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Autore: Quebec    05/09/2019    1 recensioni
Netrom Morten, un Bretone Negromante, scopre il cadavere di una donna dissanguata vicino la città di Skingrad. Conoscendo personalmente il Conte Janus Hassildor, spera di trovare il colpevole, ma dietro quella sua curiosità si cela ben altro...
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L'Imperiale spinse il palafreno che trainava il carretto lungo la stradina mentre l'Orco si guardava attorno. Il carretto aveva un carico prevalentemente leggero, fatta eccezioni per il Vampiro morto. La vegetazione inghiottiva i bordi rialzati della stradina. Le fronde degli alberi coprivano quasi interamente la volta del cielo sulla pista, e di tanto in tanto alcuni lunghi rami sfioravano i loro visi. I due sobbalzavano di continuo sul carretto per via della strada accidentata.
"Potevi prendere la strada secondaria." Grugnì l'Orco infastidito, mentre con una mano spostava un rametto dalla suo viso.
"Quale strade?" Rispose l'Imperiale, abbassando il viso per non farsi toccare dalle foglie.
"Mi prendi in giro?"
"Se conosci questo bosco perché non guidi tu il carro?" L'Imperiale fece per dargli le redini del cavallo, ma l'Orco grugnì. L'imperiale smorzò un sorriso.
"Questi boschi sono tutti uguali." Disse l'Orco corrugando la fronte. "Forse nemmeno esiste una strada secondaria."
"Allora perché mi hai detto di prendere la strada secondaria?"
"Perché c'è sempre una strada secondaria." 
"Ma ora hai detto che non esiste."
"Ho detto che 'forse' non esiste." Sottolineò l'Orco irritato.
"Beh, allora perché ti contraddici?" L'Imperiale voleva farlo arrabbiare.
L'Orco si voltò, serrò gli occhi. "Ora ti frantumerei quel tuo fottuto cranio del cazzo con le mie mani, ma..." 
"..Ma non puoi." Sorrise beffardo l'Imperiale.
L'Orco grugnì, serrando i denti. "Fottuto Imperiale!"
"Tieni in mente le parole del capo." Sorrise nuovamente, guardando la strada davanti a sé, anziché l'Orco.

Il carretto procedeva lento, sobbalzando di tanto in tanto sul terreno accidentato. La boscaglia lentamente si aprì verso una piatta radura erbosa in cui gli alberi lasciavano spazio a rocce e ceppi disseminati un po' ovunque. Poco lontano da loro, una decina di persone erano a ridosso su uno dei tre carri fermi sul ciglio della stradina sterrata. L'Imperiale tirò le redini. Il cavallo sbuffò. L'orco portò una mano sul manico del martello da guerra d'argento legato dietro la schiena.
"Fermo." Disse l'Imperiale. "Andiamo a vedere."
"Può essere una trappola." Rispose l'Orco.
"Oppure no. Ti ricordi che dobbiamo incontrare qualcuno?"
"Sì, ma non intendo lasciare il carretto incustodito." L'Orco incrociò le braccia.
L'Imperiale lo guardò per un momento. "Va bene. Aspettami qua. Vado a controllare." Scese dal carretto. 
L'Orco fece altrettanto. Impugnò il martello da guerra d'argento e si guardò attorno.
L'Imperiale s'incamminò verso i carrettieri. Erano sette in tutto. Quattro Khajiit erano ricurvi sul fianco del carro cui mancava una ruota, mentre gli altri tre, due Imperiali e un Nord, erano alle loro spalle. 
L'Imperiale rimase a guardarli finché un Khajiit dal pelo giallastro si girò. "Ehi tu! Chi sei?" Tutti si voltarono all'unisono, tranne un Khajiit dal pelo ramato, vestito con abiti di lino che restò ricurvo sulla ruota. 
"Siete in difficoltà?" Chiese l'Imperiale.
"A te cosa importa?" Chiese il Khajiit dal pelo giallastro con chiazze nere sul corpo, che stranamente non parlava di sé in terza persona. Indossava una camicia verdastra e un pantalone marrone sporchi di fango.
"Volevo solo essere d'aiuto."
"Tornatene da dove sei venuto. Non vogliamo impiccioni, qui." Tutti annuirono e borbottarono qualcosa tra loro.
L'Imperiale fece un sorriso forzato e fece per andare via.
"Va'rlen dice Aspetta!" Disse una voce; era il Khajiit ricurvo sulla ruota.
L'imperiale si voltò. Tutti gli altri si guardarono tra loro confusi.
"Va'rlen dice avvicinati." Disse il Khajiit dal pelo ramato. 
L'imperiale lo raggiunse, mentre gli altri lo guardarono in malo modo.
"Var'len dice la zuppa è ancora calda?" Sussurrò il Khajiit voltando il viso felino verso di lui.
"Molto calda." Rispose l'Imperiale.
"Va'rlen dice sono compiaciuto." Sussurrò il Khajiit in un lungo flebile respiro. Poi si alzò. "Na'mar! Va'rlen dice prendi il mio posto."
Il Khajiit dal pelo giallastro si affrettò a raggiungerlo e lo guardò.
"Va'rlen dice cambia la ruota. Mi sbagliavo. Il carro non è danneggiato."
Na'mar annuì. Gli altri, ancora confusi, guardarono Va'rlen in attesa di spiegazioni.
"Va'rlen dice questo è un mio vecchio amico." Disse, indicando l'Imperiale "Il suo nome è Filandus Bark. Non abbiate paura. E' un uomo dal cuore semplice." Mentì.
Tutti si guardarono tra loro e annuirono lievemente.
"Va'rlen dice ora se vogliate scusarci, vorrei scambiare due chiacchiere con lui. Sapete, è da anni che non lo incontro."

