あなたに負けた
(Anata
ni maketa)
Lost
On you
ovvero
quando un’anima
si incatena ad un’altra ma la lascia libera
Note
pre fic: Sono in un malvagio loop in cui ascolto quasi
esclusivamente Lost on You, e ora ne ho due versioni preferite, una di
un live
di LP su rai due e una cover di Scott Hoying e Mario Jose sulla musica
di In
Time di Zimmer.
All I ever wanted was
you
I'll never get to heaven
'Cause I don't know how
Le
volpi sono animali
monogami, scelgono un compagno per la vita, è un animale che
mi calza a
pennello. Mi sono innamorato a quindici anni e lo sono ancora, del
solito
ragazzo, ma ora alla soglia dei trenta è un uomo con spalle
ancora più larghe e
mani più calde. Devo avere un animo masochista, per forza,
non è normale
innamorarsi di uno tsunami, di un dio del fuoco e della guerra, il
nostro primo
incontro è finito in rissa, e molta della nostra
comunicazione durante quel
primo anno è stata fatta attraverso le nostre mani. Non ci
siamo detti molto,
ma eravamo sempre vicini, se lui era nervoso veniva sempre da me per
una
scazzottata, se mi sentivo troppo solo rinchiuso nel mio bozzolo fatto
di
silenzio e basket allora lo provocavo, e non mancavamo mai una rissa.
La
partita con lo Shannoh ha segnato un punto di svolta, non sembra ma ho
osservato i suoi progressi fulminei e l’ho invidiato un
sacco, io ho sputato
lacrime e sangue per riuscire ad arrivare a quel livello in solo in
pochi mesi,
e ci siamo passati la palla come una vera squadra c’eravamo
in qualche modo
addomesticati, avevo cominciato a nutrire una certa fiducia in lui, e
provavo
attrazione fisica, così forte da farmi stare male. Mi
è stata diagnosticata una
neurodiversità che ricade nello spettro autistico, nulla di
grave, solo il mio
cervello è diverso da quello di molti altri e questo mi ha
sempre portato a non
capire bene come approcciarmi col prossimo. La mia mancanza di
relazioni
sociali ha preoccupato molto i miei genitori, che mi hanno portato da
quel
medico o da quell’altro luminare in giro per il Giappone per
capire cosa avesse
il loro figlio le cui occupazioni erano ristrette, e che dormiva al
posto di
andare a giocare con i coetanei, la diagnosi è arrivata una
mattina, stavo già
frequentando le scuole medie. Adesso capisco che i miei genitori hanno
fatto
tutto quello che hanno potuto per amore, ma per me era un incubo,
sempre le
solite domande, sempre a farmi perdere tempo che potevo occupare con il
basket
e dormendo. Nonostante sia arrivato a casa con più lividi
del solito, li ho
visti sollevati da quando ho conosciuto lui, hanno detto che ho
reagito, e sono
riuscito ad aprirmi un po’ con loro, lasciandoli entrare nel
mio mondo. Adesso
lo capisco la mia reazione di chiusura si era accentuata con le visite,
vedevo
gli altri come tutti quei medici impiccioni. Ho sempre osservato le
persone con
cura, ho sempre paura di essere abbandonato e mi avvicino solo a quelli
che, a
mio giudizio, non mi abbandoneranno col tempo. Devo dire che il mio
istinto mi
ha sempre premiato. Quando durante il terzo anno mi sono iscritto alla
draft
l’ho fatto quasi per scherzo, i miei mi hanno mandato al pre
camp, e mi hanno
messo nelle scelte possibili, quattordicesima draft, ho fatto una steal
of
draft, mi sono imposto come giocatore di prestigio, e ancora mi fa
impressione
che la gente che compra la mia maglietta. Vengo subito riconosciuto, mi
fa
piacere perché vuol dire che nel mio lavoro, la mia passione
più grande sono
bravo, non giriamoci attorno, non nascondiamoci dietro falsa modestia.
