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Autore: lady igraine    09/09/2019    0 recensioni
Demian ha quasi sedici anni, è armato della tragicità di un adolescente e dell’esperienza di vita di un uomo fin troppo intraprendente. La sua esistenza è in costante bilico tra un morboso amore per la propria famiglia, afflitta dal dramma della malattia terminale della madre, ed un mondo più oscuro, di amici poco raccomandabili che gli permettono di sfogare i sentimenti più ombrosi e repressi della sua anima. È in questa fase che lo incontra Arianna, infantile, irrequieta e altrettanto problematica ragazza, dotata di un instancabile sorriso che cela più malinconie e segreti che gioie. Sono tre, i mesi decisivi, quelli che, nel bene e nel male, lasceranno un segno indelebile nelle loro vite.
***
La coscienza era una bestia oscura che divorava da dentro, lasciando sempre l’impressione di facciata che tutto andasse bene.
"Le persone, da fuori, sembrano indistruttibili, perfette come bambole di plastica che non si possono rompere. È il dentro che è una fregatura, un agglomerato di marciume infilato a forza tra gli organi, da qualche parte"
La sua coscienza era terribile più di tutto, le toglieva molte cose, una ad una, con la noncuranza con cui un bambino strappa i petali ad una margherita
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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À Demian

Capitolo diciottesimo

Normalità, quasi

Gli occhi bruciavano e la guancia formicolava, la medesima impressione di un arto addormentato sotto un peso eccessivo. Demian rotolò sulla pancia e infossò il volto nel cuscino, ci sprofondò dentro con una certa soddisfazione e ci si sfregò contro come un gatto indolente, facendo le fusa.

Era a pezzi, nonostante la dormita moriva ancora di sonno, gli sembrava che ogni arto fosse dislocato, staccato dal suo corpo, rifiutava categoricamente di alzarsi solo perché uno stupido e dispettoso raggio di sole era riuscito in qualche modo a penetrare le imposte per andare a sbattere contro la sua faccia.

Stava per riaddormentarsi quando, con suo disappunto, sentì che la coperta gli veniva lentamente sottratta. Arrancando a tastoni e occhi chiusi ne afferrò un lembo e tentò malamente di ricoprirsi.

Più tirava più quella però opponeva resistenza.

L’irritazione cresceva, ma era ancora troppo deciso a non rimuovere la faccia dal cuscino per ragione alcuna, anche se questo implicava la perdita del piumino con quel freddo.

Lasciò perdere la coperta che gli venne rapidamente tolta del tutto e si rannicchiò con le ginocchia al petto, in posizione fetale, per cercare di scaldarsi il più possibile. Quella casa, sfortunatamente, era una ghiacciaia, non avere l’abitabilità e un sistema di riscaldamento non era un problema per Nicolas, che sembrava sopravvivere di se stesso, ma inficiava tutti gli altri. Spilli di gelo iniziarono a penetrargli nei vestiti con spietata precisione, acuiti dall’eccessiva umidità, fino a quando, esasperato, Demian si mise a sedere con un’imprecazione soffiata a denti stretti.

Il divano sgangherato della saletta era duro e pieno di bozzi, Dave dormiva a terra, sul tappeto lurido, avvolto nel suo piumino come in un bozzo. La televisione ancora accesa trasmetteva programmi del mattino, i cartoni che guadava con sua sorella durante la colazione. In quel momento andava in onda Lady Oscar e questo gli permise di stimare, con una certa disperazione, che dovevano essere circa le sette e mezza del mattino.

 

Come diavolo sono riuscito a svegliarmi così presto?

 

Incenerì con la sua occhiata più ostile l’imposta incriminata, rotta e impossibile da chiudere del tutto.

 

È colpa tua, se anche oggi non dormirò un cazzo e sembrerò uno zombie strafatto più del solito

 

Barcollando, avvolto da un intontimento in crescendo, scavalcò il cumulo di coperte e cuscini che dovevano celare Davide, da qualche parte, e attraversò il corridoio per raggiungere quel tentativo di cucina che era la rimessa. La casa di Nicolas era fatiscente, bastava entrare per capire che il proprietario di pulizie e manutenzione non se ne preoccupava. Dominava il puzzo di fumo, aria viziata e vomito, una commistione di odori che prendevano alla gola. I mobili erano pochi e spaiati, in uno stato di usura tale da provocare disagio. Il cucinino era costituito da un mobile a cassettoni su cui poggiava un vecchio fornelletto da campeggio. Una piccola credenza e due scaffali di metallo con scorte di conserve in scatola completavano il quadro desolante, insieme ad un frigo in miniatura. Quando Dem iniziò a frugare nei vari scomparti, alla ricerca di cibo, per poco un’anta non gli rimase in mano. Fissò l’oggetto con sgomento qualche istante, il fiato trattenuto che veniva liberato in un sospiro di rassegnazione.

 

È già tanto che i mobili ci siano ancora

 

I drogati avevano il vizio di venderli per farsi una dose in più, in genere, ma effettivamente Nico non aveva bisogno di arrivare a tanto per un grammo, aveva così tanti soldi che quella casa malmessa a conti fatti sarebbe risultata inspiegabile, se Demian non avesse scoperto tempo prima che veniva usato come piccolo deposito di partite di droga dallo zio. Dopo aver controllato ogni anfratto e aver verificato che di viveri non ne avrebbe trovati nemmeno per errore, salvo piselli e carotine Bonduelle, valutò il frigo stipato di birre con una certa tentazione.