"Va'rlen" Disse l'Imperiale, mentre raggiungevano il suo carretto. L'orco li guardò arrivare, ma fece finta di non vederli.
"Va'rlen dice vedo che rimembri ancora il mio nome, Imperiale." Rispose il Khajiit in un sibilo compiaciuto. "Va'rlen dice sono qui da due ore. Vi siete persi durante il tragitto?"
"Chiedo venia per l'attesa, ma a quanto pare siamo partiti in ritardo."
"Va'rlen dice l'Elfo Scuro mi ha ordinato di essere qui quando il sole sarebbe stato alto sulle nostre teste."
"Noi siamo partiti oltre mezzogiorno."
"Va'rlen dice dovevo aspettarmelo. Mi ha fatto partire prima..." Allungò la parola con un leggero suono malizioso. "Va'rlen dice a quanto pare non si fida di me."
"E tu di lui, immagino."
Va'rlen sorrise facendo uscire le zanne. "Va'rlen dice mi ha promesso 600 Septim solo per farvi entrare a Skingrad, il ché mi ha fatto dimenticare del perché non mi fido di lui."
L'Imperiale sorrise, non capendo il suo ragionamento; come poteva la promessa di monete mutare la sua fiducia verso l'Elfo Scuro.
Arrivarono di fronte al carro. L'Orco gettò un fugace sguardo al Khajiit, poi in un grugnito, gli diede le spalle.
"Va'rlen dice ce l'ha ancora con me?" Chiese il Khajiit all'Imperiale.
"E chi lo sa." Rispose l'uomo. "La mente di un Orco è come una bufera di neve a Skyrim. Non sai mai quanto inizia e sopratutto quando e come finisce."
Va'rlen sorrise, scoprendo le zanne. "Va'rlen dice fammi vedere il Vampiro."
L'Imperiale sollevò il telo di lana. Il Vampiro giaceva immobile, gli occhi vitrei fissi al cielo.
"Va'rlen dice dovresti coprirlo con delle altre casse. Potrebbero notarlo con un carico così leggero." Disse il Khajiit. "Le guardie di Skingrad sono incorruttibili, quindi se scoprissero il cadavere..."
"Va'rlen!" Lo interruppe l'Orco, che si era deciso a rivolgergli la parola. "Mi devi 250 Septim!" Serrò le dita sul manico del martello da guerra d'argento pronto a spaccargli la testa felina.
Il Khajiit sorrise falsamente, lanciando un occhiata alle sue mani. "Va'rlen dice oh ma che piacevole sorpresa. Non ti avevo proprio visto, sai. E poi, rimembri ancora il mio nome." Sorrise mostrando le zanne.
l'Orco grugnì irritato e sbuffò dalle narici.


 
*****


Un corvo gracchiava fuori dal fienile. Brangor si alzò lentamente, si mise seduto sul giaciglio di paglia e si guardò intorno. Non vide nessun cavallo, e nemmeno Fredor. "Che io sia dannato! Mi sono immaginato tutto?" Pensò. Poi mettendo le mani su un sostegno di legno, si issò in piedi. Strascicò i piedi fino all'entrata, passando da un sostegno di legno all'altro. Non sentiva nemmeno odore di letame.
Quando raggiunse l'arco della porta scorrevole, che era già spalancata, vide due uomini e un vecchio. 
"260 Septim. Non di più, vecchio." Disse l'uomo con una grossa cicatrice sulla guancia. Dall'aspetto doveva essere un tagliagole. Indossava un armatura di cuoio e una spada lunga al fianco. 
"300 Septim, dico... Sì, sì." Rispose il vecchio, mentre accarezzava il muso del cavallo pezzato.
"Vuoi derubarci, forse?" Sottolineò il secondo uomo grasso, dall'aspetto poco raccomandabile. Era vestito con una giacca di cuoio marrone, una camicia grigiastra e un pantalone nero sporchi di terra. Al fianco, una mazza ferrata dalla testa in ferro arrugginita.
"Tu e io l'avevamo pattuito, dico... Sì, sì. 300 Septim, tu hai detto... Sì, sì." Fredor sorrise senza denti.
"Sai che ti dico, vecchio?" Disse l'uomo con la cicatrice. "Ti taglio la gola e mi prendo i tuoi cavalli."
"Sì, ammazziamolo!" Concordò l'uomo grasso, accarezzando l'elsa della mazza ferrata con le dita.
Brangor mosse un piede per aiutare Fredor, ma qualcuno sbucò da dietro un grosso abete. 
"Torcetegli un capello, e io vi stacco le palle e ve le faccio ingoiare!" La donna, due stiletti d'acciaio nelle mani, si avvicinò loro. Indossava una lunga e bucherellata camicia di cotone marrone chiaro che lasciavano intravedere le sue gambe snelle. Grandi occhi verde smeraldo, scompigliati capelli neri tagliati fino all'esile mento e un naso adunco, né troppo grande né troppo piccolo.
L'uomo grasso deglutì, mentre l'uomo con la cicatrice distolse lo sguardo da lei.
"Fuori i Septim! Subito!" Disse la donna.
Evitando il suo sguardo, l'uomo grasso slacciò dal fianco la borsa di monete e fece per darglielo.
"Non a me!" Disse la donna.
L'uomo grasso lo posò nelle mani ossute e raggrinzite di Fredor.
"300 Septim, dico... Sì, sì." Disse il vecchio. "I cavalli sono tuoi, dico... Sì, sì."
L'uomo con la cicatrice fece per toccare il cavallo pezzato, ma la donna lo fermò."Non toccarlo! Prima deve contare l'oro."
Fredor non capì e guardò la donna. Poi abbassò lo sguardo sulla borsa di monete nelle sue mani. "300 Septim devo contare, dice... Sì, sì." Li buttò tutti per terra.
L'uomo grasso rise, seguito dall'uomo con la cicatrice.
"Allora volete proprio morire!" Li minacciò la donna.
"No, non volevo..." L'uomo grasso abbassò lo sguardo, e altrettanto fece l'uomo con la cicatrice.
"Cinque, sei, otto, dico... No, no." Disse Fredor seduto sui talloni, mentre contava con le dita i septim sparsi nella terra come un bambino. "Prima viene il sette, o il sei dopo il sette, dico... No, no." Poi alzò lo sguardo verso la donna in cerca di aiuto.
La donna sbuffò e andò da lui, lanciando occhiate minacciose verso i due uomini che se ne stavano fermi.
"Non devi buttarli per terra per contarli." Disse la donna, curvandosi verso Fredor.
L'uomo grasso fece per indietreggiare, ma la donna se ne accorse. "Ti ho detto di andare?" Gli puntò lo stiletto contro.
L'uomo grasso non rispose.
"Recupera le monete. Lo conterò per te."
Fredor gli sorrise senza denti. Fece come ordinato.

