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Autore: mgrandier    02/09/2019    13 recensioni
Une decisione può cambiare l'esistenza, la propria e quella di altri, ma è l'insieme delle scelte che compiamo, le nostre e quelle di chi gravita nella nostra vita, sospese tra istinto e ragione, a determinare la nostra storia e a renderla una vita vera.
Oscar ha scelto di vivere come un uomo: ma è veramente questo ciò di cui ha bisogno?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Solo un uomo
 
Contro ogni razionalità, e contro le insistenze bonarie e ragionevoli della governante, era partito immediatamente, senza curarsi della notte imminente e di tutto quanto avrebbe comportato intraprendere un viaggio simile al calar del buio.
A grandi falcate aveva raggiunto la scuderia e lo stalliere l’aveva dovuto rincorrere per arrivare ai cavalli e intromettersi tra lui e il fido Cesar, in modo da poter proseguire con la preparazione dello stallone di cui lui stesso aveva iniziato ad occuparsi. Qualche istante dopo era giunta anche la governante, trafelata e rossa in volto, a consegnargli una sacca preparata alla meglio e tutte le proprie preoccupazioni.
- Non partite ora, Madamigella! – aveva allora ripreso Rose, sempre più sinceramente accorata e senza falsi modi – Sapete anche voi che si tratta di una imprudenza! Io sono qui fin da quando ero una ragazzina e non ricordo che qualcuno abbia mai lasciato la dimora dopo il tramonto; si è sempre atteso il nuovo giorno! –
Tuttavia, lui era risolutamente rimasto concentrato sui movimenti rapidi e sapienti dell’anziano stalliere, senza quasi reagire agli appelli della donna.
- Diglielo anche tu, Robert: - aveva poi ripreso Rose, rivolta al marito ancora occupato nel controllare lo stallone bianco – il Generale se la prenderà con noi e ci punirà severamente quando saprà che vi abbiamo permesso di … -
- E’ proprio per soddisfare una richiesta di mio padre che non intendo rimandare la partenza a domani. – si era allora intromesso lui, raddrizzando le spalle e fissando i propri occhi, fermi e determinati, in quelli preoccupati della governante e rispondendo con le proprie ragioni, deciso a non ammettere altre discussioni – Sapete bene che non ci sarà alcun castigo per voi due e, se mai ce ne dovesse essere necessità, sarò io stesso a difendervi al suo cospetto. – aveva poi concluso, mentre già conduceva Cesar al di fuori della scuderia – Mio padre ha richiesto la mia presenza a Palazzo e io non intendo indugiare oltre, prima di partire. -
Era salito in sella e, dopo aver spronato lo stallone al passo, era riuscito appena ad udire la voce di Rose, velata di preoccupazione, porgere ancora un ultimo saluto - Fate buon viaggio, allora … -.
Si era voltato un istante, chinando appena il capo in segno di ringraziamento, forse più perché la donna aveva smesso di opporsi alla sua partenza, che per l’augurio appena udito, ed era riuscito a scorgerla, sulla porta della scuderia, appena illuminata dalle ultime luci della sera, con le braccia piegate sul petto prosperoso e le mani strette una nell’altra, in una sorta di silenziosa preghiera.
- Per mio padre … - aveva mormorato allora tra sé, concedendosi una sola motivazione per quell’atto che sapeva sconsiderato, ma che sentiva assolutamente necessario – Solo per mio padre … - e poi aveva spinto Cesar ad aumentare l’andatura, lasciandosi alle spalle tutto e tutti.
 
Aveva cavalcato tutta la notte, procedendo sulla via che si snodava nelle campagne, evitando quanto più possibile le boscaglie e cercando di sfruttare al meglio la luce lattiginosa della luna piena che, fortunatamente, schiariva un poco quella notte.
