva un caldo allucinante e ovviamente non avevo più nulla da mettermi: era il mio giorno libero, potevo andare in giro come cavolo volevo, tanto...

Tornata a casa pulii tutto l'appartamento, nascondendo la biancheria di Bibi che era sparsa un po' qua e là.

Verso le 12 cominciai a tagliare roba e preparare le polpette allo zenzero. Misi tutto in ordine nella pentola: funghi da una parte, pomodori dall'altra, verdure giapponesi non meglio identificate al centro,eccetera eccetera.

Stavo cercando di affettare la zucca senza amputarmi una mano, quando suonarono alla porta.

Andai ad aprire. 

“Ohayou, Maru-chan. Siamo tornati! ” mi salutò la mia coinquilina. Annuii e guardai dietro di lei. Il respiro mi si bloccò a metà. Era il ragazzo dagli occhi neri. 

“Hajimemashite, sono Touma”.

Volevo morire in quel momento. Avevo su dei pantaloncini troppo grandi, dato che ero dimagrita, una canotta sbrindellata, gli occhiali, ero struccata e non pettinavo i capelli da almeno due giorni.

Ma cazzo Bibi, dovevi proprio invitare lui?

“Hajimemashite, sono Martina, ma tutti mi chiamano Maru”.

Mi maledissi per essere stata così pigra da non averci nemmeno provato a cercare qualcosa di decente da mettermi.

   
 
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