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Autore: Ardesis    01/09/2019    7 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Con una lunga lista di spezie e aromi da comprare al mercato e un paio di lettere da recapitare per conto di Marron, Annette tornò a Parigi per la prima volta da quando lavorava a Palazzo Jarjayes. Pierre, il cocchiere, la accompagnò in carrozza fino a Place Louis le Grand e le chiese di farsi trovare nello stesso posto due ore dopo. Annette promise con aria civettuola che sarebbe stata puntuale, nonostante fosse sicura che avrebbe tardato, e gli soffiò un bacio da lontano mentre si incamminava verso il mercato.

-Povero ingenuo Pierre.-

Si disse tra sé con una risatella. Pierre aveva la sua stessa età, o forse era poco più vecchio. Era il tipico brav’uomo senza pretese, molto composto, molto perbene, e, soprattutto, palesemente infastidito dalla propria condizione di scapolo. Per Annette era stato semplice attrarre il suo interesse e trasformarlo poi in un vantaggio per se stessa. Il discreto corteggiamento di Pierre consisteva sostanzialmente in una servizievole e totale messa a disposizione della propria persona. Ogni desiderio di Annette, per lui aveva lo stesso valore di un ordine del padrone. Ma Annette ne era solo intenerita, nulla di più. Il suo cuore, ormai, apparteneva ad un’altro.

Estrasse dalla scollatura del vestito il biglietto giallognolo che le era arrivato quella stessa mattina da un mittente anonimo e lo rilesse per l’ennesima volta. Vi erano scritti in una bella calligrafia solo un indirizzo e due lettere “SJ”, ma era stato sufficiente per farle capire che si trattava di un invito.

Sospirò e sorrise con aria trasognata, mentre superava le bancarelle del mercato senza fermarsi a comprare nulla. Prima di tutto si sarebbe recata a quell’indirizzo, le commissioni per conto di Marron potevano attendere. E poteva attendere anche Pierre. Louis no, non poteva attendere. 

Fu scossa da un brivido lungo. Non avrebbe mai immaginato che, giunta alla rispettabile età di quarant’anni, si sarebbe innamorata in un modo così profondo. Nel corso di tutta la sua squallida esistenza non aveva mai conosciuto l’affetto e la tenerezza. Ne aveva posseduto solo una vaga nozione distorta. Quando la sua giovinezza era sfiorita e la fila di clienti davanti alla sua porta si era diradata, la solitudine le era franata addosso soffocandola. Louis, a modo suo, l’aveva inconsapevolmente salvata. Quando quel giovanotto fresco e carismatico, cosi pieno di idee, di sentimento e di energia, era arrivato ad occupare la stanza di fronte alla sua, lei aveva sentito nuova vita scorrerle nelle vene. Louis era bello, colto, autorevole, propenso all’eccesso in ogni tipo di passione. Tanto giovane, eppure tanto maturo, nel corpo e nella mente. Era stato gentile con lei, aveva perfino avuto la pazienza di insegnarle molte cose, leggere, ad esempio, e poi anche tanti bei concetti di uguaglianza tra poveri e ricchi.

Sgusciò fuori dal chiasso del mercato e si incamminò nei vicoli stretti e scuri del quartiere del Grand Chatelet, impregnati del nauseante odore di sangue e di grasso che proveniva dalle numerose macellerie. Trovò facilmente l’indirizzo scritto nel biglietto e non si sorprese di scoprire che fosse un edificio cadente e abbandonato. Louis doveva essersene servito come rifugio. Entrò da una finestra senza scuri e si ritrovò in uno stanzone buio e silenzioso.

-Louis?-

Chiamò cauta. Udì dei rumori ovattati, poi degli scricchiolii di suole e infine, da una botola nel pavimento, apparve prima il chiarore giallastro di una candela e poi il viso di Saint Just, illuminato dal lucignolo.

