À Demian
Capitolo diciottesimo
Normalità, quasi
Gli occhi bruciavano e la guancia
formicolava, la medesima impressione di un arto addormentato sotto un
peso
eccessivo. Demian rotolò sulla pancia e infossò
il volto nel cuscino, ci sprofondò
dentro con una certa soddisfazione e ci si sfregò contro
come un gatto
indolente, facendo le fusa.
Era a pezzi, nonostante la dormita moriva
ancora di sonno, gli sembrava che ogni arto fosse dislocato, staccato
dal suo
corpo, rifiutava categoricamente di alzarsi solo perché uno
stupido e
dispettoso raggio di sole era riuscito in qualche modo a penetrare le
imposte
per andare a sbattere contro la sua faccia.
Stava per riaddormentarsi quando, con suo
disappunto,
sentì che la coperta gli veniva lentamente sottratta.
Arrancando a tastoni e
occhi chiusi ne afferrò un lembo e tentò
malamente di ricoprirsi.
Più tirava più quella
però opponeva
resistenza.
L’irritazione cresceva, ma era ancora
troppo
deciso a non rimuovere la faccia dal cuscino per ragione alcuna, anche
se
questo implicava la perdita del piumino con quel freddo.
Lasciò perdere la coperta che gli venne
rapidamente tolta del tutto e si rannicchiò con le ginocchia
al petto, in posizione
fetale, per cercare di scaldarsi il più possibile. Quella
casa,
sfortunatamente, era una ghiacciaia, non avere
l’abitabilità e un sistema di riscaldamento
non era un problema per Nicolas, che sembrava sopravvivere di se
stesso, ma
inficiava tutti gli altri. Spilli di gelo iniziarono a penetrargli nei
vestiti
con spietata precisione, acuiti dall’eccessiva
umidità, fino a quando, esasperato,
Demian si mise a sedere con un’imprecazione soffiata a denti
stretti.
Il divano sgangherato della saletta era duro
e pieno di bozzi, Dave dormiva a terra, sul tappeto lurido, avvolto nel
suo piumino
come in un bozzo. La televisione ancora accesa trasmetteva programmi
del
mattino, i cartoni che guadava con sua sorella durante la colazione. In
quel
momento andava in onda Lady Oscar e questo gli permise di stimare, con
una
certa disperazione, che dovevano essere circa le sette e mezza del
mattino.
Come diavolo sono riuscito
a svegliarmi così presto?
Incenerì con la sua occhiata
più ostile l’imposta
incriminata, rotta e impossibile da chiudere del tutto.
È colpa tua, se anche oggi
non dormirò un cazzo e sembrerò uno zombie
strafatto più del solito
Barcollando, avvolto da un intontimento in
crescendo, scavalcò il cumulo di coperte e cuscini che
dovevano celare Davide,
da qualche parte, e attraversò il corridoio per raggiungere
quel tentativo di
cucina che era la rimessa. La casa di Nicolas era fatiscente, bastava
entrare
per capire che il proprietario di pulizie e manutenzione non se ne
preoccupava.
Dominava il puzzo di fumo, aria viziata e vomito, una commistione di
odori che
prendevano alla gola. I mobili erano pochi e spaiati, in uno stato di
usura tale
da provocare disagio. Il cucinino era costituito da un mobile a
cassettoni su
cui poggiava un vecchio fornelletto da campeggio. Una piccola credenza
e due
scaffali di metallo con scorte di conserve in scatola completavano il
quadro
desolante, insieme ad un frigo in miniatura. Quando Dem
iniziò a frugare nei
vari scomparti, alla ricerca di cibo, per poco un’anta non
gli rimase in mano. Fissò
l’oggetto con sgomento qualche istante, il fiato trattenuto
che veniva liberato
in un sospiro di rassegnazione.
È già tanto che i mobili
ci siano ancora
I drogati avevano il vizio di venderli per
farsi una dose in più, in genere, ma effettivamente Nico non
aveva bisogno di
arrivare a tanto per un grammo, aveva così tanti soldi che
quella casa malmessa
a conti fatti sarebbe risultata inspiegabile, se Demian non avesse
scoperto
tempo prima che veniva usato come piccolo deposito di partite di droga
dallo
zio. Dopo aver controllato ogni anfratto e aver verificato che di
viveri non ne
avrebbe trovati nemmeno per errore, salvo piselli e carotine Bonduelle,
valutò
il frigo stipato di birre con una certa tentazione.
Forse cominciare a bere a
quest’ora è troppo anche per me, valutò richiudendo lo sportello con un
certo
rammarico. Rinunciato alla birra, decise di uscire per procacciarsi la
colazione, perché Davide russava troppo e ad ogni rumore di
bocca
corrispondeva, in maniera imbarazzante, un peto. La sala era una camera
a gas.
Si rifugiò in bagno, giusto per
gettarsi un
po’ d’acqua gelida sul volto e non uscire di casa
con l’aria stordita da
pessimo elemento – che comunque non riuscì a
eliminare grazie alle occhiaie
profonde –, indossò lo zuccotto nero ed il
cappuccio e abbandonò rapidamente l’abitazione.
Ad occhi bassi, potè solo appoggiare il piede sul primo
gradino che per poco
non rischiò di essere travolto da una ragazza.
Riuscì ad aggrapparsi al corrimano
di ferro arrugginito appena in tempo per fermare il clamoroso ruzzolone
di
entrambi grazie al gridolino d’allarme che le era sfuggito.
L’impropero gli morì in gola
di fronte agli
occhioni da cerbiatta spaurita di lei.
Cazzo, ho rischiato grosso
Nicolas lo proteggeva, ma fosse successo
qualcosa a lei in sua presenza,
gliel’avrebbe fatta pagare con una
cattiveria che Demian non voleva nemmeno immaginare. Le avesse torto la
più inutile
doppia punta sarebbe morto male.