Dapprima, si era sentito invincibile; il vento sul viso, fresco e umido della notte, gli aveva risvegliato le membra e aveva sopito, invece, i suoi pensieri, permettendogli di concentrarsi più sul viaggio, che sulle ragioni di quella partenza improvvisa. Per le prime ora aveva prestato attenzione alla strada, al cielo e a tutto quanto lo circondava, alle terre che attraversava e agli animali che aveva udito e intravisto scappare a nascondersi nei cespugli, disturbati dal suo passaggio. Aveva scorto la sagoma nera di un uccello notturno solcare il cielo in volo e non aveva potuto che invidiargli il privilegio di quelle ali maestose, capaci di sollevarlo da terra e di allontanarlo dal terreno e dal peso di doversi trascinare nella polvere, lungo la via sterrata. Poi, procedendo nella sua corsa, si era sentito sempre più pesante, incapace di coprire miglia su miglia come avrebbe desiderato fare, come sentiva di avere la necessità di fare …
Aveva superato più di un villaggio, ignorando le poche insegne delle taverne e distogliendo lo sguardo dalle locande, ripetendo a sé stesso di non poter perdere tempo … concentrato sul bisogno di proseguire il più possibile la propria corsa e forse anche impegnato a ignorare ogni segno di stanchezza e, più di ogni altra cosa, la voce del proprio animo turbato.
Solo in prossimità di un canale, laddove la strada per un lungo tratto costeggiava l’acqua, permettendogli una buona visuale tutto attorno a sé, si era concesso di prendere fiato per qualche istante, per far abbeverare Cesar e lasciare che recuperasse anch’esso le forze. Allora scorgendo con la coda dell’occhio la sacca assicurata alla cavalcatura, aveva avuto modo di riflettere su quel piccolo involto preparato dalla governante, che lui aveva afferrato e legato alla sella senza nemmeno chiedersi cosa fosse, preso, in quegli istanti concitati, da altre preoccupazioni. Ascoltando finalmente il proprio corpo, si era reso conto di non aver nemmeno cenato prima della partenza e aveva istintivamente affondato una mano nella sacca, ringraziando mentalmente la donna per quella inattesa gentilezza. Aveva riconosciuto, tra involti di stoffa, la sagoma e la consistenza di una forma di pane e l’aveva tolta dalla sacca, mettendosi poi a sedere per terra, ad un passo da Cesar; aveva inspirato profondamente, concedendo alla stanchezza di avere il sopravvento, rilassando le membra e adombrando per un istante la mente e ogni pensiero razionale; poi aveva raddrizzato la schiena indolenzita e, fissando lo sguardo stanco su quanto aveva tra le mani, aveva spezzato la pagnotta a metà.
Allora, solo allora, con lo sguardo perso su quei due pezzi di un’unica pagnotta, aveva lasciato il proprio pensiero libero di vagare nella notte del proprio animo. Anche la fame, in quel momento, si era spenta, e l’istinto l’aveva indotto a sollevarsi da terra, a riporre il pane per poi frugare avidamente nelle tasche della giacca, fino a trovare la lettera, quel foglio ripiegato a cui aveva dato una sola lettura, incapace di ripercorrere quelle righe e bloccato nel tentativo di comprendere e al contempo di soffocare il significato di quanto letto.
Aveva ripreso la lettera e aveva tentato di rileggerla, ma lo sguardo si era di nuovo arenato su quelle poche, dirette e brucianti parole: Ho necessità di parlare con te, figlio mio, per questioni ufficiali e in merito al futuro del tuo attendente; in attesa del tuo rientro, André resterà comunque rinchiuso nella segreta di palazzo.
 
Quando giunse al limitare della tenuta, nella tarda mattinata del terzo giorno di viaggio, portava su di sé tutti i segni dello sforzo che aveva compiuto per arrivare prima possibile a destinazione: i capelli e gli abiti impolverati, il fiato corto, i nervi tesi, il volto segnato profondamente dalle poche ore di sonno trascorse senza mai concedersi il conforto di un vero giaciglio.