-Annette, ti aspettavo. Vieni.-

Col cuore in gola per l’eccitazione, Annette lo raggiunse, scese delle strette scale di legno e si ritrovò in uno scantinato umido e illuminato da poche candele.

-Vivi qui ora?-

Gli chiese guardandosi intorno. Un braciere con tizzoni ardenti scaldava a stento un angolo della stanza in cui era sistemato un giaciglio arrangiato, mentre qua e là sul pavimento erano gettati armi, bottiglie, libri, fogli e diversi tipi di oggetti.

-È una sistemazione provvisoria.-

Borbottò lui vago, poi la afferrò per la vita e la fece girare verso di sé con uno slancio esagerato.

-Ho bisogno di te, Annette.-

Esclamò tragico e spinse le labbra sul suo collo, appena sotto l’orecchio. Annette sobbalzò per la sorpresa. L’accenno di barba ruvida che gli copriva le guance le pizzicò la pelle, facendola rabbrividire, ma tutto sommato le piacque quel contatto e il modo in cui lui la stringeva a sé.

Conosceva bene l’irruenza di Louis, vi era abituata, e l’idea di essere desiderata con tanto ardore la lusingava. Di ardore lui ne aveva parecchio in ogni singola goccia di sangue. Gli era difficile governarlo e spesso gli esplodeva nel corpo, facendo diventare il suo organismo tutto un vibrare di muscoli e nervi. Era come se covasse sempre dentro di sé una violentissima febbre di cui, solo in determinate circostanze, mostrava esteriormente i sintomi.

Saint Just la liberò in fretta del vestito e calciò l’abito come se temesse che la stoffa riuscisse a ritornare autonomamente sul corpo da cui era stata tolta. Impose ad Annette di stendersi sul pagliericcio con la voce che tremava. Tremava tutto, dal labbro alle ginocchia. L’urgenza gli si leggeva in faccia. Si abbassò i pantaloni solo quel tanto che bastava e si distese tra le sue cosce senza guardarla in viso. Le bloccò il bacino stringendole i fianchi magri e la prese con un ringhio di soddisfazione, come se per anni non avesse ambito altro, e Annette, nonostante quell’irruzione brusca, gioì al pensiero di essere la destinataria di una passione tanto forte. Rispose alle sue spinte violente con carezze affettuose, senza ottenere in cambio alcuna blandizia. Louis non era mai stato tenero, ma in quell’occasione fu più aggressivo, veloce e convulso del solito. Quando raggiunse il culmine, emise un guaito e fu scosso da un forte fremito, poi si quietò di colpo. Tutto il turbolento desiderio che l’aveva scombussolato, scivolò fuori dal suo corpo insieme all’orgasmo. Annette attese immobile che lui riprendesse fiato e sbuffò infastidita dalla sgradevole sensazione che le aveva lasciato quell’amplesso rude e incompleto, ma quando lui le stampò un bacio sulla bocca, gli sorrise dolce.

-Perdona la mia foga, Annette. Sono state settimane difficili.-

Lei si illuminò.

-Oh Louis, anche per me è stato difficile senza di te.-

“Povera ingenua Annette” pensò lui esibendo un sorriso obliquo. 

-Vivo nascondendomi come un ratto da dicembre. E per questa lussuosa stanza e per questo sontuoso talamo su cui ti ho presa, devi essere grata alla tua padrona.-

-Madamigella Oscar?-

Saint Just annuì con una smorfia di disprezzo sul viso e si alzò per sistemarsi i pantaloni. Annette lentamente si mise a sedere, piegò le gambe e si abbracciò le ginocchia, guardando il braciere con aria assorta.