«Oddio, Demian! Sei tu! Mi hai
spaventata a morte!» esclamò con la mano sul cuore
e le guance sgargiantemente
arrossate. Aveva i capelli rossi raccolti nella solita treccia severa,
gli occhiali
a coprire il mare di lentiggini spruzzate sul naso; il volto a cuore,
senza la
minima traccia di trucco, illuminato dal sollievo, il maglione a collo
alto,
sformato, beige, e la gonna lunga che la faceva sembrare ancora
più piccola
della sua piccola altezza.
Restava sempre un metro e un tappo di rigore
e diligenza, era questo che pensava di lei.
Arrangiò subito un sorriso di cortesia
velato d’urgenza.
«Ciao Lisa, come mai già
sveglia?»
Era un tacito e comune accordo essere
gentili e disponibili con lei, una questione di sopravvivenza. Per
qualche
strana congiunzione astrale, Lisa era un’amica
d’infanzia di Nicolas oltre che
vicina di casa. Nico parlava sempre di lei con una dolcezza estraniante
alla sua
figura, la adorava e provava per lei un rispetto ed un affetto che
Demian non gli
aveva mai visto riservare a nessuno. A volte, aveva pensato che a modo
suo, un
modo distorto dalla sua percezione instabile della vita, Nicolas la
amasse,
però poi lo vedeva trastullarsi con molte ragazze senza mai
considerare Lys
oltre l’aspetto emotivo, e quindi non ne era più
stato tanto sicuro.
Probabilmente,
rappresenta semplicemente l’ultimo frammento di famiglia che
gli resta, l’ultimo
brandello di un’umanità scialacquata nella
violenza. D’altro canto, Lisa lo
adora, tra un rimprovero e un sorriso ha per lui la stessa indulgenza
di una
madre
Lisa mostrò timidamente il sacchettino
che stringeva tra le mani e abbozzò un sorrisino imbarazzato.
«Stavo portando la colazione a
Niki»
mormorò, le guance rubiconde.
Solo lei può chiamare
un instabile, violento, sadico ed insensibile spacciatore
“Niki”, con un simile
candore
«L’ho sentito rientrare
stanotte. Non sapevo
ci fosse anche tu, non ti ho portato nulla» si
scusò, diventando se possibile
ancora più rossa.
In difficoltà, Demian scosse la testa
«Ci
siamo solo io e Dave. Nico… beh, diciamo che non
c’è»
La delusione si dipinse negli occhi grigi
della ragazza, una sfumatura metallica simile all’argento, ma
subito tentò di
dissimularla.
«Sai dove ha passato la
notte?» domandò
a voce tanto labile che Demian stentò a capirla.
Come glielo dico che
il suo adorabile “Niki”, puro e candido amichetto
d’infanzia, è in stato di fermo
in attesa del giudice?
Non c’erano problemi, probabilmente suo
zio era già intervenuto insieme ai suoi avvocati ben
retribuiti per farlo
uscire pulito da qualunque faccenda, un grande classico.
Il problema è Lisa,
odio rifilarle certe sciocchezze, la feriscono
Prese una grande boccata di ossigeno
«È
rimasto da una sua amica» mentì, imbastendo la
più banale ed efficace delle scuse.
Lisa divenne mortalmente pallida, le efelidi sembravano più
scure e definite, una
manciata di semi in campo bianco. La ragazza accennò ancora
un sorriso
compassato.
«Il solito Don Giovanni»
constatò
guardandolo negli occhi con una tale intensità che, per un
istante, Demian pensò
che la sua ingenua menzogna fosse stata smascherata, che lei sapesse
fosse una
bugia bella e buona, la balla che tutti le propinavano quando Nicolas
spariva.
«Hai lezione ora?»
Lisa scosse la testa «Solo nel
pomeriggio
oggi»
Demian le porse cavallerescamente un
braccio, da bravo gentleman, e sperò di non puzzare tanto da
risultare sgradevole
«Allora ti offro io la colazione, visto che Nico non
c’è»
Lys esitò un istante, poi schiuse le
labbra in un sorriso più sincero e tremendamente imbarazzato
e si affrancò a lui
con la delicatezza di un uccellino.
Fosse stata Annie,
il braccio me lo avrebbe staccato
Il confronto immediato era stato
spontaneo. Lisa non era così, non era irruente ma discreta,
quasi anonima, un’apparenza
fragile che celava una volontà d’acciaio. Era
grazie a quella sua volontà che
era riuscita a diventare tanto cara a Nicolas e a restare, nonostante
tutto, l’unica
persona di cui il mostro si fidasse e a cui avrebbe dato tutto. Andava
all’università,
studiava per diventare farmacista come sua madre per ereditare
l’attività di
famiglia: s’impegnava con tanta dedizione da provocare
disagio a volte, perché chiunque
accanto a lei si sentiva inetto e svogliato. Capitava che la trovassero
a casa di
Nico, di tanto in tanto, seduta al suo tavolo con una biro incastrata
dietro l’orecchio,
l’evidenziatore nella mano e un libro davanti a sé
da cui non distoglieva lo sguardo
un solo istante, con Nicolas sempre lì accanto che non
faceva altro che ingurgitare
caffè. A vederla, d’improvviso veniva quasi voglia
anche a loro di tirarsi
insieme, di decidersi a riprendere in mano i libri per combinare
qualcosa, perché
fatto da lei sembrava davvero avere un senso.
Una specie di Beatrice dantesca, di donna
angelo che ammansiva anche l’animo più brutale con
la sua timidezza e i suoi saluti
appena accennati.
