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Autore: Juliaw    03/09/2019    1 recensioni
Questa storia è una ripubblicazione di una delle mie vecchie fan fiction pubblicate nell'ormai lontano 2011. Chiamatela una seconda edizione se vi va lol. Con l'approccio imminente dell'ultima serie di questo meraviglioso show, ho pensato di editarla e ripubblicarla, magari ridandomi così l'ispirazione per un continuo! Basata sulla bellissima e leggendaria Season 5, questa FanFic contiene 19 capitoli, il piano è di pubblicarne uno o due se la storia è di vostro gradimento!
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Vidi l’alba, il chiarore del cielo portò con sé colori del tutto innaturali, come innaturale era quello che stava accadendo, sembrava che tutto si coordinava alla perfezione tranne io.
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Lucifero, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Quinta stagione
Capitoli:
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Chapter 7 – Old Fashioned Mystery
   

        Mi svegliai quando il mio stomaco iniziò a brontolare per la fame.

<< Wow, qualcuno ha fame! >> Esclamò Sam voltandosi dalla mia parte.
Sorrisi e dopo mi lasciai trasportare da una timida risata. << Già. >>

<< Abbiamo appena passato una segnalazione, diceva che tra due miglia ci sarebbe stato un fast food, presto colmeremo il tuo vuoto. >> Disse Dean guardandomi dallo specchietto retrovisore.
<< Grazie. >> Dissi imbarazzata, avevano fatto così tanto per me che iniziavo realmente a sentirmi in dovere di ricambiare, in qualunque modo. Non potevo offrire soldi perché avevo solo tre dollari nel mio portafogli e non potevo offrire la mia protezione perché avevo appena imparato a sparare e non ero poi tanto sicura delle mie abilità, insomma cosa potevo fare oltre che annuire e ringraziare ogni qualvolta che facevano qualcosa per me?

Dean fermò l’Impala nello spiazzo di un fast food abbastanza affollato a differenza della strada desertica.
<< Si mangia! >> Esortò Dean con un sorriso stampato sul viso e chiudendo la macchina.
Quando entrammo all’interno, il luogo era accogliente e ben organizzato, c’era solo una cosa che non mi andava a genio, la puzza insopportabile di frittura, per poco non vomitai, negli ultimi giorni avevo mangiato solo roba fritta e se il mio organismo non ne aveva ancora risentito allora dovevo essere davvero fortunata, nella mia sfortuna ovviamente.

Ci accomodammo ad un tavolo dalle poltrone rosse, come rosse erano le mattonelle di linoleum a terra e bianche e rosse quelle delle pareti, era tutto arredato a stile anni cinquanta con tanto jukebox funzionante. Mi sentii rilassata e riuscii a lasciar andare tutti i miei problemi e pensieri, concentrandomi solo su quel menù tanto invitante quanto disgustoso, c’erano panini con hamburger, salciccia o pollo con qualunque contorno, bibite di ogni genere e per fortuna c’erano anche vari tipi di insalate, così optai per la Cesar Salad, insomma non avrebbe fatto che bene al mio organismo, avevo bisogno di depurarlo, oddio non voglio sembrare una fissata con la dieta o con la giusta alimentazione, ma in fondo dopo quasi una settimana di hamburger e patatine, avevo bisogno di un po’ di cibo sano, no? A Dean non sfiorava affatto l’idea di mangiare sano visto che ordinò con fierezza l’ennesimo panino con hamburger e patatine fritte. Sam, come me, prese un’insalata.

Mentre aspettavamo che i nostri ordini arrivavano, Sam cacciò da una borsa il computer portatile bianco e l’accese. << Amo il ventunesimo secolo, ovunque vai c’è sempre una connessione wireless pronta lì per te! >> Sorrise contento.

<< Sei proprio uno strano, Sammy. >> Dean scosse la testa intenerito e dopo guardò me incuriosito. Io gli ero seduta vicino e quindi ero di fronte a Sam. << Che cosa ci vedi in lui? >> Mi lasciò spiazzata, tanto che battei più volte gli occhi prima di rispondere. << Che? >> Fu quello che riuscii a dire.
<< Jules, dai! Secondo te non so per quale motivo non hai voluto che continuassimo il nostro incontro… >> Sgranai gli occhi e guardai Sam, anche lui aveva gli occhi sgranati e guardava entrambi in alternanza. << Non sono nato mica ieri, piccola! >> Ecco che sfoggiò ancora una volta il suo sorriso malizioso, che fece risaltare i suoi occhi verdi. In quel momento però non mi sembrò affatto sexy, anzi, gli avrei voluto sferrare un bel pugno su quella faccia dalla sfrontatezza unica che si trovava, ma semplicemente sorrisi ammutolendomi.

Fu Sam a interrompere il silenzio, mentre beveva un sorso della sua bibita e ci mostrava l’articolo che parlava delle due vittime tagliate a metà in Tooele. Effettivamente rispecchiava alla perfezione la descrizione che Dean aveva dato poc’anzi, entrambi tagliati a metà, in entrambe le case delle vittime le porte e finestre erano chiuse dall’interno e non c’era nessun segno di scassinatura, la polizia sospettava dei familiari che vivevano con le vittime, solo che uno di loro era single e viveva solo.

<< Non c’è dubbio, poltergeist, troviamo il figlio di puttana e bruciamo le sue maledette ossa! >> Disse Dean in tono deciso.
Lo guardai sorpresa.
<< Sul serio, sono riuscita ad accettare i demoni e ad accettare tutto quello che sono capaci di fare, ma non riesco per niente ad immaginare un fantasma che uccide! Mi sembra fin troppo strano. >> Dissi portandomi una forchettata di insalata alla bocca.

<< Non un semplice fantasma, Julia, è un poltergeist. Di solito uno spirito o un fantasma rimane connesso alla realtà del mondo normale perché è attaccato ad essa grazie ad un affare rimasto in sospeso o incompleto. >> Sam iniziò a gesticolare guardando verso di me in un’espressione sicura. << Molti poltergeist hanno il desiderio di vendetta contro coloro che hanno in qualche modo causato la loro morte e a differenza degli spiriti, possono muovere gli oggetti e impossessarsi della vittima. >> Mi spiegò Sam. Rimasi a bocca aperta per tutta la spiegazione, ero molto stupita da quanto quei due ne sapevano del soprannaturale.

<< Q-quindi un polter- come diavolo si chiama, avrebbe ucciso le due vittime o impossessandosi di loro oppure uccidendole con qualche attrezzo. >> Guardai Sam che annui e continuai, << È stata trovata l’arma del delitto? >>
<< Nessun’ arma del delitto, solo molto sangue e i corpi spezzati in due. >>
Ero confusa. << Come è successo che si sono spezzati, allora? >>
<< Stiamo andando lì proprio per questo, piccola! >> Disse Dean alzandosi dalla poltrona per dirigersi alla cassa a pagare.
<< Sam, posso contribuire con i miei tre dollari? >> Chiesi con fare timido, mentre Dean era di spalle a pagare.
Sam rise. << Julia, ti ho già detto di non preoccuparti. >>

<< Sì lo so, ma mi sento in colpa a farvi pagare sempre tutto. >>
Sam mi avvolse le spalle con un braccio e sorrise, non aggiunse niente, quel sorriso che metteva in risalto la fossetta che si ritrovava ad avere sulla guancia destra, diceva tutto. Fu allora che riuscii a percepire la sua dolcezza e la sua gentilezza che fino a quel momento era sempre stata offuscata dall’immagine del grande e potente cacciatore, la maschera che Sam indossava ogni giorno.

