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Autore: crazy640    09/09/2019    2 recensioni
SEGUITO DI "IL PAGAMENTO DI UN DEBITO"
I personaggi di Harry Potter appartengono a J.K. Rowling. NON permetto la pubblicazione della storia in altri siti.
"Hermione Granger-Malfoy osservò il via vai di gente che quotidianamente animava la stazione di King’s Cross dal proprio tavolino e, puntuale come ogni anno, il ricordo del suo primo arrivo in quella stazione riaffiorò alla sua mente: una ragazzina di undici anni, ancora una bambina, in mezzo ai propri genitori, spaventata a morte da quella novità inaspettata, ma allo stesso tempo elettrizzata per il nuovo mondo cui andava incontro.
A ripensarci adesso sembrava un’altra persona.
Tante cose erano successe dalla prima volta che aveva messo piede sul binario che l’avrebbe condotta a Hogwarts: aveva combattuto tante battaglie, personali e non, si era fatta degli amici che capivano la sua intelligenza e non ne erano spaventati, aveva conosciuto la paura, la rabbia, l’odio…l’amore."
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Blaise Zabini, Ginny Weasley, James Sirius Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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seventeen

 

 

VENERDì

 

"È un amore di lusso il mio
Scritto pure di lacrime
E dall'ossessione per il sapore del dolore"

 

Diversamente da molti dei suoi amici e colleghi studenti, Richard amava le settimane di mid-term in cui ritornava a casa.

Unico uomo in una casa di donne, il ragazzo si sentiva il Re del castello per quelle brevi settimane di vacanza.

Quella convinzione, probabilmente era dovuta anche alle attenzioni che sua madre riversava su di lui durante quei giorni, per compensare le settimane di lontananza: quasi ogni suo desiderio veniva esaudito e non c’era giorno in cui Richard non cogliesse negli occhi di sua madre uno sguardo a metà fra l’incredulo nel vederlo girare fra le stanze della loro casa e la felicità per la sua presenza.

L’atmosfera familiare era inevitabilmente cambiata quando tre anni prima suo padre era morto improvvisamente, lasciandolo l’unico uomo della famiglia con la grande responsabilità di prendersi cura di sua madre e delle sue sorelle e, nonostante la sua natura estroversa e i suoi comportamenti a volte infantili, Richard non aveva mai dimenticato le aspettative che suo padre aveva sempre riposto su di lui.

Per questo motivo il giovane cercava di passare quanto più tempo possibile con la sua famiglia e in particolare con le sue tre sorelle, punzecchiandole da bravo fratello maggiore e contemporaneamente mostrandosi disponibile a ogni loro necessità.

Quel venerdì pomeriggio, ad esempio, Richard era appena tornato da una mattinata di shopping con Allison Jane e Grace.

Era stata un’esperienza allucinante, ma offrendosi volontario per accompagnare le ragazze in giro per negozi aveva fatto sì che sua madre non dovesse prendersi un giorno libero dal lavoro o peggio sacrificare uno dei pochi giorni liberi per seguire due adolescenti e una preadolescente in una folle ricerca all’ultimo vestito alla moda.

Non appena ritornate a casa, le ragazze erano corse al piano di sopra nelle loro stanze per provare nuovamente i loro acquisti mentre tutto quello che Richard desiderava in quel momento, era un sandwich enorme che lo rimettesse in pace con il mondo e lo aiutasse a cancellare dalla mente i discorsi su abbigliamento, scarpe e gli innumerevoli flirt che affollavano la scuola delle sorelle.

Aveva appena iniziato a preparare il suo meritato sandwich quando sentì il suonare il campanello.

-Qualcuno può aprire la porta!- urlò dalla cucina, impegnato a sistemare attentamente una fetta di formaggio cheddar su una di pomodoro.

Dopo qualche istante di silenzio, capì che nessuno aveva sentito la sua richiesta o, se lo aveva fatto, avevano deciso di ignorarlo.

Alzando gli occhi al cielo Richard lasciò a metà il panino e si diresse velocemente lungo il corridoio che conduceva dalla cucina al vestibolo, aprendo poi la porta d’ingresso.

Non appena vide la persona ferma sulla soglia, un sorriso apparve istantaneo sulle sue labbra.

-Albus!- lo salutò, sinceramente sorpreso di vederlo.

Dopo il loro incontro al Babylon era fermamente convinto che Albus avrebbe cercato di evitarlo il più a lungo possibile, approfittando di quelle settimane di vacanza per venire a patti con ciò che aveva scoperto su di lui e su ciò che si erano detti.

La sua presenza sulla soglia di casa lo lasciò quindi piacevolmente sorpreso: possibile che Al avesse capito il significato nascosto dietro la loro conversazione e fosse venuto ad affrontarlo per chiarire definitivamente la loro situazione?

Bastò, però una seconda occhiata all’amico per capire che qualsiasi cosa lo avesse spinto fin lì non era certamente legato a pensieri felici.

I capelli neri di Albus, già perennemente sconvolti, erano in uno stato spaventoso come se il giovane avesse passato le ultime ore ad affondarvi continuamente tutte e dieci le dita dalle mani; i suoi vestiti erano in perfetto ordine ma, per la prima volta da quando lo conosceva Albus indossava un completo giacca e cravatta.

Per quale occasione si era vestito così elegante?

Ciò che lo colpì maggiormente però, fu il suo viso: il volto era pallido come lo aveva visto settimane prima e per un breve istante Richard si preoccupò che il ragazzo avesse continuato a far uso di pozioni stupefacenti anche durante le vacanze, con il rischio di farsi scoprire dai suoi genitori.

E infine i suoi occhi: gonfi e lucidi di lacrime. Aveva pianto?

Se non lo aveva ancora fatto, era evidente che bastava un piccolo stimolo per far crollare la diga che tratteneva a stento le lacrime.

-Che è successo?- domandò preoccupato.

Albus lo fissò qualche istante, in silenzio, prima di abbassare leggermente il capo e spostare lo sguardo sul pavimento.

-Scusa se sono venuto qua all’improvviso… Ma non sapevo dove altro andare- disse con voce spezzata.

Richard restò in silenzio sopraffatto a sua volta dalle parole dell’amico.

Albus era chiaramente in una situazione di forte stress emotivo e avrebbe potuto rivolgersi a chiunque ma per qualche motivo inspiegabile aveva deciso di cercarlo.

Doveva pur significare qualcosa…

Il vestibolo era ancora avvolto nel silenzio quando Albus rialzò lo sguardo e cercò gli occhi color ambra di Richard, mostrandogli ancora una volta la sofferenza che vi si nascondeva all’interno.

-Vieni qui- disse Richard con un gesto della mano sinistra.

Come se non avesse aspettato altro che il suo permesso, l’attimo dopo Albus si era gettato tra le sue braccia, adattando la sua figura lunga e muscolosa a quella più piccola di Richard in modo da poter nascondere il viso nell’incavo tra la spalla e il collo e stringergli le braccia attorno alla vita.

Richard si concesse qualche istante per riprendersi dall’impatto con il corpo massiccio di Albus e subito dopo portò un braccio attorno alle spalle del ragazzo, affondando le dita fra i folti capelli neri.

-Andrà tutto bene…- sussurrò voltando leggermente il volto verso quello di Albus, ancora nascosto nella sua spalla.

Stretto in quell’abbraccio, Richard promise a se stesso di fare tutto il possibile per aiutarlo.

Nessuno poteva dar del male ad Albus e credere di passarla liscia.

 

 

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LUNEDI

 

"Perché col tempo cambia tutto lo sai
E cambiamo anche noi"
 

-Allora? Che cosa avete intenzione di fare?-

Era stato un weekend difficile per i Serpreverde.

Non appena James era scappato dalla sala da pranzo per rifugiarsi nella sua stanza era sceso un silenzio pesante: Albus era immobile, con lo sguardo perso nel vuoto, incapace di venire a patti con la notizia che aveva appena ricevuto, mentre Ruby fissava incredula i suoi genitori.

-Come avete fatto a tenere questo segreto per tanti anni?- aveva chiesto dando voce a un pensiero presente anche nella mente di Albus.

I due adulti si erano fissati per un istante prima di tornare a posare lo sguardo su Ruby.

-Non avevamo altra scelta. Le vite di troppe persone sarebbero state compromesse se avessimo detto la verità- rispose Blaise per entrambi.

Dopo quel breve scambio di battute i due ragazzi si erano alzati da tavola e lentamente, un dopo l’altro, erano saliti al piano di sopra per elaborare da soli quello che era appena successo.

Una volta rimasti soli, Ginny aveva finalmente dato sfogo alla crisi isterica che era riuscita a tenere a freno fino a quel momento grazie alla presenza dei suoi figli; Blaise l’era stato accanto fino alla fine confortandola e aiutandola in tutti i modi possibili, ripetendole più volte che tutto si sarebbe sistemato, che presto le cose sarebbero tornate alla normalità, mettendo a tacere la paura della compagna di perdere i suoi figli per colpa degli eventi del passato.

Una volta ripresasi, Ginny aveva contattato Draco e Hermione per metterli a conoscenza dell’accaduto e in seguito aveva recuperato il biglietto da visita che aveva conservato per tutti quegli anni.

Il suo primo istinto era stato quello di chiamare subito Harry e pregarlo di incontrare i ragazzi in modo da far luce una volta per tutto sugli eventi che avevano portato alla fine del loro matrimonio.

Le accuse di James l’avevano ferita più di quanto aveva lasciato trasparire: come aveva fatto a non accorgersi che suo figlio aveva iniziato a covare tanto rancore nei suoi confronti?

Perché non era stata capace di cogliere i minimi segni che le avrebbero permesso di riportare tutto alla normalità prima che tutto degenerasse?

James era fermamente convinto che la fine del suo matrimonio con Harry fosse da imputare a lei e alla sua relazione con Blaise, quando lei stessa era stata una vittima della ragnatela di bugie e sotterfugi che Harry aveva tessuto attorno a loro durante gli ultimi mesi prima dello scandalo.

Come aveva potuto sconvolgere la realtà a tal punto da convincersi che Albus fosse figlio di Blaise?

Tutte quelle domande le ronzavano incessantemente in testa, senza alcuna risposta, insieme alla consapevolezza che Harry era l’unica persona capace di ridare un senso a quella follia e restituirle suo figlio.

James lo avrebbe ascoltato e avrebbe creduto ciecamente a ogni sua parola.

Di questo Ginny non aveva alcun dubbio. Per questo doveva contattarlo il prima possibile.

Era stato Blaise a dissuaderla dal farlo: l’aveva convinta ad aspettare qualche giorno prima di mettersi in contatto con l’ex marito, in modo da lasciare del tempo ai ragazzi per metabolizzare le informazioni che avevano ricevuto.

-Se non ci saranno cambiamenti fino a lunedì, allora sarò io stesso a chiamare Potter- le aveva detto cercando di strapparle un sorriso.

Sfortunatamente la situazione non era migliorata durante le successive ventiquattro ore: James si era isolato nella sua stanza, arrivando addirittura a mangiare i suoi pasti in camera, in modo da evitare gli altri membri della famiglia.

Albus non aveva scelto una soluzione così drastica, ma era evidentemente ancora scosso dall’accaduto scegliendo il mutismo a un volontario isolamento.

Ruby, per quanto quella situazione la riguardasse soltanto marginalmente, aveva preferito allontanarsi da casa scegliendo di andare a dormire da un’amica, mettendo quanta più distanza possibile tra se e il caos che si era venuto a creare nella loro famiglia.

Lunedì mattina, dopo una notte quasi insonne, Ginny si era fatta coraggio e aveva composto il numero di telefono sul biglietto da visita.

Sentire la voce di Harry dopo tanti anni le aveva fatto uno strano effetto, quasi fosse entrata in contatto con un fantasma, ma tutto era stato dimenticato quando aveva colto la nota di preoccupazione nella voce dell’ex marito non appena aveva accennato a James: gli aveva raccontato velocemente cosa era successo pochi giorni prima e gli aveva chiesto di incontrare i ragazzi.

Alla sua richiesta era seguito un breve silenzio seguito poco dopo da un sospiro rassegnato.

-Dammi un paio d’ore per parlarne con Rory e ti richiamo- le aveva risposto.

Dopo la breve conversazione con Harry, per Ginny e Blaise era arrivato il momento di affrontare la loro seconda famiglia: i Serpeverde.

Si erano incontrati a casa di Theo e Pansy, l’unica a essere relativamente sicura, e alternandosi nel racconto i due avevano rivissuto quello che era successo quarantotto ore prima.

Alla fine del loro racconto, i loro amici erano rimasti in silenzio per alcuni istanti chiaramente sorpresi da quello che avevano appena ascoltato.