 

Forse cominciare a bere a quest’ora è troppo anche per me, valutò richiudendo lo sportello con un certo rammarico. Rinunciato alla birra, decise di uscire per procacciarsi la colazione, perché Davide russava troppo e ad ogni rumore di bocca corrispondeva, in maniera imbarazzante, un peto. La sala era una camera a gas.

Si rifugiò in bagno, giusto per gettarsi un po’ d’acqua gelida sul volto e non uscire di casa con l’aria stordita da pessimo elemento – che comunque non riuscì a eliminare grazie alle occhiaie profonde –, indossò lo zuccotto nero ed il cappuccio e abbandonò rapidamente l’abitazione. Ad occhi bassi, potè solo appoggiare il piede sul primo gradino che per poco non rischiò di essere travolto da una ragazza. Riuscì ad aggrapparsi al corrimano di ferro arrugginito appena in tempo per fermare il clamoroso ruzzolone di entrambi grazie al gridolino d’allarme che le era sfuggito.

L’impropero gli morì in gola di fronte agli occhioni da cerbiatta spaurita di lei.

 

Cazzo, ho rischiato grosso

 

Nicolas lo proteggeva, ma fosse successo qualcosa a lei in sua presenza, gliel’avrebbe fatta pagare con una cattiveria che Demian non voleva nemmeno immaginare. Le avesse torto la più inutile doppia punta sarebbe morto male.

«Oddio, Demian! Sei tu! Mi hai spaventata a morte!» esclamò con la mano sul cuore e le guance sgargiantemente arrossate. Aveva i capelli rossi raccolti nella solita treccia severa, gli occhiali a coprire il mare di lentiggini spruzzate sul naso; il volto a cuore, senza la minima traccia di trucco, illuminato dal sollievo, il maglione a collo alto, sformato, beige, e la gonna lunga che la faceva sembrare ancora più piccola della sua piccola altezza.

Restava sempre un metro e un tappo di rigore e diligenza, era questo che pensava di lei.

Arrangiò subito un sorriso di cortesia velato d’urgenza.

«Ciao Lisa, come mai già sveglia?»

Era un tacito e comune accordo essere gentili e disponibili con lei, una questione di sopravvivenza. Per qualche strana congiunzione astrale, Lisa era un’amica d’infanzia di Nicolas oltre che vicina di casa. Nico parlava sempre di lei con una dolcezza estraniante alla sua figura, la adorava e provava per lei un rispetto ed un affetto che Demian non gli aveva mai visto riservare a nessuno. A volte, aveva pensato che a modo suo, un modo distorto dalla sua percezione instabile della vita, Nicolas la amasse, però poi lo vedeva trastullarsi con molte ragazze senza mai considerare Lys oltre l’aspetto emotivo, e quindi non ne era più stato tanto sicuro.

 

Probabilmente, rappresenta semplicemente l’ultimo frammento di famiglia che gli resta, l’ultimo brandello di un’umanità scialacquata nella violenza. D’altro canto, Lisa lo adora, tra un rimprovero e un sorriso ha per lui la stessa indulgenza di una madre

 

 Lisa mostrò timidamente il sacchettino che stringeva tra le mani e abbozzò un sorrisino imbarazzato.

«Stavo portando la colazione a Niki» mormorò, le guance rubiconde.

 

Solo lei può chiamare un instabile, violento, sadico ed insensibile spacciatore “Niki”, con un simile candore

 

«L’ho sentito rientrare stanotte. Non sapevo ci fosse anche tu, non ti ho portato nulla» si scusò, diventando se possibile ancora più rossa.

In difficoltà, Demian scosse la testa «Ci siamo solo io e Dave. Nico… beh, diciamo che non c’è»

La delusione si dipinse negli occhi grigi della ragazza, una sfumatura metallica simile all’argento, ma subito tentò di dissimularla.

«Sai dove ha passato la notte?» domandò a voce tanto labile che Demian stentò a capirla.

 

Come glielo dico che il suo adorabile “Niki”, puro e candido amichetto d’infanzia, è in stato di fermo in attesa del giudice?

 

Non c’erano problemi, probabilmente suo zio era già intervenuto insieme ai suoi avvocati ben retribuiti per farlo uscire pulito da qualunque faccenda, un grande classico.

 

Il problema è Lisa, odio rifilarle certe sciocchezze, la feriscono

 

Prese una grande boccata di ossigeno «È rimasto da una sua amica» mentì, imbastendo la più banale ed efficace delle scuse. Lisa divenne mortalmente pallida, le efelidi sembravano più scure e definite, una manciata di semi in campo bianco. La ragazza accennò ancora un sorriso compassato.

«Il solito Don Giovanni» constatò guardandolo negli occhi con una tale intensità che, per un istante, Demian pensò che la sua ingenua menzogna fosse stata smascherata, che lei sapesse fosse una bugia bella e buona, la balla che tutti le propinavano quando Nicolas spariva.

«Hai lezione ora?»

Lisa scosse la testa «Solo nel pomeriggio oggi»

Demian le porse cavallerescamente un braccio, da bravo gentleman, e sperò di non puzzare tanto da risultare sgradevole «Allora ti offro io la colazione, visto che Nico non c’è»

Lys esitò un istante, poi schiuse le labbra in un sorriso più sincero e tremendamente imbarazzato e si affrancò a lui con la delicatezza di un uccellino.