<< Vamos gente! >> Esortò Dean uscendo dal locale. Non chiesi quanto avesse pagato, mi sembrava scortese.

Quando ritornammo dentro l’Impala, Dean accese a tutto volume la radio iniziando a cantare una canzone degli AC/DC che non conoscevo, però incitava sia me che Sam a cantare, purtroppo io non sapevo le parole, ma Sam sì e così timidamente iniziò anche lui a seguire Dean nel suo canto spensierato. Mentre entrambi cantavano, li guardavo e sorrisi, perché erano buffi ed incredibilmente stonati, e non riuscii a trattenere la mia risata, che non smosse neanche per un secondo i due fratelli che continuavano a cantare mentre io ridevo quasi a crepapelle. Ne avevo bisogno, mi sentii subito meglio.

Quando la notte calò su di noi, ci trovavamo nel bel mezzo del nulla su una strada deserta secondaria, un cartello però ci annunciò che eravamo in Utah.

<< Beh, penso proprio che parcheggeremo qui per questa notte. >> Disse Dean spostando la macchina dalla strada ai lati di essa e in un piccolo sentiero coperto da alberi e cespugli di vario genere. << Scusate, ma non è molto prudente guidare quando si è assonnati. >> Dean si appoggiò al finestrino.
<< Posso guidare io se vuoi. >> Propose Sam guardando il fratello.
<< Mi dispiace Sammy, non mi fido a lasciarti guidare la mia piccola di notte, per ora sarà meglio che riposiamo, domani sarà una giornata faticosa per tutti. >> Nessuno rispose.

Non avevo molto sonno e avevo paura che se rilassavo la mente allora tutti i miei pensieri negativi sarebbero tornati a farmi visita, ero decisa a tenerli fuori dalla mia testa almeno fin quando il problema non si fosse presentato davanti, allora l’avrei valutato e affrontato, ora volevo solo pensare al presente e a quello che tra qualche ora avrei visto, avrei almeno dovuto prepararmi psicologicamente a presunti fantasmi, così rimasi seduta nel mezzo dei sedili posteriori a guardare Sam e Dean mentre si accoccolavano come meglio potevano per trovare una posizione confortevole. Il silenzio era calato all’interno della macchina e io iniziavo a sentirmi un po’ fuori luogo, così mi posizionai con la testa sulla destra del sedile posteriore e le gambe sulla sinistra, stesa, lasciando solo i piedi penzolanti. Guardai il tetto dell’auto, beige, guardai i poggia schiena dei sedili anteriori, chiusi gli occhi un paio di volte, ma li riaprivo sempre, il sonno semplicemente non voleva raggiungermi, così cercai di pensare alla mia vita e di come e quanto era cambiata da quando Sam e Dean vi erano entrati, ero così coinvolta da tutta quella situazione che adesso mi sembravano così tanto lontani i giorni all’università, i pomeriggi passati sui libri e i giorni di festa passati con la mia famiglia in giardino.

Mi voltai su un fianco e vidi la mano di Sam penzolare alla destra del suo sedile, così non pensandoci troppo, allungai il mio braccio e l’afferrai. Era fredda nonostante fosse il primo di Giugno e facesse caldo, ma fu una bella sensazione. Lui non ricambiò la presa, probabilmente dormiva, notai che al polso portava un braccialetto di cotone marrone e che dall’avambraccio possente, visibile grazie al fatto che la sua camicia aveva le maniche rivoltate fino al gomito, di tanto in tanto si potevano vedere le pulsazioni delle vene al di sotto della pelle.
Mentre la mia mente si era finalmente rilassata e il sonno stava ormai scendendo sul mio corpo, la mia mano fu stretta dalla presa di Sam che voltandosi incrociò il mio sguardo assonnato senza dire nulla, ci scrutammo per qualche secondo, dopodiché lui si voltò e si appoggiò di nuovo al finestrino sempre tenendo salda la mia mano nella sua.


Il mattino seguente ci mettemmo in marcia di buon’ora, mi svegliai quando ormai eravamo ben lontani dal luogo dove avevamo trascorso la notte. I due fratelli parlavano animatamente su una questione che non riuscii ad afferrare subito.
<< Buongiorno ragazzi, come succede? >> Chiesi mentre mi stiracchiavo.
<< Julia, stavamo pensando al fatto che avrai bisogno di un distintivo… >> Iniziò Dean.
<< Distintivo? >>
<< Già, agente FBI, medico specializzato, qualunque cosa. >> Mi spiegò Sam.
<< Non capisco. >> Ammisi.

<< Jules! Dobbiamo spacciarci per qualcuno se vogliamo andare davvero in fondo a questo caso, quindi caccia una tua fototessera e lascia fare il lavoro sporco a noi. >> Insistette Dean.
Ero letteralmente sbigottita, ma in fondo aveva un filo logico quello che Dean mi stava dicendo, se ci fossimo presentati semplicemente come noi stessi, probabilmente ci avrebbero cacciato o magari arrestati, speravo solamente che non si sarebbe scoperto che portavo un distintivo falso nella borsa. Buon Dio, stavo iniziando a pensare come loro!

<< Ho quella della mia tessera dell’università, potrebbe andare? >> Presi la tessera dal portafoglio nella borsa e lo porsi a Sam.
<< È perfetto…eri bionda? >> Chiese Sam divertito.
<< Sì, brutto periodo quello. >> Dichiarai.
Sam strappò la fototessera dalla tessera e aprì un distintivo dell’FBI che mostrava la sua fotografia sotto il nome di Agente Clark, tirò fuori dalla plastica la foto e ritagliando la mia foto leggermente più piccola, l’applicò al posto di essa. Adesso quel distintivo era dell’Agente Taylor Clark. Ingegnoso, avevano preso un distintivo il cui nome era adatto sia al maschile che al femminile. << Ecco, questo è tuo, agente Clark! >> Sorrise Sam passandomi il distintivo. Cavolo, sembrava proprio reale, non so come sono fatti i distintivi originali dell’FBI, però quello ne aveva tutta l’aria.
<< Grazie. >> Aprii il distintivo e lo guardai sorridendo a mia volta.

Ero biondissima in quella fotografia, ma in fondo tutti passano prima o poi un periodo transitorio che ci porta a capire più o meno chi siamo realmente, no? Bhè, il mio periodo transitorio risaliva a quando avevo ventidue anni, ero al secondo anno del college e mi vedevo con un uomo la cui età superava di gran lunga la mia, lui mi aveva chiesta in sposa, ma avremmo dovuto fare tutto di nascosto perché i miei non approvavano la relazione, così dopo varie suppliche e varie dimostrazioni d’amore, gli dissi di sì e che ci saremmo sposati dopo che avessi finito il college, ma lui non ne volle sapere, voleva che ci sposassimo subito, voleva che abbandonassi i miei studi e che dopo il matrimonio gli dessi subito dei figli, così alla fine aprii gli occhi e nonostante i sentimenti che provassi nei suoi confronti, lo lasciai, nessuno poteva impedirmi di studiare, nessuno, così per dimenticarlo, feci la pazzia di tingermi i capelli di biondo, era un biondo quasi platino e quasi naturale, nella fotografia che adesso era sul distintivo dell’FBI avevo un’acconciatura semplice, capelli ricci, una ciocca tirata all’indietro, non stavo male, ma i capelli erano letteralmente inguardabili. Decisi di ritingerli di castano scuro solo alla fine del terzo anno del college, quando avevo trovato un ragazzo serio e che mi apprezzava per come ero, aveva anche intenzione di aspettare sulla questione sesso, di fatti, consumammo dopo quasi dieci mesi che stavamo insieme, ma dopo uno ci lasciammo perché scoprii che lui si scopava un’altra. Insomma, la mia vita sentimentale non aveva per nulla un passato sereno, anzi, preferivo dimenticare tutto al più presto e forse è anche per questo che mi affeziono troppo alle persone appena conosciute, rimanendo spesse volte, delusa. Adesso però sapevo chi ero e chi ero stata…Julia Wyncestre, studentessa del college prossima alla laurea e con un futuro da investigatrice della scena del crimine che aspettava solo me, beh avrebbe dovuto aspettare ancora per molto, anche se…anche se adesso non lo vedevo più quel futuro, vedevo solo una nuvola grigia sul mio cammino, una nuvola fatta di dubbi e incertezze, forse però stavo solo seguendo quello che il destino aveva in serbo per me. In quell’istante mi chiesi se c’era effettivamente una forza superiore a designare per noi una strada o se eravamo noi gli artefici del nostro destino, chissà, i pensieri filosofici non erano il mio forte, altrimenti avrei susseguito la laura in filosofia, non credete?