Stasera
ero al pub che
ho comprato con un ex collega, adesso capitano della squadra dove gioca
la
testa rossa, e mi sono ritrovato un Hanamichi Sakuragi distrutto che
chiede
qualcosa di forte, niente di più forte di un the
passerà dalle sue labbra in
mia presenza. Lo consolo, e questo mi fa un male cane,
perché la mia
maledizione è riuscire a sentire il dolore degli altri come
se fosse mio, e
finisco prosciugato. Hanamichi non ha capito che l’unico per
cui spasimo è
proprio lui, lo faccio da quando ho quindici anni, lo faccio da quando
uno
tsunami rosso si è scontrato con il mio guscio di paura e
rifiuto. Quando ero
piccolo, ricordo vagamente, una bambina dell’asilo con cui
giocavo spesso, lei però
non se la passava bene a casa, e io tornavo a casa mia sentendomi solo
e
abbandonato come lei, e questo mi faceva paura, ed ho deciso di non
interessarmi alle persone. Nessuno doveva scalfire la mia
tranquillità. Ho un
qualche avo olandese, e saltando qualche generazione gli occhi blu si
ripresentano, e proprio a me dovevano capitare? Le ragazze dalle medie
hanno
cominciato a tampinarmi, fino al momento di rottura, ho detto
chiaramente di
essere interessato al cazzo. Mi sono sentito libero, leggero, e sono
riuscito a
trattare meglio le persone senza l’ansia della loro
attrazione fisica, spesso
venduta come amore a poco prezzo.
Sono
devastato
doppiamente, lui ha lasciato la sua fidanzata storica, si sono messi
insieme
dopo la sua riabilitazione, ora lei è incinta di un altro,
ma non uno qualsiasi
uno dei suoi amici storici, il suo amico storico che diceva di essere
gay.
Avevo sospettato che lei fosse un’arrivista, ma pensavo di
essermi sbagliato,
ed eccoci dopo quindici anni a raccogliere i cocci del suo cuore, un
cuore
grande e generoso, un uomo pieno di amore, che ne ha ricevuto un sacco
nonostante il carattere turbolento dell’adolescenza, lui
è stato salvato dal
basket e io sono stato salvato da lui. Vorrei spaccare la faccia a
quella
ragazza, ma non posso, e poi lui l’ha liquidata in modo
geniale, le ha fatto
firmare un contratto, io non l’avrei fatto, perché
non faccio arrivare nessuno
così vicino al mio cuore da spezzarlo. Non è
vero, lui potrebbe polverizzarmi
in un secondo, ma aspetto con trepidazione la partita di dopodomani.
Servo
qualche avventore, faccio qualche selfie, firmo qualche autografo,
mentre lui è
al tavolo più nascosto a sorseggiare the. Ho dovuto
lasciarlo solo o gli avrei
detto quello che mi preme sul cuore ormai da anni. Non l’ho
idealizzato,
conosco i suoi difetti, e penso se ne siano aggiunti altri nel tempo,
ma sono
irrimediabilmente attirato da lui, dalla sua pelle ambrata da quei
capelli di
fiamma. Vorrei poter andare di là e baciarlo, ma non posso,
non posso perderlo,
non posso sfruttare il dolore per un po’ di calore umano.
Sono
passati due giorni
dal nostro incontro al bar, ieri è uscito un piccolo
comunicato che annuncia la
rottura del fidanzamento tra Haruko Akagi e Hanamichi Sakuragi,
confesso ho
stampato e incorniciato la notizia. Sono dentro al Dome, dove ho
giocato la mia
prima partita in NBA, l’ultimo cambio quello che
l’allenatore fa tanto per, e
son riuscito a mettere dentro il canestro e il tiro libero, tutta
fortuna, ma
ci vuole anche quella, mi son fatto vedere e da 15 secondi sono passato
a
minuti e poi a tempi interi e ora sono titolare in una squadra
titolata. Sono
pronto, fascetta all’altezza del gomito, divisa, scarpe dello
sponsor. Entriamo
in campo, e non mi aspetto niente di diverso, Hanamichi entra nel
cerchio di
centro campo per la palla a due. La partita scorre veloce nel mio gioco
e in
quello dei compagni, la lotta è serrata, siamo al quarto
quarto mancano 13
secondi e mi sto lanciando in contropiede ma vengo raggiunto da un
difensore,
il difensore più bello di tutta la lega, il ragazzo che amo
con tutte le mie
forze, ma da cui non mi farò fermare, devo fare attenzione
allo sfondamento, è
bravo a cercare di portare l’attaccante in fallo, la partita
non è finita, loro
sono un punto avanti, ma la mia fame di vincere non si placa mai.
