Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Segui la storia  |       
Autore: Ellie_x3    08/09/2019    3 recensioni
“Oh, qualcuno qui è stupido~?”
“Hah!? Chi stai chiamando stupido?!”
“Non è colpa di chibikko, dopotutto non c’è tanto spazio per i neuroni in una testa così piccola...”
Chuuya trattenne il respiro.
“...E poi tutti sanno che le baby gang non sono particolarmente intelligenti!”

[5+1 Volte in cui Dazai ha deluso Chuuya, e una in cui (incredibilmente) ha superato le aspettative; Questa storia partecipa alla Teen! Challenge indetta sul gruppo facebook Il Giardino di Efp]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Michizou Tachihara, Osamu Dazai
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Softer, Softest
-
5 Times Dazai Disappointed Chuuya (and That One Time He Surpsiginly Didn’t)





5 + 1 
Vicini di banco ma non si sopportano 
-


 

Alla soglia dei quindici anni, Nakahara Chuuya aveva imparato che l'esistenza di un adolescente si poteva riassumere in un intreccio di momenti che non sarebbero mai tornati indietro, test di fine trimestre, lividi che non svanivano mai abbastanza in fretta e di conoscenze di merda. Ora, entrambi i suoi genitori avevano abbassato le aspettative riguardo una futura carriera letteraria del loro unico figlio di fronte a tale, poco raffinata definizione, ma Chuuya aveva avuto la prova della verità di quello che aveva sempre sostenuto anche troppo presto.
Tutti i suoi problemi erano iniziati quando succitata esistenza era stata abbastanza impietosa da mettere sulla sua strada la peggiore imitazione di uno shinigami che la natura potesse abortire: con un paio d'occhi vuoti, un sorriso che poteva tagliare la carta ed una fastidiosa attitudine ad avere sempre ragione, il poster boy delle ‘conoscenze di merda’ gli si era presentato davanti senza che nessuno glielo avesse chiesto e non aveva mai smesso di far pentire Chuuya del momento in cui aveva avuto la sfortuna di conoscerlo (ugh. Pessima, pessima idea).
Tale shinigami si era appropriato del banco vicino alla finestra — il suo banco, aveva realizzato il ragazzo, che era stato in quella stessa classe l’anno prima — il primo giorno di terza media e si stava allentando la cravatta dell’uniforme come se lo stesse strangolando.
Più tardi avrebbe scoperto che Dazai Osamu aveva un debole per qualunque cosa lo strangolasse, a causa di un'inquietante predisposizione al suicido su cui Chuuya aveva preferito glissare, ma non per l’uniforme scolastica, né per i professori o qualunque cosa reputasse noiosa. Avrebbe anche scoperto (non che l’avesse chiesto) che bende bianche facevano capolino da sotto le maniche e gli avvolgevano il corpo, che Dazai aveva la brutta abitudine di commentare le lezioni ad alta voce e che era un insopportabile marmocchio so-tutto-io, rumoroso e con una vena di crudeltà che mal celava dietro la patina opaca che gli velava lo sguardo.
Ma in quel momento, prima di avere anche solo vagamente idea dell’orrore in cui si stava cacciando, Chuuya aveva agito senza pensare, calciando riottosamente la gamba del tavolo e sbattendo entrambe le mani su quello che era stato il suo banco.