<< Hey, Julia che hai? >> Chiese Sam voltandosi verso di me.
Scossi la testa ritornando alla realtà. << Eh? Cosa? Nulla. >>
<< Avevi un’espressione strana sul volto. >>
<< Ero solo immersa nei miei pensieri. >>
Sam si voltò di nuovo verso la strada e io appoggiai la testa al finestrino destro, pensando ad Alyson e Blair.
Tooele, sembrava una cittadina di periferia alquanto normale e movimentata, appena arrivammo, vidi le persone nella loro normale routine, almeno era quello che sembrava dall’esterno. Camminavano frettolosamente tra le strade affollate, gente che entrava ed usciva dai negozi e gente che si fermava ad un caffè per parlare con amici o parenti, mi diede un senso di pace, anche se in fondo la pace di quella cittadina era stata stroncata dalle morti misteriosi di due residenti.

<< Ok, ci fermiamo qui, sembra un buon posto. >>

Villa Motel. Un’altra stanza da pagare, in quel momento la proposta di Dean di pagarli in natura non mi sembrava tanto male, almeno non mi sarei sentita più in debito. Oddio, ma che pensieri mi passano per la testa? Dopo, la mia dignità sarebbe finita sotto i piedi, per non parlare della stima in me stessa. Decisi di rimanere ancora in debito con loro e tenere intatta la mia dignità che già era stata fin troppe volte calpestata in passato.

<< Spero tu sia d’accordo se condividiamo una stanza con due letti matrimoniali. >> Disse Dean prendendo la chiave che il receptionist gli aveva dato e dirigendosi fuori dalla piccolissima reception.
<< Uhm…certo. >>

Sam e Dean mi precedettero e quello mi fece ricordare la prima volta che entrai in un motel con loro.
La stanza puzzava e non di chiuso, ma bensì di piedi.
<< Che puzza di piedi! >> Esclamò Dean chiudendosi il naso con una mano e lanciando il borsone verde su uno dei due letti. Per fortuna non ero solo io a pensarlo. Sam aprì entrambe le finestre che davano sulla strada e finalmente un po’ di aria pura entrò nella stanza. Posai la borsa sul cassettone di legno chiaro e mi diressi subito verso i letti, scoprendoli e facendo prendere aria anche alle lenzuola e coperte. Forse Sam e Dean mi presero per una fissata con la pulizia, ma non avrei mai dormito in un letto le cui lenzuola non venivano cambiate da chissà quanto tempo.

Una volta fatto, lasciai i letti scoperti con le coperte e le lenzuola piegate ai piedi di esso, sembravano pulite, ma non si sa mai, meglio prevenire che curare, è uno dei miei motti preferiti.
<< Hai finito di fare le pulizie di primavera? >> Chiese Dean con un sorriso stampato sulla sua faccia da schiaffi. Sam era entrato in bagno mentre rideva sotto i baffi.
<< Mi ringrazierai. >> Gli puntai un dito contro sorridendo a mia volta.

<< Oppure tu ringrazierai me per quanto sto per dirti. >>Inclinai la testa su un lato con fare interrogativo, Dean cacciò il portafoglio dalla tasca sul retro dei jeans, << prendi questi cinquanta dollari, dovrai comprarti qualcosa che possa farti sembrare un agente federale. >> me li porse.
<< Dean…Non posso accettare. >>
<< Julia, se non puoi accettare allora non potrai venire con noi. >>

<< Beh, non ho mai detto di voler venire, siete voi quelli che sono entusiasti all’idea di vedere due cadaveri tagliati a metà, non di certo io. >>
<< Non possiamo lasciarti qui, per quanto ne sappiamo i demoni sono sulle tue tracce, sarai al sicuro finché sarai con noi. >>
<< Che ne dici di disegnare uno di quei strani segni a terra? >> Proposi.
<< Paghi tu i danni? >>

Mi ammutolii e calai il capo. Aveva ragione, sarei dovuta andare con loro, volente o nolente, Lucifero o qualunque altro demone erano sulle mie tracce anche se non capivo bene il perché, ma hey, adesso la mia mente era aperta a tutto, anche se non posso nascondere che essere ricercata dal Re degli Inferi mi faceva un po’ paura, ma giusto un po’.
Sospirai e presi i soldi dalla mano di Dean e mi avviai verso la porta. << Sarò al sicuro per strada? >> Chiesi sorridendo.
<< Certo che no, ecco perché Sammy ti farà compagnia nel tuo shopping sfrenato! >> Dean spinse Sam per la schiena verso la mia direzione.
<< Come? C-cosa? >> Sam era esitante.

<< Andate e divertitevi piccioncini, non preoccupatevi per me, io andrò al bar a vedere un po’ com’è il gentil sesso da queste parti. >> Dean aveva l’espressione più sfrontata e maliziosa che avessi mai visto, ma mi fece sorridere.
Mi diressi verso la porta, seguita, nonostante non lo volesse, da Sam.

<< Non preoccuparti, sono diversa da tutte le altre, se c’è una cosa che mi piace la prendo e non faccio altre discussioni. >>
Sam emise un sospiro liberatorio. << Non pensare male, non intendevo essere scortese. >> Si portò le mani in aventi in segno di difesa.
<< Scortese? >>
<< Già, quando Dean mi ha spinto verso di te involontariamente. >>
Risi. << Non preoccuparti, ti capisco, in fondo sei un uomo, a quale uomo piace fare shopping con una donna? >>
Sam mi guardò dall’alto verso il basso sorridendo e annuendo.

Il sole stava calando e presto i negozi avrebbero chiuso quindi camminammo a passo svelto fino ad arrivare al centro che per fortuna non era molto lontano dal motel. Era la solita strada centrale di qualunque normale città di periferia, i negozi e i ristoranti erano posti l’uno di fronte l’altro su entrambi i lati della strada, camminammo finché non ci trovammo sulla destra un grande centro commerciale, per quanto grande possa essere un centro commerciale in una città piccola come quella, e vi entrammo. Camminare con Sam mi fu quasi faticoso, il suo passo equivaleva a tre dei miei ed era difficile stargli dietro, lui era altissimo, almeno diciotto o venti centimetri più di me, ma mi piaceva stare con lui, la sua grandezza mi faceva sentire in qualche modo protetta.

