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Autore: BabaYagaIsBack    02/09/2019    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
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Not All is Lost

Joseph rimase immobile di fronte alla poltrona su cui suo padre se ne stava bellamente seduto, fumando uno dei suoi preziosi sigari d'importazione, mentre lo scotch nel bicchiere lanciava riflessi ambrati sul pavimento di marmo. 
Il silenzio intorno a loro veniva interrotto solo dallo scrosciare della pioggia al di là della finestra, dove il temporale faceva da contorno ai numerosi ettari del giardino di Villa Menalcan, un edificio coloniale fin troppo austero per appartenere a degli assassini come loro.

Sentiva la tensione stringergli le spalle al pari del completo nero in cui, dopo mesi, si era dovuto nuovamente infilare, ritornando a essere l'erede del licantropo più potente del Concilio – e l'odiò, così come detestò se stesso e tutto ciò che aveva avuto origine da quel vecchio mannaro intento a prendere lunghe boccate dal sigaro.

Douglas lanciò un'occhiata dubbiosa a entrambi i figli, poi finalmente si decise a parlare: «Il Pugnale e la sorella minore di Arwen Calhum... potrei quasi dirmi soddisfatto del vostro operato» con un movimento lento scrollò la cenere accumulatasi sul cubano, senza però distogliere lo sguardo dai due. Nella sua espressione c'era la solita impassibilità che Joseph aveva sempre trovato fastidiosa – nulla trapelava, così come nulla si riusciva a capire.

«Il mio operato, padre» si ritrovò a dire il ragazzo, stringendo i denti. Era conscio che un simile commento sarebbe potuto essere mal interpretato dall'Alpha, ma non poteva certo permettersi di lasciare a Gabriel una qualche sorta di onore. Se avesse evidenziato il suo successo durante quella missione, forse Douglas gli avrebbe permesso di occuparsi personalmente di Aralyn – ed era tutto ciò di cui realmente gl'importava.

Suo fratello, dritto accanto a lui, finse di trattenere una risata: «Non mi pare che tu abbia fatto molto, a parte accoppiarti con quella femmina» puntualizzò lanciandogli un'occhiata maliziosa.
Come aveva previsto, quell'energumeno stava già provando a ridicolizzarlo di fronte agli occhi di loro padre, ma non glielo avrebbe permesso in alcun modo.

Piegando la testa nella sua direzione, Joseph gli si rivolse con un tono di superiorità tutt'altro che gradito: «A differenza tua, Gabe, so come costruire una farsa perfetta». I due si fulminarono. Né nelle loro parole, né nel modo di parlarsi, vi era alcuna traccia di collaborazione o affetto – l'uno voleva essere la causa del fallimento dell'altro, in modo da potersi avvicinare sempre più al titolo di futuro Alpha, anche se per ragioni diverse.

Douglas batté violentemente il palmo sul poggia-braccio della poltrona, mettendoli a tacere: «Possibile che non sappiate comportarvi come adulti?» li riprese, abbandonando definitivamente il proprio sigaro: «Quale è il vostro problema?»

Il primogenito gonfiò il petto, offeso: «Padre, ho una richiesta. Datemi la possibilità d'interrogare l'Impura» s'affrettò a dire poi, forse nel vago tentativo di ottenere una rivalsa sul moccioso lì con lui che, del tutto restio all'idea di dargliela vinta, controbatté.

«È una mia prigioniera, spetta a me quel compito»

«Così puoi godertela ancora un po'? No, non ti permetterò di ridicolizzare il clan. Ammettilo che ti sei fatto fregare da quello che ha tra le gambe!» Gabriel arrivò quasi a ringhiare, mentre Joseph sentì l'impellente desiderio di saltargli al collo e azzannargli la giugulare, in modo da metterlo a tacere una volta per tutte. Se c'era qualcuno, all'interno di tutto il branco, capace di fargli perdere il controllo, quello era sicuramente suo fratello maggiore. Il primo figlio di Douglas aveva un vero e proprio talento nel fargli venire i nervi a fior di pelle.

«Eppure mi sembra che l'unico ad aver ingravidato delle umane qui sia tu» puntualizzò il ragazzo stringendo i pugni per evitarsi di compiere qualche sciocchezza e, al cospetto di quel commento, il loro Alpha sbuffò rumorosamente, interrompendo nuovamente il battibecco.

Tutti sapevano quanto fastidio gli desse quel fatto, così Joseph lo aveva citato per ribaltare la situazione: era una questione nettamente più grave di ciò che aveva fatto lui e, forse, sarebbe bastato a Douglas per chiudere un occhio e cedere alla sua richiesta.

«Tra tutti e due non so chi sia il più riprovevole. Uno va a letto con il nemico e l'altro mi porta in casa due bastardi. Potreste quasi essere la vergogna della famiglia, se non foste dei buoni guerrieri» un'espressione schifata gli riempì il viso, storcendogli la bocca.