-So cosa che è successo ad Alancourt e so che tu eri lì, Louis. Mi dispiace che la tua impresa non sia andata come speravi. Sai, Madamigella Oscar era ridotta davvero male quando l’hanno riportata a Palazzo. Ho sentito che è stata quasi travolta da un’esplosione e che l’ha salvata uno dei suoi soldati.-

-Beh, la sua presenza ad Alancourt non era affatto prevista. Avevo snocciolato parecchio denaro per corrompere uno dei suoi soldati in modo che la ammazzasse prima di arrivare in quel paesello di villici analfabeti, invece quel buono a nulla ha fallito. Mi ha procurato una montagna di rogne.-

-La odi tanto?-

-Sì, odio perfino l’idea che quel vestito che indossi le appartenga. Lo brucerei se non ti servisse.-

Annette recuperò l’abito e prese ad indossarlo con scatti nervosi, come se Saint Just le avesse trasmesso il suo stesso odio nei confronti di quell’innocuo pezzo di stoffa.

-Madamigella Oscar non sembra una cattiva persona.-

Constatò a bassa voce, ma subito aggiunse decisa:

-Però se tu credi che vada tolta di mezzo, ci penserò io.-

Saint Just rise sprezzante.

-Tu? E come, di grazia?-

Annette si strinse nelle spalle sorridendo, poi si alzò e andò ad abbracciarlo.

-Nessuno sospetta di me, sono praticamente invisibile. Agirò in segreto. Voglio esserti utile, ma non solo come informatrice. Fidati. Qualcosa farò.-

 

 

 

 

Al terzo tentativo vano di stringere a pugno le dita della mano destra, Oscar cominciò ad intuire quale amarezza doveva aver provato André, quando si era reso conto di aver perso la vista di un occhio. 

Affondò i denti nel labbro inferiore e provò per l’ennesima volta ad imporre un movimento alle proprie dita, ma le falangi si rifiutavano di piegarsi, come se le giunture delle ossa si fossero arrugginite.

-Riprovate.-

Insistette il dottor Lassonne.  

-È inutile, non riesco a muovere la mano.-

Rispose lei e deglutì per soffocare un gemito.

-La lama di quel pugnale deve aver reciso qualche nervo. Voi continuate ad esercitare le dita, forse col tempo otterrete dei risultati migliori.-

Oscar smise di ascoltarlo subito dopo le prime sillabe. Si fissò il palmo destro fasciato, ebbe un’impressione di vertigine e si sentì soffocare. Il suo futuro, la sua carriera e la sua quotidianità le traballarono davanti agli occhi come un castello di carte esposto al vento. “Non posso perdere l’uso di questa mano.”

-Consideratevi fortunata ad essere sopravvissuta a quell’esplosione, Madamigella. Immagino che sarete grata al soldato che vi ha portata in salvo.-

Oscar mosse la testa in un cenno distratto e senza significato. La presenza del dottore aveva cominciato ad irritarla ormai da diversi minuti. Non le servivano parole di conforto, le servivano cure, e se il medico aveva esaurito le proprie risorse per aiutarla a ripristinare l’agilità delle dita, allora era meglio che la lasciasse sola. Aveva bisogno di riflettere, di quietare i pensieri che le spaccavano la testa e di provare ad immaginare in che modo e fino a che punto sarebbe cambiata la sua vita. 

D’istinto lanciò un’occhiata al pianoforte e decise che non avrebbe più provato a confrontarsi con la tastiera. Non voleva scoprire di non poter più suonare.

-Bene, io devo tornare a Parigi ora. Vi auguro di rimettervi presto, Madamigella, e per qualsiasi cosa non esitate a contattarmi.-

Oscar stirò le labbra in un sorriso cortese, ma

freddo e accompagnò il dottore alla porta solo con lo sguardo. Quando finalmente il medico chiuse la porta dietro di sé, Oscar sentì che due gocce di lacrime calde rompevano gli argini degli occhi e le cadevano lungo le guance. Guardò l’imponente vaso di fiori che troneggiava sul tavolo a cui era seduta e con entrambe le mani lo spinse per terra. Il grido della ceramica che si infrangeva le diede un brivido di sollievo amaro. I cocci celesti schizzarono e si dispersero sul pavimento di legno come un’onda di piccole schegge e arrivarono a raggiungere le scarpe del Generale Jarjayes, che era entrato nella stanza non appena ne era uscito il dottore.