Durante tutto il tragitto non avevamo parlato molto, forse entrambi eravamo imbarazzati o forse non c’era niente da dire in quanto non avevamo esattamente cose piacevoli di cui parlare, lui mi disse solo che una volta, cinque anni fa, frequentava la Stanford University e che era stato prossimo alla laurea prima che il fratello lo costringesse a seguirlo, così gli dissi che anche io sarei stata prossima alla laurea se il mondo sarebbe rimasto lo stesso, così lui scoprì la mia età e io la sua, ne aveva passate davvero tante per avere solo ventisei anni. Non esattamente tutti i ventiseienni possono dire di vivere al minuto avendo a che fare con spaventosi esseri soprannaturali tutti i giorni, no, proprio no. Questo lo faceva apparire ai miei occhi maturo e incredibilmente affascinante, cavolo come avrei voluto spostargli quella ciocca che gli cadeva di tanto in tanto sul viso!

Entrammo nel primo negozio sulla destra e subito adocchiai una gonna a tubino lunga fin sopra il ginocchio grigia e una camicia bianca che si sarebbe abbinata alla perfezione sulla gonna e avrebbe dato più o meno il look che gli agenti federali dovrebbero avere, almeno da quello che avevo visto in tv, non eccessivamente casual e eleganti al punto giusto, insomma dovevano sembrare professionali, e quel completo ne aveva tutta l’aria. Dato i prezzi convenienti di entrambi i capi, decisi di prendere anche un jeans una polo, della biancheria intima nuova e un paio di sandali più o meno alti da abbinare sotto il completo da agente dell’FBI.
Pagai con i cinquanta dollari datomi da Dean e la cassiera mi diede cinque dollari di resto che subito porsi a Sam insistendo che avrebbe dovuto prenderseli o comunque ridarli al fratello, gli ribadii più e più volte che mi sentivo a disagio ad approfittare della loro bontà, ma lui continuava a ripetermi che avrei dovuto preoccuparmi.
Una volta ripercorso tutta la strada che portava al motel senza neanche scambiarci una parola, udimmo delle urla provenire dalla nostra stanza.

<< Dean? >> Chiamò Sam preoccupato, provò ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave e quella maledetta era fin troppo pesante da riuscir a buttar giù con una semplice spallata, nonostante le spalle di Sam fossero possenti. Così bussò alla porta ininterrottamente chiamando il nome del fratello continuamente. << Dean? Che cosa succede? Apri la porta! >>
Finalmente Dean venne alla porta con il lenzuolo avvolto attorno al bacino.

<< Oh. >> Fu quello che Sam riuscì a dire in tono secco, sorpreso e letteralmente imbarazzato, prima che Dean urlasse contro ad entrambi. Io cercavo ancora una volta di nascondere il mio imbarazzo, ma questa volta ridendo sotto i baffi, chiunque fosse con Dean in quella stanza, sicuramente se la stava spassando alla grande date le urla.

<< Vi dispiace? Stavo cercando di godermi un momento di normalità. >> Ammonì Dean.
<< Giusto, giusto…Torniamo dopo, ok? >>
Dean guardò Sam con l’espressione di un cane a cui era stato tolto l’osso, sembrava seccato, beh lo capivo e più di tutto capivo la donna che era con lui nella stanza.
Così io e Sam ci sedemmo su una panchina che era posta poco dopo la porta della stanza e diretta verso il parcheggio. Il sole era ormai svanito dietro le alte montagne in lontananza, ma il cielo era ancora vagamente chiaro donando a quelle poche nuvole che c’erano, un colore innaturale compreso fra il rosso, arancione e un giallo intenso, mi sembrò uno stupendo spettacolo della natura e in quel momento mi rammaricai che non avevo con me la mia macchina fotografica. Adoravo fare foto, certo non a livello professionale, ma ovunque andavo, scattavo foto, credo che in ogni fotografia si racchiuda un pezzo di ognuno di noi, un ricordo in ogni risata immobilizzata in quell’istante in cui la fotografia è stata scattata. Insomma non ero una fotografa provetta, ma con la mia macchinetta digitale avevo scattato davvero tante foto. Guardare quel panorama mi ridiede la voglia di sperare in un futuro normale. Respirare l’aria frizzante di giugno, mi fece balenare in mente un pensiero inquietante e triste allo stesso tempo. Quello era il giorno del matrimonio di Blair. Se tutto fosse rimasto normale come prima, probabilmente a quest’ora stavo facendo il discorso e il brindisi per gli sposi, invece no, ero in Utah sulle tracce di un poltergeist. Chissà se Richard, il futuro marito di Blair, era ancora vivo, chissà se anche in lui c’era un essere immondo e chissà se entrambi sarebbero mai tornati normali.
Scossi la testa e ritornai alla realtà.

<< Meraviglioso, non è vero? >>
Sam sembrava troppo tranquillo perfino per un tipo taciturno come lui.
<< Già, fantastico, mi capita spesso di vedere spettacoli di questo genere, quando io e Dean stacchiamo la spina da tutto, spesse volte, ci sediamo sul bagagliaio della macchina a guardare le stelle in silenzio, con solo il rumore della natura a farci compagnia, è davvero incredibile quello che il mondo può offrirti se ti fermi un secondo ad osservarlo. >> Sam guardava il cielo e mentre l’osservavo, mi parve un tantino malinconico.
<< Sam, tutto ok? >> Chiesi.
<< Sì, perché? >>
<< Mi sembravi un po’ malinconico. >>
<< No, non preoccuparti sto bene. >> Abbozzò un sorriso, dopodiché si alzò dalla panchina e iniziò a camminare senza fermarsi, dandomi le spalle.

<< A me non sembri star bene. >> Dissi quando ormai era lontano da me e non poteva sentirmi.
Che cosa avrà per la testa? Mi chiesi. Aveva le mani nelle tasche del jeans e da quella distanza ai miei occhi era diventato solo una macchiolina nera. Mi sentii per un secondo in colpa chiedendomi se avessi per caso fatto qualcosa di male nei suoi confronti senza accorgermene, o se per caso ero io a farlo sentire come si sentiva in quel momento, insomma mi chiesi se entrando nella loro vita non avessi in qualche modo allentato il forte legame di fratellanza che c’era tra Sam e Dean.

<< Va bene, a presto piccola, mi dispiace, eh. >> Era la voce di Dean che evidentemente aveva accompagnato la ragazza alla porta forse in un modo non esattamente romantico. << Hey, Julia! >> Chiamò.
Mi voltai a guardarlo. << Sì? >>
<< Potete entrare. >> Disse lasciandosi la porta leggermente socchiusa alle spalle.
Guardai verso Sam e decisi di non chiamarlo, mi avviai nella direzione della stanza lasciando la porta socchiusa.
<< Dov’è il tuo ragazzo? >> Chiese in tono deciso Dean mentre si rimetteva la sua maglia nera.
<< Sam? È rimasto fuori, si è allontanato da me mentre stavamo parlando. >>
<< Oh, è una vergogna che litighiate di già. >> Questa volta Dean sembrava seriamente divertito.
<< Dean, non è divertente. >> Lo ammonii.