-Fatemi capire: voi avete incontrato Potter e non ci avete mai detto nulla?- domandò Draco, leggermente indispettito.

Blaise annuì sostenendo lo sguardo dell’amico.

-Non hai pensato che forse io e Hermione avremmo dovuto saperlo?- chiese ancora il biondo.

-Ginevra ed io all’epoca decidemmo che vi avremmo informato nel caso fosse stato necessario ma, come ti ho detto, l’incontro è stato incentrato esclusivamente su James e Albus- rispose calmo Blaise.

-Chi ti dice che non abbia provato a spiare me o Hermione nel breve tempo in cui è stato qui?-ribatté Draco.

-Non l’ha fatto- s’intromise Ginny cercando lo sguardo dell’amico. –Non posso giurartelo, ma ciò che ha detto durante quell’incontro e il suo atteggiamento, mi portano a escludere questa possibilità-aggiunse.

Ginny incontrò lo sguardo di Hermione e le due donne si fissarono in silenzio per qualche istante prima che la riccia dischiudesse le labbra, pronta a intervenire nella conversazione.

-Hai avuto il suo indirizzo per tutti questi anni… Perché non lo hai contattato quando James ha iniziato a chiederti di Harry?- le domandò.

-Tu meglio degli altri dovresti capire la mia scelta.- rispose la rossa. –Harry ci ha chiesto di non farlo, di aiutarlo a mantenere l’anonimato che si è costruito in questi anni. Perché avrei dovuto negarli quella richiesta?

Se la situazione non fosse degenerata in questo modo avrei continuato a mentire per tutta la vita nonostante le richieste incessanti di James.

Mi ha salvato la vita quando eravamo a Hogwarts, è il padre dei miei figli ma non lo perdonerò mai per quello che ha fatto a me, a te o a Prudence- disse con voce ferma.

Hermione fissò l’amica ancora un istante prima di annuire.

-Allora? Che cosa avete intenzione di fare?- domandò Pansy, parlando per la prima volta.

Blaise sospirò sconfortato prima di incontrare lo sguardo di Ginny.

-I ragazzi incontreranno Potter- annunciò.

-Mentre venivamo qua, mi ha chiamato per dirmi che è disposto a incontrare James e Albus venerdì-continuò Ginny.

-Verrà a casa vostra?- domandò Hermione preoccupata per l’effetto che quell’incontro avrebbe avuto sull’amica.

Sia Ginny sia Blaise scossero la testa.

-Harry preferisce incontrarli nella Londra babbana; crede che sia un altro modo per mostrare il suo distacco definitivo dalla comunità magica e per evitare che James si faccia delle illusioni- continuò la rossa.

-Avete una minima idea delle possibili ripercussioni che avrà un incontro del genere?- domandò Draco preoccupato.

-Draco…- tentò di calmarlo Hermione.

-Cosa succederà quando Potter racconterà ai ragazzi il motivo che l’ha spinto a collaborare al rapimento di Prudence? Avete pensato alle conseguenze che questo incontro avrà sulla mia famiglia?- chiese ancora lasciandosi prendere dalla paura e dalla rabbia.

-Forse è arrivato il momento anche per voi di raccontare la verità ai vostri figli- replicò Blaise per nulla spaventato dall’amico.

-Sei completamente impazzito?-ribatté Draco muovendo un passo verso il Serpeverde.

-Ok, perché non cerchiamo di calmarci?- s’intromise Theo, sistemandosi strategicamente tra i due amici per evitare che la situazione degenerasse.

-In fondo non è un’idea tanto assurda: Prudence in parte sa la verità, che male ci sarebbe a raccontare cosa è successo alle gemelle e a Jude?- chiese l’attimo dopo rivolto al biondo.

-Non posso; ho promesso a Prue che le avrei lasciato del tempo per venire a patti con la verità in modo che sia pronta quando le racconterò tutto.

Non posso forzarla prima del tempo- ribatté adirato Draco.

-Quindi dovremmo restare in stand-by finché Prue non prende una decisione? Beh sono felice che lei abbia questa possibilità, ma se voglio avere una minima chance di salvare la mia famiglia non posso perdere altro tempo. Prudence sa di non essere tua figlia…- replicò altrettanto adirato Blaise.

-PRUDENCE è MIA FIGLIA!- rispose subito Draco, incurante del suo tono di voce.

Hermione si avvicinò al marito e gli posò una mano sul braccio cercando di calmarlo, ma l’uomo non sembrò neanche accorgersi della presenza della moglie accanto a se.

-Andiamo, sai benissimo cosa intendo! E’ tua figlia quanto James e Albus sono figli miei.

Sia tu sia io faremmo qualsiasi cosa per quei ragazzi ma non possiamo continuare a nascondere loro la verità: abbiamo cercato di proteggerli in tutti i modi possibili, anche cambiando le leggi per evitare che scoprissero tutto prima del tempo, ma adesso sono adulti.

Hanno il diritto di sapere e di prendere le loro decisioni in piena coscienza- continuò Blaise fissando lo sguardo fiammeggiante di rabbia di Draco.

L’attimo dopo l’uomo prese un respiro profondo e deglutì rumorosamente prima di continuare.

-Dobbiamo solo sperare di aver fatto bene il nostro lavoro di genitori in questi anni e che, una volta scoperta la verità, non cambi nulla-.

La speranza. Dovevano veramente aggrapparsi a qualcosa di così flebile per evitare di soccombere alla paura di veder scomparire tutto quello che avevano costruito con tanta fatica?

 

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MARTEDI

 

Lo sguardo fisso sul soffitto sopra il suo letto nella camera avvolta nel silenzio, Albus ripensò a quello che era accaduto per l’ennesima volta in tre giorni.

In questo momento avrebbe volentieri bevuto una birra o anche qualcosa di più forte che lo aiutasse a dimenticare tutto quello che era successo: com’era possibile che una normale conversazione attorno ad un tavolo, simile a migliaia di altre avute durante l’infanzia e l’adolescenza, potesse degenerare in quel modo?

Era stata la sua richiesta di voler cambiare cognome da Potter a Zabini?

In parte. Albus era certo che suo fratello si era sentito tradito dalla sua richiesta e certamente, la sua decisione aveva acuito il sentimento d’isolamento che, a quanto pare, James sentiva all’interno della loro famiglia.

L’unico Grifone in una famiglia di Serpi.”

Pensava veramente quell’idiozia? Probabilmente sì.

Non era la prima volta che James si lasciava andare a commenti e battutine, mascherando con l’ironia ciò che pensava veramente sulla loro famiglia: non aveva mai avuto un buon rapporto con Blaise e aveva bloccato sul nascere tutti i tentativi fatti dall’uomo in tutti quegli anni nel tentativo di instaurare il rapporto padre-figlio che invece si era creato tra Blaise e Albus.

Albus sospirò, ancora incredulo per i sentimenti contrastanti che quelle parole suscitavano in lui: al momento James non era tra le sue persone preferite, ma avendo vissuto in prima persona quel sentimento di solitudine non lo avrebbe augurato a nessuno, neanche a quell’idiota di suo fratello.

La situazione era precipitata quando Jim aveva accusato la loro madre di aver provocato la fine del matrimonio con Harry Potter e, cosa ancora più assurda di avergli mentito sulla sua reale paternità.

Ancora una volta Albus provò incredulità nel ripensare al livore con cui Jim aveva lanciato le sue accuse, ma se doveva essere completamente sincero con se stesso, doveva anche ammettere che per pochi secondi aveva sperato che fosse la verità, almeno per quanto lo riguardava.

Tutto avrebbe finalmente avuto senso: avrebbe trovato una spiegazione all’istantaneo rapporto che si era creato con Blaise nonostante la sua giovane età all’inizio della relazione tra i suoi genitori, avrebbe potuto spiegare perché il Cappello lo aveva smistato tra i Serpeverde e non tra i Grifondoro e soprattutto avrebbe trovato una giustificazione per il suo totale disinteresse nei confronti di Harry Potter.

Purtroppo sua madre aveva smentito quelle accuse, lasciandolo senza una possibile spiegazione per quegli interrogativi.

Ciò che era stato rivelato in seguito lo aveva turbato e disgustato: che razza di persona era Potter? Come aveva potuto lasciarsi trascinare in un’azione tanto orrenda?

Quella scoperta aveva avuto due effetti: aveva rafforzato la sua decisione di cancellare ogni possibile collegamento tra se stesso e Harry Potter e aveva aumentato il disinteresse per quell’uomo.

Per questo ora gli era difficile prendere una decisione: il giorno prima sua madre aveva comunicato a lui e a James che di lì a pochi giorni avrebbero incontrato Potter, in modo che Jim potesse avere le risposte che tanto desiderava e con la speranza di chiudere quella faccenda in modo definitivo.

Dal canto suo Albus non era certo di voler incontrare l’uomo; sinceramente non vedeva il senso di quella “ riunione”: non aveva nessun ricordo di Potter, non era stato presente negli anni formativi della sua vita ed era certo che non avevano niente in comune.

Harry Potter non era suo padre, era soltanto un nome su un certificato.

Perché dare all’uomo una nuova occasione per ferire lui o James?

Nonostante i rapporti tra loro al momento non fossero dei migliori questo non voleva dire che l’idea di veder soffrire James gli facesse piacere.

 Sapeva che il fratello non vedeva l’ora di incontrare Potter, anche soltanto per avere delle risposte alle sue domande ma Albus aveva la sensazione che suo fratello non fosse emotivamente pronto per quell’incontro o per quello che avrebbe scoperto una volta trovatosi a faccia a faccia con il grande Harry Potter.

Albus si lasciò andare a un sospiro frustrato.

Probabilmente avrebbe finito per andare a quell’incontro come supporto morale per James.

Il rumore di un colpo lieve sulla porta lo distolse dai propri pensieri e lo portò a staccare lo sguardo dal soffitto.

-Avanti-

La porta della sua stanza si aprì leggermente e sulla soglia apparve la figura di Blaise.

-Disturbo?- domandò l’uomo senza fare alcun accenno a entrare.

Albus scosse la testa e fece un cenno con la mano invitandolo a entrare.

L’uomo entrò nella stanza e si richiuse la porta dietro di se, restando poi fermo al centro della stanza, le mani affondate nelle tasche posteriori dei jeans, quasi fosse indeciso se ritornare sui suoi passi o se avvicinarsi al letto.

-Sono passato per vedere come stai… Sai con tutto quello che è successo negli ultimi giorni- gli disse.

Albus si lasciò andare a un gemito frustrato per poi sistemarsi meglio contro la spalliera del letto.

-Hai una domanda di riserva?-chiese il ragazzo a sua volta, strappando un sorriso all’uomo.

Blaise scosse lentamente la testa muovendo un passo verso il letto.

-Sicuro che non ti va di parlarne?-domandò ancora.

-Cosa c’è da dire? Il grande Harry Potter si è rivelato un essere umano come tutti gli altri.

Sai che scoperta! La cosa che mi disgusta è sapere che Prudence avrebbe potuto fare una brutta fine per colpa sua- commentò.

Per alcuni istanti cadde il silenzio nella stanza prima che Albus riportasse lo sguardo sul volto dell’uomo.

-Posso farti una domanda?- gli chiese una nota interrogativa nella voce.

Blaise annuì e approfittò di quel momento per sedersi sul letto.

-Quando… Quando hai conosciuto la mamma… Sì, insomma, era felice?- domandò impacciato.

L’uomo sostenne per alcuni attimi lo sguardo del ragazzo, prima di prendere un respiro profondo.

-Non credi sia meglio chiedere a lei?-domandò a sua volta Blaise.

-Sicuramente mi risponderà con una frase fatta, mentre io voglio sapere la verità- ribatté Al.

-Lo farebbe per proteggerti Al. La verità può fare molto male- gli disse con voce seria.

-Credi che non lo sappia? E’ sempre meglio di una bugia.

Quello che ho scoperto su Harry Potter ha confermato l’idea che ho avuto su di lui per tutti questi anni, credi veramente che la situazione possa peggiorare?-gli domandò ancora il ragazzo.

Blaise annuì lentamente lo sguardo fisso sulla punta dei piedi, inumidendosi il labbro inferiore con la punta della lingua, prima di cercare nuovamente gli occhi di Albus.

-La prima volta che ho visto tua madre avevo appena scoperto che tua zia Daphne era incinta di Amy. Ero in preda al panico- ricordò con un lieve sorriso a inarcargli le labbra. –Tua madre era lì, immersa in una conversazione con Hermione- aggiunse fermandosi bruscamente.

-Ci eravamo incontrati di sfuggita già una volta, ma non avevo fatto caso a lei.

Quando ci incontrammo quel giorno… Prudence era tornata a casa da qualche settimana-iniziò.