-Calmati, Oscar!-

Tuonò severo.

-Comprendo il tuo turbamento, ma non ti ho forse insegnato ad esercitare anche la mano sinistra fin dall’infanzia?-

Lei guardò in basso, imbarazzata per essere stata sorpresa dal padre durante quell’impeto irrazionale di collera. Osservò pentita i cocci sparsi sul parquet e si chinò a raccogliere uno dei fiori sfuggiti dal vaso. Poi si ricompose, in silenzio, sulla sedia su cui era seduta ormai da ore, avvolta nella larga vestaglia azzurra che Marron l’aveva costretta ad indossare per tenere il corpo al caldo.

Pur senza sollevare gli occhi dal fiore che teneva in mano, percepì che il padre esitava a guardarla, tollerò a stento i suoi occhi inquisitori che la trafiggevano di nascosto, poi udì i suoi passi che si avvicinavano lentamente calpestando i cocci.

Il Generale prese posto di fronte a lei, sulla sedia ancora tiepida della presenza del dottor Lassonne e incrociò le dita sul tavolo.

-Mi dispiace che ti sia capitato questo, Oscar.-

Lei raddrizzò la schiena e lo guardò con occhi spenti. Il rituale della conversazione tra loro seguiva uno schema sempre uguale a se stesso: il Generale cominciava col rivolgerle parole gentili, talvolta perfino affettuose, e poi senza pietà calava la scure. Sospirò rassegnata e lo lasciò parlare.

-Sono davvero felice che tu sia viva. Io e tua madre siamo stati molto in pensiero. Tutte le tue sorelle hanno scritto spesso per avere tue notizie.-

-Mi dispiace di avervi fatto stare in pensiero, padre.-

Il Generale stese le labbra pallide e si schiarì la voce per rendere i suoi toni baritonali ancora più profondi. Oscar si preparò a ricevere il preannunciato boccone amaro.

-Ho alcune notizie da riferirti, Oscar. Sua Maestà il Re sta prendendo in considerazione l’ipotesi di convocare presto gli Stati Generali, secondo la proposta di alcuni membri del suo consiglio.-

Oscar schiuse le labbra per lo stupore. Non era la brutta notizia che si era aspettata di ricevere.

-Voi siete favorevole?-

Chiese incerta.

-Potrebbe essere rischioso, qualcuno penserà che il Re abbia allentato la mano. Ma sono propenso a credere che la Francia ne abbia bisogno.-

Ci fu un momento di silenzio. Oscar appoggiò il fiore sul tavolo e si posò le mani sulle cosce per non dover guardare le bende che le fasciavano la destra.

-C’è altro?-

Chiese, notando gli scatti nervosi dei pollici del padre. 

-In effetti, sì, c’e altro che devi sapere. Due giorni fa, gli uomini di Bouillet hanno scoperto che uno dei tuoi soldati ha venduto illegalmente il proprio fucile d’ordinanza.-

Oscar spalancò gli occhi. “Ecco la notizia cattiva.”

-Come sai,- continuò il Generale - questo è un reato molto grave. Il soldato meriterebbe la forca o la fucilazione.-

-Potrebbe esserci stato un equivoco.-

Mormorò lei premendosi i palmi aperti sulle cosce per sfogare la tensione. Il dolore alla mano destra diede una scossa brusca a tutta la sua nervatura.

-Nessun equivoco. Il soldato a cui apparteneva il fucile non ha dato alcuna spiegazione per giustificarsi.-

-Perché non sono stata informata subito della faccenda?-

-In tua assenza, Bouillet si è assunto le tue responsabilità e ha fatto imprigionare il soldato. Non c’era altro che si potesse fare, d’altra parte.-

Oscar chiuse gli occhi per imporsi di trattenere la disappunto.