 

Fosse stata Annie, il braccio me lo avrebbe staccato

 

Il confronto immediato era stato spontaneo. Lisa non era così, non era irruente ma discreta, quasi anonima, un’apparenza fragile che celava una volontà d’acciaio. Era grazie a quella sua volontà che era riuscita a diventare tanto cara a Nicolas e a restare, nonostante tutto, l’unica persona di cui il mostro si fidasse e a cui avrebbe dato tutto. Andava all’università, studiava per diventare farmacista come sua madre per ereditare l’attività di famiglia: s’impegnava con tanta dedizione da provocare disagio a volte, perché chiunque accanto a lei si sentiva inetto e svogliato. Capitava che la trovassero a casa di Nico, di tanto in tanto, seduta al suo tavolo con una biro incastrata dietro l’orecchio, l’evidenziatore nella mano e un libro davanti a sé da cui non distoglieva lo sguardo un solo istante, con Nicolas sempre lì accanto che non faceva altro che ingurgitare caffè. A vederla, d’improvviso veniva quasi voglia anche a loro di tirarsi insieme, di decidersi a riprendere in mano i libri per combinare qualcosa, perché fatto da lei sembrava davvero avere un senso.

Una specie di Beatrice dantesca, di donna angelo che ammansiva anche l’animo più brutale con la sua timidezza e i suoi saluti appena accennati.

Fuori da quel complesso di cemento soffocante l’aria era frizzante, corroborante, limpida come dopo una nevicata e con il medesimo profumo impresso sulle cose. Demian riempì i polmoni più che poté prima di espirare: insieme all’anidride carbonica si sentiva svuotato di un grande peso che aveva premuto per tutta la notte sempre lì, sulla bocca dello stomaco, causandogli un malessere costante di cui ormai stentava ad accorgersi, tanto sapeva essere spaventosa l’abitudine.

Quando il male diventa abitudine, è la fine, vero?

 

Le pensiline erano gremite di studenti in attesa dell’autobus, Demian si ritrovò a osservarli e si rese conto con sgomento, una rivelazione assurda per quanto fosse scontata, che anche lui avrebbe dovuto essere lì, con loro. Eppure, nulla gli era mai parso tanto distante, era come guardarli dall’altro lato dello specchio, quasi non erano reali ma un’imitazione di quotidianità cinematografica.

 

Sembrano così piccoli… e spensierati

 

Cercò di immedesimarsi, per un attimo, pensò che avrebbe potuto essere uno qualunque di quelle persone, che avrebbe potuto ridere liberamente, con le spalle doloranti, lamentandosi di una verifica, disperandosi per un quattro irrecuperabile ancora da confessare a sua madre.

 

… maman

 

L’aveva pensata tutta la sera, l’aveva sognata quella notte, aveva bevuto fino allo svenimento, solo per dimenticarla.

Non era riuscito a cancellare il suono della sua voce rotta dal pianto. Non era riuscito a non pensare a Sarah, a mettere da parte quell’orribile giorno in cui gliel’avevano portata via e aveva lasciato casa. Nella sua testa, quello era stato il punto di non ritorno, l’inizio della fine.

Il segno definitivo che avrebbe perso maman.

Lisa stava seguendo il suo sguardo smarrito in quel mare di ragazzi.

«Demi, quanti anni hai?»

Demian sussultò, gli occhi di Lys erano espressivi, da cerbiatta, pensò che forse era la prima volta che la guardava davvero.

 

È bella, a modo suo

 

Certo, avrebbe potuto esserlo di più se non si fosse vestita da suora di clausura, se si fosse sciolta quella severa treccia che le induriva il viso e avesse lasciato anche solo immaginare che, sotto quei vestiti informi, un corpo c’era.

Ma era bella nonostante questo. Perché lo si percepiva subito, che era dotata di una sua gentilezza, di una sua delicatezza interiore, un’eleganza che nulla, neanche gli occhiali troppo grandi che le nascondevano il viso, poteva celare.

«Sedici tra due settimane» stirò un sorriso fiacco.

Non era come sorridere ad Annie, non dava quel senso di pace assoluta, come trovarsi all’improvviso in un luogo silenzioso e tranquillo, all’ombra, con una brezza leggera a stemperare l’ansia. Ma Annie forse era semplicemente Annie.

 

Dubito che possa esistere realmente qualcun altro come lei.

 

Lisa ponderò qualcosa per un momento e, preso il coraggio, domandò più risoluta «Non dovresti andare a scuola?»

 

Dovrei.

So davvero che dovrei, ma non so come fare.

Mi sembra sempre di cercare di tornare in un posto che era mio, ma che ora non mi appartiene più.

Sono estraneo lì dentro.

Sto male, per questo straniamento. Adesso avrei voglia solo di vedere Arianna, non so nemmeno il perché. In realtà non ho neanche il coraggio di incontrarla di nuovo. Non dopo ieri sera. Non posso cambiare, è evidente, nemmeno per lei, nemmeno se lo volessi. Mi detesto, perché per qualcuno come lei vorrei farlo davvero, per Sarah vorrei farlo davvero.

So solo ferirli, ma non sopporto di fargli del male.

 

«C’è l’assemblea di classe» improvvisò senza alcuno sforzo. Mentiva così tanto e così spesso, ogni giorno, da essersi ormai trasformato in un bugiardo patentato senza speranza di redenzione. Mentire era e la prima e più grande prerogativa di un drogato, a riprova che ci navigava dentro fino al collo, in quell’ambiente.

Lys gli sorrise, una sfumatura di condiscendenza.

Erano entrati nel bar dall’altro lato della strada, Lisa si allontanò con delicatezza da lui per potersi accomodare al tavolino traballante che aveva scelto. Rimase fermo a fissarla ancora, seduta con le mani in grembo e la schiena rigida, uno strano e nobile animale.

 

Che stupido che sei, Nico!

Non fa altro che prendersi cura di te, preoccuparsi per te, e in cambio riceve solo ferite!

Possibile che nemmeno per lei puoi farcela, a essere migliore?

 

Un sudore freddo gli ghiacciò la schiena, ansia congestionata.

