Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Mellololo    02/09/2019    0 recensioni
La principessa più scaltra e testarda della famiglia reale, stanca di una vita che non le appartiene, scappa dal castello nel quale ha sempre abitato e sognato il mondo esterno, per realizzare il suo più grande desiderio di visitarlo.
Ma, si sa, viaggiare e scoprire è bello, quanto duro e faticoso. Soprattutto se i giganti che dimorano all'esterno delle mura non aspettano altro che una fanciulla inerme da divorare.
Peccato per loro che la giovane Hanji sia tutto, tranne che una bambina che non sa difendersi.
Eppure, anche la principessa più coraggiosa di tutte ha bisogno di un soldato forte per tirarsi fuori dai guai che sono lì ad attendere la sua voglia di spensieratezza: non sarà facile, per la giovane, accettare che, in un guerriero che non conosce le buone maniere, si nasconde l'unico vero principe azzurro della sua vita.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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1.

Se non mi fosse venuto in mente di lasciare il castello, situato, al sicuro, dentro lo strato più interno delle mura che si innalzavano sopra al mondo interno, non sarebbe mai successo ciò che mi trovai costretta ad affrontare; ma non avrei neanche mai dato una svolta alla mia vita.
Infatti, le giornate, in quel posto, erano davvero monotone. Ed io cercavo un avventura in grado di spezzare la monotonia che ha da sempre caratterizzato la mia vita da principessa. 
Ho cercato un'avventura, e l'ho trovata. Fino a sfiorare la morte, per raggiungerla. 
Per poco non morivo, e mi sono passati, davanti agli occhi, tutti i momenti vissuti all'interno del palazzo reale. Ho ricordato ogni cosa che credevo di aver dimenticato. Ogni guaio combinato da bambina, e ogni tentativo fallito di raggiungere l'esterno del castello, luogo in cui mi era proibito recarmi, e controllato dalle guardie di mio padre. 
L'unico posto in cui potevo sfogare il mio desiderio di libertà rimaneva, dunque, l'immenso giardino che circondava il palazzo, e situato ai suoi piedi.
Quando ero piccola, mi divertivo a nascondermi tra i cespugli curati da Atsumichi,
l'anziano e robusto signore dai corti capelli, oramai, argentei, il volto rugoso e contrassegnato dagli evidenti marchi della vecchiaia e l'aria paziente di chi ha già vissuto come si deve e non necessita di sbrigarsi a fare qualcosa che non abbia già fatto. E vedendo il vecchio piegato sulle ginocchia dinanzi ai piccoli arbusti in fiore, non nascondevo una certa ammirazione per il modo in cui, dolcemente, egli si prendeva cura della flora reale, mentre pensavo a come fosse da giovane. Lo immaginavo biondo, e muscoloso. E non posso mentire dicendo che non mi ero invaghita di quell'immagine.
Lo sentivo, spesso, sussurrare gentili parole alle pargole foglie che non smetteva di accarezzare quasi come fossero neonati strillanti e, quando accadeva, non riuscivo a  non avvicinarmi alla sua figura, che mi accoglieva sul suo petto a braccia aperte. 
Con Atsumichi ho vissuto i momenti più spensierati della mia fanciullezza: ammiravo l'uomo dall'aria tenera che, qualche volta, mi afferrava per i fianchi e, stendendo le braccia, mi sollevava in aria contento di avermi impedito di piangere ancora, per il ginocchio sbucciato che poi si affrettava a curare, e sul quale lasciava sempre un piccolo bacio.
E a lui faceva piacere che io mi interessassi della sua vita e che gli chiedessi di ciò che aveva avuto modo di scoprire e visitare, prima di accettare l'offerta di lavorare al castello di mio padre. Ascoltando i suoi racconti, non mi fu difficile capire che il giardiniere era un uomo di mondo; uno che aveva visto ogni cosa che meritava di essere adorata. 
Un giorno, avrei voluto essere come Atsumichi, e andarmene a spasso per il mondo esterno, dove esisteva ciò che, invece, non era conosciuto da coloro i quali abitavano all'interno delle mura, lontano dai pericoli, dai rischi; ma anche dalla libertà.
E gli volevo persino bene all'anziano giardiniere. Tanto che, per come mi trattava, egli ottenne facilmente la stima e il consenso di mio padre, e divenne quasi il mio badante.
In fondo, era grazie a lui se, sin da piccola, conoscevo tutto ciò che c'era da sapere sugli esseri vegetali che abbondavano nel nostro giardino; se ero a conoscenza di ogni segreto dello spiazzo stesso. E fu grazie ai racconti dei giorni in cui faceva il soldato, che mi decisi a scappare dalla triste realtà in cui ero stata costretta a vivere; a fuggire dai ruoli e dai compiti a cui avevo l'obbligo di adempiere, affinché la mia immagine risultasse quella di una persona colta e posata.