-Il Generale Bouillet poteva comunque sprecare un biglietto, anche solo di poche righe, per mettermi al corrente.-

-Non voleva turbare la tua convalescenza, Oscar.-

Lei sospirò dal naso. Le ripercussioni della disinvoltura di Bouillet nella decisione di incarcerare quel soldato sarebbero ricadute inevitabilmente tutte su di lei, solo su di lei, e le avrebbero causato molte noie indesiderate.

Fin dai primi giorni in quella caserma di Parigi, Oscar aveva capito che tra i suoi uomini vigeva la legge del branco: se uno di loro veniva bistrattato, l’umiliazione ricadeva su tutti quanti. In quella circostanza, dovevano essersi sentiti traditi, ignorati e offesi dal silenzio e dall’assenza del proprio Comandante e di certo non avrebbero esitato a riprendersi le briciole di stima che le avevano parsimoniosamente concesso con tanta riluttanza.

Si mosse nervosa sulla sedia. Doveva precipitarsi al più presto a Parigi per riprendere in mano le redini del proprio ruolo e rattoppare al più presto quella falla. Si alzò, fissò ad occhi stretti la propria uniforme sul manichino e chiese al padre con la voce limpida di determinazione:

-Il nome del soldato?-

-Lassalle Gerard.-

 

 

 

 

 

Oscar fermò il cavallo davanti all’edificio che avrebbe dovuto ospitare l’appartamento di Andrè e storse la bocca. Diede uno sguardo al biglietto su cui Marron aveva segnato l’indirizzo del nipote, poi tornò a fissare la facciata del palazzo e constatò che non si era sbagliata. L’indirizzo era corretto, André abitava proprio in quel tugurio laido e decadente.

Dopo un momento di incertezza, scese da cavallo e si avvicinò alla porta conducendo Cesar per le redini. Bussò senza sapere da chi sarebbe stata ricevuta e attese con pazienza, ascoltando perplessa il baccano che si era originato all’interno dell’edificio non appena le sue nocche avevano colpito il legno. Dopo qualche minuto, una bambina scura e magrissima si affacciò alla porta.

-Desiderate?-

Chiese con voce timida, dopo aver fissato per qualche secondo con gli occhi spalancati quel bellissimo e imponente militare biondo che sembrava fuggito da un dipinto.

-È qui che abita André Grandier?-

Domandò Oscar assumendo un tono cordiale per non spaventarla. La ragazzina abbozzò un sorriso, ma non appena aprì le labbra per rispondere, una mano gonfia e con le nocche rosse la afferrò per la spalla e la spinse dietro la porta, facendola sparire dalla vista di Oscar. Al suo posto, si concretizzo sulla soglia una donna bassa e massiccia, con un grembiule unto e un’espressione indispettita che faceva apparire il suo viso più sciupato di quanto già non fosse.

-Chi lo cerca?-

Grugnì, studiando attentamente le mostrine e i gradi che scintillavano sul petto di Oscar.

-Sono il Colonnello Oscar François de Jarjayes. André è un mio amico.-

-Ah, amico, eh? André non è in casa.-

La donna fece per richiudere la porta, ma Oscar la trattenne con una mano e insistette:

-Dove posso trovarlo?-

-Sarà nello studio dell’avvocato Moreau, lavora lì.- rispose la donna seccata -E se lo trovate, ditegli che non gradisco che dei militari vengano a bussare alla mia porta, soprattutto se si tratta di un Ufficiale.-

E sbatté la porta prima che Oscar riuscisse a formulare un “Grazie.”

 

 

 

 

 

Moreau era solito sfoggiare un atteggiamento mite e conciliante in ogni occasione. Non alzava mai la voce, non inveiva contro nessuno, era sempre molto abbottonato in qualsiasi genere di reazione. Quel giorno, però, André scoprì che l’avvocato aveva un equilibrio emotivo più fragile di quanto non cercasse di mostrare.

-Sei uno stolto!-

Urlava Moreau al giovane garzone, che subiva remissivo la sua rabbia, e intanto gli scuoteva sotto il naso un libro con la copertina annerita dalla fuliggine. Erano entrambi rossi fino alla radice dei capelli, uno per la collera e l’altro per l’imbarazzo.