Poco dopo la donna finì di contare le monete. "Ci sono tutti! Prendete i cavalli e sparite dalla mia vista!"
L'uomo grasso si affrettò a prendere le redini del cavallo pezzato, mentre l'uomo con la cicatrice cercò di avvicinarsi a lei.
"Non un altro passo!" Gli intimò lei.
"Voglio parlare di affari."Rispose lui accennando un lieve sorriso terrorizzato.
"Non siete più degni di fare affari con me." 
"Riguardo a prima... E' stato solo un malinteso."
"Prendervi gioco di un vecchio?" La donna si avvicinò all'uomo con la cicatrice, ma lui indietreggio. "Lo chiami malinteso?"
"Io... Ehm..." L'uomo con la cicatrice guardò i due stiletti e deglutì.
"Dite al vostro capo che la prossima volta dovrà venire di persona a trattare con me." La donna puntò lo stiletto contro di lui. "Se rivedo un altra volta le vostre facce schifose..."
"Ho capito, ho capito." L'uomo con la cicatrice camminò all'indietro, senza mai voltare le spalle alla donna per paura di ritrovarsi una pugnalata dietro la schiena o la gola tagliata.
Fredor si avvicinò alla donna. "La mia Brema avrebbe capito, dico... Sì, sì."
"Che cosa?" Chiese lei perplessa.
"Che non è colpa loro se sono così, dico... Sì, sì."
"E di chi allora?"
"Della gente cattiva che fa infetta gli altri come la peste, dico... Sì, sì. La gente diventa cattiva perché altra gente cattiva la fa diventare cattiva, dico... Sì, sì."
La donna gli fece un sorriso dolce, ma subito tornò seria poiché i due uomini vicino ai cavalli la stavano guardando.
"Che avete da guardare? Sparite!" Urlò lei.
I due uomini si affrettarono legare i cavalli in fila indiana e sparirono dietro gli abeti dal folto fogliame.
"Gli ho prestato le corde, dico... Sì, sì." Disse Fredor a lei. "Mi hanno detto che l'avevano perse, dicevano... Sì, sì."
"Così come hanno perso il cervello strada facendo." Concluse lei, voltandosi verso il fienile. Incrociò lo sguardo di Brangor che con un braccio si manteneva sull'asse della porta del fienile


 
*****


Il capo della guardia cittadina si diresse verso la gilda dei maghi, spalancò la porta, entrò e si guardò attorno. Gli apprendisti e i maghi, affaccendanti sulle loro pozioni e libri, alzarono lo sguardo confusi. 
"Dov'è il guaritore?" Gridò il capo della guardia cittadina per essere certo di farsi udire da tutti.
"Di chi parlate?" Disse irritata Adrienne Berene, scendendo dalle scale; il viso dall'aspetto austero e severo, i capelli biondi legati con uno spago. Indossava un lungo farsetto blu fino a piedi con ricami dorati. La gilda dei Maghi di Skingrad era un luogo silenzioso dove raramente si sentiva la gente chiacchierare. Gli apprendisti erano perennemente con la testa sui libri, e i maghi che insegnavano le varie discipline della Magicka, si accertavano che studiassero, eccetto per chi praticava dubbi esperimenti. La gente di Cyrodiil pensava che i maghi delle gilde fossero persone subdole e violente, ma non era così. Ovviamente le mele marce erano ovunque.
"Dov'è il guaritore?." Ripeté l'uomo. Una dozzina di guardie entrarono dentro la sala d'ingresso della Gilda dei Maghi, mentre gli apprendisti e i maghi indietreggiarono un poco spaventati.
Adrienne Berene li scrutò per un momento. "E' necessario tutto questo trambusto?" Nascondeva a fatica il volto irritato. Odiava quando veniva disturbata.
"Non ve lo ripeterò un altra volta! Dov'è il guaritore?"
"Qui non vive nessun guaritore!" Adrienne cercò di mantenere la calma.
"Mentite!"
"Ora ne ho abbastanza!" Urlò lei; il capo dei maghi. "Lasciate subito questa sede, prima che..."
Le guardie cittadine sguainarono le spade e le mazze ferrate. "Fermi!" Tuonò il capo della guardia cittadina alzando un mano.
"Questa è la Gilda dei Maghi di Skigrand!" Adrienne si avvicinò al capo della guardia cittadina. "Come osate entrare qui..."
"Dov'è il guaritore?" Ripeté un'altra volta il capo della guardia cittadina a qualche pollice dal viso della donna.
Adrienne serrò gli occhi rabbiosi. Appena mosse le mani, lui gli bloccò i polsi, onde evitare che usasse qualche magia. "Trovatelo!" Ordinò l'uomo alle guardie cittadine.
Gli apprendisti e maghi si misero di spalle al muro, cercando confusi lo sguardo di Adrienne. Le guardie cittadine si affrettarono a setacciare le varie camere.
"Non volevo arrivare a questo punto." Disse il Capo della guardia cittadina. "Mi avete costretto."
"Informerò il Conte Hassildor di quanto è accaduto. Vi farò uccidere!" Rispose Adrienne arrabbiata, cercando inutilmente di divincolarsi dalla sua presa.
"E il Conte che mi manda."
Adrienne smise di dimenarsi.