Fuori da quel complesso di cemento soffocante
l’aria era frizzante, corroborante, limpida come dopo una
nevicata e con il
medesimo profumo impresso sulle cose. Demian riempì i
polmoni più che poté
prima di espirare: insieme all’anidride carbonica si sentiva
svuotato di un
grande peso che aveva premuto per tutta la notte sempre lì,
sulla bocca dello
stomaco, causandogli un malessere costante di cui ormai stentava ad
accorgersi,
tanto sapeva essere spaventosa l’abitudine.
Quando il male
diventa abitudine, è la fine, vero?
Le pensiline erano gremite di studenti
in attesa dell’autobus, Demian si ritrovò a
osservarli e si rese conto con
sgomento, una rivelazione assurda per quanto fosse scontata, che anche
lui
avrebbe dovuto essere lì, con loro. Eppure, nulla gli era
mai parso tanto distante,
era come guardarli dall’altro lato dello specchio, quasi non
erano reali ma un’imitazione
di quotidianità cinematografica.
Sembrano così piccoli…
e spensierati
Cercò di immedesimarsi, per un attimo,
pensò che avrebbe potuto essere uno qualunque di quelle
persone, che avrebbe
potuto ridere liberamente, con le spalle doloranti, lamentandosi di una
verifica, disperandosi per un quattro irrecuperabile ancora da
confessare a sua
madre.
… maman
L’aveva pensata tutta la sera,
l’aveva
sognata quella notte, aveva bevuto fino allo svenimento, solo per
dimenticarla.
Non era riuscito a cancellare il suono
della sua voce rotta dal pianto. Non era riuscito a non pensare a
Sarah, a
mettere da parte quell’orribile giorno in cui
gliel’avevano portata via e aveva
lasciato casa. Nella sua testa, quello era stato il punto di non
ritorno, l’inizio
della fine.
Il segno definitivo che avrebbe perso
maman.
Lisa stava seguendo il suo sguardo smarrito
in quel mare di ragazzi.
«Demi, quanti anni hai?»
Demian sussultò, gli occhi di Lys erano
espressivi, da cerbiatta, pensò che forse era la prima volta
che la guardava
davvero.
È bella, a modo suo
Certo, avrebbe potuto esserlo di più se
non si fosse vestita da suora di clausura, se si fosse sciolta quella
severa
treccia che le induriva il viso e avesse lasciato anche solo immaginare
che,
sotto quei vestiti informi, un corpo c’era.
Ma era bella nonostante questo. Perché
lo
si percepiva subito, che era dotata di una sua gentilezza, di una sua
delicatezza interiore, un’eleganza che nulla, neanche gli
occhiali troppo
grandi che le nascondevano il viso, poteva celare.
«Sedici tra due settimane»
stirò un sorriso
fiacco.
Non era come sorridere ad Annie, non
dava quel senso di pace assoluta, come trovarsi
all’improvviso in un luogo
silenzioso e tranquillo, all’ombra, con una brezza leggera a
stemperare l’ansia.
Ma Annie forse era semplicemente Annie.
Dubito che possa
esistere realmente qualcun altro come lei.
Lisa ponderò qualcosa per un momento e,
preso il coraggio, domandò più risoluta
«Non dovresti andare a scuola?»
Dovrei.
So davvero che
dovrei, ma non so come fare.
Mi sembra sempre di
cercare di tornare in un posto che era mio, ma che ora non mi
appartiene più.
Sono estraneo lì
dentro.
Sto male, per questo
straniamento. Adesso avrei voglia solo di vedere Arianna, non so
nemmeno il perché.
In realtà non ho neanche il coraggio di incontrarla di
nuovo. Non dopo ieri
sera. Non posso cambiare, è evidente, nemmeno per lei,
nemmeno se lo volessi. Mi
detesto, perché per qualcuno come lei vorrei farlo davvero,
per Sarah vorrei
farlo davvero.
So solo ferirli, ma
non sopporto di fargli del male.
«C’è
l’assemblea di classe» improvvisò senza
alcuno sforzo. Mentiva così tanto e così spesso,
ogni giorno, da essersi ormai
trasformato in un bugiardo patentato senza speranza di redenzione.
Mentire era
e la prima e più grande prerogativa di un drogato, a riprova
che ci navigava
dentro fino al collo, in quell’ambiente.
Lys gli sorrise, una sfumatura di
condiscendenza.
Erano entrati nel bar dall’altro lato
della strada, Lisa si allontanò con delicatezza da lui per
potersi accomodare
al tavolino traballante che aveva scelto. Rimase fermo a fissarla
ancora,
seduta con le mani in grembo e la schiena rigida, uno strano e nobile
animale.
Che stupido che sei,
Nico!
Non fa altro che
prendersi cura di te, preoccuparsi per te, e in cambio riceve solo
ferite!
Possibile che
nemmeno per lei puoi farcela, a essere migliore?
Un sudore freddo gli ghiacciò la
schiena, ansia congestionata.
Paura.
Paura, in fondo, di non essere diverso
dall’amico, non sarebbe stato migliore. Arianna era bella e
buona, era l’incarnazione
dell’arcaico valore assoluto di bellezza sublime donata ai
mortali dagli dei,
nel senso più complesso della sua valenza, per la raccolta
di virtù che raccoglieva,
e lui non era in grado di avvicinarcisi senza farle del male. Con il
suo
egoistico autolesionismo l’avrebbe ferita.
Perché si fa sempre male
alle persone che ci amano quando non amiamo abbastanza noi stessi.
L’amore è
distruttivo. Essere amato da lei la distruggerà…
mi distruggerà.
«Demi, non ti siedi?»
«Certo,
scusa. Mi sono incantato»
«Ti sei medicato
appropriatamente?»