Albus lo fissò in silenzio in attesa che l’uomo riprendesse a parlare.

-Era venuta a scusarsi per quello che era successo: il rapimento e tutto il resto.

Era distrutta. Quando ci conoscemmo meglio, mi raccontò che si sentiva una stupida per non essersi resa conto di quello che succedeva attorno a se, mi parlò della rabbia che aveva verso tuo padre per il modo in cui l’aveva ingannata…- raccontò ancora Blaise.

L’uomo alzò le spalle.

-Non so dirti se fosse felice con tuo padre o se avrebbe comunque trovato la forza per lasciare tuo padre, perché la donna che vedi oggi è molto diversa da quella che ho conosciuto io quindici anni fa: era sottoposta a continue pressioni da parte della sua famiglia e inoltre non devi dimenticarti che tuo padre è stato il suo primo grande amore.

Aveva fatto e sopportato di tutto per stare con lui e l’idea di perderlo all’epoca le sembrava inconcepibile-.

-Anche se era innamorata di un’idea?- lo interruppe Albus.

Blaise accennò un sorriso.

-Certe volte siamo disposti ad aggrapparci a un’idea piuttosto che affrontare una realtà spiacevole che sicuramente ci farà soffrire.

Sempre che non ci sia proposta un’alternativa-.

Il ragazzo annuì per poi lasciar cadere il silenzio tra loro per qualche istante, lo sguardo fisso sulla trapunta grigia che copriva il suo letto.

-Posso confessarti una cosa?-disse improvvisamente.

Blaise restò in silenzio ma Albus sentì lo sguardo dell’uomo fisso su di sé.

-Quando James ha detto che forse non ero figlio di Harry Potter mi sono sentito… ho provato un senso di sollievo.

Ero felice all’idea che tu fossi mio padre- confessò senza mai alzare lo sguardo.

Nei brevi istanti di silenzio che seguirono, Albus continuò a sentire su di sé lo sguardo penetrante di Blaise, senza mai avere il coraggio di alzare la testa e incontrare i suoi occhi per paura di ciò che vi avrebbe letto dentro.

-Albus guardami- disse infine Blaise.

Prendendo un respiro profondo Al obbedì e si stupì nel vedere gli occhi dell’uomo velati di lacrime.

-Tu sei mio figlio.

Fin dal primo momento in cui ho capito di provare qualcosa per tua madre, dalla prima volta che ho incontrato te e James vi ho sempre considerato tali e continuerò a farlo finché voi me lo permetterete.

Non importa cosa dice la genetica o un pezzo di carta, amo te e tuo fratello quanto Amy e Ruby- disse con voce ferma e profonda.

Blaise non aveva ancora terminato il suo discorso che Albus si era fiondato tra le sue braccia, il viso nascosto contro il petto ampio dell’uomo.

Blaise posò un braccio sulle spalle di Al e lo attirò a sé, il mento sulla spalla destra del ragazzo.

-Ti va di dirmi cosa sta succedendo?- gli domandò dopo qualche istante.

Per un attimo Albus pensò di mentire, di rassicurare Blaise e dirgli che tutto andava bene, ma poi si rese conto che l’uomo non gli avrebbe mai creduto e dopo aver preso un respiro profondo, continuando a nascondere il viso contro il petto dell’uomo iniziò a raccontare.

Parlò a lungo, iniziando dal suo ritorno a Hogwarts il primo settembre: raccontò del suo sentimento per Richard, di come volesse fare il primo passo per trasformare la loro amicizia in qualcosa di più, continuando poi con la lite avuta con James e il conseguente allontanamento da Richard e Michelle, raccontando anche le cattiverie che aveva sputato addosso all’amica di sempre.

Infine confessò anche il recente uso di alcolici e di pozioni stupefacenti che aveva portato a un calo dei suoi voti.

-Non so cosa fare…- ammise infine alzando finalmente la testa dal rifugio sicuro in cui si era nascosto fino a quel momento.

Blaise lo fissò per qualche istante prima di prendere un respiro profondo a sua volta e affondare una mano tra i capelli neri e disordinati di Al allontanandoli dalla fronte.

-Ti ho mai parlato del mio ultimo anno a Hogwarts? Dopo la Seconda Guerra Magica?- gli domandò.

Albus scosse la testa.

-Io e i tuoi zii decidemmo di terminare gli studi, così sei mesi dopo la fine della guerra ritornammo al castello.

Non eravamo tra le persone più amate lì dentro come puoi immaginare e, inoltre dovevamo fare i conti con i postumi della guerra: Draco doveva scendere a patti con la fine della sua famiglia e il processo che aveva visto imputato suo padre, Pansy si era ritrovata improvvisamente sola quando la sua famiglia era fuggita all’estero per evitare di finire ad Azkaban…

Eravamo tutti delle vittime, ma per gli altri studenti incarnavamo tutto ciò che avevano combattuto e che continuavano a odiare.

-Durante i primi mesi di quell’anno eravamo tutti alla deriva: Daphne passava da una festa all’altra, senza presentarsi a lezione per giorni, Draco aveva incubi terribili tutte le notti e Pansy passava ore sui libri cercando quel po’ di ordine e di stabilità che non riusciva a trovare intorno a se-continuò Blaise.

-Che mi dici di te?-domandò curioso Albus, uno sguardo attento sul volto dell’uomo.

Un sorriso malinconico incurvò le labbra di Blaise.

-Io andai completamente fuori di testa.

Iniziai a bere e a usare pozioni stupefacenti, molto più forti di quelle che presumo hai assunto tu.

Ci sono state occasioni in cui mi svegliavo e non ricordavo nulla delle ventiquattro o quarantotto ore precedenti.

Ancora adesso a distanza di anni ho enormi vuoti di memoria: so che avrei potuto usare un incantesimo per scoprire ciò che era successo in quelle occasioni, ma ho paura di sapere cosa ho fatto e quanto oltre mi sono spinto in quei momenti di follia.

-Ho rischiato più volte l’espulsione.

So che se sono riuscito a diplomarmi è stato soltanto grazie all’intercessione dei tuoi zii ed è sempre grazie a loro se alla fine ho smesso di bere e di assumere pozioni-.

Blaise cercò nuovamente gli occhi verdi di Albus.

-Quando ti ho visto l’altro giorno in stazione, ho capito subito che cosa ti stava succedendo.

Ho riconosciuto i sintomi e sapevo che alla prima occasione avrei dovuto parlarti per cercare di aprirti gli occhi.

Non importa quanto buia possa sembrarti al momento la situazione, la strada che hai scelto non è quella giusta.

Tutto si risolverà, te lo prometto.

Non sei obbligato ad andare all’incontro con Potter, ma se lo farai sappi che io e tua madre saremo qui ad aspettarti e che sarò pronto a rispondere a ogni domanda tu vorrai farmi- lo rassicurò.

-Inoltre, so che non mi crederai adesso ma tutto si sistemerà anche con Michelle e Richard.

Quel ragazzo è pazzo di te: ogni volta che ti vede vorrebbe chiaramente saltarti addosso- commentò con un sorriso malizioso sulle labbra che fece arrossire Albus. –Forse con Michelle sarà più difficile farti perdonare ma sono sicuro che troverai il modo, anche a costo di metterti in ginocchio e implorare il suo perdono.

Un’amicizia come la vostra non può finire in questo modo.

Se tu sapessi quante volte io e Draco ci siamo urlati addosso e siamo quasi arrivati alle mani; eppure ogni volta che io ho avuto bisogno lui è sempre stato al mio fianco, anche quando non era d’accordo con le mie scelte o il mio comportamento.

Ed io ho fatto lo stesso.

Certe amicizie sono eterne, non importa quanto ci s’impegni per rovinare tutto- commentò infine Blaise, un ghigno ironico a incurvargli le labbra.

Albus annuì, rasserenato dalle parole di Blaise e sentendosi più leggero per la prima volta da settimane.

Blaise aveva ragione, su ogni cosa: doveva riprendere in mano le redini della sua vita e porre rimedio a tutti i casini che aveva combinato in quelle ultime settimane.

Nel fiume di parole che l’uomo aveva detto, però, c’era una frase che si era impressa nella sua mente e non lo abbandonava.

-Credi veramente che Richard provi qualcosa per me?- gli domandò cauto.

Blaise si lasciò andare a una risata a quelle parole, posandogli una mano sul ginocchio più vicino.

-Credimi, ti fissa come io guardo tua madre- rispose.

Albus lo fissò qualche secondo per poi corrugare la fronte e scuotere la testa con forza.

-Ewww! Sai che avrò bisogno di un incantesimo per cancellare dalla mia mente questa immagine orrenda?-disse sconvolto.

Ancora una volta la risata profonda di Blaise si diffuse per la stanza, chiaramente divertito dalle parole di Al.

Era stata una settimana dura e molte cose dovevano ancora accadere, ma l’uomo era certo che nulla, neanche la verità, avrebbe rovinato il rapporto fra lui e suo figlio.

Avrebbe fatto di tutto per impedirlo.

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MERCOLEDì

"Ma, dammi la mano e torna vicino
Può nascere un fiore nel nostro giardino
Che neanche l'inverno potrà mai gelare
Può crescere un fiore da questo mio amore per te"

 

-Posso aiutarti?-

Draco guardò il ragazzo fermo sui gradini del patio della Malfoy House, il volto atteggiato a un’espressione curiosa.

Durante le vacanze era consuetudine che gli amici delle gemelle o di Jude si presentassero poche ore dopo il loro ritorno per passare insieme i giorni di vacanze; questa volta i suoi figli erano tornati da quasi una settimana da Hogwarts per le vacanze di mid-term e fino a quel momento nessuno dei ragazzi che affollavano solitamente la Malfoy House si era ancora visto.

Draco era certo di non aver mai visto il ragazzo fermo sulla soglia della porta principale, con un’espressione leggermente intimidita in volto nel trovarsi davanti al proprietario di casa.

L’adolescente era alto con un fisico longilineo e scattante perfetto per un giocatore di Quidditch; i capelli neri erano folti e lucenti e mettevano in risalto gli occhi chiari separati da un naso lungo e dritto, la cui punta faceva ombra a una bocca carnosa.

Osservando il ragazzo Draco si domandò da quanto tempo Jude aveva iniziato a intrecciare amicizie con studenti più grandi: suo figlio aveva quasi tredici anni, ma l’adolescente fermo davanti a lui aveva chiaramente due se non tre anni di più.

Se da un lato Draco si trovò a chiedersi cosa avessero in comune i due ragazzi, dall’altro fu compiaciuto della capacità di suo figlio di ampliare le proprie conoscenze anche oltre gli studenti del suo anno.

Al termine del suo esame, Draco si accorse che il ragazzo non aveva ancora risposto alla sua domanda e, invece di parlare nuovamente si limitò ad alzare il sopracciglio destro in una richiesta silenziosa.

Alla vista di quel piccolo gesto, il ragazzo sembrò rianimarsi: le spalle si rilassarono minutamente, le mani che fino a quel momento erano affondate nelle tasche dei jeans fecero la loro comparsa e si sistemarono lungo i fianchi, e sul volto del giovane comparve un sorriso accennato che diede maggior risalto all’espressione determinata del suo volto.

Fu soltanto grazie a quel piccolo sorriso che Draco si accorse dei tre piccoli nei presenti sulla guancia destra a poca distanza l’uno dall’altro.

-Buongiorno Mr. Malfoy, sono Jeremy Flynn- disse tendendo la mano destra verso Draco.

Il biondo allungò a sua volta la mano e strinse quella del giovane, concedendo a Jeremy qualche punto in più per il modo in cui si era presentato.

L’attimo dopo Draco sciolse la stretta e intrecciò le braccia al petto, senza fare alcun accenno a far entrare il ragazzo.

-Bene Jeremy, cosa posso fare per te? Sei qui per Jude?- domandò per la seconda volta in pochi minuti.

La fronte di Jeremy si corrugò per alcuni secondi, prima che il ragazzo si passasse una mano tra i capelli per allontanare una ciocca di capelli che era caduta sulla fronte a poca distanza dall’occhio destro e incontrasse nuovamente il suo guardo.

-In realtà sono qui per Michelle. E’ in casa?- domandò.

Se fino a pochi istanti prima Draco Malfoy era disposto ad accettare la presenza del giovane in casa, convinto che dall’amicizia fra lui e Jude potessero sortire dei benefici per entrambi i ragazzi, ora la situazione era completamente cambiata.

Quel ragazzo aveva chiesto di Michelle: che rapporto c’era tra loro? Da quanto si conoscevano? Erano compagni di Casa a Hogwarts? Hermione sapeva della sua esistenza? Se così era perché lui non ne era stato informato? Perché era sempre l’ultimo a sapere le cose?

