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Autore: Iaiasdream    30/08/2019    2 recensioni
Davide Campana è un nobile proprietario terriero, dal carattere arrogante ma ambizioso. Deluso dalla sua vita che lo ha messo a dura prova dall’età di diciotto anni, passa le sue nottate fra bordelli, pretendendo da ogni donna solo piacere fisico, fino a quando non incontrerà Rebecca, una semplice cameriera che nasconde un amaro passato. Quando le loro vite si incrociano, nessuno dei due sa che l’una lavora per l’altro, e per uno strano scherzo del destino, la loro relazione verrà inghiottita da una turbinosa odissea.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 5




 
 
Davide Campana scese dalla carrozza, allegro. Fischiettava sorridendo e nella mente un unico pensiero: Rebecca. Da quando l’aveva vista non era riuscito più a dimenticarla, non che avesse voluto farlo, ma non sapeva dirsi il perché quelle due volte in cui si erano incontrati erano bastate per far scaturire in lui qualcosa che aveva assopito da tempo. Nonostante fosse cauto a volersi dare una risposta, non vedeva l’ora e il momento di rincontrarla.
Inconsapevolmente si ritrovò nel salone di casa sua e vide seduti sulla poltrona sua madre in compagnia di Gabriele Acquaviva.
<< Buonasera >> balbettò Campana.
<< Davide >> disse la madre << ti stavamo aspettando >>
<< Be, vi avevo detto che avevo un appuntamento di affari >>
<< Già >> intervenne Gabriele alzandosi << con il marchese Castelli. Com’è andata? >> chiese beffardo.
<< Sai Gabriele? >> riprese Davide andando a prendere un bicchiere di liquore dal tavolino accanto alla poltrona << dovresti aver inteso le mie capacità nel fare affari, sbaglio, o te ne ho già dato prova? >> chiese il giovane con lo stesso tono.
<< Questo significa… cioè, vuoi dire che? >> balbettò Gabriele incredulo. Davide annuì sorridendo. << No! Non ci posso credere, ma come diavolo hai fatto? >> chiese Gabriele sbalordito << sei riuscito a fare affari con il marchese? >>
<< Certo, e ti dirò di più… >> rispose Davide << non è affatto come me lo hai descritto! >>. Gabriele rimase allibito, poi preso per un braccio il suo amico lo invitò a raccontargli cosa era successo al circolo. Davide rispose che avrebbe parlato dopo cena, invitandolo a mangiare con loro. Acquaviva accettò con entusiasmo, fervendo dalla curiosità.
Dopo cena, i due si congedarono e si recarono nello studio del giovane Campana. Qui, Gabriele prese un sigaro e si andò a mettere comodo sul divano, aspettando che l’amico iniziasse a parlare. Davide lo fece aspettare: prese anch’egli un avana e prima di accenderlo si andò a riempire un bicchiere di buon whisky, infine si sedette di fronte al suo amico.
<< Allora? Vuoi ancora torturarmi? >> chiese a quel punto Acquaviva, gesticolando nervoso.
<< Ne sei davvero interessato? >> chiese Davide beffardo.
<< Vuoi parlare, o no!? >>
<< Il nostro marchese è molto amante delle terre, fervido nel ammirare la mia Selva Reale, contrada che non aveva mai visto in vita sua… e a quel punto ho estratto dalla mia manica l’asso della vittoria >>
<< Cosa hai fatto? >> chiese Gabriele balbettando.
<< Ho offerto al marchese qualcosa di più del limitarsi a guardare Selva Reale… ho offerto i suoi frutti >>
<< Beh, è quello che volevi. Non vedo cosa ci sia di tanto entusiasmante in questo >>
<< Sarò più elementare. Ho affittato i lotti di uliveto >>
<< Affittato? >> chiese ancora Gabriele che non aveva compreso.
<< Sì. Cioè, lui si appropria delle olive delle mie terre e io mi accaparro l’affitto >>
<< Ma se lui si prende il lavoro, i tuoi operai rimangono disoccupati >>
Davide scosse la testa sorseggiando il forte liquido << Assolutamente no. Non sono un egoista, ho anche ceduto per l’intera stagione i miei operai. Penserà il marchese a pagarli >>
<< Vecchia volpe! Facendo così, per l’intera stagione delle olive, tu non andrai a perdere, anzi, guadagnerai il doppio di ciò che guadagnavi prima. >>.