Demian si accigliò, mormorò
distrattamente «Come?»
«Il tuo viso, Demi. Il taglio sul
sopracciglio sta facendo infezione. Ti sei medicato?»
Si portò sovrappensiero una mano alla
fronte, tastò appena la pelle, gli sfuggì una
smorfia.
«Non proprio»
Non ne ho avuto il tempo, nemmeno ci ho pensato
«E scommetto che non è
l’unica ferita che hai» constatò con una
calma chirurgica, come fosse fin troppo abituata a fare simili
osservazioni. E probabilmente
era così, Nico era il caso perso per eccellenza.
Chissà quante volte, da ragazzino, le
è arrivato a casa malconcio
La cameriera giunse a prendere le ordinazioni e
mentre Demian si
limitava ad un cappuccino, Lisa prese un caffè ed una
brioche.
«Non ti facevo tipa da caffè,
è amaro. Stride un po’ con la tua
personalità»
Lisa ridacchiò, lo sguardo basso,
intimidito avrebbe detto, non
avesse saputo che non era poi tanto timida «È
questo che pensate? Che sia tutta
zucchero e miele?» lo osservò da sotto le lunghe
ciglia con una punta di
malizia.
Demian si morse l’interno della guancia,
ci rifletté seriamente «No,
direi di no. Sopporti Nico, non l’hai ancora picchiato
nonostante la voglia di
ammazzarlo debba essere davvero forte… e stai facendo
colazione con me» sollevò
l’angolo destro della bocca in un ghigno ironico
«Naaah, non funzioni proprio,
come damigella indifesa!»
«In verità il
caffè non mi piace neanche un po’, ma da quando ho
iniziato l’università ne bevo a litri. Quando
studi tutto il giorno e cerchi un
modo per poter resistere al sonno, il caffè diventa una
droga!»
Alla sola idea di “studiare tutto il
giorno”, Demian piegò la
bocca in una smorfia contrariata che la fece ridacchiare. Lisa scosse
piano la
testa, a scacciare l’ilarità per bilanciarla
subito con un rimprovero «Dovresti
andare a scuola»
Questa volta lo affermò con una certa
sicurezza.
Le mani nascoste dai guanti tagliati sulle dita,
strette tenacemente
intorno alla tazza, Demian si concentrò sulla macchia di
crema del cappuccio
che galleggiava nel liquido scuro.
«Non sono come te»
«No, decisamente no. E forse
è meglio, non ti ci vedo rosso e con le
lentiggini. Sei come te stesso, e non è così
male» tacque un attimo di più, si
guardò le mani ed abbozzò un sorriso un poco
triste «Sai» gli confidò «Sono
contenta che tra tutti, ci sia tu con Niki. Lo so, è uno
scapestrato senza
speranza, per non dire di peggio… ma lo conosco da sempre,
non è solo colpa
sua. So anche che non posso redimerlo, ma gli voglio bene. E tu sei
pulito
Dami, sei la persona più limpida vicino a lui, sono
più tranquilla da quando ci
sei»
Demian si sentì smarrito.
Sollevò su di lei due occhi grandi di
sorpresa, incapace di rispondere.
Lisa non ricambiava, era distratta, fissava
qualcosa d’impreciso
oltre la sua spalla, al di là della vetrata, sulla strada,
ed era
incredibilmente rilassata.
«Immagino che nel vostro mondo nel
mondo, cose come lealtà e amicizia
siano molto relative. Ma Niki ti stima davvero, anzi, ti adora. Gli
ricordi
Chris… non me lo ha mai detto, ma so che è
così perché lo ricordi anche a me. Era
un bravo bambino, come te. Introverso e timido. Debole. I compagni se
la prendevano
sempre con lui»
Come fa a saperlo?
Quante cosa sa Lys? E
quante gliene ha dette Nico? Quante sono sue speculazioni?
«Niki ti vuole bene, quindi sono
contenta.
Ma tu hai solo sedici anni, Demi. Non rovinarti la vita, neanche per
lui.
Nicolas ha fatto le sue scelte, rimarrò sempre io per non
lasciarlo solo. Ma
anche se sono contenta che sei qui, tirati fuori da tutto questo, non
è ancora
troppo tardi»
Non sarebbe troppo
tardi per me?
Lisa non lo vedeva, che si era bruciato, che lui e
Nicolas avevano
in comune più di quanto avrebbe preferito ammettere.
«Pulvis et umbra sumus»
mormorò, lo sguardo ancorato alla tazza da
cui non aveva ancora bevuto un solo sorso «Ci sono persone
che non meritano
niente, sono solo ombre che camminano. La nostra vita
“è un’ombra che cammina, una
favola raccontata da un idiota, piena di strepito e furore, che non
significa
niente”»
Lisa inclinò appena la testa e sorrise
teneramente «Shakespeare»
constatò, poi scrollò le spalle «Ti
piace leggere, eh? Niki me lo aveva detto,
che sei un letterato capitato lì per errore»
Capitato lì per errore?
È questo che dice?
Che bugiardo, è
stato lui a volermi, è stato lui a desiderare qualcuno
destinato a diventare il
suo braccio destro, qualcuno di cui potersi fidare.
Non si può proprio
dire che io sia capitato qui per errore
E comunque non gli riusciva di farne
una colpa, a quel ragazzo, alla fine non fosse stato per Nicolas
avrebbe semplicemente
rimandato ancora di poco l’inevitabile: era solo questione di
tempo, ma la sua
vita era destinata a prendere una piega disastrosa comunque, a
scivolare sul
versante delle risse e delle droghe.