Paura.

Paura, in fondo, di non essere diverso dall’amico, non sarebbe stato migliore. Arianna era bella e buona, era l’incarnazione dell’arcaico valore assoluto di bellezza sublime donata ai mortali dagli dei, nel senso più complesso della sua valenza, per la raccolta di virtù che raccoglieva, e lui non era in grado di avvicinarcisi senza farle del male. Con il suo egoistico autolesionismo l’avrebbe ferita.

 

Perché si fa sempre male alle persone che ci amano quando non amiamo abbastanza noi stessi. L’amore è distruttivo. Essere amato da lei la distruggerà… mi distruggerà.

 

«Demi, non ti siedi?»

 «Certo, scusa. Mi sono incantato»

«Ti sei medicato appropriatamente?»

Demian si accigliò, mormorò distrattamente «Come?»

«Il tuo viso, Demi. Il taglio sul sopracciglio sta facendo infezione. Ti sei medicato?»

Si portò sovrappensiero una mano alla fronte, tastò appena la pelle, gli sfuggì una smorfia.

«Non proprio»

 

Non ne ho avuto il tempo, nemmeno ci ho pensato

 

«E scommetto che non è l’unica ferita che hai» constatò con una calma chirurgica, come fosse fin troppo abituata a fare simili osservazioni. E probabilmente era così, Nico era il caso perso per eccellenza.

 

Chissà quante volte, da ragazzino, le è arrivato a casa malconcio

 

La cameriera giunse a prendere le ordinazioni e mentre Demian si limitava ad un cappuccino, Lisa prese un caffè ed una brioche.

«Non ti facevo tipa da caffè, è amaro. Stride un po’ con la tua personalità»

Lisa ridacchiò, lo sguardo basso, intimidito avrebbe detto, non avesse saputo che non era poi tanto timida «È questo che pensate? Che sia tutta zucchero e miele?» lo osservò da sotto le lunghe ciglia con una punta di malizia.

Demian si morse l’interno della guancia, ci rifletté seriamente «No, direi di no. Sopporti Nico, non l’hai ancora picchiato nonostante la voglia di ammazzarlo debba essere davvero forte… e stai facendo colazione con me» sollevò l’angolo destro della bocca in un ghigno ironico «Naaah, non funzioni proprio, come damigella indifesa!»

«In verità il caffè non mi piace neanche un po’, ma da quando ho iniziato l’università ne bevo a litri. Quando studi tutto il giorno e cerchi un modo per poter resistere al sonno, il caffè diventa una droga!»

Alla sola idea di “studiare tutto il giorno”, Demian piegò la bocca in una smorfia contrariata che la fece ridacchiare. Lisa scosse piano la testa, a scacciare l’ilarità per bilanciarla subito con un rimprovero «Dovresti andare a scuola»

Questa volta lo affermò con una certa sicurezza.

Le mani nascoste dai guanti tagliati sulle dita, strette tenacemente intorno alla tazza, Demian si concentrò sulla macchia di crema del cappuccio che galleggiava nel liquido scuro.

«Non sono come te»

«No, decisamente no. E forse è meglio, non ti ci vedo rosso e con le lentiggini. Sei come te stesso, e non è così male» tacque un attimo di più, si guardò le mani ed abbozzò un sorriso un poco triste «Sai» gli confidò «Sono contenta che tra tutti, ci sia tu con Niki. Lo so, è uno scapestrato senza speranza, per non dire di peggio… ma lo conosco da sempre, non è solo colpa sua. So anche che non posso redimerlo, ma gli voglio bene. E tu sei pulito Dami, sei la persona più limpida vicino a lui, sono più tranquilla da quando ci sei»

Demian si sentì smarrito. Sollevò su di lei due occhi grandi di sorpresa, incapace di rispondere.

Lisa non ricambiava, era distratta, fissava qualcosa d’impreciso oltre la sua spalla, al di là della vetrata, sulla strada, ed era incredibilmente rilassata.

«Immagino che nel vostro mondo nel mondo, cose come lealtà e amicizia siano molto relative. Ma Niki ti stima davvero, anzi, ti adora. Gli ricordi Chris… non me lo ha mai detto, ma so che è così perché lo ricordi anche a me. Era un bravo bambino, come te. Introverso e timido. Debole. I compagni se la prendevano sempre con lui»

 

Come fa a saperlo?

Quante cosa sa Lys? E quante gliene ha dette Nico? Quante sono sue speculazioni?

 

«Niki ti vuole bene, quindi sono contenta. Ma tu hai solo sedici anni, Demi. Non rovinarti la vita, neanche per lui. Nicolas ha fatto le sue scelte, rimarrò sempre io per non lasciarlo solo. Ma anche se sono contenta che sei qui, tirati fuori da tutto questo, non è ancora troppo tardi»

 

Non sarebbe troppo tardi per me?

 

Lisa non lo vedeva, che si era bruciato, che lui e Nicolas avevano in comune più di quanto avrebbe preferito ammettere.

«Pulvis et umbra sumus» mormorò, lo sguardo ancorato alla tazza da cui non aveva ancora bevuto un solo sorso «Ci sono persone che non meritano niente, sono solo ombre che camminano. La nostra vita “è un’ombra che cammina, una favola raccontata da un idiota, piena di strepito e furore, che non significa niente”»

Lisa inclinò appena la testa e sorrise teneramente «Shakespeare» constatò, poi scrollò le spalle «Ti piace leggere, eh? Niki me lo aveva detto, che sei un letterato capitato lì per errore»

 

Capitato lì per errore? È questo che dice?