La prima volta, si era ridotto a posare il capo sul tavolaccio di una osteria quando, consapevole che Cesar avesse bisogno di rifocillarsi e riposarsi, si era imposto una sosta e, per concedergli il tempo necessario, aveva finito per ordinare anche un pasto per sé. Aveva faticato a ingoiare il cibo e non era riuscito nemmeno a terminare quella pietanza che, se pur gustosa, non era riuscita a recare nessun sollievo perché la spossatezza aveva avuto il sopravvento; fino a che non si era svegliato, di soprassalto e con la schiena dolorante, il riposo segnato da una postura inadeguata, e aveva deciso di riprendere il proprio viaggio. Non si era curato del ritmico alternarsi della luce e del buio, aveva ignorato ogni prudenza, avido di tempo, ormai perso in quell’unico pensiero fisso: arrivare a Palazzo il prima possibile. Aveva soffocato i bisogni del proprio corpo, riuscendo in parte anche a governare la propria mente, eppure vi erano stati frangenti nei quali ogni sforzo era stato vano e la coscienza aveva avuto la meglio sulla sua stessa volontà: allora nella sua mente si erano alternate immagini cupe, la porta cieca della segreta di palazzo e il corridoio umido che conduceva ad essa, e poi l’ombra di quella stanza dall’aria stantia e in quell’ambiente solitario e opprimente, il profilo del corpo di André, chino a terra, con la schiena curva, quasi fosse ormai stremato dal quel castigo. Era la sua immagine a comparire con sempre maggiore insistenza, strappando al suo respiro più di un singulto e serrando in gola un nodo sempre più stretto, forte al punto da togliergli il fiato. Contro quella visione gli era stato inutile combattere e tentare di essere forte; a quell’immagine rassegnata si era lui stesso arreso, cedendo alla forza del proprio sentire.
Ancora una volta si era fermato, quando Cesar era parso veramente spossato e si era reso conto di aver chiesto troppo anche allo stallone; allora, scorto un gruppo di abitazioni, lo aveva raggiunto e aveva chiesto accoglienza e aiuto, per sé e soprattutto per il cavallo. In quell’ambiente famigliare e tranquillo, aveva ceduto al sonno e questa volta si era anche disteso su una specie di lunga panca; tuttavia, di nuovo il riposo si era spezzato quando la coscienza aveva diradato i fumi della stanchezza, insinuando nel sogno il solito, unico vero scopo della sua corsa, rendendolo torbido, fino ad un brusco risveglio. Così, il viaggio era ripreso, ancora più irrequieto e irrazionale, fino a giungere alla dimora di famiglia.
Portò Cesar fino dinnanzi all’entrata principale, scivolando a terra senza nemmeno attendere che si fosse fermato e senza preoccuparsi di lasciarlo alle cure dello stalliere, nell’istintiva consapevolezza che il cavallo ben sapesse dove cercare riparo. Superò con un salto i gradini dell’ingresso e varcò la soglia, abbracciando con un’unica occhiata il grande atrio; sussultò quasi, scorgendo in fondo all’ambiente una figura ben nota verso cui istintivamente si mosse.
- Jerome! – lo chiamò deciso, afferrandogli le spalle e puntando lo sguardo in quello dell’uomo – Mio padre? -
L’attendente del Generale rispose pronto – Nel suo studio, Monsieur, – indicando con un cenno del capo lo scalone dell’atrio che conduceva al piano nobile e poi al corridoio occidentale, lungo il quale si trovavano gli ambiento privati del suo signore – fin a pochi istanti fa si trovava lì. –
Lasciò l’uomo e a grandi falcate si diresse alla scala, ignorando la schiera di inservienti che, avvisate prontamente del suo rientro, si stavano schierando per rendergli saluto.