Per persone come me non
c’è altro destino che questo
Lisa mangiava compostamente la sua
brioche alla marmellata, senza sporcarsi le dita, senza lasciar cadere
nemmeno
una briciola. Una principessina perfettamente educata nata in
periferia,
metodica persino nello sbocconcellare qualcosa. Riusciva a farlo con
una
naturalezza tale da non far sentire inetto chi gli stava accanto.
«Se vuoi ti dò un
passaggio» bisbigliò
arrossendo, forse sentendo la propria proposta invadente.
Eccola, invincibile
e timida, che combinazione paradossale
«Le lezioni con le assemblee erano
divertenti. Nella mia classe ricordo che si faceva sempre un baccano
allucinante,
eravamo la disperazione degli insegnanti!»
A Demian sfuggì un ghigno
«Non ti ci
vedo proprio in versione ribelle. Scommetto che tu eri la ragazzina
carina nell’angolo
della classe, che cercava di leggere leziosamente un libro!»
Lisa aprì la bocca per rispondere, ma
fu interrotta da un «Non credo proprio!»
accompagnato da una risata intrisa di
scherno.
Due braccia la strinsero da dietro
mentre Nico si appoggiava con il mento sulla spalla della ragazza, con
quella piega
della bocca provocatrice che si ostinava a chiamare sorriso, incisa a
forza
nella pelle.
«Ce ne hai messo di tempo. Che staresti
insinuando?» lo istigò Lisa, inarcando un
sopracciglio.
«Che non eri carina, tanto meno
leziosa!»
Alzò gli occhi su di lui, Demian rimaneva sempre basito dal
cambiamento che
sfigurava Nicolas quando c’era lei «È
stata la capoclasse più terribile della
storia, la chiamavamo “la dittatrice”. Hitler
sarebbe impallidito!»
Al ricordo si lasciò andare ad una
risata
stranamente genuina, mentre si staccava da lei per stravaccarsi
malamente sull’ultima
sedia vuota del tavolo «Pensa» riprese nostalgico
«Che in classe l’avevamo
eletta perché sembrava la più innocua. Pensavano
tutti di scaricarle addosso
ogni responsabilità, ci siamo detti “con lei
possiamo fare quello che vogliamo”»
Lisa si risentì «Mi avevano
provocato!»
protestò arrossendo fino alla radice dei capelli ancora
più rossi «Io sarei
stata più docile se loro…»
«Lys, tesoro, gli insegnanti erano
terrorizzati
da te! Ti ricordi quando litigavi per gli articoli che volevi
pubblicare sul
giornalino della scuola? Se la vicepreside ti vedeva avanzare verso di
lei in
corridoio cambiava direzione, pur di non incrociarti!»
Demian sgranò gli occhi per la sorpresa
e si ritrovò a ridere «Seriamente? Lisa? La nostra
Lys?»
«La mia»
puntualizzò Nicolas,
severo.
«La Lisa di se stessa»
chiarì invece
lei, con un’occhiataccia ammonitrice al suo amico
d’infanzia «Tua sarà
senz’altro la conturbante meretrice con cui hai trascorso la
notte»
Nicolas, preso in contropiede, si
accigliò: Demian riusciva tranquillamente a immaginare gli
ingranaggi di quel
cervelletto provato, incepparsi nella perplessità.
«Conturbante meretrice?» si
volse verso
di lui con una domanda impressa negli occhi fangosi e Demian
provò una profonda
mortificazione. Sembrava gli stesse urlando contro mentalmente
“Non potevi
trovare un’altra scusa?”.
«Ho già scordato il suo
nome» si
riprese prontamente con un ghigno strafottente che convinceva poco.
«È già tanto se
ricordi il tuo dopo
quello che fai tutte le sere» lo rimbeccò lei, ed
il sorriso appena accennato
celava una nota dolente che provocava una grande tenerezza.
Demian vedeva in lei una dolcezza
struggente che cercava di proteggersi, di fronte a tanta forza, una
forza che
aveva visto e riconosciuto solo nelle donne, come traessero dalle
proprie
fragilità un senso. Sentì l’urgenza di
rivedere Arianna, perché si era già pentito
di ciò che aveva fatto, si era pentito di aver pensato che
non potesse valere
abbastanza. Avrebbe voluto baciarla, baciarle ogni centimetro di viso,
soprattutto
il suo naso, quel naso buffo e irriverente leggermente rivolto verso
l’alto in
una sfida. Voleva essere in grado di prometterle che non
l’avrebbe ferita, che
non sarebbe stato come Nicolas, perché li vedeva chiaramente
gli errori dell’amico
e non voleva rifarli su una persona candida come Annie, caparbia di una
caparbietà che l’avrebbe annientata, se lui per
primo non si fosse regolato.
«Il mio posso anche dimenticarlo,
l’importante
Lys, è che non scordi il tuo» Nico le sorrise
quasi con dolcezza, ma fu solo un
istante «Perché parlavate di scuola,
comunque?»
«Perché Demi dovrebbe
andarci, Niki. Ha
sedici anni, non può stare in giro tutto il giorno a
gozzovigliare con uno svogliato
come te!» disse seria, rimproverandolo con ogni singolo gesto
del suo corpo,
tanto che Nicolas dovette alzare le mani in segno di resa.
«Ok, ok, tutto chiaro. Alzati e vai a
renderti umano, Dem, ti dò un passaggio»
Demian boccheggiò, incredulo.
È uno scherzo, vero?
«Ma… sei serio?»
Nicolas sollevò gli occhi al soffitto
«Hai
sentito la mia Signora. Ogni suo desiderio è un
ordine»
Lisa sorrideva trionfante, ora perfino
più rossa dei suoi capelli.
***
Avevano
fatto deviazione e lo avevano portato a
casa sua. C’era voluto parecchio, per il traffico mattutino e
perché il paesino
in cui abitava distava una quindicina di chilometri dal centro, ma
Nicolas era
stato irremovibile.