“Oi, moccioso. Trovati un altro posto.”
Il ragazzo — lo riconobbe vagamente nella classe di Tachihara l’anno prima, ma il nome era uno spazio bianco nella sua mente— alzó su di lui due occhi spenti.
Per un secondo Chuuya dovette ricordarsi della propria reputazione per non indietreggiare; quello dopo, Dazai stava sorridendo.
“Ah, Nakahara Chuuya-kun, buongiorno.”
Un brivido lo attraversò da capo a piedi.
Questo tizio potrebbe tagliare la gola a qualcuno prima della fine dell’ora. 
E Chuuya ne sapeva qualcosa, di violenza: non si diventava capo di una gang vincendo a biglie e spacciando caramelle.
“Come sai il mio nome?”
Sbattendo le palpebre, Dazai lo fissò per qualche secondo prima di indicare la porta d’ingresso della classe e il foglio che vi era appeso. Aveva anche il coraggio di sembrare ingenuo.
“Ho letto l’appello. Non eri tu che venivi in classe a cercare Tachihara Michizou, l’anno scorso?”
Chuuya esitò. Maledizione, aveva una buona memoria.
E degli occhi vuoti come quelli di un pesce, aggiunse una vocina nella sua mente. Quegli occhi da pesce lesso, da sgombro, da shinigami gli facevano venire voglia di rinunciare al banco e scappare, eppure allo stesso tempo non aveva mai incontrato una persona che urlasse ‘picchiami’ come il ragazzino.
“E allora?!” replicò, più bruscamente di quanto avrebbe voluto.  
“Nulla,” replicò il ragazzo, con un sorrisetto e una scrollata di spalle “pensavo fosse chibi ad avermi parlato per primo. Cos’è che volevi?”
“Devi lev— Oi, chi stai chiamando chibi!?” 
Il ragazzo lo guardò, inclinando il capo; lentamente, deliberatamente.
“Dovresti bere più latte se vuoi crescere, o-chi-bi.”
“Levati dal mio cazzo di banco, spreco di bende!”
Tutti gli occhi erano su di lui, immobilizzando gli studenti che si stavano scegliendo i propri posti diligentemente e studiando in silenzio i compagni di classe con cui avrebbero trascorso l'ultimo anno di medie e riconoscendo in Chuuya il peggiore dei teppisti.
Ma lo sgombro no, lui non lo guardava nemmeno. 
“Non ne ho alcuna intenzione,” dichiaró, amabilmente. Chuuya sussultò nel discernere una punta di gelo in quel tono stranamente delicato, come se gli stesse allungando un regalo ma con dentro una bomba, “ma chibi è il benvenuto a sedersi nel banco accanto al mio, così non sentirà la mia mancanza.”
Un ragazzino pallido che stava per posare la propria borsa sul tavolo in questione scivoló via in fretta, bianco in viso e occupando l’ultimo posto libero nella classe. Fantastico.
Chuuya sbuffó, incrociando le braccia al petto. 
“Perché non ci vai tu?”
“Uh? Perché sono già seduto?” flautò il ragazzo, la nota dura di minaccia sotto il sorriso che gli arricciava le labbra, “non abbaiare tanto e fai il bravo, Chuuya-kun.”
“Bastardo,” masticò, la mascella serrata per l’orrore e la sorpresa che qualcuno avesse davvero il coraggio di rispondergli in quel modo, ma Dazai aveva posato il capo contro il vetro della finestra e lo guardava con un’espressione quieta, gelida.
“Su, chibi. Va’ al tuo posto.”
“Non finisce qui,” promise, nella vaga speranza che il dito accusatore che gli aveva puntato contro smuovesse la sicurezza di coso, mummia-troppo-cresciuta.