Davide sorrise soddisfatto, e l’amico si complimentò con lui dicendogli che era un genio << solo una cosa >> riprese Gabriele << il suo amore per le terre ti è bastato a convincerlo? >>
<< No! >> rispose secco Davide << gli ho mostrato il bilancio delle vendite dei miei frutti, e lui, notando che le mie terre portano un buon guadagno ha accettato. Dobbiamo solo firmare il contratto >>
<< I… io sono sbalordito, ma come fai? >> esclamò Acquaviva con fare allegro.
Davide sorrise. Il suo fiuto per gli affari era un dono, e lo aveva reso, con quell’ultimo contratto, il giovane più ricco della contrada.
 
***
 
La giovane cuoca si voltò e rivoltò tante volte nel suo letto. Non riusciva a prendere sonno, il letto vuoto di Marina le faceva impressione, non era la prima volta che dormiva sola, ma quella sera aveva paura, e non sapeva spiegarsi il perché.
Marina quel giorno aveva cercato di suicidarsi, desiderava morire, e tutto questo per amore.
Ma si può arrivare a tanto per amore? Si chiese Rebecca. Non vedeva l’ora di rivedere la sua amica per farsi dare una spiegazione. Quella frase che le aveva detto prima di essere portata via le aveva messo un’angoscia in petto, e i mal pensieri iniziarono a percorrere la sua mente. Se Marina aveva affermato piangendo che nessuno l’avrebbe più sposata, non era per aver tentato quel gesto orrendo, bensì aveva commesso un altro errore. L’intimo sporco e la reazione che aveva avuto quando il figlio del custode le aveva toccato il braccio, diedero conferma ai dubbi di Rebecca, e cioè che Marina si era concessa a quel farabutto, o che magari fosse stata… abusata.
A quel ultimo quanto estremo pensiero, Rebecca ebbe come un gemito, strinse gli occhi e pianse in silenzio pregando Dio di essersi sbagliata.
All’alba si alzò, si lavò e indossò la sua divisa, riordinò la camera e poi si recò in cucina dove c’erano solo due cameriere, cercò Agnese ma nessuno l’aveva vista. Dopo un po’ entrò Anna che salutò con voce rauca le si affiancò.
<< Non ho dormito stanotte >> affermò la giovane appoggiandosi al tavolo. Rebecca le porse una tazza di caffè.
<< Tieni >> disse << ti terrà sveglia >>
La collega ringraziò con un accenno di sorriso.
<< Anche io non ho dormito >> disse Rebecca sbuffando. La loro conversazione fu interrotta da Agnese che entrò in cucina senza salutare, guardò le cameriere per vedere se c’erano tutte e poi battendo le mani esclamò << Sveglia! Bisogna preparare la colazione ai signori. Tu Rebecca vieni con me in magazzino. Il maggiordomo mi ha dato la lista del pranzo e della cena. >>
<< Sì Agnese >> mormorò la giovane.
Le due uscirono e, mentre si allontanavano dalla cucina, Rebecca si accorse che le cameriere avevano dato inizio a bisbigli, rallentò il passo e con il capo chino cercò di capire cosa stessero dicendo, ma le parole di Agnese la fecero trasalire.
<< Stupide! >> esclamò la capocuoca << Le avevo ordinato di tacere. Ma non gliela farò passare liscia >>
<< A proposito di questo >> si permise di dire Rebecca << Agnese… >>. La capocuoca si fermò e si voltò incuriosita verso di lei.
<< Dimmi >>
<< Vorrei chiedervi il permesso di farmi andare a trovare Marina in ospedale, non ha parenti e io per lei sono sempre stata come una sorella >>
<< Va bene, andrai oggi pomeriggio, senza far sapere niente a nessuno! Visto che quelle pettegole non sanno tenere la bocca chiusa. Me la vedrò io per la tua assenza. >>
<< Grazie Agnese >>. Detto questo continuarono a camminare fino al magazzino.
Nel pomeriggio, Rebecca uscì dalla cucina senza salutare e si recò in fretta e in furia in camera sua. Si tolse la divisa, indossò un vestito e messasi la mantellina con il cappello uscì, facendo attenzione a non farsi vedere.
Quando arrivò al cancelletto incontrò il figlio del custode, il quale vedendola le andò incontro.