-Avevi un compito molto semplice: riporre i libri sulla mensola e invece guarda! Questo è rimasto vicino al camino per tutta la notte!-

André osservò la scena restando in disparte, incerto su come comportarsi. Quell’esplosione di bile incontrollata lo sbalordiva. Moreau aveva sempre dimostrato di possedere un impeccabile senso di misura e non aveva mai avuto una parola scortese né per lui né per il garzone. Il motivo di tanta ira, poi, era obiettivamente ridicolo. Il libro in questione non era che un vecchio codice di legge, un volume di scarso valore, e comunque solo la copertina si era annerita, le pagine erano rimaste intatte. Nulla che un buon rilegatore non potesse aggiustare, insomma.

-Sei pigro e distratto, fai un errore dopo l’altro! Non vali quanto ti pago. Da questo momento non lavori più per me.-

A quella sentenza, il garzone crollò sulle ginocchia singhiozzando senza versare lacrime e congiunse le mani davanti al viso.

-Vi prego, signore, non posso perdere questa occupazione. Sono l’unico maschio della mia famiglia.-

-Non cercare di impietosirmi, Jean.-

-Vi supplico...-

Moreau scosse la testa e aprì la bocca per ribadire la propria decisone, ma prima che riuscisse a pronunciare una sillaba, André si intromise:

-È stata colpa mia, signore.-

Moreau si voltò verso di lui.

-Cosa intendi dire, André?-

-Sono stato io a lasciare il libro vicino al camino. Jean, è andata così, non è vero?-

André rivolse al garzone uno sguardo eloquente e quello fece un timido cenno di assenso con la testa. Moreau sporse le labbra pensieroso, guardò prima André, poi il ragazzo genuflesso e infine borbottò aspro:

-Farò finta di credere che sia la verità.-

Jean ritrovò il respiro e provò a domandare cautamente:

-Non sono più licenziato?-

-No.-

Rispose Moreau, ma con gli occhi fissi su André. Il garzone si alzò dal pavimento, si passò le mani sui calzoni impolverati e se ne tornò zitto e mesto al proprio scrittoio.

Moreau, invece, camminò verso la stanza del proprio studio e, ripristinando quell’aria bonaria che gli era solita, chiese ad André di seguirlo. Non appena ebbe chiuso la porta, sbuffò e gli puntò l’indice contro il petto.

-La generosità è una bella qualità, André, ma non abusarne. Che cosa hai guadagnato ad aiutare Jean? Se io ti avessi creduto, ti avrei licenziato. Ti saresti ritrovato per strada senza avere colpa, e per cosa poi? Per avere la coscienza pulita, per la gratitudine di quel ragazzo? Ascoltami, forse un giorno sarai un uomo di legge come me, o forse no, comunque ricordati ciò che sto per dirti: difendere un uomo da un’accusa fondata è giustizia, ma immolarsi al suo posto è stoltezza. Mi sono spiegato?-

-Vi siete spiegato, signore.- 

-Bene, ora rimettiamoci a lavorare.-

André si sedette allo scrittoio e indossò gli occhiali, ma fece soltanto finta di leggere. Si prese qualche attimo per riflettere. Il cinismo pratico di Moreau talvolta lo irritava, eppure gli dava da pensare. Essere magnanimi con gli altri significava davvero essere meschini con se stessi? Il proprio bene aveva la precedenza sul bene degli altri? E aveva davvero agito per il bene di Jean, o soltanto per sentirsi a posto con la propria coscienza? Non ebbe il tempo di rispondersi. Il cigolio della porta d’ingresso che si apriva attirò la sua mente nuovamente nell’atrio, ascoltò senza troppo interesse quel suono familiare che annunciava l’arrivo di un cliente e si sentì sfiorato dalla solita, tiepida curiosità di scoprire di chi si trattasse. Ma non appena vibrò attraverso la parete una voce conosciuta che rivolgeva al garzone un cortese “Buon pomeriggio”, scattò in piedi, rosso in viso, e, ignorando le occhiate e le domande di Moreau, si precipitò verso l’ingresso.