Aveva
raccattato lo zaino e ne aveva approfittato
per “rendersi umano”, alla detta di Nico, ovvero si
era lavato per non puzzare più
come un barbone della stazione. Gli doleva ancora il costato, il volto
non era
più gonfio ma restava contuso e ammaccato peggio della
macchina che avevano
fatto schiantare contro il muro la sera prima. Alcuni tagli stavano
facendo
infezione, erano ponfi dai bordi slabbrati e sanguigni. Avrebbe voluto
solo
buttarsi nel letto, eppure quei due strani esseri lo stavano aspettando
in
macchina come due genitori apprensivi.
Quasi,
gli strappavano un po’ di buon umore.
Insomma,
vedere Lys che addomestica
Nicolas è sempre uno spasso
Prima
di uscire diede da mangiare a Lalami e si annotò
di ringraziare Julian appena ne avesse avuto l’occasione, o
Claire, perché era
evidente che uno dei due fosse passato a pulire e avesse rimediato alla
sua
negligenza, impedendo alla cucciola di morire di fame.
Sei
un padrone idiota e
sconsiderato
«Ohi,
ce ne hai messo di tempo! Cos’è, ti sei fatto
il bagno con i Sali profumati?» lo apostrofò
Nicolas, mettendo in moto il motore
della macchina.
«Anche
fosse, è comunque più sconvolgente che tu
sappia cosa siano, dei Sali da bagno!» rise Lisa, la bocca
coperta d’istinto
con la mano.
Demian
era abituato a partire la mattina presto in
motorino, fu contento di ricevere un passaggio perché
iniziava veramente a fare
troppo freddo e il giubbino e i guanti non erano più
d’aiuto.
Ancora
qualche giorno e mi
toccherà fare l’abbonamento
dell’autobus, se non voglio finire assiderato
«Fai
l’artistico, Demi? Non lo sapevo. Per tutte le
citazioni che fai ti credevo uno studente da Classico»
commentò Lisa, che aveva
appena notato l’enorme cartelletta rossa che si portava
appresso e conteneva tutti
i lavori iniziati in classe, ovviamente mai conclusi.
«È
anche bravo» aggiunse Nicolas, voltandosi appena
a guardarlo «Anche se ha sempre un cazzo di libro in
mano»
Lisa
lo colpì prontamente con un buffetto alla
testa, preciso e metodico «Voltati. Guarda la strada. E
rallenta!» lo
rimproverò colorandosi nuovamente di rosso «Se mi
accade qualcosa perché tu vai
troppo veloce non ti perdonerò!»
Nicolas
sbuffò, ma nonostante la ritrosia ridusse
drasticamente la velocità e, miracolosamente, si
fermò davanti al semaforo
rosso. Tutto questo senza imprecare neanche una volta, anche se gli si
leggeva
tranquillamente in viso quanto desiderasse farlo.
Dio,
le donne hanno un potere
spaventoso, ha ragione Julian!
«E
comunque non lo sai, se sono bravo» si ritrovò a
protestare, in maniera quasi infantile «Non hai mai visto i
miei lavori»
«Stronzate!»
Lisa lo ammonì con lo sguardo e Nico
corresse il tiro «Ok, sciocchezze! Disegni costantemente, non
ti si può lasciare
una biro in mano, scarabocchi ovunque. Anche sul tavolo della mia
cucina!»
Se
ne è accorto? Nicolas è il
tipo di persona che presta attenzione a certe cose?
Potrei
quasi pensare che gli
importi
Ed
era da tempo ormai, che era sceso a patti con se
stesso e aveva smesso di credere in sottintesi che con quel ragazzo non
avevano
valore.
«Cucina
è un parolone per quel buco» sottolineò
invece «Stamattina per poco non mi è rimasta in
mano un’anta!»
Discretamente,
per non farsi notare da Lisa, Nico
gli mostrò il medio accompagnato da un sorriso strafottente
attraverso lo specchietto
retrovisore «Sbaglio, Lemaire, o oggi sei particolarmente
eloquente?»
«Sbaglio
o oggi sei più gentile del solito, Niki?»
Nicolas
perse strati di colori per lo shock, Lisa
scoppiò a ridere «Uno a zero, palla al
centro!» dichiarò, dando di gomito al
suo migliore amico, che sibilò «È
rimasto con te dieci minuti, Cristo, solo
dieci minuti! E me lo hai già rovinato. Non l’ho
mai sentito parlare così tanto
e lo conosco da tre anni. Sei tremenda Lys!»
Cavolo,
ha ragione
Da
quando aveva compreso in cosa si era cacciato,
aveva limitato le sue interazioni al minimo, non aveva mai parlato
così spontaneamente
se non per discutere con Teo. Di certo, non aveva mai osato provocare
Nicolas! Ed
il problema non era Lisa, il problema era Arianna, era come si era
sentito
stando con lei: come vedere un buco nella rete, uno squarcio nel muro.
Assistere
all’apparizione miracolosa di un fantasma. E allora, con quel
senso di
possibilità improvvisa, di mondo spalancato, si era acceso
in lui un barlume.
Un
barlume simile a quello che Nicolas gli aveva
stretto tra le mani anni prima, l’idea improvvisa e
soverchiante di una scelta.
Nicolas
parcheggiò proprio di fronte all’entrata deserta
della scuola e Demian balzò fuori con un saluto frettoloso,
a disagio. Mentre si
allontanava, in uno strano stato sospeso, vagamente comatoso, con
l’energia e
la voglia di vivere di una patella affrancata al suo scoglio, li vide
ricominciare
a bisticciare.
Nicolas
aveva un sorriso più buono, forse avrebbe
potuto esserlo, più buono, se ce ne fosse stata
l’occasione.