<< Ciao Rebecca >>
<< Oh, ciao Michele >>
<< Dove stai andando? >> chiese incuriosito ostacolandole il cammino.
<< Sto… uscendo per una commissione >> balbettò lei mentendo.
<< Ma, Marina…? >>
<< Marina, cosa? >>
<< Dov’è? >> chiese lui tutto d’un fiato. Rebecca non sapeva cosa rispondergli, non poteva dirgli la verità, Agnese era stata molto chiara su questo. Marina aveva ragione, quel ragazzo era molto insistente e appiccicoso. Pensò in fretta ad una bugia che poteva andar bene, ma non le venne in mente niente. Poi la corriera si fece annunciare, ma il custode continuava a bloccarle il passaggio. A quel punto la ragazza esclamò infastidita: << Michele… Marina bisogna lasciarla stare in questo periodo. È una ragazza molto fragile di mente e la minima cosa che le capita, lei la prende come un’offesa grave >> disse scansandolo, il giovane però non si arrese e le fu di nuovo davanti.
<< Sì ma io… >>
<< Michele! >> lo interruppe bruscamente la giovane presa dall’ira << Ti ho detto che devi lasciarla stare! >> gli urlò contro prima di correre verso la corriera.
Il giovane rimase allibito e anche un po’ offeso da quella reazione e da quelle ultime parole. Strinse i pugni e sibilò qualcosa a denti stretti, mentre guardava la corriera allontanarsi.
 
***
 
L’ospedale Sacro Cuore si trovava accanto alla chiesa di Sant’Angelo e al cimitero. Era uno stabile molto antico e piccolo, ché più che un ospedale sembrava un palazzo ospitante una famiglia di cinque persone. Purtroppo anche se in quelle condizioni, era molto indispensabile soprattutto alle persone che abitavano il piccolo paese e che non avevano i mezzi per spostarsi.
Rebecca vi entrò esitante, manteneva la borsetta con tutte e due le mani e si guardava intorno, cercando di trovare l’ufficio informazioni.
Era la prima volta che entrava in quel posto, e non riusciva ancora a credere fosse dovuta a causa della sua migliore amica.
In lontananza vide un’infermiera e si avvicinò a lei chiedendo dove poteva trovare la paziente Marina Agonigi. L’infermiera, prima di rispondere, prese una cartella e la sfogliò per qualche secondo, poi trovato il nome disse di recarsi nella stanza ventiquattro.
Rebecca la ringraziò e si incamminò pian piano verso la parte indicata. Quando vi arrivò, rimase ferma, aveva timore di entrare e non sapeva spiegarsi il motivo. Tirò un lungo respiro e poi facendosi coraggio bussò alla porta. Un lieve “entrate” si fece udire e la giovane, messa la mano sulla maniglia, la spinse giù e dischiuse la porta. Fece capolino e vide solo una finestra coperta da una tenda bianca tinta di luce. Aprì di più ed entrò quando sentì quella voce famigliare ripetere l’invito. Chiuse la porta alle sue spalle, e voltato il viso alla sua destra vide un letto bianco che ospitava un corpo supino. Salì con lo sguardo e si fermò su un volto pallido e su due occhi lividi che la guardavano con supplica.
<< Marina >> mormorò trattenendo le lacrime.
<< Oh, Rebecca… >> sibilò la fulva cercando di alzarsi dal letto.
La giovane cuoca non resistette più e, facendo scorrere le lacrime sul viso, corse verso l’amica e l’abbracciò facendo attenzione a non farle male.
<< Oh, Marina! Ma perché l’hai fatto? >> chiese piangendo.
<< Non… non lo so >> balbettò Marina tra i singhiozzi.
I minuti si susseguirono in fretta. Rebecca, dopo gli abbracci, non le chiese nient’altro. L’aveva aiutata a mangiare, perché da sola non riusciva a muovere le mani, le aveva cambiato la camicia da notte e solo quando la vide più riposata iniziò le sue domande.
<< Marina. Non voglio farti soffrire, ma tu puoi fidarti di me. Penso sia arrivato il momento che tu mi dica cosa è successo >> disse guardandola seria. Marina non volse lo sguardo, rimase a fissare il soffitto e permise a qualche lacrima di uscire dagli occhi e percorrerle il viso.
<< Ti dirò tutto. Vi ho fatto spaventare abbastanza >> affermò decisa << tu, tu devi perdonarmi Rebecca >>
<< Per cosa? >> chiese Rebecca con voce rauca.