<< Non preoccuparti, Jules! Sam è uno strano, tra poco tornerà dicendo che si era allontanato perché aveva visto un nuovo libro sulla vita di Gandhi nella libreria di fronte. >> La sua voce così profonda mi vibrò lungo tutta la spina vertebrale.
<< Non c’è nessuna libreria di fronte, Dean. >> Dissi in tono secco.
<< Julia… >> Sospirò spegnendo il sorriso che gli si accese sulle labbra.
<< Per quale motivo? Perché non volete dirmi cosa sta realmente succedendo? >> Alzai leggermente la voce.
<< È una questione delicata, troppo. >>

<< Va bene. >> Alzai le mani in segno di sconfitta e voltai le spalle. Mi avviai al bagno, dove dalla busta del negozio dove avevo comprato i nuovi vestiti, vi cacciai il jeans nuovo, la polo rossa e bianca, un paio di mutandine nere di cotone semplici e il reggiseno nero abbinato ad esse. Aprii la manopola dell’acqua calda e la feci scorrere nella doccia. Per fortuna sul piano all’interno della doccia, c’era una saponetta e dello shampoo per capelli. Mentre mi sfilavo la polo azzurra, notai che ancora avevo il braccio fasciato da Sam il primo giorno che l’incontrai, la fasciatura era ormai lurida e sporca, così la sciolsi e finalmente vidi la ferita che mi procurò lo strano mostro che mi saltò addosso a San Francisco, era lunga più o meno dieci centimetri, sembrava molto profonda però quasi del tutto rimarginata. Una volta che fui del tutto svestita, mi toccai lo stomaco che era ancora leggermente dolorante dall’attacco subito nel Nevada.

Entrai all’interno della doccia sentendomi subito meglio quando l’acqua invase tutto il mio corpo in un tiepido abbraccio. Avevo proprio bisogno di una doccia, oddio a pensare che non la facevo da quando quella mattina ero uscita di casa per andare all’università, mi vennero i brividi. Così finii quasi tutta la saponetta, non era per niente di qualità e quasi non odorava, però riuscii a lavarmi e magari anche a sembrare un po’ meno sporca. Lavai anche i capelli che senza balsamo sarebbero risultati crespi e scompigliati, però non potevo farci nulla, dovevo accontentarmi di quello che c’era. Quando uscii dalla doccia, scoprii che l’asciugacapelli non c’era da nessuna parte e così, mi rivestii indossando la nuova biancheria e i nuovi indumenti e con i capelli bagnati e posti su un asciugamano per non bagnare la maglia nuova di zecca, uscii dal bagno.
<< Hey, vedo che ti sei data allo shopping sfrenato con i miei soldi! >> Disse Dean che era steso sul letto a guardare la televisione.
<< Ti dispiace? >> Chiesi in tono colpevole.
<< Ma per niente! >>
Notai che Sam era rientrato ed era sdraiato sul letto accanto a quello su cui era Dean e dormiva.
<< Dean, sai per caso se hanno un’asciugacapelli da queste parti? >>
<< Mi stai chiedendo di comprartelo? >>
<< No, certo che no, però magari si può chiedere alla reception? >>
<< Ok, vai. >> Disse in tono secco.

Lo guardai con espressione seccata, sbuffai e mi avviai alla porta, uscire con l’asciugamano sarebbe stato alquanto imbarazzante, così prima lo lasciai sul tavolino e mi avviai alla reception. Per fortuna avevano un asciugacapelli che per quanto vecchio funzionava alla perfezione. Riuscii ad asciugare i capelli e a non farli sembrare così tanto crespi grazie al pettine che avevo nella borsa, con il quale accompagnavo ogni ciocca mentre li asciugavo. Infine, quando furono tutti asciutti, li lasciai sciolti e ritornai nella stanza.

<< Prepara i vestiti da agente federale, domani, prima cosa al mattino, andiamo sulla scena del crimine. >> Mi avvertì, così cacciai dalla busta anche la gonna e la camicia lasciandoli sul cassettone e accanto alla tv. << Non vedo l’ora di vederti con quella addosso. >> Ed ecco che sfoderò il suo sorriso malizioso che contagiò anche me.
<< Dove dormo? >> Chiesi forse in tono un po’ infantile.
<< Beh, a me piace dormire comodo e potrei non essere un’ottima compagnia, quindi ti conviene dormire con Mr. Strano, li. >> Mi sorrise Dean mentre si toglieva le scarpee i pantaloni, rimanendo solo in maglietta intima e boxer neri, tirandosi addosso il lenzuolo del suo letto, spegnendo la luce sul suo comodino e adagiandosi sul cuscino che non sembrava per niente comodo. Bhè per fortuna aveva avuto la decenza di usare il letto sul quale aveva consumato.
Mi sedetti sul letto nel quale Sam dormiva e leggermente a disagio gli alzai il lenzuolo sulle spalle, dopodiché mi sfilai i pantaloni e mi misi anche io sotto il lenzuolo che adesso odorava di pulito.
Il cuscino, come avevo immaginato non era per nulla soffice e alto come piaceva a me, ma era sottilissimo e per nulla comodo, sembrava di dormire sul materasso, era praticamente inutile.
Non mi sentivo esattamente a mio agio a dormire in intimo con un uomo con il quale non ero per niente in rapporti stretti o confidenziali, però non potevo fare altrimenti, dormire con i jeans non era una buona idea, però a quanto pareva, a Sam piaceva.
Mi girai e mi rigirai cercando di trovare una posizione almeno comoda, facendo attenzione a non dar fastidio a Sam e quando finalmente la trovai, su un fianco con la mano sotto il cuscino, mi addormentai.

Non sognai, forse dovuto al fatto che mi svegliai diverse volte durante tutta la notte e proprio mentre ero riuscita di nuovo a prendere sonno dopo l’ennesima volta che mi svegliai, Sam, forse non coscientemente, si avvicinò a me e mi cinse il bacino con il suo braccio sinistro, rimasi un secondo sorpresa, poi gli sfiorai il dorso della mano e infine intrecciai le dita nella sua mano e mi riaddormentai di nuovo. Il contatto fisico mi faceva sentire bene e ne avevo bisogno, avevo bisogno di sentire il calore di un altro essere umano sul mio corpo, avevo bisogno di conforto e in quel momento lo trovai nell’abbraccio, per quanto non cosciente, di Sam.



<< Aww, ma che carini! >> La voce di Dean mi svegliò e notai che Sam era ancora abbracciato a me e mentre cercavo di stiracchiarmi, si svegliò e subito si spostò.
<< Scusa, Julia. >> Si voltò dall’altra parte mentre si stropicciava gli occhi abituandosi alla luce.
<< Siete una bella coppia, adesso però mettetevi in tiro che abbiamo un caso da risolvere. >> Disse Dean in tono severo mentre si aggiustava la cravatta allo specchio.
Entrai in bagno e dopo aver seguito la mia routine mattutina, mi vestii, stavo effettivamente bene con quel completo, sembravo davvero un’agente o se non altro, qualcuno che doveva affrontare un importante colloquio di lavoro. Mi sentii fiera di me e mi guardai allo specchio più volte, infine alzai i capelli nella solita coda e aggiunsi del trucco al mio abbigliamento, beh l’unico che avevo in borsa, un velo di fondotinta, un po’ di ombretto grigio e matita nera in una linea sottile sulla palpebra. Prima di uscire dal bagno, sentii una stretta allo stomaco, era davvero giusto fingersi agenti federali? Era per una buona causa, ok, ma avevo paura di fare qualcosa di stupido, insomma non ero proprio la migliore delle bugiarde, il più delle volte ridevo quando raccontavo qualcosa di non vero, semplicemente non sapevo dirle le bugie, la verità per quanto faccia male a volte, è sempre la migliore cosa da dire.

Uscii dal bagno e come avevo previsto, Dean emise versi di approvazione. << Devi indossarla più spesso la gonna, stai benissimo. >> Disse ammiccando.
Mi sentii un po’ in imbarazzo e forse arrossii, così cambiai argomento. << Andiamo? >>
Sam e Dean mi precedettero, entrambi con un completo giacca e cravatta nero, Sam portava la cravatta rossa che spiccava molto sulla camicia bianca che aveva sotto la giacca e Dean aveva una cravatta blu cobalto, entrambi erano elegantissimi e fu davvero strano vederli vestiti cosi.