Sollevò
il cappuccio e s’infilò le cuffiette
dell’Mp3,
per isolarsi il più possibile dagli sguardi dei bidelli e
degli studenti che girovagavano
come anime in pena durante il cambio dell’ora. Raggiunse il
banco della
segreteria e compilò silenziosamente il documento della
giustificazione
provvisoria, senza che la bidella dicesse nulla. Lo conosceva e sapeva
perfettamente
che tentare di parlargli era inutile: non le avrebbe risposto, nei
migliori dei
casi si limitava a mugugnare qualcosa d’incomprensibile.
Ripose
la penna e raggiunse l’ufficio del
vicepreside per farsi firmare, da prassi, il permesso di rientrare a
lezione
anche senza la firma di sua madre.
Anche
quello stupido vecchietto, il Professor
Vezzoli, insegnate d’inglese fortunatamente non nella sua
sezione, era abituato
a vederlo entrare agli orari più disparati e ormai aveva
rinunciato a qualunque
paternale. Lo accoglieva, firmava e lo spediva in classe, negli occhi
quella
compassione familiare che lo faceva sentire appestato, come fosse un
cane
abbandonato in autostrada, destinato a morire di stenti.
Lo
sguardo che si dedicava ad una persona senza speranza
e senza futuro.
Pulvis
et umbra
Varcò
la porta aperta dell’aula con le cuffiette
ancora nelle orecchie, anche se la musica era spenta, per fingere di
non poter
sentire alcun commento. Il professore non era ancora arrivato,
c’era un gran
casino, si sentiva esposto agli occhi dei curiosi. Sospirò e
si concentrò per
assumere l’aria più ostile e distaccata possibile.
«Lemaire!»
Preso
in contropiede, Demian sollevò la testa di
scatto.
Nessuno
qui mi ha mai chiamato
Tanto
meno, una voce evidentemente felice di
vederlo. Con sgomento, ritrovò Diodoro che sventolava la
mano dal fondo dell’aula,
con un sorrisone immenso stampato in viso. Per reazione, ovviamente, il
resto
della classe manifestò la propria perplessità con
un improvviso silenzio.
Si
riscosse dalla sua paralisi e si sfilò lentamente
le cuffiette, riavvolgendole con calma per prendere tempo.
«Ciao
Barbi» mormorò infine, imbarazzato per
l’imbarazzo
che trapelava dalla propria voce.
I
rumori ricominciarono, i compagni erano tornati a
farsi i fatti propri, forse, o a commentare. Non voleva essere
paranoico, ma
sentiva la loro curiosità come fosse fisica, farfalle che si
posavano sul suo
corpo.
Raggiunse
il compagno e occupò la sedia accanto a
lui.
«Ehi,
ti ha investito un tir?»
«Eh?»
Diodoro
roteò gli occhi «La tua faccia, Lemaire, la
tua faccia. Ti avevo lasciato pesto, ma sei riuscito persino a
peggiorare, dall’ultima
volta che ti ho visto!»
Confuso,
Demian scrollò le spalle
«Già» si limitò a
borbottare.
«Ciao
Dem, bentornato!» ecco un’altra voce pimpante
che si apriva a forza una strada tra gli strati di cumulonembi dei suoi
pensieri. Giulia, allegra e raggiante, si fece avanti appoggiando un
quaderno
sul suo banco, di fronte al suo viso corrucciato.
«C-ciao»
esitò, perplesso.
Ma
che sta succedendo?
Mi
sono perso qualcosa?
«Non
te lo chiedo nemmeno, se ti servono gli
appunti, perché tanto lo so già che dici di
“no” per principio, visto che sei
un musone» esordì lei, abbozzando un sorriso
paziente e dolce «Però te li ho
presi lo stesso. Sai, con tutte le assenze che stai facendo rischi di
restare
indietro»
Il
professore fece la sua comparsa il quel momento,
salvandolo dall’impaccio di trovare una risposta che proprio
non gli veniva.
Giulia accennò un saluto infantile con la mano e lo
liquidò con un «Ti spiego
all’intervallo, intanto se hai voglia dagli un
occhio» prima di dileguarsi e
raggiungere il suo posto.
«E
ti pareva, se non avevi anche la fortuna della
secchiona che ti passa gli appunti! Condividi, Lemaire»
Demian
corrugò la fronte, finalmente lo fissò
«Ma
tu non eri uno che studiava?»
«Anche
se non esco con una ventitreenne sono un
ragazzo anche io. Non è che siccome ho gli occhiali sono un
genio per forza! Questo
è un pregiudizio!» chiarì Barbi,
impettito come un gufo offeso, prima di allungare
la sua manaccia sul quaderno di Giulia, sfilandoglielo da sotto il
naso. Istintivamente,
si sporse e lo bloccò «Ehi, non ho mai detto che
te lo avrei prestato» si
ritrovò a dire, senza una ragione precisa. Non significava
nulla, eppure non
voleva cederlo.
È
stato fatto per me, una cosa
fatta per me!
Diodoro
tentò di sfuggirgli,
al che nacque una piccola colluttazione in cui il ragazzo ebbe ben
presto la peggio.
Demian imprigionò la sua testa con un braccio, in una presa
ferrea, mentre con
la mano libera gli sventolò davanti il quaderno, con fare
vittorioso.
«Lemaire,
dai! Cavolo,
vuoi strozzarmi? Sei un egoista! Tra amici si collabora, no?»
«Non
mi hai dato nulla
in cambio. E non dirmi la gratitudine, quella non vale!» lo
precedette quando
lo vide aprire la bocca per ribattere con fare petulante.