 
*****


"Oh Netrom..." Erina accarezzò la lunga e folta barba del Bretone. Poi posò due dita sulla fronte. "Scotta!" Si voltò verso il Conte Hassildor che era in piedi alle sue spalle come un ombra.
"Qualcuno gli ha fatto un incantesimo." Rispose il Conte Vampiro.
"Chi può essere stato?"
"Alla locanda era già messo male... Ma il Guaritore potrebbe aver fatto qualcosa."
"Ma..." Erina guardò il viso sudato di Netrom Morten, mentre i suoi occhi si muovevano freneticamente sotto le palpebre. "...Forse è solo colpa mia."
"No!" Il Conte Hassildor si sedette vicino a lei, la metà del suo viso illuminata da una candela adagiata sul comodino. "E' sotto un incantesimo potente. Ed era così ancor prima che tu..."
"Mi dispiace tanto." Erina cercò di non piangere. "Io non volevo farlo..."
Il Conte Hassildor vide la vena del suo collo pulsare sotto la pelle "Solo un assaggio..." Bisbigliò una contorta e maligna voce nella sua testa. Distolse subito lo sguardo. "E' meglio che vi lasci da sola." Si alzò in piedi. "Magari vorreste..." In realtà sapeva cosa dire, ma non ricordava le parole.
Erina lo guardò, gli occhi rossi dalle lacrime che cercava di trattenere.
Il Conte Vampiro fissò nuovamente le vene del suo collo. "Nessuno lo saprà mai..." Echeggiò la voce maligna nella sua testa. 
Erina trasalì, nascondendo il collo nelle spalle. "Oh no, di nuovo quello sguardo." Pensò.
Il Conte Hassildor scosse la testa, distolse lo sguardo e senza dire una parola lasciò la camera.
Erina fissò a lungo la porta. Non si fidava a dargli le spalle. "Non posso voltarmi." Pensò. "Alla prima occasione mi salterà alle spalle. Arriverà quando meno me l'aspetto. Sono sua prigioniera, non sua ospite. Mi ucciderà."
D'un tratto entrò una guardia. Erina sobbalzò dalla sedia spaventata. "Oh mi scusi, signora."
"Signorina, prego." Disse Erina in un impeto di arroganza, sorprendendosi della sua stessa voce e reazione, quando poco prima stava crollando dal terrore. 
La guardia annuì. "Sono di guardia alla camera. Se vi serve qualcosa, qualunque cosa, non esitate a chiedere."
"Va bene." Rispose Erina, non sapendo che gergo usare in questo contesto. "Allora... Siete congedato."
"Non posso congedarmi dall'ordine che mi ha affidato il Conte Hassildor."
Erina sforzò un sorriso, non sapendo che parole usare. "Allora fai quello che vuoi."
La guardia annuì confusa, uscì dalla camera. 
Erina spostò la sedia in modo che potesse vedere sia la porta, sorvegliata dalla guardia, che Netrom Morten. "Magari quella guardia è un Vampiro." Pensò Erina. "Il Conte Hassildor non vuole che lasci la stanza. Vuole bere il mio sangue. Quella guardia mi ucciderà se gli volto le spalle. Magari tutto il castello è un covo di Vampiri." Iniziarono a tremargli le mani per l'ansia.


 
*****


"Stai lontano da mio padre!" Urlò la donna, che si avvicinò minacciosa verso Brangor, le lame degli stiletti puntati contro il Nord.
"No, no, lui non è cattivo, dico... Sì, sì." Fredor zoppicò verso Brangor. Poi fermò la donna frapponendosi tra loro. "Lui era morto, dico... No, no... Lui era morto ma non era morto, dico... Sì, sì."
La donna alzò un sopracciglio. "E' un non-morto?"
Fredor si curvò verso l'addome di Brangor e indicò la fasciatura con le dita ossute e raggrinzite come un bambino curioso. "Lui è così, dico... Sì, sì."
"Hai curato questo... caprone." La donna lo guardò dall'alto in basso.
"Ehi!" Disse Brangor con un filo di voce che gli morì in gola per un lieve bruciore.
"Oh lui ora parla, dico... Sì, sì." Disse Fredor con gli occhi sprizzanti di felicità. "Lui prima non parlava, dico... Sì, sì. Voleva, ma..."
"Va bene, va bene." Disse la donna. "Ma non devi curare o salvare chiunque ti capiti a tiro, padre. La maggior parte di loro è solo lurida feccia, e lui non è da meno. Basta guardarlo per capirlo."
Brangor serrò gli occhi dalla rabbia. La donna se ne accorse. "Hai visto? Sono tutti uguali."
"No, no, lui non è cattivo, dico... Sì, sì." Fredor palpò la faccia di Brangor, strinse le guance e tirò la barba. "Visto? Lui è come noi, dico... Sì, sì." Poi si toccò la faccia per farlo comprendere meglio alla donna.
"Se ne avesse la possibilità, ti pugnalerebbe senza remore." Sottolineò la donna. "Come quei due farabutti di prima..."
"Io non..." Brangor si portò le mani alla gola, come se qualcosa stesse prendendo fuoco al suo interno. Poi frettolosamente, cominciò a respirare a pieni polmoni come se questo potesse alleviargli il dolore.
"Respira con calma, dico... Sì, sì." Fredor, le dita che gli tremavano un poco, prese le mani di Brangor e gliele tolse dal collo. "E' colpa mia, dico... Sì, sì. Invece di farti bere l'acqua, ti ho dato della birra fatta in casa, dico... Sì, sì. Avevi le labbra secche e screpolate, dico... Sì, sì. Ho confuso le bottiglie, dico... Sì, sì. E' colpa ma, dico... Sì, sì. Anche me capita di bere birra invece dell'acqua, dico... Sì, sì." Fece un vago sorriso senza denti, come un bambino che sa di aver fatto una marachella
La donna smorzò un sorriso tra i denti.