Guidammo per almeno dieci minuti prima di arrivare alla centrale di polizia della città.
<< Cosa ci facciamo qui? >> Chiesi pensando che le nostre prime tappe fossero state le scene del crimine.
<< Prima fase, cerchiamo casi non archiviati, non risolti e cerchiamo tracce del soprannaturale in quelli che all’apparenza sono omicidi normali, insomma indaghiamo sul passato della città. >> Mi spiegò Dean. << Tieni pronto il distintivo, ce lo chiederanno sicuramente per aver accesso all’archivio, non dire nulla, limitati a guardare. >>
Annuii e insieme con Sam salimmo i tre gradini prima di entrare nell’ampia stazione di polizia. Era tutta bianca, pareti, pavimenti e perfino il bancone che precedeva gli uffici.
<> Dean mostrò il distintivo al sottotenente che era seduto dietro il bancone e che lo fissava morbosamente. << Loro sono i miei colleghi, agente Clark e agente Stone, >> Sam mostrò prontamente il distintivo e subito lo richiuse, feci lo stesso, forse con qualche secondo di ritardo, cacciando il mio distintivo dalla tasca laterale della mia borsa, << siamo qui per i due casi di omicidio avvenuti qualche giorno fa e volevamo visualizzare l’archivio se è possibile. >> Dean sembrava essere davvero sicuro di quello che faceva, aveva un tono deciso e calmo e una certa tempra che lo facevano apparire sotto una luce del tutto differente, sembrava effettivamente uno che sapeva il fatto suo, insomma un professionista. Un ottimo bugiardo.
<< Chi diavolo ha chiamato l’FBI? Non abbiamo mica bisogno di voi per risolvere questi casi. >> Disse in tono acido il sottotenente dagli occhi azzurri.
<< Certo, lo sappiamo, ma siamo qui perché siamo venuti a conoscenza di retroscena misteriosi, possiamo visualizzare l’archivio? >> Insistette Dean.

<< Certo, ok…è sulla destra. >> L’agente ci fece segno e io e Sam seguimmo Dean in una piccola stanza illuminata da una luce soffusa gialla, c’erano due scrivanie e quattro sedie e tantissimi scaffali pieni zeppi di cartelle sistemate in ordine alfabetico. Dean sfilò dallo scaffale in fondo sulla destra un enorme scatolo etichettato casi non risolti e iniziò a leggere e rileggere i vari rapporti, esaminare gli indizi, vedere foto di cadaveri straziati nei modi più brutali possibili e a scambiare opinioni con Sam. Entrambi alla fine, erano d’accordo che sul fatto che tutti quei rapporti sui casi non risolti non c’entrassero un bel nulla con i due cadaveri trovati tagliati in due, così abbandonammo la stanza dell’archivio e facendo ancora qualche pressione al sottotenente dietro il bancone, riuscimmo ad avere una lista di familiari e amici con tanto di indirizzo di entrambe le vittime. Lasciammo la stazione di polizia per dirigerci finalmente sulla scena del delitto. Avevo uno strano senso di eccitazione dentro di me, forse perché studiavo scienze forense o forse perché non ero mai stata su una vera scena del crimine fino ad allora, solo su quelle finte create dai nostri professori come simulazioni.

La casa della prima vittima, Jason Smith, era una villetta sue due piani con le pareti esterne tinte di arancione chiaro e la classica staccionata bianca contornava la casa. Aprimmo il cancelletto bianco e ci dirigemmo all’ingresso, la porta era stata sbarrata da due fasce di plastica gialla con su scritto in nero “scena del crimine non oltrepassare”, e noi puntualmente lo facemmo. Bhè eravamo agenti federali, ne avevamo tutto il diritto, no? Per fortuna la casa non era sorvegliata da nessuno, così non avrei dovuto fingere e mi rilassai.
Aprimmo la porta e un tanfo incredibile ci assalì costringendoci a indietreggiare di un passo e a tapparci il naso con la mano. Era puzza di sangue, il pungente odore ferroso del sangue coagulato. Non appena voltammo l’angolo per dirigerci all’interno del salone capimmo da dove quella puzza venisse.
Il salone grande e moderno era praticamente cosparso di sangue, sulle pareti, sui divani, sulle poltrone e sui mobili di legno. C’era infine una pozza dietro il divano e vicino la televisione, probabilmente era lì che avevano trovato il corpo del malcapitato. Il mio stomaco iniziava a dare segni di squilibro, tanto che emisi due conati di vomito, cercando di trattenerli il più possibile, davvero non sapevo come facessero Sam e Dean a muoversi all’interno con così tanta disinvoltura, cercavo di stargli dietro, ma ad un tratto Sam cacciò dalla giacca uno strano dispositivo da cui tirò una piccola antenna e iniziò a girare per il salone, cucina e corridoio che si trovavano al primo piano. Quello strano aggeggio emetteva striduli e deboli suoni.

<< Cos’è? >> Chiesi a mezza voce avvicinandomi di qualche passo a Sam che ora si trovava nella cucina, mentre cercavo ancora di non vomitare.
<< EMF ovvero Electromagnetic field detector o meglio ancora, rilevatore di campi elettromagnetici. >> Sam alzava quell’aggeggio nell’aria e intorno a tutta la stanza, ma il segnale rimaneva sempre basso, ad un tratto quel suono stridulo divenne acuto e preciso fino a far accendere una lucina rossa quando Sam lo portò vicino la pozza di sangue. << C’è stata senza dubbio un’interazione sovrannaturale in questo punto, adesso dobbiamo capire perché e come. >>
Dean dalla cucina annuì, io ero ferma sull’arco che precedeva il salone con il naso tappato.

<< Parliamo con i familiari e amici delle vittime, vediamo se avevano nemici, qualche strano alone di mistero… >> Propose Dean uscendo dalla casa.

Rientrammo in macchina e ci dirigemmo a un isolato da lì dove vivevano l’ex moglie e la figlia di Jason Smith. Erano entrambe scosse, entrambe belle donne ed entrambe non seppero dirci nulla sul conto di Jason, così le lasciammo al loro lutto e ci dirigemmo verso il centro della città dove la vittima lavorava in un negozio di articoli sportivi.

<< Salve, agente Wanek, loro sono i miei colleghi, se non le dispiace vorremmo porle alcune domande su Jason Smith. >> Ancora una volta Dean cacciò il suo distintivo e così facemmo anche io e Sam.
<< Ancora voi sbirri? Già ho lasciato la mia deposizione, non ho nulla da aggiungere. >> L’omaccione che era dietro il bancone era grasso e mi dava un senso di sporco, aveva la barba incolta e molto lunga, occhi grigio scuro e un cappellino che gli copriva il capo.
<< Abbiamo bisogno di porle altre domande se a lei non dispiace. >> Si intromise Sam.
L’omaccione sospirò e infine disse: << Va bene, cosa volete? >>
<< Quanto bene conosceva il suo collega Jason Smith? >> Chiese Sam mentre anche lui assumeva una posizione professionale.