«Demian
Lemaire. Sono felice
che ti sei deciso a illuminarci con la tua presenza, ma lascia
Barbadico, ora. I
tuoi compagni non sono barbari, né animali. Il liceo non
è uno zoo, in caso ti
fosse sfuggito» la voce ostile e gelida del Professor Albani
tagliò il pesante
silenzio che Demian non si era reso conto essersi formato in classe.
Eppure,
era evidente, perché i suoi compagni continuavano a fissarli
borbottando tra
loro, sconvolti. Liberò il compagno di banco che si
risistemò prontamente gli
occhiali «Colpa mia, Prof, ci scusi» disse Barbi,
dissimulando il nervosismo.
«Oh,
conoscendo il soggetto
non credo proprio. Hai la giustificazione per l’entrata in
ritardo, Lemaire?»
Demian
lo fulminò e senza
dire una parola si alzò e andò a porgergli quello
stupido pezzo di carta.
Albani lo squadrò con aria critica «Pensi che tua
madre ti giustificherà prima
o poi, o continueremo a lungo con questa sceneggiata?»
«Non
molto a lungo, tra
una chemio e l’altra tirerà presto le cuoia.
Suppongo che poi qualcun altro
avrà il diritto di firmare e lei avrà la sua
stupida giustifica» sibilò a denti
digrignati, in modo che nessuno potesse sentirlo a parte il professore
e
qualche curioso della prima fila dall’udito particolarmente
fino.
Albani
piegò la bocca in
una smorfia costipata «Il vittimismo non ti
salverà dalla bocciatura. Sei un
delinquente, qualunque cosa tu dica. Vettene a posto e ringrazia che
non ti
spedisco dal preside» aprì il registro con uno
schiocco secco e vi infilò la giustificazione.
Demian
si morse la
lingua e tornò al suo banco con più bile in bocca
che saliva. Per nulla interessato
alla lezione, recuperò un libro dallo zaino e, con sua
sorpresa, prima che
potesse aprire l’astuccio Barbi gli porse una matita. Non lo
guardava, fissava
la lavagna, ma aveva un sorriso appena accennato, divertito.
Ok,
oggi c’è
proprio qualcosa che non va
Gliela
sfilò dalle dita,
gli diede un leggero pugno sulla spalla, poi si dedicò a Il
Racconto di Due Città.
“Erano
i
tempi migliori, erano i tempi peggiori, erano giorni di saggezza, erano
giorni
di follia, era l’epoca della fede, era l’epoca del
dubbio, era la stagione
della Luce, era la stagione del Buio, era la primavera della speranza,
era l’inverno
della disperazione, avevamo tutto davanti a noi e davanti a noi non
avevamo nulla,
marciavamo diretti verso il Paradiso e andavamo nella direzione
opposta”
A
volte aveva l’impressione
che quella manciata di righe descrivessero perfettamente il precario
equilibrio
della sua esistenza, per questo prima di riprendere da dove lo aveva
lasciato,
rileggeva sempre l’esordio. Quelle parole gli ricordavano se
stesso.
In
passato, quando si
era sentito tremendamente solo, i libri erano stati l’unico
sostegno, solamente
nelle parole stampate aveva ritrovato un conforto che gli aveva
permesso di non
cedere, perché se qualcuno poteva scrivere di dolore con
tale nitidezza, di
paura, di angoscia, allora Demian si sentiva meno sbagliato, aveva la
certezza
che esistevano persone che stavano o erano state come lui, peggio di
lui. Non
era pazzo, e nemmeno solo, quando stringeva un libro.
In
quel preciso istante,
ancora una volta erano quelle pagine ruvide a dargli un sentore di cosa
stesse
provando, una traccia da interpretare nel momento in cui lui per primo
non era all’altezza
di comprendersi.
Avanzare
verso
il paradiso e andare nella direzione opposta
Era
l’antitesi interiore
che gli provocava Arianna. Sembrava un Eden in cui nascondersi dalle
brutture
della vita, eppure ogni passo verso di lei aveva il retrogusto del
disastro.
Se
lei
sparisse, ora forse sarebbe un inferno. Ma ha giurato.
Mi
ha
guardato negli occhi e ha promesso.
Ha
visto
il peggio di me e non è fuggita
Sfilò
il cellulare dalla
tasca e, non senza titubanza, si ritrovò a digitare
Dami
Ehi,
Annie
17/10/2001
9:18
Pochi
secondi e l’apparecchio
gli vibrò tra le dita, inoltrandogli l’immediata
risposta.
Annie
Come
mai così mattiniero? =)
17/10/2001
9:19
Dami
Ho
voglia di disegnarti
17/10/2001
9:20
Annie
Ooook!
Beh, sono una bellissima musa, non posso
biasimarti! Fallo pure =)
17/10/2001
9:22
Dami
Se
ti vedo è più facile
17/10/2001
9:23
Annie
E
allora vediamoci, no?
17/10/2001
9:24
La
semplicità con cui potevano trovarsi era quasi
da capogiro, impensabile fino a qualche giorno prima. Incredibile, come
lei,
gli veniva da pensare, perché fino a qualche settimana prima
nemmeno la conosceva,
e allora come era successo che fosse diventata un pezzo così
fondante della sua
quotidianità?
Dami
Oggi
pomeriggio?
17/10/2001
9:26
Annie
Ogni
volta che vuoi =)
17/10/2001
9:27
Demian
ripose nuovamente il cellulare nella tasca
dei jeans, il petto si stava gonfiando di una strana euforia che quasi
gli toglieva
il fiato per il bruciore che causava. Dovette trattenersi dal
sorridere, perché
si sentiva un beota.
Pulvis
e umbra.
Non
è vero, non sono un’ombra,
quando c’è lei. Arianna le ombre le dissipa,
allontana anche la mia.
Quando
c’è lei, mi sembra di essere.