Che bugiardo, è stato lui a volermi, è stato lui a desiderare qualcuno destinato a diventare il suo braccio destro, qualcuno di cui potersi fidare.

Non si può proprio dire che io sia capitato qui per errore

 

E comunque non gli riusciva di farne una colpa, a quel ragazzo, alla fine non fosse stato per Nicolas avrebbe semplicemente rimandato ancora di poco l’inevitabile: era solo questione di tempo, ma la sua vita era destinata a prendere una piega disastrosa comunque, a scivolare sul versante delle risse e delle droghe.

 

Per persone come me non c’è altro destino che questo

 

Lisa mangiava compostamente la sua brioche alla marmellata, senza sporcarsi le dita, senza lasciar cadere nemmeno una briciola. Una principessina perfettamente educata nata in periferia, metodica persino nello sbocconcellare qualcosa. Riusciva a farlo con una naturalezza tale da non far sentire inetto chi gli stava accanto.

«Se vuoi ti dò un passaggio» bisbigliò arrossendo, forse sentendo la propria proposta invadente.

 

Eccola, invincibile e timida, che combinazione paradossale

 

«Le lezioni con le assemblee erano divertenti. Nella mia classe ricordo che si faceva sempre un baccano allucinante, eravamo la disperazione degli insegnanti!»

A Demian sfuggì un ghigno «Non ti ci vedo proprio in versione ribelle. Scommetto che tu eri la ragazzina carina nell’angolo della classe, che cercava di leggere leziosamente un libro!»

Lisa aprì la bocca per rispondere, ma fu interrotta da un «Non credo proprio!» accompagnato da una risata intrisa di scherno.

Due braccia la strinsero da dietro mentre Nico si appoggiava con il mento sulla spalla della ragazza, con quella piega della bocca provocatrice che si ostinava a chiamare sorriso, incisa a forza nella pelle.

«Ce ne hai messo di tempo. Che staresti insinuando?» lo istigò Lisa, inarcando un sopracciglio.

«Che non eri carina, tanto meno leziosa!» Alzò gli occhi su di lui, Demian rimaneva sempre basito dal cambiamento che sfigurava Nicolas quando c’era lei «È stata la capoclasse più terribile della storia, la chiamavamo “la dittatrice”. Hitler sarebbe impallidito!»

Al ricordo si lasciò andare ad una risata stranamente genuina, mentre si staccava da lei per stravaccarsi malamente sull’ultima sedia vuota del tavolo «Pensa» riprese nostalgico «Che in classe l’avevamo eletta perché sembrava la più innocua. Pensavano tutti di scaricarle addosso ogni responsabilità, ci siamo detti “con lei possiamo fare quello che vogliamo”»

Lisa si risentì «Mi avevano provocato!» protestò arrossendo fino alla radice dei capelli ancora più rossi «Io sarei stata più docile se loro…»

«Lys, tesoro, gli insegnanti erano terrorizzati da te! Ti ricordi quando litigavi per gli articoli che volevi pubblicare sul giornalino della scuola? Se la vicepreside ti vedeva avanzare verso di lei in corridoio cambiava direzione, pur di non incrociarti!»

Demian sgranò gli occhi per la sorpresa e si ritrovò a ridere «Seriamente? Lisa? La nostra Lys?»

«La mia» puntualizzò Nicolas, severo.

«La Lisa di se stessa» chiarì invece lei, con un’occhiataccia ammonitrice al suo amico d’infanzia «Tua sarà senz’altro la conturbante meretrice con cui hai trascorso la notte»

Nicolas, preso in contropiede, si accigliò: Demian riusciva tranquillamente a immaginare gli ingranaggi di quel cervelletto provato, incepparsi nella perplessità.

«Conturbante meretrice?» si volse verso di lui con una domanda impressa negli occhi fangosi e Demian provò una profonda mortificazione. Sembrava gli stesse urlando contro mentalmente “Non potevi trovare un’altra scusa?”.

«Ho già scordato il suo nome» si riprese prontamente con un ghigno strafottente che convinceva poco.

«È già tanto se ricordi il tuo dopo quello che fai tutte le sere» lo rimbeccò lei, ed il sorriso appena accennato celava una nota dolente che provocava una grande tenerezza.

Demian vedeva in lei una dolcezza struggente che cercava di proteggersi, di fronte a tanta forza, una forza che aveva visto e riconosciuto solo nelle donne, come traessero dalle proprie fragilità un senso. Sentì l’urgenza di rivedere Arianna, perché si era già pentito di ciò che aveva fatto, si era pentito di aver pensato che non potesse valere abbastanza. Avrebbe voluto baciarla, baciarle ogni centimetro di viso, soprattutto il suo naso, quel naso buffo e irriverente leggermente rivolto verso l’alto in una sfida. Voleva essere in grado di prometterle che non l’avrebbe ferita, che non sarebbe stato come Nicolas, perché li vedeva chiaramente gli errori dell’amico e non voleva rifarli su una persona candida come Annie, caparbia di una caparbietà che l’avrebbe annientata, se lui per primo non si fosse regolato.

«Il mio posso anche dimenticarlo, l’importante Lys, è che non scordi il tuo» Nico le sorrise quasi con dolcezza, ma fu solo un istante «Perché parlavate di scuola, comunque?»

«Perché Demi dovrebbe andarci, Niki. Ha sedici anni, non può stare in giro tutto il giorno a gozzovigliare con uno svogliato come te!» disse seria, rimproverandolo con ogni singolo gesto del suo corpo, tanto che Nicolas dovette alzare le mani in segno di resa.

«Ok, ok, tutto chiaro. Alzati e vai a renderti umano, Dem, ti dò un passaggio»

Demian boccheggiò, incredulo.