Prima di poter rivolgere al ragazzo anche solo una delle tante domande che ora affollavano la sua mente, un lieve rumore di passi alle sue spalle lo portò a voltarsi verso l’interno della casa.

-Jamie!- disse Eleonor sorpresa della presenza del ragazzo sulla soglia di casa.

Chiaramente sollevato dall’arrivo di una persona conosciuta e sicuramente meno ostile, Jeremy rivolse un sorriso alla ragazza.

-Ehi Ellie. Come va?-la salutò prima di allontanare nuovamente i capelli dalla fronte.

Eleonor alzò le spalle.

-Potrebbe andare meglio. Che fai sulla porta?- domandò prima di rivolgere un’occhiata di rimprovero al padre- Entra!- lo invitò con un cenno della mano sinistra.

Jeremy scosse la testa.

-No grazie, sono di passaggio.

Sto cercando Michelle… Sai se è in casa?- domandò nuovamente sperando di avere maggiore fortuna.

Un sorriso ironico troppo simile al suo, che Draco non riuscì a interpretare, distese le labbra della ragazza.

-El! C’è qualcuno che ti cerca!- disse voltandosi verso il corridoio e alzando leggermente la voce.

L’attimo dopo lo sguardo della ragazza era nuovamente puntato su Jeremy e, ancora una volta, le sue labbra erano distese in un sorriso divertito.

-Non farmi pentire di averti dato una mano- gli disse puntando l’indice sinistro contro di lui.

Jeremy annuì impercettibilmente e accennò un sorriso a sua volta.

-Forza entra!- lo esortò nuovamente la ragazza, facendosi da parte in modo che il ragazzo potesse entrare in casa.

Durante quel breve scambio di battute Draco era rimasto poco distante dalla porta, concentrato sulla conversazione e soprattutto sul volto del giovane uomo di fronte a se.

Era chiaro adesso il motivo che lo aveva spinto a presentarsi a casa loro quella mattina: se doveva essere sincero con se stesso, Draco non era per niente contento di quella situazione. Aveva impiegato molto tempo a riprendersi dallo shock della relazione di Prudence e Ben, gli c’era voluto quasi un anno prima di accettare completamente la presenza dell’americano accanto alla sua bambina e quando finalmente era pronto a mettersi il cuore in pace, consapevole che Ben era intenzionato a restare nella loro famiglia per molto tempo ancora, si era aggiunta la notizia della gravidanza che lo avrebbe reso nonno prima che fosse in grado di anche solo contemplare l’idea di avere un nipotino.

Adesso era arrivato Jeremy e dal piccolo scambio di battute tra lui ed Eleonor Draco era certo che il girone infernale che aveva attraversato con Prudence stava per ripetersi con Michelle.

Come se non avessero già altri problemi da affrontare in quel momento…

Che cosa aveva fatto di male per meritarsi questa sofferenza? Perché non esisteva una legge che impediva alle donne della sua famiglia di frequentare, fidanzarsi, sposarsi e/o avere figli prima dei quarant’anni?

Il rumore della porta che si chiudeva poco distante da se fece ritornare Draco presente a se stesso e muovendo lo sguardo dallo spazio occupato fino a pochi istanti prima dal ragazzo, si rese conto che Eleonor aveva assunto il ruolo di padrona di casa e aveva fatto accomodare Jeremy nel salotto in attesa dell’arrivo di Michelle.

Il rumore dei passi sulla scala che conduceva ai piani superiori gli fece capire che quell’attesa stava per finire; l’attimo dopo, infatti, Michelle si fermò alla fine delle scale e lo guardò con aria interrogativa.

-Che fai lì fermo imbambolato?-gli domandò leggermente divertita.

Draco sospirò e scosse la testa.

-C’è una persona per te nel salotto- disse senza rispondere alla sua domanda.

Cercando di non mostrarsi invadente ma incapace di lasciare completa privacy ai due giovani, Draco si diresse verso il suo studio collocato di fronte al salotto lasciando la porta aperta in modo da poter assistere allo scambio di battute tra i due.

Era chiaro che Michelle non si aspettava minimamente la presenza di Jeremy nel loro salotto: Draco lo capì dal modo in cui si fermò improvvisamente sulla soglia della stanza e dal modo in cui s’irrigidì leggermente.

Aveva forse sbagliato la sua valutazione? Forse quel ragazzo era sgradito a sua figlia? Se così era, Draco non avrebbe esitato un istante a cacciarlo fuori da casa.

-Jamie, non mi aspettavo di rivederti prima del ritorno a Hogwarts-.

La voce di Michelle arrivò chiaramente fino al suo studio e, ancora una volta, Draco si congratulò con se stesso per aver deciso di restare nelle vicinanze nel caso la situazione fosse degenerata.

-Scusa se sono piombato qui senza prima chiamare ma avevo paura che trovassi una scusa per non vedermi-.

Quella risposta strappò un sorriso all’uomo: forse Draco non aveva mai visto quel ragazzo, ma era evidente che i due adolescenti si conoscevano abbastanza da permettere a Jeremy di conoscere alcuni dei tratti peculiari di Michelle.

Malgrado fosse una ragazza estroversa e sempre pronta a fare nuove amicizie, quando si trattava di entrare in confidenza con il genere maschile sua figlia era sempre molto timida; per un brevissimo istante, il Serpeverde si chiese se quella timidezza fosse dovuta in parte anche al rapporto fra lei e Albus, ma accantonò quell’idea per non perdersi il discorso che stava avvenendo a pochi metri da lui.

-Non posso dire di averlo visto…- fu la risposta di Michelle a una domanda che Draco non era riuscito a cogliere.

-Scherzi? “The Breakfast Club” è un classico! Uno dei migliori film del grande John Hughes.

E’ stato il primo film in cui ho trovato dei personaggi veri e non stereotipati… Chiunque dovrebbe vederlo almeno una volta nella vita-.

Alla risposta di Jeremy seguì la risata divertita di Michelle e grazie a quel suono, Draco capì di essere fregato.

Malgrado sua figlia fosse la sua copia al femminile, dal punto di vista caratteriale era identica a Hermione e Draco sapeva per esperienza personale che quando una persona riusciva a far ridere le due donne allora si guadagnava un posto nel loro cuore.

-Beh in questo caso, non posso rifiutare il tuo invito-.

-Davvero?- sentì rispondere la voce incredula di Jeremy.

Dal breve istante di silenzio che seguì, Draco suppose che Michelle si fosse limitata ad annuire.

-Scommetto che avrai visto questo film almeno venti volte, quindi chi meglio di te può spiegarmi i significati nascosti o le scelte fatte dal regista?-fu la risposta di Michelle.

-Ventisette volte- sentì Draco.

La risata squillante e chiaramente felice che arrivò fino all’orecchio di Draco fece in modo che l’uomo si lasciasse andare a un lieve gemito di sconforto.

Una nuova battaglia stava per avere inizio…

 

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GIOVEDì

"Tutti gli amori che vivrò avranno dentro un po' di te
perché lo so dovunque
andrai in ogni istante resterai
indimenticabile "

 

 

-Chiedimi di restare-

Glielo aveva ripetuto ogni giorno in quella settimana, incurante del tempo che passava e dell’avvicinarsi della sua partenza.

Ogni volta Sadie aveva fissato in silenzio il volto di Scott, combattuta tra il desiderio di cedere al proprio egoismo e dirgli quelle tre parole che entrambi volevano sentire e la consapevolezza che se lo avesse fatto avrebbe reso entrambi miserabili.

Non poteva chiedergli di restare.

Prudence aveva cercato in tutti i modi di farle cambiare idea, provando a insinuare in lei il dubbio che neanche Scott volesse più partire.

“Perché altrimenti ti avrebbe fatto quella richiesta?”

Quelle parole insidiose si erano fatte strada nel suo cervello aggiungendo nuovi dubbi a quelli che già assillavano i suoi giorni e le sue notti: era davvero così? Possibile che per una volta doveva dar ragione alla visione del mondo a tinte rosa di Prudence?

Impossibile.

Se fosse stato così, Scott avrebbe rifiutato subito la proposta mentre non se l’era sentita di rifiutare e andare contro i propri principi.

Ciò che assillava Sadie era inoltre la consapevolezza che in una situazione a ruoli invertiti, la donna si sarebbe comportata esattamente come Scott e niente e nessuno sarebbe riuscito a farle cambiare idea.

Era un’opportunità troppo grande per un medico, sia dal punto di vista lavorativo sia a livello umano.

Il pensiero della sua partenza imminente la dilaniava al punto da toglierle il sonno e mozzarle il fiato quando lo vedeva camminare tra le corsie dell’ospedale, ma nonostante tutto era rimasta in silenzio.

Che cosa avrebbe fatto quando la presenza confortante e costante di Scott sarebbe venuta a mancare nella sua quotidianità?

Non poteva e non voleva pensarci!

Come aveva fatto quell’uomo a insinuarsi nella sua corazza senza che neanche lei se ne accorgesse, rendendosi indispensabile semplicemente con il suo sorriso, i suoi consigli e la sua battuta pronta?

Com’era possibile che lei non se ne fosse mai accorta? Come aveva fatto a essere così stupida?

I giorni erano passati troppo velocemente, senza che Sadie quasi se ne rendesse conto e improvvisamente mancavano soltanto dodici ore alla partenza di Scott.

I colleghi del Pronto Soccorso avevano organizzato una piccola festa d’addio alla fine del turno e l’invito ovviamente era stato esteso anche ai medici dei vari reparti.

Ancora una volta, Sadie si ritrovò combattuta tra il desiderio di partecipare alla festa e la voglia di chiudersi nella propria stanza e cercare di dimenticare quello che sarebbe successo di lì a poco.

Una presenza al suo fianco la allontanò dai suoi pensieri e la costrinse ad alzare lo sguardo, trovandosi a faccia a faccia con l’oggetto dei suoi pensieri confusi.

-Ehi!- la salutò Scott.

-Ehi!- ripeté Sadie, cercando di nascondere dietro un’espressione neutrale i propri sentimenti confusi.

-Tutto bene?- chiese l’uomo.

Come risposta Sadie si limitò ad alzare le spalle.

-Tutto pronto per la partenza?- si costrinse a domandare.

Scott annuì.

-Mancano soltanto le ultime cose…- rispose abbassando per qualche istante lo sguardo sul bancone cui erano appoggiati entrambi per poi cercare nuovamente i suoi occhi. –Verrai stasera?- le domandò poi non riuscendo a trattenersi oltre.

Colta alla sprovvista da quella domanda improvvisa, Sadie restò in silenzio qualche istante.

-Non lo so. Sono di turno per altre dieci ore, ma se quando stacco riesco ancora a reggermi in piedi, cercherò di fare un salto- disse vaga.

Scott la fissò qualche istante prima di annuire.

Senza dire altro, si voltò e si allontanò lentamente lungo il corridoio.

Osservandolo mentre si allontanava da se, Sadie sospirò mestamente: era una cretina, non c’era altro modo per definirla.

Perché aveva mentito? Il suo turno sarebbe finito molto prima dell’inizio della festa, quindi avrebbe avuto tutto il tempo di tornare a casa, cambiarsi e fare un salto al locale per qualche drink.

Che motivo aveva di negare a se stessa e a lui un ultimo incontro?

Sadie si ritrovò a scuotere la testa: se avesse seguito il suo istinto e avesse partecipato alla festa, poi sarebbe stato ancora più difficile dire addio all’uomo.

Fortunatamente il suo lavoro la strappò dai propri pensieri melodrammatici e la tenne impegnata per ore quasi fino alla fine del turno fino a quando non si trovò nello spogliatoio impegnata a cambiarsi e sentì ritornare tutti i suoi dubbi.

C’era un solo modo per affrontare quella situazione.

Recuperando il cellulare dall’armadietto, compose un numero che ormai conosceva a memoria e restò in attesa.

-Pronto?-

-Dimmi cosa devo fare-disse Sadie, sedendosi su una delle panchine di legno.

Prudence restò qualche istante in silenzio prima di sospirare.

-Torna a casa, fatti una doccia e poi va a questa dannata festa!- le disse, una nota d’impazienza nella voce.

Sadie si lasciò andare a un gemito frustrato, passandosi una mano sul volto.

-Sadie… Finirai per pentirtene se non lo fai.

Devi dargli un motivo per tornare-disse ancora Prudence.

La ragazza annuì e sospirò.

-Un drink e poi torno a casa- disse infine.

Sentì chiaramente il sorriso dell’amica dall’altra parte della cornetta.

-E’ questo lo spirito. Ti aspetto- le disse prima di riattaccare.

Sadie chiuse la telefonata e fissò per pochi secondi il cellulare; Prudence aveva ragione: non poteva chiedergli di restare, ma di sicuro poteva dargli un motivo per ritornare.