Eppure, all'interno delle mura del castello, non si svolgevano soltanto lezioni di cucito, di buone maniere e portamento. Ma, qualche volta, la signorina Nene, la mia vecchia insegnante, mi permetteva di interrompere il momento dedito alla lettura dei saggi storici, e di girovagare per le innumerevoli stanze del palazzo, che lo facevano assomigliare ad un labirinto, più che alla calma dimora della famiglia reale. Difatti, erano parecchie le persone che, con il loro lavoro, impedivano al silenzio di regnare nel castello. 
Tra tutti coloro che facevano parte della schiera di gente di cui mio padre si fidava ciecamente, e di cui mi fidavo anch'io, ricordo, con piacere, la signora Ayano, la cuoca sempre impegnata in cucina, che mi faceva volentieri assaggiare i suoi piatti, prima di servirli a pranzo e cena, in quanto sua preziosa e fedele aiutante. Ella era una donna sulla cinquantina, credo. I capelli marrone scuro che arrivavano appena a sfiorarle le spalle larghe, le gote paffute sempre rosse, il corpo grosso e pesante dimostravano una natura lontana dalla delicatezza, e celavano la verità legata a quell'essere e la sua unica natura.
Ayano, infatti, era zelante in tutto ciò che faceva. Ma nonostante fosse una donna silenziosa e riservata, forte e severa al punto giusto, in cucina, dimostrava agli altri tutta la sua spensierata allegria, e la buona volontà che metteva nel suo mestiere, al fine di ottenere il rispetto che le sue grandi portate, in grado di saziare anche il più esigente palato raffinato, meritavano. 
E quando volevo allontanarmi dall'avidità della nuova moglie di mio padre, che aveva, a quel tempo da poco, preso il posto della mia vera madre, morta di tubercolosi quando io avevo solo pochi anni, e sfuggire dal suo sguardo severo, mi rintanavo nel mondo della mia cuoca preferita. Ricordo, addirittura, che, vedendomi arrivare, timida, Ayano mi sorrideva. Faceva qualche battuta sul mio strano modo di acconciare i capelli, che non si addiceva per niente, secondo il parere delle donne impegnate a riordinare la mia stanza e a prendersi cura della mia figura, all'eleganza di una principessa, mi accoglieva nella sua dimora, calda per via del fuoco sempre e instancabilmente presente, e mi offriva un tozzo di buon pane che gustavo volentieri e in silenzio, mentre ammiravo le grossa braccia della donna manovrare la pasta stesa sul tavolo da lavoro. 
Ma il momento che più adoravo era quando, finito di lavorare e serviti mio padre e la mia matrigna nella sala più bella del palazzo, Ayano si slegava il grembiule che le copriva il pancione, lo sistemava accanto agli altri attrezzi da lavoro, mi faceva segno di seguirla e, insieme, ci dirigevamo nella sua piccola e sporca stanza, situata nello stretto corridoio dell'ala del castello riservata alla servitù. Chiusa la porta di legno, in modo che nessuno potesse disturbarci e interrompere il momento, e accesa una lanterna in grado, con la sua flebile luce, di illuminare di poco le quattro mura in cui ci trovavamo, Ayano mi faceva sedere sul morbido materasso su cui dormiva la notte. Poi, mi raggiungeva e prendeva posto affianco a me. E mentre io tenevo in mano l'unica fonte di luce di cui disponevamo, la cuoca posizionava sulle sue gambe l'oggetto più prezioso che io avessi mai visto: quel libro polveroso non aveva niente a che fare con gli abiti ampollosi che mi costringevano ad indossare, e nemmeno con i vasi preziosi e antichi che adornavano la più bella sala da pranzo del palazzo. Anzi, era molto meglio e molto più importante, per me.
E il fatto che leggere quelle pagine, le quali narravano le vicende degli eroi e le loro avventure e scoperte fuori dalle mura, era severamente proibito rendeva il tutto più eccitante. 
Ma, se solo avessi saputo che indagare sul mondo esterno con una sognatrice più grande e coraggiosa di me fosse un crimine, e avrebbe portato al licenziamento di Ayano, l'unica persona che assecondava i miei desideri e dava voce ai sogni nascosti di una bambina incompresa, non avrei mai chiesto alla cuoca di parlarmi dell'oceano e del mondo all'esterno delle mura; se avessi saputo che non l'avrei mai più rivista, non le avrei chiesto in prestito quel libro. Eppure, l'ho fatto. 
E, ancora oggi, nascondo, sotto al letto, un oggetto che mille persone vorrebbero bruciare e distruggere; e che mille altre, invece, leggere e amare: non avrei mai potuto immaginare che quel primo piccolo atto di ribellione mi avrebbe portato a fare la guerra contro la mia stessa famiglia. 
Per poi scoprire che quelle persone erano tutto, tranne che la mia famiglia; che l'imponente castello in cui trascorrevo le mie giornate non sarebbe mai stato la mia vera casa, che il posto in cui vivevo era solo una parte del mondo in cui avrei voluto sognare. 
E che il principe di cui ero stata costretta ad invaghirmi mai avrebbe eguagliato il soldato dai corti capelli neri e dai modi rozzi e scortesi, conosciuto per caso: già da piccola, ne avevo piene le tasche dei sogni proibiti che, a quel tempo, credevo che non avrei mai potuto realizzare.


   
 
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