-Oscar!-

Lei era ad un passo dalla porta, con il volto segnato dalle tracce del freddo di quella grigia giornata. 

Guardandola mentre porgeva il mantello al garzone, André sentì che il proprio sangue iniziava a correre veloce facendo pulsare le vene del collo. Quindici giorni senza vederla. Si sentì tremare le gambe al pensiero che durante quell’infinito lasso di tempo aveva addirittura rischiato di perderla, senza poter essere al suo fianco. Grazie a Dio, Alain era stato un suo buon sostituto e le aveva salvato la vita. Sulle labbra gli esplose un sorriso.

-Buon pomeriggio, André.-

Lo salutò lei, rubandosi qualche battito del suo cuore.

-Mi fa piacere vederti, Oscar.-

“Ah, la stanza sembra più luminosa ora che ci sei tu!” avrebbe voluto dirle. Per qualche secondo credette davvero nella fantasia che lei potesse irradiare una propria luce, poi comprese che quell’effetto di nitidezza era soltanto merito degli occhiali che si era dimenticato di togliere. Arrossì, un po’ per il timore di sembrarle ridicolo, un po’ perché le aveva sempre negato di avere difficoltà con la vista e gli occhiali erano la prova che le aveva mentito. Li sfilò in fretta e mentre li riponeva in una tasca della giacca, notò per caso le bende che fasciavano la mano destra di Oscar. Non ebbe il tempo di farle domande. Lei nascose subito entrambe le mani dietro la schiena nello stesso modo in cui lui aveva fatto sparire gli occhiali e glissò:

-Non è nulla di grave.-

In quell’istante Moreau si affacciò dalla porta del proprio studio e salutò la nuova arrivata con cortesia diffidente. Oscar prese aria per gonfiare il petto e gli si rivolse con la sua solita compostezza fredda e garbata.

-Salve, monsieur Moreau, avrei necessità della vostra consulenza. Uno dei miei soldati è stato accusato di aver venduto illegalmente il proprio fucile ed è stato arrestato. Voi che conoscete i cavilli della legge, forse potete aiutarmi a trovare un modo per risparmiargli l’esecuzione. Dietro compenso, si intende.-

-Accomodatevi- rispose Moreau, accendendosi alla parola “compenso” e spalancando la porta dello studio per invitarla ad entrare -Spiegatemi meglio questa faccenda e valuteremo se posso esservi utile.-

 

 

 

 

 

Sul finire del pomeriggio, avvolto nella patina opaca della pioggia che cadeva incessante da un paio d’ore, apparve ai cancelli della caserma il cavallo bianco del Comandante. 

Alain strinse i pugni lungo i fianchi. Sapeva che sarebbe arrivata. La stava aspettando in piedi sull’ingresso da prima che cominciasse a piovere, ascoltando i fiati nervosi, simili ad ansiti di tori inferociti, degli altri soldati alle proprie spalle. Ma ad affrontare Oscar François de Jarjayes sarebbe stato lui, doveva essere lui, da solo. Era, prima di tutto, una questione intima, personale, che prescindeva tutto il confuso contesto. L’incarcerazione di Lassalle, le vicende di Alancourt, il rancore dei propri commilitoni e tutti gli altri impulsi che in qualche modo lo stavano spingendo a confrontarsi con lei, perfino la propria amicizia con André, erano solo dettagli mescolati su uno sfondo trascurabile. Pretesti, che alimentavano il fuoco di un unico sentimento che gli doleva nel petto: la delusione per essersi ingannato. Non riusciva a smettere di rimproverarsi per la propria ingenuità. Si era lasciato sedurre da quel corpo di donna tanto perfetto, da far credere che dovesse essere perfetto anche dentro. Aveva avuto fiducia in lei. Si era augurato che dopo il susseguirsi sconfortante di tanti Comandanti incompetenti e boriosi, quell’angelo disceso dagli ordini più alti della sgangherata società francese portasse uno spiraglio di sole in quella topaia di caserma. Ma si era illuso ed ora era furioso, forse non tanto con lei, quanto con se stesso.