«Ad ogni modo, Gabriel ha ragione. Non posso fidarmi ciecamente del tuo giudizio dopo quello che hai fatto» a quelle parole, il cuore del ragazzo perse un colpo. Sentì le viscere contorcersi e il sangue defluire dalle guance. Possibile che suo padre non riconoscesse il successo ottenuto? Nemmeno aver riportato a casa il Pugnale della Luna era servito a giustificare quelle azioni ai suoi occhi?

D'improvviso la consapevolezza di aver realmente perso Aralyn lo soffocò. Non poteva credere di aver combinato un simile casino e non saper nemmeno come uscirne.

«Però è stato per merito tuo se ho di nuovo il Pugnale, così come è merito tuo se ora abbiamo un vantaggio su Arwen. Sarà Kyle a occuparsi della ragazza» il battito di Joseph riprese e lo stupore gli riempì il petto. Aveva sentito bene? Suo padre gli stava regalando la possibilità di trovare una via d'uscita da quella scomoda situazione.

L'Alpha bevve un sorso di scotch: «È un tuo sottoposto, quindi potrai gestire tu le informazioni e dimostrarmi quanto sai mantenere il controllo su una situazione come questa, ma allo stesso modo non resterai da solo con lei o la vedrai in alcun modo, esattamente come chiede tuo fratello». Alle orecchie del ragazzo, quelle parole parvero la più bella notizia che potesse ricevere, seppur sapesse di essere ben lontano da potersi dire felice.

Aralyn era ancora in pericolo, prigioniera dell'odio del suo clan e condannata da una guerra che improvvisamente non gli pareva più tanto logica, ma quantomeno avrebbe potuto evitarle le atrocità che Gabriel aveva in serbo per lei.

Forse, in qualche modo a lui sconosciuto, sarebbe riuscito a chiederle scusa.

Un nuovo strattone, l'ultimo di una serie alquanto lunga, le fece uscire di bocca un verso agghiacciante. I polsi sembravano gridare pietà e la sensazione umida intorno alla pelle le fece capire di aver raggiunto il limite.

Aveva perso il conto delle ore passate lì, dei pensieri tragici a cui aveva dovuto far fronte e persino dei tentativi fatti per sfuggire alla morsa delle catene, sempre troppo resistenti. La paura, intanto, la osservava ribellarsi, pronta a saltarle addosso e soffocarla in qualsiasi momento di calma che si fosse concessa.

I crampi allo stomaco, dovuti alla fame, avevano lasciato posto ai giramenti di testa e la sete le aveva prosciugato la gola, rendendola un deserto.

Da quando era arrivata, una data imprecisata che aveva perso valore con la stanchezza, non era riuscita a chiudere occhio e così il corpo, piegato da altrettante mancanze, aveva iniziato a presentarle il conto – ma come poteva permettersi un po' di riposo, sapendo che i Menalcan sarebbero potuti piombare su di lei in qualsiasi momento? Per non parlare degli incubi; sapeva che sarebbero sopraggiunti senza alcuna pietà, logorando quel poco di fermezza che ancora le dava la forza di lottare.

Però era esausta, lo sapeva. Di quel passo, se non i nemici, sarebbe stata lei stessa a uccidersi.

Riluttante si lasciò andare contro la parete umida, scivolando a terra con un tonfo. La pelle delle cosce si riempì di brividi appena toccò terra e, senza alcun preavviso, le lacrime provarono a spingersi fuori dagli occhi per tradirla.

Non ce la faceva più, nonostante fosse lì da un tempo indefinito.

Non si era mai preparata alla prigionia, perché nella sua testa esistevano solo due opzioni: vincere o morire. Quello stato di stallo era terribile, la corrodeva come ruggine e non aveva idea di come affrontare tale reazione.

Poi, in lontananza, le giunse alle orecchie il suono ovattato di una voce.

Provò a mettersi dritta, ma appena le sembrò di essere stabile sulle gambe un capogiro l'assalì, facendole dubitare di essere in grado di affrontare qualsiasi cosa la stesse aspettando al di là dell'immensa porta di legno antico. Sentì il rumore stridulo di chiavistelli, poi vide l'anta ruotare sui cardini e aprirsi con un cigolio. All'inizio fece fatica a distinguere la sagoma che le si parò davanti, ma poi, nella penombra di quella che era la sua cella, riconobbe i ricci biondi, il viso severo e il completo grigio che aveva incrociato mesi prima in un dei tanti vicoli di Berna – e lo stomaco le si strinse dolorosamente.

Davanti a sé aveva il Menalcan con cui si era scontrata e che, ora, prendeva la terrificante connotazione di un alleato di Joseph – il suo amato aguzzino.

 
   
 
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