 
*****


"Va'rlen dice ai dadi si perde e si vince. Dovresti saperlo. E tu hai perso."
"Hai barato, sporco Khajiit!"
"Va'rlen dice la prossima volta ti darò la rivincita."
"Voglio il mio oro!"
L'Imperiale si avvicinò all'Orco. "Non è il momento di litigare."
L'Orco grugnì furioso. 
"Va'rlen ci aiuterà a entrare a Skingrad."
"Non ci serve il suo aiuto."
"Va'rlen dice oh sì che vi servo." Il Khajiit sogghignò. "Le guardie cittadine sembrano zombie senza cervello, ma gli uomini di guardia al cancello la sanno lunga. Il Conte Hassildor sceglie con cura dove posizionarli. I meno capaci vengono messi ai cancelli e sulle mura."
"I meno capaci?" Sottolineò l'Orco. "Allora sono stupidi come Troll, e tu non ci servi, perché sei più stupido di loro!"
"Va'rlen dice niente affatto." Sibilò il Khajiit mellifluo. "Meno capaci vuole dire meno leali o di dubbia lealtà. Non vi lasceranno passare. Non con quel carico così leggero. E poi..."
"Ho capito. Il vampiro morto è un problema." Disse l'Imperiale. "Ma ci penserai tu a farci passare."
"Va'rlen dice per questo sono qui." Mostrò le zanne in un sorriso.
"Allora noi a cosa serviamo?" Disse l'Orco all'Imperiale. "Se tocca a questo schifoso Khajiit farci entrare in città, allora perché non si occupa pure del succhiasangue?"
"Va'rlen dice da quando gli orchi si pongono domande?" Sorrise beffardo Va'rlen.
Con una grossa manata, l'Orco scaraventò via l'Imperiale e si lanciò contro il Khajiit, sollevando il pesante martello da guerra d'argento. Va'rlen gli sgattagliolò alle spalle, sfoderò il pugnale di ferro e premette la lama sulla gola dell'Orco, che rimase sorpreso dalla velocità del Khajiit.
"Va'rlen dice potrei ucciderti o..." Sibilò compiaciuto il Khajiit.
"Fermati!" Disse l'Imperiale alzandosi da terra e pulendosi la polvere di dosso.
Lentamente, l'Orco fece scivolare la possente mano sinistra sopra la testa del Khajiit, che si era voltato verso l'Imperiale. CRACK! Il cranio di Va'rlen gli implose nella mano come un uovo, il sangue schizzò ovunque assieme a brandelli di cervella e ossa. Va'rlen si afflosciò sulle spalle dell'Orco, macchiandolo di sangue e cervella. Della faccia del Khajiit rimaneva solo mezza mascella distrutta da cui zampillava il sangue e un bulbo oculare dall'iride nero incastrato nell'esofago.
"Cosa cazzo hai fatto!" Urlò l'Imperiale, incredulo. 
L'Orco buttò a terra il Khajiit, la testa ridotta a una poltiglia.
"Hai..." L'Imperiale non riuscì a completare la frase, quando giunsero i compagni di Va'rlen. Questi dapprima guardarono il corpo senza vita del felino, poi sguainarono spade e coltelli. Non vollero sapere cosa fosse successo. Vedere la mano dell'Orco sporca di sangue era già una risposta. I tre Khajiit si lanciarono contro l'Orco, mentre i due Imperiale e il Nord, si lanciarono contro l'Imperiale. 
L'Orco mulinò in aria il suo martello da guerra d'argento, frantumando con la sua estremità il braccio sinistro del Khajiit dal pelo grigiastro che urlò dal dolore e cadde a terra, la spada volò lontano. 
I Due Imperiali accerchiarono l'Imperiale, mentre il Nord, che era di fianco, gli sferrò un lento fendente con la spada di ferro. Era chiaro che non sapeva usare la spada. L'Imperiale deviò il colpo spostandosi di lato. Poi gli sferrò un calcio dietro il ginocchio, la gamba si piegò in avanti. Senza aspettare che si rialzasse, l'Imperiale gli piantò rapidamente la lama sotto l'ascella. L'uomo cadde in avanti, ansimando.
Nel frattanto, l'Orco colpì con un potente calcio la mascella del Khajjit dal pelo grigiastro che era terra. Il felino sbatté la testa sul terreno, il braccio sinistro che gli penzolava. Poi, mulinando in aria il martello da guerra d'argento, allontanò i due Khajiit che tentavano di aggirarlo e colpirlo, mise il grosso stivale sulla testa del Khajiit dal pelo grigiastro e lo schiacciò usando tutto il suo peso. Brandelli di cervella schizzarono addosso ai due Khajiit, che si paralizzarono disgustati. L'Orco grugnì e rise. 
L'Imperiale sfruttò questa opportunità per indietreggiare velocemente e infilzare un Khajiit alle spalle, all'altezza dello sterno. Quello cadde a terra come un sacco di patate. L'altro Khajiit dal pelo giallastro, Na'mar, si voltò e saltò di lato. Finì inconsapevolmente contro il martello da guerra d'argento dell'Orco, che gli frantumò parzialmente la testa, gli occhi fuoriuscirono dalle orbite, i denti saltarono via.
I due Imperiali assistettero alla scena senza muovere un muscolo. L'implosione del cranio del Khajiit dal pelo grigiastro li aveva quasi fatto vomitare. Ed erano rimasti fermi a guardare il resto del massacro. Non erano abituati a tale violenza, essendo solo dei carrettieri.
L'Orco si mosse verso loro. Quelli fuggirono via a gambe levate, lanciando in aria i due coltelli.
"Non possiamo farli scappare!" Urlò l'Orco. "Inseguili! Non sono veloce quanto te!"
L'Imperiale corrugò la fronte e si mise a inseguirli, afferrando i due coltelli per terra lasciati dai due uomini.
Mentre correvano, i due Imperiali, uno con corti capelli neri e l'altro stempiato, erano attenti a non perdersi di vista. Dopo aver scalato un piccolo avvallamento erboso, l'Imperiale raggiunse l'uomo con i corti capelli neri. Lo infilzò in corsa, dietro la schiena. L'uomo cadde dapprima a carponi, poi di faccia a terra. Il secondo uomo stempiato, accorgendosi che il compagno era morto, aumentò la velocità. L'Imperiale lo segui per un po', attraverso la radura, saltando gli ammassi rocciosi e deviando i ceppi che sbucavano dall'erba come funghi. Ma era troppo veloce per lui. Si fermò, prese la mira e lanciò un coltello. L'uomo stempiato cadde a terra, il coltello piantato nella coscia. L'aveva centrato solo per pura fortuna o sfortuna dell'uomo. 
Poi lo raggiunse rapidamente. 
L'uomo stempiato alzò le mani. "Pietà! Vi prego! Abbiate pietà." Si trascinò con i gomiti verso un ceppo.
L'Imperiale si piegò verso di lui.
"Ho moglie e..." D'un tratto l'uomo stempiato vide il sangue sgorgare dalla sua gola. Non si era accorto della lama della spada dell'Imperiale. Si mise le mani alla gola, cercando di fermare il sangue. Rantolò per un po', gemette, parlò mentre soffocava nel suo stesso sangue. L'Imperiale lo guardò morire senza fiatare. 