Oscar lasciò Cesar nelle scuderie e camminò verso l’ingresso, curva e a testa bassa sotto la pioggia affilata. Alzò il viso solo quando si trovò vicino alla porta dell’edificio e si fermò, turbata dalla gelida accoglienza dei soldati.

-Devo supporre che non vogliate darmi il benvenuto.-

Disse loro con voce stanca, poi agganciò gli occhi agli occhi di Alain, il più cupo di tutti, e intuendo il suo ruolo di mediatore si preparò ad essere investita dalle sue accuse. In silenzio, il soldato abbandonò la protezione della tettoia e avanzò nella pioggia finché non fu ad un passo da lei. Si fermò un momento a fissarla, respirando profondamente ad una spanna dalla sua fronte, poi le afferrò la giacca e la strattonò con una violenza tale che le suole di Oscar si staccarono da terra.

-Che razza di Comandante vende i propri uomini?-

Le ruggì furioso in pieno volto.

-Vendere?-

Ripeté lei smarrita. Non ebbe il tempo di realizzare la portata della furia di Alain né il peso di quell’accusa. La mano di lui si abbatté sulla sua faccia in uno schiaffo tanto forte che Oscar sentì uno schiocco nella mandibola e un fischio acuto nelle orecchie.

-Lassalle è il vostro capro espiatorio, forse? È la vittima sacrificale per ottenere il favore dei vostri superiori?-

La voce di Alain era più brutale del suo schiaffo.

-Io non ho venduto nessuno!-

Disse lei con voce bassa e tuttavia urlata.

-Non ho venduto Lassalle Gerard. Prima di oggi non sapevo nemmeno che lo avessero incarcerato.-

Ribadì. Lui la spinse lontano da sé con disprezzo.

-Vi sfido a duello!-

Sbottò sguainando la spada. Oscar si portò d’istinto una mano sul viso per accarezzare la guancia offesa e scosse piano la testa.

-Alain, non mi batto contro di te. Non dopo ciò che hai fatto per me ad Alancourt.-

Ma non appena terminò di pronunciare quelle parole, dovette prendere atto che Alain e tutti i suoi compagni sarebbero stati ostinatamente sordi a qualsiasi cosa lei dicesse. Provare a dare una spiegazione non sarebbe servito a mitigare il loro rancore, erano uomini abituati ad agire, non a dialogare. Solo con uno scontro fisico, forse, le loro orecchie si sarebbero stappate.

Dunque non le rimaneva altra scelta che accettare la sfida. Sfoderò la spada con la sinistra e strinse forte l’elsa. Com’era fragile ed instabile quella mano in confronto alla destra. Per la prima volta dopo tanti anni, si sentì vulnerabile. Ma d’altra parte, si disse, vincere o perdere quella sera non era importante. Il duello doveva soltanto essere un palliativo per placare la rabbia dei soldati.

-Non mi importa se siete una donna e non mi importa se sarete costretta ad usare la mano sinistra!- ringhiò Alain con gli occhi gonfi -Ho bisogno di misurarmi con voi per ripulire la mia coscienza doppiamente macchiata. Vedete, sono stato io a convincere Gerard a vendere il fucile durante una ronda notturna, prima di partire per la missione, perciò sono io che dovrei rischiare la forca, non lui. Ma ditemi, Comandante, è più spregevole chi vende un fucile o chi vende un uomo?-

Oscar lo fissò in silenzio.

-Io ho salvato la vita a voi, e voi l’avete distrutta ad un mio compagno. Ecco la mia seconda colpa, Comandante. Avrei dovuto lasciavi morire ad Alancourt.-

   
 
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