 

È uno scherzo, vero?

 

«Ma… sei serio?»

Nicolas sollevò gli occhi al soffitto «Hai sentito la mia Signora. Ogni suo desiderio è un ordine»

Lisa sorrideva trionfante, ora perfino più rossa dei suoi capelli.

 

***

 

 

Avevano fatto deviazione e lo avevano portato a casa sua. C’era voluto parecchio, per il traffico mattutino e perché il paesino in cui abitava distava una quindicina di chilometri dal centro, ma Nicolas era stato irremovibile.

Aveva raccattato lo zaino e ne aveva approfittato per “rendersi umano”, alla detta di Nico, ovvero si era lavato per non puzzare più come un barbone della stazione. Gli doleva ancora il costato, il volto non era più gonfio ma restava contuso e ammaccato peggio della macchina che avevano fatto schiantare contro il muro la sera prima. Alcuni tagli stavano facendo infezione, erano ponfi dai bordi slabbrati e sanguigni. Avrebbe voluto solo buttarsi nel letto, eppure quei due strani esseri lo stavano aspettando in macchina come due genitori apprensivi.

Quasi, gli strappavano un po’ di buon umore.

 

Insomma, vedere Lys che addomestica Nicolas è sempre uno spasso

 

Prima di uscire diede da mangiare a Lalami e si annotò di ringraziare Julian appena ne avesse avuto l’occasione, o Claire, perché era evidente che uno dei due fosse passato a pulire e avesse rimediato alla sua negligenza, impedendo alla cucciola di morire di fame.

 

Sei un padrone idiota e sconsiderato

 

«Ohi, ce ne hai messo di tempo! Cos’è, ti sei fatto il bagno con i Sali profumati?» lo apostrofò Nicolas, mettendo in moto il motore della macchina.

«Anche fosse, è comunque più sconvolgente che tu sappia cosa siano, dei Sali da bagno!» rise Lisa, la bocca coperta d’istinto con la mano.

Demian era abituato a partire la mattina presto in motorino, fu contento di ricevere un passaggio perché iniziava veramente a fare troppo freddo e il giubbino e i guanti non erano più d’aiuto.

 

Ancora qualche giorno e mi toccherà fare l’abbonamento dell’autobus, se non voglio finire assiderato

 

«Fai l’artistico, Demi? Non lo sapevo. Per tutte le citazioni che fai ti credevo uno studente da Classico» commentò Lisa, che aveva appena notato l’enorme cartelletta rossa che si portava appresso e conteneva tutti i lavori iniziati in classe, ovviamente mai conclusi.

«È anche bravo» aggiunse Nicolas, voltandosi appena a guardarlo «Anche se ha sempre un cazzo di libro in mano»

Lisa lo colpì prontamente con un buffetto alla testa, preciso e metodico «Voltati. Guarda la strada. E rallenta!» lo rimproverò colorandosi nuovamente di rosso «Se mi accade qualcosa perché tu vai troppo veloce non ti perdonerò!»

Nicolas sbuffò, ma nonostante la ritrosia ridusse drasticamente la velocità e, miracolosamente, si fermò davanti al semaforo rosso. Tutto questo senza imprecare neanche una volta, anche se gli si leggeva tranquillamente in viso quanto desiderasse farlo.

 

Dio, le donne hanno un potere spaventoso, ha ragione Julian!

 

«E comunque non lo sai, se sono bravo» si ritrovò a protestare, in maniera quasi infantile «Non hai mai visto i miei lavori»

«Stronzate!» Lisa lo ammonì con lo sguardo e Nico corresse il tiro «Ok, sciocchezze! Disegni costantemente, non ti si può lasciare una biro in mano, scarabocchi ovunque. Anche sul tavolo della mia cucina!»

 

Se ne è accorto? Nicolas è il tipo di persona che presta attenzione a certe cose?

Potrei quasi pensare che gli importi

 

Ed era da tempo ormai, che era sceso a patti con se stesso e aveva smesso di credere in sottintesi che con quel ragazzo non avevano valore.

«Cucina è un parolone per quel buco» sottolineò invece «Stamattina per poco non mi è rimasta in mano un’anta!»

Discretamente, per non farsi notare da Lisa, Nico gli mostrò il medio accompagnato da un sorriso strafottente attraverso lo specchietto retrovisore «Sbaglio, Lemaire, o oggi sei particolarmente eloquente?»

«Sbaglio o oggi sei più gentile del solito, Niki?»

Nicolas perse strati di colori per lo shock, Lisa scoppiò a ridere «Uno a zero, palla al centro!» dichiarò, dando di gomito al suo migliore amico, che sibilò «È rimasto con te dieci minuti, Cristo, solo dieci minuti! E me lo hai già rovinato. Non l’ho mai sentito parlare così tanto e lo conosco da tre anni. Sei tremenda Lys!»

 

Cavolo, ha ragione

 

Da quando aveva compreso in cosa si era cacciato, aveva limitato le sue interazioni al minimo, non aveva mai parlato così spontaneamente se non per discutere con Teo. Di certo, non aveva mai osato provocare Nicolas! Ed il problema non era Lisa, il problema era Arianna, era come si era sentito stando con lei: come vedere un buco nella rete, uno squarcio nel muro. Assistere all’apparizione miracolosa di un fantasma. E allora, con quel senso di possibilità improvvisa, di mondo spalancato, si era acceso in lui un barlume.

Un barlume simile a quello che Nicolas gli aveva stretto tra le mani anni prima, l’idea improvvisa e soverchiante di una scelta.