<< Direi benissimo, eravamo migliori amici. >> Disse scrutandomi, mi spostai sul lato di Sam.
<< Ottimo, quindi lei saprebbe dirmi se per caso frequentasse cattiva gente… >>
<< Ma no, per niente! Jason era un uomo per bene. >> Sbottò l’omaccione.
<< Quindi non ci sono segreti sul suo conto, intendo dire, non le nascondeva nulla? >>
<< No, sapevo tutto di Jason, sono tanto addolorato per la sua morte e se adesso ve ne andaste sarebbe molto meglio. >>
<< Mi dispiace, ma stiamo cercando di capire chi ha ucciso il suo amico, un’ultima domanda, conosceva per caso un certo Peter Ronald? >>

<< Ronald? Certo, lavora qui da tanto ormai, dipendente calmo e taciturno, sapete che fine ha fatto quel figlio di puttana? Sono tre giorni che non si presenta a lavoro. >>
Sam e Dean si scambiarono un’occhiata. << Peter Ronald è morto lo stesso giorno in cui è morto il suo migliore amico, signore. >>
L’omaccione sembrò sorpreso, anzi sconvolto. Sgranò gli occhi e ci urlò contro dicendoci di uscire immediatamente dal suo negozio.

<< Lui sapeva qualcosa, altrimenti non ci avrebbe mai scacciato via in quel modo! >> Dissi.
<< Non abbiamo ancora prove a suo carico, andiamo a vedere i corpi ora. >> Disse Sam.
I corpi? Non avevo previsto che avremmo effettivamente visto i corpi delle due vittime e questo mi fece salire la nausea, esattamente, non avevo mai visto neanche un vero cadavere, però non ne ho tutte le colpe, poco meno di una settimana fa ero semplicemente una studentessa universitaria e adesso ero una sedicente agente dell’FBI, chi l’avrebbe mai avuta una fortuna del genere?

Cercai di rilassarmi inutilmente all’interno dell’auto fin quando non arrivammo all’ospedale e infine nella morgue del posto, dopo aver mostrato i nostri distintivi, ovviamente. Questa volta partii avvantaggiata, c’ero già stata in un obitorio, dovuto sempre alle solite esercitazioni sul campo designate dai nostri professori, ma quella volta fu diverso, il senso di nausea aumentò e un nodo allo stomaco mi impedii di respirare per qualche secondo quando il medico legale tirò fuori i due corpi dai loro “frigoriferi”.
Mi appoggiai ad una parete e sbottonai un bottone della camicetta per cercare di prendere aria e riprendermi, ma fu alquanto inutile. Iniziai a sudare e così quando il medico fece per alzare i due lenzuoli bianchi che coprivano i corpi, dissi: << Posso uscire? Mi sto sentendo male. >> Dean mi guardò confuso e Sam assunse un’espressione preoccupata, dopodiché entrambi annuirono. Mi precipitai fuori da quel posto e arrivai ai giardinetti dell’ospedale che si trovavano di fronte alla sala mortuaria, respirando e inspirando profondamente fin quando non mi sentii meglio. Mi sedetti su una panchina ed aspettai il ritorno dei ragazzi, mi avrebbero vista in quanto la panchina era alla destra della porta della sala. Forse, anzi sicuramente, il mio era stato un comportamento per niente professionale, quale agente dell’FBI si sarebbe sentito male alla vista di un cadavere? Quelli alle prime armi? Neanche. Loro erano addestrati e io il mio addestramento da tecnico della scena del crimine ancora dovevo finirlo, non ero pronta per vedere un vero cadavere, no decisamente non lo ero.

<< Posso uscire, mi sto sentendo male?! >> Mi fece eco Dean con un tono sarcastico, mentre veniva nella mia direzione.
<< Dean…scusami, ma era il mio primo cadavere, non ce la facevo. >>
<< Pensavo che avessi detto che studiassi scienze forense. >> Disse Sam.
<< Certo, ma gli unici corpi che ho mai visto sono sempre stati quelli dei manichini posti sulle false scene del crimine, e fatemelo dire, si vedevano che erano finti. >>
Sam sospirò. << Ok, suppongo tu abbia una valida scusa. >>
<< Cerca di trattenerti se ci sarà mai una prossima volta, non vogliamo che la nostra copertura salti. >> Disse Dean camminando verso l’uscita.

Rientrammo nell’Impala e siccome era ora di pranzo, ci dirigemmo ad un fast food, non avevo per niente fame, così presi solo una bibita. Sam ordinò un’insalata, mentre Dean ordinò un panino con doppio hamburger, pomodoro, pancetta e cetrioli e una torta ai mirtilli. Sam aveva posizionato il suo computer portatile bianco sul tavolo, cercando altri indizi rilevanti per risolvere il caso e qualche articolo che riguardasse l’omaccione all’interno del negozio di articoli sportivi; aveva due dipendenti morti nello stesso giorno, sapeva qualcosa e noi dovevamo capire cosa ci stava nascondendo.

<< Come fai? >> Chiesi, guardando Dean disgustata.
Dean diede un morso all’enorme panino che aveva davanti << A fare cosa? >>
<< Ad avere ancora voglia di mangiare dopo aver visto due corpi straziati. >>
<< Esperienza, piccola. >>
<< E come fai a mangiarli tutti i giorni? >>
<< Li smaltisco facilmente, >> ammiccò, << non sono mica come lui… >> Dean fece segno con la testa nella direzione di Sam che era intento nella ricerca che forse neanche ci sentì.
<< Ti ho sentito sai? >> Disse invece Sam sempre rimanendo concentrato sulla ricerca mentre beveva un sorso di soda.

<< Jules, ti prego, portatelo a letto, ne ha bisogno, guardalo, non riesce neanche a staccare un attimo la testa dal quel maledetto coso. >>
Risi timidamente nonostante non volessi farlo.
<< Dean, non sei divertente, se magari ti degnassi di darmi una mano, a quest’ora saremmo già in South Dakota da Bobby. >>
<< …E di nuovo nella merda fino al collo per colpa dell’Apocalisse? No grazie, preferisco stare qui e guardare come ti friggi il cervello cercando di trovare qualcosa di rilevante. >>
Sam sbuffò e si ammutolì.

Io finii la mia bibita e Dean il suo enorme panino e adesso mangiava la sua torta con evidente piacere, mentre Sam aveva ancora metà insalata da mangiare.

<< Ecco, lo sapevo! >> Esordì Sam voltando il computer dalla nostra parte. << Trevor Miller, proprietario del The Sports, è stato già indagato per la misteriosa scomparsa di Alfred Rosserburgh nel duemilacinque, il corpo di Rosserburgh non fu mai ritrovato. Quindi non solo ha due dipendenti morti, ma anche uno sparito, che ne pensi? >>
<< Penso che hai bisogno di una scopata… >> Disse Dean sorridendo e annuendo al fratello.
<< Dean! >> Ammonì il fratello.

<< Perdonami, intendevo dire, sei davvero bravo, Sammy, andiamo a parlare di nuovo con quel figlio di puttana di Miller e facciamoci dire cosa sa sul conto del dipendente scomparso. >>
Dean pagò il conto lasciando venticinque dollari sul tavolo e lasciammo il locale dirigendoci, sempre a bordo dell’Impala, al negozio di articoli sportivi che questa volta trovammo chiuso.

<< Avremo dovuto prevederlo, figlio di puttana! >> Sbottò Dean.
<< Adesso lo spirito potrebbe essere sulle sue tracce. >> Concluse Sam.
<< Dobbiamo tornare alla polizia, abbiamo bisogno dell’indirizzo di Miller. >>

Dean fece retromarcia e ritornammo alla stazione di polizia, dove questa volta parlammo direttamente con il capo dell’indagine in corso, lui era un po’ riluttante sul fatto che noi fossimo agenti dell’FBI, però alla fine cedette e ci fornì l’indirizzo di Miller.