Non so neanche il suo nome.
Cazzo me ne frega del suo nome, è una macchina spreca bende.

Nella scuola in cui aleggiava la fama che il re della Pecora si era costruito in due anni di scorrerie con il suo gruppo di amici e compagni, chiunque avrebbe abbandonato la classe — no, la città, l’universo. Invece, lo sgombro troppo cresciuto rispose con un sorriso.
Era quel tipo di espressione che Chuuya semplicemente sapeva che l’avrebbe torturato nei suoi incubi. Era un sorriso vuoto, occhi vacui come quelli di una bambola in un film horror. 
“Me lo auguro, Chuuya-kun.”

 

*

“Chibi, buongiorno!” 
Sentendo qualcosa pesargli sul collo, Chuuya drizzò la schiena con abbastanza foga da sentire i muscoli intorpiditi schioccare. Irritato — lui stava studiando, stava decisamente srudiando con impegno e forza di volontà, non si era affatto appisolato — agitó con veemenza le braccia per allontanare l’insetto troppo cresciuto che aveva cominciato a ronzargli attorno.
Da quando erano vicini di banco, la vita di Chuuya era stata un inferno — ma non era quello il compito degli shinigami, rendere l’esistenza umana miserabile?
“Oi, non mi toccare, kuso Dazai,” abbaió mentre l’altro scivolava nel banco accanto alla finestra con una risata allegra, posando la borsa accanto alla sedia.
Chuuya gli lanciò una penna per il puro divertimenti di vederlo schivare oggetti senza quasi accorgersene, e come immaginava l’altro l’afferrò al volo prima che potesse colpirlo.
Prima che Dazai arrivasse, la classe era vuota e calma; solo Chuuya, corridoi ancora vuoti ed una stringa dopo l’altra di numeri e lettere che non avevano alcun senso logico. Prima che Dazai arrivasse, la testa di Chuuya era stata pesante e si era ritrovato più volte a scrollarsi di dosso un sonno pesante come un macigno e a sbattere le ciglia che parevano incollarsi l’una all’altra, senza sapersi spiegare come potevano già essere passati venti minuti quando era certo di aver chiuso gli occhi solo per qualche secondo.
Prima che Dazai arrivasse, aveva forse qualche speranza di finire in tempo.
“Così di cattivo umore di mattina presto, chibikko?”
“Non ho finito nessuno degli esercizi di algebra,” replicò Chuuya, aggrottando le sopracciglia e abbassando gli occhi sul libro aperto di fronte a sè, “Non ci capisco niente.”
Dazai sogghignó.
“Oh, qualcuno qui è stupido~?”
“Hah? Chi stai chiamando stupido?!”
“Non è colpa di chibikko, dopotutto non c’è tanto spazio per i neuroni in una testa così piccola…”
Chuuya trattenne un respiro, e ingoiò al contempo una valanga di insulti che gli premevano contro le labbra al solo pensiero di condividere lo spazio e la giornata con quella zecca di Dazai.
“…E poi, tutti sanno che le baby gang non sono particolarmente intelligenti!”
Chuuya decise di non sentirsi in colpa quando il libro che aveva lanciato colpí Dazai nel mezzo della fronte. 

 

*

 

“Chuuya, dovevi dirci che sarebbe rimasto un tuo amico a dormire.” 

Chuuya sentí le guance in fiamme nel momento in cui registrò l’orribile grembiule rosa che suo padre indossava sopra il completo elegante, una mano che sollevava la padella sopra un nuovo servizio di piatti (giallo? di nuovo?) e l’altra cristallizzata nell’atto di servire una piccola torre di pancakes. Se il profumo familiare del burro, della marmellata e del caffè che aleggiava nella cucina era stato sufficiente a fargli leccare le labbra secche, riempiendo la cucina dell'odore non dissimile da una di quelle panetterie francesi in cui i suoi genitori amavano trascorrere la mattinata nei weekend, quella vista gli fece rimpiangere di essere mai uscito dalla propria camera.
Era improvvisamente conscio di Dazai accanto a sè, dell’occhiata laterale che gli aveva lanciato e del sorriso che gli si era formato sulle labbra.
“Scusate, abbiamo fatto tardi,“ salutò, a denti stretti.

 