Nicolas parcheggiò proprio di fronte all’entrata deserta della scuola e Demian balzò fuori con un saluto frettoloso, a disagio. Mentre si allontanava, in uno strano stato sospeso, vagamente comatoso, con l’energia e la voglia di vivere di una patella affrancata al suo scoglio, li vide ricominciare a bisticciare.

Nicolas aveva un sorriso più buono, forse avrebbe potuto esserlo, più buono, se ce ne fosse stata l’occasione.

Sollevò il cappuccio e s’infilò le cuffiette dell’Mp3, per isolarsi il più possibile dagli sguardi dei bidelli e degli studenti che girovagavano come anime in pena durante il cambio dell’ora. Raggiunse il banco della segreteria e compilò silenziosamente il documento della giustificazione provvisoria, senza che la bidella dicesse nulla. Lo conosceva e sapeva perfettamente che tentare di parlargli era inutile: non le avrebbe risposto, nei migliori dei casi si limitava a mugugnare qualcosa d’incomprensibile.

Ripose la penna e raggiunse l’ufficio del vicepreside per farsi firmare, da prassi, il permesso di rientrare a lezione anche senza la firma di sua madre.

Anche quello stupido vecchietto, il Professor Vezzoli, insegnate d’inglese fortunatamente non nella sua sezione, era abituato a vederlo entrare agli orari più disparati e ormai aveva rinunciato a qualunque paternale. Lo accoglieva, firmava e lo spediva in classe, negli occhi quella compassione familiare che lo faceva sentire appestato, come fosse un cane abbandonato in autostrada, destinato a morire di stenti.

Lo sguardo che si dedicava ad una persona senza speranza e senza futuro.

 

Pulvis et umbra

 

Varcò la porta aperta dell’aula con le cuffiette ancora nelle orecchie, anche se la musica era spenta, per fingere di non poter sentire alcun commento. Il professore non era ancora arrivato, c’era un gran casino, si sentiva esposto agli occhi dei curiosi. Sospirò e si concentrò per assumere l’aria più ostile e distaccata possibile.

«Lemaire!»

Preso in contropiede, Demian sollevò la testa di scatto.

 

Nessuno qui mi ha mai chiamato

 

Tanto meno, una voce evidentemente felice di vederlo. Con sgomento, ritrovò Diodoro che sventolava la mano dal fondo dell’aula, con un sorrisone immenso stampato in viso. Per reazione, ovviamente, il resto della classe manifestò la propria perplessità con un improvviso silenzio.

Si riscosse dalla sua paralisi e si sfilò lentamente le cuffiette, riavvolgendole con calma per prendere tempo.

«Ciao Barbi» mormorò infine, imbarazzato per l’imbarazzo che trapelava dalla propria voce.

I rumori ricominciarono, i compagni erano tornati a farsi i fatti propri, forse, o a commentare. Non voleva essere paranoico, ma sentiva la loro curiosità come fosse fisica, farfalle che si posavano sul suo corpo.

Raggiunse il compagno e occupò la sedia accanto a lui.

«Ehi, ti ha investito un tir?»

«Eh?»

Diodoro roteò gli occhi «La tua faccia, Lemaire, la tua faccia. Ti avevo lasciato pesto, ma sei riuscito persino a peggiorare, dall’ultima volta che ti ho visto!»

Confuso, Demian scrollò le spalle «Già» si limitò a borbottare.

«Ciao Dem, bentornato!» ecco un’altra voce pimpante che si apriva a forza una strada tra gli strati di cumulonembi dei suoi pensieri. Giulia, allegra e raggiante, si fece avanti appoggiando un quaderno sul suo banco, di fronte al suo viso corrucciato.

«C-ciao» esitò, perplesso.

 

Ma che sta succedendo?

Mi sono perso qualcosa?

 

«Non te lo chiedo nemmeno, se ti servono gli appunti, perché tanto lo so già che dici di “no” per principio, visto che sei un musone» esordì lei, abbozzando un sorriso paziente e dolce «Però te li ho presi lo stesso. Sai, con tutte le assenze che stai facendo rischi di restare indietro»

Il professore fece la sua comparsa il quel momento, salvandolo dall’impaccio di trovare una risposta che proprio non gli veniva. Giulia accennò un saluto infantile con la mano e lo liquidò con un «Ti spiego all’intervallo, intanto se hai voglia dagli un occhio» prima di dileguarsi e raggiungere il suo posto.

«E ti pareva, se non avevi anche la fortuna della secchiona che ti passa gli appunti! Condividi, Lemaire»

Demian corrugò la fronte, finalmente lo fissò «Ma tu non eri uno che studiava?»

«Anche se non esco con una ventitreenne sono un ragazzo anche io. Non è che siccome ho gli occhiali sono un genio per forza! Questo è un pregiudizio!» chiarì Barbi, impettito come un gufo offeso, prima di allungare la sua manaccia sul quaderno di Giulia, sfilandoglielo da sotto il naso. Istintivamente, si sporse e lo bloccò «Ehi, non ho mai detto che te lo avrei prestato» si ritrovò a dire, senza una ragione precisa. Non significava nulla, eppure non voleva cederlo.

 

È stato fatto per me, una cosa fatta per me!

 

Diodoro tentò di sfuggirgli, al che nacque una piccola colluttazione in cui il ragazzo ebbe ben presto la peggio. Demian imprigionò la sua testa con un braccio, in una presa ferrea, mentre con la mano libera gli sventolò davanti il quaderno, con fare vittorioso.

«Lemaire, dai! Cavolo, vuoi strozzarmi? Sei un egoista! Tra amici si collabora, no?»

«Non mi hai dato nulla in cambio. E non dirmi la gratitudine, quella non vale!» lo precedette quando lo vide aprire la bocca per ribattere con fare petulante.