Era tornata a casa e si era preparata in fretta, sollevata che Prue avesse scelto per lei i vestiti che avrebbe indossato quella sera, liberandola dall’ansia di dover passare ore davanti al suo armadio alla ricerca del look perfetto.

Per evitare di arrivare al locale troppo presto si era presa del tempo per una cena veloce fino a quando non aveva potuto procrastinare oltre.

Prima di uscire da casa si era fermata sulla soglia del salotto, dove sapeva avrebbe trovato Prudence.

-Augurami buona fortuna- le disse.

Prue alzò gli occhi al cielo e sorrise.

-Non ne hai bisogno- rispose la mora.

Questa volta era stata Sadie ad alzare gli occhi al cielo: avrebbe tanto voluto avere la sicurezza dell’amica.

Si era smaterializzata a poca distanza dal locale e aveva percorso a piedi il breve tragitto restante, cercando di controllare la sua ansia ripetendo a se stessa che sarebbe rimasta alla festa per poco tempo, che il suo obiettivo era bere un drink e augurare buona fortuna a Scott.

Quando arrivò al Crown Liquor Saloon si rese conto che la festa era in pieno svolgimento e che i suoi colleghi dovevano essere già al secondo se non al terzo drink.

S’insinuò tra la folla finché non raggiunse il bancone dove ordinò un whisky; mentre aspettava si guardò intorno e si ritrovò a sorridere osservando i suoi colleghi che, separati in vari gruppi, conversavano e ridevano a voce alta dei più disparati argomenti.

Soltanto dopo alcuni istanti si rese conto che i suoi occhi cercavano tra la folla una sola persona e soltanto quando lo individuò in un gruppo accanto ad una delle vetrate istoriate, si rasserenò.

Scott era vestito in modo casual con un paio di jeans neri e una camicia bianca. Sadie era certa che da qualche parte era abbandonato il suo giubbotto di pelle nera, che tante volte gli aveva visto indosso e che gli dava un’aria minacciosa.

Quasi avesse sentito il suo sguardo insistente su di sé, Scott mosse leggermente la testa finché non la vide, facendo incontrare i loro occhi.

La donna riuscì a leggere chiaramente la sorpresa di Scott nel trovarla lì dal suo volto e dal cambiamento dell’irrigidimento dei suoi muscoli.

Senza interrompere il gioco di sguardi, Sadie sollevò leggermente il bicchiere di whisky in un ironico brindisi prima di portare il drink alle labbra e bere un sorso.

L’attimo dopo tornò a voltarsi verso il bancone, decisa a lasciare all’uomo del tempo con i suoi amici e colleghi prima di monopolizzare la sua attenzione.

Per questo motivo si stupì non poco quando neanche quindici minuti dopo, sentì l’ormai familiare presenza dell’uomo accanto a se.

Si voltò leggermente verso destra e accennò un sorriso che vide riflettersi sul volto di Scott.

-Devo ammetterlo: non mi aspettavo di trovarti qui- confessò Scott.

Il sorriso di Sadie aumentò leggermente prima che la donna si voltasse completamente verso di lui.

-Dovresti saperlo ormai che sono la donna delle sorprese- scherzò. –Inoltre non potevo perdermi la tua festa d’addio- aggiunse l’attimo dopo.

-Sadie…- iniziò Scott.

Lei scosse la testa.

-No, va bene così. O meglio, andrà bene- disse consapevole che le sue parole non avevano alcun senso.

Scott fissò il suo volto chiaramente confuso e lei ne approfittò per bere l’ultimo sorso di whisky prima di abbandonare il bicchiere vuoto sul bancone.

L’attimo dopo annullò la distanza tra loro e lo fissò di sotto in su.

Approfittando di quella rara occasione, l’uomo allacciò un braccio attorno alla vita di Sadie, sistemandolo strategicamente sulla striscia di pelle lasciata libera dalla maglia a maniche lunghe e la attirò contro di sé.

Sadie vide chiaramente lo sguardo di Scott muoversi velocemente dai suoi occhi alle sue labbra dischiuse indeciso sul da farsi e, consapevole del tempo che scorreva inesorabilmente veloce, Sadie posò una mano contro il petto dell’uomo.

-Torna da me- gli disse infine.

Gli occhi grigi di Scott tornarono ad affondare nei suoi ma per un lungo istante alle sue parole seguì il silenzio.

Persi nella piccola bolla che avevano creato tra il caos e la gente che affollava il locale, Sadie lasciò a Scott il tempo di processare le sue parole contenta di essere tra le sue braccia per la prima volta dall’inizio della loro storia.

Improvvisamente Scott si riscosse e fece un passo indietro rompendo la loro connessione per pochi istanti finché la sua mano destra non si strinse in quella sinistra di Sadie; l’attimo dopo l’uomo aveva iniziato a muoversi con passo sicuro verso l’uscita del locale smarcando i colleghi che incontravano sulla loro strada e fermandosi pochi istanti solo per recuperare la giacca di pelle abbandonata su un tavolo poco distante dall’entrata.

L’attimo dopo erano fuori, nel vicolo che conduceva al Crown e, una volta richiusa la porta del locale, il silenzio divenne quasi assordante, spezzato soltanto dai rumori lontani delle automobili sulla strada principale poco distante.

Sadie si fermò a pochi passi da Scott e lo fissò in attesa.

Dal canto suo Scott sembrava ancora confuso per le poche parole che lei aveva detto all’interno del locale; cercando di rimettere ordine nei suoi pensieri, l’uomo si passò una mano tra i folti capelli ramati prima di cercare nuovamente lo sguardo della donna.

-Ok, dimmi che non ho capito male- disse finalmente.

Sadie sostenne il suo sguardo per qualche istante prima di sospirare e dischiudere le labbra.

-Non posso chiederti di restare.

Vorrei farlo ma non posso. So che se avessero fatto a me quell’offerta niente mi avrebbe fatto cambiare idea- iniziò decidendo di essere sincera.

Scott la fissò in silenzio, consapevole che la donna non aveva ancora terminato.

-Allo stesso tempo non riesco a immaginare come starò qui per sei mesi senza di te.

In questi mesi sei diventato troppo importante per me… Non me ne sono neanche accorta, come accidenti hai fatto?- gli domandò leggermente infastidita.

A quelle parole, Scott si lasciò scappare un lieve sorriso.

-Quindi non c’è altra soluzione.

Se non posso dirti di restare, posso sempre chiederti di tornare da me-ripeté fissando lo sguardo in quello di Scott. –Quando tutto sarà finito, torna qui da me perché a quanto pare io non riesco più a stare senza di te- concluse.

Quando l’eco delle parole di Sadie si dissolsero nel vicolo, la donna fissò timorosa Scott in attesa di una sua risposta.

Per la prima volta si era mostrata vulnerabile con un uomo e ora aveva veramente paura delle conseguenze.

Ancora una volta, l’uomo la sorprese.

Senza parlare, Scott annullò con pochi passi la distanza tra loro e le prese il volto tra le mani, chinandosi su di lei fino a posare le labbra sulle sue.

Colta alla sprovvista Sadie restò immobile per qualche secondo prima di allacciare le braccia attorno alla vita dell’uomo e attirarlo contro di se e rispondere al bacio.

Aveva immaginato tante volte che sensazione avrebbe provato sentendo le labbra di Scott contro le sue e ora che stava accadendo davvero, si rese conto che per una volta la realtà superava notevolmente la fantasia: le labbra dell’uomo erano morbide e piene e la barba rossa che le solleticava il viso era una piacevole distrazione.

Sentì la punta della lingua di Scott sfiorle il labbro inferiore e, approfittando di un suo sospiro, insinuarsi nella sua bocca prendendo il controllo del bacio.

Sadie perse completamente la cognizione del tempo, ritornando presente a se stessa soltanto quando Scott allontanò le labbra dalle sue; soltanto allora, la donna aprì lentamente gli occhi e affondò lo sguardo in quello di Scott, poggiando la fronte contro la sua.

-Torna da me- ripeté in un sussurro. –Promettimelo!- aggiunse.

Scott annuì, allacciando le braccia attorno alla vita di Sadie e attirandola contro di sé.

-Te lo prometto- le disse con lo stesso tono di voce.

Sadie annuì a sua volta e nascose il volto nell’incavo tra la spalla e il collo dell’uomo, respirando a pieni polmoni l’odore della sua colonia.

L’attimo dopo, con un enorme sforzo di concentrazione, smaterializzò entrambi a casa, nella sua stanza.

Nel momento in cui i due si resero conto di essere al sicuro protetti da quattro mura, il tempo prese a scorrere più velocemente.

Sadie posò nuovamente le labbra su quelle di Scott, stringendo allo stesso tempo le mani ai lati della giacca di pelle, spingendola verso il basso finché questa non cadde a terra dimenticata da entrambi.

Imitando i suoi gesti, Scott iniziò a spogliarla togliendole la maglietta blu scura e portando poi le mani all’altezza dei fianchi slacciando il bottone dei jeans e abbassando la cerniera l’istante dopo.

Mentre le labbra di Scott scendevano lentamente lungo il suo collo, Sadie guidò entrambi verso il letto e soltanto quando si trovò a pochi passi da questo la donna si allontanò dall’abbraccio sicuro di Scott.

Se in seguito avesse dovuto raccontare cosa era successo, Sadie si sarebbe trovata incapace di farlo perché fin dal momento in cui Scott si sedette sul letto e la attirò nuovamente a se, la sua mente si svuotò completamente lasciando che le emozioni prendessero il sopravvento.

L’unica cosa che la ancorava alla realtà era il corpo solido e confortante di Scott da cui fu incapace di staccarsi: sentire il peso di Scott sopra di se la rese consapevole dell’importanza di quel momento, di quanto fossero preziose quelle ore che avevano rubato e di quanto tempo avevano sprecato a causa delle sue insicurezze e indecisioni e quanto ancora ne sarebbe passato prima che si sarebbero ritrovati insieme.

Scott si rivelò un amante generoso e attento, pronto a mettere i bisogni e il desiderio di Sadie al primo posto facendo di tutto per farle raggiungere l’orgasmo più volte prima di entrare in lei e portare entrambi al piacere un’ultima volta.

Quando tutto finì, Sadie si ritrovò con i muscoli ridotti a un ammasso di gelatina, il fiatone e il volto nascosto nella spalla di Scott, scoprendosi per la prima volta in vita sua timida.

Desideroso di prolungare quanto più possibile quel momento, Scott allacciò un braccio attorno alla sua vita e la strinse a se prima di muoversi e sistemarsi con la schiena contro il materasso in modo da non soffocare Sadie con il proprio peso.

Sistemandosi nella nuova posizione Sadie posò la testa contro il suo torace e intrecciò le gambe con quelle dell’uomo, un braccio pigramente abbandonato sul suo stomaco tonico.

-Wow…- si lasciò scappare Scott, un tono sorpreso nella voce.

Sadie accennò un sorriso.

-Avresti potuto dirmelo che ti facevo questo effetto, almeno avremmo potuto impiegare meglio le ore del turno di guardia notturno- aggiunse l’attimo dopo.

Per risposta, Sadie lo colpì con un lieve schiaffo sul torace provocando la sua risata divertita che dopo qualche secondo contagiò anche lei.

Nella stanza scese il silenzio e, inconsapevolmente, Scott aumentò la stretta attirandola maggiormente contro di sé prima di posarle un bacio tra i capelli.

Non era difficile indovinare a cosa stesse pensando…

-A che ora è il tuo volo?- domandò Sadie, decisa ad affrontare il grande elefante nella stanza.

L’uomo sospirò.

-Devo essere in aeroporto alle otto- rispose.

Sadie annuì impercettibilmente.

Una manciata di ore.

Questo era tutto quello che le restava prima che un oceano, una guerra civile e un paese in tumulto si frapponessero tra di loro.

Per l’ennesima volta si chiese perché aveva perso tanto tempo, perché non aveva capito fin da subito quanto l’uomo fosse diventato importante nella sua vita.

Come aveva fatto a essere così stupida?

Improvvisamente Sadie sentì il corpo sotto di se muoversi in modo che i loro corpi aderissero perfettamente l’uno all’altra, un braccio stretto attorno alla sua vita e le dita di una mano che le allontanavano i capelli dal volto.

Infine incontrò lo sguardo preoccupato di Scott.

-Andrà tutto bene- le disse in un sussurro, quasi avesse paura di spaventarla.

Soltanto grazie a quelle parole e all’espressione sul suo volto si rese conto del proprio respiro spezzato, del petto che si muoveva a scatti e delle lacrime che le bagnavano le guance.

Stava piangendo e non se ne era neanche resa accorta.