“Quindi i tuoi genitori sono scrittori?”
“Mh-h, poeti.”
“Questo spiega perchè Chibi non sa da dove partire con le materie scientifiche, eh~?” con il minimo movimento, Dazai aveva schivato il cuscino che Chuuya gli aveva lanciato.
“Kouyou-nee studiava medicina, sapientone.”
Si accorse di aver detto troppo nel momento in cui le pupille di Dazai si strinsero e le sue labbra si piegarono in una v rovesciata; la curiosità lo faceva assomigliare ad un gatto, in una maniera bizzarra che Chuuya non avrebbe saputo spiegare.
“Che sarebbe tua sorella?”
Facendo schioccare la lingua, infastidito dalla propria stupidità nel lasciarsi sfuggire particolari della propria storia personale con qualcuno che li avrebbe probabilmente divulgati per tutta la scuola per metterlo in imbarazzo, Chuuya si ritrasse sul letto e si abbracciò le ginocchia.
“Kouyou-nee non è mia sorella di sangue,
ovviamente,” spiegò, abbassando lo sguardo. Se si sforzava, riusciva a ricordare il profumo di fiori freschi nella stanza della donna, e il suo sorriso imperscrutabile, “è un’amica di famiglia. Si è sempre presa cura di me quando i miei erano in Europa.”
“Chuuya aveva una cotta per lei?” incalzò Dazai, lasciando cadere la domanda fra loro con delicatezza quando l’altro si sarebbe aspettato un atteggiamento diverso, più sfrontato. Sorpreso, sbattè le palpebre.
Kouyou-nee aveva abbandonato l’università per sposarsi. Non la vedeva più molto, da allora, ma era felice e a Chuuya non mancava così tanto se pensava che un giorno sarebbe potuto essere contento quanto lei.
“No, no,” si affrettò a spiegare, “è solo una persona importante nella mia vita. Quindi, idiota, il lavoro dei miei genitori non vuol dire niente.”
“Ah, quindi Chibi mi sta dicendo che non è colpa di nessuno se lui è stupido! Quanto altruismo~”

Un altro cuscino che mancava Dazai per un soffio, un’altra risata che riempiva la stanza.
“Bastardo!”
“Sì, sì, chibi, continua ad abbaiare finché non ti senti soddisfatto. Comunque ci mancano ancora tutti gli esercizi di algebra, quindi qui finiremo tardi.”
Chuuya aveva sbattuto gli occhi, sorpreso dal modo in cui lo sguardo di Dazai era volato alla finestra, lo sguardo che vagava in qualche angolo buio in cui Chuuya sentiva non poterlo seguire ed il tono piatto di chi non vuole tornare a casa.
Non perchè è troppo tardi, ma non vuole e basta; non c’era davvero molta scelta a quel punto, no?
“Vuoi restare?”

Arthur alzò a malapena lo sguardo dalla propria tazza fumante, già con indosso il cappotto e pronto per uscire, lanciando un’occhiata veloce prima al figlio e poi al marito; Arthur Rimbaud sapeva di aver sposato una macchina programmata per viziare il loro unico figlio e insegnarli qualsiasi canzone di Édith Piaf reperibile nel vasto, oscuro mondo dell’internet, lo sapeva. Sapeva anche che Paul Verlaine era una drama queen e che la sua malsana passione per i vini pregiati avrebbe educato Chuuya ad una raffinata ma precoce tendenza all'alcolismo -- come se il ragazzo avesse bisogno di ulteriori spinte verso l'illegalità.
Lo sapeva: questo non voleva dire che non se ne pentisse giornalmente.
“Paul, quando abbiamo permesso a Chuuya di portare amici per la notte?” domandò, in quel tono laconico che aveva modulato negli anni in cui era venuto a patti con il fatto che educare un ragazzino non sarebbe stato semplice come gli avevano sempre detto.
Paul si scrollò la domanda di dosso.
“Non l’abbiamo fatto.”
“Appunto,” gli lanciò un’occhiata e Chuuya sentí le guance diventare ancor più bollenti, se possibile. Maledizione.
“Posso spiegare.”
“Dopo la scuola, mon cher. Ora tutto quello che serve ora è un piatto in più,” decretò Paul, semplicemente.
Chuuya avrebbe voluto trascinare Dazai fuori di casa ben prima di dover sottostare ad altre scene imbarazzanti, o ancor peggio dovendo spiegare ai genitori il motivo per cui lo spreco di bende si era fermato a casa sua prima che potesse avvertirli, ma il suddetto shinigami era al suo fianco con un sorriso dipinto sul volto e le guance tinte di una delicata sfumatura di rosa che Chuuya non sapeva se definire imbarazzo o gioia.
Era una novità — una novità orribile, considerato che ora entrambi i suoi padri erano convinti che stesse nascondendo loro una cotta, ma pur sempre qualcosa di nuovo.
Eppure era innegabile che, con il colletto della camicia dell’uniforme spiegazzato e i capelli a malapena pettinati che gli cadevano in ciocche disordinate sul volto, Dazai sembrava una persona normale. Chuuya sentí un nodo stringergli lo stomaco.