<< Perché ho tradito la nostra amicizia e perché ti ho presa in giro. Io ti ho mentito fin dall’inizio >>
<< Su cosa? >>
<< Quel… quel mercoledì io… >> Marina esitò. Rebecca trattenne il respiro. << io andai all’appuntamento. La domenica, prima di lasciarci, lui mi chiese se potevamo rivederci, io risposi che doveva aspettare fino alla domenica seguente, ma lui mi afferrò le mani dicendomi che era perdutamente innamorato di me, e che per fargli capire che anche io lo amavo, dovevo dargliene conferma. Lui lo chiamò pegno d’amore. Il mio cuore batteva di felicità e di emozione e allora dissi che ci saremo incontrati mercoledì.
Quel mercoledì, arrivò più in fretta di quanto io potessi immaginare. All’inizio le tue parole mi fecero illuminarono e misero in guardia, ma nella mia mente la frase di lui rimbombava come un tuono. Al solo ricordarmi quelle parole il mio cuore cominciava a battere, e la voglia di rivederlo diventava più bisognosa. Allora decisi di seguire il mio cuore e di presentarmi all’appuntamento. Al cancello trovai Michele che iniziò a farmi domande e io… io lo trattai male, dicendogli che doveva starmi lontana, gli tirai uno schiaffo e fuggii via per prendere la corriera. Quando arrivai in paese, cercai a lungo Amedeo, ma non lo trovai. A quel punto decisi di lasciar perdere e far ritorno, ma da lontano mi sentii chiamare, mi voltai e lo vidi che correva verso di me, era più bello che mai… andammo in una locanda, mi offrì da bere, era molto gentile, mi guardava con occhi dolci. I miei occhi erano ciechi, solo dopo mi accorsi che era tutta una farsa. Usciti dalla locanda, mi prese dolcemente la mano, e correndo mi disse che voleva sposarmi. Me lo chiese e io… accettai senza esitare, lui mi baciò. Inconsapevolmente mi ritrovai nell’albergo dove soggiornava. E lì…>>
<< E lì, cosa? >> chiese Rebecca con voce rauca.
Marina non rispose, strinse le labbra e pianse. Rebecca capì e scosse la testa incredula << lo sapevo >> sussurrò rassegnata.
<< Non giudicarmi male >> singhiozzò Marina << lui mi aveva promesso che alla seconda licenza sarebbe venuto per sposarmi! >> affermò disperatamente.
<< E invece… >>
<< E invece, dopo essermi risvegliata, non lo trovai accanto a me, non mi aveva lasciato neanche un bigliettino, mi vestii in fretta, andai alla portineria e nessuno sapeva niente. Prima di uscire, vidi un paio di coppiette salire e scendere le scale. Iniziai a capire: non era un albergo… mi sentii sporca e mi vergognai di uscire e farmi vedere dalle persone. Camminai a lungo e a sera, lo rividi, era assieme ad una ragazza e rideva. Il suo sorriso, che prima era dolce e gentile, in quel momento lo vidi cattivo. Ebbi il coraggio di affrontarlo, ma lui mi respinse dicendo che non mi conosceva >>.
Rebecca strinse gli occhi sospirando profondamente sentendo un dolore lancinante al petto.
Marina continuò.
<< Mi trattò come una… una, pazza svergognata. Lo vidi mentre si allontanava abbracciato a quella ragazzina. Rimasi lì, come una statua. Il mio cuore non batteva più, mi faceva male. Non mi ricordo come riuscii ad arrivare alla tenuta, ma a tarda sera mi ritrovai di fronte al cancelletto. Da lì guardai la finestra della nostra stanza accesa, non volli entrare, non volevo incontrare il tuo sguardo severo, non volevo darti spiegazioni. Aspettai fuori, con la testa appoggiata alle sbarre del cancello e gli occhi fissi sulla finestra, aspettai fino a che la candela si spense. >> guardò l’amica con supplica e continuò singhiozzando. << Ti prego Rebecca, non giudicarmi male! >>.