 
*****


Il Conte Hassildor camminava lungo il corridoio che portava alla sue camere. Aprì la porta del suo studio e la chiuse alle spalle. Hal-Liurz sedeva su una panca intenta a leggere un libro intitolato; La vogliosa cameriera Argoniana: Volume II. Appena udì la porta chiudersi, sollevò gli occhi da sopra le pagine.
Il Conte Hassildor la raggiunse. "C'è troppa luce." Socchiuse gli occhi rossi infastidito.
"Chiedo venia, Conte." Hal-Liurz chiuse il libro, lo posò sulla panca e si alzò. "Stavo leggendo."
Il Conte Hassildor annuì freddamente.
"Spengo qualche candela." L'Argoniana fece per andare.
"Non serve. Tornate pure al vostro libro." Disse Conte Hassildor con tono gelido. "Non intendo restare nel mio studio. Mi ritirò nella mia camera."
Hal-Liurz guizzò gli occhi dall'iride arancione scuro. "Vi sentite bene, Conte?"
Il Conte Vampiro lo guardò per un istante. "Non voglio essere disturbato."
L'Argoniana annuì, chinando leggermente la testa squamosa. "Gli è successo qualcosa." Pensò. "Sono al suo servizio da troppi anni da notare ciò che altri non vedono. Sarà meglio non disturbarlo."
Quando il Conte Hassildor ebbe chiuso dietro di sé la porta della camera da letto, rimase per un po' fermo, la mano pallida sulla maniglia. Poi andò a sedersi sul letto, gli occhi fissi sul freddo pavimento, la mente persa chissà dove. "Solo un assaggiò..." Echeggiò la voce maligna nella sua testa. "Una goccia... Un sorso..." La faccia del Conte Hassildor rimase impassibile al suo tormento.


 
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"...Non puoi sfuggire al tuo passato..." Una voce metallica, maligna fece eco nella cella vuota in cui si trovava Netrom Morten. Indossava luridi stracci che puzzavano di escrementi di ratto, i piedi sporchi sulla fredda pietra.
"...Perché ti ostini a combattermi..?" La voce maligna lo raggiunse alle spalle. "...Tu ed io eravamo una solo essere..." Sibilò in entrambe le orecchie del Bretone.
Netrom Morten si tappò le orecchie con le mani, le spalle ricoperte da morsi.
Una sagoma nera si materializzò davanti alla sua faccia, gli occhi violacei. Il suo corpo vibrava e sprigionava sottili fumi neri che si dissolvevano nell'aria. "...Non mi lasci altra scelta..." Tuonò l'essere. Il pavimento e le pareti tremarono, la polvere venne giù dal soffitto avvolto nell'oscurità.
D'un tratto l'essere scomparve. La cella era cambiata. Non era più vuota.
Vide le mura tappezzate dal muschio, i fasci della luna filtrare attraverso una finestrella con delle sbarre di ferro, il giaciglio di paglia sporco di piscio e merda, uno sgabello a terra, un secchio pieno fino all'orlo di feci. L'acre odore gli invase le narici, i polmoni. Vomitò qualcosa. Qualcosa che non riconobbe. Poi udì dei pesanti stivali d'acciaio echeggiare lontani nel corridoio fuori dalla cella. Guardò davanti a sé la porta arcuata con le sbarre di ferro arrugginito. "Ricordo questo..." Pensò, quando qualcuno trapassò il suo corpo, distogliendolo dai sui pensieri. Si accorse solo in quel momento che stava rivivendo un suo vago e lontano ricordo. L'uomo era lui, vestito con gli stessi stracci che portava addosso. Un po' più giovane, meno rughe, barba incolta e sporca, capelli neri scompigliati. Da giovane aveva sempre curato il suo aspetto. Ma ora, quella sagoma che gli assomigliava sembrava tale e quale a lui da anziano in quelle condizioni. Vide se stesso, Netrom Morten da giovane, avvicinarsi alla porta della cella, mentre l'eco degli stivali si fecero sempre più vicino. Strinse le dita sulle sbarre arrugginite, guardò fuori. Due ombre si proiettarono sullo sfondo, allungandosi e restringendosi. La debole luce della candela che illuminava il corridoio si spense improvvisamente.
Netrom Morten da giovane si voltò a sinistra. C'era un'altro uomo nell'ombra. Netrom Morten non l'aveva visto. Portava solo un panno lacerato nelle parti intime, la pelle sporca, squarciata da molteplici frustate, barba e capelli lunghi e arruffati. 
L'uomo si alzò in piedi, raggiunse Netrom Morten giovane. "Non lasciare che mi prendano..." Disse con un filo di voce, il viso nascosto sotto la barba e i capelli increspati e sporchi. 
Netrom Morten giovane lo guardò per un momento, finché la serratura stridette. Un uomo con una tunica nera fece il suo ingresso, il viso ombrato dal cappuccio, seguito alle spalle da una guardia armata con una bastone rinforzato. L'uomo con i capelli arruffati indietreggiò velocemente indietro. Sbatté la schiena contro la parete, gli occhi spalancanti dal terrore. La guardia fece per raggiungerlo, ma Netrom Morten giovane si piazzò davanti, fermandolo. La guardia si voltò, guardò l'uomo con la tunica. Quello fece un leggero cenno con la mano. Il Bretone non vide arrivare il colpo. Cadde a terra, la vista sgranata, i suoni contorti. La guardia strinse il bastone rinforzato, fece per colpire l'uomo con i capelli arruffati, ma questo si rannicchiò in un angolo, le mani a protezione della testa. "Vengo! Vengo!" Implorò quasi piangendo. Sul panno comparve una grossa macchia. Del liquido giallastro scese lungo le sue gambe scheletriche. L'uomo con i capelli arruffati si alzò, lanciò uno sguardo a Netrom Morten giovane frastornato a terra. La guardia lo afferrò per un braccio e lo spintonò fuori. L'uomo con la tunica nera scrutò per un attimo Netrom Morten giovane. Poi lasciò la cella. La serratura stridette nuovamente.
La cella mutò ancora aspetto. 
Netrom Morten venne risucchiato nel vuoto. L'oscurità lo avvolse in una morsa gelida. Tremava, il corpo pervaso da lunghi brividi. Poi venne sputato fuori, e prima di poter capire dove fosse finito, qualcosa lo sollevò violentemente in alto. Vide la cella dall'alto, come lo vedrebbe una cornacchia.
Netrom Morten giovane sedeva a terra, le spalle contro il muro. La luce del sole illuminava il secchio pieno di feci dalla finestrella. La serratura stridette.
La guardia entrò, tenendo sotto braccio l'uomo con i capelli arruffati. Lo gettò a terra, chiuse la porta. 
L'uomo con i capelli arruffati aveva petto e schiena insanguinati. Non si mosse, la faccia a terra, immersa nelle feci di ratto. 
Netrom Morten giovane si avvicinò, lo scrutò un poco. Sulla pelle, morsi umani, alcuni molto profondi. Il Bretone indietreggiò confuso. 
"Non..." Bisbigliò l'uomo con i capelli arruffati con un rantolo di voce, senza guardarlo. "Non lasciare che... Mi prendano..." Perse i sensi.
Ogni cosa nella stanza scomparve. Netrom Morten cascò sul pavimento, le pareti iniziarono a vorticare velocemente. Il pavimento scomparve sotto i suoi piedi, Il Bretone venne inghiottito nel vuoto. Un freddo abbracciò l'avvolse. Silenzio.