Incapace di controllare le lacrime, Sadie strinse le braccia attorno alle spalle di Scott e si lasciò consolare da lui, il volto nascosto nel suo petto.

Per lunghi momenti Scott le accarezzò i capelli e le sussurrò parole senza senso all’orecchio cercando di calmarla, fino a quando non la strappò dal proprio nascondiglio e le prese il viso tra le mani, cercando il suo sguardo.

-Te lo prometto- le disse ricordandole la promessa che gli aveva strappato neanche due ore prima.

Sadie si lasciò andare a un sospiro pieno di lacrime e annuì.

Sei mesi.

Sarebbero passati in fretta e lui sarebbe stato di nuovo qui.

Insieme a lei.

 

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VENERDì

 

"Sai cosa ti dico, ciao
Io posso stare senza te
Senza più
Tanti "se"
Senza tanti "ma perché?"
Senza un amore così
Io posso stare, sì
Ciao"

 

Il momento che aveva aspettato per quindici anni era finalmente arrivato.

Negli anni la sua mente aveva immaginato tante volte il primo incontro con suo padre, ma niente si avvicinava a ciò che stava vivendo.

Quando era arrivato per la prima volta a Hogwarts aveva sperato che l’uomo avesse saputo del suo smistamento nella Casa dei Grifondoro e più volte aveva immaginato di ricevere una sua lettera in cui suo padre esprimeva l’ammirazione e l’orgoglio che provava nei suoi confronti; altre volte invece, aveva ideato uno scenario fantastico in cui Harry Potter arrivava al Castello per parlare delle sue gesta gloriose durante la Seconda Guerra Magica e avevano l’occasione di ritrovarsi a faccia a faccia e scambiarsi finalmente quell’abbraccio che James desiderava da anni; infine negli ultimi mesi, aveva iniziato a tramare per fare in modo che suo padre fosse presente alla sua festa per il suo diciassettesimo anno.

Tutte quelle fantasie si erano rivelate lontane dalla realtà.

Quando quella mattina, a colazione, la madre aveva dato a lui e ad Albus l’indirizzo di suo padre, James aveva dovuto trattenersi per non mostrare l’eccitazione che sembrava sprizzare da ogni poro.

Eppure quella riunione imminente aveva un sapore dolceamaro: se le cose fossero state diverse, James avrebbe incontrato suo padre da solo e avrebbero avuto un lungo colloquio in cui il ragazzo avrebbe raccontato la propria esperienza a Hogwarts e tutto quello che il genitore doveva sapere degli anni in cui erano stati separati.

James era sempre stato sicuro che alla fine di quell’incontro lui e suo padre si sarebbero salutati con la promessa di rivedersi al più presto.

Ma ora non aveva più quella certezza.

Questo incontro non era stato organizzato per ricongiungere un padre e i propri figli dopo anni di lontananza, ma per chiarire definitivamente le pesanti accuse che James aveva lanciato contro sua madre quasi una settimana prima.

Nei giorni successivi allo scontro, James aveva riflettuto a lungo sulle parole della madre e su ciò che aveva scoperto su suo padre: possibile che un uomo stimato e votato al Bene come Harry Potter fosse stato implicato in un’azione tanto orrenda quanto il rapimento di una bambina?

Cosa lo aveva spinto a farlo?

Ciò che aggravava maggiormente la situazione di suo padre era l’identità della bambina, ormai adulta: Prudence.

James era cresciuto con Prudence, le voleva bene e non si vergognava ad ammettere che, per un breve periodo prima della comparsa di Ben, aveva avuto una cotta per la cugina.

Il legame affettivo che lo legava a Prue si stava rivelando più forte di quello che lo legava a suo padre.

Che cosa sarebbe successo alla cugina se Blaise e gli altri Serpeverde non l’avessero trovata in tempo?

Le era stato fatto del male durante quel mese di lontananza?

Quelle domande avevano continuato a girargli nella testa per giorni, consapevole che soltanto una persona avrebbe potuto dargli una risposta.

James si era diretto all’appuntamento con Albus teso e incapace di prevedere che cosa sarebbe successo durante quell’incontro, ma con la certezza che niente sarebbe mai più stato come prima.

La prima cosa che lo sorprese fu, una volta arrivato all’indirizzo datogli da sua madre, rendersi conto che suo padre viveva nella Londra babbana.

-Beh, questa è una sorpresa…- commentò Albus dando voce al pensiero di entrambi.

Da quanto aveva letto nelle varie biografie, suo padre odiava il mondo babbano, quindi era inconcepibile che fosse tornato indietro e avesse scelto di rifugiarsi in un mondo che non lo aveva mai capito e apprezzato.

I due ragazzi avevano fissato per qualche secondo la casa a due piani di mattoni bianchi, indecisi su chi dovesse suonare il campanello e dare inizio all’incontro.

Alla fine Albus prese un respiro profondo per farsi coraggio e fece i pochi passi che dividevano la casa dal marciapiede e diede due colpi secchi alla porta con il battente di ferro.

Dopo pochi secondi la porta d’ingresso si aprì e, per la prima volta dopo quindici anni, James e Albus si ritrovarono a faccia a faccia con Harry Potter.

James riuscì a cogliere quasi all’istante alcune somiglianze sia nel proprio aspetto fisico sia in quello di Albus: di fronte a se trovò un uomo con gli stessi capelli corvini leggermente spruzzati di grigio, tenuti miracolosamente sotto controllo dal gel, che avevano lui e il fratello; gli occhi verdi coperti dalla montatura tonda, identici a quelli di Albus e infine si scoprì ad avere la stessa altezza e corporatura di suo padre.

-Benvenuti- li salutò Harry, facendosi subito da parte per lasciarli entrare in casa.

Quando furono entrambi nel vestibolo, Harry chiuse la porta principale alle loro spalle e con un gesto della mano li guidò nel salotto.

-Accomodatevi. Vi va una tazza di tea?- domandò loro, un tono eccessivamente formale nella voce.

Impegnato a guardarsi intorno per assorbire quante più informazioni possibili, James non replicò ma capì che Albus aveva risposto per entrambi quando sentì il padre uscire dalla stanza.

Non appena furono di nuovo soli, James mosse qualche passo in giro per la stanza e osservò le foto appese alle pareti: in una fotografia vide suo padre abbracciato a una donna giovane e bella dai capelli castani e gli occhi azzurri, in un’altra l’uomo stringeva tra le braccia un bambino di neanche un anno mentre una bambina di pochi anni più grande gli stringeva le braccia attorno alla gamba sinistra.

James passò in rassegna tutte le foto presenti nella stanza e soltanto quando sentì dei passi che annunciavano il ritorno di suo padre, ritornò accanto al divano a poca distanza da Albus.

L’uomo comparve sulla soglia e trovandosi di fronte ancora una volta i due ragazzi rivolse loro un sorriso imbarazzato, chiaramente a disagio, prima di posare le tazze sul tavolino sistemato a poca distanza dal divano e dalle poltrone.

James vide Albus sedersi su una delle poltrone, probabilmente per mettere fine all’imbarazzo che si era venuto a creare tra loro, e decise di seguire il suo esempio.

Suo padre scelse di sedersi sul divano, in modo da essere in una posizione frontale e ben visibile per entrambi.

Per alcuni istanti nella stanza scese il silenzio, dovuto all’incapacità dei tre uomini di dare inizio al discorso.

Del resto esistevano davvero le parole adatte per una conversazione così delicata?

James si chiese come avrebbe dovuto comportarsi: doveva girare intorno all’argomento oppure doveva scegliere un approccio diretto?

-Grazie per aver accettato questo incontro- disse Harry cogliendo entrambi alla sprovvista. –So che probabilmente non è stato facile per voi- aggiunse.

I due ragazzi restarono in silenzio.

-Vostra madre mi ha raccontato quello che è successo qualche giorno fa. Immagino vogliate delle risposte…- disse ancora Harry.

-Vogliamo la verità- disse James senza neanche rendersene conto.

Harry annuì lentamente.

-Se devo essere sincero con voi ho pensato molto come iniziare questo discorso- ammise leggermente imbarazzato.

-Dall’inizio?- propose Albus senza alcuna malizia nella voce.

Harry accennò un sorriso.

-E’ difficile stabilire quando ho perso il controllo della situazione- confessò. –Probabilmente quando ho scoperto che Hermione aveva una relazione con Draco Malfoy- aggiunse.

Sia James sia Albus aggrottarono la fronte.

-La zia Hermione?- chiese James.

Harry annuì nuovamente.

-Cosa c’entra lei con la nostra famiglia?- domandò ancora il ragazzo confuso.

L’uomo espirò profondamente.

-Nella mia vita, fin da quando ho scoperto di essere un mago, ho sempre avuto poche certezze, ma tra queste c’era la mia amicizia con Hermione e Ron- iniziò.

-Chi?- lo interruppe Albus.

-Ron Weasley- rispose James fissando suo padre. –E’ uno dei fratelli della mamma.

Ho letto il suo nome in alcuni commenti scritti sul monumento a Godric’s Hollow- spiegò.

Ancora una volta, Harry fece un cenno d’assenso.

-Loro due mi sono stati sempre accanto durante gli anni di Hogwarts, hanno combattuto al mio fianco contro Voldemort e hanno rischiato più volte la vita.

Tra Ron e Hermione c’è sempre stata un’attrazione, probabilmente fin dal loro primo incontro, ma l’idiozia di Ron e la testardaggine di Hermione hanno impedito che succedesse qualcosa tra di loro prima dello scoppio della guerra.

Quando tutto finì, erano finalmente una coppia.

-Al termine della Seconda Guerra e dopo aver terminato gli studi, io e vostra madre ci siamo sposati e poco tempo dopo, anche Hermione e Ron hanno seguito il nostro esempio, ma il loro matrimonio non fu dei più felici-aggiunse.

-Perché ci stai raccontando tutto questo?- chiese Albus confuso.

Lo sguardo di Harry si posò sul volto del ragazzo e lo osservò per pochi secondi in silenzio.

-Quello che è successo non è stato causato da un momento di follia momentanea, ma da una serie di eventi che si sono susseguiti e che sono culminati in quell’inevitabile conclusione- spiegò Harry.

-Si ha sempre una seconda scelta- commentò ancora Albus.

-Già… Ma alle volte ce ne accorgiamo quando è troppo tardi- replicò Harry con un sorriso triste.

Nel breve silenzio che seguì, James osservò suo padre prendere un lungo sorso dalla propria tazza prima di alzare nuovamente lo sguardo.

-Come vi ho detto, il matrimonio di Hermione e Ron entrò velocemente in crisi, al punto che neanche la nascita di Prudence riuscì a risollevare la situazione…- riprese.

-Aspetta un attimo!- lo interruppe James, confuso. –Prudence non è una Malfoy?- gli domandò.

Harry scosse la testa.

-Non ho detto questo: Prudence è una Malfoy. Ma non è figlia di Draco- confessò.

Un’espressione incredula apparve sul volto dei due ragazzi e approfittando del silenzio che seguì le sue parole, Harry riprese il suo racconto.

-Ero fermamente convinto che, nonostante avessero dei problemi i due sarebbero rimasti insieme.

C’era una sorta di schema nel loro matrimonio: Ron era assente e distratto e ogni volta che Hermione si trovava in difficoltà, chiedeva aiuto a me o a vostra madre.

Tutto aveva senso e dal mio punto di vista saremmo potuti andare avanti in questo modo in eterno.

Finché non è arrivato Malfoy- commentò.

-Quando è successo?- chiese James, bisognoso di sapere ogni minimo dettaglio.

Harry rispose senza la minima esitazione.

-Gennaio 2009.

La crisi tra Hermione e Ron divenne irreversibile e quando mi presentai a casa di Hermione per offrirle il mio aiuto mi resi conto di essere arrivato troppo tardi: Draco era già lì.

Lei era impegnata a preparare le valige e feci di tutto per convincerla a cambiare idea e ad accettare il mio aiuto, ma lei rifiutò scegliendo di andare via con Draco- raccontò.

-Non vedo cosa ci sia di tanto strano se è vero che avevano una relazione- disse Albus cercando di trovare un senso alle parole dell’uomo.

Harry scosse la testa.

-Dovete capire che i rapporti tra Draco e Hermione non sono mai stati idilliaci a Hogwarts: all’epoca i Grifondoro e i Serpeverde si odiavano e non cercavano neanche di nasconderlo.

Draco è stato tra i primi a tormentare me, vostra madre e vostra zia spinto dall’ideologia del sangue puro.

Scoprire che Hermione aveva una relazione con il nostro nemico n.1 fu uno shock per me.

Andava contro tutto quello per cui avevamo lottato- spiegò.

-Che cosa è successo dopo?-domandò James, deciso a venire a capo di quella situazione.

Harry sospirò.