Con uno sbuffo, aveva lanciato la coperta sulle spalle di Dazai e gli si era accoccolato accanto sul letto. Si era sorpreso di trovare calore dove si era aspettato solo gelo e spalle ossute.
Da quanto l’idiota non dormiva, per crollare sul fottuto libro di francese?

“Dormi, stupido mackerel,” aveva brontolato, affondando un sospiro esasperato nel cuscino che condividevano. 
Ho finito gli esercizi di algebra, aveva pensato prima di scivolare nel sonno, e tutto per questo sgombro maledetto.

“—mu, piacere di fare la vostra conoscenza. Io e Chuuya siamo compagni di banco!” 
Gli occhi di Arthur si posarono sul figlio, poi su Dazai; il ragazzo vi scorse una scintilla di sorpresa.
“Credevo i banchi fossero separati?” mormorò, cercando il sostegno del marito con un’occhiata laterale.
“La sanguisuga qui è accanto al mio banco,” replicò Chuuya, inarcando un sopracciglio in direzione di Dazai, che aveva il sorriso di un bambino il giorno di Natale come se non fosse una minaccia per la società ambulante e il principale assassino dei neuroni dell’intero corpo insegnanti.
“Oh. Piacere, Dazai-kun.”
“Siediti, siediti! Non stare lì, fai come se fossi a casa tua,” lo invitò energicamente Paul, ignorando il fatto che il ragazzino non aveva atteso altro e fosse già praticamente incollato alla tavola come se ne avesse sempre fatto parte. Chuuya lo conosceva abbastanza da cogliere la ritrosia sotto la maschera allegra, a questo punto, ma non si sarebbe mai aspettato che l’offerta di suo padre fosse accompagnata da tutto quell’entusiasmo e da un inchino appena accennato, ma ricco di gratitudine. Ogni stilla di educazione e gioia sincera da parte di Dazai lo colpiva come un pugno allo stomaco.
“Grazie per l’ospitalità. Mi dispiace di intromettermi così, abbiamo studiato per i test di fine trimestre.”
“Questa sí che è una novità,” Replicò Arthur, arricciando il naso in direzione di Dazai. Un leggero sorriso che gli addolciva i lineamenti, “è bello vedere che Chuuya si è fatto degli amici in classe così presto.”
“Siamo molto amici~” sostenne il ragazzo, con una disinvoltura che sembrò gelare l'intero mondo attorno a Chuuya.
Il bastardo mentiva come un adulto. Che odio.
“Oi, Daza—”
“Aspetta un momento…” un gasp leggero, le sopracciglia bionde di Paul Verlaine che si univano sulla sua fronte aggrottata, “Chuuya! Non ti abbiamo cresciuto per nasconderci certe cose!”
“Papà! No!”
Arthur arricciò il naso.
“Non è un po’ presto per questo genere di...?”
“Papà!!!”
“Io e Chuuya siamo solo amici,” assicurò Dazai, con una punta di malizia che un pre-adolescente non avrebbe dovuto conoscere e che, di nuovo, costrinse Chuuya ad abbassare lo sguardo sin troppo cosciente del bollore delle proprie guance.
“Se le cose stanno così, Dazai-kun, sei il benvenuto tutte le volte che vuoi.”
Imbarazzante, pensò Chuuya, tutta questa situazione è imbarazzante.
Uccidetemi ora.
“Chuuya, non ci hai detto di avere un amico così beneducato.”
“Arthur, non tutti gli amici di tuo figlio sono dei teppisti.”
Dazai è il più teppista di tutti, papà.
“Paul, tuo figlio è il capetto dei teppisti.”
Le labbra di Arthur erano già socchiuse per aggiungere qualcosa, la fronte aggrottata come per ricordare che la situazione non era ottimale nonostante la presenza del soggetto delle lamentele di fronte a loro, ma entrambi vennero catturati dall’espressione estatica di Dazai. Con la bocca piena di pancake e le guance gonfie come quelle di un criceto, il ragazzino rivolse a Chuuya due occhi luccicanti. 