Entriamo in
area e lo scontro non è delicato, ma non
c’è vantaggio, si continua, riesco a
tirare in fade away e lui riesce a bloccarmi, ma ricadendo mi colpisce
facendomi cadere. “Kaede” mi chiama quando sbatto
contro il parquet di questo
palazzetto “Tutto ok Do’hao”. Mi rialzo
in piedi afferrando la sua mano calda,
sento come una scossa elettrica, e l’intervento
dell’arbitro mi salva dal
baciarlo in diretta tv. “Canestro realizzato, fallo del
numero 13, 1 tiro” il
cronometro segna due secondi, e devo per forza realizzare, con lui in
due
secondi non sei al sicuro. Riesco a realizzare il canestro, e un suo
compagno
effettua la rimessa ed io mi metto a marcare il rosso, e per fortuna
riesco a
distrarlo per i due lunghissimi secondi successivi. La mia squadra
vince la
partita, ma è stata una sofferenza, e sarà una
sofferenza il ritorno nello
spogliatoio con il nostro urlante allenatore. Non la
quantità di urla che si
beccherà lui, ma anche il mio allenatore non ci scherza.
Quando siamo pronti e
ripuliti lo vedo nel corridoio degli spogliatoi indeciso se uscire o
meno. La
tv ha intervistato entrambi, e lui ha fatto un mea culpa assurdo per il
fallo,
non si è reso conto che sono stato io a colpirlo e a far
sembrare il contrario,
pesare una decina forse quindici chili in meno mi avvantaggia in questi
casi.
Ho dovuto fare appello a tutto il mio sangue freddo quando ho visto le
sue
labbra incresparsi in una smorfia delusa. Ha fatto una partita
fantastica, e ha
sbagliato solo quel fallo proprio alla fine, vorrei abbracciarlo come
l’altra
sera far poggiare la sua testa sulla spalla e baciare ancora quei
capelli
rossi. Sono proprio perso e ora siamo qua insieme in questo corridoio.
“Do’hao,
ti sono venuto addosso io” gli dico “apposta per
cercarmi il fallo” e lui
sorride amaro “avrei dovuto prevederlo da una kitsune come
te” parliamo in
inglese e usiamo i soprannomi del liceo ancora in giapponese.
“Stasera vieni al
bar? Domani riparto, ma vorrei offrirti un the” lui ride
mentre veniamo
raggiunti da giornalisti e appassionati “Ci conto”
gli dico senza dargli la
possibilità di rispondermi, visto che mi giro verso la
fotocamera di un
fotografo che è ospite fisso del Dome. Ci sommergono di
domande e poi ognuno
prende la propria strada. Spero accetti il mio invito, è
ancora distrutto, lo
vedo anche se lui si è rinchiuso nella sua maschera da
buffone sbruffone.
Parole
Sparse
Niente
questa fic
fa la prepotente, e vuole essere per forza scritta, me lo chiede di
forza e mi
ritrovo con le parole che fluiscono dalla mia mente alla tastiera.
Lasciatemi
passare
l’errore temporale per la Draft di Rukawa, gli stranieri sono
eleggibili
nell’anno del loro diciannovesimo compleanno in
realtà, i cittadini americani
invece dai 18 anni, e devono essere diplomati.