-La situazione peggiorò sempre di più con il passare dei mesi.

Alla fine di febbraio Ron mi parlò per la prima volta del suo piano per vendicarsi di Hermione e mi vergogno ad ammettere che tentai di dissuaderlo soltanto una volta.

Qualche settimana dopo, alla fine di marzo ero già d’accordo con lui e pronto a fare la mia parte-raccontò ancora.

-Qual era il piano?-chiese Albus.

-Rapire Prudence.

Dal momento in cui Hermione era andata via con Malfoy, Draco aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per impedire che Ron avesse qualsiasi contatto con Prudence e vostra zia.

Io e vostra madre riuscimmo a organizzare un incontro tra padre e figlia di nascosto ma poco dopo la situazione precipitò e anche i miei rapporti con Hermione s’inasprirono al punto che non ci rivolgevamo quasi più la parola.

In parte fu questo cambiamento rilevante nei miei rapporti con la mia migliore amica a convincermi ad aiutare Ron nel suo piano, ma con il senno di poi posso dire che non è l’unica motivazione- ammise.

-Perché lo hai fatto allora?- domandò James.

Harry voltò leggermente lo sguardo verso il suo primogenito e lasciò che un sorriso malinconico gli incurvasse le labbra.

-Perché ero innamorato di Hermione- ammise sincero.

Quelle parole furono un pugno allo stomaco per entrambi i ragazzi, ma soprattutto per James: l’uomo che aveva osannato per gran parte della sua vita si stava rivelando un essere umano pieno di difetti, soggetto a rancori e invidie come tutti e per la prima volta in vita sua James si ritrovò a pensare che forse sua madre avesse ragione riguardo Harry Potter.

-Non me ne resi conto per molto tempo.

Vostra madre fu la prima a farmi notare che forse le mie intenzioni non erano così nobili come credevo… Quando mi chiese se ero innamorato di Hermione, la trattai in modo meschino, arrivando a toccare punti di cattiveria che non credevo di possedere.

Fu soltanto quando mi ritrovai ad Azkaban ed ebbi molto tempo per riflettere che mi resi conto che Ginny aveva ragione.

Ero innamorato di Hermione e amavo la sensazione che provavo ogni volta che potevo esserle d’aiuto, tutte le volte che riuscivo a darle una mano nei momenti difficili.

Per questo restai sbalordito dalla sua decisione di andare via con Draco: lei aveva scelto qualcun altro al mio posto e, man mano che passavano le settimane, sembrava sempre più convinta e felice della decisione presa.

Ed io non riuscivo a sopportarlo-

-Di cosa sei stato accusato?-domandò Albus cambiando argomento, con voce apparentemente calma.

-Creazione di passaporta illegale e di documenti falsi.

Sono riuscito a patteggiare una condanna di dodici mesi ad Azkaban grazie alle informazioni che ho fornito riguardo al rapimento e soprattutto grazie al ruolo svolto durante la Seconda Guerra- rispose Harry.

-Che ne è stato di Weasley?- chiese a sua volta James.

Il volto di suo padre si rabbuiò e l’attimo dopo scosse la testa.

-Lui non è più un problema- disse semplicemente.

Per qualche istante nella stanza scese il silenzio, permettendo ai ragazzi di assimilare la marea d’informazioni che avevano appena ricevuto, finché Albus non parlò di nuovo.

-E’ per colpa del rapimento se il matrimonio tra te e la mamma è finito?-domandò.

Harry si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli leggermente nonostante il gel.

-Una volta scoperto il mio ruolo nel rapimento vostra madre cambiò… Divenne un’altra persona.

I Serpeverde impiegarono un mese per ritrovare Prudence e per quei trenta giorni vostra madre si spense: era pallida, mangiava poco e mi resi conto che dormiva soltanto poche ore a notte.

Era divorata dai sensi di colpa e dalla preoccupazione per Prudence.

Era completamente concentrata su di voi, fece in modo che nulla di quello che stava succedendo potesse avere delle ripercussioni su voi due…

Vivevamo nella stessa casa ma eravamo due completi estranei, al punto che Ginny evitava di trovarsi nella stessa stanza insieme con me.

-Quando Malfoy e gli altri Serpeverde riuscirono a riportare a casa Prudence, ci fu un incidente.

Un incidente che vide coinvolta Hermione e la costrinse in ospedale per diversi giorni.

Questo ci allontanò ancora di più ma credo che lei sarebbe rimasta ancora al mio fianco, pur di allentare la pressione che le veniva dalla sua famiglia.

Ma io non gliel’ho permesso-commentò.

James aggrottò la fronte.

-Che vuoi dire? E’ stato per colpa di Blaise?- domandò deciso a chiarire una volta per tutti i suoi dubbi al riguardo.

A quelle parole Harry si lasciò andare a una lieve risata ironica prima di incontrare lo sguardo del suo primogenito.

-Tua madre mi ha raccontato delle tue teorie sia per quanto riguarda il nostro divorzio sia riguardo ad Albus.

Mi dispiace deluderti ma sono entrambe sbagliate- gli disse cercando di fare dell’ironia. –Quando io e vostra madre ci siamo separati, lei e Blaise avevano appena iniziato a frequentarsi...

Per quanto riguarda Albus posso dirti, senza ovviamente scendere nel dettaglio, che ricordo ancora quando io e tua madre lo abbiamo concepito.

Inoltre ero presente al momento del parto… Ti basta come rassicurazione?-gli domandò.

-Perché allora è stato smistato nella Casa delle Serpi?-domandò James dimenticandosi per un istante l’argomento principale dell’incontro.

Ancora una volta Harry sorrise.

-Quando la Professoressa McGranitt ha posato il Cappello sulla mia testa, questo per alcuni istanti è stato indeciso se mettermi tra i Serpeverde o tra i Grifondoro.

Sono stato io a pregarlo di non mettermi tra i Serpeverde e il Cappello fortunatamente mi ha ascoltato-raccontò.

-Impossibile!- ribatté prontamente James.

Harry corrugò la fronte alla veemenza con cui James aveva replicato alle sue parole.

-Perché mai? So parlare con i serpenti, un pezzo dell’anima di Voldemort era rimasto con me dopo il nostro primo scontro, anche se all’epoca non ne ero a conoscenza.

Sarei stato un perfetto Serpeverde e non c’è nulla di male che tuo fratello lo sia.

Quello che è successo con vostra madre e Hermione dovrebbe aiutarti a capire che non bisogna essere sempre così intransigente nelle proprie opinioni.

Dovresti imparare dai miei sbagli James- aggiunse infine Harry.

James si lasciò andare a un sospiro frustrato e rivolse un’espressione agguerrita al padre.

-Perché sei sparito tutti questi anni? Perché non hai cercato di metterti in contatto con noi? Ti sei dimenticato di avere altri due figli?- lo incalzò.

-Jim…- cercò di calmarlo Albus.

Dal canto suo James mosse lo sguardo sul fratello e, alzando il braccio destro, puntò un dito contro le varie foto appese alla parete.

-Le hai viste Al? Abbiamo un altro fratello e una sorella.

Sanno che esistiamo?- domandò poi rivolto a Harry.

-Certo che sì, come puoi farmi una domanda del genere?-replicò incredulo Harry.

James alzò le spalle.

-E’ una domanda legittima- rispose Albus al suo posto. –Non c’è niente in questa stanza che indichi la presenza di altri due figli-.

Harry annuì.

-Avete ragione, ma in tutti questi anni ho sempre parlato a Saoirse e a Cillian di voi-rispose spostando lo sguardo ora su James ora su Albus.

James si lasciò andare a una risata ironica.

-Come hai fatto? Non sai nulla di noi!

Quando ci hai abbandonato Albus, non sapeva neanche reggersi in piedi da solo-gli rinfacciò.

Era la prima volta che ammetteva ad alta voce quel sentimento che lo aveva accompagnato per tutta la vita e che aveva sempre cercato di nascondere dietro il sogno di un’imminente riunione con suo padre.

-L’ho fatto per il vostro bene, perché non foste coinvolti nel caos che avevo causato con il mio comportamento- rispose Harry.

-Oppure volevi semplicemente crearti una nuova vita e noi ti eravamo d’intralcio-commentò maligno James.

-C’è una cosa che non capisco- s’intromise Albus rivolto verso Harry, impedendo a quest’ultimo di rispondere alla provocazione di James.

L’uomo mosse lo sguardo verso di lui e restò in attesa.

-Hai detto che i rapporti tra te e la zia Hermione erano talmente compromessi che ormai non vi rivolgevate più la parola.

Come avete fatto a portar via Prudence visto che lo zio Draco aveva fatto in modo che Ron non avesse più alcun contatto né con lei né con la zia Hermione?- domandò confuso.

Harry abbassò per un istante la testa un’espressione chiaramente colpevole sul volto.

-Ho chiesto aiuto a vostra madre-ammise.

-Mamma era a conoscenza del vostro piano?- domandò incredulo James.

Harry scosse più volte la testa.

-No, cielo no! Non avrebbe mai accettato di farne parte.

E’ stata una complice inconsapevole del nostro piano- spiegò.

Harry si fermò qualche secondo per rimettere in ordine le idee e prendere un respiro profondo, consapevole che ciò che avrebbe detto avrebbe cambiato per sempre l’idea che i ragazzi avevano di lui.

-Convinsi vostra madre a intercedere con Hermione affinché ci lasciasse Prudence per un pomeriggio.

Avevamo scelto il giorno perfetto: il compleanno di Molly Weasley, vostra nonna.

Sapevo quanto Hermione era legata alla donna ed ero certo che non avrebbe mai rifiutato all’anziana donna la possibilità di rivedere la nipote dopo mesi di lontananza.

-Organizzammo la festa a casa nostra, in modo da non insospettire Hermione e Malfoy e alla prima occasione Ron si allontanò con Prudence.

Vostra madre non si accorse di nulla fino al momento in cui Hermione e Draco vennero a riprendere la bambina.

Non dimenticherò mai lo sguardo incredulo di vostra madre e il terrore che si dipinse sul volto di Hermione quando si rese conto di ciò che stava succedendo-raccontò loro con lo sguardo perso nel vuoto.

I due ragazzi restarono in silenzio, incapaci di trovare le parole per esprimere ciò che provavano in quel momento.

-In fondo è colpa mia se vostra madre ha conosciuto Blaise- commentò l’attimo dopo Harry.

-Che vuoi dire?- domandò ancora Albus.

-Quando Prudence tornò a casa, vostra madre andò da Hermione per scusarsi del ruolo avuto nel rapimento.

Io m’infuriai quando lo venni a sapere… Ero tradito e offeso dal suo comportamento e ammetto di aver dato il peggio di me in quella situazione.

Ci fu una violenta lite e alla fine io misi alla porta vostra madre-confessò, deciso a essere sincero fino in fondo.

Un’espressione incredula si dipinse sul volto dei due ragazzi.

-Le diedi un’ora di tempo per fare le valige.

Dopo un’ora fossi tornato e l’avessi trovata ancora lì, le avrei impedito di portarvi via con lei- continuò.

-Non è vero!- disse James, scioccato.

-Purtroppo sì James.

Fortunatamente Hermione mise da parte ogni possibile rancore e le offrì ospitalità.

Quindi come vedi, se io non l’avessi messa alla porta lei non sarebbe stata costretta a rifugiarsi da Hermione e non avrebbe avuto modo di conoscere Blaise- terminò Harry.

Per l’ennesima volta nella stanza scese il silenzio.

Le parole avevano dissipato tutti i dubbi rimasti nella mente dei ragazzi ma allo stesso tempo non avevano risolto nessuno dei tanti problemi che li affliggeva.

James era arrivato a quell’incontro con la speranza di poter iniziare un dialogo con un padre che aveva sempre desiderato conoscere e che gli era stato strappato troppo presto.

Ora invece, si ritrovava di fronte un uomo piccolo, concentrato esclusivamente sui propri bisogni e focalizzato sulla propria gloria passata che aveva preferito la vendetta alla propria famiglia, fregandosene delle conseguenze.

Come aveva potuto essere così cieco? Perché per tanti anni era stato disposto ad accontentarsi dei sogni e della gloria riflessa pur di avere un minimo rapporto con quest’uomo?

Dal canto suo Albus si era presentato all’appuntamento consapevole che niente avrebbe potuto fargli cambiare idea su Harry Potter.

Eppure era stato smentito.

L’uomo di cui aveva sempre sentito parlare aveva messo a repentaglio la vita di una persona che amava convinto di essere nel giusto, spinto da sentimenti di pseudo amore e dal bisogno di essere ancora indispensabile.

Aveva detto di aver pensato a lui e a James per tutti quegli anni, ma le sue parole si erano rivelate vuote con la flebile difesa che aveva mosso alle accuse di James.