“Chuuya!"
Chuuya si odiò per il modo in cui il suo corpo aveva reagito.
"COSA?!"
"Nee, chibi mi aveva mai detto di avere un padre così bravo in cucina! Aaaa, ora ti invidio ancora di più~”
“Invidiarmi?! Che diavolo stai dicendo, kuso Dazai?”
“Chuuya,” lo riprese Arthur, a mezza voce, in quella che sapeva essere una battaglia già persa contro le imprecazioni del figlio; Chuuya sussultò, mordendosi le labbra, “Dazai-kun, grazie per avere pazienza con Chuuya ed aiutarlo a a studiare.”
“Niente, niente! È un mutuo beneficio~ Ehy, Chuu~ya, non fai colazione?”
Non l’aveva mai visto così…infantile. Normalmente, il solo accostare quel particolare aggettivo agli occhi vuoti di Dazai gli faceva correre un brivido lungo il corpo.
La sera prima, con le ciglia che gli sfioravano le guance e il respiro regolare che muoveva l’angolo della pagina su cui si era addormentato, e quando conversava con i suoi genitori come se fosse di casa da una vita Dazai sembrava un ragazzino qualsiasi. Contro ogni fibra di buonsenso che gli era rimasta, Chuuya sentí il nodo allo stomaco stringersi e il volto sereno dello spreco di bende addormentato gli sfarfallò di fronte agli occhi, sovrapponendosi all’orribile Shinigami che aveva imparato a conoscere.
Peccato che il risveglio fosse stato fastidioso come ci si poteva aspettare, con Chuuya che lo buttava giù dal letto (“Chuuya~ ~ Non ti pare un modo troppo violento per svegliare Biancaneve?”, “Hah?! E da quando saresti Biancaneve, kuso Dazai? Muoviti, stupida principessa, siamo in ritardo!”) quando si rendeva conto che lo sgombro maledetto si era addormentato prima di aver impostato la sveglia e l’aveva distratto abbastanza con la sua stupida faccia — e la sua stupida bava, e lo stupido respiro e lo stupido modo con cui brontolava di granchio nel sonno — per ricordarsi di caricare il cellulare.
Sedendosi a tavola senza una parola, si disse di non farci l’abitudine. Erano solo vicini di banco che non si sopportavano, persone (quasi) adulte che dovevano respirare la stessa aria per qualche ora ogni giorno.
I ragazzi della Pecora erano i suoi veri amici, il suo gruppo e la sua famiglia; erano i compagni che lo apprezzavano, e che avevano bisogno di lui. Quel fastidio ambulante di Dazai Osamu, lo shinigami con gli stessi occhi morti di un pesce, non sarebbe rimasto nella sua vita abbastanza a lungo da permettergli di abituarsi a quell’espressione fastidiosamente umana sul suo viso.



Note:

Come da titolo, il prompt di questo capitolo è: "Vicini di banco, ma non si sopportano." 

Devo smetterla di pubblicare a nastro, sono una rompipalle LOL con questa vado piano, giuro, è finita e la aggiorno con calma. Ma ho colto l'occasione dell'iniziativa estiva del Giardino per sviluppare un trope che adoro, ovvero Verlaine e Rimbaud che adottano Chuuya in una Modern!AU, e dovevo necessariamente agire prima della fine dell'estate. 
Nonostante sia 10/10 una Soukoku ci saranno altre coppie oltre ai SKK, in particolare Tachuu che adoro e si meritano amore, quindi be mindful <3 

Come sempre, un grazie enorme e un biscotto a chi legge, a chi commenta, a chi inserisce nelle liste e anche solo a chi sopporta il modo in cui sto intasando il fandom in questo periodo 🖤 Vi si vuole bene!

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: Ellie_x3