 
*****


La donna prese nelle mani l'ascia da battaglia di Brangor. L'esaminò a fatica per qualche momento poiché pesava. Poi la lasciò cadere a terra, come un oggetto rotto o di poco valore.
Brangor, che sedeva sul giaciglio di paglia, serrò gli occhi dalla rabbia. Cercò di parlare, ma la fiammata di bruciore alla gola che continuava a persistere lo costrinse al silenzio.
"In un combattimento..." Disse la donna. "In un vero combattimento, ti sarebbe solo d'intralcio. Molto meglio le armi leggere, sono più veloci."
Fredor sorrise senza denti, raccolse l'ascia di battaglia di Brangor e la posò su una balla di fieno.
"La mia Brema diceva; se non puoi colpirlo, persuadilo, diceva... Sì, sì." Disse il vecchio con una nota di tristezza.
"Persuadilo?" Sottolineò la donna. "Mia madre diceva così?" Sollevò un sopracciglio.
"Sì, la mia Brema, tua madre, diceva... Sì, sì." Fredor gli sorrise come un bambino. "La mia Brema, tua madre, era intelligente, dico... Sì, sì."
"Cosa intendeva dire con 'persuadilo?'" 
"Quando un nemico è più forte di te, diceva la mia Brema, tua madre, devi costringerlo a fare la prima mossa, ad attaccare per primo. Devi studiarlo, incassare, e primo o poi si sbilancerà, si affaticherà e tu lo persuaderai, diceva... Sì, sì."
La donna non capì il senso della frase, così come Brangor. 
"Mmmh..." La donna corrugò la fronte pensierosa. "Ora che ricordo. La frase era diversa."
"La mia Brema, tua madre, lo diceva... Sì, sì."
"No, padre. La frase era; Se non puoi colpirlo, sfiancalo."
Fredor corrugò la fronte. "La mia Brema..." Il vecchio ebbe un mancamento e cadde col sedere a terra.
La donna si precipitò da lui. "Non devi sforzarti, padre. Lo sai che quando cerchi di pensare troppo..."
"La mia Brema lo diceva... Sì, sì." Il vecchio la interruppe e si ammutolì di colpo, la sua faccia divenne fredda, cupa.
"No, no, non chiuderti in te stesso." La donna gli posò le mani sulle guance barbute. "Guardami! Sì, bravo, così. Ti ricordi cosa hai fatto oggi? Riconosci quel farabutto laggiù?"
Fredor voltò la testa verso Brangor e sorrise. "L'ho curato, dico... Sì, sì. La mia Brema, tua madre, sarebbe fiera di me, dico... Sì, sì."
"Sì, bravo. Ora alzati sù. Vieni. Sediamoci laggiù."
Mentre la donna lo aiutava a raggiungere una piccola balla di fieno, Fredor continuò a sorridere a Brangor.
"Siediti. Così, bravo." Disse la donna. "Tieni, prendi la zappa. Fai i tuoi allenamenti speciali e super segreti."
Fredor gli sorrise, mentre impugnò fiero la zappa.
"Ricordati che sei stato il miglior guerriero di tutta Tamriel. Tutti i criminali tremavano al tuo cospetto, e la gente onesta acclamava il tuo nome."
Fredor annuì come un bambino e iniziò a far sibilare la zappa in aria senza un minimo di coordinazione.
In quell'istante, Brangor capì che Fredor non aveva mai usato una spada. Non c'era nessun giusto movimento nei suoi colpi da far intuire che fosse stato un grande combattente o che avesse avuto esperienza militari come lui aveva sostenuto.
"Ora allenati." Disse la donna. "Io devo conoscere meglio il tuo..."
"Lui è mio amico, dico... Sì, sì." La zappa si conficcò nella staccionata dove il giorno prima c'erano i stati cavalli.
La donna gli sorrise e raggiunse Brangor. "Cosa ti ha detto mio padre?" Disse con tono serio.
Brangor indicò la sua gola con il dito.
"Ah giusto. Non puoi parlare." La donna distese le dita. Aveva piccole mani screpolate e della terra sotto le unghie. "Allunga il collo. Sì, così. Un altro po'. Perfetto. Ti farò passare il dolore." La donna gli cinse il collo con le sue mani. Una lampo rosa balenò intermittente tra le sue dita.
Brangor rimase fermo, gli occhi puntati su di lei. "Da quando mi fido ciecamente di una donna?" Pensò. "Le uso solo per fotterle. Dannazione, sono proprio messo male."
La donna evitò il suo sguardo, rimanendo concentrata sulle sue mani. Poi quel lampo sparì e ritrasse le mani.
Brangor tossì forte.
"Continua a tossire." Disse la donna improvvisamente un poco irritata. "Tra un po' passerà."
Nel frattempo, Fredor fece roteare la zappa in aria finché non gli sfuggì di mano e si schiantò contro il muro di legno che resse l'urto. 
La donna, allertata dal rumore, si voltò di scatto. Vide Fredor sorridergli, mentre si affrettò a riprendere la zappa.