La giovane cuoca scosse la testa, ma rimase a fissarla duramente. << No, Marina, io non sono nessuno per giudicarti. Tutti commettiamo degli sbagli… ma la cosa che mi fa più rabbia, è il tuo gesto. Volevi suicidarti! >>
<< Io, non ce la facevo più! Avevo i rimorsi >>
<< Avresti dovuto pregare il Signore! Dio ci ha donato la vita perché noi l’affrontassimo nel bene e nel male. Tocca a Lui solo decidere quando riprendersela. Sai, Marina, lo sbaglio più grande che hai commesso, non è l’esserti concessa a quel mascalzone, è l’aver provato a toglierti la vita. Vivrai con la vergogna di non essere più pura agli occhi degli uomini? Non importa! È Dio l’unico e il solo che deve giudicarti! Credimi, se fossi morta, a quest’ora proveresti vergogna davanti a Dio per quell’atto che Lui non accetta. L’uomo non perdona, ma Dio sì. E tu devi sentirti felice perché sappi che tutti noi, anche io, un domani dovremo dare conto a Dio e a nessun altro >>
<< Oh Rebecca! >> scoppiò in lacrime Marina allungando le braccia per farsi abbracciare. L’amica si alzò dalla sedia e le andò incontro concedendole il gesto. << Grazie >> mormorò Marina.
<< Di nulla. Io non parlerò di questa storia, ma tu devi promettermi che non appena ti riprenderai, tornerai la Marina di un tempo, ma non quella avventata… >>
<< Sì, Rebecca, te lo prometto >>.
<< Ora è meglio che vada, Agnese mi ha dato solo il pomeriggio libero >>
<< Vai pure. La tua sola presenza mi ha tranquillizzata. >>
Si salutarono con un altro abbraccio, poi Rebecca se ne andò e si ritrovò per la strada circondata dal freddo. Si rannicchiò nella mantellina e si incamminò verso la fermata della corriera.
Si sentiva contenta delle parole che aveva detto a Marina, era stato come sentire qualcuno che parlava con la sua voce, e quelle parole le colmarono il cuore di conforto. Sorrise al pensiero e, tirato un lungo respiro, ringraziò Dio. Nel mentre che camminava, però, davanti a sé incontrò una persona a lei famigliare. Parve proprio una coincidenza: un giovane in divisa, abbracciato a una ragazza, si dirigeva verso una locanda. Rebecca lo riconobbe subito. Si sentì tremare di rabbia e il respiro farsi più pesante; senza rendersene conto, si ritrovò nella locanda. Vide l’ufficiale fare lo sdolcinato con quella ragazza, le accarezzava il viso e le mani, e le sorrideva malizioso.
Cieca di rabbia, la giovane cuoca lasciò che a comandarla fosse l’istinto: andò al bancone, ordinò un bicchiere di liquore forte e, quando lo ebbe, si mise davanti a quel uomo, rimase ferma, aspettando che lui le volgesse lo sguardo.
<< Serve qualcosa? >> chiese Amedeo curioso. Rebecca non rispose, manteneva tremante il bicchiere. << Ehi, ragazzina, non ci siamo per caso visti da qualche parte? >>.
<< Sì! >> esclamò la ragazza gettandogli negli occhi il forte liquido. Il ragazzo si fece indietro stringendo gli occhi che iniziarono a bruciargli, gridava dal dolore. La ragazzina che gli era di fronte si alzò e afferrò violentemente il braccio di Rebecca, chiedendole spiegazioni. Quest’ultima fu più forte, si liberò bruscamente dalla presa e scaraventò a terra la ragazzina che non riuscì ad alzarsi.
<< Ma tu sei pazza! >> esclamò Amedeo socchiudendo gli occhi arrossati.
<< Farabutto! >>
<< Ma che vuoi? >>
<< Niente! >> rispose Rebecca, beffarda << Volevo farti assaporare un minimo di dolore che hai arrecato a Marina! >>
<< Ma… Marina? Adesso ricordo, tu sei… >>
<< Tu non mi conosci! E credimi, devi ritenerti fortunato! >>. Esclamò voltandosi per uscire dalla locanda piena di persone che guardavano esterrefatti l’accaduto. Il giovane non si arrese, spalancò gli occhi e, raggiunta Rebecca, le afferrò un braccio, stringendoglielo e voltandola verso di sé. La cuoca incrociò quegli occhi che la guardavano maliziosi.
<< Dovrei avere paura? >> chiese lui con voce beffarda.
<< Lasciami! >> sibilò a denti stretti.