Albus sospirò e si passò una mano tra i capelli.

-Sei veramente un idiota-commentò rivolto verso Harry Potter.

Gli occhi verdi così simili ai suoi cercarono il suo sguardo e si sorpresero nel trovare un’espressione dura sul volto di Al.

-Hai mandato a puttane tutto per un po’ d’adrenalina, per sentirti ancora indispensabile come ai tempi della guerra.

Davvero patetico!-

-Albus…- cercò di intervenire Harry.

-Ti sei mai fermato a pensare a quello che sarebbe stato di me e James se avessero incriminato anche la mamma per il rapimento?

Se l’avessero accusata di favoreggiamento per colpa tua?

Che fine avremmo fatto?- lo incalzò ancora.

-Non lo avrebbero mai fatto… Non lo avrei mai permesso- tentò di replicare.

-Davvero?Scusa ma faccio un po’ fatica a crederti visto il modo in cui ti sei dimenticato di noi quando la situazione si è fatta complicata.

 Hai messo a rischio la mia vita, quella di Jim e della mamma per dimostrare di essere migliore di Draco Malfoy e dei Serpeverde ma alla fine ti sei rivelato un uomo meschino, menefreghista e avido di potere.

Sei diventato tutto quello che avevi giurato di combattere-.

Pieno di rabbia, Albus si alzò in piedi e si avvicinò di un passo a quello che formalmente era ancora suo padre.

-Sono felice che tu ci abbia abbandonato.

Io non so che farmene di un padre come te-aggiunse.

Albus si voltò verso James e cercò il suo sguardo.

-Sei soddisfatto ora? Hai ottenuto quello che volevi.

Spero ti serva da lezione e ti faccia aprire gli occhi su chi è realmente Harry Potter- si limitò a dirgli.

L’attimo dopo, James osservò suo fratello avviarsi verso la porta del salotto e da lì al piccolo corridoio che lo conduceva alla porta principale.

In pochi attimi lo sentì aprire la porta bianca e precipitarsi in strada, lasciandosi tutto alle spalle.

Con lentezza, James si alzò a sua volta e dopo aver lanciato un ultimo sguardo a Harry Potter seguì l’esempio di Albus e con passi misurati si avviò verso l’uscita incurante della voce dell’uomo che lo chiamava.

Una volta chiusa la porta bianca alle proprie spalle James prese un respiro profondo, cercando di allentare la tensione in tutti i muscoli del corpo.

Quel capitolo della sua vita ora era definitivamente chiuso.

Era ora di ricominciare da zero.

 

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"Baciami, fino a quando vuoi
Baciami, come l'avessimo inventato noi
Prendi me, con ogni mia ferita
Prendi me, come per tutta la vita" 

 

Dopo qualche minuto, Richard aveva accompagnato Albus nella sua stanza e aveva richiuso la porta alle loro spalle.

Aveva fatto sdraiare l’amico sul letto e, non sapendo cos’altro fare si era disteso al suo fianco.

Nel momento in cui si era ritrovato accanto ad Albus, il ragazzo gli aveva stretto le braccia attorno alla vita e aveva ricominciato a piangere, affondando il viso nel suo torace.

Albus aveva pianto a lungo, confortato dall’abbraccio di Richard e dalle dita del ragazzo che scivolavano lente tra i suoi capelli disordinati.

Soltanto quando sembrava aver esaurito la propria scorta annuale di lacrime, Al aveva rialzato la testa e aveva cercato lo sguardo di Richard.

-Ti senti meglio?- gli chiese Richard.

Albus annuì senza fare nessuna mossa per sciogliere il loro abbraccio.

-Te la senti di raccontarmi cosa è successo?- domandò ancora l’altro.

Per qualche istante un’espressione incerta si dipinse sul volto di Albus, prima che il ragazzo prendesse un respiro profondo e iniziasse a parlare.

Gli raccontò tutto, partendo dal pranzo in famiglia una settimana prima passando per le accuse che James aveva lanciato contro sua madre e ciò che avevano scoperto quel giorno, per poi arrivare all’incontro terminato neanche due ore prima con Harry Potter.

Albus gli raccontò le sensazioni che aveva provato trovandosi a faccia a faccia con quello che nominalmente era suo padre ma che in realtà era un estraneo, la rabbia e l’incredulità che si erano alternate dentro di lui durante l’incontro man mano che veniva a scoprire nuovi particolari del passato dei propri genitori e infine gli confessò di essere soddisfatto del modo in cui aveva lasciato senza parole il grande Harry Potter con il suo ultimo scatto d’ira.

-Ora è tutto finito.

Harry Potter appartiene al passato-commentò infine.

-Se è così perché sei tanto sconvolto?- gli domandò Richard, affondando nuovamente le dita di una mano tra i capelli neri di Al.

Albus sospirò e posò per un breve istante lo sguardo su un bottone della camicia che il ragazzo aveva indosso.

-Ha messo a rischio mia madre, me e James.

Ha quasi distrutto la mia famiglia e non c’è un briciolo di pentimento nelle sue parole- disse cercando di dar voce ai propri sentimenti confusi. –Sono passati quindici anni eppure lui è ancora convinto di aver agito nel giusto.

Anche se continuava a dire il contrario, i suoi occhi raccontavano un’altra storia.

Era come se stesse recitando un copione ed io sono convinto che se si ritrovasse nuovamente in una situazione simile a quella di quindici anni fa si comporterebbe nello stesso identico modo-affermò sicuro.

Richard accennò un sorriso.

-Per fortuna non lo scopriremo mai-

Albus annuì prima di lasciarsi scappare un gemito imbarazzato.

L’attimo dopo poggiò la fronte sulla spalla di Richard nascondendo il volto alla vista dell’amico.

-Scusami, sono piombato qui senza avvisarti e ti ho rovesciato addosso tutti i miei problemi…- iniziò imbarazzato.

Richard si lasciò andare a una risata.

-Al non hai nulla di cui scusarti.

Anzi, mi fa piacere che tu abbia pensato a me in un momento così complicato- gli disse sincero.

Albus rialzò la testa dalla spalla di Richard e incontrò il suo sguardo.

-Davvero?- domandò incerto.

Richard annuì.

-Per te ci sono sempre, lo sai- rispose abbassando leggermente la voce.

Nella distanza ravvicinata tra loro, Albus si rese finalmente conto della loro posizione: le sue braccia strette attorno alla vita di Richard, un braccio dell’altro abbandonato sul cuscino poco distante dalla sua testa con le dita affondate nei suoi capelli corvini, mentre l’altro era abbandonato attorno ai suoi fianchi e le gambe intrecciate tra loro.

Era la prima volta che si ritrovavano in una situazione simile.

Vista la vicinanza tra i loro volti, Albus si ritrovò a muovere più volte lo sguardo tra gli occhi color ambra di Richard e le sue labbra sottili.

Sarebbe bastato un piccolo movimento del capo per far incontrare le loro labbra.

-Anche quando sono insopportabile?-gli domandò in un sussurro.

Richard sorrise ironico.

-Specialmente quando sei insopportabile.

Ammettiamolo, nessuno riesce a farti arrabbiare come me-lo punzecchiò l’altro.

Quelle parole strapparono una risata profonda ad Albus.

-Questo è poco ma sicuro-commentò Al.

-Però, io sono l’unico in grado di farti sorridere anche quando sei incazzato con me- ribatté Richard.

La mano che fino a quel momento si trovava tra i capelli di Albus, si mosse lentamente fino a raggiungere il collo, la punta del pollice sinistro ad accarezzare la mascella.

-Non ho mai capito come ci riesci- rispose Al, cercando di mantenere ferma la propria voce.

Richard gli rivolse un sorriso malandrino.

-E’ tutto merito tuo. Solo tu hai quest’effetto su di me- gli confessò.

Albus mosse leggermente la testa sul cuscino, avvicinando il viso a quello di Richard mentre il suo sguardo si posava nuovamente sulle labbra del ragazzo.

-Che effetto sarebbe?- domandò abbassando nuovamente la voce.

Richard cercò il suo sguardo e restò per qualche secondo in silenzio, chiaramente combattuto.

Doveva essere sincero oppure doveva mentire come al solito?

Non gli sarebbe più capitata un’occasione simile, di questo era certo ma aveva paura che Albus fosse ancora troppo scosso dall’incontro con Harry Potter.

-Lo sai- si limitò a rispondere, decidendo di lasciare al moro la scelta.

Se Al avesse deciso di lasciar correre, Richard avrebbe rispettato la sua decisione, ma se invece avesse deciso di cogliere l’invito sottinteso allora Richard non si sarebbe fatto alcuno scrupolo.

Albus fissò per qualche secondo gli occhi ambrati dell’amico prima di fissare per un’ultima volta le sue labbra.

Ora o mai più.

Lentamente mosse la testa sul cuscino e avvicinò il volto a quello di Richard fino a posare le labbra sulle sue.

 

 Salve a tutti! Come state? Bentornati per un nuovo capitolo ^_^

Come avete visto, il capitolo inizia ad una settimana dal famoso pranzo in casa Weasley-Zabini per poi tornare indietro e vedere cosa è successo in questi 7 giorni.

Spero di non essere diventata una delle persone che odiate di più visto il cliffhanger con cui si chiude il capitolo e vi chiedo scusa, ma era tutto già scritto nella mia mente e si concludeva in questo preciso istante. Sorry!

Questo capitolo in particolare era incredibilmente lungo, forse uno dei più lunghi che abbia mai scritto, ma non avrei potuto interrompere la storia in nessun momento. Again, Sorry! xD

Abbiamo superato la metà della FF (credo) e per quanto riguarda la linea narrativa di James possiamo dire che è quasi al termine; ora il nostro ragazzo deve fare i conti con tutte le informazioni ricevute e deve iniziare a reinventare se stesso.

Ora finalmente possiamo dare spazio a Prudence!!! So di averla lasciata un pò da parte e di averle improvvisamente dato il ruolo da comparsa, ma la famiglia Weasley- Zabini e le loro vicissitudini si è imposta su quella formata da Hermione e Draco. Prometto che ora rimetterò ordine anche nella vita di Prue.

Si avvicina il momento del grande confronto con Draco...

Come avrete visto, in questo capitolo è stato introdotto un nuovo personaggio di cui avevamo fatto una veloce conoscenza la volta precedente; come con tutti gli altri personaggi vi lascio una foto per farsi un'idea dell'aspetto che Jeremy ha nella mia mente( nel caso non fossi riuscita a descriverlo a dovere).

 

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 Ringrazio tutti coloro  che leggeranno e recensiranno questo capitolo e come sempre, chiedo scusa per eventuali errori di battitura e/o di ortografia.

Il titolo è tratto da una canzone omonima del musical "Heathers", nella versione cantata dai protagonisti di Riverdale. Le citazioni presenti nel capitolo sono "Indimenticabile" di Antonello Venditti, "Anima Fragile" di Vasco Rossi, "A mano a mano" cantata da Rino Gaetano, "Nella buona (cattiva) sorte" di Tiziano Ferro, "Ciao" di Vasco Rossi.

E ora i ringraziamenti:Margomr(Grazie per i complimenti e soprattutto per il voto di fiducia. Anche io non amo molto leggere storie incomplete, quindi ti capisco perfettamente. Spero di continuare a meritarmi la tua fiducia ^_^), Fiorentinasara(Grazie per i complimenti! Credo che questa sia la volta buona per James. Ora o mai più... Manca poco al momento della verità anche per Prudence), Crich66(Grazie per i complimenti e soprattutto grazie per aver lasciato una porta aperta alla mia storia e ai personaggi nonostante non rientrassero completamente nelle tue preferenze. Quando dieci anni fa iniziai a scrivere la FF originale fu una specie di sfida con me stessa: stavo scrivendo "Io e te... per sempre?" e in quella FF Harry ha tutte le caratteristiche dei romanzi, anche se io gli ho fatto fare varie peripezie che sono oltre il canon xD Ma dal punto di vista caratteriale è perfetto, l'uomo che tutti hanno imparato ad amare. Per questo ho iniziato a scrivere "Il pagamento":  volevo vedere se riuscivo a scrivere un Harry diverso o se le mie capacità si limitavano a quelle canon), Marta_cr_cullen92( Grazie per i complimenti! Come vedi, in questa FF Harry non riesce a redimersi... Eh già, povera Sadie; spero però di averti risollevato un pò con questo capitolo), Ginny66(Grazie per i complimenti! Eh già, avevo già tentato di scrivere un seguito a questa FF, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a far combaciare tutti i pezzi. Fortunatamente questa volta è andata meglio. Fammi sapere cosa pensi del nuovo capitolo!).

Bene, per il momento io vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo.

Baci, Eva

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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