"F-Forse... la v-voce..." Disse Brangor massaggiandosi la gola, mentre tossiva sempre meno. "Dev'essere una cazzo di strega." Pensò.
"Bene." Rispose la donna, gli occhi come ghiaccio.
Rimasero entrambi in lungo silenzio. 
"Non sei incline ai ringraziamenti?" Disse d'un tratto la donna con tono minaccioso.
"Beh..." Si limitò a dire il Nord. Brangor voleva farlo, ma tra il dire e il fare c'era un abisso profondo. "Grazie." Pensò. "Ma un uomo non ringrazia con le parole. Lo fanno solo le donne. E' una cosa da femmine, da deboli. E io che pensavo che le donne fossero buone solo a scopare e cucinare." Ma non lo disse. 
La donna serrò gli occhi, inclinò leggermente la testa di lato come se gli stesse scrutando la mente. "Hai oro per pagarmi?" Disse infine in tono grave, quasi con fare offeso.
"Pagarti?" Rispose Brangor perplesso.
"Diversamente da mio padre," La donna lo indicò con la testa. "non curò la gente per bontà d'animo, specialmente i tipi come te."
"Fottuta puttana strega!" pensò Brangor. Poi disse: "Ho l-lasciato le mie monete dove m-mi hanno..."
"Le monete del mio amico l'ho prese io, dico... Sì, sì." Disse Fredor, la zappa nelle mani.
Brangor si accigliò.
"Stavi origliando, padre?" Chiese stizzita la donna.
"Io ascolto silente come ascoltano gli alberi, dico... Sì, sì." Il Vecchio andò dietro a una pila di fieno. Rimase lì per qualche secondo, mentre Brangor e la donna si lanciavano occhiatacce. Poi uscì fuori con un borsa di monete. Li raggiunse. "Non ho rubato niente, dico... Sì, sì. La mia Brema, tua madre, non rubava, dico... Sì, sì." Lo diede a Brangor, che si fidava della parola del vecchio.
"Ora hai le monete." Disse la donna guardando con occhi cattivi il Nord. "50 Septim." Allungo una mano, il palmo rivolto in alto.
Brangor sbuffò. Aprì il borsa di monete e lentamente si mise a contare i danari. "Accidenti a te!" Disse poco dopo. "Tieniti tutto!" Lo gettò ai piedi della donna. 
La donna gli fece un sorriso mellifluo, prese il sacchetto, estrasse 3 septim e li posò sul giaciglio di paglia. "Questi tre sono di troppo."
"Per caso ti puzza l'oro?" Disse Brangor in un impeto di rabbia perché si sentiva ingannato.
"A differenza tua, io sono onesta." Rispose la donna. "Ti si legge in faccia che sei un mercenario prezzolato. 50 Septim sono briciole per te, anzi, che dico, non sono niente."
"Stupida puttana!" Pensò Brangor. "E' una fottuta strega! Una megera! Forse mi legge pure nella mente!"
"Non sono né una puttana né una megera!" Disse la donna, sprizzando fuoco dagli occhi e confermando i sospetti del Nord. 
Brangor spalancò gli occhi ammutolito, sorpreso, oltre che vagamente spaventato.
"La mia Brema, tua madre, non era una Megera, dico... Sì, sì." Aggiunse Fredor alla parola 'megera'. Poi tornò ai suoi allenamenti.
"Fosse dipeso da me," Disse la donna a Brangor. "ti avrei lasciato agonizzare lì finché non saresti morto!" Lo fulminò con lo sguardo. "Per tua fortuna hai incontrato mio padre. E sì, ti leggo la mente. So tutto di te e della tua sporca missione."
"Missione, dici... Sì, sì." Fredor si voltò, smettendo di allenarsi. "Una missione per me, dici... Sì, sì."
La donna fece un lungo respiro, si calmò. "Devi annaffiare le piante dei pomodori, padre." Gli disse con un sorriso dolce. "E' una missione di importanza vitale. L'intero mondo è nelle tue mani. Devi annaffiarli, altrimenti i cattivi bruceranno la terra."
Fredor, felice come un bambino, lasciò cadere la zappa sulla paglia e corse zoppicando fuori dal fienile.
La donna si voltò verso Brangor. "Tu non mi piaci! E il tuo passato ancor meno!" Disse. "Avrei tante cose da dirti sul tuo conto, ma perderei solo tempo." Si alzò in piedi, fece qualche passo davanti a sé e si fermò, dando le spalle al Nord. "Partirai alle prime luci dell'alba."  
Per la prima volta in vita sua, Brangor non si era fatto trascinare dalla rabbia. Le parole della donna gli erano arrivato come dardi letali fino dentro l'anima, lasciando spazio a una domanda che non avrebbe posto in altre circostanze. "Perché fai tutto questo per tuo padre?"
La donna corrugò la fronte. Non sapeva se rispondergli o meno. "Al mio posto avrebbe fatto la stessa cosa." Lasciò il fienile.



   
 
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