<< Tu sei soltanto una cameriera, una di quelle sgualdrinelle in cerca di polli da spennare, una come Marina! >>
Rebecca indurì lo sguardo e Amedeo a ne ebbe timore, tuttavia continuò beffardo: << Dimmi la verità, hai saputo che Marina si è divertita e vuoi provarci an… >> fu però interrotto da un violento schiaffo che gli tirò la ragazza. Piegò la faccia a un lato e barcollò all’indietro, poi voltò di nuovo il viso verso di lei che lo guardava con odio e sorridendo le si avvicinò per restituirgli il gesto, ma qualcuno da dietro gli afferrò la mano fermandolo.
<< Sta’ fermo… non ti hanno insegnato che le donne non si devono toccare neanche con un fiore? >> disse qualcuno.
Rebecca ebbe un sussulto al cuore, riconobbe la voce, ma volle verificare che si trattasse veramente di lui. Si fece a un lato e incrociò quegli occhi grigio azzurri che la guardavano sorridendo.
<< Chi siete voi? >> chiese Amedeo sforzandosi dal dolore.
<< Non amo presentarmi ai depravati come te. Chiedi scusa alla signorina, e sparisci >>
<< Non devo chiedere nulla a una sgualdrina… >>
A quelle parole Davide strinse la presa torcendogli il braccio e facendolo gridare dal dolore << Ho detto chiedi scusa! >> esclamò nervoso, facendo trasalire le persone che gli stavano intorno. L’ufficiale, vinto dal dolore, si arrese, guardò con occhi socchiusi Rebecca e le chiese scusa, ma la giovane non rispose, ricambiò uno sguardo gelido e pieno di rabbia. Davide lo tirò a sè e lo scaraventò fuori facendolo cadere per terra, Amedeo si alzò in fretta e scappò via inseguito dalla ragazzina che stava con lui.
Prima di andare verso Rebecca, Davide si guardò intorno vedendo tante persone che lo fissavano incuriosite.
<< Allora? Tornate alle vostre faccende, non è successo nulla >> poi, senza aggiungere altro, prese la mano della giovane e la tirò a sé uscendo dalla locanda.
<< Io… vi ringrazio Davide >> balbettò lei arrossendo.
<< Si può sapere che cosa ci facevate lì dentro? >>
<< E’ una lunga storia, e molto triste da raccontare >>
<< Quell’uomo vi ha molestata? >>
<< No, no! >> rispose Rebecca allarmata, poi gli raccontò tutto. Davide ascoltò la storia dispiaciuto e allo stesso tempo sollevato, sapendo che la giovane non centrava nulla. Quando la ragazza finì di raccontare lui sospirò.
<< Be, queste cose sono all’ordine del giorno, la vostra amica doveva aspettarselo. Mi dispiace solo che abbiate diffidenza verso gli uomini. Non tutti sono come quel farabutto. >>
<< E voi come siete? >> chiese Rebecca tutto d’un fiato cercando di guardarlo negli occhi.
Davide si voltò di scatto. << Voi come mi vedete, Rebecca? >> ribatté a bruciapelo.
Rebecca trasalì, e sentì un forte calore inondare il suo viso, non rispose, abbassò lo sguardo e si sedette su una panchina.
Davide la imitò. << Scusatemi vi ho messa in imbarazzo >>.
La giovane scosse la testa.
<< Volete che la dia io la risposta? >> chiese Davide dolcemente.
Rebecca non rispose, allora il ragazzo le afferrò delicatamente una mano costringendola a guardarlo, le sorrise e mormorando disse << Io sono come il vostro cuore mi vede >>.
Il respiro di Rebecca si fece più pesante, iniziò a tremare e non sapeva dirsi il perché, escluse la paura. Cosa poteva essere? Fissò quegli occhi misteriosi che a poco a poco si chiudevano e diventavano più grandi al suo sguardo. Trasalì, accorgendosi della vicinanza che Davide stava imponendo per baciarla. Esitò, all’iniziò rimase ferma pronta a concedergli le sue labbra, poi ebbe come uno scatto e si allontanò da lui.
<< Scusatemi Davide, mi sono ricordata che tra qualche minuto passerà la corriera. Devo andare >> disse voltandosi.
<< Rebecca! >> esclamò Davide alzandosi dalla panchina.
<< Sì? >>
<< Vi ho… vi ho offesa? >> chiese quasi con supplica.