«Demian Lemaire. Sono felice che ti sei deciso a illuminarci con la tua presenza, ma lascia Barbadico, ora. I tuoi compagni non sono barbari, né animali. Il liceo non è uno zoo, in caso ti fosse sfuggito» la voce ostile e gelida del Professor Albani tagliò il pesante silenzio che Demian non si era reso conto essersi formato in classe. Eppure, era evidente, perché i suoi compagni continuavano a fissarli borbottando tra loro, sconvolti. Liberò il compagno di banco che si risistemò prontamente gli occhiali «Colpa mia, Prof, ci scusi» disse Barbi, dissimulando il nervosismo.

«Oh, conoscendo il soggetto non credo proprio. Hai la giustificazione per l’entrata in ritardo, Lemaire?»

Demian lo fulminò e senza dire una parola si alzò e andò a porgergli quello stupido pezzo di carta. Albani lo squadrò con aria critica «Pensi che tua madre ti giustificherà prima o poi, o continueremo a lungo con questa sceneggiata?»

«Non molto a lungo, tra una chemio e l’altra tirerà presto le cuoia. Suppongo che poi qualcun altro avrà il diritto di firmare e lei avrà la sua stupida giustifica» sibilò a denti digrignati, in modo che nessuno potesse sentirlo a parte il professore e qualche curioso della prima fila dall’udito particolarmente fino.

Albani piegò la bocca in una smorfia costipata «Il vittimismo non ti salverà dalla bocciatura. Sei un delinquente, qualunque cosa tu dica. Vettene a posto e ringrazia che non ti spedisco dal preside» aprì il registro con uno schiocco secco e vi infilò la giustificazione.

Demian si morse la lingua e tornò al suo banco con più bile in bocca che saliva. Per nulla interessato alla lezione, recuperò un libro dallo zaino e, con sua sorpresa, prima che potesse aprire l’astuccio Barbi gli porse una matita. Non lo guardava, fissava la lavagna, ma aveva un sorriso appena accennato, divertito.

 

Ok, oggi c’è proprio qualcosa che non va

 

Gliela sfilò dalle dita, gli diede un leggero pugno sulla spalla, poi si dedicò a Il Racconto di Due Città.

 

“Erano i tempi migliori, erano i tempi peggiori, erano giorni di saggezza, erano giorni di follia, era l’epoca della fede, era l’epoca del dubbio, era la stagione della Luce, era la stagione del Buio, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione, avevamo tutto davanti a noi e davanti a noi non avevamo nulla, marciavamo diretti verso il Paradiso e andavamo nella direzione opposta”

 

A volte aveva l’impressione che quella manciata di righe descrivessero perfettamente il precario equilibrio della sua esistenza, per questo prima di riprendere da dove lo aveva lasciato, rileggeva sempre l’esordio. Quelle parole gli ricordavano se stesso.

In passato, quando si era sentito tremendamente solo, i libri erano stati l’unico sostegno, solamente nelle parole stampate aveva ritrovato un conforto che gli aveva permesso di non cedere, perché se qualcuno poteva scrivere di dolore con tale nitidezza, di paura, di angoscia, allora Demian si sentiva meno sbagliato, aveva la certezza che esistevano persone che stavano o erano state come lui, peggio di lui. Non era pazzo, e nemmeno solo, quando stringeva un libro.

In quel preciso istante, ancora una volta erano quelle pagine ruvide a dargli un sentore di cosa stesse provando, una traccia da interpretare nel momento in cui lui per primo non era all’altezza di comprendersi.

 

Avanzare verso il paradiso e andare nella direzione opposta

 

Era l’antitesi interiore che gli provocava Arianna. Sembrava un Eden in cui nascondersi dalle brutture della vita, eppure ogni passo verso di lei aveva il retrogusto del disastro.

Se lei sparisse, ora forse sarebbe un inferno. Ma ha giurato.

Mi ha guardato negli occhi e ha promesso.

Ha visto il peggio di me e non è fuggita

 

Sfilò il cellulare dalla tasca e, non senza titubanza, si ritrovò a digitare

 

 

Dami

 

Ehi, Annie

 

17/10/2001

9:18

 

Pochi secondi e l’apparecchio gli vibrò tra le dita, inoltrandogli l’immediata risposta.

 

 

Annie

Come mai così mattiniero? =)

17/10/2001

9:19

 

Dami

Ho voglia di disegnarti

17/10/2001

9:20

 

Annie

Ooook! Beh, sono una bellissima musa, non posso biasimarti! Fallo pure =)

17/10/2001

9:22

 

Dami

Se ti vedo è più facile

17/10/2001

9:23

 

Annie

E allora vediamoci, no?

17/10/2001

9:24

 

La semplicità con cui potevano trovarsi era quasi da capogiro, impensabile fino a qualche giorno prima. Incredibile, come lei, gli veniva da pensare, perché fino a qualche settimana prima nemmeno la conosceva, e allora come era successo che fosse diventata un pezzo così fondante della sua quotidianità?

 

 

Dami

Oggi pomeriggio?

17/10/2001

9:26

 

Annie

Ogni volta che vuoi =)

17/10/2001

9:27

 

Demian ripose nuovamente il cellulare nella tasca dei jeans, il petto si stava gonfiando di una strana euforia che quasi gli toglieva il fiato per il bruciore che causava. Dovette trattenersi dal sorridere, perché si sentiva un beota.

 

Pulvis e umbra.

Non è vero, non sono un’ombra, quando c’è lei. Arianna le ombre le dissipa, allontana anche la mia.

Quando c’è lei, mi sembra di essere.

 

 

 

 

  
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