 
Bussò vigorosamente alla porta dello studio, ma non attese risposta e si precipitò al suo interno - Padre, cosa è accaduto? –
Il Generale, seduto alla sua imponente scrivania e intento a scrivere, sollevò appena il capo, fissandolo senza mostrare alcuna emozione - Bentrovato, Oscar. Non ti aspettavo così presto. –
- Ho ritenuto necessario rientrare al più presto possibile, dopo aver ricevuto il vostro messaggio. – si giustificò allora, avanzando un poco verso il padre, controllando a fatica la propria agitazione – Voi stesso avete fatto cenno a questioni di grande urgenza. –
- A cosa ti riferisci, Oscar? – chiese allora il Generale, posando la penna e rilassando le spalle contro lo schienale della propria seduta, mostrandosi oltremodo pacato.
- Per quale ragione André è rinchiuso nelle segrete? – chiese allora con impeto, avanzando ancora, fino a fermarsi ad un soffio dalla scrivania – Come avete potuto? – insistette, piegandosi e puntando i palmi sul grande piano di lavoro, fino quasi a sovrastare il padre – Cosa … cosa può aver fatto di tanto grave?! –
Il Generale non parve impressionato da tanta insistenza e rimase impassibile per qualche istante, mentre lo osservava ansimare e cercare a fatica di governare il proprio respiro teso. Poi portò le mani ai braccioli della seduta, spingendola all’indietro per potersi alzare, e mosse qualche passo verso la grande finestra aperta sul giardino settentrionale – Questo dovresti dirmelo tu, Oscar. –
Spiazzato dalle parole del padre, non seppe rispondere, riuscendo solo a scuotere appena il capo, negando di sapere alcunché.
- Davvero non hai nulla da dire in proposito, Oscar? – insistette l’uomo, forzandolo a rispondere, ma ancora lui rimase in silenzio, fermo e teso, fin quasi a vibrare.
Il Generale, allora, mosse ancora qualche passo, come intento a riflettere, unendo le mani dietro la schiena, prima di riprendere a parlare – Perché, vedi, dopo la tua partenza solitaria per la Normandia, sono rimasto molto a riflettere per cercare di comprendere le motivazioni della tua decisione, senza riuscire a darmi risposte. Così, mi sono rivolto all’unica persona che potesse conoscere le motivazioni della tua insolita fuga: André. In tanti anni al tuo fianco, solo lui è sempre riuscito a comprendere cosa passasse nella tua testa; solo lui avrebbe potuto spiegarmi … Tuttavia … - lo sguardo dell’uomo si fece sottile, quasi tagliente, le sue labbra si tesero, prima che potesse proseguire - … tuttavia, dapprima André ha negato di conoscere le ragioni della tua partenza e poi, messo alle strette … ha preso su di sé la colpa del tuo gesto inspiegabile. –
All’udire le parole del padre, dovette arretrare di un passo, allungando un braccio per reggersi alla poltrona, colto da un improvviso capogiro – Cosa … cosa ha fatto? –
- Ha fatto quello che ho detto, Oscar: si è dichiarato responsabile del tuo gesto. – ribadì il Generale.
- Ma non è possibile! – si intromise allora – Io sono partito da solo perché … perché volevo dimostrare a me stesso di non aver bisogno di appoggiarmi a nessuno! Perché un uomo non ha bisogno di sostegno e deve affrontare da solo la sua … -
- Questa è un’assurdità, Oscar! – lo fermò allora il Generale, impedendogli di proseguire – Sai bene che io stesso ho sempre al mio fianco Jerome e che da solo non potrei certo svolgere le mie mansioni al meglio! – gli spiegò – E forse ora comprendo le ragioni di André, che conosceva il tuo assurdo desiderio di restare solo reagendo in modo inconcepibile … per poi tentare di coprire il tuo operato sconsiderato … - mormorò poi quasi tra sé - … Anche se continuo a non capire perché arrivare ad attirare l’attenzione su di sé, confessando quello che ti ha fatto, che resta comunque un gesto imperdonabile! –
Le parole del padre gli spezzarono il respiro – Aspettate padre: André è stato imprigionato per qualcosa che ha fatto a me? – chiese incredulo – Cosa mai mi avrebbe fatto? –
Lo sguardo del Generale divenne profondo, la voce grave – Davvero non ne sai nulla, Oscar? Perché vedi … André ha confessato di averti aggredito e ... –
- No! – lo interruppe d’istinto, stringendo i pugni, senza sapersi controllare – Non è vero niente di quello che vi ha raccontato! – e portando il Generale ad irrigidirsi, colto di sorpresa dalla sua reazione.