Parker’s Park era un piccolo distretto residenziale poco fuori Tooele, sembrava un quartiere molto tranquillo, un solito quartiere residenziale americano, tutte le case erano dipinte di bianco con graziosi cancelli di legno scuro che le circondavano, la casa di Miller era sulla Dimaggio Drive, parcheggiammo la macchina sul suo vialetto e non appena scendemmo dalla macchina, udimmo degli strani rumori seguiti da urla stridule e spaventate, dopo aver preso un fucile e una pistola dal bagagliaio, ci dirigemmo subito verso la porta d’ingresso della casa bussando, ma poi Sam riuscì a sfondarla e quello che vidi, superava di gran lunga tutto quello che avevo visto fino a quel momento.

Una figura fluttuante dall’aspetto lurido e decisamente pallido, era sul lato di Miller, teneva nella mano destra quella che a primo impatto mi sembrò una katana giapponese e la stava innalzando nella direzione del grosso viso di Miller. Sam corse subito in suo soccorso prendendo la paletta da camino e prontamente sferrandola contro…il fantasma. Sparì subito dopo. Rimasi immobile a guardare la scena ad occhi sgranati, ok il mio scetticismo sui fantasmi era ufficialmente scomparso.

<< Miller, lei poteva essere ucciso stasera, avrebbe fatto la stessa fine dei suoi dipendenti! >> Sbottò Dean andando incontro all’omaccione che era seduto sulla poltrona scioccato.
Stando a quanto dettomi da Sam prima che ci ficcassimo in tutta questa storia, i poltergeist hanno il desiderio di vendetta contro coloro che hanno in qualche modo causato la loro morte, quindi da quanto avevo capito, Miller c’entrava qualcosa con la morte del poltergeist che stava per ucciderlo, e che era presumibilmente il fantasma del dipendente scomparso nel duemilacinque.

<< Miller, cosa avete fatto lei e i suoi due dipendenti ad Alfred Rosserburgh? >> Chiese pacatamente Sam.
<< È stato un incidente, ok? >> Iniziò Miller che quasi piangeva.
<< Dobbiamo saperlo, Trevor. >> Insistette Sam che si accovacciò per guardare l’uomo che ormai piangeva, in faccia.

<< Eravamo a lago, Salt Lake fuori città, quando per arrampicarci sul promontorio e arrivare dall’altra parte di esso, Alfred è scivolato battendo la testa sulla roccia ed è precipitato nel burrone, quando l’abbiamo raggiunto… >>, fece una pausa. << Le rocce l’avevano segato praticamente in due, è stato orribile! Lui non ci voleva neanche venire con noi quel giorno! >> Ormai Miller era in un fiume di lacrime, lacrime di colpevolezza, lacrime di risentimento.

<< Beh, adesso sappiamo perché ha ucciso Smith e Ronald spezzandoli in due. >> Sussurrò Dean guardando Sam, << dove avete seppellito il corpo? >> Chiese infine quando l’uomo si fu calmato.
<< Nella radura, a due miglia dal lago. >>
<< Deve dirci l’esatto luogo della sepoltura. >> Insistette Dean.
<< Non lo so, c’era una radura, l’abbiamo seppellito li. >>
<< Come facciamo a trovarlo? >>
<< C’era una quercia e un albero di pesco proprio vicino ad essa, l’abbiamo seppellito alla destra dell’albero di pesco, non ricordo altro. >>

A quel punto il poltergeist, il fantasma o come lo si voglia chiamare, riapparve di nuovo facendo volare Sam con un solo colpo sbattendolo alla parete destra del salone in cui eravamo e materializzandosi di nuovo di fronte a Miller. Quello che riuscii a vedere fu il poltergeist servirsi di un piccone da camino e squarciare il bacino di Miller facendolo cadere spezzato in due in differenti punti della sala. Urlai, urlai per lo stupore e per la paura. Il sangue era schizzato anche sulla mia camicia e probabilmente anche sulla mia faccia, e quando me la toccai ne ebbi la conferma, il liquido scuro mi sporcò anche le mani.
<< Sam! >> Dean corse in soccorso di Sam, mentre io ero ancora incredula da quello che i miei occhi avevano visto, non riuscivo a muovermi. Per fortuna Sam stava bene, si alzò da terra e subito ritornò nel salone per assistere a quello scempio.

<< Adesso sappiamo come li ha uccisi. >> Disse infine Dean.
Sam annuì massaggiandosi una spalla. << Tutto ok, Julia? >> Chiese guardandomi.
<< Ho bisogno di una doccia, urgentemente. >>
Uscimmo dalla casa e subito sfrecciammo verso il lago per cercare la radura descritta da Miller, adesso non capivo, cosa c’entrava il luogo di sepoltura del malcapitato?

Era pomeriggio inoltrato ormai e il sole stava calando lentamente, il caldo si era affievolito e il mondo assunse il colore dorato tipico dei tramonti, guardai le nuvole e questa volta non avevano l’innaturale colore di quelle del mattino precedente. Durante il tragitto ci fermammo perché Sam e Dean cambiarono le loro camicie con delle maglie a maniche corte, e misero le giacche nel bagagliaio.
Camminammo tra le rocce alte e scivolose, non era proprio il massimo camminarci con i miei sandali, scivolai spesse volte e per fortuna c’era Sam a sorreggermi altrimenti avrebbero dovuto seppellire anche il mio di corpo. Arrivammo alla radura quando il sole era basso, l’alta quercia era subito preceduta da un albero di pesco e li Dean buttò sull’erba verde la sua borsa e da dentro vi cacciò le pale che erano visibili anche dall’esterno. Sam prese una pala e iniziò a scavare e Dean fece lo stesso subito dopo.

<< Mi spieghereste? Non capisco più niente. >> Dissi quando c’era ormai un bel buco nella terra.
<< Reputati fortunata che non abbiamo un'altra pala. >> Disse Dean un po’ affannato.
<< Eh? >>
<< Scaviamo per cercare il corpo di Rosserburgh, per poi bruciarne le ossa o comunque i suoi resti, dopodiché non dovrebbe più dare ulteriori fastidi. >> Spiegò Sam mentre mi guardava poggiato sulla sua pala.

Li guardai mentre scavavano e scavavano. Era ormai diventata sera e l’illuminazione nella radura era scarsa, se non ci fosse stata la luna, sarebbe stato buio pesto.
Finalmente il corpo ritornò alla luce, Sam e Dean uscirono dalla fossa e cosparsero il corpo con sale e poi gli diedero fuoco.

<< Se non altro adesso ha concluso la sua vendetta. >> Precisai. Non guardai quello che rimaneva di Rosserburgh, non ne ebbi il coraggio, vedevo solo delle fiamme provenire dall’interno della fossa. Senza dire una parola, ritornammo all’Impala e infine al motel.
La notte fu tranquilla, dormii di nuovo nel letto con Sam, ma questa volta non ci fu nessun contatto anche se l’avrei voluto ma non avevo la forza necessaria per cercarlo, insomma avevo paura di una brutta reazione che forse non avrei potuto sopportare, dormimmo entrambi alle estremità opposte dei nostri cuscini, l’uno alle spalle dell’altro senza voltarci una volta, potevo sentire la tensione che c’era tra di noi, e se fossi stata solo io a sentirla? Non volevo farmi nessuno strano complesso sul conto di Sam o sui, ok chiamiamoli pure sentimenti, che provavo per lui, ma stare con lui, vicino a lui e nello stesso letto, mi dava da pensare. Poteva mai il grande e potente cacciatore innamorarsi della piccola e indifesa comune mortale? No, decisamente no.
   
 
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