La ragazza scosse la testa sorridendo << No >>. Il giovane sospirò sollevato << Ci rivedremo? >> chiese.
<< Certo! >> rispose lei con un sorriso << A domenica >> e se ne andò.
 
***
 
La vecchia Agnese rimase per molto tempo fuori, aspettando il ritorno di Rebecca.
Il sole era ormai tramontato e l’aria si era fatta più fredda. Avvolta nel suo scialle di lana bianco, la capo cuoca era assorta nei suoi pensieri. In cinquant’anni della sua vita lavorativa, non le era mai capitato di assistere a una scena del genere. Era convinta di avere la situazione sempre sotto controllo, di svolgere bene il suo lavoro e di far regnare la sua autorità con le altre cuoche.
Allora cos’era andato storto, si continuava a chiedere stringendo lo scialle al petto. Doveva essere successo qualcosa di veramente serio a Marina per portarla a compiere quel gesto.
Tirando un lungo respiro che assomigliò ad una piccola nuvoletta bianca dissolta nell’aria, si disse che le risposte sarebbero giunte molto presto, doveva solo aspettare l’arrivo di Rebecca.
Quando la ragazza entrò nel giardino, Agnese si accorse che aveva il viso illuminato e un dolce rossore alle guance. La donna pensò fosse il freddo, ma non poteva immaginare che quell’espressione era la causa di una grande emozione scaturita dal ricordo di una carezza e di un lieve bacio interrotto prima ancora di fiorire.
Rebecca si avvicinò all’entrata della cucina, sorridendo. Non si accorse della presenza di Agnese e, quando la donna la chiamò, lei trasalì, allontanandosi da quel dolce pensiero.
<< Agnese, siete qui? >> chiese balbettando << non vi avevo vista >>
<< Me ne sono accorta >> rispose la capo cuoca con voce rauca << Allora? >>
<< Allora, cosa? >>
<< Come, cosa? Sei andata a trovare Marina, sì o no? >>
<< Ma certo! >> esclamò la ragazza.
<< Non hai niente da dirmi? >>
<< Solo una cosa, Agnese. Vi posso assicurare che non si è trattato di un tentato suicidio >> rispose Rebecca tutto d’un fiato, poi vide la donna allentare la presa dello scialle e tirare un sospiro di sollievo. << Menomale >> sibilò.
<< Già. Così taceranno anche le cameriere e questa storia non si saprà mai >> continuò la giovane con voce malinconica, poi si congedò dicendo che andava a prepararsi per la cena. Agnese non rispose, guardò il cielo con poche stelle e qualche nuvola e sorrise ormai tranquilla.
Quando si recò nella cucina raccontò subito alle sue subordinate il malinteso e ordinò loro di dimenticare per sempre l’incidente. Le ragazze tirarono un sospiro di sollievo e cambiarono ragionamento.
Rebecca le guardò allibita, bastava una sola parola per distrarre i pettegolezzi. Le sue colleghe ormai non avevano di che sparlare sull’incidente di Marina, e ora parlavano solo della domenica che le aspettava alla fine della settimana.
Domenica. Si disse, e alla mente le ritornarono dolci ed emozionanti ricordi che quel giorno le avevano colpito il cuore come una freccia in cerca del bersaglio.
Davide era la freccia che aveva colpito il suo cuore, e ora se lo sentiva dentro di sé, come un inebriante profumo difficile da dimenticare.
Sentì qualcosa nel suo corpo intento a prendere vita. Un formicolio allo stomaco si divulgava sempre di più, inondandola tutta. Le girava la testa. Quella sensazione era troppo grande per lei che non aveva provato mai nulla prima d’ora. Cos’è che aveva acceso quel giovane? Forse sapeva già la risposta, ma aveva timore a darsela. Perché non riusciva ad ammettere che da quando l’aveva incontrato, i ricordi del suo travagliato passato erano rientrati in scena intrufolandosi in quello spiraglio che il sentimento per quel ragazzo aveva aperto nel suo cuore.
Non poteva amare. Non doveva.
Rimase incanta a guardare il tavolo cercando di essere ottimista e di continuare a sognare, ma dovette subito riprendersi, quando una ragazza involontariamente le sbatté contro, per poi scusarsi.
Rebecca non rispose, le regalò solo un sorriso; l’incanto era finito, era ormai ritornata alla realtà e al suo lavoro.

 
   
 
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