- Non è vero? – chiese il Generale di rimando – Ma allora perché avrebbe mentito? Perché avrebbe continuato a farlo, anche quando l’ho frustato per punirlo? –
- Cosa gli avete fatto?! – incalzò allora, con la voce rotta e i pugni serrati, mostrando sempre maggiore agitazione – Voi lo avete rinchiuso e lo avete frustato solo sulla base delle sue parole? – continuò incredulo, avvicinandosi sempre di più al Generale, fino quasi a fronteggiarlo – Io vi conosco severo, padre, ma anche giusto e non posso credere che abbiate potuto punire André senza verificare quello che vi ha confessato! –
L’uomo non perse il controllo di sé, mentre lo sguardo riconosceva sul volto del figlio i segni di un profondo sgomento – Cosa avrei dovuto fare, Oscar? Perché non credergli, quando lui stesso si è accusato? –
- Perché è impossibile! – gridò allora in risposta, giungendo ad un soffio dal viso del padre; – Perché ho fronteggiato André per una vita intera, con la spada e lottando corpo a corpo, e non è mai riuscito ad avere la meglio su di me! – proseguì – Perché è razionale e riflessivo, molto più di quanto non sia io e perché … perché qualunque sia la sua colpa, non è possibile che ora voi lo abbiate trattato in questo modo … - la voce si chiuse in gola, sotto lo sguardo fisso del Generale che, alle sue parole, era rimasto fermo, quasi pietrificato. Cercò di controllare il proprio respiro affannoso, chiuse gli occhi, sperando quasi che il Generale intervenisse, invocando la capacità di non perdere la ragione di fronte a lui, nonostante il pensiero di ciò che era accaduto lo stesse dilaniando. Arretrò di un poco, chinando il capo e portando lo sguardo alle finestre, celando il proprio viso alla vista del Generale.
- Io devo parlare con André, padre. – chiese allora, governando il tono della voce, che sentiva incrinarsi sotto il peso dell’emozione – Permettetemi di vederlo, vi prego. – domandò poi, tornando a fissare il proprio sguardo in quello del proprio padre.
Il Generale dischiuse le labbra, come volesse intervenire o opporsi, ma lui proseguì, con maggiore decisione.
- So che voi custodite le chiavi delle segrete, padre; ma in qualità di vostro erede, ho il diritto di accedere a quelle chiavi e di farne uso. – dichiarò allora fermo; per qualche istante sostenne lo sguardo pensieroso del Generale, intuì il velo del dubbio e forzò quell’ultimo ostacolo – Lo domando al padre che so essere uomo d’onore e di valore, ma soprattutto lo domando all’uomo giusto che conosco e che stimo più di ogni altro … - proseguì – e ve lo chiedo per la stima che so che portate ad André, perché qualunque cosa vi abbia confessato, vera o falsa che sia, non dimentichiate che lui è un uomo di grande valore, ma resta solo e soltanto un uomo … -


Angolo dell'autrice: chiedo perdono per l'assenza durata quasi una intera settimana! Ero ad un campo scuola a fare da cuoca (per fortuna non da sola) ad un gruppo scalmanato di 53 giovani dall'appetito piuttosto impegnativo ... Tuttavia, il peggio è stata la pessima connessione a internet (purtroppo nelle valli alpine si fa quel che si può), che non mi ha permesso di leggere e di rispondere ai commenti che avete lasciato al secondo capitolo: farò del mio meglio per porre rimedio al più presto e ringrazio di cuore chi è passato lasciando il suo commento.
Intanto, vi lascio la terza parte del racconto.
Grazie a tutti/e
Maddy
  
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